Anteprima "Sebeto" - Flavio Russo

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Edizioni Scientifiche e Artistiche Flavio Russo Sebeto storia del controverso fiume di Napoli con prefazioni di Ermanno Corsi e Maurizio Barracco

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Per oltre due millenni si è discusso sulle connotazioni, sul corso e sull’eventuale portata del Sebeto, finendo spesso per reputarlo un gioioso fiume malvagiamente sottratto a Napoli e sepolto nelle sue viscere. In realtà tutti gli autori che si sono soffermati ad esaltarne la limpidezza delle acque e la suggestione delle lussureggianti rive, mai ebbero occasione di vederlo. Per contro quanti, come il Boccaccio, dopo meticolose indagini, riuscirono a rintracciarlo, restarono delusi per la sua estrema modestia: un ruscello, un rivolo che solo la più spudorata piaggeria elevò al rango di fiumicello. Questo volume, riproponendo quanto di più significativo scrissero sul Sebeto poeti, letterati, storici e naturalisti, integrandolo con vari approfondimenti, consente di attingere al perché un rigagnolo, ristagnante e ammorbato dai rifiuti, sia oggi il suo estremo retaggio.

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Edizioni Scientifiche e Artistiche

Flavio Russo

Sebetostoria del controverso fiume di Napoli

con prefazioni di

Ermanno Corsi e Maurizio Barracco

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i Luoghi e la Storia

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Flavio Russo

Sebetostoria del controverso fiume di Napoli

EDIZIONI SCIENTIFICHE E ARTISTICHE

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Copertina:

Elaborazione grafica di un’antica stampa di Antonio Vetrano

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ISBN 978-88-95430-41-6

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PREFAZIONE STORICA

Un fiume o un mito? Il sottotitolo che Flavio Russo dà al suo libro sul Se-beto, è molto indicativo: “Storia del controverso fiume di Napoli”. Spicca su-bito, come il più aderente alla trattazione, l’aggettivo “controverso”. Infattic’è da chiedersi: ma il Sebeto appartiene più alla geografia o alla mitologia?Più allo sviluppo territoriale della fascia vesuviana o alla letteratura (daquella antica a quella moderna)? Bisogna riconoscere che l’approfonditostudio che viene ora pubblicato, con l’argomentato ragionamento che ac-compagna le pagine, è un contributo di grande rilievo dato da Flavio Russoalla conoscenza di un “fiume” che, indipendentemente dalla classificazioneche se ne può redigere, è ben presente nell’immaginario collettivo, fonte diispirazione creativa nei vari settori artistici.

Certo: se in idrologia -come precisa l’autore- il termine fiume “designaun corso d’acqua che non secca mai”, la storia del Sebeto potrebbe co-minciare e finire subito. Infatti, oggi, il Sebeto è inutile cercarlo. “È spa-rito. Potrebbe scorrere sotto via Pessina, a Napoli, Sant’Anna dei Lombar-di, via Medina e piazza Municipio dove sorse la prima struttura portualedella città”. Tuttavia, a dispetto di chi parla di un fiume o un ruscello mor-to, la sua esistenza sopravvive nella fantasia popolare. Nei giorni scorsi,durante una tempesta che sembrava quasi “perfetta”, abbattutasi sul Cen-tro Direzionale napoletano che ne è rimasto quasi completamente alla-gato, in molti hanno pensato al sollevamento delle acque del Sebeto chescorrono nel sottosuolo.

Il libro di Flavio Russo parte da lontano. La storia del Sebeto sembra quasiun intelligente pretesto per rivisitare la formazione della città di Napoli par-tendo, appunto, dalla leggenda di Partenope (“colei che ha voce di fanciulla”):

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Pompeo Sarnella che, agli albori dell’illuminismo, si rivolgeva al “pic-colo ma famoso Sebeto”, aggiungendo “ricco di fama sei e poverod’onde”.

La presenza del Sebeto continua ad essere viva nei due secoli succes-sivi. In un resoconto borbonico si dice che è tanto scarso di acqua quantoricco di fama. Giovanni Prati coinvolge il Sebeto nei fermenti risorgi-mentali e scrive: “Dai dolor che arrivano, là dei sebezi climi dalla mandegli esuli che lacrimando strinsi, oggi quest’ira attinsi che mi parea pietà”.Con una diversa immagine gli fa eco Vittorio Imbriani: “Figurarsi questoindomito stallon cilentano, sbrigliato per li paschi e tra le giumente sebe-tie, quali gesta compisse”. Nel Novecento gli aggettivi “sebetico” e “se-bezio” entrano ancor più nel lessico comune diventando sinonimi diappartenenza napoletana o partenopea. Ne offre testimonianza ArdengoSoffici quando rivela: “Per distrarci dal torpore incombente, l’amico Florac’intrattiene con arguzie sebetiche e aneddoti letterari”. Amilcare Lauria,romanziere napoletano, usa invece lo pseudonimo “Sebetius” quandoscrive l’opera letteraria “Sebetia”.

Nell’arco dei secoli non sono mancate testimonianze più direttamente“visive”: a cominciare con gli scavi che furono compiuti al Mercato delCarmine; rivelarono l’esistenza di un’edicola dedicata al Sebeto. E oggiproprio al Mercato, quartiere napoletano fra i più popolosi, c’è “via delSebeto” che congiunge il corso Arnaldo Lucci con via Marina. Ma nel-l’Ottocento c’era anche un teatrino dei pupi che portava il nome di que-sto fiume ormai consacrato come un mito. Altre testimonianze non sonomancate successivamente, come un Premio di Giornalismo nel secondoNovecento, dedicato ai temi dello sviluppo socio-economico.

Negli anni a noi più vicini è rinata, come simbolo di risveglio culturale,l’Associazione “Sebetia-ter” che, appunto per la terza volta, riprende adagire. La prima volta avvenne (1805) per volontà di Gioacchino Murat.Ora l’Associazione, che è anche un Centro Studi, fa capo all’artista-ma-tematico Ezio Ghidini Citro. Pubblica anche dal 1988 il “Corriere del Se-beto” che si occupa di Scienza, Letteratura e Arte. I riconoscimenti allepersonalità più prestigiose che ogni anno vengono assegnati, hanno rag-giunto le trenta edizioni.

