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IL CORRIERE DEL SEBETO Registrazione del Tribunale di Napoli n. 4971 Provv. Del 25/06/1988 Redazione ed Amministrazione Via Francesco De Mura,6 80129 Napoli Telefono 0815784755 Direttore Responsabile Ezio Ghidini Citro - Direttore Mary Attento “Sono contrario alle tue idee e le combatterò “Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio affinché tu possa esprimerle liberamente ” per le proprie idee, o le idee non valgono nulla Voltaire non vale niente lui” Ezra Pound Anno 26 n. 6- 7- 8 – 9 di Giugno-Luglio-Agosto-Settembre 2012 – Sebetia-Ter e la patologia della carta : Dipartimento Beni Culturali ed Architettonici e della Patologia e Restauro del libro Direttore: dott.ssa Filomena Sardella - Responsabili Patologia e Restauro del libro Dot.sse Francesca Borriello e Dafne Giannini di Francesca Borriello e Dafne Giannini Lo stagno di Ts’ai lun. Chissà… forse Ts’ai Lun, ministro dell’imperatore Ho-ti, della dinastia Han, si era avvicinato allo stagno per ammirare qualche bella lavandaia. Il suo sguardo, però, fu attirato anche dalle fibrille che si staccavano dai panni sbattuti e strofinati e si ammassavano in un’ansa accanto alla riva. Ne raccolse delicatamente un velo sottile che, essiccandosi, formò un foglio biancastro. Era più o meno il 105 dopo Cristo. Non sappiamo se Ts’ai Lun conquistò la lavandaia; sappiamo, invece, che scoprì qualcosa in grado di dare una spinta formidabile Dafne Giannini Francesca Borriello all’evoluzione dell’umanità: la carta. Continua a Pag. 10 Il Piccolo Carabiniere Emanuele Lo Bue in visita alla Tomba di Salvo D’Acquisto nella Chiesa di Santa Chiara a Napoli. L’ Iniziativa è stata promossa ed organizzata dalla Sezione dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Teverola di Aurora Barra La storia di Emanuele inizia come quella di tutti i bambini, nasce 28 settembre 2000 in una famiglia come tante, riempito di amore e attenzioni da mamma, papà, dalla sorella più grande, i nonni e gli zii.E’ un bambino come gli altri, un angioletto pieno di vita e di cose da fare. Va a scuola volentieri, a quattro anni comincia a suonare il pianoforte, studia l’inglese, fa karate e gioca a calcio. E’ appassionato di astronomia e legge i libri di Margherita Hack, che lui chiama “la signora delle stelle”. E con un sogno nel cassetto voler fare il carabiniere. L’ha deciso il giorno cui ha visto il film su Salvo D’Acquisto, quello con Massimo Ranieri. Continua a Pagina 7 Napoli Tricolore: “Non rinnegare, non restaurare”:Il Libro di Franco Biancardi di Ezio Ghidini Citro Napoli... Tricolore – “Non rinnegare, non restaurare” – Dalle origini all’Unità d’Italia - questo è l’ultimo lavoro storico di Franco Biancardi. L’autore, partendo dalla legenda della fondazione di Napoli e attraversando le colonizzazioni fenicia, greca e romana, degli Angioini, dei Borboni e francese, documenta minutamente gli eventi storici e politici dei vari periodi. Continua a Pag.4 Maledetta Napoli ! Qualcuno ha scritto che governare Napoli non è difficile ma è semplicemente inutile ! di Franco Biancardi In effetti Napoli, o meglio l’insieme caleidoscopico delle tante “Napoli” che perpetuano una convivenza impossibile all’ombra del Vesuvio, è storicamente l’espressione vivente e drammaticamente pulsante di tutte le più grandi ed aspre contraddizioni che possono attraversare un consesso civile. La città rappresenta, sia nel bene che nel male, un gigantesco e scandaloso laboratorio in continuo fermento, così come hanno ampiamente dimostrato le antiche, le recenti e le meno recenti vicende storiche che hanno attraversato un popolo che ha almeno duemila anni di storia. Come il vulcano che la domina minaccioso, Napoli trae il suo inesauribile vigore magmatico dalle profondità del Tempo e del Fato e s’innalza beffarda su Continua a pagina 5 Sarà presentato dal Dipartimento Cultura del Centro Studi “Sebetia-Ter” ad Ottobre a Napoli la raccolta di poesie del giovane scrittore di Lomé -Togo - Felix Adado “L’alba arriva per tutti” “Se la fortuna è umana, noi siamo i suoi collaboratori. Ecco perché riusciremo a costruire il nostro futuro solo rimanendo uniti. Perché questo è il significato dell’umanità”. Felix Adado Continua a pagina 22

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IL CORRIERE DEL SEBETO

Registrazione del Tribunale di Napoli n. 4971 Provv. Del 25/06/1988 Redazione ed Amministrazione Via Francesco De Mura,6 80129 Napoli Telefono 0815784755

Direttore Responsabile Ezio Ghidini Citro - Direttore Mary Attento

“Sono contrario alle tue idee e le combatterò “Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio affinché tu possa esprimerle liberamente ” per le proprie idee, o le idee non valgono nulla Voltaire non vale niente lui” Ezra Pound

Anno 26 n. 6- 7- 8 – 9 di Giugno-Luglio-Agosto-Settembre 2012 –

Sebetia-Ter e la patologia della carta :

Dipartimento Beni Culturali ed Architettonici e della Patologia e Restauro del libro Direttore: dott.ssa Filomena Sardella - Responsabili Patologia e Restauro del libro Dot.sse Francesca Borriello e Dafne Giannini

di Francesca Borriello e Dafne Giannini

Lo stagno di Ts’ai lun. Chissà… forse Ts’ai Lun, ministro dell’imperatore Ho-ti, della dinastia Han, si era avvicinato allo stagno per ammirare qualche bella lavandaia. Il suo sguardo, però, fu attirato anche dalle fibrille che si staccavano dai panni sbattuti e strofinati e si ammassavano in un’ansa accanto alla riva. Ne raccolse delicatamente un velo sottile che, essiccandosi, formò un foglio biancastro. Era più o meno il 105 dopo Cristo. Non sappiamo se Ts’ai Lun conquistò la lavandaia; sappiamo, invece, che scoprì qualcosa in grado di dare una spinta formidabile

Dafne Giannini Francesca Borriello all’evoluzione dell’umanità: la carta. Continua a Pag. 10

Il Piccolo Carabiniere Emanuele Lo Bue in visita alla Tomba di Salvo D’Acquisto nella Chiesa di Santa Chiara a Napoli.

L’ Iniziativa è stata promossa ed organizzata dalla Sezione dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Teverola

di Aurora Barra

La storia di Emanuele inizia come quella di tutti i bambini, nasce 28 settembre 2000 in una famiglia come tante, riempito di amore e attenzioni da mamma, papà, dalla sorella più grande, i nonni e gli zii.E’ un bambino come gli altri, un angioletto pieno di vita e di cose da fare. Va a scuola volentieri, a quattro anni comincia a suonare il pianoforte, studia l’inglese, fa karate e gioca a calcio. E’ appassionato di astronomia e legge i libri di Margherita Hack, che lui chiama “la signora delle stelle”. E con un sogno nel cassetto voler fare il carabiniere. L’ha deciso il giorno cui ha visto il film su Salvo D’Acquisto, quello con Massimo Ranieri. Continua a Pagina 7

Napoli Tricolore: “Non rinnegare, non restaurare”:I l Libro di Franco Biancardi di Ezio Ghidini Citro

Napoli... Tricolore – “Non rinnegare, non restaurare” – Dalle origini all’Unità d’Italia - questo è l’ultimo lavoro storico di Franco Biancardi. L’autore, partendo dalla legenda della fondazione di Napoli e attraversando le colonizzazioni fenicia, greca e romana, degli Angioini, dei Borboni e francese, documenta minutamente gli eventi storici e politici dei vari periodi.

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Maledetta Napoli ! Qualcuno ha scritto che governare Napoli non è difficile ma è semplicemente inutile !

di Franco Biancardi In effetti Napoli, o meglio l’insieme caleidoscopico delle tante “Napoli” che perpetuano una convivenza impossibile all’ombra del Vesuvio, è storicamente l’espressione vivente e drammaticamente pulsante di tutte le più grandi ed aspre contraddizioni che possono attraversare un consesso civile. La città rappresenta, sia nel bene che nel male, un gigantesco e scandaloso laboratorio in continuo fermento, così come hanno ampiamente dimostrato le antiche, le recenti e le meno recenti vicende storiche che hanno attraversato un popolo che ha almeno duemila anni di storia. Come il vulcano che la domina minaccioso, Napoli trae il suo inesauribile vigore magmatico dalle profondità del Tempo e del Fato e s’innalza beffarda su Continua a pagina 5

Sarà presentato dal Dipartimento Cultura del Centro Studi “Sebetia-Ter” ad Ottobre a Napoli la

raccolta di poesie del giovane scrittore di Lomé -Togo -

Felix Adado “L’alba arriva per tutti” “Se la fortuna è umana, noi siamo i suoi collaboratori. Ecco perché riusciremo a costruire il nostro futuro

solo rimanendo uniti. Perché questo è il significato dell’umanità”. Felix Adado Continua a pagina 22

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La Tassa sul diritto allo Studio di Danilo De Luca

Sdeng! Una pesante mazzata inaugura il nuovo anno accademico: la tassa sul diritto allo studio (DSU), infatti, schizzerà fino a 160 euro, con aumenti superiori al 120% in alcune regioni. Colpevole del rincaro è il decreto legislativo 68/2012, che lasciava alle Regioni il compito di individuare, entro il 30 giugno, tre fasce di reddito tra le quali ripartire quote da 120, 140 e 160 euro, prevedendo per le inadempienti l'adozione della quota unica di 140 euro. Immediate le reazioni dei sindacati studenteschi, che hanno accusato il Governo di aver infierito su un settore già svilito da precedenti manovre: con la finanziaria del 2011, infatti, i fondi per il sostegno allo studio hanno subito una decurtazione del 90%. Questo ennesimo provvedimento inevitabilmente compromette la tutela posta dalla Costituzione al diritto allo studio, fissato nell'art. 34, il quale impegnerebbe (il condizionale è

d'obbligo) la Repubblica a garantire ai più meritevoli i mezzi per il raggiungimento dei più alti gradi di istruzione. Continua a Pagina 7…

Giovani, Università e mondo del lavoro. di Franco Biancardi

Il "continuo peggioramento della situazione del lavoro" rappresenta "la maggiore preoccupazione" in una Europa in cui "116 milioni di persone sono a rischio di povertà". È quanto si legge nel documento della Commissione europea per Jobs 4 Europe, la conferenza sulle politiche a sostegno della creazione di lavoro in Ue organizzata a Bruxelles il 6 settembre di quest’anno. Il

documento denuncia che, oltre all'aumento della disoccupazione (arrivata all'11,2% nell'eurozona), "il lavoro è diventato anche più precario": "Quasi il 94% dei lavori creati nel 2011 sono part-time e il 42,5% dei giovani ha contratti a tempo determinato-

Continua a Pagina 4

COS’É IL CENTRO STUDI “Sebetia-Ter” di Mary Attento

Il Premio Internazionale Sebetia-Ter 2012 compie quest’anno 30 anni, un traguardo importante che, sta a significare la costanza, la volontà, la tenacia di tutti i fondatori, degli iscritti e dei dirigenti.Nel suo scritto Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? (Risposta alla domanda: Cos’èl’Illuminismo?) Immanuel Kant così risponde : “L'Illuminismo è dunque l' uscita dell'uomo

dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso - Continua a Pagina 4

La Festa di Piedigrotta tra miti e leggende, sacro e profano, lazzari e Re, musica e canti, anfratti e luci. di Teresa Meo

Le prime testimonianze della festa di Piedigrotta sono da ricondursi alle feste rituali dell’antichità. Nell’antica Grecia e nella stessa Roma avevano un grande coinvolgimento popolare ed erano legate Continu a Pagina…9

Parte da Napoli l’idea di costituire “Casa de America”

Negli ultimi anni si sta rafforzando una rete culturale tra l’Europa e l’America latina di Alessandro o Senatore

In quasi tutte le capitali europee e dell’America latina esistono istituzioni come “Casa de America” che, danno impulso alle diverse espressioni della cultura latina. Negli ultimi anni si sta rafforzando una rete culturale tra l’Europa e l’America latina che, consente alle grandi capitali dei due continenti di dialogare sugli aspetti culturali, economici e scientifici. Continua a Pagina 14

Un napoletano all’Avana di Alessandra Riccio - Ispanista Codirettrice della rivista Latinoamerica

Il personaggio di cui ci narra Alessandro Senatore in questo libro, è certamente un personaggio rilevante per intraprendenza, per coraggio, per cultura, per determinazione e per autostima, quest’ultima dote in dosi massicce e senza tentennamenti; ma costituisce anche un caso rilevante per la storia della nostra città giacché questo napoletano ha saputo portare in terre straniere non soltanto – Continua a pagina..12

Il cenacolo dell’eretico di Franco Biancardi IV puntata a Pagina 14

Napoli e i fondamenti della Cultura Giuriudica Occidentale di Luis Martì Mingarro Pagina 18

Napoli nella letteratura: la città ed Eleonore Pimentel de Fonseca nelle pagine de il resto di niente - di Alessandra Silipo – a pagina23

IL CORRIERE DEL SEBETO

La crisi italiana ed europea di Ferdinando Imposimato

Pubblicata da Ferdinando Imposimato il giorno Lunedì 10 settembre 2012 alle ore 10.37 sulla sua pagina di facebok

Monti non ha avuto il coraggio di emanare un decreto legge per eliminare gli ingiusti privilegi dei politici chiedendo il voto di fiducia al Parlamento.A Monti seguirà un altro Monti, probabilmente ancora più schierato a favore dei privilegi delle classi egemoni dell'economia e della finanza, con un Passera che annuncia il rilancio delle grande infrastrutture, tra cui lo sciagurato aeroporto di Viterbo, causa principale di corruzione e di sfruttamento dei più deboli, con enormi spese per la collettività. E' questo il periodo più buio della storia d'Italia, con una classe politica corrotta e incapace di governare e una giustizia che non riesce a colpire i responsabili delle stragi e dei fenomeni degenerativi criminali più pericolosi che riguardano Cosa Nostra, la corruzione diffusa, l'evasione fiscale, l'aggressione all'ambiente e al territorio e la distruzione del patrimonio paesaggistico e artistico culturale. Intanto la giustizia sociale, voluta dalla Costituzione, ha subito un gravissimo vulnus dalla riforma delle pensioni, che ha consentito il risparmio di 300 miliardi di euro. . Continua a Pagina 3

PERCHÉ ?...... Breve storia della CASSA SCASSATA : in data 6 marzo 2012 il Comune di Napoli dà incarico, al costo di 48,461,26 euro alla ditta Neri spa di SMONTARE la corolla della Cassa Armonica, per una presunta, ma mai veramente accertata, situazione d... i pericolo. Guarda caso dopo pochi giorni, in occasione della Coppa America, intorno alla Cassa Armonica compaiono delle impalcature per illuminare la premiazione che doveva

avvenire, a richiesta degli americani, proprio dentro la cassa armonica. Nel frattempo i pezzi smontati, come da richiesta del Comune, sono rimasti abbandonati in un recinto all'aperto, nei cantieri della metropolitana a 10 mt dalla Cassa. Nel prezzo non era incluso il rimontaggio quindi la ditta ha effettuato il lavoro cosí come indicato dal Comune. Risultato? Quello che vedi in foto é il NOSTRO RITORNO DI IMMAGINE a seguito della Coppetta America!!!! Il Comune se ne frega e la Soprintendenza, che dovrebbe vigilare sul nostro patrimonio storico culturale, ed assicurarsi che nessuno, compreso il Comune, non deturpi i monumenti, pure!!!!!!

Enrico Alvino – Architetto -Milanese di nascita, spese la maggior parte della propria carriera professionale a Napoli, dove sotto il regno di Ferdinando II di Borbone e negli anni successivi realizzò una serie di opere che tuttora caratterizzano il tessuto urbano della città.Tra esse si ricordano in particolare la facciata della chiesa di Santa Maria di Piedigrotta (1853); il restauro della facciata del Duomo di Napoli (1870) con la collaborazione del suo allievo Giuseppe Pisanti; e la conversione dell'antico convento di Santa Maria di Costantinopoli nella Reale Accademia di Belle Arti. Oltre all'attività quale architetto, l'opera di Alvino è stata fondamentale nel dettare l'assetto urbanistico della città, realizzando l'importante asse viario denominato Corso Maria Teresa (oggi corso Vittorio Emanuele) tra il 1852 ed il 1860; ridisegnando il quartiere di Santa Lucia (1862) e la Villa Comunale di Napoli,

per la quale realizzò la Cassa Armonica. Insegnante presso la Reale Accademia Militare della Nunziatella, ne fu allontanato insieme ai colleghi Francesco De Sanctis, Fedele Amante, Filippo Cassola a seguito dei moti rivoluzionari del 1848. Dopo l'unità d'Italia partecipò ai concorsi per la facciata della cattedrale di Santa Maria del Fiore, a Firenze, ma i suoi progetti furono scartati. La città di Napoli gli ha dedicato una via in riconoscimento dell'opera svolta. Opere principali Facciata della chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, Napoli (1853); tracciato (con altri) del corso Maria Teresa, oggi Corso Vittorio Emanuele (tra il 1852 ed il 1860, terminato nel 1870); progetto di restauro, in forme neogotiche, per la facciata del Duomo di Napoli (terminato, sui progetti dell'Alvino, tra il 1877 e il 1905); prospetto del Duomo di Amalfi; Duomo di Cerignola, terminato, con varianti, dall'architetto Pisanti; cassa armonica della Villa Comunale di Napoli, 1877); risanamento del quartiere di Santa Lucia (progettato nel 1862) e collegamento con piazza della Vittoria; con alcuni collaboratori, partecipò alla sistemazione della villa Reale, detta poi "nazionale", ed oggi comunale, con numerosi progetti che ne prevedevano il ridisegno con la correlata creazione di una litoranea parallela alla Riviera di Chiaia; Colonna della Vittoria, in memoria dei martiri delle rivoluzioni napoletane del 1799 e del 1848; Palazzo Nunziante (1855) in via Domenico Morelli. Vi realizzò all'interno anche una cappella votiva che custodisce un'Assunta di Domenico Morelli; trasformazione dell'antico convento di san Giovanni a Costantinopoli in Accademia di Belle Arti (Napoli). In passato è stato ritenuto erroneamente progettista della vecchia stazione di Napoli Centrale demolita nel 1954.

