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RISE - Rivista Internazionale di Studi Europei AGOSTO 2015, N. 2 | ANNO I Centro Europe Direct LUPT Università degli Studi di Napoli Federico II

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RISE - Rivista Internazionale di Studi EuropeiAGOSTO 2015, N. 2 | ANNO I

Centro Europe Direct LUPTUniversità degli Studi di Napoli Federico II

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SommarioBiodiversità e dieta mediterranea tra agricoltura e patrimonio culturale immateriale pg.3di Ettore Guerrera La produzione artistica nel processo identitario dell’Europa: la creatività, un nuovo paradigma per la crescita e lo sviluppo. pg.17 di Paola Fiorentino Beni culturali: tutela e valorizzazione pg. 23 di Carmen Cioffi Nuove prospettive delle politiche europee: ripartire dal Mediterraneo pg. 30 di Roberta Capuano Lotta alla corruzione, strategie e prospettive pg. 35 di Alessandro Jazzetti

La dimensione europea della Corporate Social Responsibility pg. 44 di Mariarosalba Angrisani

Intumescent coatings for fire safety of existing steel buildings in the European frameworkpg. 54di Donatella de Silva, Antonio Bilotta, Emidio Nigro

ISSN 2421-583X Anno I, Numero 2 Newsletter tematica di agosto 01-31 agosto

Le opinioni espresse in questa pubblicazione sono esclusivamente quelle degli autori. La Commissione non è responsabile dell’eventuale utilizzo delle informazioni contenute in tale pubblicazione. Questa pubblicazione è realizzata con il contributo dell’Unione europea.

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di ETTORE GUERRERA

Centro Europe Direct LUPT Università degli Studi di Napoli Federico II Co-Direttore del Coordinamento di Settore “Politiche agricole, sicurezza alimentare, aree rurali” Centro Studi sulla Biodiversità Alimentare LUPT - Università degli Studi di Napoli Federico II

Biodiversità e dieta mediterranea tra agricoltura e patrimonio culturale immateriale

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Abstract In the last century, thousands of animal races and vegetal varieties have disappeared, and they contributed to satisfy the food needs of populations. This trend is dangerous for the stability of agro-ecosystems and for the agricultural productive systems. The protection of biodiversity is a crucial issue for nature stability, food safety and tutelage of local resources and the rural communities that cultivate them: they have been seen their rights as acknowledged by FAO Treaty only in 2001, through the protection of the traditional knowledge linked to autochthonous agricultural resources and the right to equally participate to the distribution of the advantages, deriving from their use.Agriculture and environment are indissolubly linked. Investing in biodiversity in a globalised system allows to provide for agricultural enterprises a bigger competitiveness, building an economy hinged on the worth of the Italian food great quality.Besides the food value, the intrinsic worth of Mediterranean Diet is linked to the territory and to the biodiversity, because it allows to choose among varieties of the same product, identifying the nutritionally best products, and to fight against the cultural standardisation. Moreover, Mediterranean Diet represents a sort of sustainable development for all the Mediterranean Countries, due to the economic and cultural incidence which the food owns in the whole Region, and to the capacity to inspire a sense of continuity and identity for local population, representing a nutritional model and a model of aggregation and social cohesion which is bequeathed by generations.

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Nell’ultimo secolo sono scomparse in Europa migliaia di razze animali, specie e varietà vegetali che una volta contribuivano a soddisfare il fabbisogno alimentare delle popolazioni. L’impoverimento genetico in atto rappresenta una grave minaccia per gli equilibri naturali, contro la quale si è mossa la comunità internazionale e locale.Dall’inizio del ventesimo secolo oltre il 75% della diversità genetica delle principali colture agrarie è scomparsa. In Italia sono a rischio di estinzione nel settore frutticolo più di 1.500 varietà. la stessa sorte è riservata agli animali domestici, molte razze infatti sono ormai ridotte allo stato di reliquia.Questa rotta negativa è pericolosa per la stabilità degli agro-ecosistemi. mette a rischio i sistemi produttivi agricoli e depaupera i sistemi naturali.È evidente che la tutela della biodiversità è una questione cruciale per la stabilità della natura e per la sicurezza alimentare. Inoltre i progressivi processi di industrializzazione e di concentrazione delle imprese agricole hanno accentuato le disuguaglianze e le sperequazioni rispetto all’agricoltura di piccola scala che le comunità rurali praticano ovunque, principalmente nei paesi del sud del mondo. La perdita di biodiversità, insomma, mette con tutta evidenza in luce problemi non solo ecologici ma soprattutto economici e sociali.Se pensiamo che i problemi causati dai cambiamenti climatici e ambientali siano lontani dalla nostra quotidianità e non ci riguardino, dobbiamo considerare che invece tutto questo si riflette sulla nostra alimentazione e sulla nostra tavola. Nell’ultimo secolo si sono estinte ben 300.000 varietà vegetali, numerose specie/razze animali, mentre molte specie ittiche sono a grave rischio. L’alimentazione di conseguenza evolve verso una standardizzazione, così come la sua qualità e ricchezza. Proteggere l’ambiente diventa importante quindi non solo per evitare l’inquinamento ma per salvaguardare la biodiversità di questi panieri di prodotti che sempre più spesso

non riescono a sopravvivere (anche per le pressioni economiche) e scompaiono.Il mezzogiorno d’Italia ed in particolare la Regione Campania presenta un modello agro-zootecnico assai diversificato nell’ambito del quale le maggiori opportunità sono infatti rappresentate dalle produzioni tipiche di elevata qualità, legate alle zone di provenienza ed alle tecniche di produzione e trasformazione, e che presentano forti legami con il territorio e detengono un ruolo di primo ordine nell’economia eco-compatibile dei sistemi locali di produzione. In queste condizioni le specie/razze autoctone in via di estinzione possono risultare capaci di svolgere un’azione di traino su prodotti ed imprese, e rappresentano un volano per lo sviluppo delle economie locali.

Gli impegni della comunità internazionaleNel corso degli ultimi vent’anni la comunità internazionale ha posto con forza il tema della tutela delle risorse locali e delle comunità rurali che le coltivano nonché degli ecosistemi naturali.Nel 1992 è stata approvata nel corso della conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente, tenutasi a Rio de Janeiro, la Convenzione sulla diversità biologica, con la finalità di prevenire e combattere alla fonte le cause di significativa riduzione o perdita della diversità biologica in considerazione del suo valore intrinseco e dei suoi valori ecologici, genetici, sociali, economici, scientifici, educativi e culturali.Nel 2001 è stato approvato il Trattato Fao sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura. Esso rappresenta senz’altro uno strumento importante e innovativo per la tutela delle risorse agricole e l’affermazione dei diritti degli agricoltori. Il trattato pone, tra gli altri, i seguenti obiettivi: la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura; la ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dalla loro utilizzazione al fine di perseguire un’agricoltura sostenibile; la sicurezza alimentare in conformità alla

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convenzione sulla diversità biologica di Rio de Janeiro.In esso si fa specifico riferimento alla necessità di censire e inventariare le risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura e di valutare i rischi che la minacciano. ogni parte contraente il trattato si impegna sulle seguenti azioni:- promuovere la raccolta delle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura e l’informazione pertinente relativa alle risorse fitogenetiche in pericolo o potenzialmente utilizzabili;- sostenere gli sforzi degli agricoltori e delle comunità locali per gestire e conservare in azienda le loro risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura;- promuovere la conservazione in situ delle specie selvatiche simili a piante coltivate e delle specie selvatiche per la produzione alimentare;- collaborare alla realizzazione di un sistema efficace e sostenibile di conservazione ex situ, prestando tutta l’attenzione richiesta alla necessità di una documentazione, di

una caratterizzazione, di una rigenerazione e di una valutazione adeguata a promuovere lo sviluppo e il trasferimento di apposite tecnologie al fine di migliorare l’uso sostenibile delle risorse fitogenetiche;- verificare il mantenimento della vitalità, del grado di variazione e dell’integrità genetica delle raccolte di risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura.Tra le altre misure il trattato definisce la realizzazione e il mantenimento di sistemi agricoli diversificati che favoriscano l’uso sostenibile della diversità biologica agricola e delle risorse naturali, nonché la necessità di allargare la base genetica delle piante coltivate e accrescere la diversità del materiale biologico messo a disposizione degli agricoltori.Il trattato riconosce la necessità di adottare apposite misure per proteggere e promuovere i diritti degli agricoltori (farmers’ rights), in particolare la protezione delle conoscenze tradizionali che presentino un interesse per le risorse agricole autoctone e il diritto a partecipare equamente alla ripartizione dei vantaggi derivanti dalla loro utilizzazione.

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In Italia il trattato è stato ratificato con la legge n.101 del 6 aprile 2004, che all’articolo 3 cita testualmente ..“le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono all’attuazione del Trattato...”. in virtù di questo articolo dovevano essere approvate dalle singole Regioni le Leggi Regionali a “Tutela del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario”.Al fine di perseguire gli obiettivi di tutela e salvaguardia della biodiversità e arrestare il processo di erosione genetica in atto nonché quanto previsto dal Trattato, ogni legge regionale dovrebbe prevedere una pluralità di strumenti funzionalmente legati tra loro, qui di seguito richiamati.

Gli strumenti della Legge RegionaleRepertorio regionale delle risorse genetiche agrarie. In esso vengono iscritte e catalogate le razze e le varietà autoctone regionali , previo parere di apposita commissione tecnico-scientifica.Banca del germoplasma. È il luogo fisico per la conservazione ex situ delle risorse genetiche, in cui vengono mantenute fuori dal campo coltivato le accessioni iscritte al repertorio regionale.Agricoltori ed Allevatori custodi. Persone fisiche svolgenti una funzione di pubblico interesse, che provvedono alla conservazione in situ del germoplasma a rischio di erosione genetica iscritto nel repertorio.Rete di conservazione e salvaguardia della biodiversità. Comprende gli agricoltori custodi e i soggetti affidatari della conservazione ex situ delle risorse genetiche, accomunati dal compito di mantenere in vita il patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario e di garantire l’uso durevole del germoplasma.Ma solamente nel mese di gennaio 20151 la Camera ha approvato all’unanimità la proposta di legge contenente “Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare”, dando

1 Nota: al 7 luglio 2015 la Legge è ancora in corso di esame in commissione al Senato.

il via libera ad un provvedimento che raccoglie il consenso di tutte le forze politiche presenti in parlamento che hanno saputo comprendere l’importanza di dotare il nostro paese di un sistema di norme capace di riconoscere, proteggere, recuperare, organizzare e mettere a sistema la biodiversità agricola e alimentare. Esprimendo, così, la consapevolezza delle potenzialità che ha oggi l’agricoltura ed il valore dell’agroalimentare italiano che è al centro Expo Milano 2015.Una scelta fondamentale, quella di investire sulla biodiversità quale condizione necessaria per le imprese agricole di distinguersi in termini di qualità delle produzioni ed affrontare così il mercato globalizzato salvaguardando, difendendo e creando sistemi economici locali attorno al valore del cibo. Del resto l’agroalimentare italiano, si fonda sui saperi delle nostre comunità e si sviluppa grazie alla ricerca che offre strumenti sempre nuovi di conoscenza della biodiversità. Il riconoscimento delle nostre produzioni tipiche e tradizionali legate al territorio diventa per l’agricoltura italiana, un vero e proprio investimento in competitività.La proposta di legge è frutto di un lungo lavoro di confronto e di contributi provenienti dalle esperienze sperimentali delle Regioni, dalle associazioni e dagli agricoltori custodi. Del resto, promuovere la biodiversità in agricoltura significa occuparsi di sviluppo delle aree rurali, economia, difesa del suolo, di reddito agricolo e di nuove imprese dando valore alle specificità locali, alle produzioni tipiche e al paesaggio.La legge sulla biodiversità arriva proprio in un momento in cui il tema del cibo ha particolare risalto con Expo Milano 2015 e prevede strumenti importanti come l’istituzione dell’anagrafe nazionale, istituita presso il Ministero delle politiche agricole, la definizione di una rete e di un portale e di un comitato permanente per la biodiversità agraria e alimentare. L’obiettivo e’ costruire un circolo virtuoso che, partendo dal riconoscimento

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della figura dell’agricoltore e dell’allevatore custode, attraverso la creazione di comunità del cibo, mette in campo azioni concrete per la tutela delle risorse, l’educazione e la sostenibilità ambientale.Ciò evidenzia come agricoltura ed ambiente sono indissolubilmente legati grazie alla tutela delle risorse genetiche locali dal rischio di estinzione e di erosione genetica. Altri strumenti importanti previsti dalla legge sono: la Rete nazionale della biodiversità agraria e alimentare per la conservazione del germoplasma; il Portale nazionale della biodiversità e il Comitato permanente per la biodiversità agraria e alimentare, presso il Mipaaf e, ancora, dal 2015, il Fondo per la tutela della biodiversità agraria e alimentare per sostenere le azioni degli agricoltori e degli allevatori nell’ambito delle disposizioni previste dalla legge e da appositi indennizzi ai produttori agricoli danneggiati da forme di contaminazione dagli Ogm coltivati in violazione dei divieti stabiliti.Quindi, investire in biodiversità in un sistema economico globalizzato consente di fornire alle nostre imprese agricole una condizione competitiva sempre più elevata, costruendo un’economia imperniata del valore della grande qualità del cibo italiano. Molto importanti sono anche i sostegni previsti alle azioni degli agricoltori e degli allevatori nell’ambito delle disposizioni previste dalla legge, considerato che la filiera zootecnica ha un alto valore aggiunto nel sistema agroalimentare italiano.

È chiaro che in campo agricolo conservare la biodiversità significa produrre alternative, in altreparole tenere in vita forme alternative di produzione in un contesto tutto teso alla standardizzazione.Salvaguardare le risorse autoctone e i semi “nativi” è indispensabile. Le razze, le varietà, i semi in via di estinzione, infatti, portano con sé i semi di un altro modo di pensare la natura e di produrre per le nostre necessità. Uniformità e diversità non sono solo modi diversi di produzione e di uso della terra, ma anche modi diversi di pensare e di vivere.La natura ha fatto della diversità il fondamento della stabilità. L’uomo, riducendo tutto all’uniformità, sta irreversibilmente compromettendo gli equilibri e la stabilità degli ecosistemi in cui è indissolubilmente inserito. La diversità è essenziale per la sostenibilità a lungo termine delle attività agricole. Agro- biodiversità significa mantenere in vita diversità biologica, diversità degli ecosistemi, delle colture e delle culture. È questa la via maestra della coevoluzione del rapporto uomo-natura.Il lavoro di catalogazione delle risorse genetiche animali ha permesso di approfondire il valore intrinseco di antiche razze, talvolta scampate all’estinzione grazie a circostanze fortuite. Il successivo percorso di valorizzazione economica può portare nei casi più favorevoli alla reintroduzione per produzioni tradizionali o di qualità.Anche le Regioni estremamente evolute sia

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dal punto di vista zootecnico che agronomico conservano inconsapevolmente razze fra le più rare e particolari in Italia. Basti pensare ad alcune popolazioni di ovini, segnalati in modo sporadico nella numerosa bibliografia tematica datata e miracolosamente scampate all’estinzione grazie a piccoli gruppi allevati non nel loro territorio di origine e diffusione, bensì nella pianura che l’accoglieva durante il periodo di transumanza invernale delle greggi. Era infatti consuetudine che i pastori, per sdebitarsi del pascolo dei loro armenti, donassero ai proprietari dei terreni alcuni agnelli, che in fortuiti casi hanno dato origine a micro popolazioni pure, scampate per isolamento agli incroci, all’incuria e alle temibili epidemie che falcidiavano e distruggevano i grandi greggi del passato.Ora , però, il pericolo non è più una temibile malattia o la fatica della transumanza ma lo sgretolamento del tessuto allevatoriale che aveva dato origine alle innumerevoli razze zootecniche locali che popolavano il nostro territorio. La minaccia peggiore è il mancato ricambio generazionale. Lo sconsolato segnale che lanciano i tecnici, infatti, a fronte di una miracolosa sopravvivenza di molte razze, è purtroppo una minaccia meno curabile, ossia la mancanza di un ricambio generazionale fra gli allevatori. Troppi i sacrifici, pochi i guadagni, amare le delusioni, tanto che solo la caparbietà e la passione sfrenata di alcuni riesce a opporsi a un destino che sembra già scritto. Non fosse altro perché, seppur stremate dalla consanguineità e dalla competizione impari con le razze cosmopolite, queste razze del nostro passato sono le compagne di molti allevatori che privilegiano e amano la qualità e la tradizione.Queste razze autoctone, degne talvolta di un richiamo alla criptozoologia, devono essere considerate delle vere e proprie risorse genetiche ed economiche, pertanto le Regioni devono usare aggiornati strumenti di catalogazione che possano contare non solo su schede di identificazione contenenti un moderno e snello metodo a descrittori

morfologici, ma anche di più sofisticati e innovativi metodi di identificazione mediante descrittori genetici (microsatelliti e DNA mitocondriale).Il momento della catalogazione, seppure possa sembrare una semplice presa d’atto dell’esistenza della risorsa genetica, rappresenta tuttavia un momento di grande approfondimento, che permette di valutare in modo appropriato il valore intrinseco della razza, inteso come valore della biodiversità che esso rappresenta oltre a valutare la rarità del genoma della risorsa genetica stessa.Da questo punto di partenza inizia il percorso di monitoraggio/censimento e valorizzazione economica della razza zootecnica, che nella più rosea delle ipotesi potrà ritrovare una sua posizione nel panorama zootecnico regionale.Per molti successi ottenuti, permangono tuttora molte criticità che riguardano particolarmente il settore ovino, avicolo e bovino su razze non specializzate soprattutto lungo tutta la dorsale Appenninica e nelle aree rurali più interne. Una sfida ardua che si gioca su piccoli numeri e su allevamenti sospesi a un filo di speranza. Speranza che può e deve trasformarsi in opportunità per giovani allevatori che vogliano cimentarsi in una vera e propria sfida.

