Runa Bianca n°2

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MEGALITISMO: LA SCIENZA SACRA INDAGINI: IL FANTASMA DI AZZURRINA PIRAMIDI BOSNIA: INCREDIBILI SCOPERTE RE ARTÙ ITALIANO Le origini della leggenda IN QUESTO NUMERO: 21 ARTICOLI 14 NEWS 8 LIBRI 7 VIDEO 5 SITI WEB 163 PAGINE ANNO I AGOSTO 2011 ARCHEOLOGIA STORIA SCIENZA E MISTERO OMAGGIO

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Eccoci arrivati al numero estivo di RUNA BIANCA (www.runabianca.it), un terzo numero ancora più ricco e articolato. Agosto lo sappiamo, è un mese in cui possiamo finalmente rilassarci e riposarci dalle fatiche accumulate nel corso dell’anno, ma la redazione di RUNA BIANCA non si è fermata e presenta ai suoi lettori un carnet di ben 21 articoli ai massimi livelli.

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MEGALITISMO: LA SCIENZA SACRA

INDAGINI: IL FANTASMA DI AZZURRINA

PIRAMIDI BOSNIA: INCREDIBILI SCOPERTE

RE ARTÙ ITALIANO

Le origini della leggenda

IN QUESTO NUMERO: 21 ARTICOLI 14 NEWS 8 LIBRI 7 VIDEO 5 SITI WEB

163PAGINEANNO IAGOSTO 2011

2ARCHEOLOGIA

STORIASCIENZA

E MISTEROOMAGGIO

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2 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

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Editoriale

News

Video

Libri

Siti web

Mostre & eventi

PERLE DI SAGGEZZALa Scienza dell’Universodi Lilly Antinea Astore

LA BIBBIA SVELATADalle traduzioni letterali della Bibbia ricaviamo che non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il verodi Mauro Biglino

I SENTIERI DI OGMAI Druidi e il magico potere di una sapienza perdutadi Fabio Truppi

Piramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondoLa storia dei popoli europei può essere riscrittadi Vincenzo Di Gregorio

La spada nella roccia italianaLe vicende che han fatto nascere la leggenda di re Artùdi Mario Moiraghi

Castello di Montebello:Il mistero di AzzurrinaParapsicologia e percezioni extrasensoriali si incontranodi Michele Morettini

Il sito proto-cristiano diHaroba Kosht (III – XIII sec.)La scoperta della più antica chiesa cristiana. Parte IIdi Gabriele Rossi Osmida

Ai piedi di Sai BabaQuel mattino seduta nel Tempio a Whitfield...di Tullia Parvathi Turazzi

Territorio e transitoLo spazio importante all’interno del quale viveredi Alessandro Bertirotti

La riscoperta del Nuovo MondoLa potenza dimenticata del sacro nome “America”di Claudio Piani e Diego Baratono

Terra di nessunoIl mistero, più spirituale e molto meno fenomenicodi Nikola Duper

Il Diluvio Universale e laleggendaria (?) Arca di NoèGli italiani in prima linea nella ricerca sul campodi Francesco Arduini

La lettera T ed il suo significato nel sacro primordialeAlla ricerca di significati perduti della nostra storiadi Enrico Calzolari

Il mistero dei Teschi di CristalloLa leggenda sui misteri dell’origine della vitadi Giuseppe Di Stadio

Alieni e BibbiaL’energia magnetica emanata da qualsiasi corpodi Marco Marafante

Il segreto dell’uomo vitruviano di LeonardoLa geometria generatricedi Alfonso Rubino

ARTICOLI

RUBRICHE

SOMMARIO AGOSTO 2011 | N.2

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Runa Bianca 3Agosto 2011 | n.2

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I valori del Pi Greco (3,14) e della precessione degli equinoziNelle piramidi di Teotihuacan (Messico) e Giza (Egitto)di Yuri Leveratto

Incontri ravvicinati del IV tipoDal mito dei rapimenti reali alla teoria delle interferenze mentali. Presentazione di un caso. Parte IIdi Giulia M. D’Ambrosio e Duccio Calamandrei

Radioestesia e lettura dell’UniversoL’energia magnetica emanata da qualsiasi corpodi Stefano Delle Rose

La gemellaritàFunzione e ragione ultima di questa dimensione dello spiritodi Hoseki Vannini

La “Scienza Sacra” dei costruttori di megalitiParte Idi Marisa Grande

Anticipazioni Runa Bianca numero 3 settembre 2011

Tutti i diritti di riproduzione degli articoli pubblicati sono riservati. Manoscritti e origi-nali, anche se non pubblicati, non si restituis-cono. Il loro invio implica il consenso gratuito alla pubblicazione da parte dell’autore. È vi-etata la riproduzione anche parziale di testi, e fotografie, documenti, etc. senza il consenso scritto dell’autore e della rivista Runa Bianca. La responsabilità dei testi e delle immagini pubblicate è imputabile ai soli autori.

Vincenzo Di GregorioLilly Antinea AstoreEnrico BaccariniAndrea Critelli

Alessandro BertirottiAlfonso RubinoClaudio Piani Diego BaratonoDuccio CalamandreiEnrico CalzolariFabio TruppiFrancesco ArduiniGabriele Rossi OsmidaGiulia M. D’Ambrosio Giuseppe Di StadioHoseki VanniniMarco MarafanteMario MoiraghiMarisa GrandeMauro BiglinoMichele MorettiniNikola DuperStefano Delle RoseTullia Parvathi TurazziYuri Leveratto

Andrea Critelli

Per contattare la redazione, collaborare, segnalare libri,

eventi potete scrivere [email protected]

www.runabianca.it

COMITATO REDAZIONALE

SVILUPPO E PROGETTO GRAFICO

HANNO COLLABORATO

SOMMARIOAGOSTO 2011 | N.2

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Francesco Arduini

DISPONIBILEIN LIBRERIA

La ricerca italiana dell’ArcaLibro-intervista con l’intento di esporre in maniera sistematica le

informazioni e i risultati che ha raggiunto in più di venticinque anni di ricerche sul monte Ararat.

Sulle tracce di NoèAngelo Palego e la Montagna dell’Arca

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Runa Bianca 5Agosto 2011 | n.2

Siamo al terzo numero di Runa Bianca (anche se il numero 0 ho il sospetto abbia rovinato per sempre la crono-

logia). Anche questa volta vi sono grandi no-vità, grandi nomi e grandi contenuti. Il mese di luglio ha visto lo scendere in campo della nostra redazione non solo come testata “gior-nalistica” ma come vera protagonista della ri-cerca. Dopo l’ultimo articolo pubblicato sulle piramidi bosniache, abbiamo deciso di recarci sul posto con alcune attrezzature per indagini non invasive, al fine di renderci conto perso-nalmente su alcune delle ricerche che stava-no svolgendosi in Bosnia. Con nostra grossa sorpresa ci siamo imbattuti in una “anomalia” molto particolare posta nel sottosuolo dei tunnel di Ravne. Il sospetto che sia una se-poltura di personaggi molto importanti verrà confermato solo dopo che saranno conclusi gli scavi archeologici, che son subito iniziati. Runa Bianca ha immediatamente emesso un comunicato stampa a cui è seguito un artico-lo molto dettagliato, e forse prolisso. Ce ne scusiamo, ma abbiamo ritenuto che la sco-perta sia di portata storica, anche solo per il tipo di “struttura” che rimane, qualsiasi sia la sua funzione, un unicum mondiale a livello archeologico. Per la prima volta a Visoko si potrà disporre di materiale sicuramente da-tabile che servirà per scrivere o riscrivere un pezzo importante della storia europea. Ai pri-mi di settembre a Sarajevo verrà tenuta una conferenza sui risultati dei lavori effettuati in questo anno presso le piramidi bosniache. Ci auguriamo che per quella data si avrà una chiara e dettagliata relazione sulla vera natu-ra di questa struttura. In questo mese abbia-mo anche implementato i mezzi comunica-tivi della Runa Bianca. Si è voluto creare una sezione video da affiancare agli articoli scritti.

Il nostro intento è cercare di comunicare con suoni e immagini alcune emozioni che non si possono trasmettere con la “carta stampata”. L’esperimento di questo mese è stato appli-cato su due articoli: quello della “spada nella roccia” di San Galgano, e quella dell’anomalia rinvenuta a mezzo di un georadar nei tunnel di Ravne. Nel video di San Galgano si è pensa-to di comunicare la storia “umana” dello scrit-tore, raccontando il suo percorso personale che lo ha portato da “semplice” ingegnere a storico prima e scrittore medievalista dopo. Una ricerca lunga e sofferta che è durata oltre un decennio e che ancora oggi può riservare delle sorprese inaspettate… a volte indagare nel nostro passato diventa un modo per co-noscere il nostro futuro. L’altro video riguarda la scoperta dell’anomalia bosniaca. In questi video, che vedono come soggetti due prota-gonisti di questa indagine, la cosa più note-vole non è tanto l’eccezionalità dell’evento, quanto l’emozione dello stesso. Entrambi i video son stati girati quasi in diretta dentro i tunnel di Ravne a pochi minuti dall’individua-zione dell’anomalia. La luce è quella di una torcia che si faceva passare da mano in mano, ed i sorrisi, la voce tremolante è la chiave di lettura del perché esiste questo eMagazine. Nessuna ricompensa economica attende uno solo dei protagonisti di quei video, ma solo la passione che quando raggiunge questi livel-li, non può non portare frutto. La passione è il “fuoco sacro” che spinge tutti noi a fare sempre più e sempre meglio... e la qua-lità alla lunga “paga” sem-pre. Quindi... buona lettura del numero di agosto della Runa Bianca.

Arch. Vincenzo Di Gregorio

Non c’è due senza tre...tempo di lettura 4 minuti

EDITORIALEdi Vincenzo Di Gregorio

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Runa Bianca 7Agosto 2011 | n.2

Scoperta tomba anomala presso la Piramide del Sole a Visoko in Bosnia-Erzegovina

Il 22 luglio è stata scoperta una tomba, di una tipologia mai vista prima, all’in-terno di uno dei tunnel Ravne nei pressi

della Piramide del Sole del famoso gruppo di piramidi scoperte nel 2005 a Visoko (Bosnia-Erzegovina).

La Fondazione Bosniaca (Archaeological Park: Bosnian Pyramid of the Sun), che cura gli scavi sulle piramidi a Visoko, si avvale da poco più di un anno della collaborazione di un gruppo italiano di ricerca (SB Research Group) capitanato dal Prof. De Bertolis dell’u-niversità di Trieste.

La settimana scorsa la redazione di Runa Bianca è stata contattata dal Prof. De Bertolis per avvalersi della collaborazione dell’Arch. Vincenzo Di Gregorio e di alcune apparec-chiature tra cui anche un georadar sofisticato costruito nelle officine di Pisa.

Già in passato negli stessi luoghi altri ave-vano tentato di scandagliare con dei georadar il terreno, ma con poca fortuna. Grazie invece al georadar in dotazione e con l’esperienza di Di Gregorio si è riusciti ad individuare un’ano-malia posta sotto il piano di calpestio di un tratto dei tunnel Ravne.

Ad un primo esame la struttura rilevata potrebbe essere una sepoltura composta da due corpi posti a profondità differenti: il pri-mo a 1, 5 metri di profondità ed il secondo a 3 metri. Due camere sovrapposte interamen-te in pietra con una morfologia simile a due rombi, al loro interno il tracciato del georadar

mostra delle aree bianche corrispondenti ad aria. Si può presumere la presenza di due sal-me sospese nel mezzo. Le dimensioni delle sepolture risultano essere quelle canoniche di 1 x 2 metri circa. La profondità dell’intero complesso però arriva a circa 4, 3 metri.

Gli scavi sono iniziati il 25 luglio e sono tutt’ora in corso. Se venisse accertato che la struttura sia realmente una sepoltura doppia

Le notizie più interessanti dal webtempo di lettura 44 minuti

NEWSa cura di Enrico Baccarini

ARCHEOSTORIA

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sarebbe un unicum nella storia dell’archeo-logia. La struttura a “rombi” contrapposti evi-denziata dal tracciato del georadar, e illustrata da uno schizzo prospettico 3D indicativo, non è stata sinora mai osservata in un complesso funerario. Poiché la metodologia di sepoltura è strettamente connessa alla cultura del po-polo che l’ha creata, questa particolarissima tomba potrebbe gettare luce su un periodo storico poco conosciuto e addirittura su di un popolo probabilmente ancora sconosciuto.

Da studi effettuati con tecniche non in-vasive dallo staff della redazione della rivista Runa Bianca è emerso altresì che la tomba è intatta, e quindi se arricchita da un corredo fu-nerario, lo stesso è in loco esattamente come è stato messo dai suoi costruttori. Lo studio del corredo funerario servirà, forse per la pri-ma volta, per ottenere importantissime infor-mazioni sugli utilizzatori dei tunnel di Ravne, del loro periodo, della loro cultura e della loro religione, che si sospetta fosse legata al culto della madre terra e per questo avessero scel-to dei tunnel per deporre i loro personaggi di maggior spicco.

Ai primi di settembre a Sarajevo verran-no comunicati i risultati dei lavori effettuati quest’anno presso le piramidi bosniache, e la redazione di Runa Bianca con questa sua ec-cezionale scoperta, avrà un posto di rilievo in questo convegno.

Per maggiori informazioni e aggiorna-

menti si può contattare la redazione di Runa Bianca all’indirizzo  [email protected] oppure visitare il sito www.runabianca.it e www.antikitera.net che seguiranno da vicino lo sviluppo della scoperta.

Antikitera.net26 luglio 2011

Scoperta nel Lazio antica montagna sacra

Una montagna sacra nel cuore dell’E-truria, dove, nell’età del bronzo, si offrivano voti agli dei pagani e si

bruciavano oggetti sacri in loro onore. Han-no portato alla luce questo gli archeologi dell’università Sapienza di Roma e della so-printendenza ai Beni archeologici dell’Etruria meridionale sul monte Cimino, in provincia di Viterbo. La scoperta, «una delle più impor-tanti della protostoria del Lazio», con reperti risalenti al 1000 a.C., è stata illustrata oggi sul luogo del ritrovamento in località La faggeta, a Soriano nel Cimino. Sulla sommità del mon-te, a oltre mille metri di altezza, tra i faggi, negli ultimi tre anni l’equipe degli archeolo-gi, coordinati dal professor Andrea Cardarelli, ha condotto gli scavi portando alla luce «una serie di stratificazioni di materiali derivanti da

a cura di Enrico BaccariniNEWS

8 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

ARCHEOSTORIA

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roghi cultuali». Una «chiara evidenza votiva», secondo il

docente della Sapienza, perchè, spiega, «le attività religiose del mille avanti Cristo pas-savano proprio attraverso il fuoco. Venivano bruciate offerte per gli dei: oggetti sacri, cibo o animali». Gli scavi stanno portando alla luce anche una recinzione muraria che circonda tutto il monte Cimino, anch’essa risalente all’età del bronzo. «Sono tante le domande che questi scavi ci hanno suscitato - spiega Laura D’Erme della Sovrintendenza ai Beni archeologici dell’Etruria meridionale -: qua-li rapporti intercorrevano tra gli abitanti del monte Cimino e la vicinissima comunità di Soriano? La montagna era abitata dalla classe dominante? Era questo il punto di riferimento religioso dell’Etruria?». Entusiasta della sco-perta il neo sindaco di Soriano nel Cimino, Fa-bio Menicacci, che commenta: «Abbiamo un territorio ricco di reperti archeologici, dalla preistoria all’archeologia industriale. Questa è la terza campagna di scavi che continuere-mo a sostenere con risorse sempre maggiori. Ci stiano attivando affinchè i reperti restino a Soriano. Il mio sogno è realizzare su questa montagna un sito archeologico aperto, che si possa visitare e diventi un volano per il turi-smo della zona».

ANSA26 luglio 2011

Scoperto un mosaico sotto le Terme di Adriano

Colle Oppio delle meraviglie. Un nuovo Apollo emerge dalle viscere del colle. Per Roma è un evento, un

nuovo eccezionale ritrovamento a due passi dalla Domus Aurea, dal Colosseo e dall’area archeologica centrale. Un mosaico di grandi dimensioni.

L’eccezionale manufatto è riaffiorato non lontano dall’affresco della «Città Dipinta», che era stato trovato nel criptoportico traianeo nel febbraio del 1998.

L’area è ancora quella del fortunato tun-nel traianeo, il mosaico ha al centro le figure di Apollo e delle muse. E proprio Apollo era il dio raffigurato in grande evidenza con una statua nell’affresco della città ideale grande una decina di metri quadri.

Siamo sotto la grande esedra del comples-so termale ideato per Traiano nel 109 dell’e-ra volgare dal geniale architetto Apollodoro di Damasco, la nuova scoperta riguarda con tutta probabilità un edificio precedente l’im-pianto traianeo.

È toccato agli archeologi della sovrinten-denza comunale guidati da Rita Volpe, che hanno in carico questa zone del sottosuolo traianeo adiacente alla Domus Aurea, sco-

a cura di Enrico BaccariniNEWS

Runa Bianca 9Agosto 2011 | n.2

ARCHEOSTORIA

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10 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

prire il gioiello del criptoportico. Il mosaico, proprio come il celebre affresco di «Apollo e le muse Clio e Euterpe» (I sec.) conservato a Pompei, o l’antico frontone del tempio di Luni conservato a Firenze, ritrarrebbe il dio della poesia e del Sole.

“Ci sono altri dieci metri da scavare in pro-fondità – aggiunge Giovanni Caruso, l’altro archeologo del comune – Tutto questo fa parte di un edificio di età Flavia coetaneo del-la Domus Aurea. Il piano di calpestio alla base insomma risale al 60 dell’era volgare. Sopra il criptoportico e il mosaico ci sono le terme di Traiano inaugurate nel 109 d.C.

Il criptoportico che in età moderna aveva ospitato una polveriera napoleonica è ogget-to di fortunate indagini dalla seconda metà degli anni ’90.

Fu lì infatti, nel febbraio del 1998, che in fondo alla lunga galleria di sessanta metri (larga otto) fu riportato alla luce il celebre affresco a volo d’uccello di una città che fu presto definita «Città Dipinta» e che secondo l’immaginifico critico d’arte Federico Zeri ac-corso a vederlo avrebbe potuto rappresenta-re perfino l’antica Londinum (Londra).

L’affresco lasciò senza fiato la prima che lo vide, l’archeologa Elisabetta Carnabuci: la rappresentazione di una città , con la sua cerchia di mura turrite, mostrava sulla sinistra l’azzurro di un fiume attraversato da un ponte e con i camminamenti esterni.

In basso un mausoleo dai toni dorati e una fila di case rosse, vicino un quadriportico co-lonnato e sul limite destro un tempio ed altri edifici su un’altura. Al centro della città infine una statua dorata di dimensioni colossali po-sta all’incrocio tra due strade.

E ancora: un teatro, accanto al quale ecco svettare una statua d’Apollo su alto basamen-to. Lo stesso dio raffigurato nel soggetto del mosaico appena scoperto, che segue di 6 anni il rinvenimento di un altro importante pavimento a tessere.

Per ulteriori informazioni vedere qui e qui, mentre questo è il link specifico del Ministero dei Beni Culturali.

Il Fatto Storico31 luglio 2011

Molte statue menhir trovate in un muro in Sardegna

La sorprendente scoperta nella campa-gna sarda di un piccolo muro a secco fatto interamente di pietre erette rot-

te, molte delle quali scolpite con figure uma-ne stilizzate, potrebbe rendere il sito presso Cuccuru e Lai, nei pressi di Samugheo, uno dei più importanti santuari preistorici dell’i-sola.

Mauro Perra, archeologo direttore del Museo Villanovaforru, ha detto che il ritrova-mento potrebbe essere importante come le statue del Monte Prama, una scoperta unica con enormi valori storici e scientifici.

I menhir rotti risalgono all’età del rame, o circa 5000 anni fa, e si identificano perfet-tamente sul muro a secco, come essi sono stati spezzati probabilmente circa 70 anni fa, quando fu costruito il muro.

Gli archeologi iniziarono a studiare l’area negli anni novanta, quando fu fatto uno sca-vo nei pressi di una tomba di giganti a Paule Lutturi; poi, nell’agosto del 2008 hanno tro-vato una serie di statue-menhir (pietre eret-te scolpite con tratti umani). Infine, in questo mese di luglio un nuovo scavo ha portato alla

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ARCHEOSTORIA

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Runa Bianca 11Agosto 2011 | n.2

scoperta di circa 300 pezzi di pietre erette rot-te.

“Intorno al III millennio a.C., i menhir antro-pomorfi si diffusero in tutta Europa. In Sarde-gna si possono trovare a Mandrolisai, Bariga-du, a Laconi e Isili - in ogni area hanno i propri tratti simbolici. Alcune delle pietre scoperte a Samugheo hanno scolpiti volti, figure umane stilizzate e rovesciate a forma di u e un fregio centrale, con una griglia o un disegno a spina di pesce, “ ha dichiarato Mauro Perra.

Su alcune delle statue scoperte di recente c’è anche un pugnale intagliato. “Questo è ti-pico delle pietre scolpite trovate nelle Alpi, “ ha detto il signor Perra. “È lo stesso disegno trovato sui menhir della Lunigiana. “Questo significa che la Sardegna preistorica non era una piccola isola isolata, ma un luogo che era parte di un più ampio movimento culturale”, ha aggiunto.

Alcuni dei simboli scolpiti sulle pietre tro-vati presso Cuccuru e Lai sono completamen-te diversi da quelli delle pietre di Laconi. “Il vero significato dei simboli è ancora scono-sciuto, ma queste pietre erette possono ben essere marcatori territoriali, “ Perra ha detto. Le pietre più alte scoperte hanno circa 1, 20 m di altezza, ma la stragrande maggioranza è malamente rotta. Ora l’obiettivo delle autori-tà locali e della Soprintendenza Archeologica è di organizzare un laboratorio per consenti-re agli esperti di ripristinare le pietre rotte.

L’Unione Sarda1 Agosto 2011

Svelata la funzione del misterioso oggetto egizio recuperato nel 1906

Un oggetto misterioso, recuperato da una tomba egizia, ha sconcertato gli archeologi per anni. L’oggetto è sta-

to trovato nella tomba di Kha antico architet-to egiziano che ha aiutato a costruire le tom-be dei Faraoni ‘intorno al 1400 a.C. Nel corso degli anni è stato studiato nei minimi dettagli ma nessuno è stato in grado di determinare

esattamente la funzione per cui il dispositi-vo fu creato, ma ora il fisico Amelia Sparavi-gna, Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino, suscitando un mare di polemiche, ha suggerito che potrebbe essere il più vecchio goniometro mai conosciuto al mondo. L’ar-chitetto Kha contribuito a costruire le tombe dei faraoni durante la 18° inastia, intorno al 1400 a.C. La sua tomba fu scoperta intatta nel 1906 dall’archeologo Ernesto Schiaparelli a Deir-al-Medina, vicino alla Valle dei Re.

Express News1 Agosto 2011

Ceramica lapita trovata alle isole Fiji

Per la prima volta, ceramica Lapita è stata scoperta a Vanua Levu, la se-conda isola dell’arcipelago delle Fiji,

un tempo conosciuta come l’Isola del legno di sandalo. La ceramica data al 1100 a.C. ed è stata trovata nell’Isola Vorovoro Island presso Labasa.

L’archeologo capo del Museo di Fiji, Sepeti Matararaba, ha detto che si riteneva che Bou-rewa in Nadroga fosse il primo insediamento umano delle Fiji, ma che questa nuova sco-perta a Vorovoro indica che i primi abitanti non si stabilirono solamente a Baurewa ma si dispersero, popolando anche Vorovoro. Ma-tararaba ha aggiunto che un professore della Simeon Fraser University con alcuni studenti sta compiento una raccolta in superficie della ceramica a Vanua Levu.

Fiji Village e Antikitera.net1 agosto 2011

Luogo sacro dell’Età del Bronzo in Italia Centrale

Archeologi italiani hanno trovato una montagna sacra, dove gli Etruschi adoravano i loro dèi e bruciavano

a cura di Enrico BaccariniNEWS

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12 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

oggetti consacrati in loro onore, nell’Età del Bronzo (3000 anni fa). Esperti della Soprin-tendenza Archeologica dell’Etruria meridio-nale e dell’Università La Sapienza di Roma hanno scoperto il sito sul Monte Cimino pres-so Viterbo, 80 km a nord di Roma. La scoperta è considerata una delle più importanti per la storia antica della region, con resti archeolo-gici risalenti al 1000 a.C.

Gli archeologi, diretti dal Professor Andrea Cardarelli della Sapienza, hanno condotto scavi sulla cima, a 1000 m di quota, per gli ultimi tre anni. Cardarelli ha detto che sono stati trovati numerosi materiai, connessi ai fuochi cultuali e ‘l’evidenza di offerte votive’. “Le attività religiose, 1000 anni a.C., compor-tavano il sacrificio col fuoco, “ egli afferma. “Le offerte erano bruciate in onore degli dèi - og-getti sacri, cibi o animali”. Sono stati trovati anche i resti di antiche mura che cingevano la montagna.

“Questi scavi hanno sollevato parecchi in-terrogativi, “ dice Laura D’Erme della Soprin-tendenza archeologica. “Quali rapporti intrat-tenevano gli abitanti del Monte Cimino con la vicina comunità di Soriano? Forse la monta-gna era abitata dalla classe dirigente? Era un riferimento religioso per l’intera Etruria”?

ANSA1 Agosto 2011

Il comasco che rubò la “Gioconda”

Chi ha portato la Gioconda in Fran-cia, che ora il Louvre si rifiuta di prestare agli Uffizi? È radicata con-

vinzione che sia stato Napoleone. E invece il celeberrimo dipinto è arrivato in Francia proprio con Leonardo, mentre muoveva alla volta di Francesco I al quale, nel 1517, l’avrebbe venduta per 4mila scudi d’oro. Ma della pista napoleonica era convinto un comasco, Vincenzo Peruggia, che voleva re-stituire Monna Lisa all’Italia. Giusto cent’anni fa decise di rubare il dipinto e ci riuscì. Era uno stuccatore e decoratore impegnato in restau-

ri proprio nel museo parigino con una squa-dra di operai del Comasco. Giustificò l’impre-sa quale naturale ed ovvia restituzione all’I-talia di opere d’arte sottratte a suo tempo da

Napoleone Bonaparte come bottino di guer-ra durante le sue campagne militari in Italia.  Ogni lunedì il Louvre era chiuso al pubblico, ma pieno di artisti autorizzati a copiare le opere dei grandi maestri, di critici e di ope-rai addetti alle manutenzioni. La mattina del 21 agosto 1911 Peruggia esce di casa alle 7.15, evitando la pettegola portinaia e pas-sando poi sotto il naso del custode del mu-seo, che sonnecchia, e punta al Salon Carrè. A passo sicuro e ignorando altri capolavori assoluti esposti nella galleria parigina - come quelli di Veronese, Rubens, Raffaello e Tizia-no - si impadronisce lesto della Gioconda, appesa fra un Giorgione e un Correggio. La porta al piano di sopra attraverso una scala

a cura di Enrico BaccariniNEWS

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Runa Bianca 13Agosto 2011 | n.2

di servizio, toglie la cornice, nasconde la pic-cola tavola sotto il suo camiciotto da lavoro e torna a casa nella vicina Rue de l’Hôpital Saint Louis. Lì nasconde il dipinto sotto il piano di un tavolino grande poco più dell’o-pera (77x53 centimetri). Sono le 9 quando si riprecipita al Louvre e si mette al lavoro, men-tre alcuni notano l’assenza dell’opera, ma pensano che sia nello studio del fotografo.  Quando la faccenda si chiarisce, si scatena un putiferio, ma il direttore dei Musei na-zionali è in vacanza, il ministro dell’Istruzio-ne al mare e il sottosegretario alle Belle arti, Dujardin-Beaumetz, lasciando l’ufficio, ha dato disposizioni di non essere disturbato.  Arrivato in campagna trova un telegram-ma che annuncia il furto inatteso, pensa a uno scherzo e non ci fa caso. Il giorno dopo “Le Figaro” sbraita: «La Joconde a dispa-ru». Le indagini sono colossali, con ben 1.350 sospettati (tra i quali Picasso e Apol-linaire). Viene sentito anche Peruggia, poi viene fatta una perquisizione a sorpresa nella sua casa: il comasco accoglie gelido gli agenti e li lascia rovistare, inutilmente.  Appena arrivato in Italia, si mette in contat-to con un antiquario fiorentino per ricon-segnare l’opera agli Uffizi. Ingenuo, pro-babilmente credeva di aver fatto bene e si aspettava persino una ricompensa: una pensione o un lavoro in un museo italiano come stuccatore o decoratore. La vicenda gli fruttò invece un anno e 15 giorni di carcere. Chi era questo eroe dei nostri tempi? Nato a Dumenza (all’epoca in provincia di Como) l’8 ottobre del 1881 ed emigrato in Francia nel 1909, Peruggia, dopo essersi adattato a ogni lavoro, fu assunto come imbianchino e prestò servizio in alcuni appalti al Louvre, grazie a un diploma di disegnatore di ornato. Nel 1911 compì il furto che lo rese celebre (negli anni seguenti spesso regalava in giro cartoline con stampata la Gioconda) ma venne presto chiamato a fare il soldato e finì prigioniero. Dopo il conflitto si sposò e tornò in Francia, dove morì di infarto l’8 ottobre del 1925, gior-no del suo compleanno e anche della moglie Annunciata (lei aveva 29 anni, Vincenzo 44). Al quotidiano francese “Excelsior”, che l’in-tervistò il 13 dicembre 1913, giorno del suo

arresto, Peruggia - con il narcisismo tipico di tanti artisti - dichiarò: «Ho rubato la Giocon-da perché sono pittore, italiano e futurista. Mi propongo di sostituirla con il quadro di un milanese. Questo maestro sono io; il quadro, un capolavoro, si chiama “Il caos dell’auto-bus”. Il tema fu celebrato da Filippo Tomma-so Marinetti in un delizioso poema. Non ho ancora potuto mettere il progetto in esecu-zione, perché se è facile far sparire una tela dal Louvre, vi sfido a farne entrare una sola».  La figlia aveva all’epoca poco più di un anno. La moglie sposò poi nel 1927 il fratello di Vincenzo, Ernesto, che morì nel 1947 men-tre i giornali titolavano «È morto il ladro della Gioconda», creando una certa con-fusione e qualche imbarazzo. Il film girato da Castellani nel 1978 riportò questi dati errati e fece morire l’uomo solo e alcolizza-to, mentre Vincenzo morì a Saint Maur des Fosses. In un altro recente film, L’uomo che rubò la Gioconda, è Alessandro Preziosi a interpretare il ladro e assistiamo a un’altra falsificazione: qui il Peruggia ruba il quadro per dimostrare il suo amore a una ragazza. Tra i libri che si possono leggere sull’argo-mento segnaliamo Ho rubato la Gioconda di Pietro Macchione, che ne è anche editore e ha da poco ristampato l’opera in versione ag-giornata.

Lorenzo Morandotti

Il Corriere di Como31 luglio 2011

L’origine delle ali degli insetti

Avrebbero avuto origine da placche della regione toracica, con il reclu-tamento di geni delle zampe per

regolarne lo sviluppo .Un nuovo ordine di insetti dal Cretaceo in-

feriore del Sud America è stato scoperto da un gruppo di ricercatori del Museo di storia naturale di Stoccarda, che ne riferiscono in un articolo pubblicato su un numero monografi-co dedicato agli insetti del Cretaceo della rivi-

a cura di Enrico BaccariniNEWS

SCIENZA

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14 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

sta Insect Systematics&Evolution.Grazie al fatto che a essere stati scoperto

sono stati sia esemplari adulti alati sia larve, tutti ottimamente conservati, Arnold H. Sta-niczek, Günter Bechly e collaboratori sono stati in grado di chiarire la posizione filogene-tica di questi animali che rappresenterebbero gli antenati estinti delle attuali effimere.

I Coxoplectoptera differiscono tuttavia in modo significativo sia dalle effimere e sia da-gli altri insetti alati. Forniti di venature delle ali simili a quelle delle effimere, di un torace e di ali che ricordano quelle delle libellule e zampe che richiamano quelle delle mantidi, religiose, questi insetti alati sembrano un mo-saico di vari animali. Le larve ricordano invece i gamberetti d’acqua dolce.

Per quanto riguarda il loro stile di vita vi sono alcuni aspetti enigmatici. Diverse ca-ratteristiche anatomiche e del sito di ritrova-mento sembrano suggerire con forza che essi vivessero in un habitat fluviale, mentre la loro singolare anatomia fa pensare che fossero dei predatori, che con molto probabilmente, a dispetto delle ali di cui erano dotati, si na-scondevano all’interno di buche scavate nel letto dei fiumi.

La scoperta di questi nuovi organismi - os-servano i ricercatori - può fornire importanti indizi per chiarire l’origine evolutiva delle ali degli insetti, un tema ancor oggi alquanto controverso. Gli scienziati presumono che le ali abbiamo avuto origine da placche della regione toracica, con il reclutamento di geni delle zampe per regolarne lo sviluppo.

Corriere della Sera21 luglio 2011

Ragni enormi e invulnerabili in Groenlandia

L’inglese The Register riferisce di un’équipe scientifica danese che ha rilevato come i giganteschi aracnidi

carnivori della Groenlandia conosciuti come “ragni lupo” (Pardosa glacialis) hanno da qual-che tempo preso ad aumentare le proprie di-

mensioni medie - presumibilmente a causa del riscaldamento terrestre - fino a dieci per-cento l’anno. La testata calcola che, se doves-se proseguire la tendenza, tra cinquant’anni saranno dei bestioni grandi come delle ca-mionette. Peggio, saranno anche coperti di una resistentissima armatura, superiore a quella attualmente in uso sui mezzi militari, dello spessore di 26 cm, praticamente invul-nerabile alle armi leggere.

The Register e Antikitera.net30 luglio 2011

Ritornano animali estinti

L’inglese Daily Mail riferisce dell’ecces-sivo entusiasmo con cui la comunità scientifica conferma l’avvenuta estin-

zione di intere razze d’animali. Secondo uno studio citato dalla testata, circa un terzo di tutte le specie di mammiferi dichiarate estin-te rispuntano poi vive e vegete. Il caso più re-cente nell’ordine del tempo riguarda l’okapi,

a cura di Enrico BaccariniNEWS

SCIENZASCIENZA

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Runa Bianca 15Agosto 2011 | n.2

una sorta di cugino più basso della giraffa che vive nell’Africa centrale. Considerato estin-to da 80 anni, l’animale è riapparso quattro anni fa. Pare fosse più timido che scomparso. Altri casi riguardano il solenodonte cubano, una sorta di gigantesco toporagno; la volpe volante di Vanikoro delle Isole Salomone, un raro pipistrello; il ratto centrale della roccia, un piccolo roditore dell’Australia; e altri anco-ra. Hanno in comune, a quanto pare, la scarsa voglia di farsi contare dagli scienziati.

Daily Mail e Antikitera.net27 luglio 2011

Pianta carnivora che mangia ratti

Il Daily Mail ha dato notizia della scoper-ta nelle giungle delle Filippine di una pianta carnivora capace di inghiottire e

digerire - interi - ratti e altri roditori. La pian-ta, con vistose macchie di colore popora e a vaga forma d’imbuto, intrappola le prede nel fluido che raccoglie al suo interno, dove pri-ma annegano e poi vengono digerite dagli acidi e enzimi che l’organismo secerne. I suc-chi digestivi disciolgono le parti molli delle vittime, lasciando solo le ossa. Al vegetale è stato dato il nome di Nepenthes attenborou-ghii in onore del noto divulgatore scientifico inglese Sir David Attenborough, che si è di-chiarato “assolutamente lusingato” dal rico-noscimento.

Daily Mail e Antikitera.net31 luglio 2011

I computer del futuro? Grafene invece che silicio

La scoperta che vale un Nobel: un ma-teriale derivato dalla grafite (quella delle matite) con proprietà superiori.

La Silicon Valley è ormai sorpassata e quel nome che indicava fino a poco tempo fa il

cuore dell’innovazione tecnologica potreb-be presto essere sostituito dalla  Graphene Valley . Sì perché i nuovi pc potrebbero man-dare in pensione il silicio per far posto al gra-fene, leggero e incredibilmente più resistente dell’acciaio, straordinario conduttore di elet-tricità e di calore e duro, durissimo. Più dei diamanti. Non solo: la nuova generazione di computer e smartphone composti da questa leggerissima sostanza sarebbe anche meno affamata di energia.

GRAZIE A DUE FISICI RUSSI - Un tempo la parola grafene faceva pensare alle mine delle matite, costituite da grafite. Ma da quando, nell’ormai lontano 2004, i ricercatori dell’Uni-versità di Manchester Andre Geim e Konstan-tin Novoselov sono risusciti a ricavare dalla grafite il grafene, questo miracoloso materia-le è stato incoronato ufficialmente erede del silicio. È costituito da una molecola bidimen-sionale di atomi di carbonio, viene utilizzato nei semiconduttori e in futuro i processori al grafene potrebbero essere molto più leggeri, piccoli e soprattutto più veloci degli attuali. Geim e Novoselov si sono aggiudicati un No-bel per la scoperta e la notizia non sorprende.

GLI ESPERIMENTI DEL VENERDI’ SERA - Le università di mezzo mondo sono già al lavo-ro per mettere a punto apparecchiature con l’innovativo materiale, come per esempio computer touchscreen, abbandonando com-pletamente il silicio. La coppia di scienziati, che ha lavorato gomito a gomito per un de-cennio (Novoselov era uno studente di Geim), era solita dedicare ogni venerdì sera ad espe-rimenti fuori dagli schemi, non strettamente correlati ai loro compiti principali. E proprio durante una di queste serate i due hanno usato del normale nastro adesivo per rimuo-vere dei sottili strati di carbonio da un pezzo di grafite e si sono ritrovati tra le mani un ma-teriale costituito da uno strato monoatomi-co (vale a dire con uno spessore equivalente alle dimensioni di un solo atomo) di atomi di carbonio. Secondo Novoselov, nonostante le interessanti proprietà fisiche scoperte nel corso della sperimentazione possano avere un immediato uso pratico nello sviluppo di apparecchiature elettroniche, «un’ulteriore comprensione delle capacità elettroniche

a cura di Enrico BaccariniNEWS

SCIENZA

SCIENZA

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16 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

di questo materiale rappresenterà un passo avanti verso la totale sostituzione del silicio».

Emanuela Di Pasqua

Il Corriere della Sera25 luglio 2011

Il Nobel Montagnier: “Il dna si teletrasporta da cellula a cellula”

Una ricerca dello scienziato francese dimostrerebbe che i geni viaggiano sulle onde elettromagnetiche. Ma

non tutti sono d’accordo. Il 1953 è stato l’anno della scoperta della conformazione a doppia elica. Il 1968 quello degli enzimi di restrizio-ne, capaci di tagliare il dna in particolari pun-ti. Nel 1983 Kary Mullis ha inventato la PCR, un sistema per riprodurre velocemente copie identiche di un segmento di dna. Il 2001, poi, è stato l’anno del sequenziamento del geno-

ma umano. Il 2011, invece, potrebbe essere l’anno della scoperta delle pro-prietà elettroma-gnetiche del dna. In questi giorni, infatti, il premio nobel Luc Monta-gnier ha reso pub-blici gli ultimi risul-tati di una ricerca potenzia lmente rivoluzionaria su come il dna sa-rebbe in grado di “teletrasportarsi”

tramite emissioni elettromagnetiche. L’ipote-si dello scienziato francese è che i singoli fila-menti di dna (e, volendo, anche i singoli geni) sono in grado di emettere onde elettroma-gnetiche che si propagano attraverso la for-mazione di nanostrutture d’acqua. Non solo, questa proprietà permetterebbe ad alcuni microorganismi di infettare cellule a distanza, con un processo che ricorda il teletrasporto.

Ma partiamo dall’inizio: la dimostrazione delle proprietà elettromagnetiche del dna.

Lo strumento utilizzato dalla squadra di ricerca consiste in un solenoide all’interno del quale viene alloggiata una provetta con-tenente la soluzione biologica da analizzare. Il materiale biologico viene eccitato elettro-magneticamente e i segnali risultanti vengo-no catturati e amplificati tramite computer. I risultati registrati sono senza precedenti: le soluzioni biologiche ricavate da colture cellu-lari batteriche e virali emettono onde elettro-magnetiche a bassissima frequenza (tra i 500 e i 3000 Hz), e i medesimi risultati vengono ottenuti analizzando il solo dna estratto da-gli stessi microorganismi. Non solo, si è anche notato che le emissioni elettromagnetiche non dipendono dalla quantità di cellule uti-lizzate nella coltura, e che anche singoli geni sono in grado di produrre simili emissioni.

Va bene, questo significa che le singole molecole di dna, se sottoposte a eccitazione elettromagnetica, sono in grado di riemette-re segnali captabili: ma come si arriva al tele-trasporto di dna da una cellula all’altra? È qui che interviene l’elemento più provocatorio (e controverso) dello studio di Montagnier. I ricercatori hanno notato che le emissioni del dna provocavano cambiamenti nelle nano-strutture dell’acqua. Successivamente hanno dimostrato che queste emissioni potevano influire anche sulle nanostrutture una solu-zione acquosa priva di elementi biologici. Ipotizzando che queste specifiche nanostrut-ture potessero fungere da impalcatura per la riproduzione della molecola emittente, han-no inserito nella provetta contenente acqua gli elementi necessari alla sintesi di dna (enzi-ma polimerasi, nucleotidi e primer).

Quando sono andati ad analizzare il dna prodotto, hanno trovato sequenze per il 98% identiche a quelle originali.

Sostanzialmente, dunque, il dna sarebbe in grado di trasferire informazioni sulla pro-pria struttura attraverso l’acqua, al punto da poter ricostruire la molecola in un altro am-biente acquoso. Una scoperta del genere sarebbe già sufficiente a fare scalpore, ma a Luc Montagnier non basta. Il virologo Premio Nobel arriva a ipotizzare che questa proprietà

a cura di Enrico BaccariniNEWS

MISTERO

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Runa Bianca 17Agosto 2011 | n.2

venga utilizzata dai microrganismi per infet-tare altre cellule. “ Dobbiamo supporre che in presenza di cellule eucariote la sintesi dei componenti del micoplasma (lipidi di mem-brana, ribosomi) possa essere istruita dal dna del micoplasma”, spiega Montagnier , “ Un’u-nica cellula di micoplasma è, quindi, sufficien-te a generare l’infezione totale dei linfociti”. Affermazioni come questa hanno creato non poche perplessità all’interno della comuni-tà scientifica. Alcuni, come il chimico Derek Lowe, sostengono che la tesi di Montagnier non è supportata da una quantità sufficiente di dati e da prove incontrovertibili di riprodu-cibilità.

Nel frattempo, la squadra di Montagnier sta già ipotizzando applicazioni mediche di questa scoperta, principalmente nell’ambi-to dello studio dell’HIV. Per saperne di più, è possibile consultare il paper fornito dall’Uni-versità di Milano Bicocca.

traduzione di Fabio Deotto per Mysterium

Daily Wired 27 luglio 2011

UFO invisibili? Non all’occhio elettronico

Il  fenomeno UFO  ha un’unica origine? Indipendentemente dalle personali con-vinzioni sull’ipotesi aliena è un dato di

fatto che le diversità, in ogni tipo di avvista-mento, sono spesso così nette da far sorgere il sospetto su come l’ufologia presenti sfuma-ture diverse. In un’ inchiesta in quattro pun-tate, l’ IngegnerDonatello Guerrera  espone i risultati di uno studio effettuato su un cam-pione di 57 avvistamenti. Casi direttamente o indirettamente indagati dal Centro Ufologico di Benevento  e  Centro Ufologico Mediterra-neo. Nella prima puntata dell’inchiesta sono stati sviscerati gli obiettivi della ricerca. Nella seconda puntata  invece, Guerrera si è mag-giormente focalizzato sulle varie forme che assumerebbero gli oggetti volanti in diversi avvistamenti. Una catalogazione esatta e pre-cisa è utopia, in quanto il fenomeno UFO è in

continuo aggiornamento e soprattutto esi-stono variabili imprevedibili. Anche per que-sto motivo lo studio dell’ Ingegner Guerrera si è ancorato ad un numero di avvistamenti contenuto e in un arco di tempo (tre anni) piuttosto delimitato.

Sembra di poter notare che anche i colori degli UFO tendono a variare di volta in vol-ta…

“I colori più comuni, per quanto riguarda le sfere, sono il bianco, il rosso l’arancione e il gial-lo e la luce emessa viene anche descritta come “pulsante” o “intermittente” e in qualche caso cambiano colore.

Spesso, i colori indicano i livelli di attività de-gli ufo e quelli di colore rosso o arancione fanno trasparire appunto una bassa attività, per cui gli ovni si vedono molto lenti o addirittura sta-zionari”.

Come mai, soprattutto di giorno, gli UFO non sarebbero facilmente percepibili da un occhio umano?

“Gli ufo, con la luce diurna, sono spesso di aspetto metallico e/o visibili solo in frequenze non percepibili dall’occhio umano, bensì solo da fotocamere e videocamere. Spesso tendo-no a “spegnersi” e ricomparire poco dopo. Per quanto riguarda gli oggetti discoidali si pre-sentano frequentemente di aspetto metallico, quindi di colore grigio. Una caratteristica co-mune per tutte le tipologie di avvistamenti è la totale assenza di rumore”.

Gli avvistamenti di massa sfuggono a que-sta catalogazione?

“Gli avvistamenti di massa sono decisa-mente più rari, come ad esempio è successo il 13 marzo 1997 a Phoenix, Arizona, in cui oltre 10.000 persone videro un oggetto a forma di “V” lungo circa 1500 metri, così grande da riu-scire a contenere quaranta aerei B2. È proprio grazie ai punti comuni di una miriade di testi-monianze, foto e filmati, che si riesce a fare un lavoro di catalogazione, ma attenzione, onde evitare fraintendimenti, questo non significa di certo che tutti gli avvistamenti vengono catalo-gati come di origine per forza di cose extraterre-stre o non convenzionale”. 