Sono passati oltre 213 giorni di prigionia in India Quando rientreranno in Patria?. VERGOGNA!!!!!!!

IL CORRIERE DEL SEBETO pagina 3

La crisi italiana ed europea di Ferdinando Imposimato

Con lavoratori e pensionati si è agito in maniera drastica, mentre non si è fatto nulla di concreto per ridurre gli enormi privilegi del ceto politico, che invece sono cresciuti a dismisura. C'è una contraddizione palese e intollerabile tra le promesse di Monti al momento del suo insediamento, quando indicò come priorità del governo il rigore, lo sviluppo e l'equità sociale, e la condotta concreta tenuta dall'esecutivo. Sul rigore, Monti ha dimostrato una durissima attenzione solo verso i lavoratori, gli operai e i pensionati e una resa totale verso i più abbienti, con l'evasione che si allarga a scapito dello sviluppo e dell'equità. Quanto alla giustizia sociale, essa ha subito ulteriori attacchi con aumenti dei costi dei beni primari e della benzina che colpiscono

soprattutto i titolari di redditi più bassi. Monti ha fatto ricorso al voto di fiducia del Parlamento in molti casi che non erano così importanti ed ha ottenuto sempre la fiducia perchè i politici sono stati costretti a votare la fiducia per non andare a casa, ma non ha avuto il coraggio di emanare un decreto legge per eliminare gli ingiusti privilegi dei politici chiedendo il voto di fiducia al Parlamento, così il decreto entrerebbe subito in vigore. In tal modo si scoprirebbe chi vuole mantenere i privilegi e chi eliminarli. Egli dovrebbe essere intransigente con i forti e i prepotenti e tollerante verso i più deboli. Monti ha ignorato le istanze provenienti dalla società civile e il consenso ottenuto dal referendum promosso dall'Unione Popolare contro la diaria dei parlamentari più pagati del mondo, in una delle situazioni più tragiche per il Paese. Non importa che l'iniziativa sia di dubbia costituzionalità, in quanto non è possibile indire un referendum l'anno prima delle elezioni legislative. L'adesione ottenuta di circa un milione di voti è l'ennesimo segnale del clima ostile manifestato da settori molto estesi della società contro il sistema politico e i politici. Il previsto taglio del 20% dei parlamentari è andato a farsi benedire, e questo a causa della volontà dei parlamentari di ogni parte politica di ridurre il rischio di una propria mancata

rielezione. Né si può ignorare che è desolante lo spettacolo di un'Italia che è sempre più divorata dalla mafia e di una pubblica opinione che considera normale la trattativa con i poteri criminali di stampo mafioso. L'impunità sui grandi delitti di stragi, l'alleanza tra Cosa Nostra e settori ampi dello Stato e il riemergere di quei politici che quelle stragi vollero per fini politici di conquista del potere ci pongono sempre più a livello delle narco democrazie in stile sudamericano. Purtroppo bisogna riconoscere che ci siamo abituati a convivere con Cosa Nostra e ad accettare in Parlamento personaggi che rappresentano gli interessi delle cosche che detengono e controllano ampi poteri dell'economia e del sistema politico. La situazione interna è anche più drammatica del passato. Il Governo Monti non solo non è riuscito a ridurre di un centesimo i privilegi della classe politica di Governo che vara le riforme contro i più deboli ma mantiene e moltiplica tutte le sue retribuzioni e indennità. Esso non ha neppure varato come promesso una legge elettorale che riconosca il voto di preferenza ai cittadini. Le prossime elezioni politiche, con la legge elettorale più vergognosa che abbiamo mai avuto, appaiono già segnate da un destino infausto per coloro che sognavano un rinnovamento del ceto politico. Sulla base dei sondaggi più recenti il PD assieme a SEL e UDC possono ottenere attorno al 35% dei voti. Mentre un'intesa del PDL con la Lega raggiungerebbe a stento il 25%. Il PDL e lo stesso PD, d'altronde, faticano a immaginare alternative future che li vedano antagonisti, essendosi abituati al consociativismo più intenso e irriducibile a scapito della democrazia dell'alternanza, essenza della libertà. L'IDV e SEL si aggirano attorno al 6% ciascuno. Intanto il movimento 5 stelle, nonostante le amenità propalate da Grillo, è stimato al di sopra del 20%, poco al di sopra del PDL e poco al di sotto del PD. Chiunque dovesse vincere, tra gli attuali competitori di centro destra o centro sinistra, troverà l'agenda già scritta. Qualunque maggioranza scaturisca dall'attuale sistema di partiti, si orienterà verso programmi che saranno la continuazione di quelli seguiti fino ad oggi. A Monti seguirà un altro Monti, probabilmente ancora più schierato a favore dei privilegi delle classi egemoni dell'economia e della finanza, con un Passera che annuncia il rilancio delle grande infrastrutture, tra cui lo sciagurato aeroporto di Viterbo, causa principale di corruzione e di sfruttamento dei più deboli, con enormi spese per la collettività. Lo scenario che si prefigura è desolante: con Pd, Sel, Udc e Pdl che insieme non superano il 55 % dei potenziali elettori. Mentre l'opposizione verrà gestita da un improbabile Grillo con il suo movimento cinque stelle che tende ad isolare l'Italia e a ignorare il progetto di una Europa unita che realizzi un'area mediterranea in grado di competere in posizioni di parità con il gigante americano e con il governo di Berlino per salvaguardare la pace. Intanto, mentre Monti e Merkel fingono di rassicurarci vedendo un po' di luce in fondo al tunnel, le banche USA e i grandi gruppi dell'industria mondiale non condividono le stesse speranze e si preparano al peggio. L'ipotesi che mettono in conto è quella di un potenziale collasso dell'intera unione monetaria europea. In prima fila ci sono i colossi americani del calibro di Goldman Sachs e Bank of America. Inoltre cresce il numero dei gruppi internazionali che decidono di ritirare la propria liquidità dalla zona euro. E vediamo allontanarsi il sogno di un'Europa federale che ci liberi dalla tutela degli Stati Uniti che, dopo avere promosso e gestito la strategia delle stragi nel nostro Paese, ci hanno coinvolto in due guerre devastanti, mentre vediamo riemergere l'Europa degli stati nazionalisti che ci hanno trascinato in due guerre mondiali. Si allontana la prospettiva di un'Europa che venne disegnata da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, ma anche da Sandro Pertini. Continua a Pagina 4

IL CORRIERE DEL SEBETO pagina 4

La crisi italiana ed europea di Che invocava la caduta delle barriere nazionalistiche che ancora oggi riemergono con una Germania sempre più egemone e prevaricatrice. Il nazionalismo- disse Pertini- è stato il padre naturale del fascismo e del nazismo. E vi è ancora parecchio nazionalismo in Europa, non nascondiamocelo. L'Europa dovrebbe diventare una grande nazione federale composta di Stati autonomi. E non dobbiamo dimenticare che le grandi guerre hanno avuto origine in Europa. La cosa più grave è che l'America è riuscita a installare in Italia una serie di basi missilistiche per avere domani chi li sorregge se dovesse esplodere un conflitto>>. Oggi la situazione è peggiorata: siamo i più esposti al rischio della distruzione totale. L'Italia sarebbe il Paese più colpito dai missili iraniani se dovesse essere scatenata dall'America una ennesima guerra preventiva alla quale ancora oggi gli americani e i neoconservatori pensano per distruggere Ahmadinejad. Né i governi di centro sinistra né quelli di centrodestra sono riusciti a rispettare la volontà delle popolazioni locali nell'eliminazione delle basi atomiche. E questo pericolo aumenta sempre di più con la minaccia della vittoria di un Mitt Romney, mormone, che si vale di un vice presidente, Paul Ryan, ancora più schierato a destra contro lo Stato sociale, deciso a distruggere la riforma sanitaria varata da Obama. E naturalmente perché vi sia un'Europa veramente Unita, deve esserci un Parlamento dotato di poteri effettivi, legislativi e di controllo, che si impongano a tutti, diventino legge per tutti i paesi. Ma perché il Parlamento sia un vero Parlamento, bisogna che abbia di fronte a sé un vero governo, che prenda le sue decisioni a maggioranza. Quello che abbiamo adesso alla Comunità europea è uno pseudogoverno perché le decisioni più importanti vengono prese dalla Banca Centrale Europea nell'interesse dei banchieri e finanzieri, e perché basti che l'Inghilterra dica di no alle decisioni dell'Europa perché ogni scelta è bloccata. Siamo per un'Europa federale che ci liberi dalla tutela degli Stati Uniti che, dopo avere promosso e gestito la strategia delle stragi nel nostro Paese, ci hanno coinvolto in due guerre devastanti. No all'Europa degli stati nazionalisti che ci hanno trascinato in due guerre mondiali. Siamo per un'Europa politica in cui prevalgano la democrazia, la giustizia sociale e il bene comune, non le banche e la finanza, un'Europa in cui il parlamento eletto dai cittadini dell'Europa, risponda ai cittadini della sua politica. Guai a rassegnarsi alla malapolitica. Bisogna lottare per sconfiggerla. NO all'Europa dei banchieri ,SI all'Europa dei cittadini.

“Non rinnegare, non restaurare”

L’autore nella sua analisi storica non trascura né il ruolo politico di Napoli nel contesto internazionale dell’epoca e né quello strategico geografico-politico nel Mediterraneo.Il periodo aragonese e il vice reame spagnolo, trattato nel primo capitolo della pubblicazione, evidenziano l’evolversi del Regno di Napoli e delle Due Sicilie, della classe politica e delle popolazioni delle sue province. Una accurata analisi viene dedicata al periodo che va dai moti del 1509 alla rivolta di Masaniello del 1656 e al vicereame spagnolo.Si passa poi alla Napoli borbonica di Carlo III, alla città vista con gli occhi dei viaggiatori del Gran Tour, al periodo illuminista, alle conquiste industriali del Regno, ai riflessi della Rivoluzione Francese del 1789 su una parte della nobiltà napoletana che, successivamente dette vita alla Repubblica Napoletana del 1799.Questi periodi vengono trattati dall’autore con grande attenzione dal punto di vista politico e filosofico evidenziando la realtà dell’epoca, lo stato di sofferenza in cui vivevano gran parte delle popolazione del Regno Borbonico. La caduta della Repubblica Napoletana del 1799 e la restaurazione Borbonica sul trono di Napoli, sono momenti di riflessione di Biancardi sul breve periodo di governo borbonico che precedettero la conquista del regno da parte di Gioacchino Murat. La riforma della amministrazione del regno delle

Due Sicilie, il piano urbanistico della città di Napoli, le vie di comunicazioni con le altre regioni meridionali attuate da Murat con il proclama di Rimini gettarono le basi al progetto per l’Unità italiana. Gli eventi storici vengono esposti con una analisi particolare che, danno al lettore l’esatta dimensione dei fatti, sia dal punto di vista storico politico con le difficoltà del regno borbonico di contrastare l’ingresso di potenze straniere in cerca di una propria collocazione nel Mediterraneo e quindi nella penisola italiana: nasce così da parte del regno di Sardegna, appoggiato dalla Francia e dall’Inghilterra, il progetto di creare nel Mediterraneo uno stato unitario capace di ostacolare eventuali penetrazioni di potenze straniere nel Mediterraneo. Parlando della caduta dei Borbone, l’Autore descrive fatti e cose della famiglia reale, ruolo della Massoneria francese, inglese e del Nord Europa – in particolare quella olandese - che a Napoli avevano Logge e interessi economici. La spedizione dei Mille, viene inquadrata da Biancardi in una dimensione storica europea. Non è sottaciuto il tradimento dei generali del Borbone e , col repentino cambio di casacca, dei nobili napoletani, palermitani, pugliesi, calabresi e lucani, come, al tempo stesso, è evidenziato il ruolo particolare della camorra capeggiata da Don Liborio Romano che si schiera con Garibaldi, sono evidenziate le incursioni violente dei Briganti, che traditi dalle promesse dei Savoia, determinano reazioni violente da parte dei Piemontesi. Una particolare attenzione va data alla documentazione che Biancardi fa sullo stato economico del regno delle due Sicilie, sulla potenza militare dell’esercito e della flotta navale Borbonica: il Regno delle Due Sicilie era il terzo o quarto stato europeo per ricchezza e potenza militare. L’autore espone gli eventi in ordine cronologico senza partigianeria con grande onestà intellettuale sottolineando il contribuito e le rinunzie che le popolazioni del Regno di Napoli e delle Due Sicilie dettero per la unificazione italiana. Franco Biancardi con questa pubblicazione invita i napoletani e le popolazioni del Sud a conoscere la propria storia sia nel bene che nel male ricordando : “Non rinnegare, non restaurare” ma lavorare per costruire il futuro di questa realtà che si chiama Italia.

IL CORRIERE DEL SEBETO pagina 5

Maledetta Napoli !

Qualcuno ha scritto che governare Napoli non è difficile ma è semplicemente inutile !

di Franco Biancardi

Krònos e sulle Parche, immortale Araba fenice. Niente e nessuno riesce a distruggerla. Napoli non è solo una città, una storia, essa è una categoria dello Spirito, è un mito che si autorigenera in una sofferta ed imperturbabile quotidianità che la avvolge impalpabile. Immota ed enigmatica come una sfinge, Parthenope partorisce i suoi geni e poi li divora, in un tempo circolare degli eterni ritorni. È la circolarità del tempo uno degli elementi che mi ha sempre affascinato. È girovagando nel suo ventre non più antico e non ancora moderno che si avverte questa peculiare dimensione temporale, o meglio la sua “rotondità” vellutata. È osservando i volti delle formiche che la popolano che ti rendi conto che quelle facce, decontestualizzate dal Tempo, potrebbero appartenere ad un abitante greco di duemila anni fa o forse ad un egizio trasferitosi in quella che è attualmente la zona di Via Nilo, o magari adun civis romano che applaudiva Nerone nell’anfiteatro agocitato dal Tempo nei meandri dell’attuale zona limitrofa a Piazza S. Gaetano, o a chissà chi altro, arabo, angioino, aragonese, francese, inglese….Un vero e proprio laboratorio di selezione darwiniana, insomma ! In “Napoli tricolore” ho cercato di raccontare, insieme alle rocambolesche vicende che l’hanno “traghettata” nel Regno d’ Italia, questa Napoli, mettendola in controluce rispetto ai frenetici avvenimenti che l’hanno sempre contraddistinta. A Napoli la Storia ha tonalità di colore diverse ed originali rispetto all’apparente medesima storia che si è parallelamente svolta in altre parti d’Italia e del mondo. Si può odiare ed amare una città con l’identica rabbia ? Si può piangerla non riuscendo a discernere se sono lacrime di gioia o di dolore ? Solo chi ci vive e la vive può rispondere a questa domanda.

