Roma, una città, un impero - n. 1

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Rivista di archeologia on line

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studioEdesignPassione e creatività

studioEdesign nasce da una passione condivisa per la creatività, nata durante gli studi e maturata attraverso numerose esperienze professionali in agenzie di pubblicità.A partire da queste esperienze abbiamo aperto studioEdesign, con l’obiettivo di curare ciascun progetto creativo con passione, rispettando elevati standarddi qualità.Oggi studioEdesign segue ogni singolo lavoro dalla fase di progettazione fino alla realizzazione finale: graphic design, packaging design, corporateidentity, webdesign, eco design.

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Editoriale

Con il primo numero della rivista riprendiamo le linee di quel percorso ‘programmati-co’ già tracciato con il numero precedente, consapevoli che nello studio del mondoantico è fondamentale interrogare e valorizzare tutte le fonti disponibili. Ben note sono

del resto le connessioni e le interazioni tra archeologia, epigrafia, numismatica e storia, che negliultimi decenni hanno contribuito a conferire una vocazione interdisciplinare alla ricerca scientifi-ca, favorendo una collaborazione tra studiosi e specialisti delle diverse discipline. Proprio in que-sta prospettiva si inserisce il primo articolo, dedicato ai sepolcri di età tardo-repubblicana scopertitra il 1916 e il 1919 lungo il lato meridionale di via Statilia, in cui l’analisi delle iscrizioni inciseo murate sulle fronti prospicienti la strada permette di integrare i dati forniti dal contesto archeo-logico, rivelando i nomi dei proprietari (e destinatari) dei monumenti, i loro reciproci rapporti diparentela e/o di dipendenza, il mestiere svolto in vita e la categoria sociale di appartenenza.Rappresentativo del rapporto tra storia e archeologia è invece il contributo dedicato al complessoperiodo storico noto come anarchia militare (235-284 d.C.) e caratterizzato da generali acclamatiimperatori direttamente dalle loro legioni: la personalità e la propaganda politica dei diversi prota-gonisti che si avvicendarono alla guida dell’Impero viene qui delineata attraverso le fonti lettera-rie e i monumenti eretti a Roma - archi onorari e trionfali, templi, ville suburbane e mausolei - aiquali gli stessi affidarono la loro autorappresentazione.

Un confronto tra i dettagliati resoconti relativi ai ritrovamenti archeologici effettuati nel cen-tro storico e nel suburbio di Roma grazie ai carotaggi e agli scavi stratigrafici condotti durante ilavori per la Linea C della Metropolitana, i cui dati preliminari sono stati presentati nella sederomana di Palazzo Massimo in occasione di due giornate di studio incentrate sul tema Archeologiae Infrastrutture, e la cronaca degli scavi settecenteschi che portarono alla scoperta di Ercolano,rende invece immediatamente evidente la distanza tra la moderna ricerca archeologica e quella delpassato, disattenta al contesto archeologico e interessata soprattutto al recupero di opere d’arte concui arricchire le collezioni borboniche. Emblematica a questo proposito è la prassi, inaugurata dalloscultore francese Joseph Canart, di ‘ritagliare’ le scene figurate ritenute di pregio dalle decorazio-ni parietali degli edifici ercolanesi per farne «tanti bei Quadri per la Galleria del Re» Carlo III diBorbone. Nella stessa epoca, sempre per iniziativa di Carlo III, iniziò anche la migrazione a Napolidelle sculture e delle iscrizioni appartenenti alla collezione Farnese, ereditata dal re per via mater-na, di cui è stato recentemente curato un nuovo allestimento presso il Museo ArcheologicoNazionale di Napoli che racconta le vicende formative della raccolta e tiene conto del criterio espo-sitivo voluto dai Farnese.

Chiude la rivista un contributo dedicato agli straordinari manufatti marmorei con decorazio-ne policroma provenienti da scavi clandestini effettuati in un’area sepolcrale daunia, situata nelterritorio dell’antica Ausculum (odierna Ascoli Satriano, in provincia di Foggia) e databile nellaseconda metà del IV sec. a.C., che sono stati recuperati grazie all’intervento del ComandoCarabinieri Tutela Patrimonio Culturale e della Guardia di Finanza di Foggia e oggi sono tempo-raneamente esposti nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo a Roma.

La redazione

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DIRETTORE RESPONSABILEMARIA TERESA GARAU

DIRETTORE ESECUTIVOROBERTO LUCIGNANI

COMITATO SCIENTIFICOPaolo Arata

Funzionario Sovraintendenza Comune di RomaAlessandra Capodiferro

Funzionario Soprintendenza Archeologica di RomaFiorenzo Catalli

Funzionario Soprintendenza Archeologica di RomaPaola Chini

Funzionario Sovraintendenza Comune di RomaVincenzo Fiocchi Nicolai

Prof. Archeologia Cristiana Univ. Tor Vergata di RomaGian Luca Gregori

Prof. Ordinario di Antichità Romane, ed Epigrafia Latina, Facoltà Scienze Umanistiche, Univ. Sapienza di Roma

Eugenio La RoccaProf. Ordinario Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana,

Univ. Sapienza di RomaAnnamaria Liberati

Funzionario Sovraintendenza Comune di RomaLuisa Musso

Prof. Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana e Archeologia delle Provincie Romane, Univ. Roma Tre

Silvia OrlandiProf. associato di Epigrafia Latina presso la Facoltà di Scienze

Umanistiche, Univ. Sapienza di RomaClaudio Parisi Presicce

Direttore Musei Archeologici e d’Arte Antica Comune di RomaGiandomenico Spinola

Responsabile Antichità Classiche e Dipartimento di Archeologia Musei Vaticani

Lucrezia UngaroFunzionario Sovraintendenza Comune di Roma

CAPO REDATTOREALESSANDRA CLEMENTI

REDAZIONELAURA BUCCINO - ALBERTO DANTI - GIOVANNA DI GIACOMO

LUANA RAGOZZINO - GABRIELE ROMANO

DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICAROBERTO LUCIGNANI

TRADUZIONEDANIELA WILLIAMS

GRAFICA E IMPAGINAZIONESTUDIOEDESIGN - ROMA

WEB MASTER – PUBBLICITA’MARIA TERESA GARAU

REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE

Via Orazio Antinori, 4 - ROMA

È vietata la riproduzione in alcun modo senza il consenso scrittodell’Associazione Rumon Tiber