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SEBETO

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La voce “Sebeto” continua ad esercitare una propria magia. Perché an-cora fonte o pretesto per tanta ispirazione? Forse perché è una “voce”che viene da lontano, ha risonanze classiche ed elegiache che attraversanoi tempi con un lirismo naturalistico non estraneo alla sensibilità collettiva.L’accorata e dolente constatazione di Flavio Russo (“conclusasi l’espan-sione edilizia, scomparsa l’industria, sarebbe lecito attendersi il riaffioraredelle limpide acque del fiumicello nei pressi del Ponte della Maddalena.Ed in effetti qualcosa vi scorre: un lercio rigagnolo infestato dai rifiuti!”),suona come un severo monito per chi ha responsabilità rilevanti nei campidello sviluppo e del sapere. Tuttavia, nonostante le deplorevoli dimenti-canze, quella del Sebeto continua ad essere una storia di grande, sugge-stiva attrazione.

Ermanno CorsiGiornalista e scrittore

Napoli, Dicembre 2011

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Prefazione storica

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PREFAZIONE TECNICA

Parlare del Sebeto, il leggendario fiume dell’antica Napoli, è quanto-mai utile oggi, per comprendere meglio i processi di sviluppo delle areemetropolitane, come quella napoletana.

Un fiume dalle origini mitiche (anche nella denominazione, variamentee confusamente data, di Clanio o Rubeolo o Bolla o Veseri), alimentato davarie sorgenti del monte Somma, la principale delle quali localizzatapresso l’attuale Somma Vesuviana in località Santa Maria del Pozzo, lungouna decina di chilometri, che scorreva con una lieve pendenza nella pia-nura esistente tra il Vesuvio e le colline flegree e che, attraversando il ter-ritorio della città, lungo le attuali vie Pessina, Sant’Anna dei Lombardi eMedina, giungeva al mare, per alcuni dove oggi si trova piazza Munici-pio, mentre per altri invece vi sfociava nella zona orientale presso il pontedella Maddalena.

Questo è il mito, la leggenda metropolitana. Nella realtà, probabilmente,si trattava piuttosto di un modesto corso d’acqua, non perenne, per lo piùcon funzioni di fosso iemale, vale a dire di canale di scolo delle acque me-teoriche, di cui peraltro abbondava un territorio dalla conformazione oro-grafica, geologica e idrogeologica tipica, quale quello compreso tra la zonavesuviana e l’attuale area partenopea-flegrea. Forse è questo uno dei mo-tivi per cui né il Boccaccio né il Petrarca, pur essendo vissuti per svariatianni a Napoli, non ne parlano nei loro scritti letterari. D’altra parte, il Se-beto non si evince neanche sulle molteplici cartine di Napoli, che furonorealizzate in largo numero nei secoli XVI, XVII e XVIII.

Esso era presumibilmente uno dei canaloni d’impluvio che dalle collinescaricavano le acque meteoriche raccolte verso il mare, di certo quindi ca-

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ratterizzato da un regime torrentizio, con portate defluenti tanto maggioriquanto più intense risultavano le precipitazioni pluviali. Questa stessa mo-dalità di funzionamento è oggi peculiare, ad esempio, dei grandi collettorifognari a uso “promiscuo” o “misto”, deputati al convogliamento combi-nato sia di acque nere (liquami civili) sia di acque bianche (piogge), lar-gamente diffusi tra le infrastrutture fognarie urbane, con portate variabilida pochi litri al secondo a molti metri cubi al secondo.

Oltre agli eventi che hanno contrassegnato la storia del Vesuvio, che neisecoli hanno trasformato strutturalmente con eventi catastrofici la reteidrografica alle pendici del vulcano, lo sviluppo della conurbazione na-poletana (Parthenope � Palepoli � Neapolis) e le esigenze della popola-zione crescente, e in termini numerici e per attività artigianali, commercialie industriali, favorì un lento ma progressivo tombamento del Sebeto, amano a mano che progrediva lo sviluppo antropico, ciò che finì per inte-grarlo probabilmente in parte assimilandolo e confondendolo con il sot-terraneo acquedotto della Bolla o con quello del Carmignano e perridurne la parte residuale in un rivolo maleodorante e stagnante.

Pertanto, la storia enigmatica di questo mitico piccolo fiume, affascinanteanche perché gli intrecci d’ipotesi – sia d’ispirazione umanistica che tecnica– sono quasi tutti verosimili e avvincenti, può rappresentare una vera e pro-pria metafora dei nostri tempi, laddove lo sviluppo di un territorio non av-viene in modo sostenibile, né tantomeno rispettoso dell’ambiente.

Infatti, un fiume propriamente detto definisce lui stesso il paesaggio,praticamente lo impone, tendendo a un sinuoso tracciato di equilibrio.Di contro, il Sebeto fu stretto nella morsa della città, protesa ad accre-scersi, per soddisfare le esigenze abitative e imprenditoriali della propriapopolazione; al riguardo, esso ebbe una funzione motrice per i numerosimulini ad acqua presenti nella città, al pari di altri canali defluenti in am-bito urbano. Forse anche per una forma retorica di gratitudine gli fu de-dicata la fontana monumentale omonima, progettata dal Fanzago, che puòoggi ammirarsi a Napoli in largo Sermoneta.

Abbiamo sempre più chiari e stridenti, ai nostri giorni, gli effetti nefastiche una gestione dissennata del territorio può produrre, in termini di dis-sesto idrogeologico, sovente con gravi costi umani e materiali. In tal senso,

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Prefazione tecnica

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i danni provocati dalle alluvioni ne sono un triste esempio, crescendo anchein ragione dei mutamenti climatici, riconducibili tra l’altro all’inquina-mento atmosferico prodotto dallo sviluppo tecnologico, quando non lun-gimirante e irrispettoso dell’ambiente.

Ebbene, l’epopea del Sebeto è strettamente interconnessa sì all’azionedel Vesuvio, che ha influito sulla specifica regimazione delle acque sottese,ma soprattutto alle modifiche del tessuto urbano che si sono avute nei mil-lenni, da quando l’agglomerato originario, che solitamente nasceva semprevicino a corsi d’acqua (come, per esempio, avvenne in Mesopotamia e inEgitto), beneficiava delle poche acque ruscellanti per sostenere i propri bi-sogni, al periodo successivo in cui necessitò di un più efficiente acquedottosotterraneo da cui attingere le acque per le varie attività della propria co-munità in crescita e via via più evoluta, fino ai giorni nostri che vedonoormai la conurbazione di Napoli definita e pressoché immodificabile.