Agricoltura e Biodiversità È ormai acquisita la consapevolezza dell’importante ruolo dell’agricoltura, che occupa circa il 50% del territorio nazionale, a favore della tutela della biodiversità. Ed in particolare, sia attraverso la creazione e il mantenimento di particolari habitat naturali o semi-naturali, sia attraverso la conservazione delle risorse genetiche di interesse agrario. L’evoluzione dei sistemi agricoli associata alla grande varietà delle condizioni ambientali del territorio ha, nel corso del tempo, inciso fortemente sulla struttura del paesaggio creando, contemporaneamente, habitat specifici per un grande numero di specie (vegetali e animali) e dando luogo alle aree agricole ad alto valore naturale, ovvero ad

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Nel nostro Paese, queste possono essere individuate tra i prati permanenti e i pascoli delle Alpi e degli Appennini, tra le praterie sub-steppiche del Sud e delle Isole, tra le aree a colture estensive ricche di strutture semi-naturali come siepi, boschetti e muretti a secco del Centro-Sud e interessano circa un quarto della superficie agricola nazionale. Tuttavia, i processi di specializzazione e di intensificazione da un lato e di abbandono delle aree rurali più marginali e delle pratiche agricole tradizionali dall’altro, minacciano il delicato equilibrio tra agricoltura e biodiversità. Contrastare questi processi costituisce pertanto un’azione chiave per arrestare il declino della biodiversità e per promuovere un moderno modello di agricoltura a servizio di tutta la collettività. A tal fine la tutela dell’ambiente è diventata parte integrante della Politica Agricola Comunitaria, attraverso un processo di riforma avviato agli inizi degli anni ’90.In particolare la politica di sviluppo rurale viene individuata quale strumento fondamentale per la conservazione e la valorizzazione delle risorse naturali e paesaggistiche degli agro-ecosistemi.

Nell’attuale periodo di programmazione 2014-2020, il Mipaaf ha reinserito e rafforzato, rispetto alla programmazione del periodo 2007-2013, la conservazione della biodiversità e la tutela dei sistemi agricoli e forestali ad alto valore naturale, tra gli obiettivi prioritari assegnati alla politica di sviluppo rurale. Attraverso il Piano Strategico Nazionale (PSN), che delinea la Strategia Nazionale, ha indicato, di concerto con il Ministero dell’Ambiente e un ampio partenariato ambientale, una serie importante di azioni chiave attorno alle quali le Regioni hanno definito le misure operative sulla base delle esigenze locali. Ciò ha rafforzato in modo consistente l’orientamento in materia di buone pratiche in favore della conservazione degli ambienti naturali e del paesaggio rurale. Le azioni sono incentrate sulla tutela e salvaguardia dei Siti Natura 2000 (direttiva 79/409/CEE e direttiva 92/43/CE), sul mantenimento delle aree agricole e forestali ad Alto Valore Naturale e sulla conservazione delle risorse genetiche animali e vegetali, e vanno attuate secondo una logica di integrazione e concentrazione territoriale degli interventi.Questo approccio è stato rafforzato dopo la riforma della PAC, avvenuta nel 2009 a

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seguito dell’«Health Check», che ha attribuito ulteriori risorse alla politica di sviluppo rurale per affrontare quattro sfide ambientali: la lotta ai cambiamenti climatici, la promozione delle energie rinnovabili, la gestione delle risorse idriche e la tutela della biodiversità. Attualmente, oltre il 40% delle risorse messe a disposizione dai Programmi regionali di Sviluppo Rurale (più di 17 miliardi di euro) è dedicata alle misure a carattere agro-ambientale nell’ambito dell’asse di intervento relativo al «Miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale». Gli interventi previsti dai Programmi di sviluppo rurale, innovativi rispetto alla precedente programmazione, non si rivolgono solo agli agricoltori, ma estendono il sistema di incentivi anche ad Enti di ricerca e a strutture qualificate per le attività di catalogazione e conservazione delle risorse genetiche.

Biodiversità e Dieta MediterraneaLa quinta sessione del Comitato Intergovernativo dell’UNESCO, che si riunì a Nairobi in Kenia dal 15 al 19 novembre 2010, proclamò, la Dieta Mediterranea, Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità’, iscrivendola quale prima pratica alimentare nella prestigiosa lista.Tale importante riconoscimento, coronamento di un iter iniziato quattro anni prima (2006), ha consentito di accreditare quel meraviglioso ed equilibrato esempio di contaminazione naturale e culturale che è lo stile di vita mediterraneo come eccellenza mondiale. Il riconoscimento dell’Unesco alla “Dieta mediterranea” rappresenta una risorsa di sviluppo sostenibile molto importante per tutti i Paesi del Mediterraneo.Il termine “Dieta” che si riferisce all’etimo greco “stile di vita”, rappresenta un insieme di saperi, di conoscenze, di pratiche e tradizioni strettamente interrelate in un continuum, dal paesaggio agrario alla tavola, includendo le colture, la raccolta, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e, in particolare, il consumo di cibo.

Essa, infatti, incorporando valori diversi in termini culturali, storici, enogastronomici, nutrizionali e salutistici, rappresenta uno stile di vita sostenibile basato sulle tradizioni alimentari e sui valori culturali secolari, con i quali le popolazioni del Mediterraneo hanno creato e ricreato nel corso dei secoli una continua interazione tra l’ambiente culturale, l’organizzazione sociale e l’universo mitico e religioso intorno al mangiare.La Dieta Mediterranea, pertanto, rappresenta per la nostra comunità un elemento fondamentale, di aggregazione e coesione sociale che si tramanda di generazione in generazione, unendo le diverse classi sociali, rappresentando un elemento di coesione per le famiglie.Infatti, il pasto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità e ha dato luogo a un notevole corpus di conoscenze, canzoni, racconti e leggende, nel quale soprattutto le donne svolgono un ruolo indispensabile nella trasmissione delle competenze e delle conoscenze di riti, gesti tradizionali e delle tecniche di coltivazione e trasformazione degli alimenti.La Dieta Mediterranea è caratterizzata da un modello nutrizionale sostenibile, caratterizzato dall’utilizzo dei prodotti del territorio e tipici della nostra comunità, rimasto costante nel tempo e nello spazio, costituito principalmente da olio di oliva, cereali, frutta fresca o secca, verdure, una moderata quantità di pesce, latticini e carne e molti condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusi, sempre nel rispetto delle tradizioni di ogni comunità.Questa pratica alimentare connota il passaggio dal “crudo” al “cotto” e promuove straordinarie interazioni sociali: dal cibo in comune al cibo devozionale e delle feste, dalle musiche alle novelle, dai proverbi alle leggende, a testimoniare in maniera indelebile che “l’uomo e’ – veramente - ciò che mangia”.Pertanto, la Dieta Mediterranea è molto più che un semplice alimento, è un

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modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari tradizionali dei paesi del bacino mediterraneo, in particolare Italia, Francia meridionale, Grecia, Spagna e Marocco e si fonda sul rispetto per il territorio e la biodiversità, garantendo la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca ed all’agricoltura nelle comunità del Mediterraneo.Il valore intrinseco della Dieta Mediterranea, al di là di quello alimentare, è strettamente legato alla biodiversità, la quale ci permette di poter scegliere tra diverse varietà dello stesso prodotto, sia identificando prodotti

nutrizionalmente ottimali, sia, in casi più drammatici, consentendoci di salvare alcune specie vegetali, attraverso la selezione di varietà più resistenti di altre ad agenti patogeni. In questi casi, l’unica soluzione è la diversità genetica, diversità che è minacciata dalla standardizzazione culturale.La minaccia di oggi al modello della Dieta Mediterranea è costituita non solo da fattori economici – come l’ingresso nei mercati di prodotti importati che costano meno e sono di minore qualità, per cui tenere nei mercati prodotti locali comporta un costo maggiore – ma anche culturali, ad esempio oggi non è

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più scontato per noi consumatori scegliere un prodotto di stagione rinunciando ad uno fuori stagione ed è sempre più forte l’influenza sulle nostre abitudini alimentari del modello anglosassone, riassunto laconicamente come “quello delle merendine”.Parlare di protezione della biodiversità significa mettere sul tavolo concetti scientifici complessi e ricchi di tecnicismi, ma se non si riesce a tradurre questi concetti in un linguaggio comprensibile al grande pubblico, allora la sfida è persa in partenza, perché proprio la complessità del tema fa si che non si possa vincere senza mettere in campo e coordinare forze molteplici ed eterogenee, a tutti i livelli, stimolando anche l’industria alimentare ad adeguarsi ai parametri della biodiversità.In questo senso, si rende necessario uno sforzo di educazione all’alimentazione, una promozione del consumo consapevole, che si svolga sia nelle scuole come nei supermercati, che diventano in questo senso dei veri e propri laboratori didattici, in cui, da un lato, si svolgono attività dirette di educazione al consumo, dall’altro, si forniscono al consumatore delle alternative reali tra cui scegliere, assieme a tutte le informazioni necessarie affinché la scelta possa essere realmente informata.Il riconoscimento da parte della comunità scientifica internazionale del valore della Dieta Mediterranea, quale modello storico di unità dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, rappresenta il riconoscimento di un’idea di identità culturale in grado di unire popoli diversi e un potenziale sociale di influenza positiva su problematiche complesse e cruciali come quelle dell’acqua, dell’energia e del lavoro minorile, tutte legate assieme dal filo della sostenibilità.La “Dieta Mediterranea” , come già ricordato, rappresenta una risorsa di sviluppo sostenibile molto importante per tutti i Paesi del Mediterraneo, per l’incidenza economica e culturale che riveste il cibo nell’intera Regione e per la capacità di ispirare un senso di continuità

ed identità per le popolazioni locali. L’Italia, ed in particolare il Cilento, è il paese che il fisiologo americano Ancel Keys (19042004) autore del libro “Eat well and stay well. the Mediterranean way “ prese come riferimento per codificare il regime alimentare (frutta, verdura, olio d’oliva, ecc.) divenuto poi noto come “dieta mediterranea”; che incorpora ed esprime valori diversi in termini culturali, storici, enogastronomici,nutrizionali e salutistici.Un po’ di storia. Nel giugno del 1966 Ancel e Margaret Keys, insieme ad amici e colleghi provenienti da diversi paesi, inaugurarono la loro casa di Pioppi e festeggiarono gli 80 anni del Professore Paul Dudley White, cardiologo, ricercatore e statista famoso in tutto il mondo.Negli anni che seguirono, a Pioppi presero casa altri illustri colleghi internazionali, anch’essi dedicati al progresso della ricerca e della salute pubblica sulla prevenzione e controllo dell’epidemia della malattia coronaria e altre malattie cardiovascolari, tra cui il Professore Martii Karvonen (Finlandia), il Professore Jeremiah Stamler (Stati uniti) ed alcuni colleghi italiani.Nel 1969, per iniziativa del Professore Keys, con il contributo del Comune, della Provincia e della Regione, Pioppi ospitò il secondo ‘Ten Day Teaching Seminar’ sull’epidemiologia e prevenzione delle malattie cardiovascolari, finanziato dalla Società Internazionale di Cardiologia e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Alcuni anni dopo, a Pioppi si tenne il primo ‘Ten Day Teaching Seminar’ italiano sull’epidemiologia e prevenzione delle malattie cardiovascolari, organizzato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche. Da allora altri meeting scientifici furono organizzati su tematiche altrettanto impegnative.Nel 1975, Ancel e Margareth Keys pubblicarono il libro ‘How to Eat Well and Stay Well, the Meditarranean Way’ (‘Mangiar bene e stare bene, con la dieta mediterranea’). In quest’opera magistrale vengono delineati per la prima volta i concetti

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base della dieta mediterranea , quali cibi la caratterizzano, quali sono i suoi vantaggi ed i suoi possibili limiti, seppur pochi. Questo libro fu per buona parte scritto dai coniugi Keys nella loro casa di Pioppi. E proprio in questa casa, in cucina e in sala da pranzo, saggiarono ogni ricetta trascritta durante il lavoro sul campo in Italia, in Grecia e sulla costa mediterranea di Francia e Spagna. Il libro non è solo un approfondito trattato scientifico, ma è anche un buon libro di cucina, pieno di ricette deliziose e salutari per il cuore, molte delle quali tipiche della zona cilentana. Nell’introduzione - ‘Why and How (Perché e come) - al libro “How to Eat Well and Stay Well, the Mediterranean Way”, i coniugi Ancel e Margaret Keys descrivono intensamente la loro prima esperienza con la dieta mediterranea avvenuta a Napoli nel 1952: ... “il cibo comune dei napoletani:

minestrone fatto in casa; molti tipi di pasta, sempre cotta al momento, condita con pomodoro e una spolverata di parmigiano, solo ogni tanto con alcuni pezzetti di carne, oppure con sugo di pesce locale ma senza parmigiano; un bel piatto di pasta e fagioli; molto pane fresco e senza nulla sopra; grandi porzioni di verdura fresca; una piccola porzione di carne o pesce due volte alla settimana; vino e sempre frutta fresca come dessert. Anni dopo, quando fummo invitati a suggerire un tipo di alimentazione che favorisse la prevenzione della malattia coronarica guardammo al passato e arrivammo alla conclusione che la scelta migliore era adottare la dieta degli abitanti di Napoli dei primi anni 50”...Nel 1957, i coniugi Keys studiarono il comune di Nicotera in Italia, vicino alla punta dello Stivale, e alcuni paesi dell’isola greca di Creta.

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A Nicotera, il consumo totale di grassi era basso; l’olio d’oliva costituiva l’unico grasso. Nei paesi cretesi il burro era quasi del tutto sconosciuto, il latte visto come un qualcosa da usare ogni tanto per cucinare, la carne o il pollo venivano mangiati solo una o due volte alla settimana e, nonostante la vicinanza al mare, il pesce di gran lunga più consumato era il merluzzo affumicato norvegese. Per non parlare dell’olio d’oliva. Era l’unico grasso impiegato per cucinare; veniva versato su qualsiasi cibo servito a tavola ed il pane veniva immerso in ciotole d’olio d’oliva messe a tavola. A Nicotera, il livello di colesterolo nel sangue era basso, circa 160 e corrispondeva ad un’alimentazione a basso contenuto di grassi. Anche nei paesi di Creta era basso, inferiore a 200. Nel 1975, i coniugi Keys osservarono: …”In tutti i paesi mediterranei, fin dalle amare privazioni della II guerra mondiale, la dieta comune ha iniziato a cambiare - e non nella giusta direzione - In Italia, dal 1951, il consumo pro capite di carne di manzo e di vitello è aumentato di quasi quattro volte, quello della carne di maiale più di due volte, mentre nel 1971 il consumo di pollo è aumentato più di sei volte e mezzo rispetto al consumo che se ne faceva nel 1951. Il consumo dell’olio d’oliva è raddoppiato; quello degli altri oli vegetali è quintuplicato. In Grecia i cambiamenti alimentari si riflettono nei valori di colesterolo registrati con le nostre indagini effettuate su uomini di mezza età lungo il corso di anni. Il colesterolo, da un valore medio inferiore a 200 nel 1957, è passato a quasi 220 nel 1971. E in tutti i paesi mediterranei l’obesità è in aumento”…La dieta mediterranea degli anni 50 appartiene ormai al passato. Poiché era un tipo di alimentazione deliziosa e salutare per il cuore, che ognuno dovrebbe imitare ed adottare, è necessario descriverla in modo preciso, evidenziarne i suoi innumerevoli punti di forza e i suoi lati problematici, farla conoscere al mondo scientifico ed aiutare le persone in tutto il mondo a provare i suoi piaceri e benefici.