Giovani, Università e mondo del lavoro. - di F. Biancardi-

La crescente disoccupazione in Europa è una "vera emergenza sociale" e "almeno in alcuni paesi europei si trasforma in crisi sociale". L'allarme è lanciato dal presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, che ha introdotto la conferenza sull'occupazione a Bruxelles, alla quale ha partecipato anche il ministro del lavoro Elsa Fornero. Barroso ha anche ricordato che "il peggioramento delle condizioni del

mercato del lavoro ha colpito i redditi di molti lavoratori", non più sostenuti dagli stabilizzatori sociali automatici. Per questo, ha proseguito, le riforme necessarie per combattere la crisi non devono in alcun caso mettere in discussione il modello europeo di "economia sociale di mercato" sancito dal trattato di Lisbona ;"Occorre adattare il nostro modello sociale alle nuove sfide, ma sarebbe un errore smantellarlo - ha aggiunto - perché molti dei paesi più competitivi dell'Unione sono quelli più attivi nel dialogo sociale: i compromessi sono necessari in questi tempi difficili". I dati forniti dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, aggiornati ad aprile 2012, evidenziano che solo il 13,3% degli under 25 muniti di un titolo di studio ha un'occupazione in Europa. Un dato che non cambia nei paesi dell'Eurozona, dove mediamente il 13,7% dei giovani compresi nella stessa fascia d'età non riesce ancora a trovare un qualsiasi impiego. La situazione diventa drammatica in Grecia e in Italia. Nel paese ellenico, sottolinea l'Ocse, ad aprile 2012 solo il 2% dei giovani diplomati o laureati ha un posto di lavoro, mentre nel nostro paese il 2,7%. Unicamente in Slovacchia (1,4%) e in Ungheria (1,6%) la situazione è peggiore. Diploma e laurea continuano, invece, ad aprire le porte del mondo del lavoro in Danimarca e nei Paesi Bassi: ad aprile 2012, infatti, sempre secondo i dati Ocse, ha un’occupazione rispettivamente il 42,4% e il 45,1% dei giovani con un titolo di studio. Le rilevazioni dell’OCSE sulla disoccupazione giovanile, dunque, ci descrivono un’Italia in evidente affanno: nel primo quadrimestre del 2012 era senza un impiego il

21,2% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, ben oltre la media Ue (13,6%). Un fenomeno che, negli ultimi cinque anni, è cresciuto sempre di più. Ad aprile 2007 erano infatti 975.000 gli under 25 senza lavoro, aumentati a 1,1 milioni ad aprile 2011 e arrivati addirittura a quota 1,3 milioni ad aprile 2012. Dati che hanno trovato un’autorevole eco nelle parole del presidente Napolitano, in visita a Venezia, che, a proposito della disoccupazione giovanile, ha dichiarato "È il problema più serio che abbiamo, non possiamo essere tranquilli e soddisfatti

rispetto all'attuale condizione dei giovani in Italia". Ma quali sono, in questa situazione le responsabilità del nostro sistema universitario nazionale ? Allo stato attuale, se escludiamo le lauree fortemente professionalizzanti, come quelle dell’area medica, di ingegneria, di scienze della formazione e dell’area psicologica, che consentono, nella stragrande maggioranza dei casi ed in un tempo relativamente breve, di trovare il lavoro per cui ci si è preparati, le altre lauree appaiono spesso troppo “generaliste” o aggrappate a modelli formativi obiettivamente obsoleti, cioè di fatto scollegati dalle reali esigenze del mercato del lavoro. D’altra parte è di tutta evidenza il deficit dell’orientamento pre-universitario, per cui ancora troppi studenti si iscrivono a corsi di laurea a seguito di motivazioni superficiali, di “mode” culturali passeggere, o di infondate credenze circa i possibili sbocchi occupazionali. Il sistema dei test d’ingresso, sulla cui

legittimità e validità ci sarebbe molto da discutere, contribuisce ad ingenerare false convinzioni che, nell’impatto della realtà di uno specifico percorso formativo, vengono sistematicamente smentite provocando spreco di risorse intellettuali e professionali, incluse quelle che sono sacrificate nel momento stesso della preselezione. In definitiva i test possono respingere di fatto studenti effettivamente “vocati” per una determinata professione, dirottandoli su altri corsi di laurea per loro improduttivi e, in parallelo, possono aprire l’accesso ad un determinato percorso universitario a giovani che, in itinere, si renderanno conto di non essere adatti per quel particolare indirizzo di studi. Il risultato è una dispersione di talenti che il sistema Paese non può assolutamente permettersi. Un’ultima rapida riflessione riguarda la persistenza di un accentuato scollegamento fra università e mercato. Probabilmente il maggior problema non è tanto quello dell’assenza di lavoro bensì quello di una forte discrepanza tra domanda e offerta. È pur vero, tuttavia, che molti e qualificati passi in avanti sono stati fatti per migliorare e raccordare al meglio la formazione universitaria con il mondo del lavoro (ad esempio, nell’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli che oggi rappresenta un polo di eccellenza nel panorama del Mezzogiorno e si segnala anche in campo nazionale). Le attuali riforme ordinamentali del complessivo sistema universitario nazionale sembrano essere incanalate sulla strada giusta per un radicale “cambio di mentalità” e per una nuova qualificazione del personale docente e ricercatore accademico (abilitazione scientifica nazionale). È indispensabile, comunque, che si creino anche nuove sinergie d’intenti fra sistema formativo e mondo del lavoro, nell’ottica della costruzione e dell’implementazione del “capitale culturale” di cui tanto si parla nei più recenti documenti dell’Unione europea.

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COS’É IL CENTRO STUDI “Sebetia-Ter” di Mary Attento

Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo”. Kant coglie in maniera magistrale lo spirito e l’essenza dell’Illuminismo, che trae origine dalla filosofia empirista e dalla nuova scienza, affermatesi in Inghilterra a partire dal XVII secolo, e che rapidamente si diffuse in tutta Europa, inclusa la parte orientale, avendo come centro di irradiazione la Francia rivoluzionaria, ma che, tuttavia, riuscì solo a lambire i popoli latini, ancora soggiogati dall’influenza della chiesa cattolica.È, dunque, la Ragione che può illuminare le tenebre che ottundono la mente e la precipitano nell’inferno della paura e della superstizione. Ed è solo attraverso la pratica della Ragione che l’essere umano può innalzarsi fino a comprendere l’essenza della Religione, assumendosene tutte

le responsabilità sul piano personale e civile, senza più doversi avvalere di un filtro di intermediazione che i –processi storici ci insegnano essere stato troppo spesso asservito a disegni strumentali. Dall’uso privato della Ragione è allora possibile passare al suo uso pubblico, il che comporta per tutti e per ciascuno, in quanto cittadini del medesimo consesso civile, accomunati dall’identico Destino umano, l’assunzione di pubbliche responsabilità di governo della res publica, sia nelle forme di gestione diretta sia attraverso rappresentanti liberamente eletti. In tal senso si palesa oggi in tutta la sua urgenza storica l’ineluttabile

necessità della riappropriazione civicratica della società civile da parte dei cittadini ed in tale quadro prospettico emerge l’ improrogabilità della ricostruzione delle leve culturali da parte dell’intellighenzia più illuminata che, ispirandosi agli eterni ed universali principi di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, è convocata a reggere saldamente il timone dell’umana nave, scossa e ferita nella sua incertissima navigazione nel tempestoso oceano della post-modernità, per condurla ai tranquilli approdi della Nuova Conoscenza, alle rive di un Nuovo Mondo in cui ciascun essere umano, in tutto il suo peculiare valore ontologico, possa chiamare ogni suo simile “Fratello”, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, così come proclama solennemente l’art.3 della Carta costituzionale della Repubblica italiana. L’affratellamento ecumenico nel comune Destino, pur nella distinzione di ogni fede civile e religiosa, costituirà la base per la costruzione dell’agorà cosmopolita in cui, superata ogni lontananza partigiana, sarà possibile rifondare l’Essere storico dell’Uomo guidando così un processo che condurrà al Neo-Umanesimo, foriero di Progresso e di Pace,

all’insegna del recuperato protagonismo dell’Humanitas. Il Centro Studi “Sebetia Ter” trae continua linfa vitale dall’Energia delle idee illuministe, si storicizza attraverso l’intelligenza, l’ingegno, la laboriosità, la vigilanza, il coraggio, l’ingenuità e la purezza, intese nel loro senso più nobile e non certamente nella volgare accezione di ingenuità, dei suoi associati e di quanti ne vogliono condividere l’altissima idealità. Il padre fondatore è Gioacchino Murat, figlio egli stesso dei valori eterni ed universali

promotori della rivoluzione francese, valori sui quali fu edificata la brevissima e sfortunata stagione della Repubblica partenopea del 1799, occasione di riscatto e di progresso per Napoli, clamorosamente perduta e, purtroppo, ancora non storicamente ripetutasi. Il Centro Studi “Sebetia Ter” si prefigge, dunque, di valorizzare le eccellenze e di mettere al servizio di tutta la collettività i risultati e le future prospettive degli studi e delle ricerche in tutti i settori e le aree del Sapere perché ha fede nella Ragione e nell’Uomo. Il carattere ecumenico del Centro, tuttavia, non può non fargli considerare sacre ed inviolabili le radici e le tradizioni cristiane poste a fondamento dell’identità storico-culturale dell’Europa. Esso persegue il costante dialogo con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, al di là e al di sopra di qualsiasi momento o elemento di separazione. Il dialogo interculturale, difatti, non può che accrescersi ed arricchirsi dall’incontro-confronto delle più diverse interpretazioni e prospettive di vita, tutte espressioni storiche dell’Humanitas universale. Il Centro Studi, inoltre, non dimentica affatto la sofferta diuturnità

della realtà partenopea, non ignora l’enorme e, spesso, inesplorato potenziale di crescita della società civile napoletana, che si manifesta attraverso tante doti culturali e professionali, ma è anche sensibile all’emergenza storica che chiama a raccolta gli spiriti migliori attraverso i quali edificare progressivamente la nuova società. In questo senso il Centro Studi si impegna quotidianamente attraverso l’opera dei suoi associati. Il premio annuale “Sebetia Ter” è la manifestazione esterna, visibile di questa incessante e discreta azione civile e rappresenta il giusto e degno riconoscimento pubblico per quanti spendono la loro vita nell’impegno civile e nelle più varie attività. Una particolare riconoscenza va tributata al prof. Ezio Ghidini Citro, mente illuminata che, in qualità di Presidente, continua la meritoria opera del Centro Studi, ancor più lodevole proprio perché realizzata in un’epoca di rovinosa caduta assiologica. Il Centro Studi indirizza un vivificante fascio di luce nelle tenebre ed indica a quanti vogliono uscirne l’itinerario da seguire per ritornare a respirare l’aria pura e frizzante dell’avventura umana.

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Il Piccolo Carabiniere – di Aurora Barra Dice che un carabiniere deve parlare l’inglese per svolgere indagini internazionali e deve essere un campione di karate per combattere

contro i nemici. Perciò studia e si impegna al massimo. Tutti i giorni vuole passare davanti al monumento di fronte alla caserma di Cologno Monzese intitolata a Salvo, a due passi da casa sua. E ogni 23 settembre (anniversario dell’eroico sacrificio di D’Acquisto) gli porta un mazzo di fiori. Primavera 2007 Emanuele ha 6 anni, frequenta la prima elementare. A marzo cambia scuola. Nuovi insegnanti, nuovi compagni. Lui si trova subito bene, è felice. Studia. Corre alla Stramilano. Il 17 maggio farà il suo secondo concerto di pianoforte senza mai accantonare il gioco e la sua passione per la lettura. A maggio diventerà cintura arancione di karate. Ma la mattina del 10 aprile 2007 Emanuele accusa dei dolori alla pancia. Viene il dottore e gli consiglia di andare al pronto soccorso e così reca con la sua famiglia all’Ospedale San Raffaele. Giunti al pronto soccorso un continuo ripetersi tra attesa, visita, attesa, esami, di nuovo attesa e un altro esame. Passano così otto ore. Emanuele ha paura, è tutto nuovo per lui, non ha mai visto un dottore finora. Si sforza di restare tranquillo, vuol fare l’ometto. Tuttavia lo sguardo impaurito tradisce la sua ansia, ma

con lui c’è la mamma a tranquillizzarlo. Finalmente la diagnosi: appendicite e bisogna operare subito. I genitori lo accompagnano in sala operatoria. Lui ci arriva sulle sue belle gambette sane e forti. Sale da solo sul lettino. E’ impaurito ma non versa una lacrima. Tutto è pronto. I genitori gli danno un bacio, L’ultimo. Il Padre e la madre lo attendono in pediatria tra preoccupazione ed ansia, nessun medico gli forniscono informazioni. Quando d’un tratto quattro dottori in camice riferiscono alla madre: “Signora, abbiamo avuto un problema. 15 minuti senza ossigeno al cervello” “Cosa? Che vuol dire? Aspettate”. Se ne vanno. I genitori non capiscono. “Cos’è successo? Un problema! Che problema? Ossigeno? Cervello? Che vuol dire?”. Nessuno spiega niente. I genitori di Emanuele, increduli, si ritrovano da soli a darsi delle spiegazioni, mentre il pensiero si ghiaccia alla notizia della terapia intensiva. Emanuele il 10 aprile del 2007 entrò all'ospedale San Raffaele di Milano per una semplice operazione di appendicite, ma durante la preanestesia, (è in corso il procedimento penale per verificare le responsabilità che sono state individuate a carico dei 4 anestesisti che sono intervenuti su Emanuele) è rimasto in anossia per 15 minuti o più. Successivamente in terapia intensiva vi è rimasto per 2 mesi e ha subito l'asportazione della teca frontale perché la pressione endocranica è aumentata a dismisura. Il 28 maggio 2007 è stato dimesso con la corteccia celebrale distrutta, il cervello a macchia di leopardo, senza osso frontale e in stato di coma neurovegetativo e ricoverato presso la clinica riabilitativa "La nostra famiglia"

di Bosisio Parini (LC). Da allora viene nutrito artificialmente. Il 10 settembre è tornato al San Raffale di Milano per rimettere la teca frontale è stato ricoverato presso la clinica di Bosisio. Emanuele ha subito in totale 5 operazioni. Attualmente è a casa dove ha bisogno di assistenza 24 ore su 24, ha bisogno di cure per poter ritornare come era prima, un bambino sano. Nonostante riversi in uno stato di coma neurovegetativo "irreversibile", i genitori, con il sostegno di familiari e amici ormai in tutto il mondo, non vogliono arrendersi. Non smetteranno mai di cercare in tutti i modi informazioni su una possibile riabilitazione più rapida, cure d'avanguardia o anche un'eventuale ennesima operazione, sia in Italia che nel mondo. Grazie alla diffusione della notizia questi sogni possono diventare realtà ed Emanuele potrà tornare a sorridere. I genitori e i parenti ringraziamo tutte le persone che ci sono vicini, i familiari, gli amici di tutto il mondo che prodigano per aiutarli contattando medici, ricercando nuove informazioni e ci sostengono in tutti i

modi possibili. I genitori ringraziano i Carabinieri, la Polizia, l'Esercito e tutte le Forze dell'Ordine, i genitori, le maestre e le suore dell'Asilo Amalia di Cologno Monzese, la scuola elementare Manzoni, l'Istuto Elementare San Giuseppe di Milano, il Sindaco Soldano e il comune di Cologno Monzese, Emilio Fede, la "Signora delle stelle" Dott. Margherita Hack, Marco Materazzi e Ivan Ramico Cordoba dell'Inter, l’ex Ministro dell'istruzione Fioroni e tutte quelle altre persone da tutte le parti d'Italia che sono venute a trovare Emanuele. Ringraziano ancora tutti i bambini che hanno spedito disegni e le loro mamme che continuano a sostenerli. Ringraziamo infine le centinaia di persone che hanno inviato cartoline da tutti e 5 i continenti. La sezione dell’Associazione Carabinieri di Teverola in provincia di Caserta ha voluto invitare Emanuele a Napoli per pregare sulla tomba di Salvo D’Aquisto nella Chiesa di Santa Chiara, e successivamente ad

assistere alle attività militari del X° Battaglione d Carabinieri Campania comandato dal Col. Cagnazzo , al Monumento di Salvo D’Acquisto in piazza Carità, visitare il Comando Provinciale dei Carabinieri di Napoli e di Caserta, al Reparto di Polizia di Stato a Cavallo a Capodimonte per essere ricevuti Domenica presso la sala del Consiglio Comunale di Teverola dove il Sindaco Biagio Lusini ha consegnato una targa, unitamente al Presidente della Sezione dell’Associazione Carabinieri di Teverola Rosario Carrubba al Piccolo Emanuele. Hanno contribuito alla realizzazione delle giornate napoletane e casertane di Emanuele lo Bue il sindaco di Teverola, Biagio Lusini, per aver concesso all’Associazione Carabinieri di Teverola i locali della Sezione a titolo gratuito per realizzare la cerimonia di chiusura della visita di Emanuele. La Dott.ssa Giovanna Gentile responsabile dell’Area vigilanza

del Comune di Teverola per la collaborazione logistica. Il Gen. C.A. Domenico Cagnazzo Ispettore regionale per la Campania dell’ANC, per aver concesso l’autorizzazione per lo svolgimento delle cerimonie. Il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri La presidenza nazionale ANC. Il Centro “Studi Sebetia Ter” nella persona del Presidente prof. Ezio Ghidini Citro, La Dottoressa Silvana Alfano, per il supporto organizzativo prestato nella sistemazione alberghiera. Le Terme di Agnano nella persona del Presidente Avv. Marinella de Nigris Siniscalchi per aver avere concesso ospitalità ai nostri ospiti. La Sezione ANC Napoli Centro nella persona del Dott. Vincenzo De Mura per aver ricoperto l’incarico di Segretario del comitato di cerimonia per Emanuele Lo Bue. La sezione ANC Napoli Centro che unitamente al Comandante provinciale, Filippo Barone” del ristorante “La Tavola del barone” di S. Marcellino (CE). L’ufficio mobilità del Comune di Napoli per aver concesso i permessi di transito e sosta nella zona a traffico limitato che ha acconsentito di effettuare un giro turistico per la città. Al Comando prov.le di Caserta Col. Nardone al Vice Comandante Col. Pellino. La sopraintendente per i Beni Culturali della Reggia di Caserta Arch. Paola Raffaella David ed il Dott. Marco Mazzarella All’Associazioni Auto Storiche dei Carabinieri di Roma presenti con le loro auto alla manifestazione. Il Col. Pellino, il Comandante di Stazione di Caserta Centro, il M.llo Morrone, Il Coordinatore prov.le ANC Gen. Ugo Grillo, il reparto a cavallo della Polizia di Stato.