NotizieFresche31 luglio 2011

MISTERO

a cura di Enrico BaccariniNEWS

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Davide Ursi

DISPONIBILEIN LIBRERIA

Una linea sottile ma ben delineatache va da Gesù ai templari passando attraverso il leggendario Re

Artù raccontata all’autore da un personaggio misterioso incontrato a Rennes le Château. Un romanzo avvincente e ricco di spiritualità.

La linea dell’OrsoGesù, Maddalena, Re Artù, catari, templari

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Runa Bianca 19Agosto 2011 | n.2

Amedeo GuilletLa leggenda del comandante diavolo

La storia straordinaria di un uomo dai mille volti: ufficiale, agente segreto, ambasciatore, stalliere, acquaiolo,

scaricatore di porto e soprattutto guerriglie-

ro. Un uomo camaleontico, imprevedibile e temerario che per restare fedele al suo codice d’onore cambierà identità, patria e lingua. La sua avventura comincia con la disfatta fasci-sta in Africa orientale. GUARDA VIDEO >>

Scoperta probabile tomba nel tunnel Ravne

A pochi minuti dalla scoperta di un’a-nomalia nei tunnel di Ravne, Visoko (Bosnia) l’intervista al Prof. De Ber-

tolis del gruppo SB Research Group. Succes-sivamente, in merito alla scoperta effettuata il 22 Luglio nei tunnel di Ravne a Visoko (Bo-snia) l’intervista all’arch. Vincenzo Di Grego-

rio. Entrambi i video son stati girati dentro i tunnel di Ravne, la luce è quella di una torcia che si faceva passare da mano in mano, i sor-risi e la voce tremolante tradiscono l’emozio-ne dell’evento. Sulla scoperta più avanti l’ar-ticolo in queste stesse pagine di Di Gregorio.

GUARDA VIDEO 1 >>GUARDA VIDEO 2 >>

L’acqua che scorre sul suolo di Marte

Sul suolo marziano ci sarebbe acqua allo stato liquido che scorre durante la primavera e l’estate sui pendii del

Pianeta Rosso, per poi ritirarsi durante l’inver-

La videoteca virtuale di Runa Biancatempo di lettura 3 minuti

VIDEOa cura di Andrea Critelli

ARCHEOSTORIA

SCIENZA

ARCHEOSTORIA

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20 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

a cura di Andrea CritelliVIDEO

so. Acqua salata, capace di non trasformarsi in ghiaccio alle rigide temperature marziane, che disegna dei piccolissimi ruscelli. L’annun-cio della Nasa e le spettacolari immagini della scoperta. GUARDA VIDEO >>

Addio, Space Shuttle

Si chiude un capitolo dell’epopea spa-ziale, con il lancio della navetta ame-ricana Atlantis che segna la fine delle

missioni dello Space Shuttle. Una storia lunga trent’anni che ha conosciuto i suoi momenti di gloria e le sue tragedie. GUARDA VIDEO >>

La spada nella roccia

Intervista all’ing. Mario Moiraghi in meri-to alle vicende di San Galgano e a come le sue gesta fecero fiorire la leggenda di

re artù. Il percorso personale di Moiraghi che lo ha portato da “semplice” ingegnere a stori-co prima e scrittore medievalista dopo. Una ricerca lunga e sofferta che è durata oltre un decennio e che ancora oggi può riservare del-

le sorprese inaspettate. GUARDA VIDEO >>

A caccia di Azzurrina

Terra Incognita si spinge fino ai con-fini più labili e incerti della ricerca scientifica e, dopo gli oggetti volanti

non identificati, la nostra bussola punta ora in direzione del paranormale. Numerosi sono i castelli che in Italia ospiterebbero presenze non ben definite, ma uno in particolare sem-bra essere il fulcro di indagine di numerosi

gruppi di studiosi: il castello di Montebello, dimora della piccola Guendalina scompar-sa nel nulla nel 1375. Era albina e, per pro-teggerla dal pregiudizio popolare, la madre tentava di colorarle i capelli con pigmenti di natura vegetale con scarso successo, otte-nendo solo dei riflessi azzurri per la quale fu soprannominata da tutti “Azzurrina”. Grazie ad un permesso speciale, Terra Incognita ha potuto seguire Daniele Gullà e la sua squadra nelle indagini presso il famoso castello. Ecco i risultati che sono emersi durante le ricerche. GUARDA VIDEO >>

SCIENZA

MISTERO

MISTERO

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Runa Bianca 21Agosto 2011 | n.2

Archeologia e infrastruttureIl tracciato fondamentale della linea C della metropo-litana di Roma: prime inda-gini archeologiche

A cura di Roberto Egidi, Fedora Filippi e Sonia

MartoneleCasa Editrice Leo S.Olschki

p. 328, 2011, € 84,00

È questo un pri-mo rendiconto delle indagini ar-

cheologiche preventive svoltesi dal 2006 al 2009 lungo il Tracciato Fondamentale della nuova Linea C della me-tropolitana di Roma. La linea – progettata con lo scopo di migliorare la mobilità urbana – at-traversa quasi per intero una città complessa e ricca di beni culturali come Roma e ne inter-cetta inevitabilmente anche le preesistenze archeologiche esistenti nel sottosuolo; le Am-ministrazioni pubbliche competenti si sono dovute relazionare sul piano operativo con i soggetti incaricati dell’esecuzione, sia deter-minando innovative scelte tecnologiche nella fase delle indagini preliminari, sia obbligando a varianti anche sostanziali rispetto al proget-to originario.

In sostanza, si evidenzia qui l’importanza dell’«archeologia preventiva», ovvero l’an-ticipazione delle ricerche mediante scavi e sondaggi anche di limitata estensione già nel corso dell’elaborazione del progetto prelimi-nare, al fine di limitare eventuali scoperte for-

tuite. Si sono così potute affrontare ricerche altrimenti impensabili nel centro di Roma, con scoperte imprevedibili e talora anche di grande portata per l’urbanistica della città antica, soprattutto nel Campo Marzio, ai mar-gini di piazza Venezia e a ridosso del Foro di Traiano.

Lunigiana. Terra di templaridi Luigi Battistini e

Enrico Calzolari Marna

p. 184, 2006, € 20,00

In questo libro ven-gono presentate le tracce che i Templa-

ri hanno lasciato nella “Lunigiana storica”, terra posta fra la Pianura Pa-

dana e il Mar Tirreno, che nel Medioevo com-prendeva le valli della Magra e del Vara, le Cin-que Terre e la Versilia fino al castello Aghinolfi. Gran parte di queste tracce sono riconducibili alla “simbologia templare” e a conoscenze se-grete che qui vengono rivelate. La ricca pre-senza in loco di petroglifi contenenti simboli utilizzati dai Templari, spesso anche risalenti a epoche precedenti, ha consentito di costruire un vero e completo “corpus epigrafico”, finora mai tentato dagli studiosi della Lunigiana. Nel libro viene presentata anche una valida difesa storica e giuridica dell’antico Ordine del Tem-pio e viene ribadita la necessità, ormai non più procrastinabile, che l’Ordine, attualmente ancora “sospeso”, torni ad essere corpo vivo di Santa Romana Chiesa, adeguandone gli scopi originali all’attuale momento storico. Gli au-

La libreria virtuale di Runa Biancatempo di lettura 8 minuti

LIBRIa cura di Andrea Critelli

ARCHEOSTORIA

ARCHEOSTORIA

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22 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

tori, laureati entrambi presso l’Università di Pisa, hanno avuto percorsi lavorativi diversi e una grande passione per la storia e la ricerca.

La Mente ama. Per capire cosa siamo con gli affetti e la nostra storia

di Alessandro BertirottiIl Pozzo di Micene

p. 176, 2011, € 18,00

Sentir parlare di amore in rela-zione alla mente

appare una contraddi-zione in termini ma solo se ci fermiamo a quella vecchia e stantia dico-tomia che vuole mente

e cuore su piani diversi e con compiti pretta-mente diversi.

Già Ovidio nell’Ars amatoria qualche seco-lo or sono ci ammoniva con una prescrizione: “Convinciti che ami, pur desiderando fugge-volmente, e poi credilo tu stesso” … e aggiun-geva. “Ama veramente solo colui che riesce a convincersi di ardere di passione”.

Dunque in noi è possibile ritrovare questo meccanismo che in genere chiamiamo amare e forse Ovidio percepiva l’importanza di quel-lo che oggi molti antropologi, affetti da insa-no psicologismo, definiscono motivazione.

Per meglio dire la motivazione dovrebbe essere quell’impulso conscio o inconscio ad agire per soddisfare carenze intervenute a turbare l’equilibrio di adattamento. Si traduce nell’espressione dei motivi che inducono un individuo a una determinata azione.

Anche l’amore ha queste caratteristiche, questo fondamento, che in noi lavora su basi biologiche oltre che psichiche, data la natura-le attrazione che i nostri feromoni suscitano reciprocamente quando si avvicina un altro essere umano.

L’amore per qualcosa o per qualcuno sem-bra essere la componente energetica di atti-vazione della motivazione. Ma allora perché, visto che ogni individuo, come tutti gli esseri

viventi che tende all’omeostasi, si innamora?Perché va alla ricerca di situazioni conflit-

tuali? Perché si dibatte tra questioni affetti-ve non sempre soddisfacenti, perché andare verso a tutto ciò che ci potrebbe travolgere, metterci in discussioni talvolta devastare?

Meglio fare come Gozzano, che non ama-va che le rose che non colse, privando se stes-so e la signorina Felicita di una possibile gioia di vivere oppure decisamente amare.

Alla domanda sul perché di questa insana inclinazione Alessandro risponde spesso che innamorarsi è da deficienti, ed io mi chiedo perché lo dica con tale convinzione…sarà frutto di esperienza diretta e conseguente consapevolezza.

Troppi innamoramenti lo hanno fatto ri-flettere al punto da dare un titolo al suo libro così esplicito ed inappellabile quasi quanto il sottotitolo, che recita una promessa : per ca-pire ciò che siamo con gli affetti e la propria storia.

Fromm sostiene che l’amore è una un’at-tenzione attiva, funzionale alla vita ed alla cre-scita di noi stessi e di quelli che amiamo, per cui senza amore non c’è crescita, conoscenza, espansione, senza amore forse non sarebbe stata necessaria neppure l’antropologia.

In fondo, come Lui, noi tutti viviamo o ab-biamo vissuto questa straordinaria condizio-ne di soggetti attivi nella dinamica dell’inna-moramento in cui anche il tempo può diven-tare relativo così come lo spazio che ci circon-da vista la specifica condizione di benessere che il sentirsi amati e, se fortunati, anche ri-cambiati genera.

In sostanza siamo tutti un po’ “deficienti” ovvero manchiamo, chi più chi meno, di quel-la quota di razionalità esistenziale, di cinismo relazionale che potrebbe, se affetti da costan-za e diligenza, ‘proteggerci’ dai piaceri/dispia-ceri dell’amore.

Per dirla in sintesi il nostro antropologo con queste pagine, senza presunzione di for-nirci regole di verità assoluta, semplicemente ci sollecita ad una profonda riflessione su un assunto dal quale muove tutto il suo ragiona-mento: ‘la mente ama’, intendendo dotare la mente di una condizione sostanziale che si nutre dell’unità tra mente e cuore.

a cura di Andrea CritelliLIBRI

SCIENZA

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Runa Bianca 23Agosto 2011 | n.2

a cura di Andrea CritelliLIBRI

Sono passati secoli e milioni di parole da quando l’essere umano si è posto il problema della sua ‘unità, Platone docet, si sono formu-late altrettante ipotesi per tentare di svilup-pare una tesi a sostegno di questo assunto, ri-conoscendo nel prodotto di ogni nostro agire una base fondamentale che niente altro è se non l’amore inteso come energia psico-fisica.

L’amore, sostiene Bertirotti, conduce alla conoscenza, apre la sfera della coscienza e sempre l’amore ne determina i limiti.

Un adagio popolare sull’amore ammoni-sce sulla cecità che lo caratterizza, condizione indispensabile sembra a lenire la consapevo-lezza della finitudine dell’esistenza che ci fa-rebbe naturalmente soccombere.

Non senza interrogativi mi sono presa l’in-combenza poco agevole di presentare que-sto lavoro, compito ancor più difficile se a scrivere è un caro amico, cercando di essere, per quanto possibile, attenta alle argomen-tazioni, ai riferimenti scientifici, allo sviluppo delle proposizioni che sostengono la tesi in-clusa nel titolo.

Consiglio la lettura di questo saggio che, pur nella sua straordinaria complessità di im-pianto multidisciplinare, ci può regalare un motivo in più per riconoscere la necessità di amare e metterci in gioco, con quanto ci cir-conda, rispetto ad un vissuto pregno di quel materialismo che troppo spesso ci porta lon-tano dal grande mistero che è l’uomo.

Marcella Matelli

Scienza della natura e stregoni di passaggio

di Alessandro Giuliani e Carlo M. Modonesi

Jaca Book p. 114, 2011, € 12,00

Alessandro Giu-liani e Carlo Modonesi sono

due uomini di scienza dotati di un ottimismo che poggia sul raffinato “canone” artigiano che da

Galileo in poi ha ispirato la grande tradizione scientifica nel “penetrare” il mondo naturale.

Una natura che per altro non è contem-plata solo dalla scienza, ma anche dall’arte e dalla spiritualità.

Il mantenimento e l’abbandono di quel canone comporta la differenza tra la bella e la brutta scienza. Tale mantenimento è un compito di primaria importanza, soprattutto in questi tempi in cui le scienze naturali, e le tecnologie derivate, stanno attraversando un momento particolarmente critico per la loro capacità di incidere, come mai accaduto pri-ma, nella storia futura del pianeta e della no-stra specie.

In questo libro gli autori conducono per mano il lettore sui sentieri delle scienze natu-rali contemporanee, svelando insidie, traboc-chetti e responsabilità di molta brutta scienza che regna sovrana nell’agone mediatico ad uso di politici irresponsabili ed interessi eco-nomici pregiudicati. Ma gli autori mostrano anche i passaggi incontaminati che possono dischiudersi quando la pratica scientifica re-cupera la sua dimensione concreta e contem-plativa e il valore fondamentale della sacralità della natura.

La Bibbia Decifrata.Contraddizioni e misteri nelle Sacre Scritture

di Vittorio Di CesareEremon Edizioni

p. 240, 2011, € 16,00

Le ricerche ar-c h e o l o g i c h e condotte in Isra-

ele, anziché produrre certezze hanno acceso infuocati dibattiti sul piano religioso e politi-co. Quali contraddizio-

ni storiche esistono nella Bibbia da far dire che sarebbe necessario riscriverla? Perché si difende a spada tratta o si contesta la real-tà delle figure patriarcali di Abramo e Mosè, di re Davide e Salomone? Gerusalemme fu

SCIENZA

MISTERO

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24 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

davvero una grande città? I celebri testi di Qumran furono scritti davvero dagli Esseni? Chi e perché vorrebbe clonare Cristo dal suo sangue preso dalla Sindone? Una ventata re-visionista coinvolge e sconvolge la cosiddet-ta Biblical Archaeology. In questo libro un’in-chiesta dall’originale finale sugli enigmi della Bibbia e sulle realtà parallele del monoteismo ebraico-cristiano.

Sulle tracce di Noè. Angelo Palego e la Montagna dell’Arca

di Francesco ArduiniAss. Terre Sommerse

p. 130, 2011, € 18,00

Il libro-intervista con l’intento di esporre in maniera

sistematica le informa-zioni e i risultati rag-giunti in più di venticin-que anni di ricerche sul monte Ararat. Tenendo

sempre presente che le matematiche certez-ze appartengono più all’uomo di fede che all’uomo di scienza, l’autore precisa la sua cautela verso qualsiasi ferma convinzione possa trapelare dalle dichiarazioni contenute nelle pagine del libro.

Glaucus il mistero della necropoli

di Mauro OllaGC Edizioni

p. 104, 2009, € 6,90

Cos’è accadu-to al professor Antygonos, im-

provvisamente scompar-so mentre stava dirigen-do una serie di scavi ar-cheologici nella necropoli

di Sulk City? Chi si nasconde dietro le sette

necrofile che imperversano nottetempo in quel luogo dimenticato? E, soprattutto, cosa potrebbe accadere, in un futuro ad alto tasso tecnologico, se una sola persona si impadro-nisse delle poche testimonianze superstiti di un’antica cultura e di antichi strumenti della comunicazione, ormai perduti nei meandri più remoti della memoria del genere umano? Nella Sardegna sud-occidentale del 25° seco-lo, in cui persino i nomi delle località soggiac-ciono all’egemonia globale della lingua in-glese, due giovani ex colleghi universitari, un archeologo e una robotista, cercano, unendo le rispettive conoscenze, di dare una risposta a questi e altri dilemmi.

Marathon. La battaglia che ha cambiato la storia

di Andrea FerdianiNewton Compton

p. 327, 2011, € 9,90

480 a.C. La flotta greca attende con ansia di

conoscere l’esito della battaglia che si com-batte alle Termopili, tra gli uomini del gran re Serse e i 300 eroi gui-dati da Leonida. Su una

delle navi, Eschilo, in servizio come oplita, riceve la visita di una donna misteriosa, che gli racconta la sua personale versione del-la battaglia di Maratona, alla quale lo stesso poeta aveva partecipato dieci anni prima. I ricordi dei due interlocutori si intrecciano per ricostruire le verità mai raccontate del primo combattimento campale tra greci e persia-ni, ma soprattutto quel che accadde subito dopo, quando gli araldi dovettero correre ad Atene per comunicare la vittoria greca, pri-ma che i sostenitori dei persiani aprissero le porte agli invasori. Marathon è la cronaca di una battaglia e di una corsa in cui i tre prota-gonisti mettono in gioco la loro amicizia e la loro stessa vita, per disputarsi l’amore di una donna e scoprire i limiti delle loro ambizioni.

a cura di Andrea CritelliLIBRI

MISTERO

ROMANZO

ROMANZO

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Runa Bianca 25Agosto 2011 | n.2

Ancient Livesancientlives.org

L’università britannica di Oxford sta cercando decine di migliaia di vo-lontari che aiutino gli specialisti a

trascrivere i testi in greco ritrovati su oltre due milioni di antichi papiri nella città di Os-sirinco in Egitto e finora rimasti in gran parte inediti. La conoscenza del greco non è affatto necessaria, fa sapere il “Times”: basterà solo trascrivere le lettere, al resto penseranno gli specialisti che, esaminando i primi frammen-ti, hanno già scoperto il testo di un Vangelo apocrifo risalente al terzo secolo.

La maggior parte dei documenti, scoperti nei primi anni del Novecento e databili fra il 500 avanti Cristo e l’anno Mille dell’era cristia-na, riguarda lettere, ricevute o conti ma non

mancano libri ed altri testi letterari. L’univer-sità ha messo on-line una prima tranche di 200mila papiri, insieme a un software di rico-noscimento delle lettere che dovrebbe per-mettere agli utenti di trascrivere il testo: se avrà successo, il progetto verrà allargato alla parte rimanente dei documenti, dato che il

numero dei ricercatori è insufficiente per po-ter portare a termine il lavoro.

I Castelliwww.icastelli.it

Portale italiano dedicato al patrimonio castellano, fornisce il giusto peso e va-lore ai castelli ed alle torri d’Italia, da

loro uno spazio, un’immagine, una voce, ma

soprattutto una luce, una luce nuova, carat-terizzata dal bisogno che questi edifici hanno di essere conosciuti e valorizzati. Finalmen-te con il progetto icastelli.it, i castelli d’italia tornano a risplendere, ad illuminare il nostro territorio, ad avere quel ruolo dominante che avevano ed hanno fin dal Medioevo, un ruolo che nasce prima di tutto dalla loro collocazio-ne all’interno del paesaggio, rurale o urba-no che sia. Il sito si propone di raggruppare sotto il proprio portale tutti i castelli e le torri presenti in Italia, un progetto difficile ed am-bizioso, ma di importanza primaria e neces-saria, non solo per dare la possibilità a tutti quanti di scoprire e riscoprire la nostra storia, ricca di cultura, bellezza artistica e paesaggi-

Una selezione di blog, siti e portalitempo di lettura 4 minuti

SITI WEBa cura di Andrea Critelli

ARCHEOSTORIA

ARCHEOSTORIA

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26 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

stica, ma anche per poter offrire un servizio a tutti coloro che lavorano nel mondo dell’arte e dell’architettura fortificata italiana.

Molecularlabwww.molecularlab.it

Il sito offre un ampio sguardo approfon-dito al mondo dell’ingegneria genetica e biomolecolare, attraverso immagini,

animazioni interattive e notizie quotidiane di carattere scientifico, medico, genetico, bio-tecnologico, bioetico.

Il sito, orientato sia ai neofiti che ai più

esperti, ha una forte interazione con il pubbli-co, che può commentare le notizie, confron-tarsi nel forum e offrire la propria esperienza agli altri su Scienza, Ricerca, Biotech e Biolo-gia Molecolare:

Dal Tramonto all’Albawww.daltramontoallalba.it

Sviluppatosi nel 2001 dall’incontro della passione comune di Michele Morettini e per il mondo della ricer-

ca di “confine”, in breve tempo il sito diven-ta punto di riferimento Italiano per tutti gli appassionati in materia, grazie anche alla collaborazione di moltissimi ricercatori che iniziano a scrivere su argomenti come pa-rapsicologia, ufologia, esoterismo, cripto-zoologia, luoghi misteriosi, antiche civiltà e moltissime altre tematiche. Nel 2003 viene

creata l’Associazione Culturale Dal Tramonto all’Alba (www.daltramontoallalba.org) con lo scopo di portare avanti lo studio, la ricerca e la divulgazione delle tematiche che rientrano nell’ambito del paranormale con particolare attenzione alle fenomenologie PK a caratte-re infestatorio, all’ufologia e all’esoterismo; la catalogazione delle segnalazioni di eventi paranormali o avvistamenti ufologici e la pro-mozione di visite e manifestazioni culturali. Il portale contiene più di 500 articoli e saggi, realizzati in questi anni dagli oltre 200 autori che vi hanno collaborato.

Extremamentewww.extremamente.it

Il blog ideato e curato della nota giorna-lista e conduttrice televisiva Sabrina Pie-ragostini. Uno spazio dove poter trattare

liberamente di avvistamenti UFO e di cripto-

zoologia, di teorie archeologiche alternative e di fenomeni Esp. Con l’occhio curioso di chi non vuole credere a tutti i costi, ma semplice-mente provare a capire.

SCIENZA

a cura di Andrea CritelliSITI WEB

MISTERO

MISTERO

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Runa Bianca 27Agosto 2011 | n.2

7 Giugno - 20 Settembre 2011RitrattiLe tante facce del potere

Musei capitoliniVia del Campidoglio, 1 - Roma

E Il ritratto è uno dei modi per traman-dare la memoria di sé nel tempo. At-traverso le numerose tecniche artisti-

che adottate – pittura, scultura, fotografia e infine la più sconvolgente di tutte, la cinema-tografia, perché non congela la figura in un momento eterno, ma le dà una parvenza di mobilità e di vita – non muta il desiderio de-gli uomini di esorcizzare la morte lasciando ai posteri un’immagine di sé capace di soprav-vivere nei secoli. La comparsa di un oggetto, non solo artistico, come sostituto dell’indivi-duo è stata una delle prime azioni compiute dagli uomini, sia lasciando l’impronta delle proprie mani sulle pareti delle grotte, sia rive-stendo i teschi degli antenati con argilla fino a dare loro un aspetto umano sia ancora eri-gendo sulle tombe segnacoli che ne dichiari-no la presenza oltre la morte.

Partendo da questa riflessione, la mostra a cura di Eugenio La Rocca e Claudio Parisi Presicce “Ritratti. Le tante facce del potere” - Roma, Musei Capitolini dal 10 marzo al 25

settembre 2011 - rappresenta una duplice oc-casione per il visitatore.

Da un lato, attraverso una ricchissima scel-ta di ritratti di altissimo livello artistico - oltre 150 pezzi tra teste, busti e statue a figura inte-ra provenienti dai maggiori musei europei - si conoscerà meglio quali furono le origini del ritratto romano, e quali i modi di rappresen-tazione dei romani in un arco di tempo che va dalla città repubblicana all’età tardo-antica. Si parte dai primi ritratti in terracotta e in bron-zo e si attraversa la vasta produzione in mar-mo e in bronzo di età imperiale.

La mostra è la seconda tappa del proget-to “I Giorni di Roma”, 5 mostre con cadenza annuale. Tre di queste presentano un taglio cronologico (“L’età della conquista” - già re-alizzata ai capitolini da marzo a settembre 2010, ha riscosso grande successo - dalla seconda guerra punica fino a Giulio Cesare; “L’età dell’equilibrio” da Traiano fino a Marco Aurelio; “L’età dell’angoscia” dalla dinastia dei Severi fino a Diocleziano), intervallate da due con un taglio tematico (“Ritratti. Le tante facce del potere” che è quella del 2011 e “Costruire un Impero”), che si presentano come zoom di approfondimento sul complesso fenomeno della cultura artistica romana già impostato con la prima esposizione.

Tel. 06/0608www.museicapitolini.org

Le rassegne da non perderetempo di lettura 5 minuti

MOSTRE & EVENTIa cura di Andrea Critelli

ARCHEOSTORIA

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28 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

9-11 Settembre 2011Il sapere scientifico della scuola Scienza in classe e comunicazione pubblicaSecondo Convegno nazionale

Museo d’Arte Moderna “V.Colonna”Via Gramsci, 1 - Pescara

Su18 è un progetto sull’educazione scientifica. La comunicazione pubbli-ca della scienza prodotta a scuola si

trasforma in un contesto di apprendimento per gli studenti e di ricerca e formazione per gli insegnanti.

Su18 nasce dalla scuola ed è organizzata come un’associazione di scuole, una rete di reti con un assetto dinamico e ampliabile per permettere lo sviluppo di nuovi progetti e garantire sia la flessibilità che l’autonomia dei poli territoriali.

Su18 favorisce la diffusione di nuove me-todologie d’insegnamento in cui lo studente é al centro del suo percorso di apprendimen-to.

Sviluppa e gestisce iniziative per comuni-care la scienza prodotta all’interno delle scuo-le dagli studenti di ogni ordine e grado.

Promuove e realizza progetti di ricerca e percorsi di formazione sul rapporto tra inse-gnamento, apprendimento e comunicazione della scienza.

Stimola il dialogo e l’interazione tra il sa-pere scientifico della scuola e quello delle istituzioni (università, industria, enti di ricer-ca, fondazioni, associazioni) con l’obiettivo di estendere il progetto a tutti i livelli territoriali (regionale, nazionale, europeo).

Combatte la dispersione scolastica e lavo-ra sulla motivazione di studenti e docenti.

A Su18 possono partecipare tutti gli allievi

delle scuole dell’infanzia, elementari, medie e superiori pubbliche e paritarie.

I ragazzi hanno la possibilità di costruire, analizzare percorsi scientifici sperimentali e imparare a comunicare in pubblico. Vengo-no valorizzate le loro capacità relazionali e le competenze dinamiche (spirito d’iniziativa, problem solving, capacità di organizzazio-ne, pensiero autonomo).

Ai docenti Su18 offre aggiornamento, scambi alla pari e l’ingresso in un circuito come formatori, ricercatori o utenti. Su18 è un’opportunità per acquisire stimoli e nuove idee, rinnovare la didattica e realizzare curri-coli più efficaci e motivanti.

Su18 propone alle scuole diversi livelli di coinvolgimento: Le scuole polo, che gesti-scono le sedi espositive e i progetti; le scuole della rete di servizi, che collaborano occu-pandosi di comunicazione, documentazione, sito, sezione multimediale e accoglienza; le scuole espositrici e le scuole visitatrici. Inoltre ci sono anche istituti che contribuiscono alla formazione, alla ricerca e al monitoraggio.

Su18 nasce nel 1997 a Milano, da un’idea dei docenti dell’area scientifica dell’Istituto Sperimentale Rinascita A. Livi, in collabora-zione con l’Associazione Rinascita per il 2000.

Oggi, 2009, le sedi sono: Milano, Mantova, Monza, Rozzano, Pavia, Lodi, Brescia, Sestri Levante, Pescara, Siena. Su18 ha anche un’e-stensione in Mozambico.

Su18, oltre a essere un Progetto sulla co-municazione pubblica della scienza prodotta a scuola, lavora sulla formazione dei docenti e si occupa di ricerca sull’immaginario di stu-denti, docenti, famiglie e scienziati.

Contribuisce concretamente a diffondere una cultura della scienza più estesa e profon-da, condizione per una partecipazione attiva del cittadino alla vita e allo sviluppo del Pae-se.

Tel. 02/88444498 (10 – 12,30)Fax 02/88444503

[email protected]@libero.it

www.scienza-under-18.org

a cura di Andrea CritelliMOSTRE & EVENTI

SCIENZA

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Runa Bianca 29Agosto 2011 | n.2

Il termine “esoterico” ha origine dal greco esoterikos che vuol dire dall’interno, con-trapposto ad “essoterico”, o dall’esterno.

Per i filosofi greci esso si usava per qualifi-care l’insegnamento riservato ad alcuni.

Vi si riscontra una nozione di élite spiri-tuale, solo alla quale certe verità sarebbero accessibili.

La nozione di élite è purtroppo mal vista nel nostro secolo, in cui si dà molta importan-za al concetto di socializzazione: occorre dun-que comprendere bene che far parte di una scuo-la esoterica non è mai stato considerato come un privilegio arbitrario, né come un privilegio di casta o di fortuna.

L’insegnamento eso-terico è invece il privile-gio di coloro che cerca-no ardentemente la ve-rità per sè stessa e sono pronti a sacrificare tutto per essa.

“Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”, si dice. La ragione è che non si è eletti che da noi stessi, attraverso lo sforzo ef-fettivo che siamo pronti a fare per accedere ad una più ampia compren-sione della vita, “a un più gran bene” direbbe Platone o, come direbbe Teilhard De Chardin, “ad un più essere”.

Una regola della tradizione dice che “non vi sono segreti, ma gradi di comprensione.”

Esoterismo non significa in nessun modo “dottrina nascosta”. L’esoterismo non ha come

fine né come mezzo il celare delle verità che non sono altro che evidenze accessibili a tutti, ma la contrario ha per scopo di far conoscere una verità che è nascosta solo ad uno sguar-do superficiale.

Tale realtà invisibile è al di là delle appa-renze sensibili: questo è anche il senso della parola occultismo.

L’esoterismo e l’occultismo sono così chia-mati solo perché si occupano del fondo delle cose, della trama vivente, delle leggi dell’uni-

verso, di cui i nostri sensi non ci lasciano perce-pire che riflessi esteriori e apparenti: la Scienza dell’interiorità delle cose.

L’esoterismo è dun-que la scienza di quell’u-niverso che si dice incon-scio, apparentemente misterioso e irrazionale, da cui il poeta e il profeta traggono la loro ispira-zione e il mago il suo po-tere. È lo sfondo di ogni religione.

Esiste una posizio-ne complementare (o equilibrio) fra l’Interiore e l’Esteriore, lo spirito ed il verbo, la sostanza e la forma, la fede e il rito.

Nel linguaggio spiri-tuale “segreto” significa

sacro e “mistero” significa ministero. I miti, i simboli e i riti non sono che le chiavi

intellettuali e sensibili che permettono di pe-netrare nell’universo spirituale.

Se il profeta Isaia diceva: “tutto ciò che è glorioso sarà ricoperto di un velo”, S. Luca repli-

La Scienza dell’Universotempo di lettura 11 minuti

PERLE DI SAGGEZZAydi Lilly Antinea Astore

TEILHARD DE CHARDIN

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30 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

cava, in un dialogo a distanza di tempo: “nulla è nascosto che non debba essere scoperto, nulla di segreto che non debba essere conosciuto”.

Jean-Cloude Frère pose un giorno la do-manda: “chi si dice depositario di una tradi-zione esoterica, vi si può interrogare a questo proposito?”; il saggio Lanza Del Vasto De la Borie Noble, rispose: “No! Per definizione non crediate che il segreto riguardante queste cose provenga dal desiderio di tenerle per sé o, di av-volgersi in un aureola torbida. Il segreto di tutte le tradizioni esoteriche, ve lo posso spiegare in tre parole: conoscenza, possesso e dono di sè stessi. Tutto il resto è favola e apparenze. Ma queste tre parole si possono dire a tutti senza che la gente le comprenda…il segreto famoso che si mantiene da sé.”

Un punto comune a tutte le dottrine eso-teriche è la necessità di un’ ascesa spirituale che può essere parimenti fisica, psicologica e mentale, per mezzo del-la quale l’iniziato, ossia l’introdotto, contempla il concetto che si è iniziati solo attraverso sè stessi, che entrare nel mondo spirituale è il frutto di una decisione personale e perseverante. È scritto infatti: ”il regno dei cieli appartiene a coloro che se lo conquistano, l’in-contro del discepolo con il maestro non è che l’in-contro con sè stesso, su un’ottava superiore dell’e-sistenza”.

Quindi esso tende verso il suo obiettivo, che è in un primo tem-po la visione del divino, e in un secondo tempo la fusione con il divino (occorre qui intendere la parola divino come sorgente e risultato di ogni manifestazione).

La religione essoterica presenta un dio esterno all’uomo, un dio creatore e buono, certamente, ma inaccessibile e giustiziere, al quale non ci si può rivolgere che in termini di supplica.

La religione esoterica conosce invece un Dio interiore, Dio d’amore che è “di più di noi stessi”, e che agisce, crea, ama e realizza tutto attraverso la scorza esterna del nostro mode-sto essere terrestre.

Un altro punto comune agli insegnamen-ti esoterici è che sono trasmessi oralmente, ossia in maniera vivente e ispirata. Il Verbo del maestro, della guida, non ha altro scopo se non quello di svegliare il verbo interiore e assopito del discepolo, come la maieutica di Socrate o l’arte di partorire: “non si apprende nulla che già non si sappia”.

I testi sacri non sono che dei promemoria dell’espressione del Verbo, della verità, e non la verità stessa. Il segreto esteriore che cir-conda eventualmente questo insegnamento orale, come pure i gruppi o le scuole dove esso è insegnato, è ugualmente una prote-zione contro la vana curiosità, l’incompren-

sione ostile, ma è anche una protezione contro la vana protezione del profano, dell’essere non preparato, per il quale la rivelazione prematu-ra di certi aspetti delle verità potrebbe tradursi in un grave trauma, ana-logo, sul piano psichico, ad uno shock elettri-co sul piano fisico, ed è per questo anche che vi sono sempre dei gradi d’iniziazione che per-mettono di progredire senza pericolo.

L’iniziazione fornisce una conoscenza che, per il suo potere effettivo, può rivelarsi pericolosa se nelle mani di chi non può ancora padroneg-

giarla nel modo giusto: per questo è impor-tante che il progresso tecnico vada sempre di pari passo con la crescita morale.

Per riassumere possiamo dire che l’esote-rismo è la scienza dell’interiorità dell’Essere, un’ontologia che trascende tutte le specu-lazioni puramente intellettuali, attraverso la

Lilly Antinea AstorePERLE DI SAGGEZZA

LANZA DEL VASTO DE LA BORIE NOBLE

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Runa Bianca 31Agosto 2011 | n.2

Lilly Antinea AstorePERLE DI SAGGEZZA

percezione e la sperimentazione diretta.È anche la scienza della globalità dell’Esse-

re, vale a dire l’affermazione e la descrizione di una unità organica fra tutte le parti dell’u-niverso, fra ogni parte e il tutto (ad esempio l’uomo e il cosmo), ed di un’unità fondamen-tale di tutti i modi di procedere verso la ricer-ca di una conoscenza.

L’esoterismo fornisce per ogni problema un punto di vista impersonale e a-temporale delle applicazioni universali.

Se è relativamente facile afferrare quella che è l’affinità tra quello che è l’esoterismo e la religione, è più difficile per noi occidenta-li, abituati a delle barriere intellettuali anali-tiche, vedere in che cosa l’esoterismo è una scienza, malgrado il suo aspetto sperimenta-le non trascurabile e il suo apparato teorico. Già nel 1889, nel libro “I Grandi Iniziati”, Schuré poneva così il problema : “Il peggiore male del nostro tempo è che la scienza e la religione vi appaiono come forse nemiche e irriducibili, un male intellettuale tanto più dannoso perché viene dall’alto e si insinua silenziosamente, ma decisamente in tutti gli spiriti come un veleno sottile che si respira nell’aria”.

Ora, ogni male dell’intelligenza diviene

con il tempo un male dell’anima e conseguen-temente un male sociale. Gli scienziati, che praticano il metodo sperimentale per lo stu-dio dell’universo visibile con una precisione meravigliosa e anche grandi risultati, si fanno delle verità un’idea tutta esteriore e materiale. Essi pensano che ci si avvicini ad essa via via che si accumula un più gran numero di fatti. Nel loro campo hanno sicuramente ragione, ma l’aspetto più grave è che i filosofi hanno finito per pensare nello stesso modo. Su que-sta via è certo che le cause prime e i fini ultimi rimarranno per sempre impenetrabili a quel-la che è l’essenza umana. La verità era invece un’altra cosa per i saggi teosofi dell’Oriente e della Grecia. Essi sapevano senza dubbio che, la Verità, non si può abbracciarla né equili-brarla senza una conoscenza sommaria del mondo fisico; ma sapevano anche che la Veri-tà risiede prima di tutto in noi stessi, nei prin-cipi intellettuali e nella vita spirituale dell’ani-ma. Per essi l’anima era la sola, la divina re-altà, la chiave dell’universo. Raccogliendo la loro volontà al suo centro, sviluppando le loro facoltà latenti, essi raggiungevano quel foco-lare vivente, quel principio Divino che chia-mavano Dio, la cui Luce fa intendere gli uomini

TRIANGOLO FILOSOFICO DELLA CONOSCENZA, DOVE L’ESOTERISMO APPARE CONTEMPORANEAMENTE COME LA SORGENTE E LA SINTESI DELLA RELIGIONE DELLA SCIENZA

ESOTERISMO

RELIGIONESCIENZA

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32 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

e gli esseri. Si può concepire questo triangolo filosofico della conoscenza, dove l’esoterismo appare contemporaneamente come la sor-gente e la sintesi della religione della scienza.

All’origine dei tempi, quando per l’uomo non si trattava che di dominare, controlla-re, dirigere le forze della natura, considerate come emanazione di un mondo divino, in senso a lui utile, tutta la conoscenza rivesti-va contemporaneamente un aspetto tecnico, pratico, e un aspetto mistico, indissolubil-mente legati.

Solo molto tempo dopo, nell’età di Luce ap-parente e di vero oscu-rantismo, la dimensio-ne magica della vita è stata rinnegata dall’una e dall’altra. Paradossal-mente la scienza riget-tò la visione metafisica dell’universo perché troppo primitiva, non seria, idealista, nebulosa; mentre la religione riget-tò l’aspetto utilitario e tecnico dell’esoterismo, considerandolo troppo materialista e perciò de-moniaco.

Fino ad ora la scienza ha studiato l’insieme dei fenomeni dell’universo, ignorando in maniera deliberata la loro sorgente unica, mentre la religione parla della sorgente, omettendo di indicare la relazione organica e vivente che esiste tra questa sorgente e l’insieme delle manifestazioni concrete del nostro ambiente materiale; a tal punto che essa finisce per per-dere anche di vista il suo specifico oggetto, divenuto troppo astratto.

Quest’oblio di una visione globale dell’es-sere è alla base di ogni malattia sia fisica che mentale, filosofica ed anche politica.

L’esoterismo, attraverso la reintegrazione universale che propone, pretende di poter ri-stabilire l’armonia su tutti i piani.

La scienza è dunque un aspetto della co-noscenza. Per fortuna, poiché il suo dinami-

smo la spinge a superarsi continuamente nell’esplorazione del mondo fenomenico e nella formulazione delle leggi essenziali che essa ne deduce, finisce, quasi suo malgrado, per pervenire ad una concezione metafisica dell’universo. Così come la biologia ci inse-gna che la vita si sviluppa e si propaga solo attraverso la trasmissione di informazioni fondamentali, formatrici ed attive (il codice genetico), la fisica ci dice che la luce stessa è un vettore o un supporto d’informazioni

che sono all’origine di tutte le strutture fisico-chimiche dell’universo. La scienza è arrivata alla deduzione che “la mate-ria è intelligente”; ma il problema dell’origine di questa intelligenza resta (scientificamente) posto, non di meno il linguag-gio scientifico potrebbe formulare in maniera chiara, coerente, intellet-tualmente soddisfacen-te le grandi intuizioni, le grandi certezze delle tradizioni spirituali e re-ligiose.

Un aforisma popolare ripreso dalla bibbia dice che “non vi è nulla di nuo-vo sotto il sole”. Per essere compresa, la formula do-

vrebbe aggiungere “e al di là del sole”; se tutto è in continuo movimento ed in continua evo-luzione nel mondo fenomenico, si può non di meno constatare che non c’è alcuna reale novità nell’ordine delle idee e nelle leggi del-la natura. Ogni idea apparentemente nuova è il prodotto di un concorso di circostanze e di condizioni che la precedono, e si deve con-venire che la gravitazione universale esisteva prima che Newton la formulasse, come d’al-tronde la relatività di Einstein. Se esistono in-novazioni nel campo del pensiero, Newton e Einstein non hanno inventato niente.

Verità ed efficacia sono due concetti fon-damentali e interdipendenti: la Verità che non si traduce nel reale rimane sterile pensie-

Lilly Antinea AstorePERLE DI SAGGEZZA

ALBERT EINSTEIN

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Runa Bianca 33Agosto 2011 | n.2

ro, mentre l’atto non dettato dalla Verità non è degno di avere espressione nel mondo. Si può dire che la scienza è il dominio delle leggi formulate, la religione è quello delle leggi esi-stenziali non formulate, e l’esoterismo quello delle leggi non scritte.

Victor Hugo diceva ”la scienza è l’asinto-to della verità; se ne avvicina continuamente ma non la raggiunge mai”: man mano che la scienza umana estende quelle che sono le sue conquiste teoriche, la religione e l’esote-rismo perdono apparentemente di contenu-to a profitto però della tecnologia, che è una esternizzazione, un’applicazione pratica, uno sfruttamento di second’ordine. Resta, comun-que, un ordine cosmico al quale, volente o no-lente, lo scienziato deve sottomettersi. Se Pro-meteo può pretendere di essere la sua stessa legge, è perché il suo essere è un’incarnazio-ne parziale dell’ordine cosmico, altrimenti non sarebbe niente: e se non lo riconoscesse sarebbe annichilito. Il grande astronomo Fred Hoyle, in ”Frontiere dell’Astronomia” afferma: “Il gioco di testa o croce è un gioco d’azzardo, un gioco sul caso. È per caso anche che molte cose ci vengono alla mente: il preciso momento - per esempio - in cui un’idea prende forma in

un cervello umano” ma il caso è un concetto di cui si è portati ad abusare anche troppo.

Quando non arriviamo a comprendere qualche cosa, troppo spesso siamo tentati d’ammettere che la nostra ignoranza deriva dal fatto che non siamo riusciti ad individuare qualche capriccio del caso.

Nel grande teatro i cui l’universo offre quello che è il suo spettacolo, i ruoli accoppia-ti di quella che viene chiamata coincidenza e del caso non esistono affatto: dai sistemi di galassie che si estendono su enormi distanze, fino al più umile dei pianeti e delle creature che vi possono vivere, sembra che esista una catena solidamente forgiata di cause ed effet-ti”. Ora, il principio di casualità è espresso da tutte le cosmogonie degli insegnamenti eso-terici, i quali, anche se interessano il mistero e le dimensioni sconosciute dell’universo, non sono comunque razionali. Ogni manifestazio-ne materiale ha una causa spirituale, e tutte le manifestazioni materiali si collegano le une alle altre attraverso una relazione di causa ed effetto che risale alla causa originale. Questa affermazione è alla base di ogni religione au-tentica.

Lilly Antinea AstorePERLE DI SAGGEZZA

LiLLy AntineA Astore

È una studiosa eclettica con in-teressi in svariati campi che spa-ziano dalle Scienze di confine, all’esoterismo, dall’archeoastro-nomia, all’Arte ed all’Ufologia.

È Cavaliere dell’Ordine Mistico Rosacrociano. A soli 15 anni intraprende il suo percorso di ri-cerca partecipando con un’innovativa relazione sul tema del “Rinnovamento”, presentata per la prima volta durante le conferenze organizzate presso le Università di Bologna e Camerino orga-nizzate da Massimo Inardi, Peter Kolosimo, Roul Bocci ed il Conte Pelliccione Di Poli. In campo esoterico collabora con il “Centro Studi” di Lecce di Franco Maria Rosa dalla quale apprende ed approfondisce le Medicine olistiche. In campo culturale è Rappresentante internazionale della “Synergetic-art”, movimento artistico-culturale

fondato da Marisa Grande, che si prefigge come obbiettivo finale la ricomposizione di un sapere globale, una conoscenza collettiva, coniugando tra loro nuovi ed antichi saperi ed annullando i rigidi settorialismi accademici. Nell’ambito ufo-logico è da anni collaboratrice della RETE-UFO, per la quale presta anche il volto nella condu-zione della web TV “UFORAMA ON TV”, visibile su YouTube. Parallelamente a queste attività di ricerca entra nel mondo della Comunicazione ed inizia a collaborare con famose emittenti ra-diofoniche. Nel 1990 è creatrice e conduttrice del programma radiofonico “DIMENSIONEX: IN-DAGINI NEL MISTERO” un programma radiofoni-co che affronta in maniera sinergica numerose e controverse tematiche per lo più ignorate dalla Scienza ufficiale e dall’ informazione generalista e che la consacra tra le principali divulgatrici in Italia delle tematiche legate al mistero, all’eso-terismo, all’ufologia e all’archeo-astronomia.

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Runa Bianca 35Agosto 2011 | n.2

P roseguiamo il nostro viaggio nell’An-tico Testamento per dire che chi se-gue determinati temi e legge la Bib-

bia con animo aperto e mente libera dai dog-matismi coglie vari aspetti che la teologia è stata costretta a rielaborare in chiave mitica, allegorica, metaforica ecc… Ma la letteralità del testo si rivela decisamente più affascinan-te.

Sono innumerevoli gli esempi: le visioni dei carri celesti di Ezechiele, la vicenda del cosiddetto rapimento di Elia (anche se il ter-mine rapimento risulta improprio alla luce dei fatti narrati dagli autori biblici), la visione di Zaccaria, molto meno conosciuta ma la cui traduzione diretta rimanda alla chiara ed ine-quivocabile rappresentazione di Oggetti Vo-lanti Non (meglio) Identificati.