La controversa storia del Sebeto, quindi, può aiutarci a riflettere atten-tamente sullo sviluppo sostenibile dei centri urbani e delle aree metropo-litane, fondato sulla memoria e sulla conoscenza dettagliata e documentatadel territorio e delle sue infrastrutture materiali e immateriali. Tale moda-lità di sviluppo, l’unica a contemperare le molteplici esigenze delle comu-nità e il rispetto per l’ambiente, il paesaggio, il patrimonio culturale e leleggi vigenti, costituisce ormai la vera sfida, complessa, multidisciplinare eonerosa, che la città di Napoli e l’intera area metropolitana dovranno concoerenza affrontare e vincere, facendo leva sulle proprie energie ed eccel-lenze, per poter assicurare una realtà migliore alle future generazioni.

Maurizio BarraccoPresidente ARIN

Azienda Risorse Idriche Napoli

Napoli, Dicembre 2011

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Ulisse e le sirene, in una stampa ottocentesca

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PREMESSA

Più d’onor che d’acque altero

La vicenda del mitico fiume di Napoli, il Sebeto, pur vantando una ple-tora di menzioni letterarie e soprattutto artistiche non trova, però, in am-bito storico ed idrogeologico una simmetrica rilevanza. Ne consegue unasostanziale divaricazione che finisce, come in ogni controversia, per ge-nerare opposti sostenitori. Per gli studiosi di estrazione umanistica il fiumesicuramente esistito, sebbene con un percorso non precisabile, fu sepoltodall’incuria, dall’avidità e forse dal Vesuvio, tant’è che nel sottosuolo diNapoli se ne scorge ancora il flusso idrico. Per quelli di matrice tecnica,invece, un fiume lambente la città, nella pienezza dell’accezione, non vi fumai mancando in un ampio raggio sorgenti congrue ad alimentarlo e man-cando pure le minime tracce che invece avrebbe necessariamente dovutolasciare. Ad essere generosi forse fu un torrente, o un corso d’acqua a re-gime torrentizio: più che una favola, quindi, una esagerazione di narra-tori e poeti, complementare al mito della sirena Partenope che venne amorire presso la sua foce, conclusione che per varie ragioni sembra la piùplausibile. Per evidenziarne la congruenza ci è parso sensato aprire delleampie digressioni sugli ambiti inerenti storici e tecnici, avvicendatisi nelcorso degli ultimi tre millenni.

Le acque correnti, naturali ed artificiali

La vita, è risaputo, sul pianeta Terra dipende dalla presenza di acquadolce, per cui laddove la prima ridonda è perché abbonda la seconda. Ri-gogliosità che può essere naturale, come nelle oasi o lungo le rive dei fiumi,o artificiale come nelle città, che non a caso vennero fondate preferibil-

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Greci sugli Etruschi nella battaglia di Cuma del 474 conobbe pure unasorta di filiazione con la fondazione di Neapolis, 470 a.C., ubicata a pocadistanza su di un’altra altura costiera appena più bassa.6 Il sito prescelto,ovviamente per l’epoca, aveva già delle idoneità difensive alquanto vi-stose: dalla parte orientale, la meno impervia, una vasta palude mentre suirestanti lati dei profondi valloni, che convogliavano le acque defluentidalle colline circostanti fino al mare, e dinanzi il mare. Facile integrarequelle propizie predisposizioni tattiche in una sistema difensivo efficace,tramite segmenti di mura, utilizzando quei canaloni ed i relativi corsid’acqua, sia pure a regime fortemente torrentizio, come non irrilevanteapporto idrico. Del resto oltre alle piogge in essi scaricavano pure alcunesorgenti limitrofe, per cui l’insieme ostentava una corrente senza dubbiomisera ma pressoché perenne, che ben presto fece guadagnare loro ilpomposo nome di fiumi.

All’indomani della sua fondazione, con una superficie estesa ed una po-polazione ridotta quale poteva essere il fabbisogno e l’approvvigiona-mento idrico della città? Certamente stando a Platone, Aristotele, Pausa-nia e Procopio, per citare le principali fonti, una città greca era tale solose disponeva di un acquedotto, o in alternativa di un discreto corso d’ac-qua limpido e abbondante. Ma a Napoli questa condizione che, giova sot-tolinearlo, doveva essere in pratica quasi contemporanea alla costruzionedelle mura, non fosse altro che per ragioni tattiche, non sembra esseresussistita. Recenti valutazioni, infatti: “sulla falda acquifera nel perimetrodella città di Napoli ci permettono di affermare che è possibile, tenendoconto delle ben diverse condizioni di permeabilità dei terreni allora esistentie per le modeste dimensioni demografiche, che le risorse idriche interne fos-sero sufficienti ad alimentare i pozzi urbani.

A tal proposito osserviamo che la città greca fu impiantata su un pianoro col-linare declinante, con direzione NW-SE, dai 65 metri s.l.m. dell’acropoli ai 20-12 del costone sul mare. Le linee isopiezometriche della falda acquifera cittadinavengono stimate, nel territorio interessato, variabili tra i 10 metri s.l.m. verso

6 - Cfr. M. NAPOLI, Topografia e archeologia, in Storia di Napoli, Napoli 1967, vol. I, pp.391-98.