Il classico modello alimentare mediterraneo era composto da verdura, pane, pasta/riso, fagioli, frutta, olio di oliva, vino. Carni fresche e conservate, carni bianche, pesce, crostacei, latticini, dolci venivano consumati solo occasionalmente, in modeste quantità. Questi erano i punti di forza della dieta Mediterranea. È necessario illustrare anche i suoi lati potenzialmente problematici, per capire come impostare l’alimentazione di tipo mediterraneo del XXI secolo: tradizionalmente, pane e pasta erano fatti utilizzando la farina bianca ed erano ricchi di sale; prodotti integrali a basso contenuto di sale sono preferibili (la stessa cosa vale per il riso).L’olio d’oliva e di semi erano usati con moderazione nella maggior parte dei paesi; come tutti i grassi, sono ad alta densità calorica (9 kcal/grammo); modeste quantità vanno bene, soprattutto se consideriamo l’epidemia dell’obesità. Molti cibi della dieta mediterranea erano piuttosto salati; il consumo di sale va limitato per la salute del cuore. Spesso il consumo di vino era eccessivo, soprattutto tra gli uomini; l’alcol va consumato con moderazione.I seguenti tre fattori : eccessivo consumo di sale, abuso di alcol, ed eccessivo introito calorico, sono la causa principale dell’elevata prevalenza per decenni di livelli sfavorevoli di pressione arteriosa (pre-ipertensione, ipertensione) e, se si aggiunge il consumo di sigarette, del tasso elevato di ictus nelle popolazioni mediterranee.È necessario che l’alimentazione di tipo mediterraneo del XXI secolo contenga i seguenti elementi:- verdura, fagioli frutta - pane integrale a basso contenuto di sale - pasta/riso integrale a basso contenuto di sale - piccole quantità di olio d’oliva e di semi- vino con moderazione - modeste porzioni di pesce, crostacei, carni bianche magre, carne rossa magra non conservata- latticini senza grassi e poco grassi, tutte le pietanze senza sale o con poco sale.Necessita , quindi, uno sforzo per fare acquisire dignità culturale alle tematiche

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legate al cibo, al vino ed all’alimentazione nel loro complesso; per individuare e selezionare i prodotti enogastronomici e le modalità di produzione legati al territorio, nell’ottica della tutela e valorizzazione della biodiversità, promuovendone anche l’assunzione a ruolo di beni culturali.Pertanto, la tutela della Biodiversità e la promozione della Dieta Mediterranea

devono camminare di pari passo al fine di educare i consumatori alla cultura alimentare, alla piena coscienza del diritto al piacere ed al gusto ed all’acquisizione di una responsabile capacità di scelta in campo alimentare promuovendo la pratica di una diversa qualità della vita, fatta del rispetto dei tempi naturali, dell’ambiente e della salute dei consumatori.

Convenzione internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO. (Parigi, 17 ottobre 2003).

Ai fini della Convenzione, il patrimonio culturale immateriale è descritto come “le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale”.Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.Gli ambiti del “patrimonio culturale immateriale” sono i seguenti:a) tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale; b) le arti dello spettacolo; c) le consuetudini sociali, gli eventi rituali e festivi; d) le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’universo; e) i saperi e le pratiche legati all’artigianato tradizionale.Anche se la pratica alimentare non e’ esplicitamente menzionata all’art.2 (“Definizioni”) della Convenzione,questa e’ da considerarsi parte integrante di tale Patrimonio. La pratica alimentare, infatti, non e’ solo la risposta a bisogni biologici, ma e’ un’esperienza culturalmente elaborata dai gruppi umani lungo l’intero arco della loro storia, trasmessa da generazione in generazione, ed espressione sempre vivente di diversità e creatività delle culture. La pratica alimentare conferisce, pertanto, specifici caratteri di identità e continuità culturale.Grazie al suo inserimento nella Lista, la Dieta Mediterranea rappresenta il terzo elemento italiano presente, insieme all’Opera dei pupi siciliani e al Canto a tenore sardo. Il gruppo di lavoro del Ministero sta ora lavorando, per il prossimo anno, alle candidature de “L’arte della pizza napoletana” e “La coltivazione ad alberello dello Zibibbo di Pantelleria”.

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di PAOLA FIORENTINO Economista dell’arte, componente del Comitato di redazione della Rivista Internazionale di Studi Europei

La produzione artistica nel processo identitario dell’Europa: la creatività, un nuovo paradigma per la crescita e lo sviluppo.

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Abstract

Art in Europe has contributed throughout the centuries to create and spread common “signs” of identity, which are assimilated and perceived as a set of indicators of a well-delineated heritage as Europe is .In this way, Europe is considered not exclusively as a geographical entity, but also as a physical and mental space where symbolic capital becomes part of a territorial image. Even if an historical approach to the identity value of art as a common language of Europe is essential, it is necessary to evaluate this path according to its social, political and economical effects.

Introduzione

Risorse tangibili ed intangibili comuni definiscono la nostra percezione identitaria , il nostro senso di appartenenza anche a “contesti” dai confini imprecisati ma tuttavia circoscritti: è come dire che tali risorse , come “segni”1, assumono un significato specifico, chiaro e condiviso quando calati in contesti culturali 1 Santagata, Walter. 1998. Simbolo e merce. I mercati dei giovani artisti e le istituzioni dell’arte contemporanea. Bologna: Il Mulino; Throsby, David. 2001.Economics and Culture. Cambridge: Cambridge University Press.

particolari che li decodificano, restituendoci per analogia informazioni, sensazioni a noi in qualche modo familiari. Infatti una stessa risorsa, materiale e/o immateriale (un oggetto, un’immagine, un suono, ecc…) può rinviare ed assumere significati diversi a seconda del contesto di riferimento. Questa sensazione ci fa sentire inconsapevolmente e/o consapevolmente appartenenti ad una realtà comune, in cui i linguaggi risultano intellegibili in modo quasi automatico, naturale. E’ così che la coscienza Europea attraverso i suoi molteplici “linguaggi” svela, nelle diverse forme, l’appartenenza ad una origine, una tradizione, una storia, un sentire comune.

Metropolitana di Napoli, progettata dall’architetto catalano Óscar Tusquets Blanca

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L’arte, è di sicuro una delle tante declinazioni dei linguaggi dell’Europa.

I “segni” dell’Arte, come risorse comuni. Pur considerando insostituibile un approccio storico ai temi dell’arte, è alla percezione identitaria dei sui segni che rivolgiamo la nostra attenzione, come riferimento imprescindibile per comprendere il valore unitario che essi assumono oggi nella nostra coscienza sociale, culturale, politica ed economica.; è così che il capitale culturale individuale e collettivo della società di riferimento di ogni individuo contribuisce a creare, interpretare e tramandare questo set di “segni” comuni rafforzando valori condivisi. Dall’arte greca, a quella romana, dal rinascimento al manierismo sino alle avanguardie storiche, l’Europa è stata percorsa da idee e persone che, talvolta in sintonia, altre in contraddizione tra loro, ne hanno plasmato la struttura culturale, sociale ed economica; non è superfluo ricordare i fatti che dal XVIII sec, con gli ideali della rivoluzione francese, i valori della classe borghese, l’affrancamento dai “ fantasmi di origine medievale” con le ricerche illuministiche di libertà e fiducia nella ragione , hanno animato e ridisegnato in senso moderno la società europea. Gli stessi artisti sono portatori e testimoni di una consapevole appartenenza ad una tradizione, sebbene multiforme e mutevole, come naturalmente è ogni fenomeno artistico, ma ancorato tuttavia ad un passato dal quale talvolta tentano di svincolarsi perseguendo ad esempio le innovazioni espressive della cultura statunitense del secondo dopoguerra. “Scavalcare le strutture europee legate ad un grande passato e , appunto per questo , più restie ad una proiezione nel futuro.(…) Basti ricordare che tra il 1915 e il 1919 , Marcel Duchamp, insieme a Picabia e a Man ray, avevano fondato il dada americano, dando scandalo con i primi ready – mades”.2

2 Benemia, Antonio, Livio Billo e Roberto

Il percorso artistico dell’Europa infatti presenta tratti propri, distintivi, riconducibili ad un forte rimando ad un ampio contesto storico-culturale ; impegno ideologico; tempi di storicizzazione lenti differenziandosi ad esempio dall’arte americana che lavora sul prolungamento del suo presente; l’opera si lega intrinsecamente al quotidiano; vi è una completa adesione ai mezzi adoperati; estensione della sperimentazione; massima analisi dei propri strumenti linguistici.3

Una dicotomia tra questi due sistemi dell’arte, che si pone al fruitore in tutta la sua evidenza, cosicché lo stesso mercato ne resta influenzato.

L’arte come risorsa identitariaDalla definizione dei suoi tratti distintivi, in Europa, inizia a delinearsi anche la consapevolezza collettiva, e direi istituzionale e normativa , della complessità di questo enorme patrimonio culturale e dei suoi effetti riflessivi sui processi economici e sociali. Questo processo appare proprio come la ricomposizione di tutti i tasselli di un mosaico, con un disegno non pensato ex-ante ma che con uno sguardo più generale ed unitario trovano la loro naturale collocazione .Il patrimonio culturale Europeo, laddove la produzione artistica , ha iniziato ad acquisire un valore meritorio ed economico attraverso un lungo processo di storicizzazione e legittimazione, ha esteso il suo concetto alle “cose di interesse storico artistico”, creando, consolidando e trasmettendo il suo concetto di “identity”. L’atto di riconoscimento di tale “milieu” materiale ed immateriale rappresenta un passaggio fondamentale per l’implementazione di tutte le azioni rivolte anche alla conservazione, alla tutela e quindi, alla trasmissione alle generazioni future di tali risorse: “ The significance , Nuccetelli. 1992. Arte immagine. Bologna: Calderini.

3 Poli, Francesco. 2004. Il sistema dell’arte contemporanea. Bari: Editori Laterza.

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not yet fully revealed, of much celebrated Gioconda, is not soley bound to Leonardo’s poetics and to the requirements of his commissioners, but also to Francesco I’s hobby of collecting, to the constitution of the Louvre museum during the years of the French revolution, to the nineteenth-century interpretative stereotypes, and to Marcel Duchamp’s Dadaist desecration- in adding a moustache to the portrait- and so on”.4

La creatività nell’arte come volano per lo sviluppoI canoni estetici dell’arte cambiano nel tempo e nello spazio, i nuovi regimi politici scalciano via i vecchi, le mode, nel frattempo generano vacui e volatili stereotipi, ma intanto ciò che la storia ha

4 Corrado, Adriana. 2003. European Art and Cultures. Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane.

sancito come bene artistico- culturale resta nel nostro immaginario oltre che nei Musei. A tal proposito, non dimentichiamo il ruolo fondamentale svolto, a partire soprattutto dall’800, proprio dai musei , come istituzione a destinazione pubblica, che raccoglie e ramifica la produzione e la conoscenza. Esiste però, un comune denominatore nella produzione artistica, che oltre ogni contingenza, conduce fino ad oggi unificando i diversi percorsi : la creatività. Fondamento naturale, di ogni atto artistico, la creatività, (al di la delle molteplici, eterogenee speculazioni teoriche),5 rappresenta l’ “assioma” esplicativo della crescita e dello

5 Commissione sulla creatività e produzione di Cultura in Italia, (2007) Libro bianco sulla Creatività, a cura di W. Santagata, MIBAC; Bertacchini, Enrico e Walter Santagata. 2012. Atmosfera Creativa. Bologna: Il Mulino.

Berlino - © European Union 2014 - European Parliament

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sviluppo di ogni civiltà, in tutte le sue forme. Oggi, ancor di più, o forse semplicemente con maggiore consapevolezza, la creatività è percepita come espressione del cammino passato e futuro dei popoli.; “Dall’Atene di Pericle alla Firenze rinascimentale fino alla Berlino di oggi, l’atmosfera creativa è il frutto di un’intensa circolazione di idee su prodotti, stili, espressioni artistiche (…)”.6 Con questo approccio, possiamo rileggere la “Storia Artistica dell’Europa”, spostando l’attenzione dai suoi canoni estetici e formali, al significato che oggi essi assumono nella loro parabola temporale. La diffusione e l’attestazione della validità identitaria di tali segni solleva infatti una riflessione, sul fatto che oggi, l’arte ed ogni sua manifestazione, in quanto atto creativo, va riletta in un contesto, cum textum, i cui processi appunto si intrecciano tra loro, sollevando la necessità di interpretarla, preservarla e valorizzarla con tutti gli strumenti dei quali la società moderna si avvale: “Di sicuro, (…) le avanguardie artistiche svolgono anche la funzione , sperimentando forme e linguaggi diversi ed innovativi, di aprire la strada a rappresentazioni o modificazioni della realtà che potranno tradursi e concretizzarsi in nuovi esiti del design, della moda, della comunicazione pubblicitaria, della produzione materiale ed immateriale”.7

Sempre in viaggio, vecchi e nuovi capolavori dell’arte Europea, Boetti, Chagall, T. de Lempicka, M.Dumas, Fontana, Manzoni, Giotto, (solo per citare le mostre più recenti) sono a testimonianza del prolungamento di un percorso, in cui l’arte e la creatività si sono intrecciati, diffondendo il capitale simbolico e l’immagine del territorio, ma con rinnovato slancio.“ In questo panorama, la cultura e la creatività sembrano imporsi all’attenzione come nuovi

6 Bertacchini Enrico e Walter Santagata. 2012. Atmosfera Creativa. Bologna: Il Mulino

7 P.L. Sacco, W, Santagata, M. Trimarchi, (2005) L’arte contemporanea italiana nel mondo, Ginevra-Milano, Skira

fattori di crescita e sviluppo per diversi motivi.” Conclusioni Dal Trattato di Maastricht con l’art. 128 (ora 151), ai programmi dell’UE in tema di Beni Culturali, ( Programma Cultura 2000 (2000-2006), Programma Cultura (2007-2013), Agenda Europea per la Cultura (2007) , Anno Europeo del dialogo interculturale (2008) , Trattato di Lisbona (2009), Libro Verde sulle industrie culturali e creative (2010) , Consultazione pubblica sul futuro del Programma Cultura (Settembre 2010), Proposta di un Programma Quadro per la Cultura: Creative europe (Giugno 2011), sino ai lavori internazionali ( Human Development Report dell’ Undp del 1991; The Economy of Culture in Europe (2006); Creative Economy Report dell’ Unctad Del 2008) emerge la rilevanza politica, culturale e scientifica delle tematiche affrontate. Ma questo richiede una ulteriore trattazione. Con questo articolo abbiamo voluto puntare la nostra attenzione sul ruolo assunto oggi dall’arte come precondizione allo sviluppo sociale, secondo un processo di democratizzazione, a cui tutti noi siamo chiamati a partecipare, come cittadini europei.

Questa nuova prospettiva èanche il nuovo “segno” che oggi dobbiamo riconoscerecome nuova risorsa comune.

Bibliografia Amari, Monica. 2006. Progettazione Culturale. Milano: Franco AngeliBenemia, Antonio, Livio Billo e Roberto Nuccetelli. 1992. Arte immagine. Bologna: CalderiniBertacchini Enrico, Walter Santagata. 2012. Atmosfera Creativa. Bologna: Il Mulino Caves, Richard E. 2000. Creative industries: contracts between art and commerce. Harvard University PressCorrado, Adriana. 2003. European Art and Cultures. Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane

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Commissione sulla creatività e produzione di Cultura in Italia, (2007) Libro bianco sulla Creatività, a cura di W. Santagata, MIBACPoli, Francesco. 2004. Il sistema dell’arte contemporanea. Bari: Editori LaterzaSacco, P. Luigi, Walter Santagata e Michele Trimarchi. 2005. L’arte contemporanea

italiana nel mondo. Ginevra-Milano: Skira. Santagata, Walter. 1998. Simbolo e merce. I mercati dei giovani artisti e le istituzioni dell’arte contemporanea. Bologna: Il MulinoThrosby, David. 2001. Economics and Culture, Cambridge: Cambridge University Press.

Toro nel Zamora - Restauro della facciata della Collegiate Church of Santa María la Mayo - Foto da Pinterest - European Commission - https://www.pinterest.com/pin/506655026803602878/

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di CARMEN CIOFFI Centro Europe Direct LUPT Università degli Studi di Napoli Federico II Direttore della Sezione Strategica Formazione, euromentoring e service learning Responsabile area di ricerca “Valorizzazione del capitale intellettuale per le politiche di sviluppo locale” del Centro “Raffaele d’Ambrosio” (L.U.P.T.) dell’Università degli Studi di Napoli Federico II

Beni culturali: tutela e valorizzazione

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Abstract

Cultural heritage preservation and enhancement represent a challenging topic for the scholars on management disciplines. The difficulty to define strategies for the management and enhancement of this heritage depends not only on the heterogeneity of cultural products, but also on the variety of the organizations involved, directly or indirectly, within the process of value creation. This implies that the value of heritage is not only cultural, but also social and economic; it is thus a multidimensional value. The aim of this paper is to highlight the synergies generating value, which derive from the interdependence among enhancement of cultural heritage, local development and tourism.