Ci sono inoltre passi che vengono inspie-gabilmente tralasciati e costituiscono invece interessantissime conferme indirette che assumono in-vece le caratteristiche di fondamentali ele-menti di prova.

Facciamo alcu-ni esempi utili a chiarire il valore di questi parti-colari apparente-mente marginali ma capaci invece di chiarire gli eventi meglio di ogni altra pretestuosa interpre-tazione di ordine teologi-co o dottrinale.

Avremo modo di approfondire singoli temi negli articoli futuri e quindi per ora ci limitiamo a fornire alcuni spunti.

Chi sa cosa fanno e come si comportano i discepoli di Elia prima e dopo la sua salita in cielo avvenuta su di un carro volante?

La riposta a questa domanda ci dice che quel comportamento era coerente solo nel caso di un vero prelevamento e non lo si po-trebbe in alcun modo spiegare diversamente.

Chi tiene conto della parole di Zaccaria che, dopo avere visto gli oggetti volanti e le ‘femmine’ che li pilotano, definisce un rap-porto preciso tra quegli OVNI e la terra di Shin’ar (Sumer) che Sitchin ci racconta essere il luogo in cui tutto è nato perché degli OVNI e dei loro piloti era l’originaria base terrena?

Come si possono comprendere le conse-guenze legate alla manifestazione della glo-ria di Dio a Mosè, se non si sa che il termine ebraico (kevòd) non rimanda a concetti di or-dine astratto (come erroneamente interprato dai greci poi seguiti dalla tradizione) ma ad

un ‘qualcosa di pesante’ che noi potremmo assimilare ad un

aereo, un carro armato, un TIR…?

Chi spiega per-ché Dio non era in

grado di control-lare gli effetti di questa sua manifestazione che risultava es-sere inevitabil-mente mortale

per chi la osserva-va da vicino?Chi può spiegare con

coerenza il comportamen-to degli ‘angeli’ (mal’akim) che in-

contrano Abramo e Lot, compiendo una serie di atti che sarebbero ridicoli se attribuiti ad

Dalle traduzioni letterali della Bibbia ricaviamo che non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il vero

tempo di lettura 6 minutig

LA BIBBIA SVELATAdi Mauro Biglino

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esseri spirituali? Come spiegare la descrizione di quell’in-

dividuo (angelo?) che incontra Davide in un luogo così poco elevato come l’aia di una po-vera casa e gli incute un grande terrore?

La riposta a queste e altre questioni, alcu-ne delle quali vedremo tra breve, costituisce appunto testimonianza indiretta: i contenuti di quei racconti non sarebbero comprensibili se fossero semplicemente ricondotti all’am-bito delle esperienze spirituali, oniriche, esta-tiche, mistiche… e ancor meno lo sarebbero se fossero considerati delle semplici allegorie, come spesso si fa al fine di annullarne la peri-colosità e renderli innocui per le verità dottri-nali che da questi vengono messe in crisi.

D’altra parte si sa bene che gli angeli della tradizione cristiana hanno ‘ricevuto le ali’ solo nel IV secolo dopo Cristo, ad opera dei teologi della Cappadocia, e che sono stati dichiarati formalmente ‘spirituali’ solo nel corso del IV Concilio Lateranense tenutosi nel 1213.

La traduzione letterale invece non lascia

adito a dubbi e rivela che chi attribuisce all’o-rigine dell’Antico Testamento una visione spiritualista è vittima di un grande fraintendi-mento.

Noi continuiamo a seguire Rashi de Troyes, cerchiamo il significato letterale e proseguia-mo con altri contenuti che costituiscono te-stimonianza indiretta e non riconducibile a questioni di interpretazione.

Altri elementi sono infatti portatori di una evidenza illuminante: uno di questi è il con-cetto di Benedizione che è stato oggetto di elaborazioni continue che lo hanno portato ad assumere delle caratteristiche spirituali anche se in origine era chiaramente un atto dalla valenza interamente materiale, si riferi-va in modo esclusivo a beni di ordine terreno, non coinvolgeva l’anima né vite future.

Il suo significato originario rivela quindi, ad una osservazione attenta, aspetti importanti sulla personalità e sugli obiettivi degli Elohìm che la Chiesa Romana si ostina ad identificare con un Dio unico e trascendente.

Mauro BiglinoLA BIBBIA SVELATA

36 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

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Runa Bianca 37Agosto 2011 | n.2

MAuro BigLino

Realizzatore di numerosi pro-dotti multimediali di carattere storico, culturale e didattico per importanti case editrici italiane, collaboratore di riviste, studio-

so di storia delle religioni, è traduttore di ebrai-co antico per conto delle Edizioni San Paolo: dalla Bibbia stuttgartensia (Codice di Leningra-do) ha tradotto 23 libri dell’Antico Testamento di cui 17 già pubblicati. Da circa 30 anni si oc-cupa dei cosiddetti testi sacri nella convinzione che solo la conoscenza e l’analisi diretta di ciò che hanno scritto gli antichi redattori possa aiu-tare a comprendere veramente il pensiero re-ligioso formulato dall’umanità nella sua storia.

Tra i suoi libri ricordiamo: Resurrezione reincar-nazione. Favole consolatorie o realtà? Una ricerca per liberi pensatori (Infinito Records, 2009), Chie-sa romana cattolica e massoneria. Realmente così diverse? Una ricerca per liberi pensatori (Infinito Records, 2009), Il libro che cambierà per sempre le nostre idee sulla Bibbia (In-finito Records, 2010) e...

Il Dio Alieno della Bibbia

Infinito Editori, 2011

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Mauro BiglinoLA BIBBIA SVELATA

I Dieci Comandamenti che conosciamo non sono quelli sui quali l’Elohìm dice espres-samente di voler fondare la sua Alleanza. Quelli trasmessi a noi dalla Chiesa hanno una componente etica che consente la costruzio-ne di una religione, mentre i Comandamenti che l’Elohìm fa scrivere sulla pietra, definen-doli fondamentali, non possono essere utiliz-zati per questo fine: nessuno aderirebbe ad una religione fondata su quel tipo di regole che si sono invece rivelate utili a costruire un popolo attraverso un’alleanza molto concre-ta tra un individuo potente (ma non trascen-dente) ed una massa di persone alla ricerca di una collocazione definitiva nella geografia del medioriente.

L’Elohìm degli Ebrei aveva altri fini: la reli-gione e la teologia non interessavano mini-mamente a quel viaggiatore dello spazio che non amava parlare di sé, dell’anima, dell’aldi-là: gli ebrei sapevano bene chi o cosa fosse e tutte le vicende dei reciproci rapporti dimo-strano come la questione teologica fosse to-talmente inesistente.

Ciò che contava era il rispetto di un patto che era stato proposto e che poteva anche non essere accettato; questa possibilità di ‘non accettare’ è un aspetto che non viene mai ricordato dalla tradizione religiosa che in-vece ha artificiosamente costruito la figura di

un Dio al quale non si può e non si deve dire di no perché egli è (sarebbe) il creatore onni-potente, onnisciente, spirituale, trascenden-te, assoluto: nulla di più lontano dalla figura presente nel racconto biblico che ci presenta un individuo certamente molto potente, ma al quale si poteva anche negare il consenso.

In realtà l’idea di un Dio unico è sorta nel corso delle elaborazioni teologiche succes-sive agli eventi di cui la Bibbia ci dà conto: il monoteismo non apparteneva agli autori ebrei che con grande naturalezza parlavano della molteplicità degli Elohìm.

Per loro questa molteplicità non costituiva un problema: era la normalità della situazio-ne vissuta dal popolo che nel corso della sua storia non ha fatto altro che tradire continua-mente il patto di fedeltà rivolgendosi di vol-ta in volta a quello degli Elohìm che pareva fornire maggiori garanzie. E possiamo anche comprendere quei poveri ebrei: l’Elohìm che si faceva chiamare Yahwèh non ha mai man-tenuto compiutamente nessuna delle sue ripetute promesse: è sufficiente leggere con molta attenzione la Bibbia per capire che non è stato in grado di farlo.

Ma altro ancora ci rivela la lettura libera del testo masoretico…

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Runa Bianca 39Agosto 2011 | n.2

Parlare oggi di Corporazione Druidica Nazionale, di concorsi letterari in poesia bardica o di scuole druidiche

italiane, così come di comunità druidiche in-ternazionali, può apparire a primo acchito anacronistico e bizzarro, per chi dei druidi ha una conoscenza non approfondita o comun-que mediata esclusivamente dalle vaghe no-zioni scolastiche. Forse più nota al pubblico è la fortuna letteraria che il druidismo ha avu-to nella narrativa fantasy moderna, a partire dall’immaginifica saga di Shannara del proli-fico scrittore americano Terry Brooks. Eppure difficile trovare in altre antiche civiltà una fi-gura così pregna di mistero e fascino come quella tipicamente celtica del druido.

Benché l’etimologia del termine rimanga per molti versi incerta e discussa - sebbene molti la colleghino alla radice della parola ‘quercia’ o la traducano con ‘molto saggio’, non

senza evidenti significati acclusi - il Druido rappresenta indubbiamente un elemento so-ciale derivato dalla lontana e fondamentale dimensione dello sciamanesimo presente in ogni antica civiltà umana. Le sue funzioni dunque non possono prescindere da quelle di colui (o colei) che già alla fine del Paleolitico tracciava figure magiche e simboliche sulle pareti delle rocce e negli anfratti più inacces-sibili delle grotte, con l’intento di gettare un ponte ideale tra la sfera fisica umana, caduca e mutevole, e quella metafisica e misteriosa del sovrannaturale e del divino. Non a caso la primissima forma d’arte, quella appunto figu-rativa delle pitture rupestri, nasce proprio in concomitanza dell’attività magico-religiosa dello sciamano, il quale, tentando di propi-ziare gli dei per la buona riuscita della caccia o per la semplice sopravvivenza di uno o più individui, si collocava inequivocabilmente

come cardine sociale all’interno dei clan, capace di offrire

aiuto psicologico e spi-rituale in un mondo selvaggio, impieto-so e cruento.

A tal proposi-to, secoli e secoli dopo, l’influenza esercitata dall’uo-mo interprete del-le volontà divine e delle manifesta-zioni naturali, si riverserà in quella del druido celtico,

il quale senza so-luzione di continuità

perpetrerà tale funzione arrogandosi di diritto la ca-

I Druidi e il magico potere di una sapienza perduta

tempo di lettura 6 minutipp

I SENTIERI DI OGMA di Fabio Truppi

DUE DRUIDI IN UN’INCISIONE OTTOCENTESCA

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40 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

pacità di preservare le più arcane conoscenze e di tramandarle ai più meritevoli. Per questo motivo la tripartita società celtica1, che non contemplava alcuna gerarchia sociale o rete politica, fatta eccezione per l’attendente del re, terrà in alta considerazione i druidi, tanto che neppure al sovrano sarà concesso pren-dere un’importante decisione senza il loro as-senso.

Le notizie che abbiamo sui druidi, in ve-rità, differiscono a seconda degli autori e delle epoche, ma fortunatamente più che contraddirsi esse si completano; è possibile che all’inizio essi formassero un’unica clas-se ma poi la loro organizzazione si sviluppò, divenne più complessa e perciò si articolò in classi diverse. Una di queste riuniva in Gallia i cosiddetti Vates, specializzati in sociologia, in storia e in scienze naturali; ai margini della collettività druidica c’erano i Bardes, sorta di poeti-cantastorie ufficiali della società celtica

1) Re, sacerdoti e guerrieri.

e nello stesso tempo, cronisti. Infatti, in un’e-poca in cui non esistevano i giornali, gli av-venimenti erano divulgati da interminabili e accattivanti cantilene che il popolo ascoltava con passione.

In Irlanda, a fianco dei druidi, compaiono i Filid, che svolgevano in qualche modo le fun-zioni scientifiche e poetiche ed erano - quan-to a dignità - uguali ai druidi, nonché disposti secondo una rigida gerarchia. Gli antichi ave-vano sentito parlare di loro fin dal IV sec. a.C. e anch’essi avevano un profondo rispetto per le loro conoscenze e la loro effettiva saggezza.

Tuttavia, non si ha alcun testo che riassu-ma l’insegnamento dei druidi o che illustri qualche originale verso di poesia bardica, ma sappiamo che, senza essere esoterica o se-greta, tale eredità culturale era riservata agli allievi delle loro scuole, specializzate in semi-nari agresti (similmente ai peripatetici2 della

2) Filosofi che riferivano i loro insegnamenti esclusivamente camminando all’aperto.

Fabio TruppiI SENTIERI DI OGMA

ALFABETO OGAM

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Runa Bianca 41Agosto 2011 | n.2

FABio truppi

Nato a Francavilla Fontana (Br), è laureato in Conservazione dei Beni Culturali (Beni Architet-tonici, Archeologici e dell’Am-biente), discutendo nel 2002

una brillante Tesi su Atlantide con l’ausilio del professore e archeologo Riccardo Guglielmino, docente di Archeologia e Antichità Egee all’U-niversità degli Studi di Lecce, pubblicata dalle Edizioni Bardi di Roma nel 2004. Chitarrista e appassionato di letteratura fantastica, nonché

vincitore di numerosi concorsi letterari nazio-nali, svolge attualmente at-tività di docenza in Lettere.

Atlantide. Tra mito e archeologia

Bardi Editore, 2004

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Fabio TruppiI SENTIERI DI OGMA

tradizione greca), lontani dall’agitazione del mondo e frequentati preferibilmente dai figli dell’aristocrazia.

I druidi, pertanto, erano essenzialmente dei sacerdoti che presiedevano alle cerimonie del culto e soprattutto celebravano i sacrifici. Tutte le conoscenze e i segreti, compreso l’u-tilizzo di una scrittura ‘iniziatica’ denominata Ogam, erano appannaggio dei druidi. La loro era considerata una sorta di magia naturale capace di interpretare la realtà e ristabilirne gli eterni equilibri. Scandivano il tempo se-condo avitici rituali. L’intera concezione del tempo, per i Celti, era regolata sulle fasi del-la luna, patrona della fecondità della terra e delle donne, basata su quattro grandi even-ti stagionali, di cui l’Irlanda ha conservato il nome. L’anno cominciava il 1° maggio, cioè con la stagione dei giorni più lunghi. In bre-tone giugno è detto ‘mezza estate’. L’inverno cominciava il 1° novembre, in bretone inizio dei ‘mesi neri’, così come mostra il nome di ot-tobre ‘sotto-autunno’.

I druidi erano anche custodi degli alberi, la cui simbologia era altamente considerata. Com’è ben noto, la quercia era particolar-mente sacra, poiché vi si raccoglieva il vischio, ossia la preziosa pianta nata sull’albero sacro, senza contatto con la terra, per cui dalle pro-prietà divine. D’altronde i boschi, più ancora dei laghi e dei fiumi, erano luoghi pregni di presenza divina. Il bosco era a tal punto parte integrante della cultura dei Celti che per loro non era possibile dissociarlo dagli sforzi per

abbattere il nemico. Con molta probabilità, infatti, gli alberi condensavano un indispen-sabile mezzo di contatto genuinamente tan-gibile tra la terra e l’oltremondo divino, tanto da costituire un punto di riferimento impre-scindibile per sondare il futuro e preparare i vaticinii. Com’è immaginabile, per i Romani abbattere i santuari forestali dei Celti diven-ne un’azione cinicamente strategica quanto sconfiggerne le truppe sul campo di batta-glia.

La visione della vita che i Celti acquisivano per mezzo dell’insegnamento druidico, l’as-senza di paura per la morte e dell’aldilà, non si spiegherebbero senza una credenza radicata nell’immortalità dell’anima e nella possibilità per l’uomo di conoscere le forme di esistenza più diverse. Infatti il loro amore per la vita in tutte le sue manifestazioni, la loro apertura verso tutte le esperienze, rivela in loro il senso dell’unità del cosmo, più di duemila anni pri-ma che la scienza moderna, con tutte le sue tecniche, avesse solo cominciato a supporla.

Come gli sciamani nelle società preistori-che, quindi, i druidi rappresentavano il car-dine dell’unità dell’impero spirituale celtico, i promulgatori dell’armonia e della sapienza, i signori degli elementi (acqua, fuoco, vento, terra). Fu proprio per questo che i conquista-tori romani arrivarono a sopprimerne la casta e a proibire severamente le loro riunioni e il culto, in modo da colpire al cuore la società celtica, decretandone così il suo prematuro declino.

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La storia dei popoli europei può essere riscritta

Piramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo

tempo di lettura 20 minuti

Runa Bianca 43

gdi Vincenzo Di Gregorio

Agosto 2011 | n.2

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L’ultima deviazione stradale mi indi-rizzava su di una strada sterrata bo-sniaca, piena di fossi e buche. In quel

momento mi chiesi se mai sarei arrivato alla meta: le piramidi di Visoko.

La mia tabella di marcia, da quando ero partito dall’Italia, era saltata puntualmente almeno una decina di volte… eh già… siamo nei Balcani, e nei Balcani le cose non avven-gono come ci immaginiamo.

Qua tutto ha un suo ritmo proprio, che ti avvolge e non ti lascia fare quello che vorre-sti… a meno che lo assecondi, come le onde del mare che si muovono lente. Chi vuole contrastarle si ritrova chiuso in cabina con il mal di mare. La vera saggezza è sintonizzarsi sulla stessa “lunghezza d’onda”… e quindi… ho assecondato la strada sterrata ed i suoi 10 km orari. Le ore si sommavano alle ore e la mente correva indietro nel tempo, alla casua-lità di eventi che mi avevano portato su quel-la strada per Visoko.

All’inizio dell’anno un amico mi aveva invi-tato ad una conferenza tenuta a Brescia, dove per la prima volta feci la conoscenza con il gruppo italiano SB research group (capitanato dal prof. De Bertolis dell’università di Trieste) che stava collaborando con la Fondazione del-la piramide del Sole bosniaca. Avevo spesso sentito parlare delle piramidi bosniache, ma le notizie che mi erano arrivate spaziavano da ipotesi new-age di dubbio valore scientifico, a foto di scavi che evidenziavano strutture la cui natura non si capiva se fosse artificiale o

meno.Finalmente, per la prima volta, avevo l’oc-

casione di ascoltare in italiano dei ricercatori che si erano recati sul posto e potevano darmi la conferma della natura artificiale delle pira-midi.

Poiché era da una dozzina d’anni che stu-diavo le piramidi italiane di Montevecchia, ero molto interessato a capire se vi fossero al-tre piramidi in Europa che potessero avere la stessa metodologia di realizzazione.

Le “classiche” piramidi egizie erano costru-ite con giustapposizione di blocchi di pietra squadrata. Quelle italiane e bosniache invece erano realizzate utilizzando delle formazioni naturali e “modellandole” a forma di piramide, spigoli compresi.

Quello che venne detto in quella confe-renza fu sufficiente per rendermi conto che molte cose erano ancora da scoprire e che le notizie che giravano in internet non erano né vere né si avvicinavano lontanamente alla complessità del fenomeno.

Dovevo verificare di persona. Mi presentai al gruppo e, avendo loro appreso che avevo a disposizione diverse attrezzature per indagi-ni non invasive quali: macchine fotografiche all’infrarosso vicino, termiche ed un georadar dell’ultima generazione... mi fu offerto di an-dare insieme in Bosnia.

In quell’occasione ci lasciammo da buoni amici ripromettendoci di andare in Bosnia in-sieme dopo qualche settimana.

Per la dogana non avrei avuto problemi

Vincenzo Di GregorioPiramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo

...ALLA FINE ANCHE LE STRADE TERMINANO E QUASI PER MIRACOLO MI APPARE IL CARTELLO DI VISOKO.

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Runa Bianca 45Agosto 2011 | n.2

perchè mi avrebbero rilasciato loro, come gruppo, una dichiarazione come lasciapassare.

Purtroppo, pochi giorni prima, cad-di da una scala rompendomi un piede.

Forse nulla succede per caso e in qualche maniera, misteriosa ma effica-ce, questo semplice incidente sarebbe stato involontariamente la causa di una probabile grande scoperta arche-ologica.

Ma arriviamo al luglio del 2011, a quattro mesi dalla mia caduta. Il tan-to atteso viaggio in Bosnia si compie e sono lì… sulla strada sterrata, con un furgoncino pieno zeppo di attrezzatu-re e di entusiasmo.

Alla fine anche le strade terminano e quasi per miracolo mi appare il car-tello di Visoko. Sulla sinistra, la sagoma della più grande piramide europea. Sagoma che avevo visto tante volte in televisione, su riviste e sul web… alla fine ero arrivato.

Albergo pulito, cibo buono, caffè pessimo; per il resto, i giorni trascorsi a Visoko son volati tra ricerche appassio-nanti e chiacchiere con vari studiosi in un misto di italiano/finlandese/bosnia-co ed il mio inglese scolastico.

Si respirava un’aria internazionale, con volontari giunti da tutte le parti del mondo, dagli Stati Uniti all’Austra-lia, dalla Spagna all’Olanda.

Etnie diverse, linguaggi diversi, ma uniti tutti dalla stessa passione di “sa-pere” e “conoscere”.

La fondazione della piramide del sole, capitanata da Osmanagic, aveva condotto scavi e saggi di scavo presso la piramide del sole ma anche a 2,5 km da essa, nei cosiddetti tunnel di Ravne.

Già nel 2007, infatti, le ricerche spin-sero Osmanagic a scoprire dei tunnel che erano stati riempiti di terra, ma che dopo il primo esame si rivelarono mol-to interessanti e promettenti.

Sin da subito, l’opinione della co-munità scientifica si divise in due… il solito dualismo: saranno artificiali o

MURI A SECCO IN ALCUNI TRATTI SECONDARI DEI TUNNEL DI RAVNE

LA DICHIARAZIONE LASCIAPASSARE PER LA DOGANA

Vincenzo Di GregorioPiramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo

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naturali?La forma del tunnel, spesso a ogiva, por-

tava a ritenere che fossero scavati dall’uomo, mentre molti sostenevano che la costante presenza dell’acqua aveva scolpito quel de-dalo di tunnel rendendolo simile ad un labi-rinto.

Vi era un altro mistero da dipanare: il mo-tivo che ha spinto “qualcuno”, in un’epoca im-precisata, a chiudere tutti questi tunnel con centinaia di tonnellate di terra sino a circa 300 metri dall’ingresso delle gallerie.

Lentamente si delineavano alcune ipotesi per spiegare altrettante domande. Se erano tunnel artificiali:

• chi aveva compiuto questi scavi lunghi alcuni chilometri?

• per quale ragione? Alcuni ipotizzavano fossero delle miniere, dando alle stesse un utilizzo utilitaristico. Ma questa ipo-tesi cozzava col materiale di cui sono composti i tunnel di Ravne, un con-glomerato di cemento e ghiaia tipica di depositi alluvionali o di fiumi, in cui difficilmente si potranno trovare inglo-bati dei materiali utili per qualsiasi tipo di miniera.

• In che periodo storico? La totale assen-za di qualsiasi tipo di manufatto data-bile aveva sinora impedito di ricavare dati utili per risolvere questo quesito.

Ma anche se si potesse conoscere il pe-riodo di realizzazione dei tunnel, rimaneva indeterminato il periodo della chiusura degli stessi con le tonnellate di terra.

In questo stadio di incertezza su quasi tutto, un primo barlume di scoperta archeo-logica venne quando, poco tempo fa, furono scoperti dei muri a secco sotto alcuni tratti se-condari dei tunnel di Ravne.

La costruzione dei muri non derimeva il dilemma sulla creazione dei tunnel (naturali e quindi scavati dall’acqua, o artificiali) ma ne sanciva un loro utilizzo da parte di una po-polazione che poteva non necessariamente essere la stessa degli eventuali costruttori ini-ziali.

Questi dubbi non fermavano i volontari che, con carretti in legno improvvisati, conti-nuavano nel monotono ma efficace lavoro di svuotamento delle gallerie.

Si stan facendo scavi in diversi punti sulla grande piramide e zone limitrofe, al fine di de-terminarne l’effettiva artificialità della model-

Vincenzo Di GregorioPiramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo Vincenzo Di GregorioPiramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo

... PER FORTUNA, UN PAIO DI COLLABORATORI DELLA FONDAZIONE ERANO DOTATI DI UN FUORISTRADA DI MARCA RUSSA ASSOLUTAMENTE MIRACOLOSO.

46 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

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Runa Bianca 47Agosto 2011 | n.2

lazione. Per questo tornava molto utile il mio georadar al fine di determinare la presenza di strutture sotterranee, murature o quant’altro potesse dare delle utili indicazioni all’utilizzo di quel territorio.

Purtroppo, un paio di ore prima del so-pralluogo, un temporale estivo inondò l’in-tera area con una discreta quantità d’acqua. Il georadar soffre molto a causa dell’umidità in quanto l’acqua assorbe interamente le sue onde.

Arrivati sul pendio inclinato della pirami-de, mi resi subito conto che il georadar non dava il massimo nella profondità di scansio-ne. A questo si aggiunse il fatto che l’articolazione del mio piede aveva deciso di non collaborare... ed il ter-reno inclinato e scosceso non age-volava un suo cambio di opinione. Per fortuna, un paio di collaborato-ri della Fondazione erano dotati di un fuoristrada di marca russa asso-lutamente miracoloso. Entrando in mezzo al bosco e arrampicandosi senza problemi apparenti su una su-perficie ad erba intrisa d’acqua con pendenze da 20/30 gradi, son ve-nuti a recuperarmi e a riportarmi al parcheggio dove avevamo lasciato i mezzi.

Giunto lì, mi assalì la consape-volezza che quel tipo di terreno mi era completamente precluso ad ul-teriori indagini. Questo comportava che il mio viaggio di ricerca a Visoko, così tanto agognato, sarebbe finito miseramente… a meno che... fossi potuto andare in una qualche zona pianeggiante.

Beh, tra tutti i posti attualmente oggetti di scavo della Fondazione, i tunnel di Ravne erano sicuramente quelli più pianeggianti.

Dichiarammo a Osmanagich que-sta intenzione e ricevemmo come risposta che molto probabilmente sarebbe stato del tempo sprecato, in quanto altri ricercatori muniti di ge-oradar avevano passato tutti i tun-nel sinora scoperti, trovando solo un

sottofondo di roccia naturale.Non avevo scelta: o i tunnel di Ravne, o

smontavo tutto e ritornavo in Italia con la convinzione di aver sprecato una grande oc-casione.

Decisi quindi di cercare di scansionare i tunnel in maniera molto accurata e con cal-ma... tanto mi restavano ancora tre giorni pri-ma della mia partenza.

A circa 150 metri dall’ingresso del tunnel, quando meno me lo aspettavo, improvvisa-mente lo schermo del mio computer collega-to al georadar comincia a tracciare una figura complessa di natura sicuramente artificiale.

Vincenzo Di GregorioPiramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo

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...QUANDO SUL MONITOR DEL MIO COMPUTER APPARVE PER LA PRIMA VOLTA QUESTA STRANA FIGURA, MI SEMBRÒ CHE IL PRIMO ROMBO SI RIFLETTESSE, COME SE VI FOSSE UNA SORTA DI SPECCHIO INTORNO AI 2,5 METRI.

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Vincenzo Di GregorioPiramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo

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Runa Bianca 49Agosto 2011 | n.2

Si trattava di qualco-sa mai visto sinora. Una struttura composta da due rombi accostati ver-ticalmente, e da altri det-tagli che meritavano di essere approfonditi.

Occorre specificare che questo modello di georadar è costituito da due antenne trasmittenti e da una ricevente. Due antenne con differenti frequenze di emissione e con caratteristiche diver-se. La prima dà maggiori dettagli ma scende meno in profondità, soprattut-to in presenza d’acqua, la seconda fornisce meno particolari e più sfocati, ma scende di più.

Per quel tipo di ri-cerca, la prima antenna era più che sufficiente riuscendo a raggiunge-re profondità intorno ai 2/2,5 metri.

Quando sul monitor del mio computer ap-parve per la prima volta questa strana figura, mi sembrò che il primo rom-bo si riflettesse, come se vi fosse una sorta di spec-chio intorno ai 2,5 metri.

Quella foschia diffusa rappresentava l’acqua che assorbiva le onde del georadar... ma c’era qual-cosa che non andava... quel riflesso non lo avevo mai visto in tutte le scansioni che avevo fatto... e poi... che tipo di riflesso può esserci se l’acqua assorbe le onde... e se le assorbe, come può rifletterle?

È allora che evidenziai il tracciato della se-conda antenna, quella più “miope” ma molto più “performante” alle grandi profondità.

Con stupore mi accorsi che quello che sembrava un riflesso, era una seconda strut-

tura simile alla prima che arrivava ad una profondità superiore ai 4 metri.

La certezza che non fos-se un effetto speculare mi fu confermato dall’esame dei due elementi racchiusi dai bracci lunghi di questi rombi. Mentre il primo ave-va un andamento orizzon-tale il secondo era caratte-rizzato da due masse a svi-luppo verticale... no... non erano riflessi, bensì una struttura di forma mai vi-sta prima, di natura sicura-mente artificiale sepolta da tempo immemorabile in un tunnel che era stato chiuso da tonnellate di terra.

Il sospetto che quella “cosa” che stava sotto i miei piedi potesse essere la cau-sa principe di tutto quel la-voro, mi sfiorò. Così come mi sfiorò l’idea che potessi essere in presenza di una sepoltura “doppia”, due persone legate da vincoli parentali: marito e moglie? Forse un Re ed una Regina?

Con calma e con la sen-sazione che il tempo si fosse fermato, verificai le misure max della struttura: erano 2 x 1 metro, quelle di un letto.

In piena euforia per que-sta scoperta, abbiamo chia-mato Osmanavich e l’arche-ologa Sara Acconci che era

impegnata in scavi in esterno sulla piramide. L’anomalia che il video mostrava “imponeva” una pausa a quei lavori di scavo.

I tunnel di Ravne sono oggetto di continua frequentazione di turisti e visitatori, ed anche in quella occasione non mancarono alcune persone che si fermarono incuriosite dai sor-risi di tutti gli astanti e, ad uno di loro, chiesi di scattarci questa foto ricordo dell’evento.

Vincenzo Di GregorioPiramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo

...NON ERANO RIFLESSI, MA UNA STRUT-TURA DI FORMA MAI VISTA PRIMA

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50 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

Che sia una foto “fresca-fresca”, appena dopo la scoperta, lo si può vedere dai sorrisi, a tren-tadue denti, di tutti.

Da sinistra a destra Heikki Savolainen tec-nico finlandese del suono che stava compien-do dei lavori di misurazione acustica all’inter-no dei tunnel (per conto del SBRG), prof. Se-mir Osmanagich (fondatore della Fondazione della Piramide del sole), prof. Paolo De Berto-lis (capo della SB Research Group), arch. Vin-cenzo Di Gregorio (fondatore dell’eMagazine RunaBianca), e il georadar col video bloccato sull’immagine dell’anomalia appena rilevata.

Strette di mano tra tutti ed improvvisa-mente sono comparse le cineprese ed ognu-no ha girato un filmato (da inserire su youtu-be) che immortalasse questo evento storico.

Questi sono due dei video girati quasi in diretta il giorno della scoperta:

1- Dichiarazione del prof. De Bertolis (http://www.youtube.com/watch?v=KXI1Ld4Th9w)

2- Dichiarazione dell’arch. Vincenzo Di Gregorio (http://www.youtube.com/watch?v=gRdtDMA8q2w)

In fondo, era la prima volta da quando si scavava a Visoko, nei tunnel di Ravne, che si ritrovava un manufatto di natura apertamen-te artificiale e databile, senza che nessun “de-trattore” possa, né ora né in futuro, ipotizzare che sia “naturale” e che in quei tunnel non ci sia nulla di archeologicamente significativo.

Il giorno dopo, ovviamente, l’ho passato a perfezionare le misurazioni, al fine di poter trarre da quel manufatto il maggior numero di informazioni da fornire alla Fondazione. In-fatti solo uno scavo archeologico avrebbe po-tuto chiarire, una volta per tutte, cosa ci fosse “dietro” a quei tracciati del georadar.

(nella foto Prof. De Bertolis del gruppo SBRG, arch. Di Gregorio di RunaBianca, Prof. Semir Osmanagich della Fondazione della pi-ramide del Sole)

Quella mattina la si passò a cercare di capi-re altre cose della struttura.

Ripassando più volte dove ormai si sapeva, emersero nuovi dettagli su questo “manufat-to”.

Utilizzando l’antenna da 700 hertz, che ha come difetto una minore penetrazione del terreno ma, per contro, una maggiore defi-nizione dei dettagli, si è constatata l’esisten-za di svariati elementi posti orizzontalmente (paralleli al suolo) sui fianchi della struttura (come indicato dalla figura). L’ipotesi più pro-babile era che servissero ad una maggiore stabilita’ della struttura stessa ed eventual-mente anche a scopi di drenaggio dell’acqua, abbondante all’interno dei tunnel.

L’ipotesi del “tombarolo sfigato”

Continuando a passare su e giù per quel tratto di tunnel, ho notato che il terreno adia-cente alla struttura non era “naturale”.

Sembrava che vi fosse stato uno scavo molto esteso intorno all’anomalia ed un suc-cessivo riempimento.

Incrociando i dati si vedeva molto distinta-mente un taglio netto, sia a destra sia a sini-stra, per oltre 8 metri di lunghezza.

Questo stava a dimostrare inequi-vocabilmente che i costruttori di quel-la struttura misteriosa da 4,30 metri di profondità, hanno effettuato uno sban-camento di quasi 8 metri di lunghezza. Essendo il sottosuolo composto da roccia e conglomerato, si vede molto chiaramente come questo scavo fu successivamente riem-pito utilizzando magari il materiale ricavato

Vincenzo Di GregorioPiramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo

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Vincenzo Di GregorioPiramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo

dallo scavo stesso. Queste operazioni sono ben evidenziate da un andamento rettilineo e molto netto dei bordi del riempimento effet-tuati successivamente alla costruzione della struttura interrata.

Ma ecco apparire al centro un altro cambio di densità del terreno, molto ben evidenziato dal georadar. Dopo averlo osservato attenta-mente, ne ho dedotto che non poteva esse-re stato fatto un riempimento con materiali di differente densità, in quella maniera così netta… a meno che vi fosse stato un lasso di tempo tra un riempimento e l’altro.

È quindi ipotizzabile che dapprima sia stato effettuato lo scavo, poi è stata colloca-ta la struttura, riempita la fossa col materiale ricavato dallo scavo e, in ultimo, qualcuno ha cercato di raggiungere la parte inferiore del-la struttura con un pozzo di circa 3 metri di profondità. Successivamente, questo pozzo è stato riempito con materiale differente dal primo riempimento (con granulometria più fine). Questa differenza di materiale ci confer-ma l’ipotesi che i due scavi siano stati effet-

tuati in tempi differenti. Ma chi poteva aver compiuto uno scavo di quel tipo e per quali finalità?

La prima idea che mi è venuta in mente è quella di un “tombarolo sfigato”.

Se ammettiamo come possibile l’ipotesi della tomba regale… è ovvio che i corpi ed il loro corredo siano stati seguiti da una fol-la di persone molto ampia che li avrà visti in-trodurre nei tunnel per essere lì sepolti. Un eventuale tombarolo, attratto da un corredo abbastanza ricco, può essere entrato succes-sivamente per depredare le salme.

Entra nei tunnel e trova quel tratto in cui il pavimento rileva tracce recenti di scavo, per 8 metri di lunghezza.

Sapendo che la tomba si trovava lì sotto, scava un pozzo nella posizione più ovvia, quella del centro dello scasso, mancando cla-morosamente la tomba in quanto i costrutto-ri l’hanno posta volutamente decentrata, in basso a sinistra.

Il tombarolo, quando giunge alla profon-dità di circa 3 metri, si ferma accorgendosi di

IN EVIDENZA TRATTEGGIATO LO SBANCAMENTO EFFETTUATO DAI COSTRUTTORI

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Vincenzo Di GregorioPiramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo

non stare scavando nel posto giusto. Qualsi-asi tombarolo, anche se deluso, non poteva mollare proprio in quel momento, ma avreb-be tentato di fare un altro pozzo, e poi un al-tro ancora, con la certezza che la tomba ago-gnata fosse proprio lì sotto.

Ma non si vedono altri pozzi, da ciò si può dedurre che non abbia potuto farli perché ne sia stato impedito! È stato sorpreso in fragran-te? O non ha avuto il tempo di farlo perché i tunnel sono stati “semplicemente” sigillati definitivamente da tonnellate di terra… sino al 1997. Questo ci dà però la certezza che se tombe sono, non sono mai state violate. Ma non solo: il nostro tombarolo non sapeva che la tomba era stata messa in un angolo dello scavo, ma sapeva molto bene a che in profon-dità si trovava la tomba col corredo più ricco, in quanto ha interrotto il suo scavo a 3 metri. Ed è a 3 metri che si trova infatti una delle due sepolture, quella più bassa.

Ovviamente occorre sempre attendere che sia finito lo scavo attualmente in corso per capire se siamo realmente in presenza di una sepoltura, e sul tipo di corredo lì nasco-sto.

Labirinti Sacri

Però ci piace, per un momento, provare a sondare i vari scenari che si aprono qualora si prospettasse un reale uso tombale di questa anomalia. Il fatto che si sia potuta individuare il primo giorno in cui siamo scesi nei tunnel di Ravne, può essere frutto di una fortuita coin-cidenza o del fatto che quella tomba non sia l’unica presente nei labirinti di Ravne.

Ma dove possono essere le altre, e perché si è voluto collocare delle sepolture in tunnel sotterranei (ripeto: ipotizzando che l’uso se-polcrale della struttura si dimostri veritiero)?

La mente non può non ritornare ai famo-si muretti a secco che si trovano in vari punti lungo il tunnel principale. La terra che riem-pie quei rami di tunnel non è mai stata levata (tranne in un paio di casi) ed in quei casi si è visto che, qualche metro dopo il primo mu-retto, se ne trovava un altro, e poi un altro, e poi un altro, ed ogni tratto era sempre inter-

rato.Che senso aveva chiudere dei pezzi di tun-

nel interrando a più riprese, e in tempi diversi, se non vi fossero esigenze di trasformare quei tratti di tunnel in altrettante “camere mortua-rie”?

Ma perché farsi seppellire in quei labirinti?Non dimentichiamo che i tunnel di Ravne

(una volta svuotati dell’acqua e della terra) possono a buon diritto essere considerati dei veri e propri labirinti.

Non può sfuggire che in passato svariati popoli hanno dato al labirinto vari significa-ti simbolici e diversi utilizzi. Il labirinto è, dal punto di vista architettonico, una specie di “edificio” senza apparente finalità, da percor-rere e/o da visitare. In tutta l’area mediterra-nea ne son stati costruiti molti e solo di alcuni ce n’è giunta testimonianza.

Qualche esempio: uno dei più antichi è quello vicino al lago Moeris, in Egitto, fatto co-struire dal faraone Amenemhet, di cui ce n’è giunta traccia grazie alle descrizioni di storici come Erodoto, Diodoro siculo, Plinio e Stra-bone; (http://www.loggiatacito740.it/pdf/Il%20Labirinto.pdf ) quello cretese di Cnosso, legato al mito del Minotauro, detto Unicursa-le, perché formato da un’unica via che intriga, avvolge e va verso un centro, a cui si avvicina e si allontana successivamente (http://www.mariateresalupo.it/simbolimitialchimiafiabe/labirinto.html); quello greco dell’isola di Lem-no; quello del re etrusco Porsenna a Chiusi, che era (casualmente) la sua Tomba. (http://it.wikipedia.org/wiki/Labirinto_di_Porsenna).

Si sono trovati labirinti incisi nella roccia anche risalenti a 6000 anni fa, come quello ritrovato in una tomba del neolitico in Sarde-gna, o quello di Tikla in Madhya Pradesh. Nei mosaici romani a Susa in Tunisia; sino al me-dioevo, come quello nel pavimento delle cat-tedrali: quella di Chatres (http://utenti.quipo.it/base5/combinatoria/labirchartres.htm), del Duomo di Lucca.

O come semplice formazione di mucchi di pietre, come quello ritrovato nei pressi di Bijapur in Madras, noto come Lakshmana-mandal...

L’elenco potrebbe continuare all’infinito. In tutta l’Europa pre-celtica era diffusissimo

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Vincenzo Di GregorioPiramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo

il culto della Dea Madre, della Grande Madre Terra. In contrapposizione al sole che veniva adorato in altari posti su alture, gli altari dedi-cati alla Madre Terra erano collocati sottoterra (stiamo semplificando per esigenze espositi-ve).

Lo scavare strutture ipogee sempre più elaborate o estese significava, per quei popoli, addentrarsi nel grembo della Dea Madre soprattutto se insie-me alla terra c’era legata la presenza di acqua o di laghi sotterranei. L’acqua è il simbolo universale della vita, che in questo contesto si legava alla morte e alla resurrezione.

Ma se andiamo indietro nel tempo e nella memoria, troviamo che questi concetti sono stati legati alla figura ge-ometrica del triangolo, con due diffe-renti significati.

Col vertice verso il basso simboleg-gia una coppa, o se volete, può simbo-leggiare l’utero di una donna che nelle culture dell’India è chiamato Shakti.

Col vertice verso l’alto rappresenta il simbolo maschile: Shiva.

Non possiamo non notare una stretta correlazione formale con lo schema della struttura che stiamo esa-minando.

Sempre nell’ipotesi della doppia se-poltura, possiamo vedere come ognu-no dei due corpi diventa l’elemento di unione tra il principio maschile e fem-minile espresso nei due triangoli con-trapposti.

Ma se lo interpretiamo in chiave religiosa, per quei popoli il principio femminile era la Madre Terra e quello maschile era il Dio Sole.

Due triangoli contrapposti in cui il defunto costituiva il “trait d’union”, l’elemento di unio-ne tra la terra ed il cielo: l’Axis Mundi.

Ci risulta quasi impossibile pensare che questa particolarissima forma sia stata ese-guita per caso, ancor di più se si pensa che appena qualche mese fa, in un tunnel lì vici-no, è stata rinvenuta una pietra con inciso un triangolo equilatero con un cenno ad un’altro triangolo rovesciato.

Il primo triangolo è molto ben definito, il

secondo è solo abbozzato ma ben percepibi-le.

Due triangoli equilateri che si incastrano formando una stella a sei punte forma quello che viene definito: il sigillo di Salomone.

Questa simbologia fa parte dell’umanità

da tempi antichissimi e l’abbinamento alla fi-gura di Salomone è dettato solo per esprime-re la “saggezza” che biblicamente era legata al personaggio, ma sicuramente l’età della sua creazione si perde nella notte dei tempi.

Nell’accezione attuale, l’unione e l’incastro dei due triangoli esprime un’unità che può rappresentare l’essere umano, costituito da due princìpi simboleggiati dai due triangoli:

- quello verso l’alto è il principio spirituale- quello verso il basso è il principio materiale.

Come si vede, vi è una continuità di utiliz-zo di simbologie millenarie fatte da popoli di

SHIVA SIMBOLO MASCHILE E SHAKTI SIMBOLO FEMMINILE

Shiva

Shakti

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54 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

Vincenzo Di gregorio

Architetto ed imprenditore, da sempre appassionato di arche-ologia, noto come scopritore delle cosiddette “piramidi di Montevecchia” i cui studi sono

stati pubblicati nel libro dal titolo Il Mistero delle Piramidi Lombarde (Fermento, 2009). Fondato-re di Antikitera.net (uno dei più noti siti web di news archeologiche e di misteri) e della rivista Runa Bianca (www.runabianca.it). Per le sue ri-cerche si avvale di foto aeree sia nel visibile che nell’infrarosso, fondando una società finalizzata alla ricerca chiamata “ludi ricerche” che fa capo

al sito web: www.aereofoto.it. Suoi studi son stati mostrati in diverse riviste di settore, e su reti televisive quali: Voyager (rai2), Mistero (italia1), Me-diolanum Chanel (Sky), Ode-onTV.

Il Mistero dellePiramidi Lombarde

Fermento, 2009

vai scheda libro >>

diversa cultura. Nel caso che stiamo esami-nando potremmo essere in presenza di un popolo antecedente a quelli a noi noti ma che conosceva con estrema dimestichezza i significati di certi simboli soprattutto legati alla Madre Terra ed al Sole.

Ma di che epoca?Per rispondere a quest’ultima doman-

da dovremmo solo pazientare un mese ed aspettare che gli scavi archeologici, ormai in corso, ci possano definitivamente chiarire an-che quest’ultimo quesito.

Ma anche conoscendo il “quando”, non saranno esaurite tutte le domande, anzi, si apriranno delle porte che condurranno ad al-tri filoni di ricerca. Per esempio, la pietra ritro-vata col triangolo inciso potrebbe far parte di un “ex-voto” lasciato in dono alla Dea Madre presso il suo templio.

Ricordiamo infatti che quasi tutti i popoli che adoravano la Grande Madre lo facevano nelle viscere della terra e lì collocavano i loro santuari.

È quindi molto probabile che, insieme ad altre sepolture, possa emergere dai tunnel di Ravne anche un santuario dedicato alla Ma-dre Terra che giustifica sia la creazione di que-sti tunnel labirintici, sia un utilizzo tombale di parte degli stessi.

Ma per questo occorre aspettare le nuove campagne di scavo che riprenderanno a Vi-soko l’anno prossimo.

Video correlati :http://www.youtube.com/watch?v=GifbODUEiQ4http://www.youtube.com/watch?v=1luJUb9UYLIhttp://www.youtube.com/watch?v=w-nCEnFd2RYhttp://www.youtube.com/watch?v=ciJqpyYFia0

Vincenzo Di GregorioPiramidi bosniache: scoperta una struttura sotterranea unica al mondo

MANUFATTO RITROVATO CON INCISA STELLA DI DAVIDE

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Le vicende che han fatto nascere la leggenda di re Artù

La spada nella roccia italiana

tempo di lettura 13 minuti

Runa Bianca 55

di Mario Moiraghi

Agosto 2011 | n.2

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La Grolla

A partire dalla metà del secolo XI, la cultu-ra europea fu attraversata da un oggetto mi-sterioso, chiamato Graal.