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Premessa - Più d’onor che d’acque altero

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Nord ed i 2 metri verso la linea di costa, in prossimità della quale si ha notiziadi affioramenti sorgentizi... La probabilità di scavare pozzi produttivi e nontroppo profondi nell’ambito dell’area della città greca era dunque alta.”7

Da quanto appena citato appare evidente che la città antica non era ser-vita da alcun acquedotto, bastando a soddisfare il suo fabbisogno idricopozzi ed affioramenti costieri. Ma queste necessarie opportunità se sonosenza dubbio sufficienti per gli usi alimentari non lo sono affatto per tuttigli altri che all’interno di un centro abitato, di qualsiasi epoca, devono es-sere espletati. Dalle attività industriali, per modeste che fossero quali latessitura e la tinta dei panni, dalla concia delle pelli alla lavorazione deimetalli, dalla igiene personale a quella domestica, non era certamente at-tingendo acqua da pozzi più o meno profondi che si poteva sopperire a talibisogni. Da qui la conclusione, più volte prospettata, che esistesse, ma-gari in maniera rudimentale ed arcaica, una conduzione d’acqua da Bollafin dentro l’abitato, e tramite una rete di cunicoli la distribuisse nei variquartieri. Ma: “dispiace molto a chi scrive il non poter sicuramente ricono-scere un’origine greca per l’acquedotto della Bolla... ma anzi di essere por-tato ad escluderla... Concorderemo intanto con R. Di Stefano, nel valutareche ‘nei primi tempi della vita urbana il piccolo nucleo di abitanti attingevaai corsi d’acqua allora esistenti... ed alle sorgenti.”8 Del resto è interessanericordare che fino alla costruzione del suo primo acquedotto nel 312 a.C.a Roma si beveva l’acqua del Tevere!

Indispensabile perciò anche per Napoli, sia pure implicitamente in basea quanto detto, ipotizzare l’esistenza di uno o più corsi d’acqua, senzadubbio piccoli non perenni ma nel loro insieme sufficienti al fabbisognoelementare di una piccola comunità, trama idrica sconvolta non dal tempoma dal Vesuvio! A confermare questa riduttiva ipotesi la molteplicità deiloro nomi pervenutici, Clanio, Rubeolo, Sebeto, formanti, se mai tali, unavesuviana Amsterdam! E non stupisce che constatando tanta molteplicitàdi nomi a fronte di tanta scarsità idrica, gli storici più razionali abbiano fi-nito per supporre il sovrapporsi di più nomi al medesimo corso d’acqua,

7 - Da B. MICCIO, U. POTENZA, Gli acquedotti di Napoli, Napoli 1994, p. 14.8 - Ibid., p. 15.

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Ipotesi urbanistica della Napoli greco-romana del Beloch

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PARTE PRIMA

Tra fuoco ed acqua

1.1 Il fenomeno della colonizzazione nell’antichità

Una delle ipotesi basilari sull’esistenza del fiume Sebeto insiste sul-l’adiacenza, se non proprio imprescindibile almeno di ragguardevole fre-quenza, di un fiume al sito d’impianto delle colonie greche all’atto dellaloro fondazione. Opzione che sembra essere stata sempre alle spalle delvasto fenomeno coloniale, soprattutto nella Magna Grecia e, in partico-lare, in Campania. Il perché appare ovvio, tanto più che un fiume agevo-lava i trasporti da e per il mare aperto, favorendo gli scambi ed i commerci.E le coste campane al riguardo sono ideali poiché: “offrono buoni approdi,talora ottimi, pur se distanziati fra loro e non distribuiti in maniera omoge-nea. La morfologia è varia, alternandosi pianure e tratti scoscesi: quasi sem-pre, fin dalle foci dei fiumi, si possono seguire con gli occhi i percorsi segnatidalle valli, tramiti tra l’interno e la costa, elementari ma insostituibili cam-mini commerciali. Nonostante il clima generalmente mite, l’altezza dei montisituati all’interno delle terre raccoglie le nevicate invernali, favorendo così ilflusso regolare dei fiumi, e l’alimentazione perenne delle sorgenti. Regolari-tà di regime che l’estesa forestazione facilitava, in antico, ancor di più...”1

Ovvio, perciò, concludere che il vero fattor comune della colonizzazionegreca fu la formazione di nuove città, sempre strettamente connesse con ilmare e con la sua pratica, dimostrandosi in ciò antitetica a quella italica,squisitamente terrestre e appenninica. In tale ottica l’adiacenza di una foce

1 - Da P.G. GUZZO, Le città scomparse della Magna Grecia. Dagli insediamenti protostoricialla conquista romana: un viaggio affascinante in una terra antichissima, Roma 1982, p. 16.

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o di una sponda fluviale, a seconda se di piccola o discreta portata, si con-ferma ideale per soddisfare tutte le stringenti esigenze. Non a caso le mag-giori colonie saranno poi proprio quelle munite di porti validi in ampi golfinei quali sfociano corsi d’acqua limitrofi perenni: così Siracusa con l’Ana-po, così Taranto con il Patemisco, così Poseidonia con il Sele per citare leprincipali. Per vagliare l’aderenza dell’ipotesi anche per Napoli col suo Se-beto, occorre però esaminare, sia pure per ampie sintesi, la colonizzazionedella Magna Grecia, ed in particolare quella campana, ricavandone perciòdei fattori comuni applicabili alla vicenda in esame.

Trascurando le fasi prodromiche relative a migrazioni avvenute nella se-conda metà del secondo millennio, la colonizzazione proveniente dallaGrecia, nella pienezza del significato demografico, si avviò soltanto a par-tire dall’VIII seco lo a.C., e non ebbe neppure agli inizi una estrinseca-zione equipa rabi le alla emigrazione, antica o moderna, pro pria mentedetta, pur anticipandone in maniera identica la ragione di fondo. Una co-lonia greca, infatti, costituiva una decisione dello Stato stesso e non già disingoli citta dini dispera ti: certamente tale decisione scaturiva dallo sti-molo primario di alleggerire i gravami sociali, altrimenti insostenibili, manon per questo abbandonava i coloni al loro destino, come invece sembraavvenire nelle migrazioni italiche. In pratica, la città madre organizzava lacolonizzazione indicando non solo dove dirigersi, attra verso una partico-lare sentenza dell’ora colo di Delfo, in realtà di tipo meramente confer-mativo, ma riconosceva la pienezza di appartenenza dei membri inpartenza ad una città deriva ta, con tutta la solennità del caso. La compo-nente religiosa anche in questo caso serviva a sancire meglio la sacralitàdella decisione e la sua buona probabilità di successo, es sendo affidata eposta sotto la protezione di Apollo, lo stesso peraltro preposto pure alleprimavere sacre italiche: la ragione potrebbe insistere nell’apparente alle-goria dello spostarsi del Sole.