Il concetto di salvaguardia del patrimonio artistico e culturale è presente nell’ordinamento giuridico italiano sostanzialmente sin dalla nascita dello stato unitario, nel solco di una tradizione che risale al Rinascimento. Tuttavia è solo nei primi anni del XX secolo che si avvia nel nostro Paese la definizione di un sistema coerente di tutela.La Convenzione UNESCO del 23 novembre 1972 per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale considera all’Art.1 come “patrimonio culturale”: “i monumenti: opere architettoniche, plastiche o pittoriche monumentali, elementi o strutture di carattere archeologico, iscrizioni, grotte e gruppi di elementi di valore universale eccezionale

dall’aspetto storico, artistico o scientifico, - gli agglomerati: gruppi di costruzioni isolate o riunite che, per la loro architettura, unità o integrazione nel paesaggio hanno valore universale eccezionale dall’aspetto storico, artistico o scientifico, - i siti: opere dell’uomo o opere coniugate dell’uomo e della natura, come anche le zone, compresi i siti archeologici, di valore universale eccezionale dall’aspetto storico ed estetico, etnologico o antropologico1 ”La Raccomandazione R (98) 5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del

1 Art. 1 Convenzione riguardante la protezione sul piano mondiale del patrimonio culturale e naturale, Parigi, 16 novembre 1972

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17 marzo 1998 in tema di educazione al patrimonio definisce “patrimonio culturale”: “ogni testimonianza materiale e immateriale dell’impegno umano e delle attività umane nell’ambiente naturale2 ”. Si tratta di una definizione onnicomprensiva che anticipa la Convenzione europea sul Paesaggio, del 20 ottobre 2000, che fa del rapporto tra natura e cultura uno degli aspetti più rilevanti delle ricerche e delle politiche attuali e la Convenzione mondiale per la salvaguardia del patrimonio intangibile dell’UNESCO del 2003 che introduce una nuova categoria di patrimonio culturale, quello immateriale, intangibile.Tale 3convenzione definisce il patrimonio culturale immateriale come “le pratiche, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, i saperi – così come gli strumenti , gli oggetti, gli artefatti e gli spazi culturali loro associati – che le comunità, i gruppi e, eventualmente gli individui riconoscono come parte del loro patrimonio culturale4 ”.Il Patrimonio Culturale risulta essere un insieme organico di opere, monumenti, musei, case, paesaggi, città, costumi e tradizioni strettamente legato al territorio che lo ha prodotto.5Questo patrimonio, nel suo complesso, costituisce un elemento portante della società civile e della identità dei cittadini degli antichi stati prima e dell’Italia dopo.In altri termini è un insieme di beni materiali e immateriali, la cui espressione materiale

2 Raccomandazione R (98) 5 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa in tema di educazione al patrimonio

3 Il 17 ottobre del 2003 la XXXII sessione della Conferenza Generale dell’UNESCO ha adottato la Convenzione per la salvaguardia del Patrimonio culturale immateriale.

4 Art. 2 par. 1 de la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, Parigi, 17 ottobre 2003

5 “Esso è espressione della comunità in cui si è sviluppato, della sua storia, del suo territorio, la sua esistenza è legata alla pratica e alla capacità di queste tradizioni di adattarsi dinamicamente all’ambiente e alle necessità contemporanee” Cominelli, 2010

(musei, opere d’arte, case, paesaggi) serve anche a richiamare la parte immateriale costituita dalla cultura, dalla lingua, dai modi di pensare comuni.Il termine “valorizzazione” ha assunto un valore particolare con l’introduzione della legge costituzionale n.3 del 2001 di revisione del Titolo V della Costituzione, la quale riserva allo Stato la tutela del patrimonio (ai sensi dell’art. 117, 2° comma), mentre attribuisce potere legislativo concorrente tra Stato e Regioni in materia di valorizzazione dei beni culturali, promozione e organizzazione di attività culturali. Questo modello di riparto delle competenze è ulteriormente arricchito con la previsione (di cui all’ultimo comma dell’art. 116) della possibilità di attribuire a singole Regioni, diverse da quelle che già godono di autonomia speciale, su loro richiesta e con approvazione a maggioranza qualificata da parte del Parlamento, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in materia di tutela6. Tutela e cura dei beni culturali nonché promozione dello sviluppo della cultura, in cui si sintetizza la valorizzazione, non costituiscono, dunque, una riserva di competenza statale, ma sono compiti assegnati, attraverso forme di intesa e coordinamento, a Stato e Regioni (art. 118, comma 3)7. Il nuovo quadro costituzionale può, dunque, conclusivamente essere tracciato nel modo seguente: tassatività delle competenze esclusive dello Stato in materia di tutela; • competenza concorrente regionale relativamente alla valorizzazione dei beni culturali; • nuova allocazione delle funzioni amministrative; possibilità di delega della potestà regolamentare alle Regioni di materie di competenza esclusiva statale; • utilizzo delle intese per l’attività di tutela. I concetti di tutela, pubblica fruizione e

6 14 Cfr. Francola, Valerio. 2010. La salvaguardia del nostro patrimonio culturale, la salvaguardia di un bene comune. Astrid

7 Costituzione della Repubblica Italiana art.118, terzo comma: “La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.”

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valorizzazione del patrimonio artistico culturale e paesaggistico sono alla base del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (entrato in vigore il 1° maggio 2004 e conosciuto anche come Codice Urbani dal nome del Ministro proponente) che propone una risistemazione aggiornata della normazione in materia di beni culturali8.Ai sensi dell’art.10 di tale Decreto Legislativo, “Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico Sono inoltre beni culturali “:d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica,

8 Decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n.137

dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religioseTali immobili sempre secondo il Codice di Beni culturali e del paesaggio, bisogna non solo tutelarli ma soprattutto valorizzarli, infatti l’art.6 recita:“La valorizzazione del patrimonio culturale statale consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina di tutte quelle attività a cura dell’Amministrazione dei Beni Culturali volte a promuovere la conoscenza del patrimonio nazionale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione del patrimonio stesso ad ogni tipo di pubblico, al fine di incentivare lo sviluppo della cultura”All’articolo 3 del codice viene definita la tutela del patrimonio culturale; essa “consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione” , una definizione conforme ed in linea con le precedenti leggi del 1939.9

9 [Visser Travagli, Donato, 2010]

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Al comma 2 del medesimo articolo viene specificato come “La valorizzazione e’ attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze”. Sulla base di questa preliminare divisione, il Codice Urbani interviene, poi, a dettare tutta la disciplina legislativa delle funzioni di “tutela” di competenza esclusiva dello Stato e i principi fondamentali a cui le Regioni devono attenersi nella disciplina legislativa della valorizzazione. La tutela è definita come l’esercizio delle funzioni e della disciplina delle attività dirette, sulla base di una adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni che costituiscono il patrimonio culturale, a garantirne protezione e conservazione per fini di pubblica utilità, a regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale. Le funzioni di tutela sono attribuite al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che può esercitarle direttamente ovvero conferirne l’esercizio alle Regioni, attraverso lo strumento delle intese o del coordinamento.Il Codice individua la categoria dei beni culturali da tutelare a partire da una doppia direttrice: l’appartenenza a soggetti pubblici o privati ed il regime di tutela a cui i beni sono assoggettati. I beni mobili ed immobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli Enti pubblici territoriali, agli Enti/Istituzioni pubbliche, ovvero alle persone giuridiche senza fini di lucro, che non siano opere di autore vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre 50 anni sono sottoposti ad una tutela provvisoria, la cui durata è subordinata al tempo occorrente per la verifica dell’interesse culturale, a cui consegue l’eventuale transito definitivo al regime di tutela codicistico10. Il

10 Il decreto legge 13 maggio 2011 n.70, cosiddetto Decreto Sviluppo, prevede al comma 16 dell’articolo 4 “ Costruzione delle opere pubbliche” una serie di modifiche al Codice dei Beni culturali al fine di “riconoscere massima attuazione al federalismo demaniale e di semplificare i procedimenti amministrativi relativi ad interventi edilizi” in quei comuni che adeguano gli strumenti urbanistici alle prescrizioni dei piani paesaggistici regionali. Limitatamente al patrimonio immobiliare appartenente a soggetti pubblici e assimilati (come gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e le onlus)

regime introdotto dal codice Urbani riguardo ai beni pubblici è innovativo rispetto a quello precedente. Infatti, nella previsione del precedente Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, la natura intrinseca di bene culturale unitamente alla considerazione della natura dell’ente proprietario, venivano ritenute condizioni sufficienti e necessarie per l’assoggettamento alle disposizioni di tutela, senza bisogno di nessuna valutazione del valore storico – artistico del bene pubblico. La valorizzazione viene intesa come “esercizio delle funzioni e delle discipline delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura”; un importante punto di partenza di ogni riflessione che riconduce la valorizzazione ad uno strettissimo rapporto di collaborazione (subordinata) con l’esercizio della tutela del bene culturale fortemente incentrato sulla conoscenza di esso e sulla ricerca. Il codice fissa i principi fondamentali in tema di valorizzazione e, nel rispetto di tali principi, le Regioni dettano la disciplina necessaria a dare loro concreta attuazione. Il Codice affida al Ministero, alle Regioni e agli altri enti pubblici territoriali il compito di fissare i livelli uniformi di qualità della valorizzazione. Il Codice ha dunque riaffermato il principio-cardine del nostro sistema e cioè che la funzione di tutela sia riservata a un livello di governo super partes, sottratto al “conflitto di interessi”, nonché la necessità di assicurare uno standard minimo comune di tecnicità dell’esercizio della tutela, affidandolo ad uffici tecnici statali (Soprintendenze)11. Non si può il requisito temporale attestante la presunzione di culturalità del bene è portato da cinquanta a settanta anni. Viene in questo modo eliminato l’obbligo di verifica dell’interesse culturale per i beni immobili pubblici che non abbiano più di settanta anni e viene innalzato da cinquanta a settanta anni il limite del divieto di alienare immobili pubblici che non siano stati sottoposti a verifica di interesse da parte del MiBAC

11 La Corte Costituzionale con sentenza 26/2004 ha ribadito la linea di continuità tra la legislazione del 1997/1998, in materia di

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non notare come nella realtà, sia assai difficile distinguere i due concetti o materie/attività dal momento che “tutelare” un bene culturale significa anche “valorizzarlo”, così come valorizzare un bene significa in primo luogo tutelarlo e come questa “difficoltà semantica” comporti una ulteriore complicazione nei già difficili rapporti fra Stato ed Enti territoriali.Negli anni recenti, al fine di promuovere un coordinamento a livello centrale per la valorizzazione del patrimonio, è stata istituita la direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale (2009)12. La tutela è

decentramento di funzioni, e la legge costituzionale 3/2001, confermando il principio secondo il quale (art.152 d.lgs.112/1998) Stato, Regioni ed enti locali sono competenti ad esercitare le relative attività, ciascuno nel proprio ambi

12 Pubblicato nel Supplemento ordinario alla G.U. n.164 del 17 luglio 2009 il D.P.R. 2 luglio 2009 n. 91 [atto originario | atto originario con aggiornamenti] il nuovo regolamento di riorganizzazione del Ministero e di organizzazione degli Uffici di diretta collaborazione del Ministro per i Beni e le Attività Culturali improntato a misure di maggiore razionalizzazione, efficienza ed economicità della Pubblica Amministrazione, che introduce significative innovazioni mirate a esaltare l’azione di tutela, valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale nazionale e al contempo restituisce centralità alla salvaguardia del paesaggio nel contesto più generale delle belle

indispensabile ma non può essere concepita esclusivamente nei termini di salvaguardia passiva, rivolta alla sola conservazione del bene. Comportamenti che appoggiano tale idea risulterebbero dannosi e discutibili. Le azioni di tutela devono considerare il problema della sostenibilità del bene culturale perché, in un’ottica di progressiva riduzione delle risorse a disposizione per la conservazione del patrimonio culturale, si potrebbe arrivare di fatto all’abbandono del bene stesso e, nei casi più estremi, alla sua definitiva scomparsa. Il vincolo di tutela deve essere inteso non come un limite alla politica e all’azione pubblica ma piuttosto come uno stimolo per elevare la qualità complessiva del territorio al fine di generare nuove forme di sviluppo al contempo economico, sociale, culturale e civile. La valorizzazione deve rafforzare e migliorare la conoscenza e il valore identitario del patrimonio culturale, deve favorire la trasmissione di tale patrimonio alle

arti. Tra le principali novità, infatti, vi è l’istituzione della Direzione Generale per la valorizzazione del Patrimonio Culturale, che consentirà maggiore incisività nella promozione e nello sviluppo di questo settore, con lo scopo di garantire una maggiore conoscibilità e fruibilità dei beni culturali. Importante anche la costituzione della Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte Contemporanee.

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generazioni future e infine creare attorno ad esso iniziative imprenditoriali che consentano di attivare flussi economici e di creare condizioni di ricchezza diffusa. La visione che si vuole proporre, quindi, è quella di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale come strettamente interdipendenti, ovvero l’una non può esistere senza l’altra. Le attività di tutela rappresentano la base per poter realizzare iniziative di valorizzazione durature nel tempo; d’altro canto iniziative di valorizzazione durature nel tempo che fanno risaltare l’importanza del patrimonio culturale per tutta la comunità e rendono evidenti le esigenze di procedere ad operazioni di conservazione e restauro del patrimonio stesso. Una possibile prospettiva è quella che non si possano tenere separate la natura culturale e la natura economica del patrimonio culturale. La funzione della valorizzazione ha ricevuto una disciplina alquanto particolareggiata, subendo ulteriori modifiche anche dai recenti interventi normativi,13 che hanno introdotto rilevanti novità in relazione ai beni di appartenenza pubblica, attraverso la previsione di nuovi meccanismi concertativi. Proprio la concertazione e la leale collaborazione tra soggetti pubblici e privati, permette di elevare la funzione della valorizzazione dei beni culturali ad una posizione di primaria importanza in quello che è un fenomeno assai diffuso: lo sviluppo locale. Il patrimonio culturale, infatti, costituisce una sorta di DNA della comunità, in quanto memoria del passato ed eredità di conoscenze ed è quindi necessario non considerarlo come un elemento separato dal contesto su cui viene ad incidere. Occorre, pertanto, considerare il territorio nella sua globalità, come insieme di passato e presente, di beni culturali e di paesaggio, di attività economiche e abitudini di vita. I beni culturali costituiscono una componente essenziale del territorio e del paesaggio, pertanto entrano a pieno diritto nel contesto antropico contemporaneo e ne rappresentano un dato, della cui esistenza non può prescindere neppure chi non voglia attribuirvi alcun valore dal punto di vista culturale. Nella nostra società, l’interesse

13 d.lgs. 156/2006

recente e crescente per i beni culturali e per il recupero dei luoghi – memoria nasce essenzialmente dal rispetto delle proprie origini e dalla consapevolezza che essi rappresentano un patrimonio inalienabile e irripetibile di valori storici, ambientali e artistici da conservare, ordinare e proteggere affinché non si perdano le tracce di quella ricchezza di testimonianze che forma la nostra comune identità culturale. Occorre, quindi, assicurare alle generazioni future la fruizione del patrimonio culturale di cui si dispone, ponendo molta attenzione alla sua funzione di testimonianza del passato oltre che a quella di fonte di sviluppo economico. Per raggiungere tali obiettivi è necessaria la partecipazione attiva delle forze della cultura e di tutti coloro che svolgono un ruolo attivo nella moderna società. Bisogna favorire una politica che promuova l’interscambio tra i beni, il loro territorio e la collettività. Pertanto, è necessario che i relativi provvedimenti di tutela e valorizzazione siano inquadrati in un contesto programmatico sufficientemente coordinato e orientato in un’ottica che eviti lo svuotamento dei luoghi e, allo stesso tempo, controlli l’intera fenomenologia che in senso economico, sociale, culturale e funzionale condiziona direttamente e indirettamente la conservazione della tradizione di una comunità.La cultura, dunque, non sembra più suscettibile di una visione del tutto estranea alle logiche generali che governano i fenomeni di sviluppo locale, ma costituisce, essa stessa, un fattore attivo di crescita socio-economica di un territorio. Si tratta, quindi, di orientare l’azione di programmazione verso processi che includano, nella politica culturale, obiettivi non solo connessi alla tutela ma anche alla valorizzazione e alla promozione, e di puntare su interventi in grado di coinvolgere mettendo a “sistema” tutte le risorse, umane, materiali e immateriali, disponibili in tale ambito e su modelli di gestione unitaria ed integrata del patrimonio culturale, turistico e ambientale di un territorio al fine di conseguire qualità dei servizi, efficienza nella spesa, economie di scala e capacità di aggregazione della domanda.

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di ROBERTA CAPUANO Centro Europe Direct LUPT Università degli Studi di Napoli Federico II Co-Direttore del Coordinamento di Settore “Città mediterranea e cooperazione euro mediterranea”

Nuove prospettive delle politiche europee: ripartire dal Mediterraneo

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Abstract

Economic crisis and geopolitical transformations have determined a needed revision of the European policies for the next years. Starting from the achieved results and from those who have not been achieved, EU is preparing to face new challenges, focusing on the relations with the third Countries and in particular with the Countries of Mediterranean basin. Thus, starting from the own origins, from the Mediterranean.

Il momento storico in cui viviamo è caratterizzato dalla rapidità delle trasformazioni che si stanno compiendo e che stravolgono il piano geopolitico globale; se a tutto ciò si aggiunge la persistente e complessa situazione economica, abbiamo sufficienti elementi per alimentare quotidianamente il dibattito sempre più condito di critiche e sfiducia nei confronti dell’Unione Europea. I limiti delle capacità decisionali nella gestione delle emergenze, le contraddizioni, il deficit democratico, la crisi del sistema monetario sono alcuni dei punti che emergono dal dibattito. Partendo da tali innegabili perplessità, è bene sottolineare che l’unica dimensione di riferimento concepibile da cui ripartire e da cui proiettarsi verso il futuro resta la prospettiva

europea. Ripartire vuol dire innanzitutto recuperare quanto di positivo è stato realizzato nel percorso di costruzione europea, riflettere sullo stato attuale dell’UE adeguando le prossime azioni alle nuove sfide dettate dal contesto geopolitico ed economico europeo e globale.Ripartire è l’intenzione primaria dell’Unione Europea; lo dimostra il processo di revisione di obiettivi e priorità avviato dalla Commissione, alla luce dei mutamenti dello scenario e dall’analisi dei primi feedback provenienti dalla prima fase della programmazione 2014-2020.Le nuove sfide inducono a cogliere il valore della cooperazione e la necessità di dare una nuova spinta all’integrazione europea

© EC Audiovisual Service - Federica Mogherini e Johannes Hahn in conferenza stampa per l’avvio di una consultazione sul futuro della European Neighbourhood Policy (ENP), 4 marzo 2015.