Secondo il Perceval, racconto del poeta francese Chrétien de Troyes, un cavaliere vis-suto in area franco bretone aveva avuto la sin-golare e fuggevole visione di un Graal.

Poco tempo dopo, cinque anni o poco più, un poeta tedesco, Wolfram von Eschenbach, scrisse il “Parsifal”, una riedizione del Perce-val, con alcune note critiche nei confronti di Chrétien, al quale rimproverava una certa mancanza di rigore e di chiarezza nell’esposi-zione della vicenda e il mancato riferimento alle fonti d’origine.

Cosa fosse un Graal non fu chiaro fin dall’i-nizio. Chrétien e Wolfram ne avevano parlato, senza spiegarne il significato. I commentatori, in generale, dettero alla parola il significato di vaso, affine, fra l’altro, al termine italiano grolla. In tempi di Crociate e di ritrovamenti di reliquie in Terrasanta, la visione di un vaso, di un calice, forse contenente il sangue di Cri-sto, era decisamente suggestiva e il racconto

ebbe successo e notorietà. Ma gral era anche affine a parole orientali

che indicavano pietre o pietre preziose o per-le. E fu proposta anche l’interpretazione del Graal come “pietra”.

Nella confusione, fu comunque chiaro che il cavaliere che per primo lo aveva visto ne aveva subito parlato ad altri colleghi e tutti costoro si erano immediatamente gettati alla ricerca dell’oggetto in questione, sotto il pa-trocinio di un certo re Artù, capo dei Cavalieri della Tavola Rotonda.

Ad ingarbugliare la trama si aggiunsero altri poeti e scrittori, che si dicevano a cono-scenza dei fatti, i quali avevano anche affer-mato che il Graal era custodito da Cavalieri Templari e, forse, era finito in mano agli ere-tici. Anzi: era la coppa che aveva contenuto il sangue di Cristo, o il calice dell’Ultima Cena, o molto altro ancora.

Galgano

Come se ciò non bastasse, la vita di un san-to non notissimo, san Galgano di Montesiepi, presso Chiusdino, un piccolo borgo non lon-

Mario MoiraghiLa spada nella roccia italiana

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RAFFIGURAZIONE DI SAN GALGANO CHE CONSEGNA LA SPADA A SAN MICHELE

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Runa Bianca 57Agosto 2011 | n.2

tano da Siena, rivelava incredibili affinità con la vicenda di Parsifal, il leggendario cavaliere del Graal.

E, nel centro della vita di Galgano, campeggiava una spada piantata nella roccia, troppo simile a quella che consa-crò re Artù per essere una coincidenza.

La storia di questo santo porta una data antica, essendo stata narrata, in un regolare processo di beatificazione, nel 1185, prima che i poeti dell’Europa del nord cantassero la vicenda della Tavola Rotonda e dei suoi cavalieri.

Correva l’anno 1185, quando Galga-no fu elevato agli onori degli altari, e da quella data compare in modo preciso il fenomeno dapprima strisciante poi va-langhivo, di Parsifal e del Graal. L’asso-nanza fra Galgano e l’arturiano Galvano non prova nulla, ma rientra nelle molte incredibili coincidenze.

Sia ben chiaro: è assurdo anche solo sospettare che il cosiddetto Ciclo Breto-ne, quello del Graal per intenderci, abbia avuto come fonte ispiratrice San Galga-no. Ma il problema, come vedremo, non si pone in questi termini.

È difficilissimo affrontare questi sce-nari in modo schematico e sintetico. Si tenterà comunque di tentare una prima sommaria panoramica dei problemi emer-genti.

Fare chiarezza

Qui occorre chiarire alcune cose:• In area bretone, ma in tutta l’Europa

di quel tempo, non esisteva nessuna consuetudine “di corte” simile al siste-ma cortese che i racconti del Graal trat-teggiano.

• Eranoesistiti infiniticondottiericon ilnome contenente qualcosa simile ad “Artù” (che fra l’altro si ritrovava an-che in ambito etrusco) ma nessuno di loro aveva nulla a che fare con il com-portamento dell’Artù: erano sempre e comunque combattenti o condottieri senza contorni graaliani e cortesi.

• C’eranoancheinfinitespade,connomisuggestivi e storie suggestive, ma mai l’associazione spada/pietra/infissione, nei termini in cui si presentano in que-sti anni.

• Le avventuredimolti eroi nordeuro-pei, successivamente accostati ad Artù dagli studiosi, avevano roboanti av-venture guerresche, con spade, scudi, cavalli, sangue, eccetera, ma nessuno di loro aveva vissuto avventure coe-rentemente caratterizzate dagli stessi elementi tipici dell’ambiente arturia-no: ponti perigliosi, spade spezzate e ricomposte, simbolici gorghi di acque, …

Sia chiaro: tutto c’era e preesisteva, come si può dire delle infinite e molteplici fattezze dei volti (lo diciamo in termini allegorici), ma nessuna combinazione di particolari che fa-

Mario MoiraghiLa spada nella roccia italiana

GALGANO IN UNA TELA DI RUTILIO MANETTI CONSERVATO NEL-LA CHIESA DI SAN MICHELE A CHIUSDINO

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58 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

cesse assomigliare qualcuno e qualcosa alle fisionomie dei personaggi e delle avventure della Tavola Rotonda.

L’unico pezzo di carta, anzi di pergamena, che fosse simile, anzi identico, ad una parte della vita di Parsifal, era il processo di canoniz-zazione di San Galgano di Montesiepi.

Un paio di dozzine di elementi presenti nella storia del santo di Montesiepi si ritrova-no nella vita di Parsifal: troppo per essere solo una coincidenza.

Persia o quasi

Le sorprese non sono finite. Innumerevoli

studiosi, anche coloro che non sono né fanta-sisti né esoterici, hanno notato che i romanzi del Graal rivelano ineludibili connessioni con la storia, la mitologia, la cultura di un area ap-prossimativamente persiana. Per intenderci, i protagonisti si muovono in uno scenario col-locabile alle sorgenti dell’Indo.

Ne fanno fede infiniti dettagli del raccon-to: paesaggi, animali, vegetazione, abiti, gio-ielli, tessuti, costumi sociali e perfino il non trascurabile fatto che, in quei tempi, esisteva in area persiana una consuetudine “di corte” identica a quella descritta nel Ciclo di Artù.

Basterebbe citare il fatto che giocavano a Scacchi e che facevano escursioni alle sorgen-ti dell’Indo. Chi sa di scacchi conosce l’origine e i tempi di arrivo in Europa di questo gioco. E sa che non erano consuetudine europea di quei tempi. Più precisamente, essi giungono fra noi nel secolo XII.

Esiste poi un complesso di elementi cultu-rali, disseminati e nascosti fra le pieghe dei te-sti di Chrétien e Wolfram, che evocano e rical-cano in modo sorprendente la cultura sociale e religiosa dell’antica Persia

Le tessere del mosaico

Tentando di schematizzare il complesso di elementi in qualche modo anomali, rispetto alla lettura corrente dei Romanzi di Bretagna, possiamo individuare almeno i seguenti ele-menti:

• analogie ambientali e sociali con l’Asia Centrale,

• tracce culturali e religiose della cultura persiana e mazdeica,

• elementi in comune con San Galgano.

Questa connessione fra la Persia e l’am-biente di Galgano, per inciso, non è così im-probabile come potrebbe credersi. La zona di Chiusdino, in quei tempi, ricadeva sotto l’influenza di Pisa e i pisani avevano un cana-le commerciale ben definito con quella parte di Oriente. Anche le Costituzioni Pisane ven-gono fatte risalire a modelli probabilmente orientali e le carte nautiche dell’epoca testi-moniano il collegamento fin con le zone ad

Mario MoiraghiLa spada nella roccia italiana

TESTA DI SAN GALGANO CONSERVATA IN UN RELIQUIARIO NELLA CHIESA DI SAN MICHELE A CHIUSDINO

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oriente del Mar Nero.Potremmo analizzarle in modo sintetico,

rinviando a successive più precise analisi che potranno essere affrontate in altra sede.

Per quanto riguarda il paesaggio in cui si svolgono le azioni dei Cavalieri della Tavola Rotonda, emergono elementi ambientali che possono apparire fantastici ma appartengo-no ad un definito quadro territoriale. Non si tratta di un casuale e fantasioso assemblag-gio di dettagli fiabeschi.

I Cavalieri si muovono lungo sentieri fian-cheggiati da viti e olivi, che, dalle parti di Gla-stonbury forse esistevano con abbondanza in un’altra era climatica. Non importa, potrebbe essere una libertà della fantasia degli autori. Ma all’improvviso, fra i cespugli di cardamo-mo e terebinto (sic) i nostri intravvedono una lince e, più in là, un pavone, lasciando intuire che qualche signore bretone non ha chiuso il recinto dei suoi animali esotici. Per inciso: an-che il cardamomo deve essere stato allevato con difficoltà, in Bretagna, perché le enciclo-pedie divulgative dicono che vive fra l’India e la Malaysia, nello Sri Lanka e a Ceylon. Qual-che variante alligna in Nepal e nel Sikkim, in Cina, Vietnam, Thailandia e Birmania. Mentre il Terebinto vive, al massimo in Marocco, Por-togallo, Turchia, Siria e Palestina. Bretagna, Acquitania e regioni confinanti niente di niente.

Il pavone è simbolo della Persia e la lince è

presente in un vastissimo areale asiatico con qualche inspiegabile presenza in Svizzera. In Bretagna no.

Lo sconcerto affiora quando appare un cavaliere che, sull’elmo, porta una gabbietta con una mangusta viva. La mangusta è un simpatico animaletto che assale ed uccide i serpenti più pericolosi. Qualcuno forse ricor-derà una famosa mangusta, Rikki Tikki Tavi, che si incontrava nei racconti di Kipling, am-bientati in India. Qualche mangusta si trova nel deserto del Kalahari, in Africa meridiona-le. In Bretagna o in Gran Bretagna si trova al massimo in qualche zoo privato, sempreché non si venga denunciati per possesso di ani-male esotico.

Cavalieri e dame girano vestiti di tessuti damascati e abbigliati con achmardi, sciami-to rosso, seta di Ninive, seta d’Arabia. A parte il richiamo di Damasco (stoffe damascate) è evidente l’esoticità dei tessuti, tutti originari dell’Oriente. Lo sciamito, per fare un esempio concreto, viene dall’Iran e si diffonde attra-verso la Siria e Bisanzio. L’achmardi è una seta verde broccata d’oro, usata in Oriente.

Ma una trattazione a parte merita il gio-co degli scacchi. Di essi si parla in più d’uno dei racconti del Graal. Gli scacchi compaiono con irruenza sia nel racconto di Chrétien che nel racconto di Wolfram, coinvolti nell’azione narrativa come oggetti abitualmente presen-ti nell’arredamento degli ambienti. Gli scacchi

Mario MoiraghiLa spada nella roccia italiana

LA CAPPELLA DI MONTESIEPI A POCA DISTANZA DALL’ABBAZIA DI SAN GALGANO

Runa Bianca 59Agosto 2011 | n.2

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60 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

sono un giuoco di origine indiana, giunti in occidente fra i secoli XI e XII, tramite la cultura persiana, tanto da essere considerati a lungo e impropriamente un giuoco persiano a pie-no titolo. È da escludere il fatto che possano essere stati utilizzati in ipotetiche corti o am-bienti europei ai presunti tempi dell’Artù bre-tone (attorno al 500 o 600 d.C.), ed è anche improbabile una loro ampia diffusione in area europea nel periodo fra il 1100 e il 1200.

La loro ripetuta presenza, come passatem-po abituale in quegli anni, può essere solo spiegata dal fatto che gli ambienti nel quale si muovono i Cavalieri della Tavola Rotonda sia-no certamente orientali, se non decisamente persiani.

Considerazioni analoghe potrebbero estendersi alle similitudini fra la vita di Gal-gano e le esperienze giovanili di Parsfal. Gli spunti fondanti della vita di Parsifal, sui quali i commenti degli infiniti interpreti del Graal si sono accaniti, per dimostrare simbolismi, connessioni, riferimenti, misteri, legami, … ci sono tutti, nella testimonianza fiabesca e nel-la realtà documentale della vita di Galgano e della Cappella di Montesiepi, unico vero con-creto e precoce monumento di un’avventura di tipo graaliano, un monumento storicamen-te attendibile e certo, nella sua realtà fisica e nella sua appartenenza temporale al medioe-vo più luminoso.

Fra questi elementi di contatto e conso-nanza tra Galgano e Parsifal, possiamo inizia-re ad elencare i seguenti, in una lista sintetica:

- La Madre Vedova.- Il tentativo di dissuadere il figlio

dall’avventura.- La visione di san Michele, in analogia

all’incontro di Parsifal con i Cavalieri.- La percezione, come quella di Parsifal,

di dover far parte di una cavalleria ce-leste e non terrena.

- La necessità di divenire adulto, di ac-quistare autonomia dalla madre.

- L’erranza del cavaliere, alla ricerca di un aiuto o di un sostegno.

- L’erranza del cavaliere in preda allo sconforto o all’oblio.

- Il cavallo che gli indica la via, riscontra-bile in alcune versioni dei racconti del

Graal. - Il Ponte Periglioso di Cinvat.- L’acqua vorticosa sotto il ponte.- L’arrivo nel mezzo degli Apostoli-Cava-

lieri riuniti in attesa.- Il tempio circolare, detto Rotunda, di

trasparente analogia con la Tavola Ro-tonda.

- La singolar tenzone con il demonio.- La lancia o il palo di significato conflit-

tuale, demoniaco o sanguinario.- La spada nella roccia, - La spada spezzata e rinsaldata.- La singolare assonanza fra Galgano e

Galvano, nipote di Artù.

Si tratta di una serie di coincidenze che è difficile ritenere casuale e che dovrebbe co-stringere gli studiosi a più profonde riflessio-ni.

Sia detto ancora con chiarezza: Galgano non ha nulla a che fare con il Graal, ma lo stu-dio comparato delle due vicende fa emergere la certezza di un’influenza letteraria esercitata dalla vita di Galgano, storicamente documen-tata, su alcuni aspetti della Materia di Breta-gna.

Il quadro enigmatico

Anzitutto è inspiegabile, oltre ogni limite, l’apparente trascuratezza di cui è stata ogget-to la matrice persiana dell’intera vicenda del Graal.

È poi eccessivamente forzata e inaccettabi-le la localizzazione nelle lande franco-bretoni, troppo generica e superficiale la connessione con l’area e la cultura celtica. È sorprenden-te la passività e l’acquiescenza con la quale la cultura europea ha accettato e ancora accet-ti il radicamento della saga arturiana in area bretone, in presenza di anomalie così eviden-ti.

Anche un’analisi preliminare e sommaria permette di giungere a conclusioni che scon-volgono l’interpretazione degli ultimi otto-cento anni e che si possono così riassumere:

• LastoriascrittadiGalganoèincontro-vertibilmente anteriore ai racconti del

Mario MoiraghiLa spada nella roccia italiana

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Mario MoiraghiLa spada nella roccia italiana

Graal.• La storiadiParsifal contiene innume-

revoli punti di contatto con la storia di san Galgano, tanto da far supporre che, prima di giungere in Aquitania o in Bretagna, la storia della Tavola Ro-tonda o della spada nella roccia si sia compiuta sulle colline, fra Siena e Pisa.

• LaCortediArtùeiCavalieridellaTavo-la Rotonda sono figure della Corte Per-siana medievale e premedievale, con palesi richiami alle radici più remote e autentiche della cultura dell’antico Iran.

• L’ambientenaturale,leusanze,iluoghie i nomi sono solidamente connes-si con il sistema territoriale e sociale di un’area compresa fra le sorgenti dell’Indo, il Mar Caspio e il Golfo Persi-co.

• La vicenda del Graal è strettamenteconnessa, se non totalmente identifi-cabile, con la vicenda dei Re Magi. Ma questa è un’altra storia.

Questo, in sintesi, l’approdo del nostro viaggio.

È un approdo molto lontano da quelli noti ed accettati, ed è stato raggiunto tenendo

conto che le culture di cui si tratta, persiana, celtica, bretone, cristiana, sono strettamen-te connesse da matrici ed elementi comuni. Accanto a queste tesi di fondo sono quindi possibili molte altre affinità e molti altri colle-gamenti storici, religiosi, linguistici e culturali, che arricchiscono ma non smentiscono le tesi sostenute.

La Cerca continua, deve continuare

Il cosiddetto mistero del Graal continuerà, perché si regge su teoremi e dimostrazioni false, perché l’area bretone non conserva te-stimonianze di cose che non le appartengo-no, perché le stesse trascrizioni di Chrétien e Wolfram sono state, in origine, volutamente calate in un ambiente improprio e perché una miriade di continuatori e di commentatori hanno volutamente avallato il falso, perché era gradevole e utile alle monarchie, alle si-gnorie, alle chiese, ai predicatori, agli opinion makers dell’epoca.

Ma le discrepanze con le testimonianze e perfino con i grandi temi dell’umanità sono troppe, essenziali, inconciliabili in modo radi-cale.

ABBAZIA DI SAN GALGANO

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Mario MoiraghiLa spada nella roccia italiana

MArio MoirAghi

Nato a Milano, nel 1942, si de-dica attualmente alla realizza-zione di testi storici e scientifici, allo studio di eventi sociali di rilievo e alla progettazione di

piani operativi per la gestione di situazioni di ri-schio ambientale e di emergenza. Possiede una formazione culturale certamente eclettica, che, partendo da una base classica e letteraria, si è sviluppata nei titoli di Ingegneria, al Politecnico di Milano, di Economia aziendale, alla Bocconi, in associazione con corsi di specializzazione di vario genere, in materia ambientale, economi-ca, amministrativa e sociale. In campo lingui-stico, in aggiunta a quattro lingue moderne, al greco antico e al latino, ha compiuto studi sul-le calligrafie medievali, sulle lingue del bacino mesopotamico e sull’egiziano geroglifico. Ha operato in settori industriali privati, nel campo del controllo ambientale, come coordinatore di progetto, presso società multinazionali eu-

ropee e americane. È stato dirigente pubblico, nell’ambito di un’amministrazione regionale, ricoprendo anche incarichi di livello nazionale. Docente universitario per circa un decennio, nel settore del governo delle situazioni di emer-genza e della protezione civile, ha insegnato in varie scuole di perfezionamento post laurea, in diverse sedi italiane. Ha diretto riviste scien-tifiche e pubblicato numerosi articoli tecnici e storici, per riviste italiane e di lingua inglese. Re-alizza conferenze nei campi di competenza ed ha organizzato importanti convegni culturali. Gestisce il sito www.scriptorium.it.

Il grande libro del Graal

Ancora, 2006

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La Croce, impugnata e strappata dal terre-no dove era confitta, non può trasformarsi in spada: non è questo il senso del messaggio cristiano, messaggio reso evidente da Galga-no che rifiuta la violenza e trasforma la spada in Croce.

Come già accennato, è assurdo anche solo sospettare che il cosiddetto Ciclo Bretone si ispiri a San Galgano. Lo scenario più probabi-le è costituito da una fiaba persiana, portata in Toscana dai canali pisani e qui arricchitasi della personalità, a quei tempi prestigiosa, di Galgano, che servì per dare corpo alla figura di Parsifal. Questa ipotesi è ragionevole, ma va confermata e sostenuta da prove più con-crete, razionali e tangibili, come non hanno fatto gli studiosi del Graal.

Occorre cercare, cercare ancora. Ma dove?Eppure qualche traccia si profila: • Quale affidabilità storica possiede la

vita di Galgano?• Sono state eseguite tutte le ricerche

possibili, anche genetiche, sui resti di Galgano e sugli altri reperti esistenti,

come le braccia mummificate, custodi-te nella cappella di Montesiepi?

• Igeoradarhannoanalizzatotutto,ore-stano zone d’ombra, nella Cappella di Montesiepi?

• ChihaportatolaleggendadallaTosca-na in Bretagna?

• Quale fu il vero ruolo dell’ambienteculturale pisano?

Ma non basta.• Come la mettiamo con Geoffrey de

Montmouth, con Beda, Nennio e gli altri che (apparentemente) hanno par-lato di Artù anni o secoli prima?

• Epoi:comec’entraintuttaquestafac-cenda Maria Maddalena?

• EiReMagi?

La caccia alla soluzione dell’enigma è aperta, occorrono approfondimenti e, forse, qualche strada è già indicata. Il panorama è ricco di possibili sviluppi e affascinanti stimo-li. Occorre evitare accuratamente le trappole del mistero-a-tutti-i-costi.

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Parapsicologia e percezioni extrasensoriali si incontrano

Castello di Montebello: Il mistero di Azzurrina

tempo di lettura 9 minuti

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di Michele Morettini

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Questa storia inizia nel 1375, con la scomparsa di una bambina. Guen-dalina, chiamata da tutti “Azzurri-

na”, era la figlia di Ugolinuccio, signore di Mon-tebello. Guendalina era albina. La superstizio-ne popolare del tempo collegava l’albinismo con eventi di natura magica se non diabolica. Per questo Ugolinuccio aveva deciso di farla sempre scortare da un paio di guardie e non la faceva mai uscire di casa per proteggerla dalle dicerie e dal pregiudizio popolare. La

madre le tingeva ripetutamente i capelli con pigmenti di natura vegetale, estremamente volatili. Questi, complice la scarsa capacità dei capelli albini di trattenere il pigmento,

avevano dato alla bimba riflessi azzurri come i suoi occhi che ne originarono il soprannome di Azzurrina. Un primo documento scritto che narra la storia della scomparsa di Azzurrina ri-sale al 1620, chiamato “Mons Belli et Deline”; Montebello e Guendalina. Si hanno quindi quasi tre secoli di leggenda popolare traman-data oralmente. Il testo racconta che il 21 giu-gno 1375, giorno del solstizio d’estate, men-tre fuori imperversava un forte temporale e si combatteva una delle innumerevoli battaglie

contro la famiglia dei Mon-tefeltro, Azzurrina si trovava in una galleria seguita come al solito da due guardie; la piccola stava giocando con la sua palla di pezza. Improv-visamente questa le cadde in quella che era la ghiaccia-ia. Ovviamente la bambina cercò di andare a ripren-derla scendendo le scale. Le guardie non se ne curarono poiché quella che Azzurrina aveva imboccato era l’unica entrata ed uscita. Sarebbe dovuta quindi risalire qual-che istante dopo. Improvvi-samente un urlo terrificante proveniente dalla ghiacciaia spinse i due armigeri a cor-rere in cerca della piccola. Sfortunatamente non venne mai più ritrovata. Secondo la leggenda il 21 di giugno di ogni anno lustro, se fuori vi è un temporale, è ancora possibile sentire il pianto di Azzurrina. Il castello è sta-to riaperto al pubblico nel 1989 e dal 1990 (anno della prima acquisizione psicofo-nica realizzata casualmente dalle telecamere della RAI, durante la registrazione di un programma) vengono ef-

fettuati periodicamente esperimenti media-nici e ricerche parapsicologiche.

La nostra Associazione ha avuto l’onore di partecipare attivamente alle ricerche del

Michele MorettiniCastello di Montebello: Il mistero di Azzurrina

RITRATTO DELLA PICCOLA GUENDALINA CHIAMATA DA TUTTI “AZZURRINA”

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21 giugno 2011 insieme a Daniele Gullà, Mattia Mascagni e Marino Fantuzzi. L’espe-rienza è stata estremamente interessante, sia dal punto di vista delle tecnologie utilizzate, che dal fronte delle metodologie applicate. Il rigore della ricerca scientifica affiancato al sottile mondo delle percezioni extrasensoria-li: oramai questo è un connubio che solo i più ostinati negazionisti non riescono ancora ad accettare. In questi ultimi anni le indagini al Castello di Montebello hanno fornito ogget-tivi parametri di studio e hanno contribuito ad accrescere il bagaglio di conoscenze sul mondo della ricerca di confine; molto pro-babilmente anche quest’anno tutti i para-metri monitorati, le foto/video acquisizioni multispettrali effettuate e i dati repertati ci aiuteranno a fare un passo avanti in questo tipo di indagini. Sostanzialmente, la ricerca è

stata suddivisa in due parti: nel pomeriggio mediante l’utilizzo di una sofisticata apparec-chiatura, un geo-radar, il ricercatore Daniele Gullà è riuscito a mappare il sottosuolo all’in-terno e all’esterno del castello di Montebel-lo, così da georeferenziare cavità o passaggi segreti non conosciuti. L’idea è stata quella di verificare se particolari cavità artificiali potes-sero essere ricondotte a possibili “camere se-grete” sconosciute alla storia, cosi da spiegare in qualche modo la misteriosa scomparsa di Azzurrina.

E qualcosa devo dire è subito emerso: in una stanza dell’ala sinistra del Castello (adibi-ta a bookshop) il geo-radar ha mappato una piccola camera rettangolare a 1,5 metri di profondità, definita decisamente interessan-te dallo stesso Gullà; altro riscontro importan-te, anticipato da una acquisizione extrasen-

Michele MorettiniCastello di Montebello: Il mistero di Azzurrina

DANIELE GULLÀ EFFETTUA RILIEVI CON IL GEO-RADAR ALL’INTERNO DEL CASTELLO DI MONTEBELLO

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soriale di Mattia Mascagni, è stato fatto all’in-terno di una piccola stanzetta simile ad una cella, sita nella parte destra del castello (non lontano dal vano di Azzurrina); Mattia a se-guito dell’evento E.S.P. ha indicato a Daniele il punto ove mappare il terreno e il geo-radar ha effettivamente segnalato una cavità. Infine nella stanza della cassaforte, proprio davanti l’antico mobile, su indicazione di una perce-zione di Marino Fantuzzi è stato rinvenuto un oggetto circolare, posizionato a quasi 2 metri di profondità. L’oggetto metallico (pre-sumibilmente di bronzo con alcune compo-nenti in oro) potrebbe essere un antico piatto di rame o magari uno scudo; è interessante confrontare questo riscontro strumentale, la percezione ed uno scatto della ricerca del 2010 che ritraeva nelle immediate vicinanze della cassaforte un elemento “extra”, a quanto

pare una figura antropomorfa che ricorda un cavaliere medievale. Proprio questi ultimi due punti sono anche stati oggetto di una segna-lazione in remote viewing da parte di Floren-tina Richeldi, una sensitiva che non ha potu-ta partecipare al sopralluogo. Il giorno stesso aveva indicato, senza peraltro conoscere il posto né Mattia o Marino, gli stessi due punti – definendoli interessanti a livello energetico - concentrandosi su una mappa del castello. La documentazione di tale visione a distanza è disponibile per essere consultata e tra l‘al-tro c’è la data certa che ne attesta l’autenti-cità. Oltre questi primi e importanti riscontri, i rilievi effettuati hanno prodotto moltissimi risultati che saranno analizzati e divulgati prossimamente.

Successivamente, Mattia Mascagni e Marino Fantuzzi grazie alla loro particolare

Michele MorettiniCastello di Montebello: Il mistero di Azzurrina

IL GRUPPO DI SENSITIVI MENTRE EFFETTUA ESPERIMENTI DI PSICOSCOPIA AMBIENTALE

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sensibilità extrasensoriale hanno effettuato esperimenti di psicoscopia ambientale (aiu-tati anche da altri sensitivi simpatizzanti del gruppo di ricerca), ovvero hanno cercato di mettersi in rapporto con l’ambiente per cer-care di acquisire determinate informazioni che fanno riferimento alla “storia” di quel luo-go.

L’esperimento è sfociato in un vero e pro-prio contatto sensoriale “real-time” con pre-sunte ed indefinite energie senzienti; mentre il gruppo di sensitivi effettuava questo tipo di esperimento, il nostro gruppo di ricerca (composto dal sottoscritto, Michele Moret-tini e da Stefania Ferrari) effettuava riprese fotografiche ad ampio spettro (UV-B – Visi-bile – Near IR) e rilevazioni riguardo possibi-li fluttuazioni del campo elettromagnetico (effettuati anche da Leea, una collaboratrice del gruppo di Daniele Gullà); Daniele Gullà in-vece mediante l’utilizzo di un nuovo apparec-chio appositamente realizzato per lo studio e la ricerca nel campo Metafonico, cercava riscontri in relazione al fenomeno delle voci elettroniche (l’utilizzo di questa nuova appa-recchiatura sembra aver dato esiti molto inte-ressanti).

Anche in questo caso tutti i dati riguardo i parametri geo-fisici raccolti, le riprese fo-tografiche effettuate, le considerazioni dei sensitivi e le registrazioni effettuate con l’at-trezzatura EVP saranno studiati e incrocia-ti, cosi da poter avere un quadro generale sull’esperimento condotto. Dopo una breve pausa serale, il gruppo di ricerca si è dedicato alla vera e propria ricerca di “Azzurrina” e dei fenomeni a lei connessi. Sono state monta-te telecamere ad infrarossi ad alta sensibilità con tanto di sorgenti di radiazione infrarossa in vari punti del Castello, compreso il famo-so vano di azzurrina. Alle telecamere in ogni punto sono stati montanti microfoni profes-sionali, cosi da acquisire in contemporanea parametri video e audio. All’interno del vano di Azzurrina il nostro gruppo di ricerca ha ef-fettuato rilievi statici sulla fluttuazione termi-ca (mediante sensore termico interfacciato ad un personal computer) e geo-elettro-ma-gnetica (mediante un TriField Natural EM me-ter). Una volta posizionata tutta la strumenta-

zione e attivati tutti i sensori di acquisizione è stato tentato un esperimento mai realizzato prima: è stata mandata in filodiffusione una musica nei pressi del vano di azzurrina, mu-sica che rievocava fedelmente le musiche del 1300, suonata addirittura con strumenti simili a quelli dell’epoca. Il concetto è stato quello di immettere nell’ambiente un suono fedele a quello che si poteva udire all’epoca, cercando così di “eccitare” il contesto energetico PSI e verificare la risposta dell’ambiente stesso me-diante le strumentazioni posizionate.

Infine è stato tentato un ulteriore esperi-mento: il gruppo di sensitivi riunitosi nel cor-tile, ha effettuato nuovi esperimenti di per-cezione extrasensoriale ambientale, anche in questo caso sono state fatte fotografie ad ampio spettro e registrazioni con l’attrezza-tura psicofonica. Questo ultimo tentativo di approccio medianico ha concluso la giornata di ricerca al Castello.

Dopo alcuni giorni di lavoro sui dati ac-quisiti, Mattia Mascagni e Marino Fantuzzi hanno presentato in esclusiva a Terra Inco-gnita Magazine i primi risultati riconducibili a fenomenologie paranormali occorse durante il sopralluogo. Si tratta dell’acquisizione di tre voci psicofoniche, molto interessanti, tutte registrate all’interno del vano di Azzurrina e di una foto con elemento “extra”, ripresa da Daniele Gullà. Ecco il video anteprima di Terra Incognita.

Ci tengo a segnalare anche un vero e proprio documentario realizzato sempre da Terra Incognita, davvero professionale, che ripercorre le fasi salienti della ricerca del 21 giugno. Chiaramente questi primi dati usciti sono solo un’anteprima, molto altro materia-le è allo studio e sicuramente una volta ter-minate le analisi potremo avere un quadro completo della ricerca effettuata.

Voglio concludere con una notizia molto interessante uscita pochi giorni fa, che sicu-ramente metterà la parola fine alle “tenden-ziose” supposizioni nate attorno alla oramai celebre foto di Azzurrina, ripresa da Mattia Mascagni ed elaborata da Daniele Gullà nella sessione di esperimenti del 2010.

La foto è stata periziata ed è emerso sen-za ombra di dubbio che il file RAW (originale)

Michele MorettiniCastello di Montebello: Il mistero di Azzurrina

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non è stato assolutamente modificato e quin-di l’elemento “extra” apparso in foto è assolu-tamente genuino. Riportiamo di seguito una nota del ricercatore sulla questione, tratta dal suo sito personale e il collegamento al file della perizia:

Sono ormai diversi anni che mi occupo dello studio riguardo i fenomeni anomali o più volgarmente detti “paranormali” ed ho notato con grande piacere che la passione per la ricerca non viene mai a mancare.

Come molti sanno, il paranormale, è un argomento molto delicato e discusso principalmente perché nessuno detiene la legge assoluta del sapere e perché a cau-sa di vari ciarlatani, tale argomento, viene spesso sporcato da chi si approfitta dell’in-genuità e debolezze altrui vantando titoli inesistenti e senza avvalersi di strumenta-zioni tecnologiche idonee per poter vedere l’invisibile.

Nel momento in cui un ricercatore sin-golo o un team di studiosi riesce ad ottene-

re buoni risultati, pubblicandoli, si espon-gono a loro volta, consci di essere passibili a critiche discordanti.

Sin quì tutto nella norma, finchè l’igno-ranza di alcuni soggetti sfocia in commenti poco piacevoli e signorili in cui si possono notare insinuazioni del fatto che tali risulta-ti siano artificiosi o addirittura creati come falsi. Ovviamente, è bene ricordare che ogni soggetto è libero di esprimere il proprio pa-rere facendo ben attenzione che non ven-gano mai a mancare educazione e rispetto.

Io sono un ricercatore e con grande ri-spetto per il mondo invisibile, in tutte le sue sfaccettature, lavoro con dedizione, sacrifi-cio, onestà ed umiltà al fine di proporre ciò che emerge dai dati che riesco ad ottenere.

Inoltre posso vantare la fortuna di la-vorare con persone accreditate in ambito forense e scientifico, che periziano minuzio-samente ogni singolo dato raccolto in fase di ricerca.

Detto ciò, quanto segue è una perizia fatta nei confronti dello scatto fotografico

LA FAMOSA IN OGGETTO, SCATTATA DA MATTIA MASCAGNI ED ELABORATA DA DANIELE GULLÀ DURAN-TE LE RICERCHE DEL 2010. COPYRIGHT MATTIA MASCAGNI E DANIELE GULLÀ

Castello di Montebello: Il mistero di Azzurrina Michele Morettini

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avente per soggetto la leggendaria figura di “Azzurrina”, da me ottenuto il 21/06/10 durante il monitoraggio organizzato da Daniele Gullà, tenutosi presso il Castello di Montebello, monitoraggio a cui era presen-te anche una squadra del CICAP.

Per una consultazione completa della pe-rizia sulla fotografia è possibile scaricarne copia dal sito di Mattia Mascagni (www.mat-tiamascagni.it/download/perizia_azzurrina.pdf ).

Possiamo sicuramente affermare che ab-biamo avuto la possibilità di partecipare ad una serata dove l‘eccellenza della ricerca parapsicologica Italiana trova il suo “habi-tat” migliore, un luogo dove le fenomenolo-gie paranormali, se studiate con il dovuto ri-spetto e il naturale senso critico, non si fanno mai attendere. Personalmente ringrazio sin-ceramente Mattia Mascagni, Daniele Gullà e Marino Fantuzzi per aver invitato la nostra Associazione ad un evento cosi importante.

MicheLe Morettini

Michele Morettini ricercatore nel campo delle tematiche “di confine”. Ideatore del proget-to www.daltramontoallalba.it (presente sul web dal 2001, ri-

sulta essere uno dei portali più visitati d’Italia inerenti l’argomento “mistero”) e Presidente

dell’Associazione Culturale Dal Tramonto all’Al-ba. Si occupa da 10 anni di tematiche legate al paranormale, all’ufologia e all’esoterismo, con una particolare attenzione alla ricerca strumen-tale riguardo i fenomeni psicocinetici spontanei a carattere infestatorio, l’interazione dell’ener-gia PSI e l’ambiente, la fotografia spiritica e lo studio di acquisizioni energetiche video/audio/fotografiche anomale.

MICHELE MORETTINI, DANIELE GULLÀ, MATTIA MASCAGNI, MARINO FANTUZZI, STEFANIA FERRARI

Castello di Montebello: Il mistero di Azzurrina Michele Morettini

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La scoperta della più antica chiesa cristiana. Parte II

Il sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)

tempo di lettura 8 minuti

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di Gabriele Rossi Osmida

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Lato sud

Il lato sud è articolato in due parti: a ovest l’Edificio A, più stretto, e a est l’Edificio B, più allargato. Entrambi furono costruiti in epoca sasanide con successivi interventi di conso-lidamento e restauro avvenuti in epoca sel-giuchide senza però che questi apportassero modifiche sostanziali all’impianto. Si ha co-munque ragione di ritenere che questi inter-venti siano avvenuti quando venne costruita la grande cupola che sovrastava l’Edificio B.

Dalle verifiche effettuate, i muri dell’Edifi-cio B , protetti esternamente da mattoni cotti, qui si spingono fino a 1.20 m di profondità al

di sotto della piattaforma di sostegno dell’E-dificio A.

La copertura sporgente venne successiva-mente utilizzata come gradinata d’accesso a quella che doveva essere la parte adibita al culto (chiesa), cui si perveniva attraverso due porte ad arco acuto costruite dopo la chiusura della porta principale sul lato est. Queste due porte, ben visibili nei contorni esterni, non si sono potute sgomberare completamente dalle macerie accumulatesi con il crollo della cupola, dal momento che si trovavano in un pericoloso equilibrio precario. Si è preferito consolidare il materiale di crollo contraffor-tando gli elementi instabili con nuovi matto-ni. Non riflettono (in altezza) la struttura origi-

Gabriele Rossi OsmidaIl sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)

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LOCALIZZAZIONE DELLE PORTE (D) E DELLE FINESTRE (W) INDIVIDUATE E RECUPERATE SUL LATO SUD

Edificio A

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naria: sono solo indicative.Le due finestrelle che si aprono sul piano

di calpestio sotto la gradinata lasciano intu-ire che esistesse un sottoscala che, come in molte costruzioni proto-cristiane dell’Orien-te, portava ad una cripta solitamente adibita a sacello.

L’Edificio A, verso ovest, largo mediamente 13 mt, è di origine sasanide; in epoca selgiu-chide avvenne la chiusura delle tre porte ad ovest che furono trasformate in finestre.

Partendo da ovest, la seconda porta (2D) si è conservata meglio delle altre anche nei det-tagli e per questo l’abbiamo usata come rife-rimento per la sistemazione delle altre porte del lato sud. Possiede dimensioni ragguarde-

voli: è alta m. 3,13 e larga m.1,23. Si conclude superiormente con un arco a sesto acuto rea-lizzato con l’accostamento di quattro grandi mattoni crudi. Lateralmente, alla radice su-periore della spalla, si diparte una cornice di fascia in mattoni che, pur essendo in buona parte rovinata, si ha ragione di ritenere che continuasse fino alle porte 1D e 3D.

Questo abbellimento, essendo stato ese-guito in tavelloni, deve esser avvenuto du-rante l’epoca selgiuchide, quando si pensò di chiudere queste porte riducendole a finestre nel quadro di un riassetto generale dell’intero edificio.

Va infatti notato che, all’interno della 2D, è stato eretto un muretto in tavelloni che si

Gabriele Rossi OsmidaIl sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)

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Edificio B

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Gabriele Rossi OsmidaIl sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)

spinge fino a m 1,75 trasformando così la por-ta in una finestra alta m 1,38.

Con ogni probabilità questo riassetto an-drebbe collegato con la scelta di sottolineare la trasformazione dell’intero complesso in un monastero, abbandonando il suo ruolo pre-cedente di ricovero per viandanti (hospitium).

Le pareti dell’Edificio A sono lievemente inclinate per facilitare lo scorrimento delle ac-que piovane; per creare questo effetto sono state costruite a gradini decrescenti (muri dentati) che poi venivano ricoperti con pla-ster e glyna.

Sulla parte centrale del lato Sud si susse-guono a distanza regolare alcune finestre ad arco acuto. Attualmente sono state restituite sei finestre e sette porte. Le rimanenti (docu-mentate dalle vecchie foto) oggi sono illeggi-bili a causa dei crolli.

L’Edificio A era originariamente costitui-to almeno da due piani sovrapposti, come si deduce dall’archivio fotografico, e poteva

servire da abitazione dei religiosi e/o come alloggio-foresteria per i viandanti. Sembra comunque improprio definire questa parte dell’edificio come caravanserraglio, anche se questo rende bene l’idea, in quanto non sono stati individuati elementi caratterizzanti que-sto tipo di struttura.

Lato ovest

È il lato più disastrato dell’intero comples-so che, fino al 1968, esibiva una massiccia co-struzione eretta almeno su due piani.

In tale data la missione sovietica praticò un ampio scavo sul lato ovest minandone la sta-tica già precaria. Si susseguirono diversi crol-li i cui detriti, come si può osservare, si sono accumulati a conoide al centro del lato ovest.

Gli interventi su questo lato hanno dovuto limitarsi alla ricerca del profilo di base dell’e-dificio, concentrandosi soprattutto verso gli

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Gabriele Rossi OsmidaIl sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)

spigoli, dove sono stati rinvenuti resti di mu-ratura di epoca sasanide.

Lato nord

Per la scarsità di strutture murarie visibili e dato che questo lato presenta una coper-tura detritica stabilizzata e inclinata verso un vicino canale agricolo, si è scelto di utilizzare questo versante per scaricare l’acqua piova-na che tendeva a ristagnare sulla superficie superiore dell’edificio. Gli interventi si sono pertanto limitati alla realizzazione di apposi-te canalizzazioni che si armonizzassero con le pendenze naturali e alla messa in sicurezza degli spuntoni murari instabili.

Esisteva però il problema di verificare se questo lato fosse speculare al lato sud e se, in particolare, presentasse a sua volta una spor-genza muraria verso est in corrispondenza della cosiddetta cripta.

Nel corso dei sondaggi è venuta alla luce una vasta piattaforma di epoca sasanide in mattoni crudi, parallela al corpo dell’edificio principale da cui dista mediamente m. 1,70. Ispezionandola, si è notato che questa era raccordata con altre strutture a est e a nord, cosa che farebbe pensare all’esistenza di un altro edificio di servizio, forse una dependan-ce.

Chiesa o Caravanserraglio?

La struttura anomala di Haroba Kosht ri-spetto all’architettura dell’oasi di Merv ha sollevato nel passato diverse discussioni sulla sua destinazione d’uso che, in sintesi, si atte-stano su due posizioni: chi sostiene che sia una chiesa cristiana e chi lo interpreta come un caravanserraglio.

Cominciamo da quest’ultimo.I caravanserragli, a partire dall’età del

RICOSTRUZIONE DEL COMPLESSO NESTORIANO DI HAROBA KOSHT DELL’ARCH. ANNAMURAD ORAZOV

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Bronzo, furono ben noti in Margiana e rispon-dono tutti a delle caratteristiche di base: sono protetti da mura che racchiudono un ampio cortile su cui si aprono delle stanze ad uso dei viandanti e delle carovane e posseggono ge-neralmente una pianta quadrata.

In Margiana ne esistono di due tipi: sem-plici (con un solo cortile interno circondato da gallerie) e complessi (due cortili, gallerie, stanze annesse). Inoltre la loro architettura è caratterizzata dalla semplicità della cerchia principale e da facciate cieche con portone centrale a volta.

È quindi evidente che l’edificio di Haroba Kosht non può esser considerato un classi-co caravanserraglio almeno per due ragioni: la sua massima larghezza interna è di circa 8 metri, insufficiente a ospitare un cortile e, ancor meno, un cortile circondato da portici. L’altro motivo è che i caravanserragli presen-tano facciate cieche e, in Haroba Kosht, solo la facciata sud, conta almeno sette porte e sei finestre.

Rimarrebbe quindi l’ipotesi che si trattas-se di un edificio destinato al culto, utilizzato come chiesa cristiana che sembrerebbe colle-gato ad un altro edificio cristiano individuato nel Gyaur Kala di Merv, il cosiddetto Edificio Ovale.

È proprio dal confronto con l’Edificio Ovale di Merv, che Pugacenkova definisce “un gran-de monastero di Melkiti”, che ricaviamo impor-tanti indicazioni su Haroba Kosht.

Drevyanskaya, che ha scavato questo edi-ficio tra il 1959 e il 1964, da parte sua ne acco-sterebbe la funzione a quella di un khanako, ossia ad un centro di ospitalità sufi.

Poiché l’edificio in questione è sorto alla fine del IV secolo, questi accostamenti non vanno però presi alla lettera e necessitano di alcune precisazioni.

Pugacenkova, facendo riferimento ai Melkiti, non si riferisce certo ai cattolici mel-chiti istituiti solo nel 1724, ma a quei cristiani che nel V secolo, dopo il Concilio di Calce-donia, accettarono i decreti dell’imperatore bizantino Marciano e che per questo venne-ro detti “melchiti” o “uomini del re”. Secondo quest’ottica la definizione di Pugacenkova mi sembra appropriata in quanto, proprio

perché i cristiani di Merv erano fedeli al re di Bisanzio, vennero di lì a poco respinti dallo stato sasanide.

Quanto al raffronto con un khanako sufi, tenendo conto che il Sufismo fu creato nel VII sec., anche qui l’autore intendeva solo far riferimento a un particolare edificio adibito dalle confraternite sufi destinato sia ai ritiri spirituali che ad ospitare i viaggiatori islamici1 svolgendo in quest’ultimo caso una funzione simile a quella dei caravanserragli. Comun-

1) Traccia della diffusione di questi edifici, noti in occidente con il termine anglicizza-to khanqah, la ritroviamo spesso nel reso-conto dei viaggi compiuti in Oriente dall’a-rabo Ibn Battūta nel XIV secolo.

Gabriele Rossi OsmidaIl sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)

PIANTA DELL’EDIFICIO OVALE NEL GYAUR KALA DI MERV. ABITATO DALLA COMUNITÀ CRISTIANA DI MERV E SEDE DEL METROPOLITA NESTORIANO, POSSEDEVA MOLTI PUNTI DI CONTATTO CON IL MONASTERO DI HAROBA KOSHT DA CUI DISTA CIRCA 12 KM

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que la Drevyanskaya concorda con la Puga-cenkova sul carattere cristiano dell’Edificio Ovale testimoniato da una serie di reperti, in particolare da croci in stucco inserite sui muri.

L’Edificio Ovale venne eretto dalla comuni-tà cristiana di Merv verso la fine del IV secolo sulle rovine di un imponente edificio partico risalente ai primi secoli della nostra era e ri-sulta utilizzato fino alla metà del VI secolo quando il governo sasanide contrastò la chie-sa bizantina ufficiale (= melchita) per favori-re al suo posto la diffusione di insediamenti nestoriani, fra l’altro particolarmente favoriti dal progressivo indebolimento dello Zoroa-strismo giunto al collasso nel VII secolo.