ANCORA SUL CORREDEPIGRAFICO DEI SEPOL

REPUBBLICANI DI VIA STA

LA COLLEZIONE FARN

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SOMMARIO

DO LCRIATILIA

LA SCOPERTA DI ERCOLANO ANARCHIA MILITARE

ESE IL SEGRETO DI MARMOARCHEOLOGIA E

INFRASTRUTTURE

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IL RINVENIMENTO

copo diquesto con-tributo è pre-sentare un’e-d i z i o n e

aggiornata delle iscrizioni inciseo murate sulla fronte dei sepolcridi età tardo-repubblicana situatilungo il lato meridionale di viaStatilia, all’incrocio con via di S.Croce in Gerusalemme. Dopo laprima pubblicazione, curata daFornari e Gatti tra il 1917 e il1919, queste iscrizioni sono stateinfatti riprese - anche singolar-mente - da Colini (1943),Degrassi (1965) e Solin (2000),che ne hanno ampliato, miglio-rato e corretto la lettura conemendamenti che restano tutto-ra ignoti ai numerosi visitatoridel complesso archeologico per-ché sfuggiti alla copiosa lettera-tura divulgativa dedicata aimonumenti di Roma.Naturalmente un’edizione chevuole essere aggiornata, oltre ariunire i contributi apportati daidiversi studiosi alla lettura dei

SI SEPOLCRIREPUBBLICANI

DI VIA STATILIA

In alto, al centro: Fronte composto daisepolcri scoperti nel 1899 lungo il latomeridionale di via Statilia, in occasione deilavori di allargamento della sede stradale

A destra: Pianta dell'area necropolareattestata lungo la cd. via Caelimontana(oggi via Statilia) con la localizzazione (*)dei sepolcri di età tardo-repubblicana scoperti negli anni 1916-1919 (rielabo-razione grafica da VON HESBERG 2005)

testi, non può prescindere da unnuovo controllo autoptico deimonumenti epigrafici, che hoeffettuato durante quattrosopralluoghi all’area archeologi-ca, giovando in una di questeoccasioni anche della presenzadi Silvia Orlandi, docente diEpigrafia presso la “Sapienza”di Roma, e del dott. David

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Nonnis. Rispetto alle prime edi-zioni, il controllo diretto delleiscrizioni ha permesso di riscon-trare da un lato, la perdita diqualche lettera in seguito al dete-rioramento subito dalle areeiscritte, dall’altro ha reso possi-bile ampliare e migliorare leg-germente le precedenti trascri-zioni, individuare probabili

aggiunte epigrafiche fatte inantico e introdurre qualcheosservazione aggiuntiva cheoffre nuovi spunti di riflessione.Vista la natura di questo contri-buto, ho tuttavia ritenuto oppor-tuno ridurre gli apparati criticiin calce alle trascrizioni dei testiagli elementi essenziali, riser-vando ad altra sede la loro pub-

blicazione integrale.Prima di ritornare sul corredo

epigrafico dei sepolcri, vorreiriassumere brevemente le circo-stanze relative alla loro scoperta,avvenuta tra il 1916 e il 1917,durante i lavori condotti dalComune di Roma sull’Esquilinoper l’allargamento della sedestradale di via di S. Croce inGerusalemme. In questa occasio-ne vennero alla luce i primi quat-tro sepolcri (A, B, BI, C) con lefronti allineate sulla via Statilia ele celle incassate nelle pendicidell’altura tufacea, in parte arti-ficiale, sulla quale sorge VillaWolkonsky-Campanari, oggisede dell’ambasciata inglese.

Il lato anteriore di un quintomonumento del tipo ad altare,poi inglobato in una tomba acamera (D), fu invece scopertonel 1919 durante le opere disistemazione e protezione dell’a-rea mediante la costruzione diun arco sostruttivo collegato almuraglione di contenimento delterrapieno della Villa.

Immediatamente a destra delsepolcro ad altare, fu infine indi-viduato nel 1943 lo spigolo ante-riore sinistro di un altro sepolcrodella stessa tipologia (E), impo-stato su un alto basamento edecorato da lesene angolari.

Riguardo al contesto topogra-fico di rinvenimento, la lineafrontale continua che i sei monu-menti compongono sulla via

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Statilia, insieme ai basoli rinve-nuti nel 1888 presso VillaWolkonsky, testimoniano che lastrada moderna in questo trattoribatte il percorso di un asseantico, la cd. via Caelimontana,che - fiancheggiando le arcateneroniane dell’Aqua Claudia -attraversava il Celio in sensoovest-est per raggiungere lalocalità denominata ad SpemVeterem presso Porta Maggiore.Nel tratto coincidente con viaStatilia, la percorrenza esternaalle mura ‘serviane’ dellaCaelimontana e il suo ruolo diasse generatore di questo settore

dell’area sepolcrale esquilinarisultarono evidenti anche dalritrovamento di altre tombe chefiancheggiavano la strada, tracui il monumento dell’architettoTiberio Claudio Vitale, scopertocasualmente nel 1866 presso ilcasino di Villa Wolkonsky, ilsepolcro dei Servilii, venuto allaluce nel 1881 a poca distanza dalmonumento ad altare E, e la filadi sepolcri individuati nel 1899in occasione dei lavori di allarga-mento di via Statilia, immediata-mente ad est dell’incrocio convia di S. Croce in Gerusalemme.

Sopra: Fronte composto dai sepolcritardo-repubblicani scoperti nel 1916 lungoil lato meridionale di via Statilia, in seguitoall'allargamento di via di S. Croce inGerusalemme. Da sinistra a destra: sepol-cro dei Quinctii (A), cd. sepolcro Gemino(B-BI) e cd. colombario Anonimo (C)

Sotto: Pianta dei sepolcri scoperti tra il1916 e il 1919 sul lato meridionale di viaStatilia (rielaborazione grafica da COLINI

1943): sepolcro dei Quinctii (A), cd. sepol-cro Gemino (B- BI), cd. colombarioAnonimo (C), monumento ad altare, poiinglobato nel sepolcro dei Caesonii (D)

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IL SEPOLCRO DEIQUINCTII (A)

Il primo sepolcro della serie,situato in corrispondenza del-l’incrocio tra via Statilia e via diS. Croce in Gerusalemme, è unedificio di modeste dimensionicomposto di una facciata inopera quadrata di tufo (m 3,54)che si appoggia ad una cellaquasi quadrata (m 2,80 x 2,95),incassata nella falda tufacea del-l’altura retrostante. Il pianopavimentale della cella è tagliatodirettamente nel banco tufaceo,mentre pareti laterali, muro difondo e bassa copertura a voltasono costruiti in opera cementi-zia priva di paramento, ma rive-stita all’interno con un sottilestrato di intonaco. Predispostaoriginariamente per il rito dell’i-numazione, la cella è occupata intutta la sua larghezza da tre

fosse perpendicolari alla facciata(a, b, c), scavate direttamente nelpavimento tufaceo, e da unmuretto in calcestruzzo paralleloalla parete di fondo, forsecostruito in seconda battuta, chedelimita un bancone intagliatonel tufo (d), entro il quale furonotrovati i resti di una quarta inu-mazione. Le fosse erano coperteda tegole disposte in piano, rin-venute sia in opera sotto il pavi-mento, sia frammiste alla terradi riempimento insieme a balsa-mari per uso rituale. Ad unaseconda fase di utilizzazioneappartengono invece le quattronicchie aperte nella parete difondo per altrettante olle cinera-rie di terracotta, che attestano uncambiamento di rito forse legatoalla necessità di ricavare nuovi

posti di sepoltura nell’esiguospazio disponibile.