In definitiva al pari delle comunità italiche anche quelle greche anticheinsisteva no su equilibri demografici delica tissi mi quan to rigidissimi, percui le città dell’Ellade, già con l’avvento del I millennio a.C., a causa dellacrescente popolazione, iniziarono a tradi re evidenti sintomi di carenze dirisorse, innescando il fenomeno della colonizzazione. Ma se le primavere

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PARTE SECONDA

Tracce storiche

2.1 Un fiume o un mito?

Per molti aspetti il Sebeto, da intendersi come fiume propriamente dettoe non come semplice corso d’acqua a regime non perenne, o addirittura tor-rentizio, fu una creazione poetico-letteraria che ebbe nel corso degli ultimidue millenni reiterate proposizioni e rilanci, ciascuno dei quali traeva cre-dibilità dai precedenti. Quello che un celebre detto napoletano riassume intienimi che ti tengo! Nessuna conferma però, paradossalmente, scaturivadalla diretta osservazione delle sue acque, dalle sue rive, dalla sua foce. L’in-tera vicenda ricorda, perciò, molto da vicino la natura di alcuni odierni mitipopolari, definiti anche leggende metropolitane, dalla parvenza fondatissimima di cui nessuno sa precisare l’origine, e che a più approfondite indaginisi rivelano del tutto inesistenti nella realtà o almeno estremamente modesti,per cui più che di vera mistificazione si deve parlare di esagerazione apolo-getica, o come già definita nella prima parte morfologica, tipica della retorica.Non a caso i maggiori esaltatori ed elogiatori elegiaci, dettaglio non trascu-rabile, non erano napoletani né di Napoli, né dai loro scritti traspare unqualsiasi diretto contatto, anche meramente ottico, col Sebeto: nonostanteciò, spesso gareggiano per accentuare le affermazioni dei predecessori! Pervalutare in maniera analitica anche questo aspetto connesso con la vicendadel Sebeto diviene interessante proporre le principali menzioni letterarie,poetiche e storiche, che hanno per oggetto in qualche modo le sue acque apartire dall’età classica, fornendo dove necessario gli opportuni commenti.

La carrellata prende l’avvio dalla menzione di Virgilio, (70-19 a.C.), nel-l’Eneide, menzione che in seguito progressivamente venne ingigantita

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In questa antica mappa il Sebeto scorre fra le due città, la cui posizione è però invertita

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Parte Seconda - Tracce storiche

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per un periodo di qualche mese, è talmente stringente da costituire un in-dubbio riscontro per l’individuazione. Assurdo supporre un’incessantevia vai di militi e bestie tra il campo e una grossa fonte limitrofa. Ancorapiù assurdo immaginare carovane di portatori, o canalizzazioni fis se, facilientrambe da in terrompere o da inquinare da parte del nemico. Un campobase, in conclusione, non può supporsi più lontano di un centinaio dimetri da un corso d’acqua di discreta rilevanza, dovendo scorrere anched’estate la stagione delle operazioni militari.

Pertanto va evidenziato che il sito d’impianto di un castra non venivaindividuato strada facendo, ma accorta mente predeterminato dagli esplo-ratori, tenendo conto sia del non dover eccedere la distanza di marciaquotidiana solita, sia della necessità di un assetto del terreno pianeggiante.Sebbene il campo romano canonico sia posteriore al 327 a.C., è indubbioche quei criteri siano la raccolta di esperienze anteriori, a partire dall’esi-genza di un corso d’acqua. La prima incombenza, pertanto, consisteva:“nello scegliere molto accuratamente il sito. Questo compito incombe sugliufficiali e sul ‘metator’, i quali devono obbedire agli stessi principi che sedovessero stabilire dei ‘castra aestiua’: essi cercano un luogo agevolmentedifendibile, non minacciato da nessuno strapiombo; badano a che il terrenosia in pendenza per facilitare l’areazione, e l’evacuazione dei liquami... [eche abbia] acqua a sufficienza...”4

Quanto stringente fosse quella normativa lo si può dedurre osservandoi resti degli accampamenti romani utilizzati per l’assedio di Masada, tuttimolto ben conservati. Nonostante si trovino in una regione desertica, nellaquale l’approvvigionamento idrico era necessariamente svolto da appo-site carovane e senza rischi di attacchi non esistendo più in zona alcun ne-mico, alle spalle di uno dei campi più integri si scorge distintamente illetto di un grosso corso d’acqua, al momento asciutto. Non può esclu-dersi che all’epoca vi scorresse ancora qualche rivolo, o che in particolaristagioni vi fosse sia pure per breve tempo abbondanza d’acqua, contri-buendo così al fabbisogno del campo. In ogni caso anche quella estremapotenzialità non venne trascurata. Un’eco residua della meticolosa cura

4 - Da Y. LE BOHEC, L’esercito..., cit., p. 210.

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destinata al corretto impianto dei castra la si può evincere dalle ordinanzemenzionate da Flavio Vegezio Renato, (metà V sec.), quando ormai talistrutture ben raramente venivano realizzate. Precisava, dunque, con no-stalgia il celebre trattatista militare che: “in prossimità del nemico, gli ac-campamenti devono esser posti sempre in un terreno protetto, dove abbondinoil legname, lo strame e l’acqua; inoltre, se si prevede una lunga permanenza,si scelga un luogo salubre. È da evitare che nelle vicinanze si erga un monteche, se occupato dall’avversario, possa agevolarne l’attacco. Ci si preoccupi cheil campo non sia soggetto ad eventuali straripamenti di torrenti, che possanocausare disagi alla truppa...”5 Continuava precisando che: “si deve anche evi-tare che in estate... vi sia acqua inquinata nei pressi o l’ ac qua salubre sia moltolontana; in inverno non scarseggi il foraggio o la legna... [e] non si trovi in luo-ghi scoscesi o fuori strada e, portando l’assedio agli avversari, non presenti unadifficile via d’uscita; non vi giungano dalle alture i dardi scagliati dai nemici...”6

Il che, considerando la gittata delle macchine da lancio dell’epoca, signifi-cava una distanza non inferiore ai 400 m dal piede dell’altura, spazio nelcaso in questione incompatibile con la supposta vicinanza fra le due città.