Concludendo: l’Edificio Ovale di Merv sor-se alla fine del IV secolo su di un preesistente edificio di tarda epoca partica con funzione di ricovero per viandanti gestito da religiosi cri-stiani di rito bizantino simile agli hospitia gre-

co-romani che sorgevano lungo le principali arterie viarie. È esattamente lo stesso quadro che ci propone Haroba Kosht, confermato anche dal ritrovamento di un mattone con l’impronta di una mano (forse un “marchio di fabbrica”, forse un ex-voto), simile ad altri rin-venuti nell’Edificio Ovale, datati appunto fine del IV – inizi del V secolo.

Appurata l’identità cristiana del sito di Haroba Kosht, quanto meno a partire dalla fine del IV secolo, gli studiosi sovietici hanno cercato delle analogie architettoniche con altre chiese cristiane o altri luoghi di culto contemporanei, suggerendo di volta in volta Efeso, Ctesifonte, Dura Europos, Tash-rabat in Kyrgyzstan, ecc. Dimenticandosi però di un problema di fondo: cosa fosse il Cristianesi-mo nei primi secoli della nostra era e la sua sofferta ricerca di una identità architettonica in Oriente.

Gabriele Rossi OsmidaIl sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)

NELL’EDIFICIO OVALE DI MERV SI SONO RINVENUTI ALCUNI MATTONI CON L’IMPRONTA DI UNA MANO, SI-MILI A QUESTO CHE PROVIENE DA HAROBA KOSHT. SI PENSA TRATTARSI O DI UN “MARCHIO DI FABBRICA” O DI UN EX-VOTO

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L’INGRESSO DEL DÜÝE ÇÖKEN TEPE OGGI FREQUENTATO DA MANDRIE DI CAMMELLI

gABrieLe rossi osMiDA

Archeologo, giornalista e scrit-tore, esperto in Storia delle Esplorazioni e delle Scoperte Geografiche della Società Geo-grafica Italiana.

È Presidente del Centro Studi e Ricerche Vene-zia-Oriente “Antiqua Agredo”.Dirige la collana “I know the Central Asia” pro-dotta dalla Casa Editrice «Il Punto» di Padova.Nel 1996 ha curato la ristrutturazione del Museo Nazionale di Ashgabat su mandato del Ministe-ro alla Cultura del Turkmenistan e di ENI-AGIP. Ha condotto ricerche nell’ex Yugoslavia, Ro-mania, Egitto, Sudan, Madagascar, Niger, Iran e Asia Centrale.Già direttore del progetto “Berel-Altai” (Ka-zakhstan) patrocinato dal Ministero Affari Este-ri, è responsabile per la parte italiana delle ri-cerche archeologiche nel progetto congiunto

“Gobi Altayn Geo-Archaeology” (Mongolia) promosso dal CNR-IRPI.È Honor Professor alla State Academy di Ashga-bat (Turkmenistan) dove tiene corsi di prope-deutica archeologica e collabora strettamente con la Harvard University e il Peabody Museum (USA).Da quasi vent’anni conduce le missioni arche-ologiche italo-turkmene in Margiana sostenute dal Ministero della Cultura del Turkmenistan e dal Ministero Affari Esteri Italiano. Dal 2001 di-rige le ricerche nell’oasi di Adji Kui dove ha sco-perto una nuova civiltà del III-II mill.a.C. nota col nome di Civiltà delle Oasi.Dirige le operazioni di recupero e di restauro del sito cristiano nestoriano di Haroba Kosht (Oasi di Merv, Turkmenistan) con il contributo del Consiglio Regionale del Veneto. È autore di diverse pubblicazioni a carattere storico e archeologico.

Gabriele Rossi OsmidaIl sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)

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Quel mattino seduta nel Tempio a Whitfield...

Ai piedi di Sai Baba

tempo di lettura 4 minuti

Runa Bianca 79Agosto 2011 | n.2

di Tullia Parvathi Turazzi

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Quel mattino ero seduta nel Tempio a Whitfield in attesa del Drashan. Swami tardava a mostrarsi e tra le

file composte e colorate delle donne serpeg-giava una certa inquietudine. Ero tranquilla, mi sentivo pervasa da quella particolare ener-gia indescrivibile e dolcissima che, da mesi ormai, mi accompagna ovunque.

Improvvisamente la dolce musica che an-nunciava l’ arrivo di Baba mi avvolse e la mia energia kundalini cominciò a risalire lungo la spina dorsale.

Ero in uno stato di estasi cosciente. La ve-ste arancio del mio amato Maestro si iniziò a intravedere tra le teste delle devote che si allungavano e agitavano per vedere meglio l’arrivo dell’avatar. Quando arrivò davanti alla mia fila, fui presa da una forte emozio-ne... “Forse oggi Lui mi parlerà, mi chiamerà in intervista”... fremevo. In quei primi periodi ancora desidera-vo ardentemente di poter parlare con LUI anche fisicamente, in una delle famose interwiew così ben descritte da tanti libri e dai devoti più esperti.

Solo dopo mi accorsi che non sa-rebbe stato questo il mio percorso con LUI. Da me voleva altro: voleva che subito io scoprissi il contatto in-teriore, il vero contatto con il Dio in me, con il Maestro in me.

Ovviamente all’inizio ne fui in parte delusa; umanamente il mio ego forse desiderava essere ricevu-to, riconosciuto. Solo adesso, pur non togliendo nulla alle meraviglio-se esperienze che Baba dona in in-terviste di gruppo e più raramente personali, mi rendo conto del gran-dissimo dono e aiuto che il Maestro mi ha donato, guidandomi dolce-mente ma con fermezza verso la realizzazione del SÈ, che può essere raggiunto con un contatto interiore soltanto col il nostro Dio interiore.

Oggi comprendo quale Grazia ho ricevuto pur senza sentirmene affatto meritevole. Non posso dire che “Grazie, Grazie Grazie”.

Ho avuto infinite interviste interiori o astrali e pochi dialoghi fisici da LUI ma ci furo-no solo alla fine. Il mio astrale che assomiglia al piano semifisico. Accadeva e continua ad accadere.

IMPROVVISAMENTE Swami voltò di scatto il volto verso di me.

Uno sguardo intenso, serio e fulmineo; vidi uscire due piccoli raggi luminosi dai Suoi oc-chi che raggiunsero la mia fronte o così perce-pii. Mi ritrovai catapultata in una dimensione diversa: meditazione o viaggio astrale? Che importa... noi esseri umani desideriamo sem-pre capire, catalogare, esaminare. So soltan-to che mi trovai sopra montagne innevate e tra ghiacciai immensi, con al centro di queste vette una piccola valle verde e lussureggiante mai vista prima.

Tullia Parvathi TurazziAi piedi di Sai Baba

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Runa Bianca 81Agosto 2011 | n.2

La scena cambiò e mi ritrovai immersa in un paesaggio da fiaba con colori vivissimi e diversi da quelli che si sperimentano nella di-mensione quotidiana. Vi era un giardino ver-de smeraldo con fiori dalle strane forme, fon-tane dalle forme deliziose e armoniche; tutto sembrava Vivo, come se tutto interagisse in una perfetta vibrazione di armonia e Amore e anch’io ero fusa in questa estasi. Strane co-struzioni simile ad un cristallo opaleggiante e con i colori cangianti e pulsanti: ma dov’ero?

Un luogo astrale o animico certo, ma non di fantasia, era Reale, anche se in un altra vibra-zione quantica. Entrai in una stanza tondeg-giante molto ampia, tutto intorno sedili simili a troni regali color porpora e oro: “I colori del Tibet”, pensai. Erano vuoti, come se aspettas-sero ospiti illustri. Al centro una piramide di cristallo trasparente bellissima con all’interno una luce, che illuminava dolcemente irradian-do verso la sala.

Una voce disse: “Questa è la Sala degli Amenti”, o un nome simile. Non vedevo la provenienza di quella voce strana e profonda, maschile e femminile insieme. Ero pervasa da una Gioia non umana; pensai: “Ecco Shambal-la”, il nome mi risuonò nella mente.

Shamballa! Allora non avevo letto libri su questa terra misteriosa, ogni mia esperienza arrivava prima, spontanea, solo dopo anni

iniziai a leggere e così scoprire che le mie esperienze erano condivise da altre persone, molto più elevate e riconosciute di me; io ero solo una neofita alla scoperta di mondi e stati interiori, come Alice nel Paese delle Meravi-glie... mi stupivo che il Fato avesse scelto me. Non ero speciale, ma stavo vivendo esperien-ze così fantastiche e divine che a volte mi do-mandavo se fosse tutto vero.

Lo era. Di colpo mi ritrovai nel mio corpo intorpidito dalla lunga posizione immobile, la posizione chiamata del Loto. Swami se ne stava andando.

Non avevo idea di quanto fossi rimasta fuori in obe... ero felice in uno stato di legge-rezza e beatitudine.

Lo stupore estatico divenne vera meravi-glia quando vidi il mio vestito azzurro rico-perto di piccole pietruzze venute chissà da dove: erano piccolissimi turchesi grezzi...as-solutamente incredibili.

Come si trovavano ora sul mio vestito? La mente, si sa, cerca sempre una spiegazione logica. Mentre cercavo una spiegazione vero-simile, l’ultima pietruzza mi cadde sul vestito.

Cadde dall’alto, dal cielo. L’ennesino lila del mio Signore.

Questa fu un’altra delle incredibili e sacre esperienze che feci ai Piedi Di Loto di Sai Baba.

Om Sai Ram

Tullia Parvathi TurazziAi piedi di Sai Baba

tuLLiA pArVAthi turAzzi

Nata a Monza (MI) il 10 agosto 1955. Caduta dal cielo insieme a migliaia di stelle cadenti nel-la notte di San Lorenzo. Ha fre-

quentato il liceo Artistico di Brera diplomata in grafica pubblicitaria, studi di psicologia e danza moderna, studiosa di religioni antiche, antiche filosofie, simbolismo, esoterismo, ricercatrice, conoscitrice di molti mezzi di divinazione dai tarocchi agli I Ching, astrologia, sensitiva fin da piccolissima, in contatto con altre dimen-sioni o loka. Pratica meditazione e yoga tantra kundalini da 13 anni, pratica il reiki e l’healing, è canalizzatrice di Baba e di altri maestri ascesi ma più che canale ha con loro contatti astrali

dove li vede e tocca normalmente come in 3 di-mensioni, un dono di BABA, uno dei molti che ha ricevuto da LUI. Vive attualmente in India, ma viaggia tra i vari stati indiani. Vive a Putta-parthi dove ebbe la fortuna a 43 anni di avere la grande benedizione di conoscere ed incon-trare l’Avatar di questo kali yuga SRI SRI SATHYA SAI BABA che le mostrò “se stessa a se stessa”, e gli rivelò che Dio vive in noi e non fuori di noi. Ha vissuto continuamente ai suoi piedi di loto dal 1998 ad oggi fino al Suo Mahasamadi. Un’e-sperienza che da sola merita un libro, che sta scrivendo. Prosegue il percorso seguendo i suoi insegnamenti “AMA TUTTI E SERVI TUTTI”. Il suo percorso umano e spirituale continua, in astra-le con la Sua vicinanza continua perchè non c’e limite alla bellezza e alla meraviglia della Rive-lazione.

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Lo spazio importante all’interno del quale vivere

Territorio e transito

tempo di lettura 7 minuti

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di Alessandro Bertirotti

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Nel mondo animale il territorio è uno spazio importante all’interno del quale vivere. Esseri umani e anima-

li, in questo ambito, pongono le condizioni perché questo sia possibile soprattutto per la prole, che deve essere difesa da ipotetiche invasioni da parte di predatori. È chiaro che, definito in questo modo il territorio, ogni spe-cie consideri il proprio come qualcosa di in-dispensabile alla procreazione e l’unico spa-zio all’interno del quale la madre con i suoi cuccioli può e deve sentirsi al sicuro. Anche le specie migratorie considerano il territorio in questo modo, perché quando si fermano per costruire il nido ritengono quel luogo alla stregua di una “casa” con fondamenta stabili. Una volta abbandonato, per la successiva mi-grazione, quel territorio ritorna ad essere una “casa comune”, senza abitanti da difendere.

In quest’ottica, il possesso di un territorio è condizione necessaria per la prosecuzione della specie, perché garantisce, in quanto ac-cudito sia dai maschi che dalle femmine, la presenza di vitalità e difesa. Nello stesso tem-

po, la delimitazione di uno spazio all’interno del quale vivere e dare rifugio alla prole deter-mina un suo più equo sfruttamento, evitan-do concentrazioni dannose in piccoli spazi. Si verifica cioè, con la delimitazione perimetrica del territorio, una distribuzione spontanea dei membri della specie che lo occupa al suo interno. Si assiste così, in un territorio, ad una distribuzione quasi uniforme di coloro che lo abitano, proprio per garantire quella quota necessaria di privato e di pubblico assieme. E questo avviene anche per le specie non uma-ne, come a volerci indicare che a livello gene-tico ed evolutivo la Natura ha pensato anche a come distribuire le specie su questo pianeta.

È importante allora ragionare su quello che accade quando due territori sono tra loro confinanti.

In genere, la Natura è sempre molto più saggia degli uomini che possiedono la cosid-detta intelligenza, perché quando due ter-ritori sono tra loro confinanti agevola la for-mazione di uno spazio non difeso all’interno del quale i membri dei due territori adiacenti

Alessandro BertirottiTerritorio e transito

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possono condurre una vita comune. Questo spazio, prende il nome di spazio familiare, home range. Al di fuori delle specie nomadi, che per ovvi motivi non dispongono di uno stabile home range, quasi tutte le specie ani-mali vivono all’interno del proprio territorio e nello spazio familiare. In alcune condizioni fisiologiche particolari, come la sensazione della fame che non può essere soddisfatta all’interno dello spazio familiare, e ancora meno nel proprio territorio, i membri delle specie si possono avventurare oltre questo spazio condiviso. Oppure possono, come nel caso dell’Homo sapiens sapiens, decidere di andare oltre questo territorio per soddisfa-re la propensione all’esplorazione. In questo caso, lo spazio immediatamente esterno a quello familiare si definisce infatti spazio di esplorazione.

L’aspetto interessante di questo ragiona-mento è legato però al tipo di comportamen-to che le specie antropomorfe, dunque anche noi, assumono man mano che si allontanano dal noto del proprio territorio e si avventura-

no nell’ignoto spazio di esplorazione. Infatti, più ci si allontana dal proprio territorio e dun-que dall’home range e ci si addentra all’inter-no dello spazio di esplorazione più il livello di aggressività diminuisce sensibilmente. Que-sto atteggiamento è particolarmente evolu-tivo, perché permette di esplorare prestando attenzione ad ipotetiche situazioni minac-ciose e, nello stesso tempo, di addentrarsi in ambienti senza sprecare energie aggressive offensive a danno di altri membri della pro-pria specie e che eventualmente si trovino anch’essi in esplorazione.

In sostanza dunque, quando ci si trova a dover esplorare un territorio che non ci ap-partiene, proprio perché è situato oltre il pro-prio spazio vitale e l’home range, si sviluppa-no atteggiamenti non aggressivi ma difensivi la propria incolumità, e si cerca di “farsi accet-tare” dagli eventuali compagni di avventura che si possono incontrare durante il cammi-no. Nello stesso tempo, si tende a fare molta attenzione a non invadere territori familiari di altri gruppi, o comunque a non manifestare

Alessandro BertirottiTerritorio e transito

Runa Bianca 85Agosto 2011 | n.2

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atteggiamenti aggressivi oppure minacciosi.Sulla base delle considerazioni appena

esposte possiamo dedurre che l’Homo sa-piens sapiens è una specie territoriale, ossia concepisce la presenza di uno spazio all’inter-no del quale procreare e difendere la propria esistenza, assieme ad uno spazio familiare in cui si condividono esperienze di vita ed uno spazio esplorativo in cui ci si espande.

Nel corso dell’evoluzione sono nate però alcune confusioni cognitive rispetto al terri-torio, ossia rispetto alle idee che si potevano creare nei confronti di uno spazio vitale im-portante. Una di queste idee confuse è quella di assimilare il concetto di territorio a quello di proprietà, giungendo persino a teorizzare l’esistenza di un “diritto naturale” rivolto al mantenimento della proprietà. Vi sono sta-te teorie che hanno enfatizzato la “proprietà privata” oppure la “proprietà comune statale”, rispettivamente il liberismo e il comunismo, entrambe perché basate su questa iniziale ed antropologica confusione fra spazio naturale vitale e spazio culturale economico.

In realtà però, il termine economia deriva dal greco ed è composto da eco, ambiente e nomos, nomoi, regola e regole, per cui il ter-mine significa letteralmente: regola dell’am-biente. È come affermare che ogni spazio, percepito dalla nostra specie sotto forma di

territorio, è regolato da una serie di strategie di vita, ossia di sopravvivenza di se stesso e di difesa, alle quali ci si deve sottomettere, al-trimenti si va a modificare l’ambiente stesso. Queste modificazioni sono effettuate dalla nostra specie, ma non solo da noi, per ade-guare l’ambiente ad alcune esigenze di vita tipiche dell’Uomo, e prendono il nome di an-tropomorfizzazione.

In questo processo però non è possibile ignorare del tutto il rispetto di alcune caratte-ristiche di base dell’ambiente naturale che si evidenziano con una certa chiarezza: se sono in un territorio prospiciente il mare e possie-do nell’entroterra molto spazio per costruire delle moderne capanne come ripari, ossia le abitazioni, non è intelligente espandermi ver-so il mare per creare isole artificiali nelle quali andare a vivere. Invece, è proprio quello che accade a Dubai, dove è possibile ammirare la megalomania di una società teocratica che desidera sostituirsi allo stesso Dio di cui nega la supremazia.

Perché avviene questo? Ossia, perché si confonde un territorio da difendere con un territorio da sfruttare, cercando di affermare una distonica superiorità nei suoi riguardi?

Secondo me, tutto questo avviene proprio perché confondiamo il territorio con la pro-prietà, credendo di possedere ciò che calpe-

Alessandro BertirottiTerritorio e transito

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stiamo, ciò che curiamo e alimentiamo e nel-lo stesso tempo cura ed alimenta noi stessi. Eppure, la storia dei nostri predecessori, siano essi vicini oppure lontani, ci dimostra quasi giornalmente che nessuno di noi è nella con-dizioni di portare con sé il territorio che pos-siede, anche quando questi sia diventato una proprietà privata.

Siamo venuti al mondo nudi e ce ne an-dremo nudi, anche se apparentemente ve-stiti. La nostra mente invece crede, special-mente quando pensa secondo lo stile di vita occidentale, di rimanere ancorata al proprio territorio per sempre, affermando in questo modo una fasulla idea di eternità che condu-ce, in realtà, alla produzione di uno stile di vita stressogeno, proprio perché è concretamen-te impossibile che questa eternità si realizzi.

La natura però ci viene in soccorso, perché ci induce a credere che potremo lasciare il ter-ritorio antropomorfizzato ai nostri figli, i quali, quasi regolarmente, non avendo faticato per ottenere questo risultato, non saranno in gra-do di mantenere fede all’impegno trasmesso dai genitori. Non è un caso che molte fortune accumulate dai genitori in periodi di grandi ristrettezze siano velocemente sperperate appena i genitori lasciano i figli nelle condi-zioni di possederle e, se possibile,conservarle.

E questo sperpero perché avviene? Perché il lato positivo della confusione fra territorio

e proprietà non viene sperimentato dai figli, i quali appunto si ritrovano a possedere qual-che cosa che non hanno direttamente e fati-cosamente conquistato, ma è stato lasciato loro in eredità.

Vediamo così che la confusione fra territo-rio e proprietà presenta nel contempo, come in quasi tutti i casi della vita umana, aspetti positivi e negativi: l’aspetto positivo è quello legato al fatto che grazie a questa confusione la nostra mente crede di poter fare progetti eterni che oltrepassano la vita personale, ali-mentando il desiderio di procreare; mentre l’aspetto negativo è dato dall’idea che vie-ne a radicarsi nelle menti delle persone che, confondendo il territorio con la proprietà, ritengono di esserne totalmente gli artefici, dimenticando che anche il territorio fa parte di un transito esistenziale e non di uno stato esistenziale.

Se non faremo questo salto qualitativo mentale, dalla fiducia esagerata nei riguardi di uno stato mentale legato ad uno stato ter-ritoriale, verso lo sviluppo di uno transito esi-stenziale legato uno transito territoriale crede-remo di essere i padroni del mondo e persino della vita dei nostri figli.

E così decretiamo il decesso del futuro.Lascio a voi le considerazioni ulteriori…

perché a me bastano queste, per cambiare.

ALessAnDro Bertirotti

Nato nel 1964, è docente di Antropologia culturale e della mente presso l’Università de-gli Studi di Firenze. Relatore in importanti conferenze nazio-

nali e internazionali (nel 2009, Terzo Congresso Internazionale di Psicologia), tiene anche corsi di aggiornamento presso ASL italiane, e svol-ge attività di consulenza sulla comunicazione scientifica per televisioni, testate giornalistiche nazionali e internazionali. È stato fino al 2008 consulente del Direttorato Generale Impiego e Affari Sociali della Comunità Europea ed è mem-bro della direzione scientifica della rivista onli-

ne Neuroscienze.net. È membro di numerose associazioni scientifiche e si sta occupando da qualche anno della divulgazione presso il gran-de pubblico di una teoria sull’organizzazione dei “contenuti della mente”. È socio fondatore e vice presidente di ANILDA-Onlus, Associazione Nazio-nale per l’Inserimento La-vorativo e l’emancipazione dei Diversamente Abili.

La mente amaIl Pozzo di Micene, 2011

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Alessandro BertirottiTerritorio e transito

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Alessandro Bertirotti

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La mente umana non è il mero risultato del funzionamento neurologico cerebrale. Bertirotti cerca di svelarci i segreti del nostro ragionamento, come essere umani in quanto tali, per scoprire

che le stelle che trapuntano il cielo abitano anche i nostri neuroni.

La Mente amaPer diventare ciò che siamo con gli affetti e la propria storia

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gLa potenza dimenticata del sacro nome “America”

La riscoperta del Nuovo Mondo

tempo di lettura 10 minuti

Runa Bianca 89Agosto 2011 | n.2

di Claudio Piani e Diego Baratono

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È da almeno cinquecento anni, ossia da quando si è scoperto il “Nuovo Mon-do”, che si cerca di capire perché a

queste terre “nuove” sia stato affibbiato pro-prio il nome America. Le soluzioni avanzate da quei numerosi studiosi che si sono cimen-tati nell’impresa, sono molte, tutte interessan-ti, tutte discordanti, nessuna in grado però di dirimere chiaramente l’annosa questione.

Ultimamente due studiosi italiani, Diego Baratono e Claudio Piani, ricercatori indipen-denti, liberi pensatori, sono riusciti a fornire una decifrazione razionalmente credibile al mistero. Americu, Americo, Amerigen, Ameri-cam, Americi, America: queste sono le incerte declinazioni utilizzate nell’anno 1507, dai “sa-vants” del cenacolo di Saint Dié des Vosges,

località della Francia nord-orientale (Alsazia, Lorena) dove si è stampata una tra le carte ge-ografiche più importanti che la Storia ricordi, per cercare di denominare, anzi, proprio per “battezzare” liturgicamente, per la prima volta il “Nuovo Mondo”, forse appena scoperto.

La questione di fondo è che per essere co-erenti con il resto della toponomastica, con le denominazioni geografiche accettate, i

sapienti di Saint Dié dovevano in-dividuare per prima cosa un nome femminile che “legasse” in qualche modo con gli altri toponimi già esi-stenti di derivazione ellenica, ossia Asia, Africa ed Europa.

Sono questi i tre nomi a tutti noti, che il “Vecchio Mondo” adotta per i suoi tre continenti, prestando fede al testo più autorevole cono-sciuto, ossia la Bibbia. Si deve ri-cordare, infatti, che la tripartizione terrestre, viene indicata proprio nel Testo Sacro: Sem, Cam e Jafet sono i rispettivi destinatari di quelle po-che terre emerse dopo la terrifican-te esperienza del Diluvio Univer-sale. Insieme all’Arcobaleno, sono questi i tre territori concessi da Dio a suggello della sua prima alleanza con l’uomo. Semiti, Camiti e Gia-peti saranno così le popolazioni discendenti a loro volta dai tre figli di Noè e saranno inoltre coloro che colonizzeranno rispettivamente i continenti d’Asia, Africa ed Europa. Per le credenze correnti all’epoca era quanto bastava sapere. Era tut-to ciò a cui si doveva prestar fede. Era il “Vecchio Mondo”. Per la Bibbia, per i teologi, per gli uomini comu-ni, non potevano esistere pertanto altri territori all’infuori di questi tre.

È chiaro, quindi, che per gli eruditi di Saint Dié, a questo punto si prospettava un ulte-riore arduo compito: far accettare ideologi-camente, teologicamente e quindi fideisti-camente la scoperta “controcorrente” di un “Nuovo Mondo”. Le terre emerse di questo nuovo spazio appena trovato, esistevano “fi-sicamente”, su questo nessun dubbio. Ora,

Claudio Piani e Diego BaratonoLa riscoperta del Nuovo Mondo

LE DUE ROTTE DEI VIAGGI DI AMERIGO VESPUCCI

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di conseguenza, non c’erano più soltanto tre parti di terraferma a stendersi sopra il Globo terrestre. Ora ne esisteva una quarta parte che la Bibbia sembrava non aver indicato. Era un bel problema, soprattutto per la Chiesa, o meglio, per gli uomini che nel periodo forma-vano la Chiesa. Anzi, era proprio un enorme problema di fede, che poteva essere dirom-pente se mal interpretato, soprattutto se mal comunicato. Si correva il rischio di mettere in discussione l’autorevolezza della Bibbia, con tutto il portato che ne conseguiva. Non di-mentichiamoci che siamo nel 1507, il Medio Evo è appena terminato. In Europa, in Italia, nella Firenze neoplatonica dei Medici era il Rinascimento. È periodo storico ricchissimo di straordinari fermenti culturali questo, che porterà gli splendidi frutti che si conoscono, ma era anche epoca dominata da ossessive vi-sioni non ancora propriamente scientifiche. Il clima intellettuale particolarmente vivace era nondimeno coartato dal potere di una Chiesa decisa a mantenere l’antico “status quo”. Sono del 1492, ossia proprio l’anno della scoperta del “Nuovo Mondo”, gli editti emanati dai “re cattolici” spagnoli Ferdinando II d’Aragona e Isabella I di Castiglia, finalizzati all’espulsione di ebrei e musulmani dai loro territori. Di qui in poi sarà conclusa la “reconquista”, e per tut-ti la Spagna filopapale, diventerà la “cattolicis-sima” Spagna. Non soffermiamoci su quanto storicamente la Spagna regalò al resto del Mondo in nome di questa sua presunta cat-tolicità.

La “Conquista” proprio del “Nuovo Mondo” appena scoperto avvenuta con mano estre-mamente pesante, e la “Santa Inquisizione” di un certo Torquemada, istituita in Spagna nel 1478 dai domenicani, mettono i brividi ancora oggi. Ad ogni modo, discostarsi dalle “informazioni” fornite dalle Sacre Scritture in questo periodo poteva voler dire essere “calo-rosamente” spronati a ripensarci. Non è pos-sibile dimenticare Giordano Bruno, arso vivo nel 1600 a causa della sua libertà di pensiero. Non si può dimenticare la paura di un Niccolò Copernico, che per non incorrere in “proble-mi” vorrà pubblicare la sua teoria eliocentrica soltanto nel 1543, a tredici anni dalla sua for-mulazione, ricevendone una copia solamente

sul letto di morte. Non si può certo dimentica-re l’umiliante esilio ideologico cui fu costret-to Galileo Galilei ancora nel 1633, quando dovette abiurare le sue teorie per non finire nell’ “anti-Atanor” dell’Inquisizione, ossia più prosaicamente, sul rogo. Si può ben intende-re, dunque, quanto sia “infuocato” il clima in-tellettuale agli inizi del secolo XVI. Non basta. Si deve anche pensare all’ulteriore, enorme difficoltà incontrata dai savants vosgensi, la stessa che ancora oggi attanaglia gli studiosi: benché contemporanei degli eventi per i sa-vants era già allora difficile capire chi scoprì che cosa e quando. Fu il genovese Cristoforo Colombo il primo a scoprire il Nuovo Mondo oppure è stato il fiorentino Amerigo Vespucci, o sono stati entrambi in una staffetta straor-dinaria? Difficile stabilire con certezza la pa-ternità della scoperta. Certo è che Vespucci, contrariamente a quanto si crede, ha più voce in capitolo che non Colombo. È proprio dal testo compilato dai predetti savants francesi, in effetti, che si può evincere, essere Amerigo colui che per primo ha svelato ed ha “compre-so” trovarsi davanti non a territori asiatici, non ad isole, bensì al cospetto di un continente in-tero. Nuovo di zecca. È pertanto Amerigo ad avere il diritto di denominare questi nuovi ter-ritori con il suo nome. In effetti, America può benissimo essere intesa quale “Terra d’Ameri-go”. Stranamente, però, non sembra esistere nessun “Amerigo’s day”: chissà perché, invece esiste un “Columbus’ day”. Mistero. È vero che Colombo sbarca nel Nuovo Mondo nel 1492, approdando però sulle isole e non sulla ter-raferma. È allora Vespucci a metter piede per primo, in qualche maniera, sulla terra conti-nentale? Può essere. Per completare il quadro mancano però ancora alcuni tasselli. Sono fondamentali. In primo luogo si deve dire che il Cenacolo di Saint Dié des Vosges è comuni-tà monastica totalmente votata a Maria. Del resto Maria è la “Stella maris” per eccellenza. I marinai aprono e chiudono le loro giornate in mare con l’ “Ave Maria”. Del resto, la radice del nome Maria è la stessa di “mare”. La famiglia Vespucci, dinastia marinara, è notoriamente devota a Maria. Non è certo un caso, quindi, che proprio nella cappella di famiglia eretta nella chiesa fiorentina di “Ognissanti”, l’intero

Claudio Piani e Diego BaratonoLa riscoperta del Nuovo Mondo

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casato, fiorentino anch’esso, venga rappre-sentato in un celebre quadro ai piedi di una splendida Madonna che a braccia spiegate accoglie protettiva i membri dei Vespucci sotto il suo manto. Si tratta della “Madonna della Misericordia” celebre quadro del 1472 del Ghirlandaio. Il manto protettivo di Maria, protegge la nobile famiglia toscana. Curio-samente, sarà proprio il contorno policirco-lare di questo mantello misericordioso a far da cornice alla carta del mondo tracciata da Martin Waldseemüller nel 1507 a Saint Dié des Vosges. Già questo è indicativo. Amerigo poi nasce il 10 Marzo dell’anno 1454. Verrà battezzato però, soltanto otto giorni dopo. Il numero otto. Si ricorda che il numero otto è cifra mariana per eccellenza.

Si può leggere qui un messaggio dedica-torio dei Vespucci chiaro e forte: viene dedi-cato, A - merigo a Maria. Cosa c’entra tutto ciò con la scoperta ed il battesimo dell’America? Partendo da una notevole serie coerente d’in-dicazioni, tra cui quelle che si sono segnalate, Diego Baratono e Claudio Piani sono riusciti

a ricostruire le motivazioni che stanno die-tro al nome scelto dagli eruditi vosgensi per battezzare il Nuovo Mondo. Di cosa si tratta? Per superare tutta la serie di problemi che si sono elencati, per essere coerenti con quan-to le Sacre Scritture indicavano, per far sì che non esistessero primati di paternità i savants francesi, per inciso la Francia è terra mariana praticamente da sempre, decisero di formu-lare un nome che contenesse un’informazio-ne particolare. Doveva essere un messaggio potente. Sacro. Un messaggio che andasse al di là delle semplici questioni, per dir così, umane. Un comunicato che fosse “super par-tes”. Doveva essere un messaggio teologica-mente in grado di giustificare la scoperta di una nuova parte del Mondo. Un messaggio che doveva “far capire” a tutti che queste ter-re non erano state scoperte dell’uomo, ben-sì erano state “donate” dalla “misericordia” di Dio all’uomo. Per essere giustificate e rese fruibili, queste terre dovevano quindi passare attraverso la “Porta del Cielo” per eccellenza, attraverso la “Madre di Misericordia”, attraver-

LA MADONNA DELLA MISERICORDIA DI DOMENICO GHIRLANDAIO, CHIESA DI OGNISSANTI, FIRENZE

La riscoperta del Nuovo Mondo Claudio Piani e Diego Baratono

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so Maria. È a questo punto, allora, che si pro-filò qualche cosa d’eccezionale nella mente dei sapienti di Saint Dié: creare un acronimo, una sigla, per rendere eterno il concetto mi-sericordioso sotteso alla “scoperta” del Nuo-vo Mondo. Ci riuscirono, appunto, creando il nome AMERICA. Sì perché il nome AMERICA è un acronimo, è una sigla. È un nome di per sé intraducibile, che non ha niente a che vedere quindi con Colombo o con Amerigo, anche se per quest’ultimo rimane il vago “fumus” di cui si è detto sopra. Vediamo allora che cos’è quest’acronimo. Secondo i due ricercatori ita-liani, in maniera estremamente coerente con la loro quindicennale ricerca, AMERICA è l’a-cronimo di:

A … ve        M … aria        E … denR ... egina        I ... anua        C ... aeli        A ... ve

È un saluto beneaugurante. Si tratta quasi di una preghiera. Bellissima. Le varie giustifi-cazioni teologiche dell’acronimo, non proprio comuni, sono nondimeno facili da intendere. Sorprendente e bellissimo è quell’ “Eden Regi-na”: Maria quale “Regina dell’Eden”. Concetto devozionale inaspettato. Ricco di significati profondi ed antichi.

Per la mariologia più “accreditata”, Maria è proprio l’ “Eden piantato da Dio”. È la “Nuova Eva nel Nuovo Paradiso Terrestre”. Il “Nuovo

Mondo” è un “Paradiso Terrestre”. Anzi. È la nuova “Terra Promessa”. È straordinaria la pro-fondità concettuale raggiunta. È notevole del resto il “ianua caeli”, ossia la “porta che consen-te l’accesso al Cielo”. Sottile è la distinzione da una semplice “porta”, normale passaggio, ba-nale varco in un muro. Maria è invece accesso misericordioso, è “la” mediatrice di Misericor-dia. Maria è l’unico tramite possibile tra Divi-no ed umano e viceversa. Soltanto attraverso la mediazione di Maria, i doni della Misericor-dia infinita di Dio diventano fruibili all’uomo. Il nome AMERICA, è in sostanza una litania dedicatoria a Maria di straordinaria bellezza euritmica. È musicabile secondo i ferrei cano-ni del canto gregoriano. È armonia allo stato puro. In sostanza, dunque, il “Nuovo Mondo”, l’ “AMERICA” è un regalo di Dio agli uomini del “Vecchio Mondo”. Con questa profonda con-vinzione, distorta dai “Conquistadores” e da chissà quanti altri, le popolazioni indigene di quelle terre paradisiache sono state quasi sterminate … ma questa è già un’altra Storia.

“Ave Maria Eden Regina Ianua Caeli Ave”: è questa invece la soluzione che s’aspettava da quasi cinquecento anni. Diego Baratono e Claudio Piani pensano che da oggi in avanti il nome AMERICA, il continente AMERICA, si do-vrà guardare con un occhio un po’ diverso …

cLAuDio piAni

Ricercatore indipendente nell’ambito della car-tografia rinascimentale, ha compiuto ricerche nel dipartimento di Geografia e Scienze Umane dell’Università degli Studi di Milano, ha colla-borato con la Società di Studi Geografici di Fi-renze, l’Istituto Geografico Militare di Firenze, la Società Storica Valtellinese, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il paesaggio di Mi-lano, il Comitato Amerigo Vespucci a Casa Sua. Ha partecipato come relatore a importanti ma-nifestazioni culturali nazionali e internazionali, nonché a trasmissioni televisive quali Voyager. Ha pubblicato articoli su importanti riviste di settore.

Diego BArAtono Ricercatore indipendente e li-bero pensatore. Le sue esplo-razioni archeologiche sono incentrate sullo studio delle paleo-geometrie e degli anti-chi sistemi geometrici applicati alla topogra-fia dei luoghi sacri. Partecipa come relatore a importanti manifestazioni culturali nazionali e internazionali e a numerose conferenze. Colla-bora con riviste del settore e ha partecipato a trasmissioni televisive quali Stargate, Voyager, Rebus. Ha pubblicato Le Abbazie ed il Segreto delle Piramidi. L’Esagramma, ovvero le straordi-narie Geometrie dell’Acqua (ECIG, 2004).

La riscoperta del Nuovo Mondo Claudio Piani e Diego Baratono

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Il mistero, più spirituale e molto meno fenomenico

Terra di nessuno

tempo di lettura 7 minuti

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di Nikola Duper

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Quante volte le nostre scelte, e con-vinte prese di posizione, sono più dei nostri desideri e speranze che

non la realtà, per quanto comunque sogget-tiva? Questa domanda riassume molto bene il mio percorso nel mistero tra documentari, conferenze, corsi, interviste e incontri. Dopo quasi 12 anni di ricerche ho bisogno di ricapi-tolare, anche se sarà una visione temporanea e soggetta a futuri cambiamenti e aggiorna-menti. Ciò che segue non vuole essere una critica di niente e nessuno, ma solamente l’e-spressione di un certo disagio.

Ricordo ancora le riviste che mio padre comprava e, incautamente, lasciava in giro per la casa. Ho ancora impressa nella mente l’immagine mentre, di nascosto, prendevo in mano questo mensile per sfo-gliarlo quasi con timore. Sen-to tutt’ora il profumo di carta e d’inchiostro mentre mi perdo nei meandri del mistero e dell’i-gnoto. Anche se sono passati moltissimi anni ricordo ancora il nome della rivista: Fokus.

Ma nemmeno mio nonno materno era da meno. Anche per lui la questione extraterre-stre non era niente di cui sorri-dere, anzi, spesso diceva: “Se un giorno dovessero arrivare salirei volentieri con loro, tanto ormai sono vecchio”. Lo diceva molto seriamente esprimendo un sin-cero interesse e rispetto verso un fenomeno che solo recentemen-te è stato ingiustamente deriso e qualificato come qualcosa di cui le persone “serie” non si occupa-no.

Non molto tempo fa mi resi conto che le visite degli extrater-restri per me non furono mai un dubbio. Da quando ho i primi ricordi le uniche domande che mi ponevo erano: Chi sono? Da dove arrivano? Cosa vogliono? Purtroppo non ho ancora trovato alcuna risposta certa a questi interrogativi, però ho conosciuto mol-ti ricercatori, ho viaggiato, ho tenuto molte conferenze, sono stato testimone di racconti

straordinari da parte di persone che hanno avuto delle esperienze, a dir poco, incredibili.

Mi sembra ieri quando, nel 2000, l’ami-co Fabio Saccomani portò nel mio studio le foto dei cerchi nel grano riaccendendo in me quella passione sfrenata che si era assopita, per forza di cose, a causa del matrimonio, del primo figlio e, soprattutto, del trasferimen-to in Italia, nel 1987. L’amore con i cerchi nel grano fu a prima vista e mi regalò moltissimi momenti davvero intensi. Grazie al mio pri-mo documentario sulle geometrie nel gra-no iniziai a tenere le conferenze e gli inviti si moltiplicarono. Sembrava che, all’improvviso, tutta l’Italia volesse sentire parlare delle affa-scinanti figure nei campi d’Inghilterra. Infatti questa passione mi fece visitare l’Italia, dalla

Calabria e Sicilia fino alla Liguria, Lombardia e Friuli Venezia Giulia. Ebbi il piacere di essere inviato un paio di volte in Svizzera e, non ri-cordo quante, in Inghilterra. Tutte esperienze che mi fecero conoscere tantissime persone, molte “credenti” e alcune scettiche.

Mi ricordo l’iniziale entusiasmo, la voglia

Nikola DuperTerra di nessuno

UNO DEI TANTI CERCHI DEL GRANO COMPARSI A SILBURY HILL NEL 2000

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sfrenata di comunicare al mondo intero che stava succedendo qualcosa di straordinario. Avrei voluto convincere tutti che questo feno-meno fosse vero e che, forse, ci avrebbe fatto capire il senso della vita, o il segreto della no-stra esistenza o, male che andasse, l’origine dei cerchi nel grano. Ciò nonostante le mie conferenze sono state abbastanza prudenti e non credo di essermi mai sbilanciato, man-tenendo sempre un atteggiamento piuttosto critico. La comunità che incontravo ogni esta-te in Inghilterra mi piaceva molto e c’era un’a-ria diversa rispetto ai soliti circoli ufologici, litigiosi per antonomasia. Si potevano incon-trare hippie, seguaci della New Age, pagani di varie estrazioni, fanatici di tutti tipi, ma anche scienziati e agnostici. In ogni caso l’ambiente era accogliente, amichevole e sereno.

Il contatto iniziale avvenne a causa del mio primo documentario, quando conobbi Steve Alexander, Karen Alexander e Andy Thomas, mentre Michael Glickman l’avevo già incon-trato a Occhiobello nel 2001. L’uscita del vi-deo, anche in lingua inglese, ha in qualche modo decretato la mia entrata nella comuni-tà a pieno titolo.

Non poteva mancare nemmeno il contat-to con un esponente del famigerato CICAP con cui ebbi una discussione arrivando alla conclusione, del tutto personale, che anche loro potrebbero essere etichettati come dei fanatici. Trovo inquietante la loro convinzione che nulla esiste se non replicabile nel labora-torio, o se non “dimostrato” con qualche “me-todo scientifico”. Queste posizioni mi lasciano esterrefatto perché arrivano dalle persone che, chi più, chi meno, comunque hanno una formazione scolastica sufficiente per sapere

quanto poco in realtà sappiamo. Tutta la no-stra scienza, in realtà, deriva dallo studio del mistero e dell’ignoto. Uccidendo la curiosità dell’uomo, per quanto egli possa delle volte occuparsi anche delle sciocchezze, si uccide la fonte della vera scienza.

Però anche l’altra parte dello schieramento non scherzava per quanto riguarda l’assenza di senso critico. Delle volte mi sembra che la ricerca volga spesso nella direzione di ciò che vorremmo trovare, e poco conta se i dati rac-colti sono scarsamente credibili o autentici. Non dimenticherò mai quando una nota ufo-loga mi chiese la perizia di una foto. Si tratta-va di una fotografia piuttosto clamorosa. L’og-getto volante era bello grande e si posizio-nava tra un albero vicino e le colline distanti circa un chilometro. Peccato che la profondità di campo evidenziava che l’oggetto era vicino all’albero e quindi si trattava, evidentemente, di un modellino appeso, probabilmente con una canna da pesca. Nonostante la mia lunga e innegabile esperienza fotografica l’esperta in questione presentò la foto come autentica. Probabilmente non stava cercando la verità ma una conferma per rafforzare il suo entu-siasmo.

Le situazioni come queste, e potrei elen-carne tante da scrivere un libro, mi hanno progressivamente spinto nella terra di nessu-no. In questa landa, pressoché deserta, tutt’o-ra ripudio il metodo “cicappiano” (ci capiamo, vero? :)), ma contemporaneamente manten-go un atteggiamento critico verso le fonti che quotidianamente mi propongono una serie di eventi “miracolosi” e “inspiegabili”.

Non ho mai creduto nell’appartenenza ai gruppi che determinano le nostre idee e pre-

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se di posizione. È un fenomeno alquanto noto nella psicologia, di cui ho parlato anche nelle mie conferenze, che dimostra che la grande maggioranza delle persone non valuta le in-formazioni in base alla loro attendibilità, ma piuttosto da come saranno accolte nel grup-po a cui queste persone appartengono.

Inoltre, mi è sempre più difficile trovarmi a parlare di fronte alle persone che, in qual-che modo, attendono qualcosa che le sal-verà o che cambierà le sorti del mondo. In quel momento capisco che, alcune persone, hanno delle aspettative e che devo stare al-trettanto attento quanto davanti al sedicente esperto cicappiano. Non dimenticherò mai quella volta che, in una conferenza a Devi-zes, Inghilterra, apertamente smascherai le famose “orbs”, in quanto un fenomeno noto anche al fotografo dilettante, tra l’altro addi-rittura descritto nei manuali di alcune mac-chine fotografiche. Il pubblico fu visibilmente perplesso e dopo la mia relazione si avvicinò un uomo chiedendo stizzito: “Ma lei cos’ha contro le “orbs.” Mi venne da sorridere rispon-dendo che, naturalmente, nulla avevo contro un effetto dovuto allo flash e alle particelle di polvere vicine all’obbiettivo e fuori fuoco. Che sia un caso o no, non mi invitarono mai più a parlare.

Per chi mi conosce sa che il vecchio X-Co-smos.it, e ora X-Cosmos.info, sono lo specchio dei miei stati d’animo. X-Cosmos.it nacque con un gruppo di amici, tra l’altro esattamen-te 10 anni fa, e inizialmente trattava quasi

esclusivamente i misteri. Un po’ alla volta, con lo scemare dell’entusiasmo, rimasi pratica-mente da solo e il sito prendeva sempre più la strada di un impegno verso l’ambiente, la medicina naturale e così via. Poi ci fu un pe-riodo nichilista che mi portò a chiudere il sito ma recentemente, proprio grazie a questo “schiarirsi” delle idee ho voluto farlo rinasce-re, cambiando il dominio e spostando la mia attenzione verso un impegno civile. C’è anche la categoria dei misteri ma saranno pubblica-te soltanto le notizie che ritengo degne d’at-tenzione.

Probabilmente la svolta è stata nel mo-mento in cui ho percepito un’altra dimensio-ne del mistero, più spirituale e molto meno fenomenica. Ho smesso di chiedermi se sarò capito o meno, se la gente apprezzerà o no. Ho pensato che il punto fondamentale sia fare ciò in cui credo profondamente e che valga la pena per me, che solo cambiando il mio piccolo mondo personale avrei eventual-mente dato un minuscolo contributo al cam-biamento del mondo che mi circonda.