La facciata in blocchi di tufodel sepolcro, forse in originecoronata da una cornice agget-tante, poggia su un alto stereo-bate e su fondazioni in calce-struzzo, lasciate a vista dopo ilavori di scavo. La porta d’in-gresso, bassa e leggermentedecentrata, è decorata da unacornice incisa a doppio listelloche marca architrave e piedritti.Sopra la porta, un’iscrizioneincisa su più blocchi contigui einquadrata ai lati da una coppiadi clipei a rilievo, ricorda lafamiglia proprietaria del monu-mento [AE 1917/18, 120 = CIL, I2

2527a, cfr. p. 979 = ILLRP 795 =AE 2000, 181]:

L’iscrizione è composta dal-

Sotto: Sepolcro dei Quinctii (A), fronte inopera quadrata di tufo con iscrizione sepol-crale tra due clipei a rilievo

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l’elenco nominativo dei tre desti-natari del sepolcro, tutti di con-dizione libertina, legati tra loroda vincoli di parentela e affettivinati da un originario rapporto dicomune dipendenza o patrona-to: P. Quinctius, che esercitò ilmestiere di copista e/o di com-merciante di libri, e la moglieQuinctia furono infatti mano-messi dal medesimo patrono, unT. Quinctius, mentre Quinctia

R. 2 Uxsor in luogo di uxor; r. 3 Agatea in luogo di Agathea. Sulla scorta dell’impaginazione della r. 2, centrata rispetto aimargini laterali del blocco (da notare il termine uxsor allineato a destra nel tentativo di riequilibrare una riga che altrimentisarebbe stata troppo sbilanciata a sinistra rispetto a quella superiore), la sequenza -erta del termine liberta in r. 3, incisa - tran-ne la lettera E - al di fuori della linea di contorno del blocco, sembrerebbe aggiunta dal lapicida in corso d’opera per evitarepossibili fraintendimenti tra lo scioglimento dell’abbreviazione lib. per liberta e lo scioglimento di libr. per librarius in r. 1, quifavoriti dalla presenza nella nomenclatura di Agathea del patronato P(ubli) l(iberta), che rendeva superfluo ripetere il termineliberta a corredo del cognome; r. 4 `concubina´, aggiunta epigrafica in lettere nane.

Agathea deve la propria libertà alprimo personaggio, di cui inseguito divenne concubina.

Proprio i legami intercorsi traquesti personaggi, deducibili siadall’onomastica (uguale gentilizio;formule di patronato), sia dallaqualifica di uxor (moglie legittima)e di concubina (convivente), que-st’ultima significativamente ag-giunta in un secondo momento,permettono di ricostruire in via

ipotetica la storia di questo nucleofamigliare allargato.

Il rapporto tra P. Quinctius eQuinctia nacque probabilmentecome contubernium (coabitazionesenza rilievo giuridico) tra dueschiavi alle dipendenze dellostesso padrone, T. Quinctius, e futrasformato in conubium (nozzelegittime) quando la coppia -grazie alla sopraggiunta mano-missione - acquisì con lo statuslibertino la capacità giuridica dicontrarre un matrimonio legal-mente riconosciuto. Solo alloraP. Quinctius liberò la schiava

In basso, a sinistra: Sepolcro dei Quinctii(A), bassa copertura a volta in operacementizia della cella

In basso, a destra: Sepolcro dei Quinctii(A), veduta interna della cella con tre fosse(a, b, c) scavate nel pavimento tufaceo

Nella pagina accanto: Sepolcro deiQuinctii (A), prime edizioni dell'iscrizionesepolcrale incisa sulla fronte

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Agathea, insieme alla quale lui ela moglie costruirono il sepolcro,commissionando ad un’officinalapidaria l’iscrizione che sancivae garantiva il loro diritto di pro-prietà. Dopo la morte diQuinctia, P. Quinctius iniziò avivere con Agathea in concubina-to, una forma di convivenza sta-bile, ma giuridicamente illegitti-ma, che differiva dal matrimonioperché mancava l’affectio marita-lis, ovvero la reciproca volontàdelle parti di vivere come maritoe moglie per la durata dell’interaesistenza (il che non implicavache il matrimonio dovesse essereperpetuo e indissolubile: l’affec-tio maritalis poteva venire meno

in uno o in ambedue i coniugi e,conseguentemente, la conviven-za si interrompeva con il divor-zio). Nonostante questa premes-sa, la lunga durata dell’unionetra i due liberti è provata dalcomune monumento sepolcralee, in particolare, dall’aggiorna-mento dell’iscrizione incisa sullafacciata, in cui la qualifica di con-cubina, impaginata in letterenane nell’esiguo spazio disponi-bile tra la riga 3 e la cornice del-l’architrave, fu aggiunta in codaall’onomastica della donna.

Le ragioni che indussero P.Quinctius e Quinctia Agathea,giuridicamente capaci di con-trarre nozze legittime, a scegliere

questa forma stabile di convi-venza furono probabilmentelegate, come ancora oggi accade,alle condizioni previste per lacostituzione del matrimonio ealle conseguenze giuridiche cheesso determinava, tali da rende-re il concubinato frequenteanche tra i ceti elevati (PLIN.Epist. 8, 18).

Chiude l’iscrizione la formulasepulcrum heredes ne sequatur concui P. Quinctius, Quinctia eQuinctia Agathea sancivano l’ina-lienabilità del sepolcro, esclu-dendolo dalla devoluzione ere-ditaria. Naturalmente questaclausola non impediva ai tre pro-prietari di estendere il diritto disepoltura a persone scelte nel-l’ambito della loro famiglia e/oad estranei, come del resto sug-gerisce il numero di sepolturepredisposte all’interno dellacella, quattro inumazioni ricava-te nel pavimento tufaceo (tredelle quali presumibilmenteoccupate dagli stessi Quinctii:COLINI) e quattro nicchie con ollefittili nella parete di fondo.