2.3 Tra Pelepoli, Neapolis e il Vesuvio

Volendo esprimere un giudizio circa l’ubicazione del campo scelta daPublilio, in base a quanto riassunto, dal punto di vista strettamente tatticoappare inverosimile e comunque, anche a voler per assurdo ignorare i prin-cipi basilari della castramentatio, non era di sicuro la migliore. Certamenteinterponendosi fra le due città, quale che ne fossero le dimensioni, avrebbeimpedito ai relativi abitanti di aiutarsi reciprocamente ma, altrettanto cer-tamente, si sarebbe trovato esposto su due opposti fronti, alle loro inizia-tive subendo perciò l’eventuale attacco simultaneo e coordinato ai fianchi.Considerando poi che Neapolis e Palepoli non dovevano distare molto fraloro, il campo si sarebbe, per giunta, trovato sotto un altura ubicazione,

5 - Da A. ANGELINI, L’arte militare di Flavio Renato Vegezio, Roma 1994, p. 32. Testolatino: lib. I, 22.6 - Da A. ANGELINI, L’arte..., cit., p. 102. Testo latino: lib. III, 8.

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Parte Seconda - Tracce storiche

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seppe fornirgli una soddisfacente risposta, e quando alla fine la ottenne ciòche gli venne mostrato era lontanissimo da quanto fantasticato. Del resto,già appare a dir poco inverosimile che per scovare un fiume interno a unacittà, sia che la lambisca sia che l’attraversi, occorra farselo indicare! Anzi,ad essere precisi, affermò di non aver visto il Sebeto -ed in 13 anni di sog-giorno sarebbe per lo meno strano- salvo: “che non era quel rivolo senzanome che va al mare nelle paludi, tra le radici del monte Vesuvio e la città diNapoli; né altrove vidi acqua, né vestigia di essa.”35 La testimonianza è strin-gente: il rivolo scorre fino alla palude raggiungendo stentatamente il mare,dove la tradizione collocava da tempo il Sebeto e, se mai vi fossero dubbi alriguardo, non vi era nella città alcun altro corso d’acqua! Le parole di Boc-caccio sono pertanto dirimenti, non essendo quelle di un semplice turista di

Il Ponte della Maddalena in un stampa di Joachim von Sandrart raffigurante l’eruzione del 1631. Napoli, Museo di S. Martino.

35 - La citazione di un frammento epistolare di Boccaccio, è tratta da E. DE GAETANO,Torre del Greco nella tradizione..., cit., p. 43, nota n. 2.

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passaggio, né di un memorialista forestiero, né meno che mai di un poeta:in tredici anni di soggiorno giovanile in una città, che all’epoca poteva con-tare al massimo un centinaio di migliaia di abitanti, il giovane verosimil-mente vivace e curioso come tutti i coetanei, non vide alcun fiume in Napolio nei suoi immediati paraggi per la semplice ragione che non vi era alcunfiume, ma soltanto dei modesti rivoli che si contendevano, nella cultura po-polare, il nome di Sebeto o, per meglio dire, se ne disputavano le spoglie!

In ogni caso fu con Boccaccio che si tornò a parlare del Sebeto, resti-tuendo quel nome mitico al modesto Rubeolo che scorreva anch’esso adoriente della città nei pressi delle sua mura, ruscello che per altri, invece,fu soltanto uno dei suoi affluenti. Come tale, infatti, si ritrova menzionatoin uno strumento notarile del 1184, citato dal Celano, che così lo rias-sunse: “Oltre di che si trovò in uno istrumento originale in pergamena chesi conserva nell’antico Archivio del Monistero di S. Marcellino, stipulto a 20di Giugno dell’anno 1184 Indizione 2. che un tal Sergio Cape dona al Mo-nistero un pezzo di terra, sito vicino al luogo dove passa quast’acqua, e no-minando i confini così dice: «Non longe a loco, qui dicitur Porhianum forisflubium, justa Terram S.Gaudiosi: Flubium, qui dicitur Rubeolum», che que-st’acqua passi per lo teritorio, che dicesi Porchiano, dov’al presente v’è unachiesetta governata da gran tempo dalla comunità de’ Sellari, che nominataviene S. Mari a Porchiano non v’è dubbio; dallo che si ricavò che questofiume chiama vasi Rubeolo, e tirava a dirittura al mare ec.”36

Dunque ai giorni della permanenza di Boccaccio più che un fiume, chestando alle sue parole non esisteva in alcun luogo di Napoli, sembrerebbelambire la città una sorta di canalone, peraltro abbastanza tipico delle col-line napoletane, in cui si convogliavano anche le acque dell’alveo naturale.

2.7 Fu uno tsunami a seppellire il Sebeto?

Una decina di anni dopo, per l’esattezza il 25 novembre del 1343, du-rante la seconda visita del Petrarca, si verificò la terribile mareggiata, ri-

36 - Il brano della X giornata di Carlo Celano, è tratto da A.VETRANI, Sebethi Vindiciaesive Antonii Vetrani dissertatio de Sebethi antiquitate, Napoli 1767, p. 200.

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Parte Seconda - Tracce storiche

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espressione dialettale dei coloni dell’Eubea, nella quale la lettera B mutavain P e la vocale E in EI. Pertanto la vera dizione sarebbe stata appunto SE-BETHOS e la divinità impressa sulla moneta l’avrebbe raffigurato. Inter-pretazione che non solo diradava le precedenti incertezze ma coinci- devacon l’abitudine dei coloni greci di divinizzare i fiumi, in ossequio alla lorobasilare rilevanza, immaginandoli in sembianze umane.

A titolo di curiosità una cantata per voce di basso e basso continuo diAlessandro Scarlatti, attualmente custodita presso la biblioteca del con-servatorio di S.Pietro a Majella, si intitola “Nel mar che bagna al bel Sebetoil piede”. Stando alla lettera della scrittura musicale l’accento di Sebetocade sulla seconda “e” ed é acuto: per cui si avrebbe Sebéto. Si tratta diuna cantata d’argomento arcadico, secondo la moda bucolico-pastoraleimperante, e vi si rievocano delle gare di imbarcazioni a vela effettuatealla foce del fiume, mentre al contempo si manifestava una sorta di giostrad’amore fra i due pastori Elpino e Nice.