Ho deciso di dichiarare questo mio, seppur leggero, disagio da quando ho scoperto che altri ricercatori hanno avuto lo stesso proble-ma. Alcuni di questi sono anche dei cari amici e abbiamo a lungo parlato delle esperienze e del da farsi. Ora, oltre all’amicizia, ci accomu-na la “terra di nessuno” dove finalmente stia-mo bene, anche se delle volte capita qualche episodio di fuoco incrociato o amico.

nikoLA Duper

Nato a Dubrovnik, Croazia, nel 1961. Già dall’età di 10 anni si in-teressa alla fotografia ma i suoi interessi da subito si collocano nel mondo dell’arte. Con l’usci-

ta delle prime videocamere inizia a sperimen-tare le possibilità di questo nuovo mezzo. Pa-rallelamente all’arte si interessa all’esoterismo restando affascinato dall’approccio di Slavinski, una visione pratica e poco mistificatoria che punta sull’essenza e sull’insegnamento concre-to. Nel 1987 si trasferisce in Italia e lavora per di-

verse emittenti TV, maturando le esperienze di operatore di ripresa, montatore, direttore tecni-co e regista. Nel 1999 fonda la propria azienda e realizza varie produzioni video. Da sempre affascinato al paranormale, nel 2000 inizia ad interessarsi dei cerchi nel grano. Combinando la sua professione con i cerchi nel grano pro-duce alcuni documentari. Visita regolarmente il Regno Unito per compiere ricerche sui cerchi nel grano e per raccontare delle formazioni in Italia. È un prolifico relatore, tiene regolarmen-te conferenze in tutta Italia, sporadicamente in Svizzera e Inghilterra e partecipa a trasmissioni televisive. Il suo nuovo sito X-Cosmos.info.

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Gli italiani in prima linea nella ricerca sul campo

Il Diluvio Universale e la leggendaria (?) Arca di Noè

tempo di lettura 20 minuti

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di Francesco Arduini

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Un dato, seppur non conclusivo, che consente di distinguere tra realtà storica e leggenda, è la precisa col-

locazione nello spazio e nel tempo del rac-conto in esame e dei relativi protagonisti.

Se volessimo fermarci a solo questo ele-mento, dovremmo onestamente interrogarci sul racconto del biblico diluvio universale che l’immaginario collettivo colloca nella catego-ria dei miti.

Eppure, la puntualità dei riferimenti ai luo-ghi, ai modi e ai tempi della catastrofe narrata nel libro della Genesi, appare quasi eccessiva, come se il narratore già presagisse tutta la dif-ficoltà dei futuri lettori a credere a un evento di simili dimensioni.

Un ulteriore dato su cui riflettere è costi-tuito dalle più di 500 leggende basate sul di-luvio e narrate da oltre 250 tribù e popoli. In Australia (Kurnai), in Mesopotamia (l’Epopea di Gilgamesh), in Polinesia (Raiatea), in Italia (Poeta Ovidio), in Messico (Chimalpopoca), in Nuova Zelanda (Maori), tra Indiani Huaro-chirí del Perù, in Alaska (Kolusches e Tlingit), in Cina (Lolo), in Africa (Masai), solo per men-zionarne alcune. La maggiorparte di queste leggende ha in comune i seguenti elementi narrativi:

• Origine divina• Distruzione mediante l’acqua• Dato un avvertimento• Risparmiati degli esseri umani• Risparmiati degli animali• Salvati su un’imbarcazione• Approdati su un monte

Le librerie hanno scaffali pieni di testi che riportano le “innegabili” evidenze attestanti la veridicità della narrazione biblica. Sullo scaf-fale affianco, però, si trova un pari numero di testi che riporta “innegabili” evidenze dell’e-satto contrario.

Le voci discordanti

La prima cosa da mettere subito in chiaro è che, a mio parere, allo stato attuale delle co-noscenze scientifiche non esiste alcun tipo di

evidenza che possa essere univocamente in-terpretata quale prova di un avvenuto Diluvio Universale. Esistono dati che potrebbero esse-re interpretati in tal senso, e ne esistono altri che non riescono a trovare una concordanza con i fatti narrati dalla storia di Noè.

Fra i primi, per esempio, rientrano a pieno titolo le numerose fessure ossifere trovate in vasti luoghi molto lontani fra loro, localizzate in entrambi gli emisferi. Si tratta di agglome-rati di ossa di migliaia e migliaia di animali, da ritenersi depositati dall’acqua in quanto ce-mentati assieme dalla calcite.

Come riporta Gleason L. Archer,

[nella valle di Saar] si trovarono resti di orsi, lupi e buoi congiuntamente a molti animali più piccoli; altri depositi sono stati localizzati nell’isola di Cerigo o Kythera (al di là della punta sud-est del Pelopponeso), nella rocca di Gibiliterra e vicino a Odessa sul Mar Nero. Quest’ultima fessura scavata nel 1847 ha presentato circa 4500 ossa di orsi, iene, cavalli, porci, mammuth, rino-ceronti, bisonti, cervi e molti altri animali più piccoli. La fessura di Malta ha mostrato assieme a questi resti eterogenei anche alti blocchi di pietra che vi possono essere stati trascinati solo con una potente e violenta azione dell’acqua. Ad Agate, Springs nel Nebraska si è fatta una simile scoperta nel 1876. In dieci acri di terreno vi si trovano i resti di almeno mille animali che sembrano essere morti in grande numero al medesi-mo istante

Quando nell’800 il mondo scientifico ab-bandonò la concezione biblica, iniziarono le grandi campagne di studi geologici. E fu pro-prio a partire da quest’epoca che le fessure ossifere iniziarono ad essere scoperte in tutto il globo. Quello che segue è uno fra i numero-si articoli che si occuparono della questione:

Scientific American – 18.01.1868 pag.35

Le caverne diventano molto interessanti quando troviamo, celati nelle oscure cavità, scheletri e ossa di grandi animali mammi-feri che sono stati nascosti alla luce del sole,

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forse per centinaia di anni; proseguendo le nostre indagini troviamo ossa e teschi di es-seri umani, mischiati con quelli di quadru-pedi che hanno da tempo cessato di esiste-re. E avanziamo passo passo con le nostre ricerche, passando attraverso caverne d’os-sa in Germania, dove strati hanno ricoper-to con argilla grandi cumuli di ossa e denti di animali carnivori; siamo naturalmente portati a chiederci in che maniera, e in che epoca, queste ossa di animali e teschi di es-seri umani furono depositati; e nel nostro ansioso desiderio di trovare una risposta, le nostre menti sono spesso condotte oltre il limite delle facoltà intellettuali, e la ragione cessa di essere la nostra guida.

Tutto ciò potrebbe verosimilmente indica-re una catastrofe globale ad opera dell’acqua. Vi sono anche studi molto più recenti che sembrano condurre alla medesima conclu-sione. Il prof. Yu. N. Golubchikov, capo ricer-catore alla Facoltà di Geografia della Moscow State University, in relazione agli studi da lui compiuti, afferma che le formazioni normal-mente riconducibili alle glaciazioni potrebbe-ro in realtà essere addebitate ad una catastro-fica inondazione. Egli scrive:

Sono state proposte 200 ipotesi per spie-gare le cause delle ere glaciali ed il nume-ro di queste ipotesi continua a crescere. Le principali spiegazioni usate comprendono graduali abbassamenti della temperatura risultanti da variazioni nelle caratteristiche dell’orbita terrestre, passaggio del sistema solare attraverso nubi di polvere interstel-lare, variazioni della produzione di energia solare, cambiamenti nelle correnti oceani-che e nelle temperature causate dallo spo-stamento delle configurazioni continentali, ecc.. […] Mentre i ghiacciai si ritraevano, si sarebbero verificati potenti sollevamen-ti isostatici della penisola scandinava. Lo scienziato di Minsk E.A.Levkov specifica che una tale pressione da parte dei ghiacciai del Pleistocene avrebbe dovuto far schizzar fuori grandi depositi di olio e gas dalle zone periferiche delle aree glaciali. Però questi depositi sono caratteristici di molti piano-

ri subartici e di placche artiche. Un quarto delle riserve mondiali di idrocarburi è con-centrato nella placca di Barenth e nei mari di Kara. Ma per qualche ragione queste riserve non sono fuoriuscite sotto un così potente carico di ghiaccio. La sostanza del mantello è fuoriuscita ma i depositi di olio e gas no!

È stato possibile rilevare le tracce di ca-tastrofiche mega-onde originatesi dagli oceani come delle creste ad anelli concen-trici, vicino ed intorno alle regioni polari. Ciò che di eroso ormai rimane, viene identi-ficato come creste di archi murenici svilup-pati parallelamente alle estremità di prece-denti livelli di ghiacciai in ritiro. Quindi la direzione degli archi morenici può svelare un determinato punto d’ origine per questi enormi movimenti. Questo studio venne intrapreso dal glaciologo russo M.G. Gro-svold. Egli mostrò che fotografie dallo spa-zio rivelano gli archi murenici irradiare dal sud-ovest del mare di Kara al nord-est eu-ropeo nel tardo pleistocene […] La forma-zione di creste parallele e allineate e di la-ghi, secondo M.G. Grosvald, è da mettere in relazione con catastrofiche rotture di laghi periglaciali, situati prima dell’estremità di ghiacciai in scioglimento al sud […] L’inter-pretazione di un’imponente inondazione è condotta in vista del paradigma che pre-vede una precedente grande glaciazione. Se si cambia paradigma e si vede l’origine delle superfici, delle creste e dei laghi gla-ciali, connessa a mega-onde provocate dal rapido sollevamento della crosta terrestre accompagnato da tsunami, oppure alla ca-duta di un asteroide nell’oceano, molti dei problemi relativi alla loro genesi sarebbero risolti […] In base ai principi dell’uniformi-smo (o attualismo), secondo i quali tutto era e tutto procedeva come lo vediamo oggi, sarebbe molto più facile accettare il Diluvio globale piuttosto che la teoria del-la glaciazione. Fluttuazioni assolutamente piccole del volume oceanico sono sufficien-ti a provocare grandi cambiamenti sulla terraferma. Per considerare mutamenti nella copertura glaciale ed una sua propa-gazione fino ai limiti potenziali è necessario

Francesco ArduiniIl Diluvio Universale e la leggendaria (?) Arca di Noè

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ammettere molto di più. Di conseguenza è più facile supporre una catastrofica alluvio-ne causata da tsunami abbattutosi sulla terraferma, che ammettere la possibilità di una glaciazione.

[…] Collegate alle ipotesi “glaciazione” e “diluvio” vi sono due immagini opposte della storia umana, due filosofie di vita. Se le pianure furono coperte da enormi ghiac-ciai, l’uomo troverebbe la sua origine e svi-luppo ai tropici, si sarebbe evoluto dalla scimmia e sarebbe arrivato qui dall’Africa, come sostiene oggi la scienza. Ma se la glaciazione non è avvenuta, se le pianure sono invece state inondate, le cose potreb-bero non essere affatto andate così - Go-lubchikov, Y. N.

Vi sono però molti altri dati scientifici che

non si riescono a conciliare con la narrazione biblica. Sempre a titolo di esempio, potrem-mo indicare gli innumerevoli depositi di rocce carbonatiche, la cui sedimentazione richiede un ambiente tranquillo e lunghi tempi di de-posizione. Entrambi fattori incompatibili con eventi catastrofici, salvo ipotesi legate a di-verse velocità di deposizione insostenibili alla luce delle conoscenze attuali.

Quindi, da una parte abbiamo le Scienze Naturali, che sollevano quesiti non trascurabi-li per chi crede al Diluvio Universale, dall’altra abbiamo le Scienze Bibliche che, in base ad un onesto esame dei testi, presentano il Dilu-vio come un evento storico su scala globale.

Secondo numerosi studiosi che si affidano ai testi biblici, questo dilemma può risolversi solo grazie alla “ricerca sul campo”. E il campo in questione si chiama “Ararat”.

ROBERTO TISO MENTRE SALE UNO DEI VERSANTI DELLA MONTAGNA. SULLO SFONDO L’ARARAT

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La ricerca sul campo

Roberto Tiso, Angelo Palego, Azad Varta-nian, Daniele Saporito, sono solo alcuni dei ricercatori italiani che, fermamente convinti della storicità del Diluvio Universale, sono da anni impegnati nella ricerca dell’ “Arca di Noè” sulla vetta del monte Ararat.

Se, come questi ricercatori auspicano, ve-nissero trovati dei resti del biblico vascello ad una quota superiore ai 4.000 metri, si potreb-be condurre una serie di analisi scientifiche in grado (forse) di mettere la parola “fine” allo scetticismo imperante.

Ecco come Roberto Tiso, classe 1969, re-sidente in provincia di Padova, risponde ad alcune domande che aiutano a meglio inqua-drare lo spirito che anima questi ricercatori.

Francesco Arduini: Come è nata questa sua passione per la ricerca archeologica sul monte Ararat?

Roberto Tiso: Da un forte interesse per la Sacra Bibbia e la grande voglia di dimostrar-ne la sua veridicità. Ho scelto il racconto del Diluvio e dell’Arca di Noè perchè lo ritengo il più autorevole e conosciuto. Tuttavia a dare un notevole impulso a questa mia passione, è stato l’incontro e la partecipazione ad alcune spedizioni con l’ing. Angelo Palego, veterano ricercatore dell’Arca di Noè.

FA: Quante volte ha scalato l’Ararat?RT: Otto volte, la prima organizzata dagli

stessi armeni, i veri custodi dell’Arca e dell’A-rarat essendo stata in loro possesso fino al 1921 appena dopo il periodo del genocido. Da quel momento passò sotto i turchi per

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ROBERTO TISO INSIEME A DEGLI ABITANTI LOCALI

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opera di Ataturk. Le successive spedizioni le feci con Angelo [ndr:Palego] e altri compagni tra cui una guida alpina del monte Rosa e un alpinista e stretto collaboratore di Belluno.

FA: Perché proprio l’Ararat? RT: Perchè sebbene in quella regione vi si-

ano altre montagne ritenute il luogo dell’ap-prodo dell’Arca di Noè, l’Ararat risulta essere la vera montagna e la più credibile per le se-guenti motivazioni:

- Tutti i più importanti e attendibili avvi-stamenti, sia in tempi recenti che pas-sati, sono avvenuti in quella montagna

- l’Ararat è la montagna più alta della Tur-chia e dell’Europa con un ghiacciaio che si estende per oltre 5 km2 dove l’Arca si è conservata per migliaia di anni. Nelle altre dichiarate ubicazioni le montagne sono assai più basse e scevre totalmen-te di ghiacci, quindi la conservazione del legno non sarebbe avvenuta

- dal racconto biblico si evince che Noè vide il resto delle cime dei monti solo dopo due mesi e mezzo dall’approdo, pertanto doveva trovarsi per forza sul monte più alto della regione urartea.

- In ultima analisi tutta la toponomasti-ca nei dintorni dell’Ararat è legata sia al racconto del Diluvio, sia all’Arca, che a Noè.

FA: Che problemi si devono affrontare in questo tipo di scalata?

RT: I problemi sono molteplici, non solo di carattere alpinistico ma anche politico es-sendo una zona di confine e di insediamento curdo. Le difficoltà alpinistiche a mio avviso non sono elevate; ci vuole sicuramente una buona preparazione fisica perchè la salita al ghiacciaio e molto lunga e i sentieri bisogna inventarseli, sebbene coadiuvati dal provvi-denziale aiuto della guida locale. In genere percorriamo dai 30 ai 40 km su e giù per la montagna, i rischi sono soprattutto le frane causate dai potenti venti, essendo la monta-gna di origine vulcanica è ricoperta di molte pietraie laviche. Capita spesso che, cammi-nando con enorme difficoltà in queste este-

se pietraie con un forte pendio, balzino giù all’improvviso, come dei meteoriti, sassi an-che di grandi dimensioni. In una spedizione passata, l’astronauta James Irwin (anche lui alla ricerca dell’Arca) fu colpito alla nuca da uno di questi sassi lavici che per poco non lo ammazzò, procurandogli gravi ferite e una tremenda caduta con svenimento.

Gli altri rischi sono di carattere militare, poichè molte zone sono interdette e pattu-gliate a causa dell’insediamento del PKK (il partito dei lavoratori curdi ribelli che si batto-no per l’indipendenza dalla Turchia). I conflitti a fuoco sulla montagna non sono rari, a noi spesso è successo di schivare di qualche gior-no o qualche ora, sparatorie tra militari turchi e guerriglieri curdi, inevitabilmente con morti e feriti. L’ultima volta sono stato fermato dai militari turchi per controlli, ero con un amico, una guida curda, e ci lasciarono andare, avevo tutti i documenti in regola ma ci avvisarono del rischio, difatti di lì a un paio d’ore e a poca distanza vi fu uno scontro a fuoco con alcuni feriti e la morte di un militare turco. Insom-ma questi sono i rischi; anni fa alcuni nostri amici vennero sequestrati dai ribelli del PKK per ben 27 giorni, per fortuna con esito posi-tivo. Altri rischi invece che si possono correre sono causati dai predatori curdi che sotto la minaccia del fucile ti sequestrano tutto, op-pure il furente attacco in branco dei cagnacci che difendono i villaggi curdi che, garantisco, non è assolutamente una cosa piacevole. Al-cuni di questi cani sono meticci ma altri son pastori dell’Anatolia: cagnoni che superano gli 80 cm al garrese! Poi oltre a vipere, lupi e aquile, sia sul piccolo che sul grande Ararat si aggira anche l’orso, un nostro amico ha avuto l’emozionante avventura di un incontro vis à vis ma grazie a Dio, per una serie di fattori a suo vantaggio, riuscì a defilarsi. Ci è stato det-to dai locali che il plantigrado raramente at-tacca l’uomo. Ultimo e preoccupante “tehlike” (ossia pericolo) è l’improvviso cambiamento climatico a causa dello scontro tra i forti ven-ti caldi della mesopotamia e quelli freddi del nord caucasico, causa di improvvisi tempo-rali magnetici e violente nevicate. Cosa assai poco piacevole se ci si trova sul ghiacciaio o anche più in basso nelle pericolose e scivo-

Francesco ArduiniIl Diluvio Universale e la leggendaria (?) Arca di Noè

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losissime pietraie laviche che si estendono in tutto l’Ararat. Da ricordare che lì non c’è il soc-corso alpino ma quello militare con i fucili... quindi è d’obbligo non infortunarsi.

FA: Che tipo di evidenze avete raccolto? RT: Il nostro collega summenzionato,

guida alpina del monte Rosa, nel 2002 filmò sul ghiacciaio Parrot ad ovest, una trave che si stagliava da una parete di ghiaccio a circa 4000 m. Sempre sullo stesso ghiacciao recen-temente è stato rinvenuto un altro pezzo di legno ora sotto esame. Nel 2008 io e il mio compagno e collaboratore di Belluno, abbia-mo rinvenuto da sotto il permafrost, a circa 4000 m di quota, altri 3 pezzi di legno. Stiamo attendendo gli esiti delle datazioni. Nota im-portante da considerare è che, a prescindere dall’età che verrà data ai reperti lignei, nella

zona dell’Ararat non crescono alberi resino-si con un legno che possa resistere a lungo sotto i ghiacci. Il ricercatore francese Fernand Navarra trovò del legno nel 1955 e nel 1969 sullo stesso ghiacciaio Parrot; dopo averlo fatto esaminare risultò essere di “Quercia Pe-duncolata”: un tipo di legno che cresce solo in Mesopotamia! Come mai si trovava lassù a centinaia di km di distanza?

Poi il resto di evidenze ci è fornito dalle molte testimonianze raccolte dai vari avvista-menti sia storici che recenti. Le più importanti a mio avviso son quelle dei piloti russi, ame-ricani e dei pastorelli armeni, i quali indicano in dettaglio il luogo esatto dell’avvistamento. Si badi bene che non è facile da capire per chi non è esperto, la montanga bisogna cono-scerla molto bene per capire tutti i riferimenti geografici forniti da questi testimoni. Recen-

Francesco ArduiniIl Diluvio Universale e la leggendaria (?) Arca di Noè

ROBERTO TISO IN UN MOMENTO DI PAUSA

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temente ho voluto fare, dopo l’esperienza accumulata, sia mia che di altri compagni, una full immersion con un ripasso sistema-tico di tutti i racconti e di tutto il materiale fotografico e video in nostro possesso e con centinaia di ore di lavoro. Il risultato credo sia stato ottimo e abbia centrato il bersaglio. At-tualmente per aver maggior conferma di tut-to ciò, stiamo lavorando per rintracciare una signora russa, credo e spero ancora vivente; lei è la nipote di un membro della spedizio-ne che lo zar Nicola II inviò sul monte Ararat nel 1916 per raggiungere l’Arca. In quella spedizione, sebbene con enorme difficoltà, l’obiettivo fu raggiunto, l’Arca fu fotografata, e ne furono estratti dei campioni lignei ma il tutto, purtroppo, fu confiscato e fatto sparire dai bolscevichi della rivoluzione russa avve-nuta qualche mese dopo nel 1917. I membri di questa spedizione furono uccisi. Solo tre o quattro sopravvissero e uno di questi era il nonno della signora che stiamo cercando, il quale le dichiarò di aver visto con i suoi occhi e toccato con le sue mani l’Arca di Noè, e che si trova sul monte Ararat! Purtroppo, a causa del regime, la cosa fu tenuta segreta sia dal nonno che, ovviamente, dalla nipote, fino al crollo del comunismo. Poi fu diffusa da un giornale russo e recentemente arrivò a noi, sebbene direi con notevole ritardo.

FA: Su che versante e in che punto preci-so si troverebbe l’Arca di Noè?

RT: Dall’attenta disamina di tutte le testim-nianze si evince che l’Arca si trova :

• in un canyon a nord a forma di ferro di cavallo

• circondata da picchi di roccia • picchi che assomigliano a delle alture • in una cengia esposta su un precipizio • l’Arca si può vedere da una posizione

più alta • la zona e raggiungibile, sebbene con

difficoltà • la zona è due canyon a est dal laghetto

di Kop • si trova alla destra o ad ovest della gola

di Ahora.

Con la spedizione del 2009 e 2010, e con l’aiuto di Dio, riuscimmo con notevoli vicis-situdini a ragiungere l’area appurando che in quella cengia di quell’oscuro e misterioso canyon nord vi è una strana sagoma sepelli-ta sotto le pietre. Pertanto, per ovvia conclu-sione, riteniamo che l’Arca sia mimetizzata sotto il permafrost, probabilmente spezzata in più parti. Secondo una nostra deduzione, abbiamo ritenuto che l’Arca un tempo fos-se maggiormente visibile, essendo immersa in un plateau di ghiaccio da noi battezzato “Heyelani” a 4200 m, poi con il passare dei se-coli e con la lenta ma potente e inesorabile spinta del ghiacciaio questo enorme cassone di legno sarebbe stato spinto giù sulla cengia. Probabilmente a dare uno grosso e definitivo scossone fu l’immane esplosione dell’Ararat avvenuta nel 1840 sulla gola di Ahora a nord-est. Dalla posizione originale difatti si posso-no trarre le seguenti conclusioni:

- che da quel punto esatto si potevano vedere le cime dei monti come dice la Bibbia ovvero la cima stessa del grande Ararat, la cima del piccolo Ararat e pro-babilmente la cima dell’Argatc un vul-cano in Armenia alto oltre 4000 m

- che da quel punto, parte dell’Arca si sarebbe staccata e sarebbe scivolata giù per il colatoio del seracco da noi chiamato “Art”, verso il ghiacciaio Par-rot, dove son stati trovati molti reperti lignei

- e in ultima analisi, da quel punto l’Arca si sarebbe vista più facilmente dall’Ar-menia, luogo di testimonianze e avvi-stamenti. Difatti lo stesso Marco Polo ne parla nel suo libro “Il Milione”.

FA: Come risponde alle obiezioni prin-cipali che tendono ad etichettare la storia del diluvio come leggendaria?

RT: Beh, le obiezioni son le solite. Il grande cambiamento climatico, secondo la “cultura dominante”, sarebbe avvenuto nel cosiddet-to periodo del “Paleocene” risalente a circa 65 milioni di anni fa e in tempi geologici molto lunghi, e che l’Arca ed il Diluvio non sono al-tro che un mito, ecc..

Francesco ArduiniIl Diluvio Universale e la leggendaria (?) Arca di Noè

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Ma la scienza dovrebbe essere quel “sa-pere umano ottenuto attraverso l’osserva-zione attenta di ogni cosa, con osservazioni logiche. La caratteristica più importante della scienza è che le sue conclusioni sono basate sull’evidenza”. Bene allora si esaminino tutte le evidenze e si osservino le cose con rigor di logica. Sono stati dissepelliti milioni di ani-mali dalle zone glaciali e nel permaforst del nord perfettamente conservati, ed è stato rinvenuto in Siberia un mammut fra i tanti con vegetazione in bocca e nello stomaco: non significa questo un evento repentino in una zona probabilmente dove esisteva una fertile vegetazione? Come si sarebbero con-servati se il cambiamento fosse avvenuto in centinaia di anni? Sono stati trovati dei fossili

polistrati, ovvero alberi fossilizzati che attra-versano più strati di roccia sedimentaria: se i vari strati non avessero ricoperto tali alberi in tempi rapidi per la conservazione, non sareb-bero andati presto in decomposizione? Come mai spesso troviamo rocce sedimentarie a forma ondulata senza spaccature struttura-li ma a curve omogenee? Se la litogenesi di queste rocce fosse avvenuta in tempi molto lunghi, com’è sostenuto, con la conseguente solidificazione di tutti gli strati sovrapposti, come si sarebbero potute modellare senza rompersi? Come mai son stati rinvenuti ma-nufatti umani rinserrati in rocce arenarie for-matesi secondo la scienza milioni di anni fa? Esisteva l’uomo in quei tempi? Come mai son state rinvenute in molte parti del nostro pia-

GRANDE ARARAT

PARROT

HEYELANI

Francesco ArduiniIl Diluvio Universale e la leggendaria (?) Arca di Noè

IL MONTE ARARAT. RICOSTRUZIONE DI GOOGLE MAP

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neta impronte di dinosauri assieme a quelle umane? I dinosauri erano coevi agli uomini? Per non parlare di aptici e meduse, uova e gocce di pioggia fossilizzate, anche questo avviene solo con un processo rapido di con-servazione. L’esplosione del vulcano S’Helen nel 1980 è una prova schiacciante di rapidità nella formazione di rocce sedimentarie, difat-ti in sole 24 ore si formarono pareti di rocce sedimentarie alte fino a otto metri! E che cosa dire delle centinaia di leggende in ogni latitu-dine e in ogni popolo che raccontano di un’e-norme inondazione con la salvezza di poche persone e animali? Quindi, se l’Arca venisse portata alla luce a oltre 4000 m di quota, chi l’avrebbe portata fin lassù se non un enorme cataclisma avvenuto solo poche migliaia di anni fa? Le stesse tecniche di costruzione per realizzare un tale manufatto non si possono far risalire a milioni di anni ma solo nel cosi-detto periodo litico, ovvero a circa 5000 anni fa, nel periodo in cui l’uomo cominciò a usare gli strumenti e a creare oggetti. Per ulteriori approfondimenti potete consultare il nostro sito: www.noahsark.it.

Di nuovo sull’Ararat

Anche l’accademico Angelo Palego, classe 1935, è ancora attivamente impegnato nella ricerca dell’Arca di Noè. Fra poche settimana effettuerà la sua ventunesima scalata attac-cando il versante nord ovest dell’Agri Dagi, nome con cui i locali designano la biblica vet-ta.

L’obiettivo è sempre quello: scalare il ghiacciaio Parrot, raggiungere il ghiacciaio Heyelani, sondare tutta la zona, e recuperare resti da sottoporre ad analisi scientifica.

Dinanzi a possibili ritrovamenti lignei, i ricercatori dovrebbero però evitare di farsi prendere da facili entusiasmi e sensaziona-listici proclami, se non dopo aver effettuato le dovute analisi. È infatti risaputo che molte guide locali, avendo “fiutato” un nuovo tipo di business, portano legni in cima all’Ararat e poi contattano i ricercatori dicendo di aver trova-to i veri resti dell’Arca ed offrendosi di accom-pagnarli sul punto esatto del “ritrovamento”, ovviamente dietro lauto compenso.

Se invece avessero ragione Roberto Tiso e Angelo Palego, e fosse ancora possibile ri-trovare lo scheletro della gigantesca struttura lignea, allora la questione sarebbe senz’altro più difficile da spiegare.

Non ci resta che attendere gli esiti della prossima spedizione.

Fonti consultate:• Arduini, F., Sulle tracce di Noè. Angelo Palego e la

montagna dell’Arca, Edizioni Terre Sommerse, Roma, 2011.

• Golubchikov, Y. N., Glaciazione o Inondazione?, Ediz. Narkas, Napoli, 2005.

• Archer, G.L., La Parola del Signore - Introduzione all’Antico Testamento, Ed. Voce della Bibbia, Mo-dena, 1972.

• www.noahsark.it• www.angelopalego.it• www.aorkofnoah.it

FrAncesco ArDuini

Laureato in scienze storico religiose, da anni studia le diverse problematiche legate alle nar-razioni bibliche. Già vice-presidente dell’asso-ciazione scientifico-archeologica Narkas, ha tenuto conferenze in Italia e all’estero relazio-nando su diverse tematiche legate ai misteri del passato. Ha collaborato con Voyager, Archeomi-steri, ScienzaeConoscienza, Hera, Fenix, diversi eMagazine e portali di informazione. Il suo sito è www.francescoarduini.it. Tra i suoi libri ricor-

diamo: Il battesimo dei bam-bini: un’ipotesi sulle origini (Aracne editrice, 2010) e...

Sulle tracce di Noè TerreSommerse, 2011

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Francesco ArduiniIl Diluvio Universale e la leggendaria (?) Arca di Noè

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Alla ricerca di significati perduti della nostra storia

La lettera T ed il suo significato nel sacro primordiale

tempo di lettura 4 minuti

Runa Bianca 109Agosto 2011 | n.2

di Enrico Calzolari

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110 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

Nella mostra sul Tesoro di Tutankha-mon che si tiene a Bruxelles nel Pa-lazzo dell’Esposizione fino al 6 no-

vembre 2011 vengono mostrate, nel reparto dedicato agli amuleti del Faraone, due sago-me in metallo di circa dieci centimetri di al-tezza, che si possono leggere come la lettera T e la lettera Y. Stupisce che nelle didascalie si legga che il loro significato non è noto.

La lettera T si rinviene nelle costruzioni in pietra di Göbekli Tepe, scoperto di recente e fatto risalire a 12000 anni fa. Ci si sta interro-gando sul significato di questi costrutti e so-prattutto perché queste vestigia siano state sepolte già in antico. Analogamente la T si rin-viene nelle strutture a Taula delle isole Baleari, ma non ne viene presentato il significato pro-fondo. Louis-René Nougier scrive in proposi-to: “Si sono avute lunghe discussioni e addi-rittura dispute tra gli archeologi a proposito del ruolo di questi biliti, piantati al centro di un’alta recinzione circolare. Non è chiaro se si tratti di un recinto scoperto con funzioni religiose…” (pag. 240, La preistoria – UTET).

Ma la T emerge anche nei bronzi arseniosi della Cultura La Aguada del Noroeste Argentino (500-900 d.C.) presenta-ta nel libro di Alberto Rex Gonzalez a titolo “Cultura La Aguada Arqueologia y diseños” (Filmediciones Valero, 1998). In uno di questi rari bronzi, indicato come “Disco del Beni, Bo-livia”, emergono significati strabilianti, che non vengono assolutamente trattati dallo studioso argentino. L’antropo-morfo presenta un casco inte-grale che sembra di tipo spa-ziale, una gorgiera che sembra metallica e che ricopre anche le braccia. Quindi si nota un petto-rale con la lettera T, posta al centro delle spirali a rotazione inversa, al di sotto delle quali viene presen-tata una faccia di creatura pri-

mitiva con capelli ispidi, al di sotto della quale stanno altre due spirali a rotazione contrap-posta. Per interpretare questo bronzo, occor-re tener conto dei significati degli altri pezzi, di produzione limitatissima.

Vi emergono le croci templari del tipo or-bicolare retto e del tipo orbicolare inclinato, così come si possono vedere nelle simbologie della Lunigiana Storica, presentate nel libro “Lunigiana terra di Templari” (Marna Edizioni, 2006). In questi bronzi si rinvengono anche molti simboli dei tre cerchi concentrici, defi-niti anche cerchi atlantidei o cerchi dei tre or-dini di perfezione, se riferiti al Cristianesimo.

Per poter spiegare queste strane coinci-denze spaziali e temporali occorre sapere che i Templari si recavano in Patagonia per cari-care l’argento (da ciò il toponimo Argentina). Recentemente studiosi locali del Golfo di San Matteo hanno anche identificato il porto dei

Templari, costituito da quattro canali pa-ralleli, posti in alto sulla scogliera, e pene-

trabili soltanto con le alte maree sizigie (quando la marea influenzata dal Sole

si somma con la marea influenza-ta dalla Luna Piena). Le pro-ve iconografiche di questa navigazione si rinvengono nelle simbologie della Pie-ve di Codiponte (Massa) che mostrano sia i coprica-po da cacique, sia i copri-capi di pelliccia, nonché in

Val di Vara, in un architrave di Porciorasco, in cui è stato

scolpito il Sole tradizionale del Guatemala. I Templari, nei contatti con gli shamani andi-ni, hanno avuto informazioni che sono di natura profonda, come la croce orbicolare retta e la croce orbicolare inclinata, da cui emerge la simbologia dell’angolo, cioè della cono-

scenza dei moti processionali. Il tema dell’angolo emerge chia-

ramente in un petroglifo del Lago Titicaca, ed era quindi familiare agli

shamani sudamericani, così come appare più volte indicato

Enrico CalzolariLa lettera T ed il suo significato nel sacro primordiale

DISCO DEL BENI, BOLIVIA

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Runa Bianca 111Agosto 2011 | n.2

nel petroglifo dell’Appennino Tosco-emi-liano che si trova peraltro eguale in India, nel sito sacro di Vijaianagar (distretto di Hampi).

Una corrente di pensiero è quindi giunta in Lunigiana dall’India in epo-ca del Rame(lo si deduce dalla verga da rabdomante a rotazione verticale, che si ritrova anche all’esterno del Riparo del Ciliegio nel Savonese) e una successiva conoscenza è stata portata dai navigato-ri Templari nel XIII secolo. Appare quindi una continuità nell’uso del T, che è stato anche adottato da San Francesco. Come conciliare ciò?

Attraverso la profonda implicazione del T, come simbolo di equilibrio e di eguaglianza fra le genti, dedotto dalla manifestazione equinoziale della “linea retta d’equinozio” e dalla constatazione che il punto del sorgere equinoziale non muta nei millenni, mentre i punti del sorgere e del tramonto solstiziale subiscono lo scarto della precessione degli equinozi.

Una interessante prova archeologica della conoscenza della precessione è emersa du-rante il convegno della Società Italiana di Ar-cheoastronomia che si è tenuto in Puglia nel 2010, a Trinitapoli, dal 22 al 23 ottobre 2010.

Quanto sopra spinge a leggere il Disco del Beni come portatore dell’annuncio, che è sta-

to diffuso da Zacheria Sitchin, che l’uomo è stato clonato dagli Anunaki, attraverso vari tentativi, che si sono potuti perfezionare sol-tanto quando i loro scienziati hanno capito che non potevano usare per i loro esperimen-ti vasi provenienti dal loro pianeta (quindi emananti una frequenza diversa da quella di 7,83 Hertz della Terra) ma vasi creati con ma-teriali terrestri (Il Libro Perduto del Dio Enki - Sesta Tavoletta).

Enrico CalzolariLa lettera T ed il suo significato nel sacro primordiale

enrico cALzoLAri

Enrico Calzolari, nato a Lerici nel 1938, si è diplomato presso l’Istituto Nautico della Spezia, sezione Capitani, e si è laurea-to in Economia e Commercio

presso l’Università di Pisa. Si è formato sul mare, sia come ufficiale della Marina Mercantile, sia come ufficiale di complemento della Marina Militare. Tra le numerose attività ha contribuito a fondare l’Associazione Ligure Sviluppo Studi Archeoastronomici (A.L.S.S.A.), di cui è segreta-rio, e l’Associazione di Archeologia Vibrazionale (Sarzana). Effettua ricerche sul megalitismo, sul-le incisioni rupestri attinenti alla paleoastrono-

mia e alla cosmogonia, con particolare riguardo a Lunigiana, Corsica e Sardegna. Fra i numerosi suoi libri, documentati nell’ampia bibliografia all’interno, segnaliamo Lunigiana terra di Tem-plari, pubblicato da Marna nel gennaio 2006. Il suo sito web è www.paleo-astronomia.com

Lunigiana Terra di

TemplariMarna Editore, 2006

vai scheda libro >>

TAU DI TUTANKHAMON ESPOSTO A BRUXELLES

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La leggenda sui misteri dell’origine della vita

Il mistero dei Teschi di Cristallo

tempo di lettura 5 minuti

Runa Bianca 113Agosto 2011 | n.2

ppdi Giuseppe Di Stadio

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114 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

La possibilità di un intelligenza superio-re, acquisita e consolidata, nel sapere della Civiltà Madre, è stata avvalorata

dal ritrovamento di un reperto archeologico tanto discusso quanto affascinante e miste-rioso.

Nel 1927, a Labaanatum, nell’Honduras britannico, viene rinvenuto uno splendido manufatto in cristallo di rocca. La straordi-naria precisione anatomica con la quale è stato creato il magnifico teschio di cristallo, è ancora oggi, tema di accesi dibattiti tra gli scienziati e gli esperti moderni. Scoperto in una piramide Maya dal ricercatore Mitchell Hedges, il teschio vanta più di mille anni, ed è stato intagliato da un unico blocco di cristallo di rocca purissimo. In verità il suo rinvenimen-to fu molto controverso ed è stato al centro di diversi dibattiti: secondo alcune fonti, fu trovato nel 1927 da una diciassettenne, Anna, figlia adottiva dell’avventuriero e vagabon-do Hodges, mentre scavava fra le rovine di Lubaantun, la “Città delle pietre cadute”. Ma è la sua datazione storia il primo vero punto di conflitto tra storici ed archeologi. Infatti, la durezza molto simile al cristallo, e la tecnica necessariamente impiegata per intagliare con tale precisione millimetrica il manufatto, necessitano obbligatoriamente un minimo di 300 anni ed un grande dispiegamento di arti-giani ed intagliatori di pietre preziose dotati di un enorme talento.

È per questo che nel 1970, il teschio Mitchell-Hedges, dal nome del suo scoprito-re, fu affidato alle analisi dei laboratori della Hewlett-Packard, per uno studio più accurato mediante modernissime tecniche di datazio-ne dei materiali preziosi. I risultati, resi pub-blici mediante la pubblicazione in un articolo dal titolo “history or hokum?”, rivelarono una semplice quanto affascinante conclusione. “Il manufatto rappresenta un bellissimo pezzo artistico, ma ne è impossibile la datazione”. Neanche i più sofisticati mezzi, oggi in pos-sesso della civiltà umana, sono in grado di datare il teschio. Inoltre viene ufficialmente screditata la teoria della storiografia che per anni ha affermato che il teschio sembrava essere stato scolpito con un moderno laser o con ceselli di precisione”. Semplicemente per-

chè gli impieghi ablativi del laser si sarebbero avuti solo negli anni novanta.

Ma il ritrovamento del teschio di Hedges non è che uno dei tanti ritrovamenti scoper-ti in diverse parti del pianeta terra. Il British Museum ne possiede un esemplare dal 1897, mentre lo Smithsonian Institution ha un te-schio dal 1992. Nel 1996 i teschi del British Museum e della Smithsonian Institution sono stati sottoposti ad analisi presso il British Mu-seum che hanno rivelato segni di lavorazione con strumenti disponibili nell’Europa della seconda metà dell’Ottocento. Anche questo elemento suggerisce che si tratti di falsi fab-bricati in tale periodo[9]. In quell’occasione erano stati portati anche i teschi “Max” e “Sha Na Ra” (mentre Anna Mitchell Hedges aveva rifiutato di portare il suo), ma il British Mu-seum, in applicazione della propria norma di non fornire valutazioni su oggetti provenienti da collezioni private, non ha espresso alcun giudizio su di essi.

Giuseppe Di StadioIl mistero dei Teschi di Cristallo

TESCHIO DI CRISTALLO ESPOSTO AL BRITISH MUSEUM

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Runa Bianca 115Agosto 2011 | n.2

Altro elemento di discussione è dato dal-la natura del materiale che compone oggi il teschio. Infatti, il blocco di cristallo intaglia-to in occasione della creazione del teschio, non risulta presente in natura, nella sua zona originaria di ritrovamento, ovvero l’America Centrale. Per trovare i primi giacimenti mi-nerari che possiedono caratteristiche simile al materiale impiegato in questo caso, dob-biamo toccare le coste europee o addirittura africane.

L’unico elemento che mette d’accordo tut-ti è che, un manufatto di 13 centimetri, con peso superiore ai 5 chili, non può avere una realizzazione esclusiva da parte dell’estinta civiltà Maya. La complessità della sua forma-zione aumenta il mistero che avvolge il miste-rioso oggetto. Basti pensare che alla base vi sono incastonati una serie di prismi che, insie-me alle lenti presenti nelle orbite del teschio, gli donano una luminescenza unica. Inoltre la superficie straordinariamente levigata è in grado di stimolare zone molto remote del cervello umano che donano appunto a chi viene a contatto con l’oggetto, straordinarie sensazioni.

“Questi due elementi di conflitto, da un pun-to di vista, gettano fango sull’autenticità stori-ca del teschio di cristallo, concludendo, come al solito, con l’affermazione semplicistica “è in-spiegabile”; ma sorprendentemente da un altro punto di vista, a mio avviso molto più esaustivo ed interessante, avvalorano la teoria della colla-borazione tra la CIVILTÀ MADRE e i popoli della terra che abitavano le regioni mesoamericane.”

Aprendo una parentesi sui rituali Maya, possiamo notare come il cristallo venisse utilizzato per la fabbricazione di moltissimi

strumenti usati nelle pratiche

religiose, in quanto si credesse che il cristallo potesse contenere l’anima di un Dio. Infat-ti, il cristallo veniva utilizzato dai sacerdoti Maya come oracolo divino. Durante l’antica cerimonia Maya denominata Rituale dei Fuo-chi, i teschi di cristallo venivano utilizzati per appiccare incendi controllati in diverse aree geografiche per scopi culturali. Straordina-riamente, se lasciamo attraversare il nostro teschio da un raggio di sole, questo viene canalizzato all’interno del cristallo, per fuoriu-scirne dalla cavità orale sottoforma di fascio di luce, alla strega di un raggio laser capace appunto, di generare incendi se si indirizza su un catalizzatore quale ad esempio la paglia.

Secondo la leggenda, tramandata fino ad oggi dai Concito, popolo di nativi americani, i teschi in realtà sono 13, numero simbolico legato alla morte, come appunto la tredicesi-ma lama dei tarocchi. Secondo la leggenda i teschi sono in grado di parlare e cantare, in attesa del giorno che saranno riuniti. Quando ciò accadrà, e dodici teschi saranno posti in formazione circolare, il tredicesimo, che rap-presenta la “conoscenza segreta” permetterà di svelare i misteri sull’origine della vita e si farà latore di un messaggio di verità scono-sciute, capaci di cambiare il mondo. Inoltre, molte popolazioni mesoamericane, ancora oggi, svolgono cerimonie per commemora-re gli “ANTICHI PROGENITORI”, che in passato fecero dono al mondo dei sacri teschi. Questi progenitori sono descritti come entità supe-riori alla razza umana, provenienti dalle Ple-iadi, da Sirio e da Orione. Tutte costellazioni connesse alle piramidi del Sole e della Luna di Teotihuacan, nonché alle grandi piramidi di Gizah...

Si tratta solo di coincidenze?

Giuseppe Di StadioIl mistero dei Teschi di Cristallo

giuseppe Di stADio

Studioso di archeologia, con la passione per la storia antica e l’antropologia. Assiduo ricerca-tore nell’ambito dell’ufologia da diversi anni. Relatore e colla-

boratore per diversi siti italiani, nonché appar-tenente allo staff del sito www.italiaparallela.it

in qualità di amministratore e curatore del sito insieme ad Antonella Balboni, Monica Taddia e Giovanni Zaninelli. Il sito si prefigge la divul-gazione informativa di argomentazioni pret-tamente inerenti al campo del “Mistero”, quali archeologia, ufologia, astrologia, leggende e tanto altro. Nonché la partecipazione ad argo-menti di discussione sull’apposito forum dedi-cato.

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L’energia magnetica emanata da qualsiasi corpo

Alieni e Bibbia

tempo di lettura 10 minuti

Runa Bianca 117Agosto 2011 | n.2

di Marco Marafante

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Tra i ricercatori ufologici e non, molti si sono occupati della ricerca di ipo-tetiche prove di presenze e fatti sto-

rici sulla Bibbia, che potrebbero documentare avvistamenti di UFO o incontri ravvicinati con esseri di altri mondi. Dopo varie analisi degli scritti biblici, in particolare la Genesi e vari scritti della antica tradizione ebraica, alcuni hanno dedotto (in chiave storico-ufologica) l’esistenza all’inizio dei tempi di una intelli-genza superiore di cui non si conosce l’ori-gine, che avrebbe creato l’universo. Questo essere, che potremmo chiamare Dio, avreb-be creato degli esseri bisessuati lasciati liberi di condurre la propria vita nei vari meandri dell’Universo.

Un secondo Dio inferiore come potere al primo, che gli Ebrei chiamarono Yahweh, tra-dotto poi in Occidente come Geova o Giove avrebbe ripetuto la creazione sulla Terra cre-ando due esseri bisessuati non perfetti (nella Genesi semplificati con il concetto di Adamo ed Eva) e gli avrebbe lasciati sul pianeta Terra con la capacità di riprodursi e vivere liberi di

scegliere il proprio futuro. Questo Dio inferio-re si sarebbe mostrato nei confronti delle sue creature, un essere crudele ed incapace di ge-stire realmente i loro problemi, abbandonan-doli poi al loro destino, ad es.: [15] Dio il Signo-re prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse. [16] Dio il Signore ordinò all’uomo: «Mangia pure da ogni albero del giardino, [17] ma dell’albe-ro della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mange-rai, certamente morirai» (Genesi 2:16).