Riguardo alla professioneesercitata dal liberto P. Quinctius,non è possibile precisare se con-templasse solo l’attività di copi-sta di lettere, documenti e libri,svolta in proprio o al servizio delpatrono, oppure se includesseanche la gestione di una bottegaper la rivendita di libri in qual-che quartiere di Roma, come erail caso di P. Cornelius Celadus,librarius ab extra porta Trigemina(CIL, VI 9515), la cui taberna sitrovava nella pianura subaventi-na e, precisamente, nell’areaimmediatamente all’esterno del-la porta Trigemina, e di Cn.Pompeius Phrixus (CIL, VI 3413*),forse legato al grammaticoPompeius Lenaeus, a sua voltaliberto di Pompeo Magno, chesvolse sulla via Sacra nel ForoRomano non solo l’attività dicopista e commerciante di libri,ma anche quella di maestro ver-sato nell’uso delle arti e delle let-

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tere (doctor librarius). Ulterioricontributi alla ricostruzionedella geografia crematistica delsettore librario vengono dallefonti letterarie, che localizzanoin età imperiale numerose riven-dite di libri proprio nei quartierilimitrofi al Foro Romano, comel’Argiletum (MART. 1, 3, 1-2) e ilvicus Sandalarius, dove si concen-travano - oltre i calzolai da cui ildistretto prendeva nome - lamaggior parte dei librai dellacapitale (GELL. 18, 4, 1), tanto chenon lontano i CataloghiRegionari di età costantinianaposizionano anche gli horreaChartaria (depositi per la carta).

Sotto il profilo onomastico,oltre la rarità del nome di originegreca Agathea, attestato a Romasolo in un’altra iscrizione (CIL,VI 33422), si può notare l’omis-sione del cognome nella nomen-clatura di P. Quinctius e Quinctia,significativa soprattutto se con-sideriamo che il ceto libertinoaveva iniziato ad impiegare l’exnome servile con funzione dicognome già nel II sec. a.C. (ilprimo esempio datato è del 113a.C.) e che questa prassi eradivenuta ormai abituale nelcorso dell’ultimo secolo dell’età

repubblicana. I motivi di questaomissione volontaria, attestataanche in altri documenti, ma quiresa particolarmente evidentedall’indicazione del cognomeAgathea, sono stati spiegati conun’operazione di mimesi ono-mastica (PANCIERA) attraverso laquale i liberti - nel tentativo dimascherare sia la loro originenon latina, sia la loro estrazioneservile (entrambe denunziate dagrecanici come Agathea) - imita-vano le formule onomastichecoeve dei liberi di nascita (inge-nui), che erano ancora prive dicognome (gli ultimi casi di inge-nui senza cognome appartengo-no ai primi decenni del I sec.d.C.) e utilizzavano in funzionequasi cognominale e indivi-duante termini di relazioneparentale. Proprio per analogiacon l’onomastica degli ingenui, èprobabile che i due Quinctiiabbiano supplito all’omissionedel cognome sulla fronte del lorosepolcro ricorrendo, in sua vece,alle qualifiche distintive di uxore librarius.

IL CD. SEGEMIN

Alla destra del sepolcro deiQuinctii si appoggia, leggermen-te arretrato nella linea della fron-te, il «sepolcro Gemino», cosìdenominato perché si tratta didue edifici con ingressi e celledistinte (B-BI), che furonocostruiti insieme su un’unicafondazione, condividendo fac-

Sotto: Sepolcro dei Quinctii (A),trascrizione a disegno dell'iscrizione sepol-crale con lettura migliorata rispetto alleprime edizioni (in evidenza i margini oriz-zontali e verticali dei blocchi)

A destra: Cd. sepolcro Gemino (B-BI),fronte in opera quadrata di tufo coniscrizioni sepolcrali e busti-ritratto a rilievodei defunti

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EPOLCROO (B-BI)

ciata, parete intermedia e muroposteriore. Il pavimento e lacopertura sono perduti, ma l’a-nalisi delle strutture murariesuperstiti permette di ricostruirealmeno due fasi edilizie, a cuicorrispondono alcune modifichenell’articolazione degli spaziinterni. L’ingresso primitivo alle

celle sepolcrali avveniva infattiattraverso due stretti corridoi, icui muri esterni in blocchi ditufo furono in seguito demoliti erasati per creare due ambienti apianta rettangolare semplice (B,m 3,05 x 3,85 x 3,20 x 3,59; BI,3,30 x 3,77 x 3,41 x 3,85). Le pare-ti laterali e quella intermedia,realizzate originariamente inblocchi di cappellaccio (restaqualche blocco in corrisponden-za del piano di spiccato deimuri), furono ricostruite inopera reticolata e dotate di nic-chie contenenti due olle fittiliciascuna. Dopo la costruzione

del cd. colombario Anonimo (C),la cella ad esso contigua (BI) fuampliata con la demolizionedella parete destra, nella cui fon-dazione fu scavata una fossa ainumazione (d). Ad un interven-to di restauro che interessòanche i monumenti adiacentiappartiene invece la sopraeleva-zione in opera reticolata dellaparete di fondo in blocchi di cap-pellaccio, che si prolunga allespalle del sepolcro dei Quinctii(A) e si appoggia all’angoloposteriore sinistro, sempre inopera reticolata, del cd. colom-bario Anonimo (C). Anche in

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questi sepolcri assistiamo a uncambiamento nel rituale: lenumerose olle cinerarie fittili,rinvenute in opera (B) o posatetra la terra in corrispondenzadelle pareti (BI), testimonianoche le due celle erano in origineriservate al rito della cremazionee solo in un secondo momentofurono adattate all’inumazionemediante l’escavazione di trefosse, una ricavata nella fonda-zione della parete destra (BI, d),due scavate nel pavimento ecoperte da un piano di mattonibipedali (B, a-b).

La massiccia parete anterioredel monumento è composta daun nucleo in calcestruzzo rivesti-to all’interno di blocchi di cap-pellaccio e all’esterno di blocchidi tufo. Il prospetto, raccordatoallo stereobate da una gola dirit-ta e coronato in alto da una golarovescia, è diviso in due partispeculari e simmetriche da unlistello verticale a forma di lan-cia: ai lati di questo asse centralesi aprono le porte d’ingresso allecelle gemelle, mentre alle estre-mità di queste - sopra gli archi-travi delle porte - sono incassati

due rilievi rettangolari di traver-tino con i busti-ritratto dei titola-ri del sepolcro.