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La Tassa sul diritto allo Studio di Danilo De Luca

I padri costituenti, che avevano intuito la potenza emancipatrice dello studio, paventarono proprio l'ipotesi che tale risorsa rimanesse appannaggio dei soli benestanti, così concepirono la suddetta garanzia quale uno degli strumenti essenziali per realizzare “l'uguaglianza sostanziale” richiesta dall'art. 3. Quest'ultimo, infatti, nel sancire che compito della Repubblica sia “rimuovere qualsiasi ostacolo che, limitando l'eguaglianza dei cittadini, impedisca il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i cittadini all'organizzazione politica, economica e sociale del paese”, impegna lo Stato ad intervenire in tutte quelle situazioni in cui emergano inaccettabili disparità tra cittadini. Negare ai meno abbienti i mezzi per studiare si traduce in un grave tradimento dello spirito impresso nell'art. 34, quindi, di riflesso, in una lesione dell'art. 3, caposaldo del nostro ordinamento giuridico. Perché, allora, assistiamo impotenti ad un disfacimento dei mezzi di sostegno allo studio? Tra le risposte più amare possiamo annoverare la considerazione che, non potendo la Corte Costituzionale penetrare fino al tal punto nella discrezione politica del Governo, spetti al popolo, con i mezzi di pressione che la Costituzione gli garantisce, contrastare queste scelte, ma ciò, per i motivi più disparati, non accade. Profittando di tale indifferenza, i tagli investono i servizi del settore istruzione piuttosto che gli sprechi di altri. Va ammesso, però, che la realtà universitaria italiana non sia libera da sprechi. Un vero e proprio bussines, infatti, avallato dalla completa afasia degli ultimi Governi, capaci solo di blande riforme dei termini per il conseguimento della laurea, ha portato, dal 1985 al 2005, ad una

crescita esponenziale degli atenei del 90%, a fronte di un aumento del 7% del numero dei laureati: ciò ha comportato un fiorire di Rettori, Presidi, capistruttura, capidipartimenti e, soprattutto, di cattedre, senza aver, in realtà, migliorato la condizione degli studenti. Così, sotto il peso dei tagli, il fragile edificio meritocratico è crollato, lasciando senza tutela centinaia di migliaia di giovani. L'Europa, però, ci offre ben altri modelli da seguire. La Germania, per esempio, che investe per le borse di studio 1 miliardo e 400 milioni di euro, prevede una varietà di strumenti a sostegno, in primis, degli studenti fuorisede, i quali beneficiano di un assegno mensile di importo pari a 670 euro, più una serie di sconti su bollette e servizi. Per gli studenti, in generale, sono previste agevolazioni, detrazioni e finanziamenti corrisposti sia sotto forma di borsa di studio, sia nelle forme di prestito a tassi minimi. Anche il sistema francese pare funzionare, infatti il tasso di abbandono degli studenti all'università, sostenuti da borse di studio che fuggano la necessità di lavorare per mantenersi durante gli studi, è al 6%, contro il 20% italiano, il più alto d'Europa. Chi si aggira tra le macerie del sistema scolastico italiano non può che aggrapparsi strenuamente alle parole che Luigi Einaudi, secondo presidente della Repubblica Italiana, lasciò in testamento al popolo italiano: “Se un minimo di punto di partenza consentisse ai giovani di poter continuare a studiare, a fare ricerche, ad inventare, a trovare la propria vita senza dover da troppo giovani lavorare nelle fabbriche, verrebbero fuori studiosi e inventori che oggi non ne hanno la possibilità”

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La Festa di Piedigrotta tra miti e leggende, sacro e profano, lazzari e Re, musica e canti, anfratti e luci. di Teresa Meo

ai cicli della terra e ai ritmi della vita: erano una sorta di legame con le deità e i misteri ed ubbidivano a ritualità pagane. Petronio Arbitro nel Satyricon menziona i riti della fecondità. Le Platamoniae priapee, feste delle sacerdotesse pagane, celebrate nella Crypta Neapolitana (detta Grotta di Pozzuoli o Grotta di Posillipo) in onore di Venere genitrice, avevano un carattere orgiastico, erano un inno alla fecondità esaltato da balli sfrenati, musica e canti. La grotta, simbolo ancestrale e misterico, il cui scavo era attribuito alla magia di Virgilio, è oggi la grotta di

Fuorigrotta. Nel tempo la festa prese il nome di Piedigrotta , subendo un’evoluzione nel cristianesimo, pur mantenendone il carattere profano e allegro. Ancora la storia deve venirci in aiuto, perché oggi della festa si conserva il ricordo: dalla fine degli anni 60 infatti, i riti della Piedigrotta legati agli eventi settembrini, si sono trasformati per esigenze di modernità, o sono altro. La festa cristianizzata è legata al culto della Madonna: si narra che San Pietro, nella sua venuta a Napoli, abbia voluto erigere una piccola Cappella in onore della Vergine ai piedi della grotta per tenere lontano il peccato. La cappella dedicata alla Madonna, a Santa Maria dell’Idria o del Serpente, fu detta poi Santa Maria della Grotta. Il culto di Maria Vergine si diffuse in Campania

nel III secolo, nell’VIII secolo si aggiunse quello di Maria Oditrigia, originario di Costantinopoli, di cui parla anche Francesco Petrarca. Nel 1207 si costruì una piccola Cappella nata, secondo una leggenda, nel luogo dove la Madonna era apparsa a tre religiosi e dove era stata trovata un’icona. Si racconta che nella Cappella furono riposte le reliquie di Santa Giuliana e San Massimo, provenienti da Cuma. La Cappella fu

distrutta da un maremoto, nel 1343. Dieci anni dopo, nel 1353 fu edificato il Santuario de pedi grotta, che divenne il centro del culto mariano nel borgo marinaro e la sua festa fu fissata l’8 settembre, giorno della natività di Maria. La festa continuò anche quando fu eretta la Chiesa trecentesca in onore della Vergine; dall’otto al dodici settembre tutta la città prima con la devozione a Maria, poi con grande animazione, dava inizio alla festa con luminarie, fuochi d’artificio, sfilata di carri, in un vortice di coriandoli e stelle filanti, nel chiasso e nella baldoria degli strumenti con cui il popolo napoletano si accompagnava fino a notte tarda: erano trombette, scetavaiasse, triccabballacche, putipù… strumenti nati dall’anima popolare più remota, come dimostra la documentazione archeologica del Museo Vaticano sul bassorilievo della processione d’Iside; sono gli stessi strumenti con i quali gli Alessandrini, residenti a

Napoli, all’epoca di Nerone, insegnarono ai loro ospiti l’uso di servirsene per fare la claque, come ci hanno tramandato Svetonio e Giovenale. La festa era molto amata da Alfonso d’Aragona che nel 1453 si recò con la sua corte a rendere omaggio alla Vergine. Durante la dominazione spagnola i Viceré esaltarono la festa in onore della nascita e del nome di Maria. Nel 1616 presero parte per la prima volta il Viceré e la Viceregina, mentre nel 1630 era presente la Regina Maria d’Austria. Con i Viceré a Piedigrotta e con il loro seguito, la sfilata era reale; i

nobili si recavano alla festa con le carrozze. Carlo III di Borbone per un voto alla Madonna di Piedigrotta volle che diventasse la festa più importante di Napoli, stabilendo che l’8 settembre fosse festa nazionale. Questa iniziativa piacque molto al popolo napoletano. Nel 1731 i pescatori del posto si organizzarono nella Confraternita dei pescatori marinari di Chiaia col compito di assistere alle processioni. Dalla Gazzetta di Napoli, del 10 settembre del 1737, apprendiamo della sfilata della fanteria e della cavalleria che, dalla riviera di Chiaia, giungeva fino alla Chiesa di Piedigrotta: la suddetta e deliziosa riviera era piena di dame e cavalieri e d’altri del ceto civile, ma la

lunghissima strada non capiva il gran popolo ivi accorso coll’altra gente delle terre, e ville, anche molte miglia distanti da questa Città. Nel 1744 Carlo III decise di introdurre una parata militare per celebrare la vittoria di Velletri. Durante il dominio francese la parata fu abolita, mentre nel’99 furono eretti in ogni strada gli alberi della libertà. La festa fu poi sospesa per dieci anni, per essere ripresa con Ferdinando IV di Borbone con le parate, i carri allegorici che rappresentavano scene popolari dei vari quartieri della città. Ogni carro era preceduto dalla banda dei suonatori di flauto di Materdei e la sua sfilata si concludeva in piazza San Ferdinando, l’attuale piazza del Plebiscito. L’8 settembre del 1859 si svolse l’ultima parata dei Borboni, con Francesco II. Dal 1860 la festa ebbe un suo declino, l’organizzazione fu

popolare; nel 1861 la festa vide di nuovo la parata per la presenza di Vittorio Emanuele II, del suo luogotenente Cialdini e dei garibaldini che distribuivano il tricolore. Negli anni che seguirono, la festa ebbe ancora un carattere prevalentemente popolare e, come tutte le manifestazioni, all’insegna del divertimento; la festa spesso degenerava per la troppa vivacità e licenziosità, nonché per gli scherzi di cattivo gusto rivolti alle procaci popolane. I carri, vere macchine ingegnose, erano oggetto di ammirazione e si sottoponevano al giudizio di una giuria. Musica, canti, percorsi con luminarie, balconi addobbati e i fuochi a mare erano l’apoteosi della festa. Nel 1902 con l’avvento dell’elettricità, l’imponenza dei colori e delle luci rendeva ancora più vivace la sfilata e la folla che si riversava in strada da ogni parte di Napoli e Provincia. Si cantava, si suonava il repertorio partenopeo, si lanciavano nuove canzoni. Durante il fascismo la musica, il melodramma diventano protagonisti con il”Corteo delle opere liriche”. L’Opera Nazionale Dopolavoro bandì numerosi concorsi in cui furono coinvolti il cinema, le vetrine addobbate, i posteggiatori, i ristoranti: famoso il primo concorso fotografico vinto dall’artista futurista Giulio Parisio. Nel 1952, in concomitanza della festa di Piedigrotta, si organizzò il primo Festival della Canzone Napoletana affidato al

comitato per le feste di Napoli e poi nel 1962, all’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo. Ma la Piedigrotta musicale era già nello spirito dell’antica festa: l’8 settembre del 1835 con Te voglio bene assale si ebbe la consacrazione della melodia napoletana legata alla ricorrenza Mariana, con la presentazione di canzoni nuove e repertori musicali Era dello spirito napoletano esibire il proprio canto nelle manifestazioni popolari con uno stile corale e partecipato, ricco di pathos e sentimento. La canzone diventa poesia con Di Giacomo, Libero Bovio, Raffaele Sacco. Poeti e musicisti si preparavano con un anno di anticipo per le canzoni di Piedigrotta, con l’ambizione e la speranza di un successo. Marechiaro, O Sole mio, Funiculì funiculà sono melodie nate per Piedigrotta dove la musica e i testi si fondono in un connubio perfetto, la cui divulgazione è affidata alle case editrici musicali dell’epoca: la Canzonetta, Epifani, Pennarelli, in un clima di fermento che trova il suo epicentro e il suo simbolo al Gambrinus con le sue salette affrescate dai pittori dell’epoca, in cui si davano quotidiano convegno artisti come D’Annunzio, Di Giacomo, la Serao, osservatrice e giornalista dell’epoca. All’inizio del ventesimo secolo l’influenza delle case discografiche era tale che l’audizione degli aspiranti concorrenti la gara canora avveniva presso i teatri cittadini, mentre le esecuzioni delle canzoni, un tempo presso la Cryipta, furono spostate presso altre sedi. Nel 1926, con le trasmissioni radiofoniche le canzoni ebbero una risonanza amplificata. Ma ritorniamo agli anni ’60 in questo rievocare nostalgico e malinconico, dove la festa di Piedigrotta è nella memoria dei meno giovani. Piedigrotta non c’è più, o forse è diventata altra cosa. I turisti, in questo girovagare globalizzato non riconosceranno il folklore, né l’anima del popolo napoletano.

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Sebetia-Ter e la patologia della carta : Nuovo Dipartimento

Il nuovo strumento soppiantò in fretta i precedenti sostegni usati dall’uomo per scrivere, e cioè papiro e pergamene, che avevano sostituito a loro volta tavolette di argilla, legni cerati, lamine di metallo e, ancora prima, le pareti delle rocce. Nemici. Oggi migliaia di biblioteche in tutto il mondo, che proteggono il sapere, l’arte e la memoria dell’uomo in forma di libri, mappe, stampe, disegni, consolano i cattivi pensieri di noi restauratori, avviliti dall’avvento di un nuovo sostegno di scrittura - l’e-book - destinato a dominare nel futuro. Per fortuna, i prodotti della carta sono ancora tanti da assicurarci il lavoro per i prossimi secoli. Diceva Paul Valéry che “i libri hanno gli stessi nemici dell’uomo: il fuoco, l'umido, le bestie, il tempo e il loro stesso contenuto”. A parte quest’ultimo, i nemici che ci interessano sono proprio quelli enumerati dallo scrittore e poeta francese; a cui aggiungiamo il vandalismo e l’idiozia dell’uomo. Un altro poeta, stavolta tedesco, Heinrich Heine, notava che chi brucia i libri presto o tardi brucerà anche gli uomini. Il nazismo è una tragica conferma di quella intuizione. A noi, però, interessa soprattutto l’invecchiamento naturale, il deterioramento progressivo delle sostanze che compongono la carta, provocato da eccessiva umidità o secchezza dell’aria, o dall’alternanza delle due condizioni; e poi dalla luce, dalla temperatura, dall’inquinamento atmosferico, dai microrganismi, dagli insetti. E se questo è un bene per i libri brutti, non altrettanto può dirsi per quelli da salvare. Basti pensare che circa il 50 per cento dei volumi conservati nelle biblioteche, soprattutto quelli prodotti negli ultimi due secoli, non sono ormai offerti alla lettura perché troppo fragili per essere sfogliati. Sebetia-Ter e la patologia della carta. Per queste ragioni, uno dei compiti primari che spetta all’uomo del nuovo millennio è quello di assicurare un futuro al sapere, all’arte e alla memoria scritta. Ecco il motivo per cui il Centro studi arte e cultura Sebetia-Ter ha costituito, il 10 luglio scorso, la sezione di “Patologia e Restauro del libro e della grafica su carta”, affidandone la direzione alla professoressa Filomena Sardella, che dirige il dipartimento Beni culturali e architettonici del Sebetia-Ter e la responsabilità a chi scrive, laureate in restauro a Napoli con diploma quinquennale. La Sant’Anna salvata. Che cosa significa, i concreto, restaurare un libro, o una stampa? Due esempi potranno chiarire le idee. Il primo compito di chi comincia un’azione di recupero è la conoscenza approfondita dei materiali usati. E proprio da essa siamo partiti nel caso di una stampa policroma di primo Novecento applicata su tela, una Sant’Anna in pessimo stato, con diffusi sollevamenti dal sostegno, graffi e strappi anche lungo i bordi, e lacune varie (fig.1). l’intervento è iniziato con una buona pulizia superficiale; poi abbiamo spennellato il retro della tela con colla tylose, e messo la stampa sotto pressione. Un’operazione ripetuta più volte per spianare la superficie e correggere i sollevamenti e le grinze. Il risultato, però, non ci ha soddisfatte nei punti in cui lo spianamento corrispondeva a strappi della tela, con bordi molto sollevati. In quelle zone abbiamo preferito iniettare la colla localmente. Per chiudere le lacune le abbiamo stuccate con una preparazione di polpa di carta e colla. Infine, il committente ha voluto una reintegrazione pittorica mimetica. Perciò, abbiamo usato colori a olio, più coprenti, e non ad acquerello, per dare all’opera una lettura completa e non sotto tono (fig. 2).

Figura 3

Figura 1 Figura 2 Un libro di medicina. Un altro nostro intervento ha riguardato un testo di medicina del 1825, conservato ancora peggio della Sant’Anna (fig. 3).

Nell’immagine (fig. 4) si possono notare grosse mancanze, forti raggrinzimenti e, soprattutto, macchie di muffa, provocate dalla cattiva conservazione del testo in una zona troppo umida.

Prima di qualsiasi intervento, il libro è stato spolverato in ambiente esterno, per evitare che le spore della muffa si depositassero su altri testi; dopo, è stato disinfestato, mettendolo sottovuoto. Le pagine, sciolte dalla rilegatura, sono state sottoposte a saggi per scegliere il metodo più idoneo di intervento. Dopo una pulitura meccanica a secco (fig. 5), abbiamo verificato il grado di solubilità degli inchiostri, di persistenza delle macchie e di resistenza della carta all’acqua.

Figura 4 Quanto alle muffe, che ostacolavano la lettura, le abbiamo sottoposte a sbiancamento, ovviamente nell’assoluto rispetto dell’opera. Per farlo, abbiamo scelto un prodotto appartenente alla famiglia dei derivanti del cloro, diluito in piccola percentuale in acqua demineralizzata. Le pagine, preventivamente protette con fogli di tessuto non tessuto, sono state immerse nella soluzione (fig.6) e lasciate asciugare. Quindi, sono state messe sotto pressione per rendere la superficie liscia ed omogenea (fig.7.).

Figura . 5 Continua pag..11

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Dipartimento Beni Culturali ed Architettonici e della Patologia e Restauro del libro

Figura 6 Figura 7

In seguito abbiamo rinsaldato gli strappi con una carta giapponese molto sottile e ricostruito le lacune con una di grammatura leggermente inferiore rispetto a quella della pagine. La carta scelta per la ricostruzione era di un colore simile all’originale per ovvi motivi estetici (fig. 8) e (fig. 9). Questione di coscienza. I procedimenti spiegati qui sopra dimostrano quanta fatica, tempo e danaro richieda un restauro accurato. E lasciano intendere che il processo di decomposizione della carta è un problema serio delle moderne società postindustriali. Quelli maggiormente a rischio sono i libri pubblicati dall’Ottocento in poi, perché la loro carta è più acida e deperibile. Nella lavorazione, infatti, sono utilizzati collanti resinosi sintetici che recidono le catene molecolari di glucosio presenti nella cellulosa. Rendere le pagine meno acide e più resistenti è possibile, ma il costo è ritenuto eccessivo dagli editori, che preferiscono restare sordi al problema della durabilità dei testi. Ecco perché la conservazione e il restauro dei prodotti nobili della carta diventa, alla fine, una questione di coscienza culturale della società e dei suoi cittadini più sensibili. È ad essi che il Centro arte e studi Sebetia-Ter si rivolge. Perché il libro, come diceva Kafka, sia un’ascia per il mare ghiacciato che, più o meno, è dentro ciascuno di noi.