Alla donna disse: «Io moltiplicherò grande-mente le tue pene e i dolori della tua gravidan-za; con dolore partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su di te». [17] Ad Adamo disse: «Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato del frutto dall’albero circa il quale io ti avevo ordinato di non mangiarne, il suolo sarà male-detto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. [18] Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l’erba dei campi; [19] mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai», (Genesi 4).

Secondo le tradizioni bibliche e di altre antiche religioni sarebbe entrato in gioco un altro Dio minore che impietositosi della situa-zione dell’umanità, l’avrebbe aiutata donan-do loro la conoscenza delle scienze, della me-dicina, ecc. (esempio il Prometeo dei miti Gre-ci). L’umanità avendo avuto in dono queste conoscenze così dette “Divine” sarebbe stata scacciata dal loro luogo d’origine, il così detto Eden, un luogo particolare della Terra, oppure secondo alcuni autori, il pianeta Marte, in un epoca dove li fioriva ancora la vita.

Questi umani vennero in contatto con le forme più evolute del pianeta Terra: gli umanoidi primitivi, accoppiandosi con loro e riproducendosi, dando così origine a una nuova razza ibrida. La razza appartenente al gruppo di Yahweh (in pratica una razza aliena con scienziati dediti ad esperimenti genetici)cominciarono a tentare delle riproduzioni tra loro e questa nuova umanità dando origine a dei particolari mutanti che nelle varie culture sono stati chiamati Giganti, Titani, o nella Bib-

Marco MarafanteAlieni e Bibbia

118 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

ADAMO E EVA DI LUCAS CRANACH

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bia Nephilim (6:[1] Quando gli uomini comin-ciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e furono loro nate delle figlie, [2] avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte. [3] Il Signore disse: «Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l’uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni dureranno quindi centoventi anni», [4] In quel tempo c’erano sulla terra i giganti, e ci furo-no anche in seguito, quando i figli di Dio si uni-rono alle figlie degli uomini, ed ebbero da loro dei figli. Questi sono gli uomini potenti che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi, (Genesi 6).

Questa nuova razza divenne padrona della Terra creando una civiltà tecnologica in grado di raggiungere lo spazio e di muovere guer-ra ai loro stessi creatori (Yahweh). A questo punto Yahweh preoccupato per questi attac-chi e pentitosi della sua creazione decise di distruggere tutto, provocando sulla Terra vari cataclismi che verranno ricordati con il nome di Diluvio Universale ([5] Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla Terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo. [6] Il Signore si pentì

d’aver fatto l’uomo sulla Terra, e se ne addolorò in cuor suo. [7] E il Signore disse: «Io sterminerò dalla faccia della Terra l’uomo che ho creato: dall’uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti», (Genesi 6); [17] Ecco, io sto per far venire il diluvio delle acque sulla Terra, per distruggere sotto il cielo ogni essere in cui è alito di vita; tutto quello che è sulla Terra perirà (Genesi 6).

Ciò nonostante l’umanità e alcuni di que-sti giganti sopravissero. Ovviamente per i cre-denti questa rilettura della Bibbia può risulta-re blasfema e per gli scettici degna solamente di film di fantascienza ma ciò non toglie che effettivamente la Bibbia offre la possibilità di questa interpretazione anche per alcune incongruenze che vi si trovano scritte. Per esempio il nome che gli Ebrei danno al pri-mo Dio creatore è Elohim che in realtà è una parola plurale e quindi non significa il Dio ma gli Dei, che crearono degli esseri maschi e femmine che condurranno una vita felice. Poi un secondo Dio di nome Yahweh attua una seconda creazione simile alla precedente che cadrà nel peccato per colpa del serpen-te. Spesso i teologi si sono trovati imbarazzati

Marco MarafanteAlieni e Bibbia

Runa Bianca 119Agosto 2011 | n.2

LA CADUTA DEI GIGANTI DAL MONTE OLIMPO, PALAZZO DEL TÈ A MANTOVA

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di fronte a queste due creazioni ipotizzan-do che forse la prima creazione si riferisse a quella degli angeli. Un altro concetto curioso e che l’Adamo di Yahweh venne creato e poi posto nel giardino dell’Eden, e quindi Adamo non nacque nel giardino ma da qualche altra parte sconosciuta. Ecco quindi l’ipotesi degli Ufologi di una razza Aliena che avrebbe cre-ato un proprio clone, sebbene le loro leggi lo vietassero e poi spaventatosi per lo sviluppo della loro auto- coscienza li avrebbero esilia-ti sulla Terra. La Chiesa preoccupata di questi controsensi biblici ha deciso di eliminare i nomi di Elohim e di Yahweh sostituendoli con la parola Dio, dando così ad intendere che i creatori dell’Umanità erano uno, non due. Ad esempio, i Samaritani delle tribù di Giuda, molto prima della venuta di Gesù predicava-no che l’uomo fosse stato creato, non ad im-magine di Dio ma di quella degli Angeli. Da notare che gli scritti più antichi della Bibbia ritrovati nei vari paesi medio orientali citano addirittura il nome di alcuni Elohim, mentre nella versione puramente Ebraica questi sono scomparsi per via della loro mentalità estre-

mamente monoteista. Leggiamo negli anti-chi racconti dei rabbini, che narrano concetti diversi dalla Bibbia ufficiale, che esistevano non uno ma moltissimi cieli (Universi) ed ogni cielo era comandato da un arconte di cui uno sarebbe stato quello che in tempi più recen-ti venne chiamato Lucifero (questo ricorda il concetto degli attuali contattisti che credono nell’esistenza di una confederazione di Alie-ni che sorvegliano i pianeti meno evoluti). Ad ogni modo innumerevoli sono gli esempi sparsi per tutta la Bibbia di contatti con ipote-tici Alieni: le varie ruote e carri di fuoco citati ([4] Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbi-nio di fuoco,che splendeva tutto intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di elettro incandescente.; [5] Al centro apparve la figura di quattro esseri animati, dei quali questo era l’aspetto: avevano sembianza umana; [15] Io guardavo quegli esseri ed ecco sul terreno una ruota al loro fianco, di tutti e quattro. [16] Le ruote avevano l’aspetto e la struttura come di topazio e tutt’e quattro la medesima forma, il loro aspetto e la loro struttura era come di ruota

Marco MarafanteAlieni e Bibbia

120 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

RICOSTRUZIONE DELL’ARCA DELL’ALLEANZA

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Runa Bianca 121Agosto 2011 | n.2

in mezzo a un’altra ruota. ; [18] La loro circonfe-renza era assai grande e i cerchi di tutt’e quattro erano pieni di occhi tutt’intorno.

[24] Quando essi si muovevano, io udivo il rombo delle ali, simile al rumore di grandi ac-que, come il tuono dell’Onnipotente, come il fragore della tempesta, come il tumulto d’un accampamento. Quando poi si fermavano, ri-piegavano le ali, (Ezechiele 1).

Come anche il rapimento in cielo di Enoch (Accadde che, mentre parlavo ai miei figli, i due uomini mi chiamarono e mi presero sulle loro ali. Mi portarono nel primo cielo e mi posero là, (Enoc 3); [1] Condussero davanti al mio volto i capi, signori degli ordini delle stelle, e (questi) mi mostrarono i loro movimenti e i loro sposta-menti da un tempo a un altro. Mi mostrarono duecento angeli che dominano sulle stelle e sulle combinazioni celesti. [2] Là mi mostraro-no un mare grandissimo, più (grande) del mare terrestre e gli angeli volavano con le loro ali, (Enoc 4), le distruzioni delle città di Sodoma e Gomorra, con fiamme provenienti dall’alto([23]Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar, [24] quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. [25] Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. [26] Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale, (Genesi 19).

Ma anche i contatti con i vari profeti, con le voci e visioni provenienti dall’alto di grosse nuvole, e donazioni di particolari oggetti tec-nologici, l’Arca dell’Alleanza come esempio su tutti. L’Arca dell’Alleanza era tutta ricoperta d’oro all’interno e all’esterno, sormontata da due cherubini d’oro. Conteneva le tavole dei

Dieci comandamenti, un vaso d’oro pieno di manna e il bastone di Aronne capace di mu-tarsi in un serpente e di far miracoli. Fatta di legno di acacia da Mosè per ordine diretto di Dio, l’Arca dell’Alleanza era lunga 125 cen-timetri, larga e alta 75. Più del candelabro a sette braccia, più di ogni altra cosa era la te-stimonianza del patto con Dio del popolo ebraico. Si diceva fosse anche un’arma poten-tissima, capace di lanciare lampi e di incene-rire chiunque osasse toccarla e, in effetti, era portata tramite due pali collegati con quattro anelli d’oro.

Sappiamo anche che in molti altri testi re-ligiosi di altre antiche civiltà troviamo innu-merevoli citazioni ufologiche, come nei Veda indiani in cui con il termine sanscrito “vima-na” (“vimanam” in pali) vengono indicati mi-steriosi oggetti volanti descritti negli antichi poemi epici indù, dalle prestazioni del tutto superiori a quelle delle moderne aeronavi. Negli antichissimi testi religiosi della filosofia indiana le astronavi venivano descritte come i mezzi di trasporto usate dagli “esseri celesti” durante i loro viaggi. In uno di questi testi, il Ramayana di Valmiki, si legge testualmente: “La splendente astronave irradiava un baglio-re fiammeggiante. Fiammeggiando come un fuoco rosso vivo, volava il carro alato di Rava-na. Era come una cometa nel cielo”. L’astrona-ve era dunque una macchina fragorosa che, decollando, si ammantava di una forte lumi-nosità, “quando partì, il suo rombo riempì tutti i quattro punti cardinali”. Fino a giungere alla mitologia Sumero Babilonese dove viene nar-rata in maniera molto particolare la creazione dell’umanità da parte di esseri di altri mondi.

Marco MarafanteAlieni e Bibbia

MArco MArAFAnte

Nato ad Adria il 28 Febbraio del 1982, vive a Taglio di Po (Rovi-go). Socio del C.U.N. (Centro Ufologico Nazionale) Presiden-te dell’Associazione Culturale

A.C.I.N.S. Associazione Culturale Internaziona-le Nuove Scienze (www.acins.eu). Web-Master, Poeta, Scrittore e Referente del C.U.N. Polesine.

Ricercatore di: Biotecnologia, Criptozoologia, Biologia, Esobiologia, Astronomia, Evoluzioni-smo, Fisica Quantistica, Geografia, Climatolo-gia, Chimica, Botanica, Paleontologia, Genetica, Filosofia, Teologia, Simbologia, Archeologia, Folklore, Psicologia, Parapsicologia, Esoterismo, Storia. Studioso dei Misteri del Tempo e del’Uo-mo, di Enigmi storici, Misteri del passato, Enig-mi della Mente e Ufologia.

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Funzione e ragione ultima di questa dimensione dello spirito

Il segreto dell’uomo vitruviano di Leonardo

tempo di lettura 8 minuti

Runa Bianca 123Agosto 2011 | n.2

di Alfonso Rubino

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124 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

Nel libro II segreto dell’uomo vitruvia-no di Leonardo che presentiamo ai lettori ho descritto e spiegato il co-

dice geometrico armonico che sottende il di-segno leonardiano. Si tratta di una geometria generatrice che sostiene l’idea di giungere a definire la quadratura geometrica del cerchio corrispondente al valore di π = 22/7. Valo-re proposto da Archimede nel suo libro “de mensura circuli”. La fi-gura ne riporta la sintesi.

La geometria generatrice scoperta non è l’unica geometria capace di esprimere il qua-drato di quadratura di Archimede o dei 22/7.

Vi presento una interessantissima sequen-za che ho chiamato “Codice Davidico”, ne illu-stro l’eccezionale importanza. In questo caso viene evidenziato all’inizio del processo, che comincia sempre dal quadrato fondamentale denominato omphalos, il triangolo equilatero

(fase 2) e la stella di Davide (fase 3). L’ultima configurazione

(fase 6) manifesta il quadrato di qua-

dratura dei 22/7.

Alfonso RubinoIl segreto dell’uomo vitruviano di Leonardo

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Runa Bianca 125Agosto 2011 | n.2

Alfonso RubinoIl segreto dell’uomo vitruviano di Leonardo

CODICE DAVIDICO

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126 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

Siamo così in grado di generare la corretta relazione cerchio-qua-drato che caratterizza l’uomo vitruviano di Leonardo. I due modelli geometrici vengono a convergere sulla qua-dratura di Archimede e a connettersi tra loro.

Secondo Vitruvio lo spazio armonico-sacro si crea attraverso tre fasi costruttive: icno-gramma, ortogramma e scenogramma equi-valenti, all’incirca, nella notazione architetto-nica moderna, a: pian-ta, prospetto e sezione. Per creare il primo ic-nogramma abbiamo operato attraverso il codice trinitario 3-4-5. Questa procedura è il-

lustrata nel libro Il segre-to dell’uomo vitruviano di Leonardo. Per creare il secondo icnogramma abbiamo operato con il codice trinitario 1-1-1. Nel codice davidico ci siamo avvalsi dei centri energetici (N) che ab-biamo chiamato punti di Nazareth. Il motivo verrà presto spiegato. Abbia-mo tracciato una linea orizzontale passante per i punti (N) individuando i punti di intersezione con le semi diagonali esterne dell’omphalos. Questi nuovi punti per-mettono di tracciare il quadrato di quadratura di perimetro corrispon-dente al valore di π = 22/7 come nella figura.

Alfonso RubinoIl segreto dell’uomo vitruviano di Leonardo

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Runa Bianca 127Agosto 2011 | n.2

Alfonso Rubino

RILIEVI UFFICIALI DELLA SANTA CASA A LORETO DEL PROF. D. TASSOTTI

Il segreto dell’uomo vitruviano di Leonardo

La Santa Casa di Nazareth conservata a Loreto

La Congregazione Universale della Santa Casa ha promosso da sempre studi e ricerche sul manufatto conservato all’interno della Ba-silica di Loreto. Grazie alle ricerche archeolo-giche eseguite a Loreto e a Nazareth è stato possibile stimare le misure più attendibili del corpo di costruzione originario di Nazareth e della sistemazione definitiva a Loreto. Tra le domande poste ai ricercatori per noi è im-portante considerare, ciò che ci dicono sulla misura della lunghezza originaria delle pare-ti provenienti da Nazareth e la misura della lunghezza del corpo pareti aggiunto a Lore-to, idealmente sostitutivo del vano-grotta di Nazareth. Sulla larghezza ci sono poche in-certezze. Il manufatto è largo 9 cubiti amma corrispondenti a 4,05 m circa. Riporto di se-

guito il rilievo del Prof. Dante Tassotti ese-guito negli anni ‘70 con la stima delle pareti lunghe messo a confronto con alla probabile situazione di Nazareth ai tempi dei genitori di Maria, Anna e Gioacchino.

Proviamo a sovrapporre l’icnogramma da-vidico al rilievo ufficiale della Santa Casa a Lo-reto (Prof. D. Tassotti).

La corrispondenza è molto elevata anche per quanto riguarda la linea di partizione N-N tra le pareti venerate provenienti dalla Pale-stina e il corpo pareti aggiunte a Loreto nel 1294.

In Palestina ai tempi di Anna e Gioacchino era normale chiedere al Rabbi consigli. Gio-acchino ha costruito la sua casa rispettando la tradizione di considerare nell’architettura della “domus“ la geometria esagonale della stella di Davide. È una ipotesi condivisa an-che da altri studiosi e ricercatori (ing. arch. N.

Monelli La Santa Casa a loreto La Santa Casa a Nazareth, Ed. C.U. della S.C., Lo-reto,1997). La connessione del modello Santa Casa a Loreto con la quadratura

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128 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

Alfonso RubinoIl segreto dell’uomo vitruviano di Leonardo

geometrica del cerchio e con l’icnogramma dell’uomo vitruviano di Leonardo è nuova e inaspettata.

Sacra Sindone

Questa importante reliquia della cristiani-tà all’esame del carbonio-14 ha rivelato una origine medioevale. La datazione oscilla tra

il 1260 e il 1390. Se il dato è confermato non può trattarsi del lenzuolo in cui è stato av-volto il corpo di Gesù. Lasciamo da parte la verifica di autenticità come sudario di Gesù o come manufatto medioevale e rivolgiamo, esclusivamente, la nostra attenzione alle pro-porzioni e dimensioni del telo sindonico con-servato a Torino. Il telo di lino è stato misurato in varie occasioni con un diverso grado di di-stensione.

SOVRAPPOSIZIONE ICNOGRAMMA DAVIDICO AL RILIEVO DELLA SANTA CASA A LORETO

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Runa Bianca 129Agosto 2011 | n.2

Alfonso RubinoIl segreto dell’uomo vitruviano di Leonardo

A2A1

B1

B2

RILIEVI DEL TELO SINDONICO, GHIBERTI G. SINDONE LE IMMAGINI 2002 SHROUD IMAGES, ODPF

          AngoLi DiAgonALi

  A1 A2 B1 B2 grADi priMi seconDi grADi priMi seconDi

2002  113 113,7 442,5  441,5 14 24 35,45 14 21 20,09

          14 26 47,34 14 19 11,2

2000 112,5  113 434,5 437,7 14 34 20,39 14 24 52,05

          14 28 27,89 14 30 44,55

1998 111  111  437  437  14 15 7,16      

<1998 110  110  436  436  14 9 35,49      

Prendiamo nuovamente in esame il codice da-vidico. Tracciamo due linee verticali passanti per i punti di Nazareth (N). Queste linee intersecano il cerchio fondamentale in 4 punti e definiscono un

rettangolo.L’angolo diagonale del rettangolo tratteggiato

così definito è pari a 14° 19’ 32,99”. Le misure del telo sindonico rilevate in vari periodi restituisco-

no la seguente tabella ordinata per valori crescenti degli angoli diagonali.

TELO SINDONICO - ANGOLI DIAGONALI

GRADI PRIMI SECONDI  

14 9 35,49 misurato

14 15 7,16 misurato

14 19 11,2 misurato

14 19 32,99 armonico

14 21 20,09 misurato

14 24 35,45 misurato

14 24 52,05 misurato

14 26 47,34 misurato

14 28 27,89 misurato

14 30 44,55 misurato

14 34 20,39 misurato

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130 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

Alfonso RubinoIl segreto dell’uomo vitruviano di Leonardo

Il rettangolo armonico con angolo dia-gonale di 14° 19’ 32,99” si colloca all’ interno dello spettro dei valori reali misurati ed è, con elevata probabilità, compatibile con le misure originarie (sconosciute) del lenzuolo sindoni-co.

La relazione armonica

La forma del rettangolo davidico e la for-ma del rettangolo sindonico sono generate dallo stesso icnogramma .Vi proponiamo una ulteriore semplicissima dinamica geometrica che mette in luce anche una relazione armo-nica tra le dimensioni.

Secondo la dinamica geometrica propo-sta, se la misura della Santa Casa è 405 cm per 944 cm allora il telo sindonico misurerà 112,6 cm per 440,9 cm.

Abbiamo lavorato con una dinamica geo-metrica interna alla Santa Casa, una dinamica contrattiva. Ora vi propongo una dinamica

espansiva.Il confron-

to delle misu-re del model-lo Santa Casa/ Telo Sindoni-co con le mi-sure architet-toniche della Kaaba a La Mecca rivela differenze ve-ramente mi-nime. In sin-tesi possiamo dire che for-ma e dimen-sioni di Santa Casa/ Telo S i n d o n i c o t rasmutano nella forma e dimensioni della Kaaba e viceversa. Forma e di-mensioni del-

la Kaaba trasmutano nella forma e dimensio-ni di Santa Casa/ Telo Sindonico. Le due archi-tetture derivano strettamente dalla geome-tria essenziale del codice vitruviano di qua-dratura che probabilmente esprime aspetti importanti delle leggi cosmiche dell’armonia.

Una silenziosa melodia-idea ,dal mondo delle cause scende verso il nostro mondo. Proviamo a sintonizzarci con essa e ascoltare il suo messaggio.

Conclusioni

Nell’articolo ho riportato il modello icno-grafico dell’uomo vitruviano di Leonardo e altri icnogrammi a volte senza che venga de-scritta la sequenza dinamica. Il mio scopo è quello di sollecitare il lettore a farsi disegna-tore e a elaborare da sé i modelli presentati.Potrà così constatare che in tutti i casi si può entrare nel segreto di questi manufatti attra-verso l’uomo vitruviano di Leonardo.Posso

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Runa Bianca 131Agosto 2011 | n.2

ALFonso ruBino

È Ingegnere Civile, ha lavora-to nella realizzazione di gran-di opere civili e idrauliche. Si è occupato della ristrutturazione funzionale del sistema musea-

le della sua città e di altre grandi infrastrutture. Per la messa a punto di un paradigma mate-matico di base per la comprensione dei feno-meni psichici. è scaturito l’interesse per l’antico

Egitto. Ha fatto studi sulla percezione isolando un nuovo tipo di energia chiamata: PSINERGIA. Questo tipo di energia è sempre presente in tutte le manifestazioni dinamiche del vivente ed è a volte misurabile come una normale gran-dezza fisica. Durante lo sviluppo di questi studi ha scoperto delle sequenze armoniche molto simili alle scale musicali. È in corso di pubblica-zione il suo libro II segreto dell’uomo vitruviano di Leonardo.

dire a buon titolo che il codice vitruviano è una chiave di volta sapienziale per accedere alle leggi dell’armonia geometrica come sono state pensate dagli Antichi per creare gli spazi

armonici sacri. Per me è stato

così.L’Uomo Vitruviano di Leonardo, ma non

solo, comincia a rivelare i suoi segreti. Quanti ne nasconde ancora?

Alfonso RubinoIl segreto dell’uomo vitruviano di Leonardo

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Nelle piramidi di Teotihuacan (Messico) e Giza (Egitto)

I valori del Pi Greco (3,14) e della precessione degli equinozi

tempo di lettura 8 minuti

Runa Bianca 133Agosto 2011 | n.2

di Yuri Leveratto

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134 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

Il complesso archeologico di  Teotihua-can, si trova a circa 40 chilometri a nord-est di Città del Messico. 

Gli archeologi “accademici” sostengono che l’intera città e le piramidi del Sole e del-la Luna siano state costruite a partire dall’era cristiana. 

La piramide del Sole, anche se non è la co-struzione antica più grande del Nuovo Mon-do (è la piramide di Cholula, con 3,3 milioni di metri cubi di volume), e neppure la più alta (è la piramide di La Danta, con 72 metri), è certa-mente la più misteriosa. 

Una delle caratteristiche più intriganti del-la piramide del Sole è il fatto che dividendo il lato della sua base (che è quadrata), per l’al-tezza, si ottiene il valore del pi greco, che è uguale a 3,14...

Il perimetro della base è infatti uguale a 893,91 metri (lato di 223,47 m.), e l’altezza è 71,17 metri:

Si ottiene: 893,91=71,17 x 4 x 3,14 O meglio: 223,47 x 4=71,17 x 4 x 3,14 Semplificando: 223,47/71,17= 3,14

Da ciò si deduce che gli antichi costruttori della piramide del Sole hanno voluto inserire il valore del pi greco nella loro costruzione. 

Avrebbero benissimo potuto utilizzare un rapporto diverso, costruendo una piramide i cui lati erano più (o meno) inclinati, ma vol-lero includere il pi greco nel loro progetto. Perché?

Secondo la Storia ufficiale il valore del pi greco è stato scoperto in Grecia, nel III secolo a.C., da Archimede. Come fu possibile che gli antichi Teotihuacani lo utilizzassero proprio nella loro costruzione più importante?

È evidente che avevano delle cogni-zioni di matematica e geometria avan-zatissime, anche se in altri campi, come per esempio la metallurgia del ferro, non avevano raggiunto risultati così brillanti.  Spostiamoci ora verso est, attraversando ide-almente l’Oceano Atlantico e il Mediterraneo. Il complesso archeologico della piana di Giza, con le tre maestose piramidi, meglio cono-sciute con il nome dei tre faraoni Cheope, Chefren e Micerino continua, dopo centinaia

di anni di studi, a porre interessanti interro-gativi.

Analizziamo inizialmente la grande pira-mide di Cheope: in questo caso, dividendo il doppio del lato della sua base (anch’essa qua-drata), per la sua altezza originale, si ottiene nuovamente 3,14. 

Il perimetro della base è infatti lungo 921,45 metri (lato di 230,36 m.), e l’altezza ori-ginale era di 146,72 metri.

Si ottiene: 921,45=146,72 x 2 x 3,14 O meglio: 230,36 x 4=146,72 x 2 x 3,14 Semplificando: 230,36 x 2=146,72 x 3,14 Quindi: 460,72/146,72= 3,14

Anche in questo caso quindi i costruttori della piramide di Cheope, che secondo la Sto-ria ufficiale fu costruita nel 2560 a.C., incluse-ro il pi greco nel fondamentale rapporto tra il perimetro della base e l’altezza della loro co-struzione. Perché?

E perché lo fecero solo nella piramide di Che-ope? In quella di Chefren per esempio, il rappor-to tra il doppio del lato e l’altezza è uguale a 3:  215,25 x 2 /143,5=3

Da tutto ciò si deduce che il pi greco era sicuramente conosciuto nel Nuovo Mondo e in Egitto (in Egitto almeno 2300 anni pri-ma di Archimede). Per ora non riusciamo a dare una spiegazione certa del perché gli antichi architetti delle due piramidi volle-ro includere il pi greco nelle loro creazioni.  Forse introducendo il concetto del pi greco nelle loro costruzioni gli antichi vollero sim-boleggiare l’oggetto sferico perfetto, da loro adorato, ovvero il Sole?

Le piramidi del Sole (Teotihuacan) e di Cheope (Giza), racchiudono molti al-tri misteri, uno dei quali è legato ai valo-ri del fenomeno astronomico conosciu-to come la “precessione degli equinozi”. Per capire questo concetto immaginiamo che la nostra Terra sia una barca a vela. Il pennone della nostra barca lo immaginiamo inclinato di 23,5º rispetto all’orizzonte.

L’asse terrestre infatti, è inclinato di 23,5º rispetto al “piano dell’eclittica”, ovvero il pia-no geometrico su cui giace l’orbita terrestre. Questa inclinazione è benefica: è infatti la

Yuri LeverattoI valori del Pi Greco (3,14) e della precessione degli equinozi

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causa implicita dell’alternarsi delle stagio-ni nelle zone temperate della Terra, senza le quali il nostro pianeta sarebbe invivibile.

La nostra barca a vela, però, rolla lenta-mente sull’oceano, e così il pennone, nel cor-so del tempo, formerà un angolo diverso ri-spetto all’orizzonte. 

Ugualmente l’asse terrestre cambia incli-nazione con un ciclo di 25920 anni, durante i quali, passa da 22,1º fino a 24,5º sul piano dell’eclittica. Da ciò deriva che se oggi l’asse terrestre indica il nord verso la direzione del-la stella Polare, 13 millenni fa il nord veniva indicato dalla stella Vega, situata in una diffe-rente porzione della volta celeste. Il risultato di tutto ciò è la precessione degli equinozi: il Sole, durante gli equinozi di primavera e d’au-tunno sorge indicando una delle 12 costella-zioni. Attualmente il Sole sorge tra la costella-zione dei Pesci e dell’Acquario. Il lento “rollio” dell’asse terrestre fa sì che il Sole, durante gli equinozi, sorga avendo nel suo sfondo una differente costellazione, ogni 2160 anni. In-fatti: 25920/12=2160

I valori del meraviglioso “motore” cosmico che causa la precessione sono pertanto: 

• Le 12 costellazioni dello zodiaco, ognu-na delle quali occupa 30º dell’equatore celeste (1/12 di 360º).

• I 36 o 72 anni impiegati dal Sole equi-noziale per percorrere rispettivamente mezzo o un grado dell’equatore celeste. 

• I 2160 anni impiegati dal Sole per per-correre 30 gradi dell’equatore celeste, ovvero per sorgere (sempre durante i due giorni dell’equinozio), avendo sul suo sfondo una costellazione successi-va. 

• I 4320 anni impiegati dal Sole per per-correre 60 gradi dell’equatore celeste, ovvero per sorgere (sempre durante i due giorni dell’equinozio), avendo sul suo sfondo due costellazioni successi-ve. 

• I 25920 anni impiegati dal Sole per per-correre 360 gradi dell’equatore celeste, ovvero per compiere un ciclo completo. 

Yuri LeverattoI valori del Pi Greco (3,14) e della precessione degli equinozi

Runa Bianca 135Agosto 2011 | n.2

PIANA DI GIZA. SI VEDONO LE TRE PIRAMIDI E LA SFINGE

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A questo punto torniamo ad analizzare la piramide del Sole (Teotihuacan). Si può veri-ficare che i valori della precessione vennero utilizzati nella sua costruzione. 

Se si moltiplica l’altezza per 30 (1/12 del-la costellazione celeste), si ottiene il valore di 2135 (che si avvicina al valore di 2160):  71,17 x 30=2135

Se si divide il valore del ciclo completo per l’altezza si ottiene il valore di 364,198 (numero dei giorni dell’antico calendario me-soamericano oltreché del biblico antidiluvia-no): 25920/71,17=364,198

Se si divide il valore del perimetro per 30 (1/12 della costellazione celeste) si ottiene il valore di 29,79 (i giorni del calendario lunare): 893,91/30=29,79

Analizzando invece la piramide di Cheope anche qui possiamo verificare che i numeri della precessione vennero utilizzati nella sua costruzione:

• Se si moltiplica l’altezza per un mul-tiplo di 4320 si ottiene il valore di 6338,476 (quasi uguale all’esatto va-lore del raggio polare della Terra):

146,72 x  432001=6338,476 (mentre il valore esatto è 6353,941 km)

• Se si moltiplica il perimetro per lo stes-so multiplo di 4320 si ottiene il valore di 39807 (quasi uguale all’esatto valore della circonferenza della Terra all’equa-tore): 921,45 x 43200=398072 (mentre il valore esatto è 40075 km)

Anche analizzando la piramide di Chefren si ottiene un valore straordinario: dividendo il valore del ciclo completo della precessio-ne per l’altezza si ottiene 180 (i 180º dell’e-quatore celeste, occupati da 6 costellazio-ni): 25920/143,5=180

Cosa si ricava da tutto ciò?

1) Il numero 432.000 appare anche nella “Sto-ria di Babilonia”  di Berosso (III secolo a.C.). Secondo lo scrittore caldeo, i re antidiluviani avrebbero regnato in Mesopotamia per ben 432.000 anni.

2) Il valore della lunghezza della circonferen-) Il valore della lunghezza della circonferen-za terrestre (39807 km), calcolato dai costrut-tori della piramide di Cheope, era comunque più esatto di quello calcolato dal greco Erato-stene (39375 km), nel II secolo a.C.

RICOSTRUZIONE IN SCALA DELLA CITTÀ DI TEOTIHUACAN

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Yuri LeverattoI valori del Pi Greco (3,14) e della precessione degli equinozi

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Runa Bianca 137Agosto 2011 | n.2

Innanzitutto si evince che la precessione degli equinozi, scoperta ufficialmente nel II secolo a.C. dal greco Ipparco, era in realtà co-nosciuta sia nel Nuovo Mondo, che in Egitto (in Egitto almeno 2400 anni prima di Ipparco). 

Dato per assodato dunque che gli antichi avevano una conoscenza molto approfondita della geometria e dei fenomeni celesti resta da appurare il perché dessero tanta impor-tanza al pi greco e alla precessione degli equi-nozi, tanto da includere detti valori nelle loro creazioni architettoniche. 

È opinione diffusa tra vari ricercatori che gli antichi introdussero i valori della preces-sione nelle loro piramidi poiché avevano riconosciuto l’assoluta importanza dell’incli-nazione dell’asse terrestre. Perché occupare, però, tanto tempo ed energie per far comba-ciare esattamente varie equazioni matema-tiche e renderle “eterne”, in costruzioni tanto imponenti?

Forse volevano inviarci un messaggio? Forse volevano avvertire i posteri della pos-sibile relazione tra la precessione degli equi-nozi e l’alternarsi delle fasi glaciali nel piane-ta? O forse volevano indicare che il ciclo della precessione era secondo loro legato all’appa-rizione di fenomeni catastrofici come il cosid-detto “diluvio universale”?

Analizzando ancora la grande piramide di Cheope emergono altri dati interessanti, come per esempio il luogo dove fu costruita, presso il parallelo dei 30º; o il perimetro, che calcolato in pollici egiziani, dà esattamente il valore dell’anno solare (365,24); o la perfetta orientazione dei 4 lati verso i punti cardinali; o l’incredibile fatto che il doppio del perime-tro sia uguale ad 1/60 di grado all’equatore: 921,45 x 2=1842,92 (1/60 di grado equatoria-le).

Senza contare le meraviglie del suo inter-no, come per esempio la camera della regina e del re, dalle quali si dipartono degli stretti condotti che secondo alcuni ricercatori servi-vano per l’osservazione e il culto di determi-nate stelle (rispettivamente: Sirio e Beta Orsa Minore; Z Orionis e Alpha Draconis). 

Risulta ovvio che queste piramidi non fu-rono solo tombe (nel caso egiziano), o altari cerimoniali (nel caso messicano), ma modelli in scala delle dimensioni della Terra e dei suoi complessi movimenti nello spazio celeste ol-treché osservatori astronomici.

Il segreto delle piramidi non è stato ancora completamente svelato. Vi sono ancora cen-tinaia di piramidi poco studiate, soprattutto nel Nuovo Mondo, come per esempio quelle dei Maya. Sta a noi cercare di comprendere il messaggio dei nostri antenati.

Yuri LeverattoI valori del Pi Greco (3,14) e della precessione degli equinozi

yuri LeVerAtto

Nato a Genova nel 1968, ha conseguito la laurea in Econo-mia nel 1995, e ha iniziato a la-vorare presso un’agenzia marit-tima di Genova. In quel periodo

ha dimostrato interesse per la letteratura e ha scritto il suo primo romanzo, “L’inverno dell’a-nima”. Successivamente ha vissuto a New York, dove ha lavorato come guida turistica, e poi, a partire dal 1999, si è imbarcato sulle navi da crociera della compagnia “Princess”, con funzio-ni amministrative. La sua passione per la fanta-scienza lo ha portato a scrivere “La guerra alle multinazionali”, e il suo proseguimento, “L’era degli autoreplicatori”. Nel 2004 ha lavorato come guida turistica in Italia. Dal 2005 vive in

Colombia, continuando a viaggiare venendo a contatto con culture autoctone, studiandone la cultura e il loro modo di vita. Appassionato di storia cerca di trovare nel passato degli spunti che gli facciano comprendere il presente e le relazioni tra gli esseri umani. Il suo sito web è www.yurileveratto.com. Tra i suoi libri ricordiamo: La ri-cerca dell’El Dorado  (Infini-to Edizioni, 2008) e…

1542. I primi navigatori dei Rio

delle AmazzoniLulu, 2009

vai scheda libro >>

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Runa Bianca 139Agosto 2011 | n.2

Dal mito dei rapimenti reali alla teoria delle interferenze mentali. Presentazione di un caso. Parte II

Incontri ravvicinati del IV tipo

tempo di lettura 13 minuti

di Giulia M. D’Ambrosio e Duccio Calamandrei

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140 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

Un capitolo particolare sembrano me-ritare le creature grige e filiformi, la cui funzione è inequivolcabilmente

differente rispetto a quella della manovalanza “grigia”. Le entità longilinee acquisiscono, nei racconti dei soggetti IR4, una coloratura affet-tiva di tipo materno, che tende a tranquilliz-zare nei momenti di ira o di paura. Tale senso materno non è reale, ma si tratta di una attri-buzione – una proiezione, in termini psicolo-gici – che la persona “getta” addosso all’entità. Altre volte vengono viste persone di famiglia, quando non i genitori stessi del soggetto, ma tali sembianze umane sono, verosimilmente, solo proiezioni olografiche. Ciò però illude il soggetto di far parte di una “famiglia aliena”, scavando un solco sempre più profondo tra lui e i suoi simili, tra lui e la realtà.

Secondo le nostre riflessioni, la coloritura affettiva sarebbe sempre collegata a copioni precisi, di cui il più ricordato è la presentazio-ne degli “esserini”, che vengono fatti passare per ibridi.

Gli “esserini” appaiono come il tentativo di sviluppare una razza a sé stante, e potrebbero essere costituiti da materiale vario, tra cui ma-teriale genetico umano.

Questi supposti “ibridi” in realtà sarebbe-ro forme che hanno una durata di vita molto breve, come se avessero un tempo di decadi-mento materiale; o forse il concetto potreb-be meglio essere sviluppato dicendo che l’aspetto più materiale di questi esserini non avrebbe una stabilità atomica o le caratteristi-che di coesione maggiori e minori che invece caratterizzano la materia atomica come noi la conosciamo. Per ottenere questi esseri, si use-rebbero dei campi di contenimento a cui par-ticolari forze energetiche, visibili come campi elettrici, impartirebbero sfumature affettive.

Gli Amorfi, ossia la gerarchia superiore di questi esseri, essendo privi di forma, hanno la necessità di essere contenuta in limiti rico-noscibili e coerenti, che devono anche essere stabili, almeno per un certo periodo di tem-po - che è probabilmente il tempo necessario alla loro manifestazione. Attraverso la matrice emozionale umana, e attraverso i campi elet-trici di cui sopra, potrebbe essere sperimen-tata la possibilità di creare una forma con un

contenuto di ordine emotivo-affettivo. Gli “esserini” quindi non sarebbero i capostipiti di un’altra razza, ma solo le “prove tecniche di trasmissione” di forme emotive-affettive che servono per dare stabilità e forma agli Amor-fi. Il sistema appare rozzo in sé, perché viene escluso il dato sostanziale dell’inscindibilità, nella natura umana, degli aspetti emotivi da quelli spirituali, fisici e soprattutto da quelli legati all’esperienza. “Parrebbe di avere a che fare con personaggi dotati di poco spirito cri-tico”, commenta Dino.

È possibile quindi che, con metodi diversi, qualche creatura d’altra dimensione provochi emozioni varie negli esseri umani, o spinga la crescita di certe caratteristiche intrinseche (ad esempio, il coraggio), ma sempre crean-do degli eccessi, che vengono separatamente immagazzinati e utilizzati.

Se possiamo rifarci agli insegnamenti di al-cuni Maestri, e alle teorie della fisica quantisti-ca, e quindi considerare per vero che, accanto al nostro corpo fisico vi sia un corpo atomica-mente più sottile – comunemente denomina-to corpo astrale – possiamo ritenere che per le forze extra-dimensionali sia più importante arrivare a governare quest’ultimo, che non il corpo fisico, e per vari motivi. Il primo moti-vo è che il corpo astrale dura assai di più del corpo fisico. Il secondo motivo è che una mi-nima parte degli esseri umani impara a perce-pirlo e a utilizzarlo, quindi si trova, in buona a sostanza, sempre fuori dal nostro controllo cosciente. Il terzo motivo è che il corpo astra-le si plasma sotto la spinta dei bisogni e dei desideri della persona, e quindi, potendo in-terferire con alcune componeneti recettoriali e biochimiche del nostro sistema cerebrale, si può guidare la consistenza e le immagini con-tenute nella materia astrale, intesa non solo come campo intorno a un singolo corpo, ma come campo generale di esistenza (atomica-mente più sottile).

Attraverso l’influenzamento del campo della materia astrale, si giustifica ad esempio la visione di presunti cloni di esseri umani: il campo astrale acconsente alla formazione di sagome, poiché in quel campo la questione della “forma” è quasi irrilevante. Le forme che si creano là, infatti, sono sempre guidate da

Giulia M. D’Ambrosio e Duccio CalamandreiIncontri ravvicinati del IV tipo

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aspetti emotivi, e non rappresentano quindi una specifica di rilievo, potendo essere modi-ficate a sentimento, letteralmente parlando. Alcune modifiche sul corpo astrale di un sin-golo soggetto possono poi portare a parziali e momentanee modifiche del corpo fisico e, in qualche raro caso (ma rimane da dimostra-re), alla circolazione, per alcune ore, di per-sone che “sembrano” l’originale. Va detto che tale ipotesi non è mai stata verificata al di là del riporto di testimonianze sporadiche, a cui bisogna eventualmente credere sulla parola.

Perché Forze Oscure del Cosmo potreb-bero avere desiderio di possedere caratteri-stiche intrinseche così complesse dell’essere umano? La domanda rimane aperta, e forse

riguarda la possibilità che la nostra forma materiale-psico-spirituale consenta l’accesso a un’evoluzione all’interno di una scala co-smica, evoluzione dalla quale tutte le forme energetico-vitali coinvolte negli IR4 sarebbe-ro escluse.

In più di un’occasione ho ascoltato, dai soggetti IR4, il racconto di una visione, che essi hanno durante il giorno, di una sorta di vuoto con caratteristiche di risucchiatore. Si tratta di una immagine che si sovrappone e coesiste con la realtà. Insieme all’immagine si possono percepire delle parole – o forse sa-rebbe meglio dire che vengono percepiti dei concetti – che terrorizzano il soggetto, pos-sono portarlo a gridare, o possono portarlo a

Giulia M. D’Ambrosio e Duccio CalamandreiIncontri ravvicinati del IV tipo

Runa Bianca 141Agosto 2011 | n.2

QUALI INTENZIONI SI CELANO DIETRO QUESTE INQUIETANTI PRESENZE?

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142 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

perdere conoscenza. Tale visione non è para-gonabile ai ricordi che possono avere riguar-do l’incontro con altri “esseri”, si tratta di un avvenimento diverso, comparabile all’aprire momentaneamente la coscienza su una real-tà chiaramente differente. Questa realtà non è priva di pesanti elementi di disturbo per il soggetto, che può sentirsi indebolire fino allo stremo e fargli percepire l’avvicinamento del-la morte fisica.

Questo è il racconto di Luisa: Mi stavo guardando allo specchio e pensavo ai cerchi nel grano. Improvvisamente mi sono sentita assorbita all’interno di una sorta di vortice, come se fossi contemporaneamente in due luoghi diversi e in due età differenti. Non so in che luogo fossi. C’erano alcuni piccoli esseri un po’ scuri di pelle che mi minacciavano di “togliere la spina”. Mi son sentita come se la mia energia fosse risucchiata, mi sento male e cado a terra.

Tale tipo di percezione non è usuale, e né nel campo psichiatrico né in quello psicoana-litico si trovano fenomeni del genere.

Del tutto casualmente, ho trovato in un trattato di psicoanalisi il racconto di un so-gno, della cui importanza mi sono resa con-to solo successivamente (motivo per cui non ho preso nota del titolo e dell’autore del libro stesso). Il sognatore, durante la sua analisi personale, aveva sognato di trovarsi nel de-serto, durante una guerra. I soldati venivano feriti e uccisi intorno a lui. Mentre si doman-dava sgomento che cosa stesse succedendo e perché, si accorgeva che nel cielo, accanto al normale astro del Sole, si trovava una sorta di vortice, con un cuore nero, che sembrava presiedere la realtà di dolore e di terrore della guerra circostante. Come avviene nei sogni iniziatici, il sognatore si rendeva fulminea-mente conto dell’esistenza di una realtà del Male sovraordinata, di cui la guerra a cui as-sisteva era una conseguenza non diretta ma fondamentale per la sua persistenza; come se la guerra potesse nutrire tale entità. Il sogna-tore, resosi conto di questa verità non ordina-ria, altro non poteva fare se non proseguire nell’attività di soccorso dei feriti, poiché è fuo-ri dal potere degli esseri umani interferire con l’attività fondamentale di tale entità.

Nel libro, il sogno veniva riportato in quan-to presentatosi con un anno di anticipo ri-spetto alla prima Guerra del Golfo. A me però interessa di più la correlazione con le imma-gini dei soggetti IR4, poiché la descrizione coincideva. Nell’uno era chiaro che si fosse trattato di un sogno (da cui il sognatore ave-va tratto un’etica di vita); negli altri era chiaro si trattasse di una visione palpitante, viva e agente degli effetti nell’immediato. Eppure, si trattava della stessa cosa.

Nello stesso periodo, mi capitò di studia-re uno dei Vangeli apocrifi, il cosiddetto Van-gelo di Nicodemo (con il termine “apocrifo” si intendevano i testi destinati all’istruzione superiore degli iniziati, e non adatti alle mas-se). Questo Vangelo ebbe origine nel Quarto Secolo, con lo scopo di tenere viva l’atten-zione sulla vita di Gesù, completando i Van-geli canonici. Il linguaggio con cui è scritto il Vangelo di Nicodemo è di tipo rivelatorio e, nella parte della Discesa all’Inferno di Gesù, è molto ricca di una simbologia che ho trovato del tutto attuale. Soprattutto, ho trovato mol-to interessante il fatto che Inferno, o Ade, sia considerato un’entità, e non un luogo; e che inoltre non sia al corrente di quanto accade sulla Terra, ma che abbia necessità di un emis-sario chiamato qui Satana o Beelzebul, per accedere agli accadimenti della dimensione dove esiste una scansione temporale. Il con-cetto secondo cui Inferno sia un divoratore insaziabile ha richiamato il ricordo della po-tente sensazione provata dai soggetti IR4 che hanno avuto la sventura di accedere a questo genere di esperienza (non tutti, infatti, sem-brano arrivare al cospetto di ogni livello di questa gerarchia di “forze” aliene).

Si potrebbe ipotizzare che l’umanità, sin dai primordi del Cristianesimo, abbia subìto un cambiamento nei livelli di percezione dell’Invisibile. Non è la sede né io sono la per-sona adatta per approfondire temi religiosi e teologici, mi limiterei quindi a sottolineare questi aspetti che riguardano la psicologia umana. Il Cristianesimo ha segnato, per il mondo occidentale, l’inizio della ricerca del significato profondo del contatto con l’Invisi-bile. Altri popoli hanno praticato, e ottenuto, questo contatto, ma nel nostro caso la strada

Giulia M. D’Ambrosio e Duccio CalamandreiIncontri ravvicinati del IV tipo

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non è stata quella della condivisione colletti-va e dell’immersione collettiva nell’Invisibile; il Cristianesimo ha aperto la questione della responsabilità individuale anche nell’incon-tro con il Divino. Vi è stato quindi un lungo lavoro, durato circa duemila anni, al termine del quale sembra che alcuni umani ci stiano ragguagliando sul fatto che un’entità cosmo-logica, percepita fin dall’antichità e descritta in vari modi col passare del tempo (e la cui descrizione nel Vangelo di Nicodemo potreb-be esssere importante), abbia perduto un ge-nere di potere sull’umanità in seguito agli av-venimenti descritti nei Vangeli e sembra stia cercando di riguadagnare tale potere, via via

con metodi sempre più forti e intrusivi. Il fatto che si sia resa percepibile, che si sia scoperta (e il fatto che abbia messo alcuni di noi nella condizione addirittura di studiarla!), potreb-be significare che si trovi alle strette.