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PARTE TERZA

Acqua e farina

3.1 Breve sintesi di una lunga storia

L’assetto idrogeologico dei territori circumvesuviani sul finire del XIXsecolo venne più accortamente studiato determinando, nella seconda metàdello stesso e nella prima del successivo una serie di interventi di regi-mentazione delle acque di notevole efficacia. Per quanto concerne i: “tor-renti della falda occidentale del monte Somma e del Vesuvio scorrono nellazona dove (come si é detto innanzi) i basalti s’incontrano molto scarsamen-te... Essi sboccano nell’alveo comune di Pollena gran collettore artificialedella lunghezza di circa 6 km con foce a mare è sono:

a) il Maddalena-Trocchia con gli influenti Lo Grado, Caracciolo, Nido dell’0rso e Duca della Regina;

b) il Pollena con gli influenti Salerno I e Salerno II;c) il Molara con gli influenti Caraminio e Castelluccia;d) il Fosso S. Domenico;e) l’antico alveo Faraone che raccoglieva parte delle acque del Fosso

della Vetrana;f ) l’alveo-strada Catini, Figliuola, Censi e Pironti.La falda meridionale del Vesuvio, ricoperta in gran parte, specie nella zona

più elevata, dalle spongiose lave basaltiche recenti, era eminentemente attaad assorbire le acque meteoriche scorrenti lungo le pendici, e però nella partepiù bassa (dove si estendono i ridenti abitati di Portici, Resina, Torre delGreco ecc., e le ubertose campagne circostanti) le acque scendevano in quan-tità limitate e non cariche di materiali. Erano quindi sufficienti pochi e ri-stretti colatori, poiché la rete delle vie campestri ed urbane si prestava allo

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Parte Terza - Acqua e farina

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Dal punto di vista geografico le cosiddette Paludi di Napoli sono:“un’am- pia spianata, la quale ad oriente di questa città capitale si estendesino alle falde del Vesuvio, e confina a mezzogiorno col mare ed a setten-trione con le colline di Santa Maria del Pianto e di Caloria. Di là dal se-condo miglio della regia strada delle Puglie questa pianura si restringe, e peraltre due miglia a un bel circa prolungasi verso levante oltre alla sorgente delVolla; la quale altra lingua di terra rappresenta quelle che dimandano le ‘Pa-ludi della Volla’... Sorgono in parecchi luoghi di questa contrada polle evene di acque chiare, le quali condotte per canali e raccolte in rivoletti fannoirrigui quei campi, ed animano trentasette molini. Prima e principale si è laricca sorgente della Volla, dalla quale prende origine il fiumicello Sebeto, emove una vena di limpide acque, che per un sotterraneo condotto corre allavolta di Napoli, ed insieme alle altre acque di Carmignano ne viene a disse-tare gli abitanti. Questo rivolo, che ne’ tronchi più alti chiamano ‘della Volladella Corsea’, dà moto alle macine di dieci molini posti luogo a luogo: poivengono i ruscelli di minor portata dimandati ‘Cozzone, di Caloria, di San-severono, Caraccolo, Sbauzone, Iannazzo, della Ferriera, Bronzato, dell’In-ferno, della Fanfara, nascenti dove da una sola e dove da più polle d’acquainsieme raccolte; i quali animano gli altri molini onde tolgono il nome. Etutte queste acque confluendo in un alveo solo di sopra al ponte della Mad-dalena, e ripigliando il nome si ‘fiumicello Sebeto’, si scaricano nel mar vi-cino... Ed è certo ancora che gli scanni e le dune e i monti di sabbie, sospintidalle tempeste contra queste spiagge, serrano l’uscita alle acque delle con-trade basse, e cangiano queste in paludi e stagni; i quali da prima con le tor-bide portate da’ torrenti, e di poi col soccorso dell’opera dell’uomo si vannosollevando, ed in fertili campi col volgere degli anni si tramutano…Questaera la condizione delle paludi, quando Carlo I d’Angiò volendo migliorare iluoghi bassi della città di Napoli ed aggrandirla, fece colmare lo stagno dovesi maturava la canapa a mezzogiorno del colle del Salvatore; ed ivi fu erettauna Chiesa, che dal nome dell’antico Fusaro fu dimandata di S. Pietro a Fu-sariello; e questa maturazione portò nel fiumicello Rubeolo presso al ponteGuizzardo, cioè al di sopra al ponte della Maddalena...”4

4 - Dagli Annali delle bonificazioni che..., cit., p. 45

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Circa i mulini a vento impiantati all’altezza del Ponte della Maddalenagià una settantina di anni prima risultavano abbandonati, come si legge inquesta relazione tradotta dal francese del 16 maggio 1632: “Si considera in-nanzitutto attentamente questo fiume tanto celebre, il Sebeto, che in quelpunto [ponte della Maddalena] non è altro che un ruscello che in prossimitàdella sua foce ha una larghezza appena di buoni passi, ed una profondità ditre o quattro piedi, ed un corso di sei miglia, per cui non consente la navi-gazione ad alcuna barca e serve soltanto ad alimentare gli stagno o le ‘paludi’attraverso le quali scorre, ed a muovere dei mulini...

La piccolezza del fiume è compensata dalla grandezza del ponte…Sichiama della Maddalena a causa di una piccola chiesa che si trova alla suaentrata, a lato mare, presso la foce del fiume. All’uscita del ponte si trovanotre mulini a vento sulla marina, che ormai al giorno d’oggi sono abbando-nati, come del resto in tutti gli altri luoghi dove vi sono stati in altri tempi,i Napoletani dicono che sono troppo complicati da governare, e si servono piùvolentieri di quelli ad acqua.”22

22 - J.J. BOUCHARD, L’éruption du Vésuve en 1631 Journal II. Un Parisien à Rome et àNaples en 1632, Paris 1897, pp. 211-12.

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CONCLUSIONI

Utopia e realtà

In data 1841 veniva pubblicata la relazione dell’abate Teodoro Mon-ticelli, segretario perpetuo della Reale Accademia delle scienze di Na-poli, intitolata: Sull’origine della acque del Sebeto che per molti aspettipose termine alla vicenda. Dopo aver riassunto le varie ipotesi avvicen-datesi nel tempo sulle connotazioni morfologiche ed ideologiche del mi-tico Sebeto, espose quanto dalle sue dirette indagini sul territorio risul-tava al riguardo. Era per molti aspetti la conclusione della diatriba, chefinalmente forniva una chiara definizione circa le origini, l’entità, il corsoe la foce del corso d’acqua. Queste le sue parole: “Nasce dunque il Sebetoin quattro punti, e propriamente in quattro grotte sotterranee la primadelle quali... dicesi della Preziosa dal nome di un podere, che ora appartie-ne al marchese Costa.