Nel rilievo inserito nella metàsinistra della facciata (B), entrotre nicchie, sono rappresentati -in modo rigidamente frontale -una donna, un giovane e unuomo maturo. La donna è avvol-ta nella palla che le copre anche ilcapo e presenta una pettinatura ascriminatura centrale formata daciocche lisce che lasciano scoper-te le orecchie. I due uomini indos-sano invece tunica e toga, dal cuilembo ripiegato sul petto esce lamano destra; le teste sono massic-ce con capelli corti e aderenti allacalotta, il naso largo, le labbraserrate e le orecchie sporgenti.

Al di sotto dei busti-ritratto,un’iscrizione incisa su più blocchicontigui e ampiamente rimaneg-giata, restituisce i nomi dei tre per-sonaggi effigiati, a cui si aggiunse-ro - in seconda battuta - i nomi dialtri due destinatari del sepolcro[AE 1917/18, 121 = CIL, I2 2527b =ILLRP 952 = AE 2000, 182]:

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Nella pagina accanto, in alto: Cd. sepol-cro Gemino (B-BI), veduta interna dellecelle dal sepolcro dei Quinctii (A). Inprimo piano, ricostruzione in opera retico-lata della parete laterale sinistra in blocchidi cappellaccio (B); in secondo piano, fronteanteriore con nucleo in calcestruzzorivestito all'interno di blocchi di cappellac-cio e parete divisoria in blocchi di cappel-laccio, poi sopraelevata in reticolato

Nella pagina accanto, al centro: Cd.sepolcro Gemino (B-BI), fronte anteriorecon nucleo in calcestruzzo foderato all'in-terno di blocchi di cappellaccio; in basso adestra, parete divisoria tra le porte d'in-gresso alle celle, di cui oggi resta solo ilpiano di spiccato con un filare di blocchi dicappellaccio

A destra: Cd. sepolcro Gemino (BI), par-ticolare del fronte anteriore con nucleo incalcestruzzo rivestito all'interno di blocchidi cappellaccio

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Il rilievo inserito nella metàdestra della facciata (BI), ritrae- entro apposite nicchie - duedonne che indossano tunica emantello (palla), nel cui risvoltoè appoggiata la mano destra. Iloro volti, caratterizzati danaso largo, labbra serrate eorecchie sporgenti, sono incor-niciati da pettinature diverse:la figura a destra, con il capovelato, presenta i capelli divisi

da una scriminatura centrale indue bande ondulate, mentrequella a sinistra esibisce unasingolare acconciatura, tratte-nuta sulla fronte da un nastro erigonfia sulle spalle. Sotto ilrilievo, in corrispondenza deibusti-ritratto, un’iscrizioneimpaginata su due colonnerestituisce i nomi delle duedestinatarie del sepolcro [CIL,I2 2527c = AE 2000, 183]:

A dispetto del progetto archi-tettonico unitario alla base deidue sepolcri gemelli, i rispettiviproprietari appartengono afamiglie diverse che non sem-brano avere alcuna relazionereciproca. I diversi gentilizi nonpermettono neppure di precisareil rapporto esistente tra le liberteCaelia Apollonia e Plotia [- - -]s[- --?], che pure figurano come con-titolari del sepolcro BI, o quellotra i destinatari del monumentoB, fatta eccezione per i libertiClodia Stacte e N. Clodius Trupho,entrambi manomessi da un N.Clodius. Qualche informazione siricava invece dall’aspetto graficoe dai rimaneggiamenti subitidalla lista onomastica del sepol-

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Nella pagina accanto, in alto: Cd. sepol-cro Gemino (B-BI), muro posteriore eparete divisoria delle celle realizzati in bloc-chi di cappellaccio e ricostruiti in operareticolata; in primo piano, filare di blocchidi tufo appartenente al muro, poi rasato,del corridoio d'ingresso; tra il filare di bloc-chi e la parete divisoria, fossa rettangolarefoderata di tegole (c) che al momento dellascoperta era sigillata da una mezza anfora econteneva ossa cremate

Nella pagina accanto, al centro: Cd.sepolcro Gemino (B-BI), muro posteriore inblocchi di cappellaccio con sopraelevazionein opera reticolata e parete divisoria tra ledue celle, di cui oggi si conserva solo ilpiano di spiccato con un filare di blocchi dicappellaccio

Sopra: Cd. sepolcro Gemino (BI), muro pos-teriore in blocchi di cappellaccio che si appog-gia all'angolo posteriore sinistro in opera reti-colata del cd. colombario nonimo (C)

In alto: Cd. sepolcro Gemino (B), partico-lare della fronte con iscrizioni e busti-ritrattoa rilievo dei tre titolari

Al centro: Cd. sepolcro Gemino (B), frontecon iscrizioni sepolcrali e busti-ritratto arilievo dei tre titolari del monumento

Sopra: Cd. sepolcro Gemino (B), particolaredella tabellina disegnata ad incisione con let-tera P nell'ansa sinistra

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cro B, che suggeriscono la possi-bilità che la tomba sia statacostruita dai liberti Clodia Stacte,N. Clodius Trupho e C. AnnaeiusQuinctio, a cui in un secondomomento si aggiunsero in vestedi comproprietari L. MarciusArm(- - -) e M. Annius Hilarus.Questa eventualità sembraconfortata prima di tutto dal-l’impaginazione dei nomi ClodiaStacte (a), N. Clodius Trupho (b) eC. Annaeius Quinctio (c) su trecolonne posizionate - alla stre-gua di didascalie identificative -nello spazio sottostante i trebusti-ritratto allo scopo di realiz-zare una perfetta corrisponden-za tra iscrizioni e immagini, e, insecondo luogo, dalla probabileaggiunta dei nomi di L. MarciusArm(- - -) e M. Annius Hilarusnello spazio compreso tra la r. 1(a) e la formula di chiusura hocmonumentum heredes ne sequaturalle rr. 4-5 (a), rispettando ilcognome Trupho già inciso alla r.2 (b). Una conferma indirettacirca il frazionamento della pro-prietà originaria viene del restodal rapporto numerico tra busti-ritratto e nomi, che evidenziacome L. Marcius Arm(- - -) e M.Annius Hilarus non fossero pre-visti nell’apparato figurativocommissionato e predisposto al

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momento della fondazione delsepolcro.