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attraverso efficaci politiche comuni, favorendo la comprensione reciproca dei popoli, puntando al raggiungimento di una piena e consapevole cittadinanza europea e alla convivenza pacifica con le popolazioni più prossime.La nuova programmazione deve essere ricalibrata a partire da una riorganizzazione dei programmi precedenti con lo scopo di ottenere una maggiore efficienza operativa ed informativa e realizzare importanti sinergie tra i differenti ambiti di intervento attenendosi alle linee guida della strategia Europa 2020. Alcuni punti essenziali individuati sono: dare una nuova spinta al processo di integrazione europea; promuovere una multilevel governance che si fondi sul principio di sussidiarietà orizzontale e verticale ovvero sull’interazione continua e il coinvolgimento di tutte le parti sociali (Stato, Regioni, Autonomie Locali, Cittadini); valorizzare lo sviluppo1 anche oltre i confini europei; cogliere le opportunità di cooperazione con i paesi terzi e rilanciare le politiche euro mediterranee.Soprattutto questi ultimi punti si legano alle nuove prospettive delineate dalla Politica Europea di Vicinato che, in virtù del contesto politico-economico internazionale e con attenzione particolare agli scenari di crisi, rendono necessario il ricorso ad una nuova strategia europea e ad un nuovo approccio programmatico in riferimento alle relazioni con i paesi dell’area mediterranea.Il nuovo approccio propone di rilanciare la centralità del Mediterraneo, evidenziando l’enorme importanza che esso ha sempre avuto nelle vicende della storia del mondo: il “mare nostrum” non può essere concepito come una barriera divisoria poiché resta luogo di incontro di culture che, pur manifestandosi nelle loro differenti peculiarità, riversandosi in esso ritrovano un forte senso di unitarietà e appartenenza.

1 Il 2015 è l’Anno europeo per lo svilup-po:è un anno considerato “speciale” perché è dedicato all’azione esterna dell’Unione europea e al ruolo dell’Europa nel mondo.

Fin dalla Dichiarazione di Barcellona del 1995, anno che segnò l’inizio del Partenariato Euro mediterraneo, la Politica Estera dell’UE ha cercato di porre l’accento sulle relazioni con i paesi terzi al di là del mare; spesso però le strategie hanno funzionato in modo anomalo a causa delle divergenti visioni proprio nell’ambito delle politiche euromediterranee, non considerate prioritarie dai paesi nordeuropei, e dello scarso interesse dei paesi della sponda sud a collaborazioni che andassero oltre l’ambito meramente economico.Venendo ai giorni nostri, viste le recenti evoluzioni geopolitiche conseguenti alla “Primavera Araba”e in virtù delle richieste di adesione dei paesi dell’Est, la strategia europea di politica estera si è impegnata sul rafforzamento delle due dimensioni regionali del vicinato (Unione per il Mediterraneo2 e partenariato orientale3): quello dell’Europa Orientale, che ha condotto all’allargamento del 2014; il secondo relativo ad una più stretta collaborazione tra l’Europa e i paesi a sud di essa. Tale partenariato mira a costruire un’area di libero scambio che abbracci tutto il Mediterraneo e che si fondi sulla cooperazione in tre ambiti di collaborazione: politico, al fine di far fronte alle persistenti crisi dell’area (conflitto israelo- palestinese) e promuovere la democrazia; economico, creando un’area di libero scambio; culturale, riaffidando al Mediterraneo il suo ruolo di culla della civiltà e della conoscenza.Dopo l’integrazione dell’Est, l’Europa mediterranea è destinata ad essere un nuovo epicentro e tale spostamento è dovuto in parte all’esigenza di creare un asse alternativo a quello franco-tedesco e in parte al fermento del mondo arabo. In particolare, molti paesi nord-africani mostrano di sentirsi più “mediterranei” che africani indicando in ciò il riconoscersi in una diversa identità comune.

2 Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia.3 Armenia, Azerbaigian, Bielorus-sia, Georgia, Moldova e Ucraina.

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I processi di riforma costituzionale in corso nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente consentono all’UE l’occasione di spianare la strada allo sviluppo graduale della democrazia, nell’ambito di un quadro normativo che riconosca i principi, i valori e i modelli democratici. Questi processi dovranno assicurare una governance adeguata che consenta di far fronte alle sfide locali e alle circostanze specifiche nel rispetto del principio di sussidiarietà. La PEV deve, quindi, sostenere attivamente tali processi e deve essere utile strumento per promuovere le riforme.È pertanto opportuno che la nuova politica di vicinato analizzi accuratamente la metodologia, i concetti e gli strumenti della politica di coesione dell’UE per coinvolgere progressivamente i paesi partner mediterranei nelle politiche e nei programmi strutturali europei. L’ulteriore rafforzamento dell’iniziativa di coordinamento degli investimenti per il Mediterraneo meridionale fornirà di certo un contributo positivo alla

cooperazione allo sviluppo e agli investimenti e va di conseguenza considerata una priorità.Per la realizzazione degli obiettivi della Politica Europea di Vicinato si utilizzano nuovi strumenti finanziari:

ENI 2014-2020ENI- European Neighbourhood Instrument, sostituisce ENPI, dispone di una dotazione pari a Euro 15.432.634.000 per il periodo 2014-2020, destinati al finanziamento di azioni e programmi mirati alla promozione dei valori europei quali la democrazia e i diritti umani, lo stato di diritto, il buon governo e i principi dell’economia di mercato e dello sviluppo sostenibile e inclusivo, con l’obiettivo finale di favorire la creazione di uno spazio di prosperità e buon vicinato. Nell’ambito della politica europea di vicinato, l‘UE fornisce, dove possibile, il quadro per una maggiore mobilità ed un incremento dei contatti tra le società civili (people-to-people). Il supporto finanziario attraverso lo Strumento di Vicinato è strutturato in tre diverse modalità:

© foto da: http://interreg-med.eu/

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- programmi bilaterali, che riguardano il sostegno finanziario ad un singolo Paese partner; - programmi multinazionali, rivolti a tutti

o ad un ristretto numero di Paesi partner e che possono riguardare la cooperazione regionale o sub-regionale; - programmi di cooperazione

transfrontaliera CBC (Cross BorderCooperation) che coinvolgono le zone frontaliere limitrofe, ai quali è allocabile fino al 5% della dotazione finanziaria totale.Oltre a quello specifico della PEV, vi sono altri Programmi europei che si occupano del Mediterraneo:ll programma INTERREG MED riguarda complessivamente 57 regioni di 10 diversi Stati membri UE e 3 Paesi candidati (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro), che si affacciano sul Mediterraneo da nord, dalla Grecia alla Spagna meridionale e ad alcune regioni del Portogallo. Il suo obiettivo è di promuovere la crescita sostenibile nell’area mediterranea rafforzando idee e pratiche innovative e un uso ragionevole delle risorse e sostenendo contemporaneamente l’integrazione sociale attraverso un cooperazione integrata e basata sul territorio. Per realizzare tale obiettivo INTERREG MED finanzierà progetti che prevedono lo scambio di esperienze e conoscenze e il miglioramento delle politiche pubbliche fra autorità nazionali, regionali e locali e altri attori territoriali delle regioni che partecipano al programma.

L’Europa non deve dimenticare la propria storia e le proprie origini perché perdere la propria memoria vuol dire in qualche modo smarrire la propria identità; ecco perché è necessario ripartire dalle radici, restituire al Mediterraneo il suo ruolo antico, quello di culla degli scambi dove, insieme alle merci, ciò che si baratta sono soprattutto idee e culture.Il sud Europa deve essere considerato luogo di opportunità perché si presenta come un laboratorio di pluralità da cui tirare fuori ricchezze e valori su cui costruire un futuro nel segno dei principi europei condivisi. In questa prospettiva, ciò che appare lontano, diverso e talvolta contraddittorio apre ad un arricchimento di quella identità plurale dell’Europa nel segno di appartenenze variopinte e variegate dove la diversità e le differenze sono considerate segno di ricchezza. È infatti estranea alla tradizione europea e mediterranea l’idea della cristallizzazione delle identità e l’assenza di flessibilità; basti pensare che gli intellettuali del mondo antico erano soliti avvicinarsi a culture diverse e a parlare e comprendere molte lingue. Ripartire dunque è l’imperativo dell’Europa per il prossimo futuro: l’orizzonte che si delinea è una dimensione di apertura verso nuove risorse e nuove prospettive al di là dei confini fissati. L’Italia, per motivi di prossimità territoriale, deve essere pronta a tale dimensione.

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di ALESSANDRO JAZZETTI Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Napoli Responsabile scientifico dell’Alto Osservatorio per la Legalità del Centro “Raffaele d’Ambrosio” (L.U.P.T.) dell’Università degli Studi di Napoli Federico II

Lotta alla corruzione, strategie e prospettive

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Abstract

Corruption is a complex phenomenon: it continuously increases and evolves, it has a transnational range and it is characterised, in our Country, by being a “system”, with a structured network of twines which are built among the protagonists of the corruptive agreement: public administrators, entrepreneurs, politicians or Mafiosos. A strong and integrated strategy has to correspond to this phenomenon, and it has not to base on extemporaneous or merely repressive actions anymore, but on a clear design of the Legislator that catches the several aspects and predisposes the needed countermeasures.

Foto da Pinterest - European Commission - https://www.pinterest.com/pin/264234703107981312/

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La corruzione, come le recenti cronache giudiziarie ribadiscono, è un fenomeno complesso, in continua crescita ed evoluzione: al suo diverso atteggiarsi, ai continui intrecci che si stabiliscono tra i protagonisti del patto corruttivo, siano essi pubblici amministratori, imprenditori, politici o mafiosi, deve corrispondere una strategia forte ed integrata, sul piano interno e internazionale.Appare al riguardo significativo come il dato della “percezione” del fenomeno corruttivo superi di gran lunga quello del dato “ufficiale” dei casi di corruzione denunciati, in particolare nel mondo imprenditoriale.La corruzione si presenta, infatti, innanzitutto come un costo diretto per gli operatori economici, stimato in 60 miliardi di euro l’anno (pari a circa il 4% del PIL). La corruzione quindi incide negativamente su un’economia nazionale già colpita dalle conseguenze della crisi economica.L’esigenza di rafforzare la strategia contro la corruzione è stata enunciata dapprima in sede internazionale a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, ponendosi l’accento proprio sugli effetti nocivi che le pratiche corruttive generano sul piano della libera concorrenza, creando distorsioni e ponendo ostacoli ad un corretto sviluppo economico.Si leggano, in tal senso, i vari richiami contenuti nella Convenzione penale sulla corruzione (Strasburgo, 1999) e Protocollo, adottati dal Consiglio d’Europa, la Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale (Palermo, 2000) e la Convenzione sulla corruzione (Merida, 2003), adottate dall’ONU, la Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali (Parigi, 1997) dell’OCSE, l’Azione Comune 98/742/GAI, sulla corruzione nel settore privato e la Decisione quadro 2003/568/GAI, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato, adottate dall’Unione Europea.L’ “stato” della lotta alla corruzione all’interno dell’U.E. è costantemente monitorato ed è

oggetto periodico di relazioni da parte della Commissione, l’ultima delle quali pubblicata il 3 febbraio 2014.La Relazione della Commissione va ad affiancare numerosi altri rapporti di organizzazioni internazionali (OCSE, GRECO, Ue stessa) che si sono susseguiti negli ultimi anni nell’opera di monitoraggio del fenomeno corruttivo in Italia e dei rimedi adottati per contrastarlo. Per la prima volta, però, un’organizzazione internazionale è stata chiamata a valutare il quadro italiano successivamente alle riforme che si sono succedute tra le fine del 2012 e l’inizio del 2013. Il riferimento è, ovviamente, in primo luogo alla l. 6 novembre 2012, n. 190 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”; ma sono stati considerati anche il d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 (sull’incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive e di governo a livello centrale e regionale in seguito a condanne definitive per reati di corruzione o altri reati contro la pubblica amministrazione), il d. lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (sugli obblighi di trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni) e il d. lgs. 8 aprile 2013, n. 39 (sull’inconferibilità e l’incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni in seguito a condanne definitive o non definitive per i reati contro la pubblica amministrazione e gli enti privati in controllo pubblico).Un cenno merita anche il Report annuale del Group of States Against Corruption (GRECO), pubblicato il 18 giugno scorso. Il rapporto contiene una descrizione generale della missione e della struttura del GRECO (pp. 7-11), seguita dall›analisi delle attività e dei risultati relativi al Fourth Evaluation Round, svoltosi a partire dal 2012 ed avente ad oggetto la prevenzione della corruzione rispetto ai parlamentari, alle procure ed ai giudici di alcuni Stati Membri scelti a campione (pp. 12-22). Benché tra gli Stati esaminati non figuri l›Italia (che invece rientrava nel precedente Third

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Evaluation Round, relativo alle figure di reato e al finanziamento della politica), il rapporto risulta comunque di rilevante interesse in ragione del quadro complessivo tracciato con riferimento alla situazione della corruzione nella cd. “grande Europa” (v. in particolare le pp. 19-21, dedicate agli “emerging trends”), una situazione che la Presidente del GRECO Marin Mrcela descrive come preoccupante, osservando nell’introduzione al documento come «too many people in Europe still face corruption in their daily lives».I  punti  deboli riscontrati dal GRECO negli ordinamenti esaminati riguardano, in estrema sintesi: le misure volte a ridurre l›influenzabilità dei parlamentari da parte di soggetti terzi e delle lobby, e le norme sulla trasparenza dei loro patrimoni; le procedure di reclutamento dei giudici, e la composizione dei loro organi di autogoverno; l›indipendenza delle procure dal potere esecutivo. Per tutte e tre

le categorie (parlamentari, giudici, procure), infine, è stata messa in luce l›assenza o la carenza di adeguati codici deontologici, muniti di efficaci sanzioni.

Il fenomeno corruttivo ha indubbiamente una portata globale, transnazionale.È altrettanto indubbio, peraltro, che esso assume connotati affatto peculiari in Italia, per il carattere sistemico del fenomeno, alcune affinità tra corruzione e criminalità organizzata, per il ruolo crescente dei faccendieri.La corruzione è diventata sistema, cioè prassi stabile e strutturata, rete istituzionalizzata di relazioni e scambi illeciti, coinvolgente un po’ tutti i gruppi sociali, fino ad assumere una dimensione “culturale”.Al riguardo va richiamato un rilievo di C.E. Paliero: “La pagina della c.d. ‘concussione ambientale’, cioè la ‘ambientalità’ e il

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consolidamento culturale di modelli di illegalismo sistematizzato in materia politico-economica – modelli che certamente a prima vista nulla avevano e nulla hanno a che fare con il ‘nostro’ tradizionale modello di organizzazione criminale di stampo mafioso – ha dimostrato che due fenomeni in apparenza eterogenei avevano in realtà un identico DNA. Entrambi si accompagnano infatti a quella caratteristica creazione di un ‘clima culturale’ di ‘regole antagonistiche’ (rispetto a quelle legali), e di un ‘sistema di valori’ eteronomo – che sono tipici ab origine della criminalità organizzata – che attraverso una sistemica limitazione delle libere scelte individuali produce in sequenza le violazioni più gravi e progressive dei beni giuridici, in un generale clima di affidamento sulla impunità da parte degli autori, garantito dalla acquiescenza, anch’essa culturale, delle vittime”In questi ultimi anni il nostro Paese è tuttavia tornato ad aggiornare il proprio ordinamento in materia di corruzione, anzitutto provvedendo alla ratifica della Convenzione Penale sulla Corruzione e della Convenzione Civile sulla Corruzione del Consiglio d’Europa (avvenute rispettivamente con legge n. 110 e n. 112, entrambe del 28 giugno 2012), ma è stata indubbiamente la l. 190/2012 il momento più significativo della nuova strategia anticorruzione.Va attribuito merito al nostro legislatore di aver adottato finalmente un approccio complessivo al problema, rifuggendo dai soliti interventi a macchia di leopardo, prevedendo un intervento sia di natura preventivo/amministrativa che di natura repressivo/penale.Sotto il primo aspetto, la legge introduce norme su una maggiore trasparenza sull’uso delle risorse pubbliche, sull’accesso all’informazione, sulla pubblicazione obbligatoria della situazione patrimoniale dei titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri

di indirizzo politico, di livello statale, regionale e locale, e sulla responsabilità per il danno all’immagine della pubblica amministrazione. La nuova legge prevede infine codici di comportamento, introduce disposizioni sulla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti e rafforza alcune disposizioni sul conflitto di interessi, sull’incompatibilità (con periodi di riposo obbligatori) e sui procedimenti disciplinari, prevede che ciascuna amministrazione deve dotarsi di un piano d’azione contro la corruzione, istituisce un’autorità nazionale anticorruzione responsabile della strategia globale (compito affidato alla Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche, CIVIT).