Figura 8 Figura 9

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Un napoletano all’Avana di Alessandra Riccio - Ispanista Codirettrice della rivista Latinoamerica

da Pagina 2 le sue doti naturali, alle quali va aggiunta l’eleganza e una certa prestanza fisica, ma soprattutto una formazione culturale e giuridica nutrita delle migliori essenze della celebre scuola forense napoletana post unitaria e dell’eredità filosofica della Magna Grecia della cui passione speculativa, da alunni del sole, Oreste Ferrara è stato un seguace e, a suo modo, un maestro in quella lontana mediterraneità che è il Caribe delle isole e specialmente della più grande delle Antille, Cuba. Le ragioni che spinsero questo aitante e scapestrato giovane di buona famiglia garibaldina ad abbandonare la casa di via dei Carrozzieri, dove era nato nel 1876, e le ville estive di San Giorgio e di Portici per affrontare i pericoli di un lungo viaggio e della cruenta

guerra che gli insorti cubani combattevano contro il dominante esercito della Spagna colonizzatrice, erano la diretta eredità di quell’empito generoso e ideale che per decenni aveva –nutrito il volontarismo dei combattenti per l’Unità d’Italia e per l’ideale repubblicano e che continuavano a sentire l’insoddisfazione per quella Unità sotto la scettro del Re di Sardegna, della Casa Savoia, che lasciava l’amaro in bocca, anche alla luce di più radicali ideali anarcoidi e ribelli. Comincia così la vicenda di Ferrara che vuol mettere le sue energie a disposizione dell’ indipendenza di Creta proprio quando – anche lì – la ragion di Stato antepone il realismo politico al trionfo degli ideali. Fu così che, persa Creta, gli occhi di socialisti, anarchici, sognatori e ribelli si volsero verso l’ultima guerra di indipendenza: quella sostenuta dagli insorti cubani contro la vecchia e tenace dominazione di una decadente monarchia spagnola. Non aveva ancora venti anni quando aveva risalito fortunosamente la penisola fino in Svizzera per unirsi, a Parigi, agli altri spedizionari. Insieme all’amico napoletano Petriccione, riesce ad arrivare a Cuba in tempi relativamente rapidi anche grazie alla sua intraprendenza che lo vede lanciarsi nelle acque della Florida per abbordare, a qualunque costo, la nave in partenza per l’isola insorta. Combatte nelle dure condizioni offerte dalla guerriglia e dall’inclemente clima tropicale e trova anche il tempo per dotte conversazioni alla luce dei falò degli accampamenti, sulla impostazione giuridica dello stato che sta per nascere e sulla visione di un mondo

che, all’estinguersi del secolo, presentava stimolanti proposte di novità nel campo delle idee. Senatore ci accompagna sui campi di battaglia, nelle ritirate, nei momenti vittoriosi, quando Ferrara, a volte con Petriccione, a volte con una guida locale o un attendente che lo cura durante una misteriosa e grave malattia, in una serie di avventure degne della migliore picaresca, fino alla vittoriosa conclusione di quella guerra nel 1898. Sconfitta la monarchia spagnola, anche grazie al non richiesto intervento nordamericano, Ferrara resta sull’isola dove esercita la professione di avvocato, è professore all’università, vice governatore della provincia di Las Villas. Proprio nell’anno della promulgazione della Repubblica, ha sposato la donna che lo accompagnerà per tutta la vita, è tornato in Europa, a Napoli dove ha concluso gli studi, è stato a Parigi per l’Esposizione Universale ed ha anche avuto il primo scontro violento con il rappresentante del Governo degli Stati Uniti, in pratica un proconsole con pieni poteri, dopo l’intervento nordamericano negli ultimi mesi della guerra d’indipendenza, un vero e proprio “scippo” alla sovranità degli insorti, perpetuato poi con l’imposizione di quel comma della costituzione della Repubblica di Cuba noto come Emendamento Platt, grazie al quale gli Stati Uniti si riservavano il diritto di intervenire negli affari interni di Cuba ove ne ravvisassero la necessità a loro insindacabile giudizio. Ferrara, che si era ben adattato alle turbolenze dell’incipiente vita politica della neonata repubblica, si è dimostrato sempre del tutto intollerante di fronte alla pesantezza dell’ingerenza nordamericana. Lui che non si scandalizzava di fronte alle manovre di una politicheria spesso losca, che sapeva entrare nell’agone politico con sufficiente cinismo e senso della realtà, che era stato Presidente della Camera proprio per le sue doti di mediazione spregiudicata, lui che aveva perfino partecipato all’incendio del Municipio di Las Villas, per mandare in fumo le schede elettorali – forse falsificate – che avrebbero dato la vittoria del bando nemico, lui che volentieri risolveva le questioni che lo riguardavano sfidando a singolar tenzone i suoi rivali(furono dodici i duelli che lo videro protagonista), non ha mai tollerato l’ingerenza statunitense negli affari di Cuba. Eppure gli Stati Uniti erano stati generosi con lui che vi si era recato in varie occasioni, che vi aveva aperto un prestigioso studio legale e dove intraprese speculazioni finanziarie che gli andarono molto bene. Nel 1926, il Presidente Machado lo manda a Washington come ambasciatore della Repubblica, incarico che dura fino al 1932 quando l’impresentabile e sanguinario Presidente lo nomina Ministro degli Esteri e lo richiama all’Avana. Il breve periodo del suo Ministero, fino a quando deve fuggire dall’isola per salvare la pelle, getta sulla figura dell’avvocato napoletano una luce sinistra, nonostante la simpatia che ispira questo personaggio guascone e colto, raffinato e ormai - Continua a Pagina 13

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Un napoletano all’Avana cinico, in quanto stretto collaboratore di un tiranno crudele e impresentabile. Si apre qui un enigma non ancora chiarito: Ferrara sperava di poter diventare Presidente della Repubblica, nonostante il fatto di non essere un cubano di nascita e per questo manovrava per ottenere le dimissioni di Machado solo dopo essersene garantito la successione, o fu il suo senso di servitore dello stato a mantenerlo a fianco del dittatore e a prolungarne il potere? Impossibile andare al di là di semplici speculazioni. Interessa di più riprendere il filo della sua avversione per la pesantezza della presenza nordamericana nella politica interna cubana. L’ambasciatore de signato da Roosevelt, Summers Wells, dotato di pieni poteri, invece di fungere da mediatore, manovra per ottenere il risultato che il suo Governo gli indica. Ferrara sfida e si scontra con Wells, perde – come era prevedibile – e deve lasciare l’isola fortunosamente sotto i colpi di fucili e revolvers nemici. È qui che Alessandro Senatore lo lascia, mentre, insieme all’inseparabile Maria Luisa, nel caldo agosto del 1933, abbandona l’isola alla cui indipendenza aveva contribuito a rischio della vita, alla promulgazione della cui Repubblica aveva partecipato con

spregiudicatezza ma anche con competenza politica, delle cui piacevolezze aveva partecipato con gusto da intenditore. Ma la sua vita non si concluse in quello struggente scenario: un idrovolante che decolla coraggiosamente sotto una gragnuola di pallottole. La sua lunga vita (è morto quasi centenario) ce lo mostra di nuovo a New York, finanziere, avvocato, consulente politico, amico del dittatore di Santo Domingo, Leónidas Trujillo come lo sarà anche di Fulgencio Batista e di Francisco Franco. Alla fine degli anni trenta ritorna a Cuba e nel 1940 è uno dei membri della Costituente ma, pochi mesi dopo resta vittima di un attentato: il taxi su cui viaggiava viene crivellato di pallottole, muore l’autista, muore il poliziotto di scorta e Ferrara è costretto in ospedale per due mesi, ma non appena è in condizioni di farlo, torna ai lavori della Costituzione che trova quasi terminati. Non è

Il Prof. Ezio Ghidini Citro e l’Avv. Alessandro Senatore a Torino alla fiera del Libro

più amato a Cuba e forse anche lui non ama più quelle battaglie. Accetta volentieri l’incarico di Ambasciatore per gli Affari Economici in Europa, un titolo acconciato proprio per consentire a Ferrara di vivere a Madrid dove ancora le relazioni diplomatiche fra la Cuba che aveva sostenuto la Repubblica Spagnola, e il governo del golpista Francisco Franco non erano state normalizzate. Ormai cinquantenne, Ferrara trova nella tragica tranquillità della Spagna franchista, la quiete necessaria per trovare pace, per dedicarsi alla scrittura dei circa cinquanta testi di storia, biografie, saggi politici e contemporaneamente essere presente nel mondo della diplomazia. Nel 1946, nel contesto delle Nazioni Unite, quando fu inaugurata l’Unesco, Ferrara fu nominato rappresentate per Cuba. Si dedicò anche alla fondazione dell’Unione Latina. Si trova bene a Madrid, insieme a Maria Luisa e ai suoi libri; hanno fatto qualche viaggio a Cuba, spesso si recano a Napoli dove ancora numerosa è la famiglia di Oreste ma l’agguato della storia, ancora una volta, non doveva risparmiarlo. Nel gennaio del 1959 i ribelli guidati da Fidel Castro hanno scacciato il dittatore Batista e si sono impossessati del potere. Spudoratamente, Ferrara manda un telegramma al Ministero degli Esteri dicendosi sicuro che l’Unesco manterrà la relazione con Cuba e-sembra di capire- aspettandosi una riconferma che invece non verrà. L’anziana coppia Ferrari fa di nuovo le valige, stavolta per Roma dove Maria Luisa morirà nel 1969 e Oreste nel 1972. Dal 1959 al 1968 aveva dedicato le sue energie e il suo lavoro alle Memorias.Una mirada sobre tres siglos, la sua monumentale autobiografia, pubblicata postuma, in cui riafferma il suo amore per Cuba: “Sono rimasto cubano nella disgrazia come nei tempi buoni. Ho la stessa fiducia in Cuba che avevo quando ho combattuto nei boscosi campi dell’isola…”. Quando scrive queste parole, nell’isola da lui tanto amata è in atto già da dieci anni una rivoluzione radicale, ma le memorie dell’anziano testimone si fermano al 1959, e non è un caso. Su queste memorie si è basato Alessandro Senatore per ricostruire liberamente la figura dell’avvocato napoletano trascinato in terre lontane dalla sua passione libertaria e convertito poi ad una fede liberista che fece di lui un uomo ricco e famoso con un pericoloso tallone d’Achille: un’attrazione fatale per la politica e, soprattutto, per la sua parte più intrigante e pericolosa, il potere. A Senatore costa doversi congedare dal giovane brillante e avventuroso, forse anche dal brillante avvocato e finanziere, dall’elegante uomo di mondo per affrontare il cinico uomo politico che resta a fianco dell’impresentabile Gerardo Machado. Cerca ragionevoli giustificazioni per l’anarchico elegante ma non ne trova: “Mi sono chiesto più volte a cosa serve studiare, ricercare, apprendere e comprendere, se poi gli intellettuali finiscono col porsi al servizio di potenti ignoranti, e qual’è il meccanismo che fa scattare la sudditanza psicologica in chi, forte del prestigio dato dal suo sapere, dovrebbe, al contrario,esercitare la sua influenza su di loro”. Senatore è stato preso dal fascino per le vicende della vita avventurosa di Oreste Ferrara, ne ha voluto ricostruire la vita – o almeno quella parte che gli è parsa più significativa –, i luoghi, i personaggi, gli intrighi, ed è con grande dispiacere che deve confessare al lettore: “ Ma se di Ferrara mi affascina la sua instancabile voglia di vivere e la sua inesauribile capacità di mettersi alla prova per affrontare con sempre più entusiasmo nuove esaltanti esperienze, nondimeno non posso non esprimere la mia delusione per un uomo che, pur seguendo legittimamente la sua natura, ha scelto di continuare a giocare con la vita, rinunciando però a lottare per migliorare le condizioni di esistenza degli altri”. Ed è così, fra passione e delusione, che la figura di Ferrara prende corpo, torna nella Napoli della sua gioventù,attraversa oceani, combatte, duella, polemizza, intriga grazie alla penna di Alessandro Senatore che vuole, ma non può, riconciliare la figura del giovane, generoso combattente con quella del maturo, ardito e cinico Ministro degli Esteri della Repubblica di Cuba.

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“Casa de America” di Alessandro Senatore

Negli ultimi anni si sta rafforzando una rete culturale tra l’Europa e l’America latina

Napoli, città latina per eccellenza, è l’unica a non avere un’istituzione che valorizzi questa cultura. La nostra città soffre da tempo di una perdita d’identità. Alcuni motivi del suo smarrimento possono essere ricercate proprio nel soffocamento della sua

anima latina in particolare quella spagnola. La sua decadenza, iniziata dopo l’unità d’Italia e che, nemmeno la nascita della Repubblica democratica è riuscita ad arrestare, trova forse la sua origine nell’accettazione sempre più passiva e assoluta di modelli e modi di pensare che non le appartenevano. La smania di essere accettati dai vincitori di turno, piemontesi o angloamericani che fossero, ha spinto i napoletani a dismettere progressivamente il loro modo di essere e di concepire la vita, nell’illusione che l’accettazione acritica di modelli dominanti li facesse progredire e gli consentisse di superare atavici ritardi economici e culturali.E se fino agli anni 70, grazie al loro immenso patrimonio culturale sono riusciti ad arginare l’egemonia culturale anglosassone, - indimenticabile resta per me la frase di Mastroianni: “sogno un mondo pieno di napoletani”- negli ultimi

Casa de América a Madrid decenni, avendo smarrita la propria identità e non essendo stati in grado di elaborare proposte culturali valide, non hanno più retto l’urto.Se, quindi, prima grazie a Viviani, ai De Filippo, a Totò,sentivano di appartenere ad una cultura che sapeva esprimersi ai massimi livelli e che affascinava anche chi napoletano non era, da qualche anno questa città, complice una fallimentare gestione del potere, si vergogna di se stessa e non riesce più ad esprimere le sue potenzialità. A parte la sapiente ironia di Massimo Troisi e la magica capacità del primo Pino Daniele di fondere la musica napoletana con i ritmi del mondo, negli ultimi tempi ben pochi hanno saputo raccontare questa terra. E’ giunto il momento che questa città trovi la forza di reagire e di riscattarsi da quello che è stato il più grande e dissennato attacco alla sua identità culturale, frutto di un’ossessiva ed innaturale voglia di omologazione, di un’acritica accettazione di modelli culturali a lei estranei, di una demenziale confusione del concetto di modernità, inteso come necessaria e totale rinuncia alla propria storia. Ma per rinascere Napoli, deve saper riconoscere le sue profondi radici culturali, rivendicare il ruolo che, seppure tra mille difficoltà, ha svolto per secoli nel mediterraneo, ritrovare la sua vocazione di città cerniera tra il mondo latino e quello arabo e continuare ad essere luogo di accoglienza, aperto al dialogo. Tutto questo, però, non sarà possibile se prima non imparerà a credere in se stessa e soprattutto a sconfiggere il suo più potente e insidioso nemico: la sfiducia che paralizza la sua borghesia. Se è facile annoverare tra i nemici di questa città la sua classe politica, piena di affaristi e opportunisti, e la sua numerosa plebe - che inconsapevole dei propri diritti di cittadinanza sopravvive elemosinando favori clientelari - sono pochi quelli che individuano nella sua borghesia sfiduciata il più temibile ostacolo al cambiamento. Spina dorsale della classe dirigente di ogni città è stata anche la borghesia nostrana a Napoli non è mai stata in grado di elaborare strategie e progetti che riportassero la Città a quei livelli di capitale europea che, fino alla metà dell’800 era stata.Chiusa nel suo mondo, convinta che le sorti degli altri concittadini non la riguardassero, non è stata capace di ricucire quella frattura creatasi nel 1799, dopo il massacro di quei giovani rivoluzionari compiuto da una plebe ignorante e sanguinaria al soldo dei Borbone. Ancora oggi vuole rappresentare quella Napoli che è fiera di marcare la propria distanza dai “sanfedisti di sempre”, da quella plebe dalla quale si sente assediata e con la quale pensa di non avere nulla in comune; -Se sapessero confrontarsi, se solo decidessero di dialogare tra di loro, se fossero in grado di fare sistema,potrebbero risollevare le sorti della città. Dobbiamo, invece, considerare normale e conseguentemente accettare che la vivace società civile napoletana- in grado di dialogare quotidianamente, per motivi di lavoro con il mondo intero, non è in grado di dialogare con la Città.Napoli è quindi l’unica città al mondo che ogni giorno viene tradita dai suoi figli che si vergognano di lei. I messaggi desolanti pronunciati da Eduardo e De Simone sono la logica conseguenza del tradimento di una classe dirigente che ha consegnato la città ai tanti “malfattori” che la popolano e che ha deciso di lasciare da soli chi lotta per cambiarla. Riuscire a creare a Napoli un centro di cultura aperta al mondo latino è solo uno dei primi segnali che questa città potrebbe lanciare e che ci consentirebbe di “ricominciare a pensare latino” e di dialogare con chi ha la nostra stessa matrice culturale e una comune visione della vita. Questa scelta non deve essere vista come una scelta di retroguardia, di chiusura verso le altre culture ma come un occasione di dialogo con chi sentiamo più vicini a noi, un’opportunità per cercare di elaborare un diverso modello di società nel quale i rapporti umani non sono più regolati esclusivamente dalla ragione ma anche dal cuore, e nella quale la visione individualistica della vita, che ha stravolto i nostri modelli relazionali e familiari, sia arricchita dai valori positivi della solidarietà.