Proprio l’apparato figurativoe, in particolare, lo schema com-positivo e la resa fisionomica deiritratti (donna - giovane - uomo),nonché il rapporto di comunedipendenza che legava ClodiaStacte e N. Clodius Trupho, gene-rano anche il sospetto che i treliberti effigiati in facciata sianomadre, figlio e padre. In questaprospettiva, Trupho, liberatoinsieme alla madre da un N.Clodius, nacque verosimilmentequando i due genitori eranoancora schiavi, elemento chespiegherebbe sia la condizionelibertina del giovane (i figli natidal matrimonio tra due libertierano infatti cittadini romaniingenui), sia il differente gentili-zio rispetto al padre C. AnnaeiusQuinctio, affrancato da un altropatrono (un C. Annaeius). Se valequesta ipotesi, avremmo alloraun sepolcro fondato da unnucleo familiare di tre liberti, chesuccessivamente fu in parte ven-duto, ceduto o donato a dueindividui apparentemente estra-nei ai primi titolari, L. MarciusArm(- - -) e M. Annius Hilarus,con il conseguente aggiorna-mento onomastico dell’iscrizio-ne in facciata. Al frazionamento

della proprietà originaria sidevono forse collegare sia latabellina ansata disegnata a inci-sione sotto la clausola hoc monu-mentum heredes ne sequatur, chefu verosimilmente predispostaper un sesto nome (nell’ansasinistra resta una P), sia le duefasi edilizie del monumento conle modifiche nell’organizzazioneinterna degli spazi ad esse con-nesse.

Nella pagina, in alto: Cd. sepolcroGemino (BI), particolare della fronte coniscrizioni sepolcrali e busti-ritratto a rilievodelle due titolari del monumento

Nella pagina, in basso: Cd. sepolcroGemino (B-BI), prime edizioni delleiscrizioni sepolcrali incise sulla fronte

Sopra: Cd. sepolcro Gemino (B-BI),trascrizione a disegno delle iscrizioni sepol-crali con lettura emendata e ampliatarispetto alle precedenti edizioni, che nontiene conto del reale stato di conservazionedelle singole lettere (in evidenza i marginiorizzontali e verticali dei blocchi)

Sotto: A sinistra, facciata in opera quadra-ta di tufo del cd. sepolcro Gemino (BI); adestra, cd. colombario Anonimo (C), restidell'angolo sinistro della fronte in operaquadrata di peperino con stipite e due sogliesovrapposte che poggiano su un blocco ditufo del basamento, a sua volta impostatosu fondazioni in calcestruzzo coperte da unfilare di blocchi di cappellaccio

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IL CD. COLOMBARIOANONIMO (C)

In corrispondenza dell’arcoche sostiene il terrapieno di VillaWolkonsky, alla destra del cd.sepolcro Gemino (BI), sono visi-bili i resti di un quarto sepolcro(m 4,82 x m 4, 66), denominato«colombario Anonimo» per lamancanza di un corredo epigrafi-co. La facciata, quasi completa-mente distrutta, è in opera qua-drata di peperino e si imposta suuna fondazione in calcestruzzocoperta da un filare continuo diblocchi di cappellaccio, alle cuiestremità si conservano ancora inopera due blocchi del basamentotufaceo; sopra il blocco di tufo

collocato presso l’angolo sinistrodell’edificio, poggiano tre blocchidi peperino appartenenti all’alza-to vero e proprio della facciata. Sitratta dello stipite sinistro e delledue soglie, sovrapposte, dellaporta, la cui posizione - decentra-ta rispetto all’asse mediano dellafacciata - mostra che l’ingressodel sepolcro si apriva lateralmen-te. Al prospetto in blocchi dipeperino si appoggia una cellarettangolare, costruita in operareticolata e coperta originaria-mente a volta, il cui muro lateralesinistro divenne comune al cd.sepolcro Gemino (B-BI), quando

questo fu ampliato mediante lademolizione della parete destra(BI).

Da un punto di vista stratigra-fico la presenza di due sogliesovrapposte indica che il cd.colombario Anonimo fu interes-sato da almeno due fasi edilizie,scandite da una sopraelevazionedel pavimento e forse precedute -come sembrano suggerire i diver-si sistemi costruttivi e materialiimpiegati nella facciata e nellepareti - da una riedificazione inopera reticolata della cella allespalle della primitiva fronte inblocchi di peperino (COLINI).Tenendo conto di questa even-tualità, nella prima (o seconda)fase edilizia la cella era probabil-mente divisa in due ambienti daun muro in opera reticolata paral-lelo alla facciata, poi parzialmen-te demolito, e i resti dei defuntierano sistemati all’interno diloculi aperti lungo la perdutaparete di fondo (COLINI), anche senon si può escludere una lorodeposizione nel pavimento (CO-

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LINI), dove fu rinvenuta una fossaa inumazione infantile (a), coper-ta di tegole, con due campanellidi bronzo e un balsamario fittilecome corredo. Solo nella seconda(o terza) fase edilizia la cella fuprovvista di nuovi posti di sepol-tura ricavati nello spessore deimuri laterali in reticolato tramitel’apertura di almeno tre nicchienella parete destra e di tre loculiper olle nella parete sinistra, chein questa occasione fu anchefoderata con una cortina in lateri-zio. Riguardo alla decorazioneparietale, qualche traccia sidistingue ancora lungo la paretedestra e, in particolare, all’internodella nicchia centrale, rivestita dauna conchiglia in stucco di coloreverde e azzurro. Sempre nellostesso lato si conserva anche unaporzione della copertura a volta,traforata da una finestrella trian-golare funzionale all’illuminazio-ne e all’aerazione del sepolcro.

Nella pagina accanto: Cd. colombarioAnonimo (C), resti della fronte in operaquadrata di peperino, impostata su unbasamento in blocchi di tufo che poggia suun filare di blocchi di cappellaccio e su fon-dazioni in calcestruzzo

Al centro: Cd. colombario Anonimo (C),particolare interno dell'ingresso con stipitesinistro e due soglie sovrapposte di peperino

In alto, a sinistra: Cd. colombarioAnonimo (C), resti della porzione angolaresinistra della fronte in opera quadrata dipeperino. In primo piano, ingresso con stipite sinistro e due soglie sovrapposte dipeperino; in secondo piano, fronte del cd.sepolcro Gemino (B-BI)

In alto, a destra: Cd. colombario Anonimo(C), particolare esterno dell'ingresso constipite sinistro e due soglie sovrapposte dipeperino impostate su un blocco di tufo delbasamento

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IL SEPOLCRO DEICAESONII (D)