Sotto il secondo aspetto, l’intervento del legislatore si è mosso sia nella direzione di una modifica delle figure di reato già esistenti, attraverso inasprimenti di pena e, soprattutto, lo “spacchettamento” del reato di concussione, con la distinzione tra concussione per costrizione (art. 317 c.p.) e l’indebita induzione (art. 319 quater c.p.), quest’ultima in forma di reato “bilaterale”, sia mediante l’introduzione di nuove figure di reato, quali la corruzione per esercizio della funzione (art. 318 c.p.), il reato di traffico di influenze illecite (art. 346 bis c.p.) e la corruzione tra privati (art. 2635 c.c.).L’intento del legislatore nazionale, sulla spinta di quello europeo e della giurisprudenza della Corte di Cassazione, era quello di intercettare tutta una serie di comportamenti illeciti che caratterizzano le nuove forme in cui si manifesta il fenomeno corruttivo.In particolare, si richiedeva al legislatore italiano di operare in modo da evitare che l’applicazione della concussione potesse funzionare quale strumento di possibile esonero di responsabilità per la corruzione internazionale; più in generale, come rimarcato nel rapporto Greco, era stata

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segnalata la necessità che la previsione di cui al previgente art. 317 cp., non conosciuta nelle restanti codificazioni europee, finisse per consentire al “vero” corruttore di sfuggire alle sanzioni presentandosi come vittima di concussione.La ratio dell’introduzione del nuovo art. 319 quater sta quindi “proprio nell’esigenza, più volte manifestata in sede internazionale, di evitare il più possibile che si aprano spazi di impunità per il privato che effettui dazioni o promesse indebite di denaro o altre utilità ai pubblici funzionari, adeguandosi a prassi di corruzione diffusa in determinati settori” (Garofali, la nuova legge anticorruzione, tra prevenzione e repressione)Che questo obiettivo sia stato raggiunto è presto per dirlo: registriamo, per ora, gli sforzi della Suprema Corte per tracciare un discrimine certo tra la concussione per costrizione e l’indebita induzione (vedi la

sentenza delle Sezioni Unite 12228 del 2014), oltre ai consueti problemi di diritto intertemporale che caratterizzano le riforme in campo penale.Quello che è certo è che la introdotta punibilità del soggetto indotto a dare o promettere utilità al soggetto qualificato indebolisce oggettivamente ed inevitabilmente il quadro repressivo delle corruzioni con un risultato paradossalmente opposto alle proclamate intenzioni di rafforzamento della tutela penale. L’indebolimento riguarda sia il profilo sostanziale che quello processuale. Sotto tale ultimo aspetto non può negarsi che la punibilità di chi è stato indotto all’indebita dazione/promessa rappresenta un ostacolo, difficilmente superabile, alle denunce dei soprusi subiti, che per l’innanzi hanno costituito un punto di forza dell’azione repressiva delle pubbliche prevaricazioni.. Sul versante sostanziale si è aperto un

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vuoto di tutela. con riferimento alle indebite induzioni in cui il soggetto indotto non lucri alcun vantaggio, inopinatamente decriminalizzate e forse per questo destinate a moltiplicarsi, con un effetto perverso sulle proclamate intenzioniIn questo senso, il fatto che il legislatore sia nuovamente intervenuto sul tema con il recente dl anticorruzione, convertito in legge L. 69/2015, lascia intuire che la l. 190 non ha certamente risolto i problemi.Ciò che va evidenziato a proposito del nuovo intervento, al di là dell’inasprimento delle pene ed al rafforzamento dei poteri dell’ANAC, è l’introduzione di una speciale attenuante per “ravvedimento operoso” riconosciuta a chi si adopera efficacemente per evitare conseguenze ulteriori del delitto, per assicurare le prove e individuare i colpevoli o per il sequestro delle somme trasferite, (art. 323-bis c.p. che consente una diminuzione della pena da un terzo a due terzi per colui che, responsabile di specifici delitti contro la pubblica amministrazione (artt. 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis c.p.), “si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite”) ovvero la previsione che nei reati più gravi contro la Pa non si potrà più patteggiare se prima non si è integralmente restituito il prezzo o il profitto del reato e in caso di condanna, il colpevole è comunque sempre obbligato a pagare l’equivalente del profitto o quanto illecitamente percepito o ancora, la modifica dell’art. 165 del codice penale, che subordina l’accesso alla sospensione condizionale della pena per i delitti di cui agli artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320 e 322-bis c.p. “al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio, a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione

lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, ovvero, nel caso di cui all’articolo 319-ter, in favore dell’amministrazione della giustizia, fermo restando il diritto all’ulteriore eventuale risarcimento del danno”.Insomma, un passo avanti verso il riconoscimento di meccanismi premiali, già auspicati all’epoca dell’inchiesta “mani pulite”.Un passo avanti, indubbiamente, è stato fatto con l’approvazione del nuovo testo dell’art. 416 ter cp, concernente il voto di scambio politico/mafioso, che ha esteso la portata della norma, prima limitata alle dazioni di denaro: riforma salutata come uno strumento in più contro le mafie destinato a togliere spazio alla zona grigia» quella del colletti bianchi e delle connivenze con le organizzazioni criminali

Come è stato giustamente affermato, la corruzione come fenomeno empirico corre, se non esclusivamente, sul terreno dell’economia; ogni qual volta, infatti, si voglia rimuovere l’ostacolo costituito dall’esercizio di una funzione ossia dalla gestione di un potere, deviandone, in modo arbitrario, i risultati in proprio favore, comprando i servigi del titolare di tale potere, si perseguono, normalmente, obbiettivi di carattere economico finanziario.Sotto tale aspetto appare evidente l’intreccio che si determina tra gli interessi mafiosi e la corruzione, in particolar modo allorquando l’organizzazione mafiosa assurge a dimensioni più rilevanti.Come è stato rilevato, la collusione di agenti pubblici e di organi dello Stato con i mafiosi è in effetti una condizione necessaria per l’esistenza stessa di organizzazioni criminali così ampie, durature e articolate al loro interno. In questo senso, dunque, il rapporto tra mafia e corruzione è obbligato. Inoltre, l’esistenza di canali di scambio tra gli amministratori pubblici e i mafiosi alimenta un circolo vizioso nel quale l’inefficienza dello stato nel garantire i diritti, la corruzione

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diffusa tra i suoi agenti e la connivenza promuovono quella stessa sfiducia nelle istituzioni pubbliche che sostiene la ricerca di mezzi alternativi per ottenere protezione, ossia la domanda di garanzie mafiose.I meccanismi di governo della corruzione, infatti, sono tanto più sofisticati ed efficaci quanto più il fenomeno pervade il sistema politico-amministrativo e il grande ammontare di risorse in gioco rende conveniente, per alcuni soggetti, specializzarsi nel fornire la protezione necessaria a un’ulteriore espansione delle reti di scambio corrotto. In assenza di forze di segno opposto – derivanti dall’azione degli organi dello stato o dalla diffusione di valori culturali e ideologie avversi alla corruzione – si generano così delle economie di scala che ne riducono costi e rischi attesi quanto più questa si espande, grazie alla formazione di aspettative e regole informali tra loro complementari (A. Vannucci, La “governance” mafiosa della corruzione: dal sistema degli appalti agli scambi politici)La corruzione e il clientelismo rappresentano dunque il terreno di incontro tra mafie, politica e pubblica amministrazione; per i mafiosi la porta d’ingresso negli enti dello Stato. Clientelismo, affarismo e corruttele varie rendono gli apparati territoriali e periferici dello Stato pronti ad essere infiltrati e piegati ai voleri dei clan. Nel rapporto mafie – politica – pubblica amministrazione, la corruzione, il clientelismo e il voto di

scambio giocano, quindi, un ruolo centrale e determinante. L’azione pervasiva della mafia e l’intreccio corruzione/interessi mafiosi si è manifestata e si manifesta in particolar modo nel settore degli appalti pubblici, registrando anche qui una significativa evoluzione.Per lungo tempo il coinvolgimento della mafia nel settore degli appalti è rimasta circoscritta alla fase successiva all’aggiudicazione della gara. Originariamente l’organizzazione mafiosa si è limitata alla semplice riscossione della “guardianìa”, per poi passare al pagamento di un prezzo per la protezione, del tutto analoga a quella incassata per altre attività economiche, secondo consuete logiche parassitarie, e la partecipazione di imprese protette dalla mafia al sistema dei lavori in subappalto.Successivamente, l’organizzazione mafiosa diventa il soggetto garante degli accordi di cartello tra imprenditori, finalizzati ad eludere lo svolgimento di una gara regolare mediante intese volte ad assicurare l’aggiudicazione di questa o quella impresa, anche grazie a collusioni con gli apparati della pubblica amministrazione.Si passa, quindi, da un modello tradizionale di erogazione della protezione alle imprese appaltatrici su basi territoriale al controllo integrale del sistema.

Il problema dei rapporti tra mafia e corruzione non è certo nuovo: come è stato

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rilevato, esso fu colto immediatamente dagli studiosi all’indomani dell’unità d’Italia, unità che comportò l’affermazione del liberalismo e l’introduzione delle elezioni politiche e amministrative. Sia Marco Monnier, in “La camorra” (1863), che Leopoldo Franchetti nella sua indagine sulla mafia siciliana nel 1876, evidenziano il rapporto tra delinquenti e politici, nonché la penetrazione nelle istituzioni dello Stato.Ma anche i liberali meridionali Pasquale Villari, Giustino Fortunato e Pasquale Turiello si accorsero del rapporto tra clan e politica. Fu Giustino Fortunato a coniare le espressioni “bassa camorra”, operante nei quartieri tra la plebe, e “alta camorra” in azione nella pubblica amministrazione, nell’economia e nella stampa. Turiello esaminò (1883) il ruolo del clientelismo e delle organizzazioni criminali nelle battaglie elettorali per comuni, province e parlamento nazionale.Tuttavia, prima che il parlamento italiano adottasse dei provvedimenti specificamente volti a spezzare questo rapporto tra mafie e politica sono dovuti passare ben 128 anni dalla prima denuncia di Monnier: la legge n.221 del 1991, che prevedeva lo scioglimento degli enti locali infiltrati dai clan.In poco meno di un ventennio di applicazione la legge 221 ha subito diverse modifiche e integrazioni, per confluire infine nel Testo Unico delle leggi sull’Ordinamento degli Enti locali (D.Lgs. n. 267 del 18.8.2000), nella parte dedicata al “Controllo sugli organi” (artt. 143 e seguenti del TUEL), dando discreti frutti, dimostrandosi però incapace di risolvere il problema della penetrazione mafiosa negli enti locali. L’altro strumento specifico volto a spezzare il legame dei mafiosi con i politici, gli amministratori pubblici, ma anche con figure professionali e del mondo economico è il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.Oggi, con la riforma dell’art. 416 ter cp, si rafforza un ulteriore strumento di lotta

all’affarismo politico/mafioso.L’evoluzione della criminalità mafiosa richiede, tuttavia, ulteriori strumenti di lotta.Come emerge dal rapporto della Commissione speciale sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro sporco, istituita con decisione del Parlamento il 14 marzo 2012, le organizzazioni criminali hanno progressivamente ampliato il proprio raggio d’azione su scala internazionale, sfruttando le opportunità offerte dall’apertura delle frontiere interne dell’Unione Europea, oltreché dalla globalizzazione economica e dalle nuove tecnologie, nonché diversificando sempre più le loro attività.In questo contesto l’organizzazione criminale si presenta sempre più simile ad un soggetto economico globale, avente una spiccata vocazione imprenditoriale, specializzato nella fornitura di diverse tipologie di beni e servizi illegali ma in misura crescente anche legali, ed ha un impatto sempre più pesante sull’economia europea e mondiale, con ripercussioni significative sulle entrate fiscali degli Stati membri e dell’Unione nel suo insieme.Come è stato affermato, a differenza della old economy mafiosa che vige ancora in Sicilia, nel meridione e che si basa sulla mentalità predatoria, la new economy, quella che si basa sull’integrazione pacifica cavalcando le logiche del mercato in territori dove non c’è alcuna tradizione mafiosa, è un fenomeno che si sta replicando in tutta l’Europa e a livello mondiale. Le ragioni del successo dell’economia mafiosa e la sua pacifica accettazione dalla parte locale ancora una volta hanno ragioni di mercato: le imprese mafiose sono infatti in grado di offrire alle imprese legali beni e servizi altamente appetibili perché consentono di aumentare i profitti e di ridurre i costi di produzione.Il contrasto alla mafia impone pertanto, alla luce di tale evoluzione del fenomeno mafioso, il passaggio ad una strategia di livello internazionale, fondata su appropriati strumenti di cooperazione giudiziaria.

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di MARIAROSALBA ANGRISANI

Ufficio Trasferimento Tecnologico di Ateneo Federico II, componente del CeRITT, Centro di ricerca sulla Innovazione ed il Trasferimento Tecnologico dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e della AICTT, Associazione per la promozione della Cultura del Trasferimento Tecnologico

La dimensione europea della Corporate Social Responsibility

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Abstract

The European Commission (EC) has been increasingly active in pushing European Union (EU) Member States to implement efficient public policies regarding the adoption of a Corporate Social Responsibility (CSR) approach for both private and public organisations. The 2011 “Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions: A renewed EU strategy 2011-14 for Corporate Social Responsibility (COM(2011)681)” is considered to be a pivotal starting point. The document emphasises the importance of a responsible business conduct underlined by the EU policy agenda. The chosen strategy of the EU Commission indicates the ways in which business can benefit from a CSR-consistent approach and provide an added value for the community, at the same time. Indeed, a rising number of business activities across Europe is choosing to pose CSR strategies at the centre of their business model.This paper aims at showing the ways in which CSR guidelines and provisions enacted by the EU are affecting “responsible” government-driven initiatives within Member States. After a brief review of the theoretical framework regarding the concept of CSR, the paper will focus on the EC approach on CSR. To this end it will analyse both “softer” activities, such as communication and disclosure ones aiming at increasing the awareness of CSR issues, and stronger actions involving government engagement finalised to implement a regulatory framework. Furthermore, an overview of the main international and European regulatory instruments will be provided, concerning the adoption of socially responsible behaviours and their related disclosure to stakeholders and the community as a whole.

Corporate Social Responsibility National Public Policies in the European Union - Compendium 2014

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Sommario

1. Evoluzione del concetto di Corporate Social Responsibility

Secondo un approccio largamente condiviso del concetto di CSR, un’organizzazione economica decide di agire “responsabilmente” al fine di far fronte alle istanze ambientai, sociali e finanziarie derivanti non soltanto dalle interazioni con la comunità “interna”, dunque direttamente correlata al suo operato (Frederick, 1994; Carroll and Buchholtz, 2003), bensì anche per rispondere delle proprie azioni verso l’ambiente esterno in cui è insediata e nei confronti del quale risulta inevitabilmente impegnata nei processi di creazione di valore (Ekeh, 1974; Harrison, Wicks, 2013). In considerazione di tale visione, la responsabilità di un’impresa per le eventuali ricadute esterne della propria attività economica deve essere estesa alla società nel suo complesso poiché la rete di relazioni che lega i diversi attori sociali determina implicazioni anche in termini di diffusione di informazioni e, soprattutto, di percezione dei risultati positivi o negativi del suo operato. Pertanto, la CSR è percepita come un impegno delle imprese a evitare o, quantomeno, ridurre, gli impatti negativi delle proprie azioni nei confronti della società cercando, al contempo, di massimizzarnee gli effetti positivi (Mohr, Webb, Harris, 2001).Peraltro, l’ambito di applicazione e le caratteristiche della CSR in riferimento alle decisioni strategiche d’impresa sono temi ampiamente affrontati in letteratura (Goodpaster, 1991), attraverso l’approccio strategico (Porter, Kramer, 2006; Carroll, Shabana, 2010), ovvero quello multi-fiduciario (Davis, 1973).

2. La Corporate Social Responsibility secondo la Commissione UE “The responsibility of enterprises for their impacts on society”, è ciò che intende la commissione UE nell’esplicitare il concetto di Corporate Social Responsibility (CSR)1.