Il cenacolo dell’eretico di Franco Biancardi

IV puntata La “primavera dei popoli” Prima di analizzare la situazione politica che nella penisola italiana condurrà progressivamente all’unificazione sotto l’ègida dei Savoia, occorre fare una panoramica degli avvenimenti che nel biennio 1848/1849 scossero l’Europa intera a seguito della dilagante diffusione delle idee liberali e che è storicamente conosciuta come “la primavera dei popoli” per indicare metaforicamente un periodo di appassionato fervore rivoluzionario che aprirà le porte della Storia ad una nuova epoca di totale rinnovamento politico nel “vecchio continente”.I moti ebbero il loro epicentro a Parigi. Malgrado il loro Continua a Pagina 15

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Il cenacolo dell’eretico

sostanziale fallimento sul piano strettamente militare, la situazione generale cambiò radicalmente perché furono sparsi prolifici semi per la creazione di un’Europa completamente diversa rispetto al passato, con la graduale affermazione delle idee liberali e

socialiste. In questo mutamento epocale va collocata la rivoluzione industriale che rappresentò non solo un modo diverso di intendere il lavoro e l’economia, ma anche una differente maniera di interpretare i rapporti di potere fra la base dei lavoratori (i cosiddetti proletari, secondo l’ideologia marxista) ed i regimi governativi. Passiamo adesso in rapida rassegna le varie situazioni nazionali. La rivoluzione in Francia Dagli anni Trenta del XIX secolo la Francia conobbe il decollo della rivoluzione industriale a cui, però, il regime orleanista (cosiddetto dai duchi d’Orleans) si oppose con l’accentuazione del conservatorismo. Questa linea politica causò un fortissimo dissenso da parte di quei ceti neo-borghesi e mercantili che traevano i maggiori profitti dal neonato sviluppo capitalistico. L’opposizione si articolò in:- legittimisti che rivendicavano i diritti al trono della dinastia dei Borbone di Francia; - i clericali che rimproveravano al regime orleanista il progressivo laicismo a

detrimento del tradizionale potere della Chiesa cattolica;- i nazionalisti e i bonapartisti fautori di una politica estera della Francia egemonica e tesa al prestigio nazionale;-i repubblicani che volevano una radicale riforma dello Stato, con una più equa

ridistribuzione della ricchezza e delle proprietà.Negli anni ’40 il regime orleanista era quindi in disfacimento, in uno scenario di grave crisi economica che portò ben presto alla sovrapproduzione industriale, al diffondersi della disoccupazione ed alla perdita del capitale finanziario. L’unico provvedimento governativo fu quello di aggravare le misure fiscali per tentare di sanare il deficit dello Stato. L’insurrezione generale che seguì causò la caduta della monarchia: il popolo rovesciò Luigi Filippo e proclamò il 25 febbraio la Seconda repubblica. Il diritto di voto divenne universale, in tal modo gli elettori passarono da 250.000 a 9 milioni; ma se Parigi era controllata dalle fazioni più avanzate, la Francia rurale, il 23 aprile, elesse un'Assemblea costituente dal profilo moderato, che si affrettò a smantellare con la forza (repressione di Cavaignac, 23 giugno) i primi opifici nazionali d'ispirazione socialista. I popolani uccisi furono migliaia, quasi 4000 i deportati. Si chiudeva, in tal modo, la fase del "pericolo rosso" in

un bagno di sangue. La reazione borghese finì per portare alla presidenza della repubblica, il 10 dicembre, Luigi Napoleone Bonaparte, che raccoglieva consensi dai settori più disparati. Appena ebbe assunto il potere, egli indirizzò chiaramente l'azione del governo verso destra, rassicurando così i potenti conservatori: decise l'intervento contro la Repubblica romana nell'aprile 1849, osteggiato dalla sinistra, e il 13 maggio 1849, nelle elezioni per l'Assemblea legislativa, riuscì a raccogliere oltre i due terzi dei deputati, costringendo i democratici ad un'estrema manifestazione di dissenso (13 giugno) che, repressa, condannò i dirigenti dell'opposizione all'esilio. La rivoluzione in Germania e in Austria. Le vicende francesi ebbero immediate ripercussioni in Germania dove, fra il 14 e il 18 marzo 1848, il movimento liberale, affiancato da vasti settori proletari, organizzò imponenti manifestazioni di piazza, costringendo il kaiser Federico Guglielmo IV a promettere la Costituzione. Il 2 aprile, un primo Landtag (dieta) prussiano si pronunciò per le libertà fondamentali e per il suffragio universale maschile; Federico Guglielmo IV, il 31 marzo, richiamò le truppe a Berlino, mentre la borghesia, temendo l’avanzata del socialismo, impresse all'assemblea un orientamento sempre più conservatore, fino a privarla di una reale carica innovatrice. Fu così che il 5 dicembre il re potè sciogliere il Landtag senza suscitare resistenze. Nel resto della Germania le titubanze del ceto medio furono simili a quelle manifestatesi in Prussia. Il 18 maggio 1848, preceduto da una convenzione preparatoria, si riunì a Francoforte il Parlamento federale degli Stati tedeschi e dell'Austria, eletto a suffragio universale. Partita con le migliori intenzioni (carta dei diritti fondamentali, istituzioni liberali), l'assemblea si divise fra i seguaci della Grande Germania (con l'Austria) e quelli della Piccola Germania (senza l'Austria). Vienna, d'altronde, che non era disposta a rinunciare all'impero e che temeva un'egemonia prussiana sul mondo di lingua tedesca, finì per ritirare i propri rappresentanti (5 aprile 1849). Di fronte al netto rifiuto di Federico Guglielmo IV all'ipotesi di accettare la corona imperiale da un'assemblea rivoluzionaria (28 aprile), l'assemblea si sfaldò. I moderati l'abbandonarono, mentre i democratici, nel tentativo di tener vivo il principio della sovranità popolare, si trasferirono a Stoccarda, cercando consensi nel ceto medio locale. Nel giugno 1849 una brutale repressione cancellò definitivamente il sogno democratico-repubblicano della sinistra tedesca. Nell'impero asburgico i moti ebbero per protagonisti le componenti nazionali organizzate (cechi, italiani, ungheresi) dopo una prima manifestazione rivoluzionaria a Vienna (13 marzo 1848) che aveva provocato la caduta del potentissimo diplomatico austriaco principe di Metternich e spinto Ferdinando I a promettere un governo liberale e istituzioni rappresentative. Il Reichstag (parlamento), eletto a suffragio universale, si riunì il 22 luglio e abolì le servitù feudali. L’insurrezione scoppiò anche a Vienna propagandosi in tutto l’impero asburgico. A seguito dei moti fu insediata un’Assemblea costituente di tutti gli stati tedeschi. I contadini chiedevano l’abolizione dei residui feudali, mentre la debole borghesia voleva la liberalizzazione della vita politica e il riconoscimento dell’unità nazionale che, tuttavia, si presentava molto difficile da conseguire a causa di due diversi progetti, l’uno di una Grande Germania che voleva la riunificazione nazionale comprendendo anche l’Austria (nazionalisti e cattolici), l’altro per una Piccola Germania, con la guida dei prussiani, che escludeva l’Austria.Prevalse la Piccola Germania e l’Assemblea offrì la corona al re di Prussia che, tuttavia. la rifiutò. A quel punto l’assemblea fu sciolta e le sue concessioni abrogate.. Continua Pagina 16

IL CORRIERE DEL SEBETO Pag. 16 La rivoluzione nell’impero asburgico. Continua da pagina 16 Dopo Berlino e Vienna le rivolte dilagarono anche a Venezia, Milano, Budapest e Praga. L’impero asburgico evidenziò tutta la sua debolezza, derivante principalmente dal coacervo di popoli che erano sotto il dominio di Vienna, e l’imperatore Ferdinando I fu costretto a cedere alle richiesta più pressanti licenziando Metternich, simbolo della restaurazione, concedendo la libertà di stampa e promettendo una costituzione liberale.Venne quindi eletto a suffragio universale un nuovo Parlamento Costituente che abolì i privilegi feudali. L’azione del parlamento fu però frenata dal frenetico evolversi degli eventi e dalle rivendicazioni nazionalistiche dei vari Paesi. A Praga si chiedeva maggiore autonomia costituzionale; a Budapest fu costituito un nuovo parlamento finalizzato alla creazione delle condizioni per ottenere l’indipendenza nazionale; a Venezia e a Milano si scatenò la prima guerra d’indipendenza. Fu proprio grazie alle diverse rivendicazioni nazionaliste che i moti insurrezionali nell’Impero asburgico non riuscirono mai ad avere unità d’intenti, favorendo in tal modo l’azione imperiale di repressione che dopo l’abdicazione di Ferdinando I fu completata dall’imperatore Francesco Giuseppe. Solo nel 1867 Francesco Giuseppe concederà maggiore autonomia all’Ungheria per evitarne la separazione (da quel momento l’Impero si definirà austro-ungarico), preoccupato dall’espansionismo prussiano e dalla conseguente possibilità della costituzione di un temibile impero dell’Europa centrale in aperta competizione con quello austriaco. L’espansionismo russo e la guerra di Crimea.

In Russia il movimento insurrezionale non si fece sentire cosicché Nicola I potè proporsi come difensore dell’ordine imperiale europeo reprimendo le rivolte ungheresi, dando alla politica estera un indirizzo espansionistico e senza badare ai problemi interni del paese. Tentò infatti di conquistare uno sbocco sul Mediterraneo e di egemonizzare i Balcani. L’Inghilterra non era favorevole a tali progetti così come Napoleone III e l’Austria. La guerra di Crimea ebbe quindi il significato di reazione europea all’espansionismo russo; Nicola I si trovò alla fine isolato e fu duramente sconfitto. Tentò allora la via diplomatica coi turchi i quali però rifiutarono e gli offrirono così il pretesto di attaccare

avendo come scusante il protettorato sui cristiani dell’impero ottomano. Tutto ciò spinse la Francia e l’Inghilterra a iniziare la guerra, seguite dal Piemonte di Cavour. Nonostante la supremazia degli alleati la guerra si protrasse e si incentrò nella penisola di Crimea. Fu l’isolamento politico a spingere lo zar alla resa; fu il successore Alessandro II a concludere la pace. Il congresso di Parigi del 1956 regolò i rapporti russo-turchi, sancendo l’indipendenza della Turchia, della Moldavia e della Valacchia da cui nascerà lo stato rumeno. La prima guerra d’indipendenza italiana. Sull’esempio di Vienna insorsero Venezia, dove Daniele Manin proclamò la repubblica, e Milano dove le truppe austriache furono cacciate il 18 marzo, dopo 5 giorni di furiosi combattimenti. Anche nei ducati di Parma e Modena furono defenestrati i principi e instaurati dei governi provvisori. In Piemonte il sovrano Carlo Alberto fu sollecitato ad inviare truppe in aiuto dei rivoluzionari, ma il re tentennò dando così tempo all’insorgere di gravi contrasti all’interno dei rivoluzionari milanesi: da una parte vi era Carlo Cattaneo con i democratici federalisti contrari all’intervento del regno di Sardegna; dall’altra i filosabaudi, aristocratici ed alto borghesi, capeggiati da Gabrio Casati che, invece, riteneva indispensabile l’intervento di Carlo Alberto. Il movimento mazziniano, invece, si dimostrò più moderato. Carlo Alberto si decise a dichiarare dichiara guerra all’Austria solo quando il generale austriaco Radetzky perse Milano, ma la lentezza del suo intervento permise agli austriaci di riparare nel ben munito quadrilatero, zona strategica, in attesa di rinforzi (Il Quadrilatero fu un sistema difensivo austriaco, allestito nel Lombardo-Veneto tra il 1815 e il 1866, che si dispiegava su un quadrilatero, per l’appunto, i cui vertici erano rappresentati dalle fortezze di Peschiera del Garda, Mantova, Legnago e Verona).Carlo Alberto fu spinto ad appoggiare gli insorti sia per acquisire nuovi territori sfruttando la debolezza austriaca sia perchè riteneva pericoloso che l’iniziativa indipendentista fosse condotta da democratici e repubblicani. Anche gli altri sovrani inviarono contingenti, per gli stessi motivi, e con loro arrivò anche Garibaldi. I primi successi furono piemontesi ma ben presto la figura di Carlo Alberto fu vista con sospetto perchè troppo egemonica, mentre il papa rischiava uno scisma e il fronte rivoluzionario andò quindi cedendo con il ritiro delle truppe inviate. I volontari toscani, che si sacrificarono in alcuni scontri decisivi, permisero ai piemontesi di vincere a Goito (30 maggio 1848) mentre nello stesso giorno si arrendeva senza combattere Peschiera, ma ormai i rinforzi austriaci erano arrivati e lo scontro decisivo avvenne a Custoza (22-27 luglio 1848) dove i piemontesi furono sconfitti. L’armistizio venne firmato a Vigevano il successivo 9 agosto dopo che anche Milano, debolmente difesa, ritornò in mano agli austriaci. La seconda guerra d’indipendenza. All’inizio del 1859 il re sabaudo Vittorio Emanuele II pronunziò alla Camera di Torino queste celebri parole: “ Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi”, suscitando in aula ed in tutte le piazze un entusiasmo indescrivibile. Fu il segnale inequivocabile della ripresa della guerra franco-sabauda contro gli austriaci. Tuttavia, Vittorio Emanuele II sapeva che avrebbe potuto contare sull’appoggio francese solo se la guerra fosse stata dichiarata dall’Austria. Quando la stessa Francia e l’Inghilterra si accordarono per una soluzione negoziale della situazione italiana, sembrò che la politica cavouriana stesse per sfumare. Fortunatamente per il Regno sabaudo l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe, pressato dalle rivendicazioni di indipendenza nel suo impero, pensò bene di riaffermare sul campo di battaglia l’autorità imperiale e lanciò un ultimatum a Torino, naturalmente respinto. Fu l’inizio della seconda guerra d’indipendenza. I franco-piemontesi sconfissero gli austriaci nel 1859 a Montebello (20 maggio), a Palestro (31 maggio) e a Magenta (4 giugno). I cacciatori delle Alpi costituiti da Garibaldi furono vittoriosi a San Fermo (27 maggio 1859). Il 24 giugno 1859, a Solferino e a San Martino, in prossimità del lago di Garda, gli austriaci subirono la definitiva sconfitta. Ma a questo punto il quadro politico cambiò: il movimento liberale voleva la costituzione di un’Assemblea costituente italiana, i cui principali centri furono:-

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Il Cenacolo - Continua da pagina 16 Venezia dove , dopo l’armistizio, venne proclamata la Repubblica di San Marco con Manin; Firenze dove il governo fu inizialmente formato da un triumvirato;- Roma dove ci fu lo scontro tra reazionari clericali e democratici che portò all’allontanamento del papa e alla nascita di una Costituente Romana che proclamò la nascita della Repubblica Romana. Il governo fu affidato al triumvirato di cui fece parte anche Mazzini; anche in Toscana fu istituito un governo provvisorio guidato da Francesco Domenico Guerrazzi. L’imperatore francese Napoleone III, preoccupato per la possibilità della costituzione di un forte Stato italiano in alternativa al suo desiderio di tenere sotto la sua influenza la penisola italiana e temendo un allargamento del conflitto all’Europa centrale, decise di trattare la pace con gli austriaci, nonostante l’opposizione di Vittorio Emanuele II.L'armistizio di Villafranca fu firmato da Napoleone III di Francia e Francesco Giuseppe d’Austria l'11 luglio 1859. Le condizioni finali dell’armistizio furono le seguenti:- i due sovrani (Napoleone III e Francesco Giuseppe) avrebbero favorito la creazione di una Confederazione italiana presieduta dal papa; - l’Austria cedeva alla Francia la Lombardia con eccezione delle fortezze di Mantova e Peschiera. La Francia, dal suo canto, avrebbe trasferito la Lombardia al Regno di Sardegna; - Il Veneto avrebbe fatto parte della costituenda Confederazione italiana rimanendo tuttavia possedimento dell’Austria;- il Granduca di Toscana e il Duca di Modena sarebbero rientrati nei loro Stati, concedendo un’amnistia generale.Il Trattato si concludeva con l’espresso impegno degli stipulanti di chiedere al papa di introdurre nello Stato pontificio riforme sociali e politiche.L’armistizio di Villafranca suscitò l’indignazione di tutti i movimenti liberali che si sentirono traditi. Cavour, disgustato dal voltafaccia francese e dalla mancanza di carattere del proprio re, rassegnò le dimissioni da Presidente del Consiglio piemontese. Il Trattato, tuttavia, fu attuato solo per la parte relativa al passaggio della Lombardia al Regno di Sardegna. Le popolazioni dell'Italia centrale, infatti, già dalla primavera del 1859 avevano allontanato i propri sovrani e reclamato l'annessione al Piemonte. Esse avevano, inoltre, già provveduto ad armare consistenti forze, inquadrate da ufficiali piemontesi ed innestate sul tronco dell'esercito toscano passato alla rivoluzione. Fu impossibile, pertanto, creare una Confederazione di Stati italiani, nè tanto meno realizzare le attese riforme nello Stato Pontificio.