La seconda... si appella della Taverna Nuova, perché verso quella drittorisguarda. La terza ch’è più prossima alle radici del monte Somma è nel po-dere ora di Carafa, ed è forse la stessa, che Summonte chiama del Cancellaro,ed altri del Calzettaio.

Lungo l’acquedotto di questa grotta se ne trova un’altra... che abbonda dimolta acqua, la quale per un canale lungo 10 canne e mezzo... [si getta nelcanale maggiore].

Da queste grotte artefatte stilla l’acqua a goccia a goccia tanto dalle lorovolte, quanto dalle loro pareti, e nelle parti inferiori specialmente compari-sce sensibile, e scappa fuori a zampa d’oca, come dicono i nostri fintanai, osorge poco a poco ed a piccole bolle. Le acque delle due prime grotte si riu-niscono per appositi canali sotterranei.., ove si trovano praticate le così detteSaracina, o chiuse per impedire il passaggio dell’acqua nel resto del canalequando vi si debba lavorare...

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PREFAZIONE STORICA, di Ermanno Corsi

PREFAZIONE TECNICA, di Maurizio Barracco

PREMESSA - Più d’onor che d’acque altero

Le acque correnti, naturali ed artificiali

Le origini

Acqua e colonie: l’ipotesi di Carlo Celano

Questioni altimetriche

PARTE PRIMA - Tra fuoco ed acqua

1.1 Il fenomeno della colonizzazione nell’antichità

1.2 L’acqua e le colonie greche nel golfo

1.3 La montagna del fuoco

1.4 Partenope, Palepoli e Neapolis

1.5 Idrografia vesuviana

1.6 Digressione sui “pozzi d’aria”

1.7 I cripto fiumi del Vesuvio

1.8 Il ‘fiume’ di Portici

1.9 Il ‘fiume’ di Torre del Greco

1.10 Il contributo del Vesuvio

1.11 Il ‘fiume’ di Torre Annunziata: l’unico realmente tale

1.12 Il ‘fiume’ di Somma Vesuviana

Indice

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PARTE SECONDA - Tracce storiche

2.1 Un fiume o un mito?

2.2 Considerazioni castrensi

2.3 Tra Palepoli, Neapolis e il Vesuvio

2.4 Ulteriori testimonianze d’età classica

2.5 Testimonianze d’età medievale

2.6 Il Sebeto e i letterati toscati

2.7 Fu uno tsunami a seppellire il Sebeto?

2.8 Nel fossato aragonese

2.9 Menzioni rinascimentali

2.10 La fontana del Sebeto

2.11 Menzioni in età moderna

2.12 Divagazione idro-geo-morfologica

2.13 Prime ipotesi sul Sebeto

2.14 Sui qanat

2.15 Etimologia di un idronimo

PARTE TERZA - Acqua e farina

3.1 Breve sintesi di una lunga storia

3.2 Molto grano e poca farina

3.3 Ruote idrauliche e mulini a Napoli

3.4 La via del grano: cabotaggio e corsari

3.5 I mulini a vento

3.6 Le tre torri: i mulini a vento di Napoli

CONCLUSIONI

Utopia e realtà

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Illustrazione tratta dall’opera di Antonio Vetrano Dissertatio de Sebethi antiquitate, nomine, fama, cultu, origine,

prisca magnitudine, decremento, atque alveis..., Napoli 1767.

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Finito di stampare presso presso Cangiano Grafica in Volla (NA)

nel mese di Maggio 2012

E.S.A. - Edizioni Scientifiche e Artistiche

© 2012 Proprietà letteraria artistica e scientifica riservatawww.edizioniesa.com [email protected]. 081 3599027/28/29 - fax 081 8823671

Contenuti Extra

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Per oltre due millenni si è discusso sulle connotazioni, sul corso e sull’even-tuale portata del Sebeto, finendo spesso per reputarlo un gioioso fiumemalvagiamente sottratto a Napoli e sepolto nelle sue viscere. In realtà tuttigli autori che si sono soffermati ad esaltarne la limpidezza delle acque e lasuggestione delle lussureggianti rive, mai ebbero occasione di vederlo. Percontro quanti, come il Boccaccio, dopo meticolose indagini, riuscirono arintracciarlo, restarono delusi per la sua estrema modestia: un ruscello, unrivolo che solo la più spudorata piaggeria elevò al rango di fiumicello.Questo volume, riproponendo quanto di più significativo scrissero sul Se-beto poeti, letterati, storici e naturalisti, integrandolo con vari approfon-dimenti, consente di attingere al perché un rigagnolo, ristagnante e ammor-bato dai rifiuti, sia oggi il suo estremo retaggio.

Flavio Russo nasce a Torre del Greco, Napoli, nel 1947. Ingegnere, si è dedicato allaricerca sull’architettura e la tecnologia nella storia militare, con una specializzazionenel campo dell’architettura fortificata. Ha tenuto vari cicli di seminari presso le Uni-versità del Molise, Federico II di Napoli e Salerno. Collabora da oltre vent’anni conl’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito e con numerose riviste italiane distoria, tecnologia e archeologia. Ha pubblicato con questa casa editrice: 79 d.C. Rottasu Pompei, indagine sulla scomparsa di un Ammiraglio (2007); Li Turchi a la marina,torri, cannoni e corsari (2007); Pompei la tecnologia dimenticata, cenni di tecnica tra lepagine di un Ammiraglio (2008); Leonardo inventore? L’equivoco di un testimone delpassato scambiato per un profeta del futuro (2009); Le torri costiere del Regno di Napoli(2009). Con altri editori (selezione): La difesa costiera del Regno di Napoli tra il XVI edil XIX secolo (1989); Dai Sanniti all’Esercito Italiano, la regione fortificata del Matese(1991); Guerra di corsa (1996); Tormenta, venti secoli di artiglieria meccanica (2002);L’artiglieria delle legioni romane (2004); Ingegno e Paura, trenta secoli di fortificazioniin Italia, vol. I, II e III (2005); Indagine sulle Forche Caudine (2006); Techne il ruolo trai-nante della cultura militare nell’evoluzione tecnologica, vol. I-II-III (2009-2011).

€ 1

5,00

ISBN 978‐88‐95430‐41‐6

788895 4304169> edizioniesa.com

In copertina: elaborazione grafica di una stampa del XVIII sec.