1 Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee

Tale definizione ha subito un’evoluzione rispetto all’approccio adottato sino al 2011 poiché, nelle sue precedenti definizioni, la Commissione si era limitata ad affermare che, attraverso la CSR, le imprese integrano le tematiche sociali ed ambientali nelle proprie attività e nelle interazioni con i propri stakeholders, su base volontaria2.La Comunicazione del 2011 costituisce un’efficace base di partenza per la diffusione e relativa condivisione di un rinnovato approccio alla CSR.Enfasi viene, altresì, posta sulla condotta responsabile del business determinata dalla policy agenda dell’UE. La strategia indica le modalità attraverso le quali i business possono beneficiare dalla CSR ed apportare valore alla comunità. Un crescente numero di attività imprenditoriali sceglie di porre le strategie di CSR al centro del proprio modello di business, pertanto, oltre all’aspetto prettamente giuridico-normativo, è indispensabile comprendere nello specifico il contesto in cui operare in termini di comportamenti socialmente responsabili, adottando una visione sistemica che consenta di coinvolgere le differenti categorie di soggetti (o stakeholders) che interagiscono con l’impresa, ovvero con un’organizzazione economica in senso lato. 3. Sviluppi delle Politiche di CSR in Europa e Priorità Comuni Al fine di monitorare lo stato di avanzamento e le modalità di attuazione delle politiche di CSR all’interno degli Stati Membri, nel settembre 2014 la Commissione ha pubblicato un apposito report: “CSR. National Public Policies in the EU, 2014”. Tale report costituisce un valido strumento di analisi delle policies di responsabilità sociale adottate dagli Stati Membri che hanno fornito informazioni al riguardo.In particolare, il documento descrive di un’ampia gamma di iniziative socialmente responsabili government-driven che vanno da implementazioni più “soft” (ad esempio

of the Regions: A renewed EU strategy 2011-14 for Corporate Social Responsibility (COM(2011)681).

2 Final Green Paper Promoting a Europe-an framework for Corporate Social Responsibility (COM(2001)366).

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attività divulgative finalizzate ad accrescere la consapevolezza per tali questioni) ad azioni più incisive determinate da guidelines governative e orientate ad una vera e propria regolamentazione normativa in determinati ambiti riguardanti la CSR, così da ridurne il margine volontaristico di attuazione.A corollario delle sue indicazioni strategiche, la Commissione ospita lo “European Multistakeholder Forum on Corporate Social Responsibility”3, uno spazio di dialogo tra stakeholders europei sugli sviluppi in materia di CSR e politiche europee volte a tale fine. L’operato di questo think tank è gestito in collaborazione con un Comitato di Coordinamento in cui in sono rappresentati

3 http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sus-tainable-business/corporate-social-responsibility/multi-stakeholder-forum/index_en.htm

organizzazioni economiche, sindacati, organizzazioni non governative ed altri gruppi di interesse e la Commissione stessa ne ospita la seduta plenaria. In quanto parte del processo di revisione in corso della strategia sulla CSR attualmente promossa, la Commissione ha ospitato la seduta del Forum del 4 e 5 febbraio 20154. Il forum si è sviluppato secondo tredici sessioni parallele: - Mercato interno - Educazione e Capitale umano - Accesso internazionale al mercato - PMI - Cooperazione internazionale allo sviluppo - Business e diritti umani - Appalti pubblici - Innovazione, competitività e crescita - Diritti umani e accesso ai ricorsi per la

4 http://ec.europa.eu/growth/industry/corpo-rate-social-responsibility/index_en.htm

Infografica della “Guide to Corporate Sustainability” - https://www.unglobalcompact.org/library/1151

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loro tutela - Investimenti responsabili - Catena di approvvigionamento

responsabile - Politiche nazionali ed europee in materia

di CSR - Istituzioni finanziarie

In ciascuno Stato Membro dell’UE lo sviluppo di iniziative di CSR è condizionato da una serie di fattori politici, economici, culturali e istituzionali che determinano le relative priorità di intervento. Tuttavia, il report della Commissione ha individuato delle priorità tematiche comuni a molti degli Stati Membri considerati e relativi alle politiche di CSR. In particolare, le priorità maggiormente rilevanti riguardano i seguenti aspetti:- integrare, uniformare o strutturare le policies nazionali in base agli approcci globali alla CSR;- incrementare l’enfasi su business e diritti umani e la gestione responsabile della catena di approvvigionamento; - fornire misure di supporto alle PMI nello sviluppo dell’approccio CSR;- attuare politiche sociali e di impiego finalizzate all’inclusione sociale; - trasmettere al consumatore un elevato grado di consapevolezza delle proprie scelte di acquisto responsabile e, al contempo, delle politiche di business responsabile;- diffondere prassi di reporting e disclosure da parte di imprese di grandi dimensioni in merito alla propria performance in termini di CSR;- promuovere un public procurement sostenibile mediante lo sviluppo, da parte di determinate amministrazioni pubbliche, di strumenti capaci di garantire procedure di appalto e fornitura “responsabili”;- incentivare investimenti socialmente responsabili;- imporre obblighi di rendicontazione finanziaria e anti-corruzione; - porre maggiore attenzione alle questioni relative al cambiamento climatico e alla sostenibilità ambientale.4. Allineamento con gli approcci di CSR a livello Globale

L’adesione a standards condivisi a livello internazionali per l’assunzione di comportamenti socialmente responsabili da parte delle imprese europee consentirebbe una valutazione più agevole delle performance delle organizzazioni economiche che scelgono di aderirvi. Pertanto, la Commissione è da sempre impegnata a spronare le imprese degli Stati Membri a uniformarsi e, conseguentemente, ad agire in conformità alle guidelines di CSR internazionalmente riconosciute, quali, fra tutte:

- le Linee-Guida OCSE per le imprese multinazionali5. Annesse alla Dichiarazione OCSE sugli investimenti internazionali e le imprese multinazionali, suddette raccomandazioni forniscono principi e standards per una condotta di business responsabile delle multinazionali operanti in paesi aderenti alla dichiarazione, ovvero aventi sede legale in tali stati6. A partire dal 1976, tali linee guida sono regolarmente aggiornate.

- I Dieci principi dello UN Global Compact7, suddivisi secondo le categorie diritti umani, 5 http://www.oecd.org/investment/mne/2089880.pdf.

6 Come si evince dall’ultima versione del do-cumento, i punti fondamentali sono i seguenti: -Encouraging socially-responsible behaviour in

supply chain management; -Disclosure of information on social and envi-

ronmental performance, observance of codes of conduct and relationships with stakeholders; -Respect for human rights; -Respect for basic individual and collective la-

bour rights; -Protection of the environment and public health

and safety; -Combatting corruption; -Respect for consumer health and safety; -Transfer and diffusion of science and know how,

with due regard to the protection of intellectual property rights; -Prevention of anti-competitive practices; -Contribution to public finances of the host

country.7 https://www.unglobalcompact.org/what-is-gc/mission/principles

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lavoro, ambiente, lotta alla corruzione:Principio IAlle imprese è richiesto di promuovere e rispettare i diritti umani universalmente riconosciuti nell’ambito delle rispettive sfere di influenza; e di Principio IIassicurarsi di non essere, seppure indirettamente, complici negli abusi dei diritti umani. Principio IIIAlle imprese è richiesto di sostenere la libertà di associazione dei lavoratori e riconoscere il diritto alla contrattazione collettiva; Principio IVl’eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato e obbligatorio; Principio Vl’effettiva eliminazione del lavoro minorile; Principio VIl’eliminazione di ogni forma di discriminazione in materia di impiego e professione. Principio VIIAlle imprese è richiesto di sostenere un approccio preventivo nei confronti delle sfide ambientali; di

Principio VIIIintraprendere iniziative che promuovano una maggiore responsabilità ambientale; e di Principio IXincoraggiare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie che rispettino l’ambiente. Principio XLe imprese si impegnano a contrastare la corruzione in ogni sua forma, incluse l’estorsione e le tangenti.

- Gli UN Guiding Principles on Business and Human Rights (UNGP)L’Unione Europea riconosce le UNGP quale framework efficace per il perseguimento di un business responsabile e ha provveduto a renderlo parte integrante della propria strategia in materia di CSR, come dimostra lo “stato dell’arte” riguardante l’implementazione di tali principi che forma oggetto di un recente documento di lavoro pubblicato dalla Commissione nel luglio 20158.

8 COMMISSION STAFF WORKING DOCU-MENT on Implementing the UN Guiding Principles on Business and Human Rights - State of Play, Eu-

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Adottati nel 2011, gli UNGPs sono fondati sul riconoscimento: - di obbligazioni degli stati di rispetto,

protezione e garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali; - del ruolo delle imprese come organismi

specializzati della società che svolgano funzioni a loro volta specializzate, vincolate ad un comportamento conforme a tutte le leggi applicabili in materia di diritti dell’uomo; - della necessità di associare diritti ed

obblighi ad un adeguato ed efficace sistema sanzionatorio qualora si incorra in violazioni.

- La ILO Tri-partite Declaration of Principles on Multinational Enterprises and Social Policy9

Tale dichiarazione integra il dettato della “ILO Declaration on Fundamental Principles and Rights at Work” del 1998 e intende offrire linee guida alle multinazionali, ai governi, ai datori di lavoro e agli impiegati per una corretta e responsabile gestione delle fattispecie relative a impiego, formazione, condizioni di vita e di lavoro e relazioni industriali.

ropean Commission SWD(2015) 144 final (Brussels, 14.7.2015).

9 http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---ed_emp/---emp_ent/---multi/documents/publica-tion/wcms_094386.pdf.

- L’ ISO 26000 Guidance Standard on Social Responsibility. ISO 26000 è lo standard per la responsabilità sociale di tutte le tipologie di organizzazioni, prodotto dall’International Standards Organisation nel 2010. Per assicurare un livello di uniformità ha sottoscritto accordi con l’ILO, il Global Compact, la Global Reporting Initiative (GRI) e l’OCSE. ISO 26000 non fornisce modalità di reporting della performance socialmente responsabile, bensì una struttura per organizzare le proprie attività così da misurarle secondo le indicazioni del GRI. Sebbene alcuni paesi, quali la Germania e l’Italia, abbiano sviluppato a livello nazionale alcuni strumenti per la definizione di indicatori di performance socialmente responsabili (in Italia il GBS- Gruppo di studio per il Bilancio Sociale-), ogni organizzazione economica può scegliere liberamente a quale tipologia di standards (nazionali o internazionali) aderire nella propria rendicontazione sociale.

5. CSR Reporting e la Direttiva 2014/95/UE sulla non-financial disclosureIl reporting sugli aspetti non finanziari della performance di un’impresa sta diventando una misura sempre più comune per l’accertamento dei risultati in termini di CSR conseguiti nell’ambito della propria attività economica.

Materiali dell’OECD Global Forum su Slide Share

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Come già osservato a proposito della varietà di standard che un’organizzazione economica può adottare per descrivere la sua performance non finanziaria, diverse regole possono applicarsi in riferimento a cosa “contabilizzare”, da parte di chi e in relazione a quale specifica procedura ufficiale di reporting. Quest’ultimo concetto, infatti, implica un effetto significativo sulla portata delle informazioni da valutare in quanto parte di un processo più ampio di contabilizzazione da parte della società di auditing. Ciò, in considerazione della questione relativa alla garanzia di integrale indipendenza della verifica di tali contenuti, che permane, in molti casi, ancora problematica. I requisiti normativi sul non-financial reporting non sono uniformemente diffusi e condivisi all’interno degli Stati Membri, sebbene siano più comuni in quei paesi in cui la cultura aziendale sia caratterizzata da una consolidata tradizione in termini di CSR, ovvero vi sia una forte presenza di imprese a proprietà statale.Il processo di rendicontazione delle attività socialmente responsabili sta subendo, tuttavia, una graduale diffusione anche all’interno dei rimanenti paesi dell’Unione, attraverso attività pilota o una maggiore attenzione all’utilizzo delle guidelines internazionali a cui si è accennato nel paragrafo precedente.Alcuni governi nazionali, quali quello danese, quello inglese e quello francese, hanno imposto obblighi di rendicontazione per le imprese di grandi dimensioni su alcuni aspetti della propria attività di CSR, tipicamente correlate all’attenzione ai diritti umani o alla protezione dell’ambiente. Una spinta innovativa in tale senso, promossa e integrata negli ultimi anni dalla Commissione, è stata recentemente condivisa dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione attraverso l’emanazione della Direttiva 2014/95/UE sulla “non-financial disclosure”10, che apporta delle modifiche

10 DIRETTIVA 2014/95/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 22 ottobre 2014 recante modifica della direttiva 2013/34/UE per quan-to riguarda la comunicazione di informazioni di ca-rattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni.

alla direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento.Le novità più interessanti di tale documento pertengono, in primo luogo, all’ampliamento delle Categorie di Imprese interessate, attraverso l’inserimento dell’articolo 19 bis riguardante la dichiarazione di carattere non finanziario. La norma prevede, infatti, che le imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico debbano includere “nella relazione sulla gestione una dichiarazione di carattere non finanziario contenente almeno informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura necessaria alla comprensione dell’andamento dell’impresa, dei suoi risultati, della sua situazione e dell’impatto della sua attività”11. Peraltro, qualora un’impresa non applichi politiche in relazione a uno o più degli aspetti descritti dalla norma, la dichiarazione di carattere non finanziario deve motivare in maniera chiara e articolata questa scelta. Inoltre, la menzionata dichiarazione deve contenere, ove opportuno, riferimenti agli importi registrati nei bilanci d’esercizio annuali e ulteriori precisazioni in merito. In riferimento agli standards da adottare, il medesimo paragrafo stabilisce che gli Stati membri provvedono affinché le imprese possano basarsi su standard nazionali, unionali o internazionali, specificando lo standard seguito.Per quanto attiene al controllo e alla revisione,

11 “tra cui: a) una breve descrizione del modello aziendale dell’impresa; b) una descrizione delle politiche applicate dall’im-presa in merito ai predetti aspetti, comprese le pro-cedure di dovuta diligenza applicate; c) il risultato di tali politiche; d) i principali rischi connessi a tali aspetti legati alle attività dell’impresa anche in riferimento, ove op-portuno e proporzionato, ai suoi rapporti, prodotti e servizi commerciali che possono avere ripercussioni negative in tali ambiti, nonché le relative modalità di gestione adottate dall’impresa; e) gli indicatori fondamentali di prestazione di carat-tere non finanziario pertinenti per l’attività specifica dell’impresa”, art. 19 bis (1), ibidem.

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la direttiva stabilisce che gli Stati membri provvedano affinché i revisori legali o le imprese di revisione contabile controllino l’avvenuta presentazione della dichiarazione di carattere non finanziario o della relazione distinta.Gli Stati membri possono, a tal fine, richiedere che le informazioni presenti nella dichiarazione di carattere non finanziario o nella relazione distinta siano verificate da un fornitore indipendente di servizi di verifica12. La direttiva integra le disposizioni concernenti le politiche in materia di diversitàaggiungendo all’articolo 20 un punto specifico in cui si stabilisce che suddetta relazione debba, altresì, contenere “una descrizione della politica in materia di diversità applicata in relazione alla composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo dall’impresa relativamente ad aspetti quali, ad esempio, l’età, il sesso, o il percorso formativo e professionale, gli obiettivi di tale politica sulla diversità, le modalità di attuazione e i risultati nel periodo di riferimento”13. Un apposito articolo, il 29 bis, è stato aggiunto per estendere il contenuto degli obblighi descritti anche ai “gruppi”, mediante la Dichiarazione consolidata di carattere non finanziario.In riferimento alla comunicazione, l’Articolo 2 della direttiva attribuisce alla Commissione il compito di fornire le necessarie integrazioni al testo in termini di orientamenti (sebbene non vincolanti) “sulla metodologia di comunicazione delle informazioni di carattere non finanziario, compresi gli indicatori fondamentali di prestazione generali e settoriali, al fine di agevolare la divulgazione pertinente, utile e comparabile di informazioni di carattere non finanziario da parte delle imprese. Nell’elaborazione di tali orientamenti, la Commissione consulta i portatori di interesse”.La stessa Commissione, come stabilito dall’articolo 3, deve presentare al Parlamento europeo e al Consiglio entro il 6 dicembre 2018 una relazione sull’attuazione della direttiva che ne evidenzi l’ambito di applicazione nonché l’efficacia e il livello

12 Cfr. art. 19 bis paragrafi 5 e 6.

13 Art. 20 (1) g), ibidem.

degli orientamenti e dei metodi forniti. La Commissione potrà, in tale sede, presentare eventuali proposte legislative a integrazione della normativa in oggetto. Tale opportunità si palesa estremamente probabile in considerazione del fatto che gli Stati Membri dovranno conformarsi alla direttiva entro il 6 dicembre 2016, affinché gli obblighi in essa contenuti possano essere rispettati a partire dall’esercizio avente inizio il 1° gennaio 2017 o durante l’anno 2017. Si ritiene, infatti, plausibile l’eventualità che gli Stati Membri richiedano alla Commissione un ulteriore sforzo di chiarificazione della portata e dei contenuti della direttiva 2014/95/UE, dopo il primo periodo di applicazione, al fine di non lasciare eccessivo margine ad un’interpretazione restrittiva ovvero poco puntuale del dettato dell’Unione in materia di rendicontazione non finanziaria.

6. Evoluzioni e prospettivePartendo da un’indagine prettamente semantica del termine CSR, appare evidente come gli strumenti descritti nei paragrafi precedenti considerino sostanzialmente alternativi i termini “sostenibilità”, “condotta socialmente responsabile” o, ancora, “business e diritti umani”. Sebbene, infatti, tali accezioni non siano perfettamente sinonimi, nondimeno esprimono efficacemente il concetto di “responsabilità delle imprese per il proprio operato all’interno della società”, come definito dalla strategia stessa della Commissione Europea14. Alla luce di quanto sin qui affermato, la Commissione non può prescindere dal continuare a fornire una piattaforma aperta e interattiva finalizzata al dialogo e alla condivisione di informazioni, best practices e collaborazione tra i differenti stakeholders. Infine, uno degli aspetti cruciali sul qual la strategia della Commissione dovrà continuare a porre l’accento riguarda la valutazione delle modalità e del perimetro di applicazione del processo di formalizzazione normativa delle disposizioni in materia di CSR.