Franco Biancardi Fine della IV puntata

Nel cuore di Napoli, in un luogo incantevole sorge Villa “La Favorita” oggi “Villa DOMI”. Costruita intorno al 1700, periodo in cui si diffuse rapidamente la moda in tutta Europa, cosi come nel Regno di Napoli, ha conservato per secoli le opere preziose e le atmosfere da sogno che la sua lunga storia le ha donato. Circondata da un immenso parco con presenze arboree di grande rilevanza botanica che domina interamente il golfo di Napoli, oggi destinata ad accogliere ricevimenti, convegni e manifestazioni culturali di grande prestigio, come nel passato. Ospiti illustri furono ospitati a “Villa La Favorita” , W. A. Mozart i patrioti della Repubblica Napoletana si incontrarono con esponenti della Massoneria francese, così fù anche durante il periodo risorgimentale . Costruita allo Scudillo dal Console Svizzero Meuricoffre, collezionista e mecenate di molti artisti napoletani, affidò il progetto decorativo della Villa, fù realizzato dal 1874 al 75, contemplava tre episodi architettonici : il fregio lungo la cornice perimetrale tra il muro e la volta della Sala da pranzo, raffigurante le “Quattro Stagioni” e scene attinenti , finora considerato distrutto: il camino monumentale della Sala delle Feste ; all’esterno, il gruppo di “Amore e Psiche”, posto sopra una lunetta della facciata che da nel parco . L’armonizzazione è intesa globalmente e perfettamente armonizzata con la struttura architettonica della Villa, in linea con il clima culturale che si registrava a Napoli e in Italia in quegli anni, caratterizzato dal recupero del gusto rinascimentale . Tale gusto favorì la riprese delle planimetrie dei maggiori palazzi del Cinquecento italiano, dell’ordine gigante e delle decorazioni architettoniche con fregi in stucco , permeava tutti i settori artistici della pittura alla decorazione su ceramica, alla scultura ecc.., soprattutto negli elementi ornamentali. Oggi le preziose , Sale dello splendido Complesso, possono ospitare oltre 400 persone ( su prenotazione) che possono gustare una raffinata cucina Mediterranea in particolare quella Napoletana, con uana particolare attenzione a quella internazionale preparata da raffinati ed esperti Cuochi. Attrzzata e la Cantina di Villa DOMI, dove sono costudite preziose bottiglie dei più pregiati vini locali, nazionali ed esteri. Nel periodo estivo, il suo splendido parco, spesso destinato a grandi manifestazioni Internazionali, ha la capacita accoglitiva di

oltre 1500 persone . Indirizzo Salita Scudillo,19 Napoli Telf. 00-39-81- 5922233

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NAPOLI E I FONDAMENTI DELLA CULTURA GIURIUDICA OCCIDENTALE

“Surgó Una Republica Partenopea, insigne per una singular honestidad, por la Fortaleza y sabiduria

de sus autoridades, digna de compasión por la anarquía, por las pasiones despiadadas y

perversas que la desgarraban, desventurada y miserable por su trágico final”.

Ippolito Nievo “Las confesiones de un italiano”

“Italiam! Italiam!”. Con questo grido di allegria e speranza approdarono i troiani, condotti da Enea sul suolo italico dopo un lungo viaggio. E’ il verso 523 del III° libro dell’Eneide. E’ con questa stessa allegria virgiliana e con enorme gratitudine che mi trovo oggi nella vostra Patria italiana, “oh, patria degna di trionfal fama” come disse il vostro Dante ho ricevuto dell’immeritato onore di far parte di quest’importante schiera di premiati del Premio Internazionale SEBETIA-TER.

E’ per me fortemente significativo trovare l’ispirazione nelle emozioni estetiche di Virgilio, poeta che è il fulcro e l’emblema della cultura di tutti i secoli. La cosidetta civilizzazione occidentale non ha mai smesso di leggere le opere virgiliane dopo 2000 anni. Ed è Virgilio la guida illustre per il periplo all’Averno che rende possibile la visione della storia e l’invenzione della lingua italiana. Virgilio (“di cui la fame ancor dura” dice Dante) che è il più grande poeta latino, riposa a Napoli tant’è che il sommo poeta scrisse: “Napoli l’ha …”.

E Napoli diventa così il referente continuo per il nostro messaggio atteso e trascinante. Napoli ha dedicato una strada del centro storico a Miguel de Cervantes, maestro

incontrastato che mai dimenticò il suo soggiorno in questa città e, non a caso, nel “El Quijote” la città di Napoli viene citata per sette volte.

Tutte queste cose non possono non suscitare in me forti emozioni. Sono un avvocato che esercita questa antica e nobile professione da molti anni e

non ho altri meriti per partecipare a questo consesso di eccellenza, se non quello di aver consacrato la mia vita e aver sviluppato la mia vocazione nella difesa dei diritti altrui, contribuendo in questo modo alla realizzazione del valore della Giustizia.

E’ un privilegio il vivere e lo svolgere una professione come la nostra nell’ambito davvero affascinante del Diritto nato all’ombre di Roma. La monumentale Roma tramandò al Mondo questo straordinario frutto della creazione umana e sociale che è il Diritto Romano, dal quale hanno avuto origine gli sviluppi più importanti della Civiltà.

Scrisse Hegel: “ La missione dello spirito romano nella Storia Universale è consistita nella realizzazione dell’ideale del Diritto”.

Dal diritto romano è sorto il Diritto scritto che, con la sua base classica, è stato capace di assumere le creazioni autoctone dei diritti indigeni, gli apporti spiritualisti del

Diritto Canonico, l’assorbimento sociale del Diritto Germanico e la struttura nazionalista, costituzionalista e statalista che nacque dalla Rivoluzione del XVIII secolo.

Con esso l’albero della scienza giuridica, che nacque qui fra di voi, fra questa civiltà partenopeaè cresciuto e fruttificato nell’incommensurabile opera umana dello Stato di Diritto, ed ha consentito di diffondere nel Mondo questi principi che fanno si che oggi sul nostro pianeta vivano più persone libere che mai.

Però il Diritto che non serviamo non è stato capace di sconfiggere i mali e le tragedie di una società conflittiva e violenta.

In un foro rappresentativo dello spirito della Repubblica Partenopea, si riuniscono personalità di tutto il mondo per contribuire con il loro dibattito, la loro riflessione e la loro speranza, ad aprire nuovi cammini per il progresso umano. Coscienti di dove affondano le nostre radici, ammirati delle gesta di coloro che ci hanno preceduto, dobbiamo continuare in questa permanente lotta per la Giustizia.

Come avvocato, come uno degli avvocati di un antico Ordine europeo, l’Ordine degli Avvocati di Madrid, che già conta più di quattrocento anni della sua fondazione, voglio esprimervi la mia gratitudine per l’onore conferitomi, ed allo stesso tempo, voglio rinnovare davanti a Voi, illustri personalità della cultura e della società tutta, il mio personale contributo a questa permanente lotta per l’instaurazione della Pace, della Giustizia e del Diritto.

Il mantenere quest’attitudine, il compiere questo impegno al Vostro fianco e con il Vostro appoggio e amicizia, sarà per me, per sempre un onore che mi permetterà di continuare a combattere con le armi del Diritto, per tutti gli abusi e le immunità dei potenti e, a rileggere, con il piacere e l’emozione di sempre , quel verso di Dante che nel canto dodicesimo dell’Inferno della Divina Commedia condanna i tiranni in un vermiglio fiume di sangue con queste parole: “Che da quest’altra a più a più prema / Lo fondo su in fin ch’el si raggiunge / Ove la tirannia convien che gemma …”.

Luis Martì Mingarro Presidente de la Union Iberoamericana de

Colegios y Agrupaciones de Abogados (UIBA) Academico de Numero de la Real de

Jurisprudencia y Legislacion de Espana.

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IL POTERE NON GLI PERMISE MAI DI ESPORSI AL GRANDE PUBBLICO O DI ISTITUZIONALIZZARE LA PROPRIA PEDAGOGIA ARTISTICA E FILISOFICA

MIKLÒS ERDÈLY di

Làszlò Szorènyi

Miklós Erdély era uno dei grandi personaggi che fecero scuola anche se il potere che esercitò totale censura sulla cultura non gli permise mai di esporsi al grande pubblico o di istituzionalizzare la propria pedagogia artistica e filosofica. Si dovette proprio a questo tra gli altri il suo tratto d'attrazione che attirò verso di lui i giovani artisti ed esteti. Alla fine degli anni 60 e agli inizi degli anni 70 egli venne sempre menzionato quale un «guru», in quanto ebbe dei seguaci tanto fedeli come se fosse stato un eremita indiano. Le autorità furono non solo preoccupate bensì addirittura terrificate da lui. Mi ricordo quando nel 1973 - grazie a giovani scienziati entusiasti - egli ha fatto lettura delle sue tesi in una manifestazione accademica e fatto presentare le sue fotografie spiritiste, più tardi divenute famose, e corse da un accademico portando il testo del proprio saggio rivendicando energicamente la sua pubblicazione, l'accademico rimase sconvolto per esser stato aggredito da questo uomo selvaggio al punto che, per un certo periodo di tempo non venne neanche in redazione per evitare un incontro con lui. II sistema contro il quale egli si ribellò ormai appartiene al passato, in quel sistema egli non poté mai insegnare ma ora è lui che viene «insegnato»; l'anno scorso è stata portata a termine la prima dissertazione dedicata alla sua arte. Similmente al caso di molti altri grandi artisti ungheresi, anche nel suo caso, per via della smorfia del destino, spetta alla posterità dargli la rivalsa e farlo. conoscere al mondo. Fino ad ora infatti, la sua persona e le sue opere erano « War secret» al mondo intero, ed è questo anche il titolo di una delle sue famose composizioni che hanno destato scandalo e possiamo sperare che qui a Roma, in un contesto completamente diverso, la sua magica personalità si reincarnerà in qualche modo tramite le opere esposte anche se ci farà riflettere la serie di ripetizioni sopramenzionata, tra cui le affermazioni delle sue «Tesi sulla teoria della ripetizione» che accompagnano le foto spiritiste quali: «Solamente ciò che si ripete è manifesto; e solamente ciò che si ripete è non-esistente «Percepiamo l'inesistente con l'allusione alla memoria.» «Nel tumulto della creazione è impossibile ottenere lo stesso due volte». Speriamo comunque che le opere esposte nelle maggiori gallerie d’arte italiane facciano parte in qualche modo della sorte di Miklós Erdély e allora possiamo citare un suo aforisma di impronta d'Eraclito che dice: «L'identità di qualcosa a se stessa viene determinata dalla continuità della propria storia, in parole povere, dal suo Fato». E comunque sembra fatale che le gallerie italiane che si sono poste l'obiettivo di far conoscere artisti dell' Europa Centrale ed Orientale tra gli artisti ungheresi, abbiano organizzato per prime - a nostra grande gioia - mostre dedicate a Miklós Erdély.

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LA DOMINAZIONE BORBONICA A NAPOLI FINO AL RISORGIMENTO

di Vincenzo Cuomo

L’Ottocento è un secolo determinante per la storia del Meridione, in quanto fu allora che dopo circa settecento anni quel Reame, creato nel 1130 a Palermo da Ruggero II il Normanno, cessava di essere un'entità politica autonoma per divenire parte integrante del Regno d'Italia. Napoli, non più capitale, si ridimensionava così a semplice città. Si realizzava in tal modo quel sogno antico, da sempre inseguito dalle menti migliori della Penisola, di un'Italia finalmente unita, libera dallo straniero e con un governo costituzionale. Nel Regno delle Due Sicilie tale processo di evoluzione politica, anche se al momento ristretto alla sola partecipazione popolare alla vita pubblica dello Stato, era iniziato nel 1799 con la Repubblica Partenopea. Ad essa avevano

però aderito solo gli intellettuali e gli studiosi più avanzati, mentre popolo e contadini erano invece stati quasi completamente dalla parte dei Borbone. Nel giro di poco più di mezzo secolo, tale sensibilità mutò radicalmente. Nel 1860 infatti, all'arrivo delle schiere garibaldine, nessuno imbraccerà più le armi per difendere il proprio re. Vediamo ora attraverso i fatti salienti, come lo spirito liberale presente nel Reame crebbe e si evolse. La dinastia dei Borbone era iniziata nel 1734 con l'arrivo di re Carlo (III), che oltre a ridare nuovamente a queste terre la dignità dell'autonomia, dopo 230 anni. di governo vicereale, molto si impegnò per risolvere i problemi più gravi ed urgenti, creando una struttura amministrativa moderna ed efficiente, ridimensionando il potere baronale e limitando 1’ ingerenza della Santa Sede. Nel partire per la Spagna nel 1759 lasciava uno Stato compatto ed una dinastia consolidata. L'erede designato Ferdinando, non fu però in grado di continuare la saggia politica paterna, di tolleranza, comprensione e trasformazione in senso moderno del Regno, segnando una tragica battuta d'arresto su quella strada riformista che si era intrapresa: dopo la parentesi della Repubblica, il regime ritornò ad essere conservatore e reazionario, così come

era stato in precedenza. L' insoddisfazione che era nell'aria favori allora il sorgere un po' dappertutto di società segrete. Lo sbocco di questa cospirazioni furono poi i moti del 1824-21, allorquando venne chiesto al sovrano il ripristino del sistema costituzionale. La sommossa fu sedata per l’ intervento austriaco. Un nuovo capitolo per la storia del Reame sembrò avere inizio allorquando, dopo la breve parentesi di Francesco I (1825-1834), sul trono sali il giovane Ferdinando II. I primi dieci anni furono un periodo positivo: con opportune leggi riordinò l’amministrazione, ridusse 1' appanaggio reale, abolì alcune tasse troppo odiose e rese giustizia agli ex ufficiali murattiani permettendo loro di indossare nuovamente la divisa dell'esercito napoletano. Una scelta più radicale nel comportamento di Ferdinando II si ebbe all'avvicinarsi di quel difficile anno che fu il 1848, quando, avvertendo quei fermenti di ribellione che anche all'interno delle Due Sicilie si facevano sentire con insistenza, potenziò di molto la polizia politica. La rivoluzione del 1848-49, nonostante ovunque si concludesse con un fallimento, anche nelle Due Sicilie oltre a far restare saldo il principio che oramai i tempi erano maturi per l'abolizione della monarchia assoluta, accentuò quel desiderio di unità nazionale indipendenza dallo straniero. La politica repressiva di Ferdinando II ebbe come unico effetto quello di scavare un solco sempre più profondo intorno al trono, mentre l'allontanamento delle menti migliori impediva la formazione di una classe intellettuale disposta a creare una base spirituale e culturale intorno alla dinastia. Intanto il patriottismo si andava allargando giorno dopo giorno, nel Regno di Napoli come nell'intera penisola, con il coinvolgimento di masse sempre più ampie. Si ere oramai lontani da quelle aderenze sporadiche del 1821 o da quelle elitarie e separatiste del 1848. Ora, il regime costituzionale ed anche l'unità erano chieste, non più solo da una borghesia colta ed evoluta, ma anche da strati sociali più umili e culturalmente poveri, che, indipendentemente f dalla loro partecipazione al potere o alla lotta politica, avevano oramai acquisito un orientamento sensibilizzato verso questa nuova realtà politica. L'epilogo fu breve! A1 momento dello sbarco di Garibaldi in Sicilia, Francesco II, che nel 1859 era succeduto al padre Ferdinando II, non potè contare su uno Stato forte che si stringesse intorno a lui. L'avanzata dei Garibaldini fu salutata dappertutto con giubilo delle popolazioni locali, che in molti casi insorsero ancor prima del loro arrivo. La conclusione fu quel plebiscito che sancì la fusione del Regno di Napoli all'interno della nuova realtà politica nazionale. La dinastia borbonica privata del Regno, usciva dalla realtà politica per entrare nella Storia.