Da un punto di vista struttu-rale e tipologico l’ultimo sepol-cro della serie, scoperto nel 1919a destra del cd. colombarioAnonimo (C) e scavato solo par-zialmente, sembra rientrare nellaclasse dei monumenti funerariche ripetono la forma di un alta-re (COLINI; VON HESBERG).Realizzato in opera quadrata dipeperino, il monumento è costi-tuito da un basamento di duefilari di blocchi e da un dadoparallelepipedo, che dovevaessere coronato sulla sommitàda un epistilio destinato a soste-nere una coppia di pulvini adimitazione delle are. Il dado èdefinito inferiormente da unozoccolo con cornice modanata epresenta sulla fronte uno spec-chio rettangolare, scorniciato einquadrato da due elementidecorativi a rilievo, parzialmen-

te abrasi, il cui profilo ricordaquello dei bucrani. A causa dellaprofonda sfaldatura che ha inte-ressato la superficie, non è possi-bile precisare se lo specchio fosseriservato ad un’altra decorazio-ne a rilievo oppure, come sem-bra più probabile sulla base diconfronti con monumenti simili,ad un’iscrizione sepolcrale.

Le indagini e i saggi archeolo-gici hanno inoltre evidenziatoche il sepolcro sorse isolato alcentro di un’area larga sullafronte 18 piedi (m 5,32 ca.), comemostra, in particolare, lo zoccolosagomato anche lateralmente.Solo successivamente il piccolomonumento fu ampliato e ria-dattato in tomba a camera con lacostruzione di una parete inopera reticolata che ne inglobò ilnucleo originario (dado e basa-mento) e lo congiunse all’adia-

cente colombario Anonimo (C),diventando la fronte del nuovoedificio. Alle spalle di questa fac-ciata, inquadrata a sinistra (eforse anche destra?) da una lese-na angolare di peperino e sor-montata da un architrave lisciocon cornice a doppia linea incisalungo il margine superiore, fucostruita una piccola cella inopera reticolata, oggi coperta dalterrapieno di Villa Wolkonsky-Campanari, i cui loculi contenen-ti olle si intravedono attraversola parete destra del cd. colomba-rio Anonimo. Sulla sommità deldado originario, un blocco ret-tangolare di travertino (cm 60 x137), che riprende e continua lalinea del contiguo architrave,ricorda i nomi dei destinatari delsepolcro [GATTI in Not. Sc., 16,1919, p. 38 - non ripresa nei prin-cipali corpora epigrafici]:

Nella pagina accanto: Cd. colombarioAnonimo (C), parete destra in opera retico-lata con tre nicchie per urne rivestite instucco; in alto, porzione della copertura avolta traforata da finestrella di aerazione;in basso, quattro loculi per olle dell'adia-cente sepolcro dei Caesonii (D)

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I nomi dei tre titolari delsepolcro sono elencati secondoun ordine gerarchico fondatoverosimilmente sulla loro condi-zione giuridica: il primo dellalista, A. Caesonius Paetus, è infat-ti un cittadino romano nato libe-ro, come si evince da patronimi-co e tribù, nonché il patrono delsecondo titolare, A. CaesoniusPhilemo. Philumina condividecon quest’ultimo la condizionelibertina, ma deve la proprialibertà ad un P. Telgennius.Appartenendo a una famigliadiversa dalla Caesonia, il suo rap-porto con gli altri due fondatoridel sepolcro potrebbe esserelegato al matrimonio (o al concu-binato) con A. Caesonius Philemo(se la donna fosse coniuge ocompagna di A. Caesonius Paetusil suo nome avrebbe probabil-mente occupato la seconda posi-zione dell’elenco).

Particolare interesse suscital’onomastica dei tre personaggi.Il gentilizio di Philumina, raro inassoluto, occorre nella formaTelgennia solo in questa iscrizio-ne, mentre altrove (CIL, VI 1829,

2282, 27136-27138) è attestata lascrittura Telegennia/Telegenniuscon l’inserimento di una vocaledi appoggio tra le consonanti L eG per facilitare la pronuncia(anaptissi); il ramo gentilizio dicui fa parte la donna, i PubliiTelgennii, e quello degli AuliiCaesonii, cui appartengonoPaetus e il suo liberto Philemo,non risultano altrimenti noti aRoma. Sotto il profilo paleografi-co, grazie alla presenza dellesigle θ e V, adoperate tra gli inizidel I sec. a.C. e la metà del I sec.d.C. per contraddistinguere lepersone morte o vive al momen-to della costruzione del sepolcroin iscrizioni composte - come lanostra - da un semplice elenco dinomi, sappiamo che A. CaesoniusPaetus, il cui nome è precedutodal segno θ per mortuus, era giàdeceduto, mentre Philumina, ilcui cognome è seguito dalla let-tera V per v(iva), era ancora invita quando fu inciso - o meglioreinciso - il testo.

Un attento controllo autopticomostra infatti che la nostra iscri-zione è stata impaginata sul bloc-

co dopo l’erasione di un testoprecedente e l’accurata levigatu-ra della superficie in cui eraiscritto, come documentano siala presenza in posizione margi-nale di lettere palesemente estra-nee ad essa, sia la cornice a listel-lo piatto in cui queste sono inci-se, creata proprio in seguito all’a-sportazione di uno strato di tra-vertino profondo quanto i solchidel testo cancellato. Di quest’ulti-mo si conservano, sul listello disinistra, le lettere iniziali di cin-que righe, mentre su quello didestra gli ultimi quattro caratteridella prima riga, impaginati insequenza verticale a causa dellamancanza di spazio:

In alto, a sinistra: Rilievo della fronte delmonumento ad altare (in grigio), poi inglo-bato nel sepolcro dei Caesonii (D), tra il cd.colombario Anonimo (C) e il monumentoad altare individuato nel 1943 (E) (rielabo-razione grafica da COLINI 1944)

Nella pagina accanto: A sinistra, angoloanteriore destro del monumento ad altare,poi inglobato nel sepolcro dei Caesonii (D);a destra, spigolo anteriore sinistro delsepolcro ad altare scoperto nel 1943 (E),impostato su un alto basamento e decoratoda lesene angolari

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Il lavoro di scalpellatura èstato effettuato dal lapicidacon molta diligenza, tanto cheall’interno della cornice nonrestano vestigia dei caratterierasi o tracce di solchi rettilineio curvilinei. Tuttavia, sullascorta delle lettere visibili suilistelli laterali, in corrispon-denza delle rr. 1-3, mi sembraplausibile ipotizzare che l’i-scrizione scalpellata fosse unaprima versione di quella con-servata: la lettera A e lasequenza -+TVS in r. 1 potreb-bero infatti appartenere,rispettivamente, al prenomeAulus e alle lettere finali delcognome Paetus del primo tito-lare del sepolcro, A. CaesoniusPaetus; similmente la lettera Ain r. 2 potrebbe essere perti-nente al prenome Aulus di A.Caesonius Philemo, mentre la Tin r. 3 all’iniziale del gentilizioTelgennia della libertaPhilumina. Di qui la possibilitàdi integrare le prime tre righedel testo eraso come segue:

Da questa ricostruzione siricava non solo che la primaredazione dell’iscrizione avevauna diversa impaginazione, incui ciascuno dei tre nomi - incisoin caratteri di altezza minore -occupava una sola riga, maanche che il testo era molto piùlungo, come suggeriscono le let-tere IN- e T-, incise sul listello disinistra, all’altezza delle rr. 4-5,che potrebbero riferirsi tantoall’onomastica di altri due titola-ri della tomba, quanto ad unaformula di chiusura.