14 cfr §2, supra.

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References

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be Socially Responsible? The Impact of Corporate Social Responsibility on Buying Behavior”, Journal of Consumer Affairs 35 (1), 45-72. Porter M. E., Kramer M. R. (2006), “Strategy and society: the link between competitive advantage and corporate social responsibility”, Harvard Business Review, 84(12), 78-92, 163. Commission Staff Working Document on Implementing the UN Guiding Principles on Business and Human Rights - State of Play, European Commission SWD(2015) 144 final (Brussels, 14.7.2015).Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions. A renewed EU strategy 2011-14 for Corporate Social Responsibility (COM (2011) 681).European Parliament resolution of 6 February 2013 on Corporate Social Responsibility: promoting society’s interests and a route to sustainable and inclusive recovery (2012/2097(INI)).Directive 2014/95/EU of the European Parliament and of the Council of 22 October 2014 amending Directive 2013/34/EU as regards disclosure of non-financial and diversity information by certain large undertakings and groups.

Immagine dalla ‘Generation Awake’ campaign factsheet

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di DONATELLA DE SILVA, ANTONIO BILOTTA, EMIDIO NIGRO Dipartimento di Strutture per l’Ingegneria e l’Architettura - Università degli Studi di Napoli Federico II

Intumescent coatings for fire safety of existing steel buildings in the European framework

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1 IntroductionIn order to limit the risks from fires, the buildings must be designed and built to ensure the strength and stability and to limit the spread of fire and smoke, as required by fire regulations (CEE, Interpretative Document No. 2: Safety in case of fire, 1993).The performance of fire resistance requirements for structures are currently modulated, in the Eurocode (EN 1993-1-2), in different performance levels in order to ensure that the possible structural damage has not unacceptable consequences for the safety of occupants and rescue teams.The Eurocodes do not provide specific guidances for the assessment of structural vulnerability of existing buildings in fire situations, but this topic is very important

from the socio-economic point of view and has high social impact for civil, industrial, and commercial buildings.On the other hand, specific regulations concern seismic retrofitting of existing buildings. In this regard, Eurocode 8 defines information necessary for the assessment of the seismic vulnerability, with reference to: - design documents or any documentations

acquired after the construction; - data from structural surveys; - results of tests on structural elements (in

situ); - results of tests conducted in the laboratory

on samples taken from the existing structure.In addition, the Eurocode defines different degrees of uncertainty (level of knowledge) on the structural geometry and the materials

AbstractThe fire safety of the existing structures is very important from the international socio-economic point of view and has high social impact for civil, industrial, and commercial buildings. The verification of the minimum fire resistance of civil structures is done through some regulations, drafted to ensure occupant and rescue teams safety as well as a limited structural damage. These national fire rules are not always easily applicable to existing buildings.The purpose of the research activity is to provide guidance about the structural analysis of existing buildings exposed to fire, with particular reference to steel buildings protected with intumescent coatings.

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mechanical properties. Moreover, it suggests both type and minimum number of tests and surveys required to achieve a knowledge level. Finally, based on this knowledge level, it identifies analysis methods and partial safety factors for the materials properties to be used in the structural analysis. Therefore, the approach suggested by the Eurocode for verification of

seismic vulnerability can be a useful reference for the definition of a procedure for evaluating the structural safety in fire conditions of existing buildings. The EU regulatory update beneficiaries include manufacturer, which sell more efficient product, practitioners, which design more safe structures and customers, which safe money.

2 Criteria for the assessmentFor the vulnerability assessment of existing buildings in fire conditions there are no approaches and procedures, whereas prescriptive and performance based approaches are provided for new structures. However, these approaches could be properly adapted for existing structures.The prescriptive based approach establishes a series of rules and requirements to guarantee a predetermined resistance with immediacy and simplicity of calculation (tabular data, simple analytical models, certified products

and systems); moreover, the thermo-mechanical analysis refer to the standard fire curve (ISO834) (EN 1363-2). The performance based approach consists of more detailed analysis of the fire, considering natural fire curves, which combine more sophisticated calculation (advanced methods) for structural models.Therefore, the choice of the verification method for existing buildings affect the target of the knowledge level of the structure: there is a strong correlation between the verification methods and the informations that you need

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to get from papery and digital documents of design and maintenance certifications, or from results of tests in situ and / or in laboratory. The level of detail required for prescriptive based approach is lower than that required for the performance based one. As for static and seismic assessment, for the fire resistance assessment, it is necessary to characterize the structural materials, namely

steel profiles and reinforcing bars as well as the concrete. In addition, it is necessary to characterize the thermo-mechanical properties of the structural materials and to define the presence and the effectiveness of any fire protection systems, whether reactive or passive. Therefore, an approach for the evaluation of existing buildings during fire can be obtained by integrating the general

approach, suggested by the Eurocode for the safety assessment of existing buildings, with more details on the verification of structures in fire conditions.The tables 1 and 2 summarize the suggestions for the characterization of the structure, the structural materials and the protective materials, through certifications and tests in situ or in laboratory.A simplified analysis (e.g. by prescriptive based approach with simplified and tabular methods) can be performed with a basic knowledge of structural details. If constructional details are incomplete, information should be integrated with limited testing in situ (limited means at least about 15% of the elements). If details are available, only a random visual survey is necessary to check their compliance with the real structure. For advanced analysis (performance based approach) a more complete knowledge of the structure is obviously necessary. If the structural details are fully available, only limited checks in situ are necessary (limited means that the geometry and the characteristics of the connections are verified for at least 15% of the elements). Otherwise it is necessary to

carry out extended checks in situ (extended means at least on 35% of the elements). For the mechanical properties of the structural materials, the original design specifications and the original test certificates can be integrated with limited tests in situ (e.g. 1 steel specimen for each floor of the building, 1 sample of bolt or nail for each floor of the building, 1 destructive test or more non-destructive tests for concrete). In absence of certification, it is necessary to carry out extensive tests in situ (e.g. 2 steel specimens for each floor of the building, 2 samples of bolts or nails for each floor of the building, 2 destructive tests or more non-destructive tests for concrete).For protective slabs (ceilings, screens and plates) are suggested (UNI 10898-2): - thickness tests, in situ; - tests on density, conductivity, specific

heat (in situ and / or in laboratory); - tests of fire resistance on samples taken

from the existing structure, in laboratory.Sometimes the fire protection systems are built with links and joints; in this case, if necessary, specific tests on each part or on the whole protective system should be performed.

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For insulating sprayed systems are suggested (UNI 10898-3): - thickness tests, in situ; - measures of adhesion / cohesion, in the

laboratory and in situ; - tests on density, conductivity, specific

heat in situ and / or in laboratory; - tests in furnace on samples taken from

the existing structure, in laboratory; - tests of fire resistance, on samples taken

from the existing structure, in laboratory;Again, tests on any accessories and finishes should be performed, in accordance with UNI 10898-3.In the case of intumescent paints are suggested: - thickness tests, in situ (UNI 10898-1); - measures of adhesion / cohesion, in

laboratory and in situ; - tests in furnace (with standard and

smouldering curves) of samples taken from the existing structure, in laboratory (EN 13381-8); - tests of fire resistance, on samples taken

from the existing structure, in laboratory; - evaluation of stickability.

Regulations (EN 13381-8) about the tests listed above, refer to the verification of the product after installation.It is worth to note that for the tests in the furnace (which obviously must be carried out in laboratory) there is the problem of take samples from the structure, especially when they are structural elements.During the life of the structure, careful maintenance is needed for the intumescent paint, through periodic inspections finalized to certificate its integrity. In this case, could be necessary to verify that the paint maintains its characteristics of reactivity (swelling with high temperatures) through in situ tests, with proper tools, which can concentrate the heat in a limited area. For this reasons, a test procedure (in situ or in laboratory) would be desirable.If all certifications of the protections are available, both simplified approaches (tabular method, analytical method, experimental

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method) and more sophisticated methods provided by the performance based approach can be used. Else, the tests and surveys indicated in Tables 1 and 2 should be performed.

3 Test Procedure for intumescent paintsA general test procedure is shown for the characterization of intumescent paints on existing steel buildings. More details are in (Bilotta et al. 2015). 3.1 Thickness testsThe thickness measures should be carried out in order to measure the thickness of intumescent paints applied to the protected element to check the compliance between the design and the reality. Moreover, a

detailed survey of the thickness allow to group the structural elements into homogeneous categories, to simplify the assessment of the structural behavior in fire conditions.The evaluation of the thickness is regulated by the UNI EN 2808 which describes both investigation and data processing methods. Ultrasonic and optical instruments are widely used to measure the thickness. The first type has an ultrasonic transmitter and an ultrasonic receiver and the thickness of the paint is defined by measuring the propagation time of the waves through the layer to be measured. The optical instrument allows a direct measurement of the thickness practicing a slight cut on the painted element, up to reach the steel

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substrate. The blades are normalized and the thickness value can be read directly through a graduated microscope. The instrument is minimally invasive, and it can be considered a good tool to check the readings obtained by the ultrasonic one.

3.2 Adhesion testsThe compatibility between the layers of the protective package (primer, coating and top coat) is checked through adhesion tests (UNI EN ISO 4624). In particular, the minimum tensile force necessary to cause the tearing of the layer of paint from the support (adhesion) or inside the layer of the weakest component (cohesion), is measured. The nature and the preparation of the substrate and the type of instrument used may influence the mechanical properties of the system. Therefore, it is necessary to refer to standardized procedures. However, these procedure concern new application of paints and should be adjusted for existing paints. The main steps followed for preparation and execution of the test are described below (see Figure 1). - Step 1 - surface preparation, to promote

the bond between the dolly and the coating, degrease the dolly and the area of the coating to be tested using alcohol or acetone to remove any oil, moisture or dust. - Step 2 - application of adhesive, which

must have cohesive and fixing properties greater than those of the coating under test, in order to obtain a rupture of the coating. - Step 3 - separation of test area: after

adhesive drying, before starting the test, the paint around the dolly should be removed, in order to isolate a specific diameter test area. - Step 4 - load application: this step consists

of placing of the actuator on the dolly. The contact between the dolly and the actuator should be carefully checked.

3.3 Furnace testsIn general, the procedures for the assessment of the effectiveness of the protections on the structural elements are composed of two

phases: the first one concerns the test in furnace, according to standard procedures, the second one is the processing of the experimental data to obtain the information necessary to extend the results to real cases (see Figure 2).For reactive protection systems as intumescent paints, the regulation EN 13381-8 about the classification and certification of reactive protections, applied to steel elements should be used. The regulation provides tests in furnace of numerous samples loaded and not loaded, with different section factors and different thicknesses of intumescent coating, in order to characterize the protective material for its correct use (Nadjai et al., 2015). In this case, the purpose of the test in furnace is related to the characterization of the protective layer applied on existing steel elements of known geometry. Moreover, as it is an existing structure, the number of samples should be defined, to balance the requirement of an adequate characterization of paints and the need to limit the invasiveness of the investigations on the existing structure. The tests in furnace should be properly designed, through models (Young et al., 2005) and analysis with dedicated software (see Figure 3), to try to predict the temperatures reached in the elements subjected to the fire test (Schaumann et al., 2014). Finally, enough thermocouples should be applied on each sample in order to catch any signs of localized detachment of the paint. 4 ConclusionsA possible general approach to assess the fire safety of existing buildings is identified. Based on national and international regulations for existing buildings, the main paths, which the practitioner could take for fire vulnerability assessment of existing steel structures, are defined by considering various types of fire protection systems. The proposed approach is aimed to achieve a target level of knowledge of the structure, in order to properly evaluate the behaviour of

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the protective systems.For structures protected with intumescent paints, an example of test procedure was shown. For some types of tests (thickness measurements, measures of adherence, measurements of reactivity) it was highlighted the possibility and the need to standardize the test procedures. In this regard, existing codes for the checks necessary for the commercialization of protective and its application to new buildings can be adapted for existing building. For the tests in furnace, it was highlighted that a proper design of fire test is necessary. The EU regulatory update beneficiaries include manufacturer, which sell more efficient product, practitioners, which design more safe structures and customers, which safe money.

REFERENCESBilotta A., de Silva D., Nigro E., Ponticelli L., 2015. Tests on intumescent paints for fire protection of existing steel structures, in IFireSS_2015, 20-22 April 2015, Coimbra, Portugal.CEE, Construction of European Community (1993). Interpretative Document No. 2: Safety in case of fire EN 1993-1-2:2005 Eurocode 3- Design of steel structures - Part 1-2: General Rules - Structural fire design.EN 1998-3:2005 Eurocode 8- Design of structures for earthquake resistance - Part 3: Assessment and retrofitting of buildings.EN 1363-2-July 2001-Fire resistance tests. Alternative and additional procedures.EN 13381-8 Test methods for determining the contribution to the fire resistance of structural members. Applied reactive protection to steel members.EN 2808-March 2007 Paint and varnishes- Determination of film thickness.EN ISO 4624-June 2006 Paint and varnishes- Pull-off test for adhesion.EOTA- ETAG No 018- Progress file version November 2011- Guideline for European Technical Approval of fire protective products.

PART 2 - Reactive coatings for fire protection of steel elements.ENV 13381-4-November 2002-Test methods for determining the contribution to the fire resistance of structural members. Applied passive protection products to steel members.Wald F., Strejček M., Tichá A. On bolted connection with intumescent coatings. http://people.fsv.cvut.cz/~wald/Clanky%20v%20Adobe%20(Pdf)/083_Wald_Intumescent_painting_v6.pdfWang, Y., Goransson, U., Holmstedt, G. and Omrane, A., 2005. A model for prediction of temperature in steel structure protected by intumescent coating, based on tests in the cone calorimeter. Fire Safety Science 8: 235-246. Nadjai A., Sanghoon H., Faris A., Petrou K., El Hadi, Naili A., 2015. Behavior of unprotected and protected cellular beams in fire conditions, in IFireSS_2015, 20-22 April 2015, Coimbra, Portugal.Rush D. I., Bisby L. A., Jowsey A. Evaluating design guidance for intumescent fire protection of concrete filled steel hollow sections. Structures in Fire (SIF) Shanghai, China, 2014, p 1071-1078.Schaumann P., Tabeling F. and Weisheim W., 2014. Thermal simulation of steel profiles with intumescent coating adjacent to space-enclosing elements, in ‐ SiF’2014, 11 – 13 June 2014, Shanghai, China, p.121-128.UNI 10898-1-May 2012- Fire proofing systems- Inspection modes for the installation. Part 1: Intumescent coating.UNI 10898-2-October 2003- Fire proofing systems- Inspection modes for the installation. Part 2: Boards systems.UNI 10898-3-October 2007- Fire proofing systems- Inspection modes for the installation. Part 3: Insulating sprayed systems.UNI 10898-3-October 2007- Fire proofing systems- Inspection modes for the installation. Part 3: Insulating sprayed systems.Table 1. Definition of geometry and material characterization.

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Table 2 - Tests required for the characterization of protective materials.Protection

Test

Coatings

for passive protection

Membranes

for passive protection

Sprayed systems Boards Intumescent

coatings Countertop Screen

Thickness tests √ √ √ √ √

Adhesion/cohesion tests √ X √ X X

Resistance tests on links X √ X √ √

Density, conductivity, specific heat √ √ X √ √Tests in furnace on samples taken

from the existing structure √ √ √ √ √

Tests in furnace of whole system X X X √ √

Evaluation, in situ, of the reactivity X X √ X X

Evaluation of the stickability X X √ X X

Table 1. Definition of geometry and material characterization.

Methods of analysis Geometry Structural details Properties of

materialsProperties of fire protections

passive, reactive active

Tabular

From orig-inal outline

construction drawings with sample visual

survey

or

from full survey, including all

systems for fire protections

Unnecessary UnnecessaryFrom incomplete de-sign documentations

(certificates of tests and of correct application, technical documenta-tions and maintenance manuals) with limited

in-situ testing

or

extended in-situ testing.

From complete original outline construction

drawings with sample visual survey.

From incomplete design documentations (test certificates, system diagrams, technical documentations and

user and maintenance manuals) with limited

in-situ testing

or

extended in-situ testing.

Analytical

From incomplete orig-inal detailed construc-tion drawings with lim-ited in situ inspection

or

from extended in-situ inspection.

From complete origi-nal detailed construc-

tion drawings with sample visual survey

From original design specifica-tions with limited

in-situ testing

or

from extended in situ testing

Advanced

From original detailed construction draw-ings with limited in

situ inspection

or

from comprehensive in situ inspection

From complete design documentations (cer-tificates of tests and

of correct application, technical documenta-tion and maintenance manual) with limited

in-situ testing

or

from comprehensive in-situ testing

From complete design documentations (test certificates, system diagrams, technical documentation and

user and maintenance manual) with limited

in-situ testing

or

from comprehensive in-situ testing

Tests - New characterization -

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