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Il Multiculturalismo Prima Area Tematica di F. Biancardi

Per decenni invocato come l’ideale modello di sviluppo della società occidentale del futuro, il multiculturalismo viene oggi, da più parti, non solo aspramente criticato ma definito come l’ennesima illusione di un’intera generazione di intellettuali e di politici. Recentemente sia Angela Merkel sia David Cameron hanno ricordato come il multiculturalismo abbia sostanzialmente fallito proprio a partire dall’insoddisfacente o mancata integrazione nel tessuto socio-culturale europeo dei giovani immigrati di religione musulmana. In Olanda l’idea che fosse sufficiente concedere la libertà a tutte le etnie e a tutte le religioni in nome del relativismo culturale si è rivelata una pura utopia. Gli assassini del leader olandese Pim Fortuyn nel 2002 e del regista Theo van Gogh nel 2004 rappresentano i più eclatanti risultati di una politica illusoria. Al giorno d’oggi, dunque, è divenuto assolutamente indilazionabile riflettere su di un possibile, nuovo modello sociale in grado di integrare i sempre più numerosi stranieri provenienti dalle più varie culture mondiali ( a partire da quella islamica) facendo salva, però, la peculiare identità dei popoli e delle nazioni accoglienti. In Germania il principale protagonista del dibattito è Thilo Sarrazin, un alto rappresentante dell'establishment politico-finanziario tedesco, che nel suo libro intitolato La Germania si autodistrugge ha scatenato un vero e proprio terremoto. Le tesi di Sarrazin sono così riassumibili: l’immigrazione islamica in Germania deve essere bloccata, non solo perché, dal punto di vista economico, non c’è bisogno degli immigrati musulmani, ma anche perché, a causa della loro scarsa preparazione professionale, abbassano il livello di competitività della società tedesca. Sarrazin riporta una serie di dati per dimostrare come la Germania, pur restando ancora oggi tra i paesi più ricchi in Occidente, non occupa più i primi posti della classifica. Non solo. Sarrazin ha anche lanciato un allarme: la Germania sta lentamente perdendo i suoi connotati tradizionali e si sta letteralmente de-germanizzando. In altri termini, sta smarrendo la sua identità socio-culturale. Se a questo aggiungiamo che le nascite in Germania erano 1.3 milioni negli anni sessanta, 650.000 nel 2009 e, di questo passo, fra novant’anni saranno tra 200 e 250.000, allora la popolazione tedesca è destinata a diminuire a 25 milioni fra cento anni, a 8 milioni tra duecento e 3 milioni fra trecento. Secondo Thilo Sarrazin, la Germania sta subendo un processo di graduale e costante rimpicciolimento che la porterà, di fatto, all’estinzione a favore di un’entità sociale costituita da immigrati per lo più non desiderosi di integrazione, di bassa qualità professionale, spesso totalmente dipendenti dai sussidi statali. Anche in campo culturale-educativo, la migliore università tedesca, la Ludwig-Maximilians-Universität (LMU) di Monaco, è precipitata al cinquantacinquesimo posto nella graduatoria internazionale. Thilo Sarrazin porta l’esempio del grosso quartiere Neukölln di Berlino dove, su 305.000 abitanti, ben 120.000 sono turchi o arabi (ai quali vanno aggiunti circa 20 o 30.000 di altri immigrati illegali) ed il numero è destinato a crescere ancora. Oramai il quartiere viene considerato la più significativa società parallela in Germania, ovvero dove gli immigrati hanno realizzando una sorta di microcosmo all’interno della società tedesca. Tra l’altro, proprio in questo quartiere alcune scuole hanno dovuto realizzare dei moduli di iscrizione in arabo per la scarsa conoscenza del tedesco da parte degli immigrati. Il libro di Sarrazin ha avuto un impatto devastante sulla coscienza tedesca considerato che la Germania è un paese che dedica grande attenzione alla formazione scolastica, universitaria, alla difesa della propria lingua nazionale e tradizione culturale. In Europa, le grandi questioni attualmente da affrontare appaiono due: L’Europa è terreno di enormi flussi migratori. Se ogni generazione ha i suoi compiti assegnati dalla Storia, la nostra ha il compito di regolare i flussi migratori ed i cambiamenti demografici. La novità rispetto al passato è che non abbiamo nessun modello precedente a cui poterci ispirare. Questo è ancor più vero se si pensa che in Europa non si sono ancora stabiliti criteri univoci su come fronteggiare l’immigrazione. Ripensare il rapporto tra identità, integrazione ed immigrazione è diventato estremamente difficile. Molto spesso si oscilla tra il multiculturalismo ed il nazionalismo, tra l’apertura indiscriminata delle frontiere e la chiusura ad oltranza. Gli interventi in materia, insomma, oscillano fra una diffusa cultura del “buonismo” ed un’altrettanto deleteria cultura della chiusura. Il risultato è che le élite culturali e politiche di gran parte dei paesi occidentali non hanno alcuna idea veramente convincente per considerare la migrazione come parte costante della società occidentale. È indispensabile ripensare e ristabilire i parametri nel rapporto tra l’identità nazionale, il fenomeno dell’immigrazione e la necessità di integrare gli immigrati regolari. È vero che i pervasivi flussi migratori verso l’Europa non sono contrastabili secondo vecchie logiche ma è anche vero che essi costituiscono un fenomeno da tenere sotto controllo se vogliamo difendere la nostra identità storico-culturale, i nostri Valori di riferimento ed il nostro stile di vita. L’ideologia multiculturale degli ultimi decenni ha portato ad una relativizzazione dei valori di riferimento. Si è dato vita ad un relativismo multiculturale che viene troppo spesso erroneamente, o colpevolmente, confuso con il pluralismo culturale. Secondo il relativismo multiculturale non c’è più alcuna differenza tra le culture e le civiltà, si vive in un magma indistinto, secondo il quale siamo tutti “uguali” a prescindere dalla nostra storia e tradizione. In un futuro non lontano nella nostra società tenderanno a coesistere sempre di più gruppi di nazionalità e di religioni diverse. E questa è una prospettiva e, soprattutto, una sfida epocale che non ci può trovare impreparati. È urgente e fondamentale stabilire finalmente in che modo la nostra società occidentale ed europea intende confrontarsi con la concreta prospettiva di una società costituita da un insieme di paralleli microcosmi culturali e religiosi. Con quale sistema di valori e con la forza di quali idee la nostra società si proporrà nel serratissimo incontro-confronto con un crescente numero di competitors culturali e religiosi? Riusciremo a reggere semplicemente con i Valori, assolutamente indiscutibili, della democrazia, della libertà e dei diritti umani o è forse necessario aggiungere a questi qualcosa di più profondo, fino al punto da avere il coraggio di fare scelte decisive ? Riusciremo a ricostruire un paradigma di civiltà nel quale anche un immigrato musulmano o di qualsiasi altro credo possa riconoscersi e, probabilmente, identificarsi, nell’ottica di una cittadinanza universale ? Sicuramente l’Utopia di una società universale affratellata secondo i supremi principi fondanti la Massoneria è oggi ancor più auspicabile, Continua a pagina 22

IL CORRIERE DEL SEBETO Pag. 22

Area Tematica -da pagina 21- tuttavia Fratellanza non significa adesione supina ed acritica alla “forza” ideologica di qualcun altro bensì condivisione di valori universali, ciascuno nel pieno rispetto dei valori e delle Idee dell’altro. Una recente sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo sul Crocifisso va nella direzione qui auspicata. Non si tratta, perciò, di creare uno Stato confessionale, ma di riconoscere alcuni punti fermi, un sistema di valori minimo di riferimento, in cui il Crocifisso, ad esempio, trova un suo spazio in quanto simbolo di inclusione e non di esclusione. La cultura dei diritti dell'uomo non deve mai essere pensata in contrapposizione ai fondamenti religiosi della civiltà, in particolare di una civiltà come quella europea, a cui il Cristianesimo ha dato un contributo essenziale. La sentenza, inoltre, riafferma il principio di sussidiarietà secondo il quale ogni paese europeo deve godere di un margine di discrezionalità sul ruolo da attribuire ai simboli legati alla propria storia e alla propria identità nazionale, restando libero di decidere circa il luogo della loro esposizione. La presenza del Crocifisso, dunque, non rappresenta una violazione dell'altrui libertà ma, al contrario, è il segno visibile dell’intangibile identità culturale e religiosa di un popolo.

Felix Adado “L’alba arriva per tutti”

Ho cercato a lungo il tempo che mi hai regalato un semplice senso

che mi ha portato qui E ho trovato la gioia che dimora sulle tue

labbra

Felix Adado è nato nel 1980 a Lomé, in Togo, ed è arrivato in Italia nel 2005. Interprete e mediatore culturale, lavora presso la Commissioni Territoriali per il riconoscimento della status di rifugiato e collabora con il “Movimento Dehoniano Europeo Onlus” di Napoli. Ha partecipato con interventi e letture di proprie poesie ad iniziative in favore degli stranieri in Italia e sul tema dell’integrazione. L’alba arriva per tutti è la sua prima pubblicazione.

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Napoli nella letteratura: la città ed Eleonore Pimentel de Fonseca nelle pagine de il resto di niente

di Alessandra Silipo L’idea di ritrovare i luoghi e la memoria degli eventi della storia di Napoli nelle pagine di scrittori del passato più o meno recente nasce dal grande fascino che la città esercita ancora sugli stessi partenopei come su coloro che la visitano per la prima volta. Alcuni di questi luoghi sono evocativi di passaggi storici di grande rilevanza civile: uno di questi è descritto nelle pagine

finali di un intenso romanzo interamente ambientato a Napoli. Si tratta dell’area intorno a Piazza Mercato con la bellissima chiesa e il campanile, dove furono giustiziati i martiri della Rivoluzione Napoletana nel 1799. Ma la chiesa della Madonna del Carmine è forse più nota per il miracolo del Crocefisso, o perché vi è sepolto Corradino di Svevia, o ancora perché lì fu ucciso Masaniello. Ma nel caso del romanzo in questione, Il resto di niente, la grande piazza è l’ultimo scenario di Napoli che viene descritto, e di certo teatro di una delle rivolte più importanti della storia della città. Il resto di niente è uno di quei libri che ogni napoletano dovrebbe leggere almeno una volta nella vita. Probabilmente, invece, non sono in molti a conoscerlo; qualcuno potrebbe ricordare di aver visto il film omonimo tratto dal romanzo, della regista A. De Lillo, che fu presentato a Venezia nel 2004. Non ce ne vogliano gli amanti di questa pellicola, peraltro anche molto premiata, in particolar modo per gli splendidi costumi: è frequentissimo, per gli amanti della lettura, trovare sempre insufficiente l’immagine cinematografica rispetto all’emozione trasmessa da un romanzo. Non fa eccezione il capolavoro di Enzo Striano, giornalista, professore e scrittore scomparso prematuramente nel 1987, e del quale è stata da poco ripubblicata l’opera prima, Giornale di adolescenza. Il resto di niente non è solo un romanzo storico che ricostruisce gli eventi legati alla rivoluzione del 1799, che portò alla breve ma intensa esperienza della Repubblica Napoletana, così come non è solo una biografia romanzata di Eleonora Pimentel Fonseca, la sensibile marchesa portoghese, napoletana d’adozione, che fece parte dello sfortunato gruppo di

aristocratici e intellettuali che promossero l’insurrezione, consapevolmente affascinati e travolti dalla Rivoluzione francese e dai suoi ideali, in un periodo storico così denso di cambiamenti profondi quale il passaggio tra il Settecento e l’Ottocento. Il resto di niente è anche, diremmo soprattutto, un viaggio in una Napoli profondamente complessa, la grande capitale settecentesca, crocevia di scrittori, pensatori, viaggiatori. Questa lunga passeggiata è guidata da un accompagnatore d’eccezione: Enzo Striano era un napoletano doc. L’amore verso Napoli emerge sofferto da ogni pagina del romanzo. La città è

quella dei salotti aristocratici dove si parla il francese giacobino degli intellettuali, dei cenacoli di Filangieri, Cirillo, Cuoco e Genovesi. Accanto ai raffinati salotti cittadini Eleonora, o Lenòr, come affettuosamente l’autore chiama la protagonista, incontra e si confronta con la Napoli dei lazzari e della plebe, di un mondo ai margini con il quale ancora oggi bisogna scontrarsi, fatto di ignoranza, sporcizia, degrado e miseria. Una Napoli dalle mille facce, così com’è ancora oggi ed è proprio questa molteplicità di aspetto a renderla una delle città più vive del mondo, forte del proprio passato e sempre impegnata a cercare di migliorare il futuro. Quando il romanzo uscì nel 1986 non godè della fortuna che meritava. Alcuni scrittori napoletani, tra i quali Domenico Rea, Luigi Compagnone, Michele Prisco videro in Striano l’erede della tradizione alla quale loro stessi appartenevano, esponenti di una cultura letteraria tutta partenopea che lungamente e in modo sempre sofferto aveva raccontato la città, i suoi complessi problemi e il suo fascino stanco, soprattutto nel secondo dopoguerra e soprattutto attraverso la scelta del romanzo. Il resto di niente rappresentò un’ulteriore tappa di questa esperienza di riscoperta della Napoli viva e intellettuale, e forse la più importante di questo viaggio. Lenòr, la vera protagonista, vivrà il profondo contrasto e la dicotomia – che lei stessa denuncerà nelle pagine del suo Monitore napoletano, la voce della rivoluzione – ancora oggi percepibile tra una città animata da ideali moderni e rivoluzionari, culla delle più vive

tendenze culturali di fine Settecento, e quella stessa città popolata da una folla spesso più priva di mezzi che di capacità, la stessa folla che aderirà in parte al movimento rivoluzionario e che appoggerà entusiasta la soppressione codina di re Ferdinando IV. Il romanzo ha inizio con l’arrivo di Lenòr a Napoli dai territori dello stato pontificio; gli «occhi de foco» della giovane ragazzina ammirano la grande capitale, nel primo suggestivo incontro con il giovane re Ferdinando, momento che segnerà anche il suo ingresso nell’età adulta. La capitale del Regno Borbonico, allora celebrata meta del Gran Tour, sembra rappresentare per la giovane ragazza portoghese la meta ideale per una vera e propria educazione sentimentale: qui entrerà in contatto con gli intellettuali più vivaci del regno, si avvicinerà ai circoli letterari e ai cenacoli più aperti e ricettivi alle realtà politiche ed ideologiche europee. Attraverso un rapporto inizialmente intenso con la corte che gravitava intorno a Maria Carolina, la giovane Eleonora apre le sue prospettive fino ad esservi ammessa come poetessa. Poi il matrimonio combinato con – Continua a pagina 23

IL CORRIERE DEL SEBETO Pag. 23 Eleonore Pimentel de Fonseca di Alessandra Silipo

Pasquale Tria la allontanerà, almeno per alcuni dolorosi tempi, dalle cerchie degli amici. Le nozze con quest’uomo rozzo e violento, che deriderà le velleità intellettuali di Lenòr, porteranno alla nascita di un amatissimo bimbo, che morirà dopo soli otto mesi. Lenòr non riuscirà a portare a termine una seconda gravidanza e grazie all’impegno del padre, figura di riferimento che pure morirà di lì a poco, otterrà una separazione. L’esperienza matrimoniale sgradevole e la morte prematura dei suoi cari la faranno invecchiare prematuramente: solo l’interesse degli amici di sempre, Vincenzo Sanges, Antonio Jeròcades, Alberto Fortis, Gennaro Serra di Cassano, la spingeranno a fare della sua stessa casa un piccolo salotto. Parteciperà attivamente al comitato che accoglierà l’arrivo della flotta francese, all’indomani della discesa dell’esercito francese in Italia, ma per questo verrà rinchiusa nel carcere della Vicaria e liberata solo all’ingresso in città del generale Championnet. Lenòr vivrà con una cupa rassegnazione la detenzione, che rappresenterà anche la

fine di molte delle sue convinzioni. L’incontro con la plebe nella sua manifestazione più degradata la spingerà a riflettere sul profondo divario tra il gruppo di colti aristocratici che avevano dato vita alla Repubblica e la massa di cittadini, sobillati dai lazzari e manovrati dai Borboni in fuga, un divario che allora le parve insanabile, e che lei stessa aveva cercato di combattere, scontrandosi con il problema dell’elevato analfabetismo, nelle pagine del suo Monitore. E nonostante la consapevolezza del fallimento del progetto, del rifiuto della città, tra gli ultimi pensieri di Lenòr, già sul patibolo, ci sarà proprio Napoli: «questa cara città» è comunque lo spazio all’interno del quale la marchesa de Fonseca è cresciuta e ha maturato, senza pentimento, le sue idee sociali e politiche che, almeno sulla carta, avrebbero dovuto sollevare proprio le sorti di Napoli. Ma seppur sfumato il progetto rivoluzionario, la città e gli amori vissuti, gli amici, il luoghi e le voci rimangono nel cuore di Lenòr, che sale infine sulla forca vacillando solo lievemente. Forsan et haec olim meminisse juvabit, è il verso virgiliano che

Eleonora avrebbe recitato prima di morire. L’eredità della sua figura fu infatti raccolta da Enzo Striano, che ne descrisse emozioni e contribuì alla riscoperta del valore civile della Rivoluzione Napoletana del 1799. Il resto di niente testimonia con passione e rigore letterario tutta questa appassionata, ed appassionante, parentesi storica, e coopera a ricostruire un momento fondamentale per Napoli, con tutte le sue suggestive e allo stesso tempo vigorose atmosfere della fine del Settecento.

Napoli Palazzo Reale con la sua armoniosa struttura, Palazzo Reale domina Largo di Palazzo, l’odierna piazza Plebiscito. La costruzione della Reggia fu decisa alla fine del secolo XVI, in previsione di una visita di re Filippo di Spagna, per sostituire il preesistente Palazzo Vecchio, realizzato nella prima metà del ‘500 dagli architetti Ferdinando Maglione e Giovanni Benincasa e decorato da artisti quale Giovanni Tommaso Villani. Il progetto del nuovo Palazzo fu affidato, tra il 1593 ed il 1600, all'architetto Domenico Fontana, «ingegnere maggiore» del Regno, dal vicerè Ferrante Ruiz de Castro y Andrada conte di Lemos. Si iniziò a porre mano ai lavori nel 1600 ed

il cantiere rimase aperto per oltre cinquant'anni. Dopo la sua costruzione il Largo si chiamò appunto «di Palazzo» mentre piazza San Ferdinando (oggi Trieste e Trento) era chiamata Largo di Santo Spirito. La nuova Reggia era costituita da tre corpi, quello principale che si affacciava su Largo di Palazzo, quello verso il mare e quello settentrionale rivolto dove ora è il Teatro San Carlo. Il Palazzo fu adibito a residenza dei vicerè che in quell’epoca reggevano il Regno di Napoli per conto del re di Spagna. Durante il successivo periodo dei vicerè austriaci (1713-1734), l'importanza della reggia scemò sensibilmente. Con la riacquistata indipendenza per opera di Carlo di Borbone, il palazzo conobbe finalmente il suo massimo splendore. Il re e la regina Maria Amalia, fecero apportare migliorie e il Palazzo fu impreziosito da decorazioni ed affreschi eseguiti dai migliori artisti dell’epoca. Con Ferdinando IV, grandi furono i festeggiamenti il 7 aprile 1768 in occasione delle nozze con Maria Carolina d'Austria. Nel 1778, fu portata a Palazzo Reale la fabbrica napoletana di arazzi, in precedenza dislocata a San Carlo alle Mortelle, che durante i moti della Repubblica Napoletana del 1799 andò distrutta quasi del tutto. Durante il decennio dei Napoleonidi la reggia fu oggetto di cure ed attenzione: gli appartamenti furono arricchiti di mobili e suppellettili francesi, che Carolina Bonaparte aveva portato con sé dall'Eliseo. La sorella di Napoleone fece rivestire il suo appartamento di raso bianco e specchi, e trasformare il «boudoir» e le «toilettes». La piazza detta largo di alazzo fi chiamata Foro Murat. Con l’Unità d’Italia divenne Piazza del Plebiscito.

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