Nella battaglia contro queste forze, che fi-nora sono state interpretate come extraterre-stri, ma che non lo sono affatto, entra quindi in campo la capacità del singolo e dell’inte-ra umanità di risvegliarsi e comprendere gli aspetti altamente illusori della componente fisica della materia, comprendere il pericolo di non essere coscienti delle nostre possibilità come specie, e quindi facili prede della paura (“Non abbiate paura!”, gridò Giovanni Paolo II all’inizo del Suo mandato, avendo sicuramen-te già avuto modo di riconoscere la natura di questa Realtà).

Dice Dino: “La gente non visualizza la pic-cola cella dove è stata schiaffata, pensa di non avere capacità, pensa di essere mediocre. Tut-to ciò è falso, è l’esatto contrario. Chiunque nasce con doni enormi, perchè questa è la nostra natura. La cella che vedi, io la chiamo ATF (Absolute Terror Field), materiale infran-gibile e impenetrabile, sempre più spesso.

Ma sono convinto che la morte e la soffe-renza non ci appartengano, il nostro compito è nella creazione della vita”.

Nel frattempo il padre di Dino è stato sottoposto a un intervento chirurgico. In quell’occasione, Dino ha raccolto un racconto:

Il giorno prima dell’operazione, mentre stava parlando con la dottoressa, aveva avuto la sensazione che quella discussione fosse fatta an-che da un’altra parte, ov-vero che avvenisse in quel luogo ma anche in un al-tro non ben definito.

La seconda notte dopo l’operazione, in un dormi-veglia, ha visto un disco blu fuori della finestra: era schiacciato sui poli. Pen-sando alla luna, ha fatto un calcolo mentale, e poi è arrivato alla conclusione che non poteva essere la

luna. In quel momento la stanza ha comin-ciato a sparire, in concomitanza con delle vi-brazione del corpo; aveva una sensazione di risucchio. Lui dice che si è trovato in un luo-go che non riesce a definire; dopo ha avuto una sensazione di movimento molto grossa, come se fosse stato sbattuto indietro sul letto in contemporanea ad un lampo blu elettrico. Dice che non aveva paura e che il disco lumi-noso gli dava tranquillità.

Ho l’impressione che i nostri amici lo ab-biamo visitato dopo l’operazione e che già da prima sapessero cosa stava succedendo. Così anche mio padre mi ha detto, in pratica, quel-lo che dicono in tanti, me compreso. Il fatto di avere avuto quell’operazione ha richiamato l’attenzione e qualcosa deve essere stato fatto per far fronte ad una modifica del suo corpo.

Giulia M. D’Ambrosio e Duccio CalamandreiIncontri ravvicinati del IV tipo

“Ricordare & Raccontare”Gruppo di Lavoro sulle Esperienze Anomale

Rapimenti Alieni, oltre il velo della memoria

WORKSHOP PRATICOCON SESSIONI INDIVIDUALI E DI GRUPPO

Toscana, 7 – 10 Giugno 2012

per info - [email protected]

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144 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

Non è molto simpatico sapere che questi cosi ti seguono di generazione in generazione.

Il fratello di Dino, messo al corrente di quanto accaduto circa un mese dopo, ha rac-contato a sua volta alcuni strani sogni; in uno di questi, lui e Dino vedevano il padre con il volto di un Grigio; gli strappavano la faccia e, sotto la maschera di gomma che si rive-lava essere, appariva il vero volto del padre. Quale è perciò il “vero volto”, il padre, l’origine cosmica, di tutto questo mistero? La coscien-za e la ricerca di Dino sembrano svolgersi in pari a quella del fratello, benché i due non si-ano propensi a parlare di questi argomenti (il fratello si trovava anche in un’altra nazione). Va rimarcato che l’origine genetica di questa famiglia per parte paterna sembra essere in linea con le ricerche di Derrel Sims, che affer-ma l’origine irlandese o scozzese della metà dei soggetti da lui studiati. Il padre di Dino presenta una storia di svenimenti da bambi-no, ma ciò non è stato valutato e registrato, dato che quest’uomo trascorse la sua infanzia in collegio. Riferisce che si svegliava qualche volta in punti diversi dell’enorme collegio, ben lontano dal suo letto. Gli episodi di sveni-mento non si sono ripresentati nell’età adulta. Anche lui riferisce di visite di ombre alte e in-cappucciate e di svegliarsi immobilizzato, con la percezione di esseri presenti nella stanza.

Il semplice risveglio e conoscenza non si

dimostra ancora sufficiente per combattere le interferenze. Dice ancora il nostro fisico, e noi siamo completamente d’accordo con lui: “Delle forze aliene positive abbiamo ancora paura, perchè non siamo pronti a incontrarli fisicamente, e allora sistematicamente e pun-tualmente sono arrivati quelli negativi (ovve-ro praticamente tutti i cosiddetti extraterre-stri del campionario ufologico) per sviarci e ingannarci, per fare in modo che creassimo altre religioni, per sbatterci in un nuovo Me-dioevo, fatto di buio e di dogma immutabile. Ecco perchè le investigazioni ufologiche sono pericolosissime (in particolare le presunte “ri-velazioni”), perchè tendono a prendere fischi per fiaschi, e per gettare disinformazione, creando grande devastazione nella mente dei più deboli”. È necessaria una profonda vo-lontà da parte del singolo di comprendere in quale modo stia dando agio a queste “forze” di agire nel suo campo vibrazionale. Le tec-niche per aprire i ricordi possono essere uti-li per risvegliarsi alla realtà del proprio stato (ammesso e per ora non concesso che siano tecniche efficaci), ma il campo in cui tutti i ri-cercatori mollano la presa, dopo aver esauri-to le loro forze nell’invettiva “contro l’alieno”, è un campo dove si richiede il coraggio spi-rituale di affrontare la realtà del Male, come entità misurable e presente, creata, all’interno del Cosmo.

giuLiA M. D’AMBrosio Nasce a Milano. Laureata a pie-ni voti in Medicina e Chirurgia, e specializzata in Neuropsichia-tria infantile, svolge la profes-sione di medico e psicotera-

peuta. Proviene da una formazione molteplice. Ha lavorato presso l’Università di Milano per 10 anni nel campo della neurofisiologia clini-ca, ha realizzato la stesura di lavori scientifici per riviste peer-review internazionali durante l ’iter universitario e specialistico, nell’ambito della ricerca in neurofisiologia clinica e si è spe-cializzata con una tesi sulla Rottura dei legami di attaccamento come evento psicopatogeno.

Da molti anni studia il campo delle esperienze straordinarie. È stata co-autore in: Gagliardi G., Garzia P., D’Ambrosio G., Margnelli M., Fattori G. – Poltergeist: l’esplosione del distress infantile. In: Atti del Convegno Nazioneale Stress e infan-zia, Torino, 30-31 marzo-1 aprile 1990, Edizioni Proing, pag. 429-442. Lavoro scientifico pubbli-cato e presentato al World Congress of the In-ternational Society of Hypnosis Monaco 2000: Alcune raccomandazioni sull’impiego dell’ip-nosi con soggetti che riferiscono esperienze del genere Incontri Ravvicinati del Quarto Tipo (in collaborazione con il dottor Mario Cigada). Il suoi siti sono www.giuliadambrosio.it e www.primocontatto.net

Incontri ravvicinati del IV tipo Giulia M. D’Ambrosio e Duccio Calamandrei

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L’energia magnetica emanata da qualsiasi corpo

Radioestesia e lettura dell’Universo

tempo di lettura 6 minuti

Runa Bianca 145Agosto 2011 | n.2

di Stefano Delle Rose

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146 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

Letteralmente, la Radioestesia è la sen-sibilità alle radiazioni; per radiazione intendiamo l’energia magnetica ema-

nata da qualsiasi corpo, sia esso del mondo animale che vegetale o minerale.

La Fisica ha dimostrato che tutto l’Univer-so si trova sotto forma di energia e, in pratica, ciò che noi vediamo come una sostanza soli-da e materiale è, in realtà, un agglomerato di atomi trattenuti insieme da campi energetici. Questi campi sono tutti interagenti tra loro e, grazie al campo portante della Terra non han-no limiti di spazio e di tempo.

Ma, non solo ciò che ha una strut-tura fisica è dotato di energia,

infatti, lo sono anche il pensiero, i suoni, i co-lori, le forme; basti pensare alla forza emanata dal colore rosso o al relax di una determinata musica.

Nel corso di decenni di studi ed esperi-menti, i pionieri della Radioestesia hanno di-mostrato che era possibile quantificare que-ste energie perchè avendo un carattere oscil-lante se ne poteva misurare la frequenza e la lunghezza d’onda.

Il lavoro dell’operatore si basa sul principio della risonanza secondo il quale frequenze uguali si riconoscono e vibrano insieme. L’e-sempio della radio può far comprendere ve-locemente questo principio: dopo aver acce-so la nostra radio iniziamo a cercare il canale, o la frequenza, sulla quale una stazione sta trasmettendo l’informazione che ci interes-sa, fermandoci quando la troviamo. Operare con la Radioestesia significa proprio questo: sintonizzarsi sulle frequenze dell’Universo e con la pratica si impara a decodificare tali

frequenze, anche stabilendo delle con-venzioni e lavorando su unità di misura diverse. Il corpo umano funziona esatta-mente come un’antenna, capace di rice-

vere e trasmettere allo stesso tempo e in ogni momento del giorno e della notte siamo sottoposti ad un infinito numero di frequenze sia benefiche, pensiamo ad esempio alla vista di una bella immagine o all’ascolto di un bel suono, che dannose, o meglio non in sintonia, ma che purtroppo l’uomo non è più in grado di sentire e decodificare. Oggi abbiamo la-sciato questo compito alla tecnologia.

Attualmente esistono due scuole di pen-siero tra gli operatori di Radioestesia che spie-gano i motivi della risonanza tra l’essere uma-no e il mondo circostante; una è strettamente fisica, l’altra mentale.

Nella prima spiegazione si fa riferimento alla presenza di cellule magnetiche, presen-ti nel corpo umano nell’area ipofisaria, non-ché alla sensibilità magnetica delle cellule renali,responsabili della vibrazione di riso-nanza dell’operatore.

Nella spiegazione mentale è la mente che funge da collegamento con lo stimolo ester-no, trasmettendo al sistema nervoso dei mi-cro movimenti in risposta allo stimolo. Ma co-

Stefano Delle RoseRadioestesia e lettura dell’Universo

146 Runa Bianca

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munque in entrambi i casi la risposta dell’o-peratore si manifesta con micro vibrazioni vi-sibili con l’ausilio di strumenti quali il pendolo o il biotensor.

Alcuni ritengono che sia proprio il pendolo lo strumento capace di dare risposte nei test ma in realtà esso è solo un prolungamento o un amplificatore che mette in risalto le micro vibrazioni del braccio umano, la vera anten-na dell’operatore. Con la pratica e l’esercizio si è in grado di fare a meno di oggetti come il pendolo e di riconoscere subito la risposta del proprio corpo ad uno stimolo; addirittu-ra è possibile allenare il corpo a dare altri tipi di risposta, come lo sbattere delle palpebre o l’attrito allo sfregamento dei polpastrelli.

Personalmente ritengo che sia la giusta combinazione di entrambe a far si che l’ope-ratore riceva le giuste informazioni. Infatti, come abbiamo detto precedentemente, an-che un pensiero trasmette vibrazioni e per-

tanto può essere utilizzato per effettuare test di Radioestesia. Ma come si svolgono questi test?

Innanzitutto bisogna dire che i campi di applicazione della Radioestesia sono infiniti, forse l’unico limite è la fantasia. Si possono cercare persone o oggetti smarriti, acqua o minerali sotterranei, faglie, dosare alimenti o medicinali, trovare una strada, sentire le in-tenzioni di una persona, il suo stato di salute e il suo umore, arredare una casa, scegliere un colore. I test possono essere svolti sia sul po-sto, e direttamente a confronto con l’oggetto del test, oppure a distanza mediante l’utilizzo di testimoni che possono essere campioni di sangue o capelli, una firma, un disegno o una mappa, una foto. Esistono anche dei disegni, chiamati circuiti, capaci di trasmettere una determinata vibrazione a qualsiasi distanza. In virtù del carattere universale del magneti-smo, tutti questi testimoni informano l’opera-

Stefano Delle RoseRadioestesia e lettura dell’Universo

Runa Bianca 147Agosto 2011 | n.2

GRIGLIA CON CELLE GEO-ELETTROMAGNETICHE CIRCOLARI, MODULARI E IN PROPORZIONE FRATTALE CON DINAMICA DELL’ENERGIA SISMICA AD “ARMONICA SEI” SU MAPPA DEI TERREMOTI IN EUROPA EM-SCV-INGV. ELABORAZIONE DI MARISA GRANDE HTTP://SYNERGETIC-ART.COM

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148 Runa Bianca Agosto 2011 | n.2

tore senza alcun limite di tempo e di spazio. È possibile, per esempio, risalire ai proprietari di un oggetto o al percorso effettuato da una banconota.

Recentemente un nuovo strumento di indagine per chi opera con la Radioestesia è rappresentato da un vero e proprio atlan-te energetico, messo a punto dalla studiosa Marisa Grande, in cui tutto il globo terrestre è stato suddiviso in celle, tutte interconnesse, che rispondono sia alle forze telluriche che a quelle cosmiche. L’analisi di queste celle da un punto di vista vibrazionale può evidenzia-re lo stato di salute dell’area corrispondente, sia da un punto di vista tellurico che umano. L’applicazione della radioestesia in una cella permette di individuare movimenti tellurici in atto nel sottosuolo, grazie all’energia liberata, ancor prima che si manifestino in superficie con un epicentro generatore di terremoti. Ovviamente, non tutti i movimenti tellurici si manifestano al suolo, proprio in virtù del tra-sferimento di energia tra le celle, ma sicura-mente siamo fronte ad un nuovo metodo di indagine capace di innalzare la percentuale di successo in una previsione.

Quantificando l’energia in una cella si può stabilire la frequenza, o informazione, domi-nante che sta agendo su tutte le forme vi-venti in essa contenute. L’esame in tal senso può evidenziare il perdurare di determinate influenze sulla popolazione. Abbiamo già detto come l’essere umano risponda a tutti

gli stimoli provenienti dal mondo circostan-te e questo si può tradurre in comportamenti sociali di massa, come ad esempio in un in-nalzamento di azioni violente simili tra loro, in rivolte di massa ma anche in pace ritrovata dopo una lunga guerra, in comportamenti dettati da ansie e paure.

È da notare che, essendo la mappatura di Marisa Grande di natura frattale, si può arriva-re a tracciare e analizzare anche celle picco-lissime, per esempio lungo una strada o in un quartiere cittadino.

Anticamente l’uomo era in grado di rico-noscere i segnali e le informazioni che rice-veva dalla natura, informazioni indispensabili per la propria sopravvivenza. Ma era anche in grado di utilizzare, in base alle diverse vibra-zioni, ciò che la natura gli suggeriva. Possia-mo osservare la capacità degli animali di per-cepire qualsiasi tipo di vibrazione energetica per comprendere quali siano le nostre poten-zialità in tal senso.

Un rimedio per riacquistare la sensibilità perduta è senza dubbio quello di adottare uno stile di vita più vicino alla natura, facen-do un uso moderato di dispositivi elettroni-ci, trascorrendo più tempo in spazi aperti ad osservare ogni fenomeno naturale come ad esempio il vento e il movimento delle piante, toccando fisicamente la terra e le pietre, fino a sviluppare una coscienza di appartenenza a tutto l’Universo.

Stefano Delle RoseRadioestesia e lettura dell’Universo

steFAno DeLLe rose

Nel campo delle Energie Sot-tili il percorso formativo inizia vent’anni fa quando, durante il Corso di studi in Lingue Orienta-li (lingua araba) presso l’Univer-

sità di Venezia, entra in contatto con il Sufismo e il concetto di Unicità; contemporaneamente vive l’esperienza di alcuni viaggi astrali involon-tari che lo spingono allo studio del fenomeno sino a riuscire a sviluppare tecniche proprie di controllo. Studioso e ricercatore indipendente di tecniche energetiche antiche, in particolare

di quelle risalenti alla Tradizione Andina, di cui ha ricevuto l’iniziazione di 4°livello da don Juan Nunez del Prado. Operatore di geomanzia ed analisi energetica vibrazionale di cui ha ricevu-to gli insegnamenti da Demetrio Iero e Mauro Aresu. Da alcuni anni studioso dei megaliti sa-lentini e del loro aspetto energetico in rapporto all’ambiente e all’uomo, collabora con diversi ri-cercatori e studiosi in Italia nel campo della Ge-ografia sacra. Proprio per testare alcune teorie energetiche sul rapporto Uomo-Natura inizia la pratica della mountainbike a livello agonistico, partecipando a competizioni in tutta Italia, fino a fondare l’Associazione Sport&Tour.

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Funzione e ragione ultima di questa dimensione dello spirito

La gemellarità

tempo di lettura 8 minuti

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di Hoseki Vannini

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Sin dalla notte dei tempi, l’essere uma-no è stato tormentato da una inquie-tante sensazione di separazione dagli

altri e dalla realtà circostante, una sensazione che esperiva sia con l’anima sia con i cinque sensi. Dal momento in cui l’uomo, un attimo dopo aver superato l’infanzia, ha preso co-scienza della sua individualità, si è doman-dato cosa lo tenesse “lontano” dagli altri e dal mondo circostante, cosa davvero lo isolasse facendolo quasi sentire prigioniero di sé.

Questo sentirsi “ingabbiato” nel suo corpo aveva come ulteriore conseguenza la perce-zione di una sorta di angosciante ferita, di una nostalgia acuta, causata da un distacco provato, non si sa dove e quando, ma non ra-zionalmente vissuto. L’uomo avvertiva questa lacerazione interna, quasi un’invisibile cica-trice, un velo impalpabile, ma tangibile, che gli impediva di vedere, “oltre quella spessa trasparenza”, per afferrare, non soltanto con mano, ma con il cuore, ciò che mancava al suo essere; e quel “qualcosa”, quell’indecifrabile ostacolo non gli permetteva, al momento, di

sentirsi perfetto, completo. Da quell’istante, sono iniziati i tentativi di venire a capo di que-sta inquietudine esistenziale.

Quell’idea di sé, di un sé solitario, pare-va relegare l’uomo in un corpo che era suo, sì, ma soltanto a metà perché la presenza di quell’evanescente “segno” fisico e psichico non gli consentiva di trovare in sé un appi-glio da cui spiccare il salto per andare “al di là” dell’Io, per superare quel disagio interiore ed anche esteriore. Era difficile, perciò, “curio-sare” dove la sua coscienza anelava spingersi con l’intento di trovare una risposta a questa e ad altre domande sulla ragione ultima dell’e-sistenza umana e, quindi, della sua comparsa sulla Terra. Ed in lui, nella sua intimità, fisica e spirituale, quell’essere pensante avvertiva una discordanza fra ciò che sentiva di essere e ciò che invece era.

Quella contesa interiore lo teneva distante dal raggiungere quell’appiglio che, intuitiva-mente, sapeva essere in sé, ma – paradossal-mente - in un sé smarrito, inconsapevole. Ed era quella “sconosciuta” e muta entità, pur

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dentro di sé, la chiave per aprirlo alla com-prensione di sé, alla comprensione ed all’u-nione con ciò che era altro da sé. Anche la parola che sembrava il mezzo più idoneo a rapportarlo coscientemente con il resto del Creato non era il tramite sufficiente a colmare quel divario, ad eliminare quella discrepanza, quel vuoto dell’anima che si traduceva, ineso-rabilmente, in una sottile strisciante, infelicità. Questa inspiegabile sensazione era tanto ra-dicata quanto comune e, dunque, non limita-ta ad alcuni individui, ma era patrimonio con-diviso ed ugualmente inquietante.

È stato allora che è iniziato un percorso di introspezione serrata per entrare in contatto con ciò che sembrava estraniare ogni essere umano da sé e da una connessione totale con quanto era “fuori” di sé. Eppure questa ricer-ca conduceva ancora una volta all’interno di sé. La filosofia, la psicologia, la spiritualità, la scienza e la letteratura si sono da sempre confrontate con questo stato d’animo, con questa perplessità esistenziale ed un po’ dap-pertutto, nei testi che hanno affrontato que-

sto argomento, saltava fuori l’esistenza “pre-sentita”, ma non precisamente dimostrata di un “residuo” della nostra umanità una volta integra, perso nel tempo.

A questa idea sono stati dati molti nomi, ci si sono costruite attorno un’infinità di teorie, ma il concetto che pareva sintetizzare meglio di tutti quello stato emozionale, quella soffe-renza che si manifestava in un confuso senso di incomunicabilità e di doloroso isolamento, ad un certo punto, si è concretizzato in un principio che, con dolce inventiva, è stato de-nominato come un “quid”, una gemellarità da recuperare e riconoscere ed è nata la storia o, come alcuni sostengono, la leggenda dell’a-nima gemella”, quella parte di noi, chissà per-ché, traumaticamente smarrita. È diventato, pertanto, questo nascosto o perduto elemen-to di noi, lo strumento di completamento ne-cessario all’interezza degli esseri umani.

C’è stato chi ha voluto ipotizzare che que-sta sconosciuta porzione di noi si realizzasse, si palesasse in un partner, in un amico, in un maestro o addirittura in un nesso amorevole

Hoseki VanniniLa gemellarità

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con un animale o un vegetale. Ognuno ha dato un volto ed un nome a questo “pezzo” sparito di noi. E poiché, senza ombra di dub-bio, nel nostro percorso esistenziale, è inevita-bile, ed in un certo senso è vitale, che si venga a contatto con i nostri simili e con il resto del Creato, l’attenzione si è focalizzata sul perché delle emozioni intense di attrazione o repul-sione spontanee che derivano da ogni rela-zione umana, da ogni rapporto con la natura e che, con semplicità, chiamiamo simpatia ed antipatia, a seconda del grado di empatia che riusciamo a stabilire. Ma, comunque chiamia-mo queste percezioni, esse indicano un ance-strale legame, una connessione emozionale con l’altro e con tutto quanto ci circonda.

E se la fisica chiama queste emozioni “cam-pi di forze” capaci di essere misurati per stabi-lire il grado di attrazione o repulsione fra gli esseri umani, al pari dei campi elettromagne-tici di Maxwell, la psicologia li chiama “model-li comportamentali similari”, la filosofia “idee innate condivise”, la letteratura, più vicina al cuore dell’uomo, le chiama “affinità elettive”, mentre, la spiritualità le chiama “familiarità di anime” o “anime compagne”.

Tutte queste branche dello scibile umano, però, qualunque nome adottino, qualunque dottrina elaborino, riconoscono la realtà di queste impressioni. Una volta enucleato que-

sto concetto, ci si è accorti che la sensazione spontanea di quella ipotetica scissione, in ef-fetti, e incredibilmente, era in noi per indica-re una profonda coesione di ogni uomo con gli altri uomini e con il resto dell’esistente. Ed è un dato ormai acquisito che quella inizia-le sensazione di separazione non fosse uno scherzo del destino o un’idea peregrina, frut-to di paure ed ansie esistenziali, ma, piutto-sto, uno stimolo a cercare negli altri il profon-do, imprescindibile, vincolo con la Realtà in cui siamo “immersi”, in virtù del nostro innato bisogno di identificazione e riconoscimento con quanto non è o non sembra noi. Pertan-to quest’impulso, questo trasporto che ci fa ambire di “uscire fuori” da noi per “incontrare” il mondo, per sentirci frammento integrante del mondo, e che informa ciascuna cosa e che tutto origina, ha un nome comprensibile per ogni creatura senziente e non; è un dettato che affiora in ogni teorizzazione su questo tema, è un punto fondamentale su cui tutti - dallo scienziato al poeta - sono d’accordo: quell’inequivocabile impulso è l’amore.

È amore! È amore quel sentimento che ci induce a cercare un contatto con gli altri e ad infrangere il nostro supposto isolamento. È l’amore, potenza innata, che “preme” prepo-tentemente dentro di noi per nutrire il suo “esistere”; è l’amore quel soffio vitale che dà

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hoseki VAnnini

Viene al mondo come Maria F. e diventa dopo un lungo, e spes-so sofferto, percorso esisten-ziale Hoseki. Diplomata al liceo Classico, studia giurispruden-

za senza convinzione o meglio con la certezza di aver scelto una facoltà non adatta a lei. Nel frattempo, si imbatte nei mille interrogativi sul significato della esperienza umana e inizia un cammino di personale ricerca spirituale, con-dotto in assoluta e dolente solitudine. Dall’età di quindici anni si dibatte fra i dubbi della sua ragione e le tesi del suo cuore. La sua ricerca non è conclusa, ma ha attraversato, con entu-

siasmo e sofferenza in egual misura, ogni teoria capace, a suo avviso, di fornire risposte adegua-te alle domande che le premevano dentro. Nel tempo ha pubblicato, con rispetto e umiltà, ar-ticoli della sua crescita inte-riore e che ora ha cercato di riassumere in parte nell’e-Book Anima gemella: illusio-ne o realtà.

Anima gemellaIllusione o realtà?

eBook, 2011

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Hoseki VanniniLa gemellarità

energia ad ogni organismo presente sotto il cielo. Questo stato dell’anima ha generato nell’uomo la comprensione di essere un’ema-nazione di quel sentimento, di quell’ardore, connaturato in noi, che ci ha fornito l’idea dell’esistenza di Dio e l’aspirazione a farla nostra. E Dio ha trovato un modo intrigante, immaginoso, per colmare l’apparente distan-za fra Lui e noi, “costringendoci”, attraverso la ricerca incessante di un abbraccio con gli altri, ad abbracciare Lui, per perdere così la nostra individualità sofferente nella comunione con Lui. Infatti, quando noi amiamo, quando “sen-tiamo” l’altro in noi, e non solo lui , ma anche una stella o un fiore, come una sezione inscin-dibile del nostro essere, oltrepassiamo quella cicatrice invisibile, ci completiamo con l’altro e annulliamo quel senso di incompletezza, di vuoto, di divisione che ci tormentava: in ultima analisi, capiamo che non siamo “io”, ma comprendiamo che noi siamo “Uno”. Ma, allora, a cosa serve, in tutto ciò, in alcuni fran-genti, il rivelarsi dell’antipatia se il rifiuto, la repulsione non unisce, ma ancor più separa? Serve, con tutta probabilità, a farci apprende-re di cosa necessitiamo per conoscere l’appa-gamento di una giusta relazione umana at-traverso l’esperienza di un rapporto sbaglia-to, non gioioso, ma fastidioso. Imparando ad evitare chi non è adatto alla nostra personale soddisfazione, diventiamo capaci di scegliere chi, invece, può indirizzare il nostro cammino

per vivere la letizia di essere completati, con amore e dedizione, da un nostro simile.

Al solito, è la legge del contrasto che in-dirizza le nostre scelte. Quindi, ogni persona che arriva nella nostra vita è un segnale per indicarci qual è la strada più breve e piacevole per arrivare a comprendere la dolcezza dell’u-nione con Dio, la nostra vera, unica, anima gemella.

Ebbene ogni incontro produce una serie di eventi che, per la loro natura speciale, contri-buiscono, grazie alle esperienze sentimentali, emozionali e spirituali che ne derivano, all’e-voluzione dell’Universo, che altro non è che la “Somma di noi”. E quando finalmente ci avvi-ciniamo alla nostra meta, a quell’unico essere in tutto affine a noi, che, pertanto, colma ogni nostra mancanza, siamo pronti veramente ad incontrarci e a riunirci con Dio, a comprendere che siamo “Uno”, che tutto siamo e tutto è noi. Insomma, la gemellarità, la realizzazione di questo concetto, è l’espediente, meraviglioso e fantasioso, creato da Dio per farci tornare a Lui, per farci rendere conto che mai siamo sta-ti realmente separati e che, al momento della nostra venuta sulla terra, abbiamo, sì, perso, e volontariamente, cioè in accordo con Dio che è amore e libertà, un ”pezzetto” di noi, ma solo per ritrovarlo nell’incessante amore di Dio, al fine di essere degni di perpetuare all’infinito il Suo disegno d’amore.

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Hoseki Vannini

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Come e dove trovarla?Seguendo i consigli di Hoseki, che ben sa per esperienza vissuta,

non si potrà fallire. Si individua il vero processo efficace per utilizzare a proprio vantaggio la Legge dell’Attrazione.

Anima gemellaIllusione o realtà

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Parte I

La “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti

tempo di lettura 10 minuti

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di Marisa Grande

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Quell’energia convogliata in un pun-to, percepita per facoltà innate dai geomanti dei popoli antichi, eleg-

geva alcuni luoghi della Terra al ruolo di centri privilegiati, ombelichi del mondo, onphalos, direttamente connessi a precisi punti nel cielo. Considerati collegati visivamente con alcuni astri splendenti nella calotta celeste, quei luo-ghi sulla Terra vincolavano energeticamente l’habitat terreno dell’uomo con la “dimora ce-leste” degli dei. Dalla capacità di relazionare la Terra con il cielo ne derivava una loro insita, naturale sacralità, tramandata e perpetuata nel tempo anche in religioni diverse. Dal vin-colo sacro di quei luoghi, che la natura aveva eletto quali concentrati di energia generatri-ce, derivava l’armonica corrispondenza dei rapporti tra corpi celesti interagenti nel co-smo. Dal cedimento di tale stretto legame, dovuto al ritardo precessionale della Terra e letto come apparente slittamento retrogrado della posizione del Sole all’orizzonte, derivava il concetto di tendenza verso il caos. Le prati-che rituali connesse a quei luoghi trovavano nella perennità del fuoco sacro e nel sacer-dote praticante i tramiti energetici necessari per rinsaldare quel vincolo instaurato tra Ter-ra e cielo, quel “matrimonio sacro” vivificante tra Terra e Sole. L’intento dell’uomo, legato al suo ancestrale istinto di sopravvivenza, era quello di stringere il rapporto di omotetica corrispondenza tra un universo illimitato e la dimora dell’umanità limitata, annullando o mitigando le conseguenze di un caos deva-stante, sperimentato ciclicamente durante il

percorso terreno dell’umanità.

L’armonia e il caos

L’andamento verso il caos deriva dalla pre-carietà dell’equilibrio instabile insito nei siste-mi complessi, reso irreversibile da un valore divergente dall’insieme dei valori che intera-giscono nel sistema. Un pur minimo scarto, in-sinuandosi all’interno della regolarità acquisi-ta, conduce il sistema verso una divergenza di valore esponenziale. Una condizione, questa, che coinvolge la regolarità e l’andamento in-stabile e caotico di molti sistemi complessi, di quegli infiniti “universi” in equilibrio instabile e precario, che compongono il Cosmo nella sua dimensione micro e nella sua dimensione macro. Sancita oggi dalla legge del “Caos de-terministico”, tale regola ieri era nota empiri-camente attraverso le “armonie” e le “disarmo-nie” rilevate durante la costante osservazione del cielo.

Il monitoraggio attraverso i millenni del manifestarsi degli astri e l’attenzione alla loro regolarità permettevano di registrare anche le pur minime variazioni caotiche insinuate nei loro cicli.

L’osservazione privilegiata corrispondeva alla loro apparizione sull’orizzonte, ossia sulla linea virtuale limite, interposta tra Terra e cie-lo, la cui importanza fu sancita precocemen-te, riconoscendo una sua implicita sacralità. Fu compresa così la necessità della sua stret-ta relazione con gli astri divinizzati, percepiti

Marisa GrandeLa “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti

SERIE DI SIMBOLI DI ORIGINE ASTRONOMICA: LOSANGA, SPIRALE, CIRCONFERENZE CONCENTRICHE, PUN-TINI. (TRATTO DAL LIBRO DI MARISA GRANDE: DAI SIMBOLI UNIVERSALI ALLA SCRITTURA, BESA 2010).

Grotta di Blombos (Sud Africa), Homo Sapiens-sapiens 77.000 a.C

Motivo canamayte: NAM

New Grange (Irlanda): Kerb Stone

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DIFFUSIONE DEL CULTO DELLA DEA MADRE, COSTELLAZIONE SE-GNATEMPO DELL’EMICICLO PRE-CESSIONALE DI 13.000 ANNI, CHE CONCLUSE IL PLEISTOCENE NEL MILLENNIO XI A.C. (TRATTO DAL LIBRO DI MARISA GRANDE: L’ORIZ-ZONTE CULTURALE DEL MEGALITI-SMO, BESA 2008)

Marisa GrandeLa “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti

Runa Bianca 157Agosto 2011 | n.2

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in forma antropica e zoomorfa per il loro rapporto di vicinanza relativa, e fu sancito uno specifico culto dell’o-rizzonte, orientato a mantenere tale connubio equilibrante.

Esempi di registrazione di dati osservati furono riportati per mezzo delle figure geometriche simboliche riprodotte in pittura o incise (losan-ga, serie di circonferenze concentri-che, spirale semplice e doppia...) che si ritrovano su manufatti già risalen-ti al più remoto Paleolitico (Africa, Bomblos: in insediamenti di 150.000 anni, reperto con losanghe di 77.000 anni).

Serie di tacche e di punti per il calcolo del tempo furono incisi su ossa di animali in fase aurignaziana (Le Eyez de Tayac, 32.000 anni fa) ma ancor prima, figure antropomorfe furono scolpite per riprodurre l’im-magine divinizzata di costellazioni elette a segnatempo degli emicicli precessionali che si avvicendavano ogni 13.000 anni solari (dea madre ri-prodotta su manufatti che risalgono anche a 40.000 anni fa, Orione a 32.000 anni fa).

Sono tutti documenti iconografici ai quali solo recentemente, con le ultime scoperte, è stato riconosciuto loro un inaspettato carat-tere astronomico.

L’osservazione della volta celeste, il mo-nitoraggio del rapporto tra la levata e il tra-monto degli astri costituì infatti un bagaglio culturale astronomico, mitico, religioso e di organizzazione del tempo e dello spazio tra-mandato ininterrottamente per immagini simboliche dal Paleolitico più remoto fino III millennio a.C., quando in epoca storica potè confluire nelle conoscenze dell’astronomia ufficale, redatte in modo più esplicito per l’apporto dato dalla scrittura.

La ciclicità dei ritmi armonici del cosmo dettò molto precocemente le regole per l’organizzazione sociale dell’umanità, per la sistematicità della conoscenza, per l’orienta-mento verso un agire morale. Le aritmie ca-otiche, invece, decretarono la possibilità di

un’alternanza a quelle norme, l’anarchia, il non-rispetto delle regole, la dissolutezza di un agire incontrollato.

Entrambe le tendenze, all’armonia e al caos, sancirono la coesistenza delle opposte dualità presenti in natura, tanto nell’universo, per l’altalenante agire divino, quanto in Terra per l’orientamento morale dell’uomo, forte-mente attratto sia verso il bene, che verso il male.

La geometria sacra

Le forme tratte dall’osservazione dei cicli cosmici confluirono poi nella geometria sacra e nella scrittura, ma erano state già applicate nel megalitismo, che contiene in sè un “codi-ce cosmico” di simboli e numeri sacri.

Riuscire a “leggere” tale codice di origine cosmica, poichè mutuato dall’osservazione astromica dei cicli degli astri, di breve e di lun-go termine, crea condizioni di imbarazzo agli

Marisa GrandeLa “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti

CARPIGNANO SALENTINO (LE): TRILITE. (FOTO DI EZIO SARCINELLA)

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studiosi che hanno preferito cogliere per secoli nel fenomeno del megaliti-smo la sua faccia arcana ed insonda-bile e nei loro costruttori gli anonimi e inconoscibili personaggi di origine e di natura misteriosa, inclassificabili sul piano delle civiltà note ed estra-nei ad un contesto meglio definito delle culture storiche.

Il fenomeno del megalitismo cor-risponde, invece, alla testimonianza tangibile di una conoscenza antica, da ritenersi molto avanzata, colta con un metodo empirico di carattere astronomico, facendo leva sulle pro-prietà di un cervello di homo sapiens che offriva estese facoltà percettive e di elaborazione mentale dell’espe-rienza, potenziate dall’immersione totale, “a carattere adesivo”, con il proprio ambiente e con la natura.

Partendo dal suo centro di osser-vazione, luogo prescelto come “cen-tro sacro” attraversato da una colon-na di energia che lo vincolava ad un astro di riferimento nel cielo, l’uomo che costruì megaliti nel mondo era in grado, per averne eredita le facoltà dai progenitori sapiens, di amplifica-re le sue capacità percettive esten-dendo il suo essere nelle dimensioni-altre del cosmo. La sua psiche, stimo-lando le sue doti innate, in virtù della convinzione di essere protetto da entità superiori incidenti con flussi di energia concentrati per direzione centripeta sul luogo prescelto, agiva da ente propulsore per l’estensione della propria “anima spiritua-le” entro dimensioni non terrene, dove la sua “anima intellettiva” poteva avere accesso alle conoscenze superiori e ad un linguaggio de-gli dei, che si rivelava per simboli e per forme geometriche semplici e complesse.

Il piano ponderale megalitico

I costruttori di megaliti intesero impiega-re, costruendo monumenti megalitici sui luo-ghi energetici del pianeta, la loro conoscenza

empirica dell’interazione energetica (gravita-zionale ed elettromagnetica) esistente tra la Terra, il Sole, la Luna e i pianeti del sistema so-lare, con lo scopo di sviluppare un piano pon-derare tendente al bilanciamento della Terra.

Il loro impegno rappresentò una “risposta possibile” per risolvere il problema dell’anda-mento caotico ciclico che interessa la Terra nelle fasi cruciali interne al ciclo della preces-sione degli equinozi (conoscenza attribuita ufficialmente ad Ipparco da Nicea nel II secolo a.C.).

La condizione di caos subìto dalla Terra e pagato dall’umanità con eventi caotici anche estremi, come il diluvio tramandato in tutte le

MODELLO DELLA PRECESSIONE DEGLI EQUINOZI, DOVUTO AL MOTO RETROGRADO IMPRESSO ALLA TERRA DALL’AZIONE FRENANTE DEL SUO ASSE OBLIQUO, CHE LA FA OSCILLARE IMPRIMENDOLE UN “EF-FETTO TROTTOLA”. (TRATTO DAL POSTER DI MARISA GRANDE: MO-DELLI COSMICI IN ARCHEOASTRONOMIA, S.I.A., PADOVA 2001)

Marisa GrandeLa “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti

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culture del mondo, è ascrivibile alla tendenza dell’asse terrestre a raggiungere ciclicamen-te la sua massima inclinazione sotto l’azione gravitazionale, solare, lunare e planetaria, cui è soggetto.

L’effetto trottola, ossia l’oscillazione della Terra intorno al suo asse obliquo, può essere benefico quando determina l’alternanza delle stagioni, ma può rivelarsi anche catastrofico e distruttivo, quando è accentuato da un’ampia angolazione rispetto ad una sua ideale verti-calità.

I costruttori di megaliti elevarono, perciò, sistemi di monumenti rispondenti a vari mo-delli costruttivi, per applicare un deliberato piano ponderale che potesse bilanciare l’asse terrestre, ai fini di sottrargli l’andamento cao-tico dovuto alla sua tendenza alla massima inclinazione, possibile causa di ribaltamento fisico della Terra o di ribaltamento delle sue polarità magnetiche.

Tale operazione megalitica richiedeva l’im-

piego di rocce dalle proprietà di buoni con-duttori (quarzo, pietre sarsen, pietre blu, por-fido, sabbia, calcare...) e acqua, quale veicolo di flussi magnetici per mezzo dei sali ionici in essa disciolti, ai fini di orientare in “modo coe-rente” le linee di flusso sotterranee ed aeree del campo magnetico terrestre.

Richiedeva anche l’impiego di cattivi con-duttori, come la mica, per interrompere o de-viare gli stessi flussi, in funzione del manteni-mento dell’equilibrio energetico-vibrazionale e per il potenziamento del campo magnetico terrestre. Tale piano equilibrante impiegava conoscenze scientifiche avanzate sul piano astronomico, geologico e chimico-fisico, che, secondo la logica attuale, i costruttori di me-galiti non potevano possedere, pur avendo essi applicato un principio fisico, oggi noto come “riflettanza”, per modificare le risonanze vibranti delle pietre e modulare le loro sono-rità, alla stregua di antichi diapason.

Marisa GrandeLa “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti

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SERRA DI MARTIGNANO (LECCE): SPECCHIA DEI MORI. (FOTO DI EZIO SARCINELLA)

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Diffusione dei sistemi megalitici

Cercati e riconosciuti i “centri naturali” at-traverso i quali il flusso elettromagnetico ir-radiato dal nucleo della Terra raggiunge la litosfera, ossia i luoghi appropriati per acco-gliere i loro monumenti equilibranti il campo magnetico terrestre, i costruttori di megaliti elevavano cumuli litici in funzione di “mon-tagne sacre”. Quei centri, nei quali i flussi elettromagnetici si convertivano in flussi di energia sismica, modellavano naturalmente, con la loro irradiazione di energia vibraziona-le, il territorio circostante, configurando “celle geomorfologiche” circolari ed espanse.

Tale modello è meglio riconoscibile negli “anelli di fuoco”, serie di vulcani disposti ad arco, di cui solo quello di più recente formazio-ne risulta attivo, poichè la litosfera circostante ruota intorno al centro energetico dell’anello, scorrendo su un bacino magmatico periferi-co, che di volta in volta attiva un nuovo vulca-no. Soggette a vibrazioni elettromagnetiche, con fenomeni distruttivi accentuati sulla cir-conferenza di massima espansione composta dai minerali a minore conduzione rispetto a quelli a maggiore conduzione naturalmente aggregati al centro, quelle celle geomorfo-logiche circolari, diffuse su tutta la superficie terrestre, si spiegano oggi con i modelli ma-tematici elaborati da Mandelbrot, resi visibili

Marisa GrandeLa “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti

ESEMPIO DI MODELLAZIONE DEL GARGANO, NELL’ALTA PUGLIA, SECONDO LA CONFIGURAZIONE A “CELLE GEOMORFOLOGICHE”, DOVUTA ALL’AZIONE DELL’ENERGIA VIBRAZIONALE ELETTROMAGNETICA IRRADIATA DAI CENTRI DELLE RISPETTIVE CELLE INTERAGENTI IN FORMA ESPANSA. (ELABORAZIONE DI MARISA GRANDE SU CARTA IDROGEOLOGICA APAT DELL’ITALIA MERIDIONALE)

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Marisa GrandeLa “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti

tramite la computer-grafica. Ossia la forma di ogni elemento frattale si ritrova ripetuto a tutti i tipi di scala e giustifica la similitudine presente nella modularità che interessa tutti i sistemi-complessi presenti in natura.

Con l’intervento megalitico, mirato a miti-gare la forza di espansione dal centro verso la periferia, si poteva modulare la loro energia distruttiva, al confine con le celle limitrofe,

trasformandole in “celle geodetiche” ad energia distruttiva-controllata.

Impiegando i megaliti dalle proprietà di buoni conduttori, che modulavano e rendevano coerenti i flussi magnetici, le celle poteva-no operare un’azione equilibrante sull’intero sistema planetario, miti-gando l’azione distruttiva dovuta all’effetto trottola dell’asse terrestre eccessivamente inclinato.

Marcatori, come le specchie liti-che, o colline artificiali, costituivano i centri geodetici di sistemi megaliti-ci composti da menhir e da dolmen distribuiti con ordine nella cella geomorfologica, aventi funzione di “modulatori di flussi” dell’energia in espansione irradiata da quei centri energetici naturali.

I “cerchi sacri”, gli henges espansi in circonferenze concentriche intor-no alle specchie, alle colline sacre, alle

pietre-altare, ai focolari sacri ricalca-vano, per i costruttori di megaliti, il modello naturale dettato dalla configurazione a celle geomorfologiche della superficie terrestre.

Su quei luoghi precocemente marcati con megaliti, furono erette piramidi, ziqqurat, ha-vitte, kurgan, stupa, templi pagani o mono-teisti, tutti monumenti aventi la medesima funzione equilibrante ottemperata in origine dai sistemi geodetici megalitici.

MArisA grAnDe

Dopo la sua carriera di inse-gnante di Disegno e Storia dell’Arte, continua nel campo artistico con un linguaggio ori-ginale, la Synergetic-Art, che

trova la sua piena espressione nel “meta-reali-smo” della sua pittura e della sua poesia. Con il Manifesto del Movimento culturale “Synergetic-art 1990” (www.synergetic-art.com) ha avviato un’attività di studi e di ricerca pluri-disciplinare, condotta con approccio sistemico, per cogliere le interconnessioni esistenti tra le varie branche del sapere e promuovere una rinnovata visione

della conoscenza. Collabora con associazioni culturali e case editrici e scrive articoli per riviste di cultura. Tra le sue pubblicazione ricordiamo: L’orizzonte culturale del me-galitismo (Besa, 2008) e...

Dai simboli universali alla scrittura

Besa, 2010

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MANDELBROT: FORMA FRATTALI SU SFERA

Page 163: Runa Bianca n°2

Siete in piena vacanza e non avete nulla da fare? Siete al lavoro e avete voglia di distrarvi? Siete stanchi della solita zuppa riscaldata? Liberatevi dalla noia leggendo il nuovo numero di Runa bianca, a settembre vi sorprenderà!

Nel prossimo numero...Scopriremo insieme a Di Christopher Knight e Alan Butler che il progetto delle piramidi di Giza risale a 1.000 anni prima di quanto si pensi. C’è una verità nascosta dietro gli immortali versi dell’Iliade e dell’Odissea? Analizzeremo la questione insieme a Alberto Majrani. Faremo un tuffo nel lontano passato con Paolo Battistel alla ricerca della civiltà perduta di Göbekli Tepe. Con Ludovico Polastri sveleremo l’enigma della massa. Esiste il tredicesimo segno zodiacale? Con Luana Monte vedremo l’esistenza di Ofiuco......e tanto altro ancora nel numero di SETTEMBRE!