La prima soluzione desta qual-che perplessità se rapportata al

panorama onomastico urbano,dove la sequenza IN- figura aRoma solo come iniziale dei gen-tilizi Insteia ed Instania, attestati inun numero limitato di iscrizioni.Non crea invece alcun problemala lettera T- nella riga successiva,in cui potremmo riconoscere sial’iniziale del prenome Titus oTiberius, se il nome in lacuna fossedi pertinenza maschile, sia l’ini-ziale di uno dei numerosi gentili-zi attestati nell’Urbe (Terentia,Tullia, ecc.), se fosse invece fem-minile, quantunque, in base alcontesto, appaia più probabilel’integrazione T[[[elgennia]]], pen-

sando ad una seconda donnaappartenente - come Philumina -al ramo dei Publii Telgennii.

Pensare invece ad una formu-la di chiusura, più plausibile,implica diverse, possibili, inte-grazioni, che dipendono danumerose variabili, quali l’impa-ginazione dell’iscrizione scalpel-lata, le dimensioni della lacuna eil formulario. Riguardo al primoaspetto, la resa grafica del testocancellato doveva essere piutto-sto accurata se ragioni estetichecostrinsero il lapicida a inciderele lettere finali -+TVS della r. 1 inposizione marginale, l’una sottol’altra e in caratteri più minuti,allo scopo di ovviare all’erratocalcolo delle spazio evitando uninelegante accapo nel corpo delcognome. Relativamente alledimensioni della lacuna, nellaprospettiva di una duplice ver-sione della stessa iscrizione, l’in-tegrazione che ho proposto per

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le prime tre linee del testo e l’al-tezza delle lettere conservate sullistello sinistro del supporto per-mettono di calcolare approssi-mativamente tra i 17 e i 19 carat-teri mancanti per ogni riga, tran-ne alla r. 4, dove il modulo leg-germente inferiore della sequen-za IN- potrebbe essere indizio diuna lacuna formata da un nume-ro maggiore di lettere.

Tenendo conto di questi dati èpossibile proporre in via deltutto ipotetica - sulla scorta diuno schema testuale già noto aRoma (CIL, VI 17494, 22500) -un’integrazione delle ultime duelinee del testo con una formuladel tipo in fronte pedes - - -, in agropedes - - -, arbitratu / TelgenniaeP(ubli) l(iberta) - - -, in cui l’indi-cazione delle misure dell’areasepolcrale precede la menzionedell’istituto dell’arbitrato con cuii tre fondatori del sepolcro affi-davano ad una donna della gensTelgennia, forse la stessaPhilumina, il compito di sovrin-tendere e controllare che lacostruzione del monumentoavvenisse secondo le loro dispo-sizioni testamentarie:

In linea con l’ipotesi di un’e-pigrafe rinnovata, resta infine dachiarire il motivo dell’accurataerasione e reincisione del testo.Se l’iscrizione originaria com-prendeva un elenco di cinquedestinatari del sepolcro, la scal-

segnati dal reimpiego ediliziodel più antico monumento adaltare, come testimonia l’incisio-ne del segno θ, riferibile perposizione ad A. Caesonius Paetus,sull’architrave che incornicia lanuova facciata. Sembra inoltre

sepolcro Gemino (B-BI) tra letombe a camera, ma tra i recintisepolcrali chiusi (il che implical’assenza di una copertura) confronte coronata superiormenteda una trabeazione e provvistadi vere e proprie porte d’ingres-

pellatura potrebbe dipendereproprio dalla rinuncia a tale tito-larità - a seguito di donazione,cessione o vendita - da partedegli ultimi due personaggidella lista, e dalla conseguenteesigenza di aggiornare il regimegiuridico di proprietà dellatomba. Se invece il testo cancel-lato conteneva in calce le misurein piedi dell’area sepolcraleabbinate alla menzione dell’arbi-trato (o un’altra formula di chiu-sura), la reincisione dello stessotesto - seppure ridotto ai solinomi dei tre titolari del sepolcro- si spiega forse con la necessitàdi realizzare una nuova copiadell’iscrizione che sostituissequella più antica, malandata osemidistrutta, oppure rifiutatadai committenti.

Indipendentemente dalle ipo-tesi di integrazione, la commis-sione ad un’officina lapidaria deltesto rinnovato avvenne dopo lamorte di A. Caesonius Paetus periniziativa di Telgennia Philumina,ancora viva, e forse del libertoPhilemo, e si deve verosimilmen-te inquadrare nei lavori diampliamento del sepolcro,

assai probabile che anche il testocancellato fosse pertinente allamedesima fase edilizia, almeno agiudicare dalle dimensioni delblocco, la cui altezza è uguale aquella del contiguo architrave, edallo specchio ricavato sullafronte del primitivo sepolcro adaltare, riservato verosimilmentead un’iscrizione che fu abrasaproprio in occasione del suoreimpiego edilizio. Non è invecepossibile stabilire se i proprietaridi quest’ultimo monumento fos-sero sempre i Caesonii e iTelgennii, o se questi lo avesseroricevuto in dono o comprato daterzi per inglobarlo nella frontedel nuovo sepolcro.

Prima di concludere, vorreisoffermarmi su alcuni aspetti dicarattere più generale cheriguardano in primo luogo latipologia e la cronologia deisepolcri.

Recentemente Henner vonHesberg, in uno studio dedicatoall’origine e alla diffusione deirecinti sepolcrali a Roma in etàrepubblicana, non ha incluso ilsepolcro dei Quinctii (A) e il cd.

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so (recinto con facciata), e ha con-siderato il monumento ad altare,poi trasformato dai Caesonii inuna tomba a camera (D), parteintegrante di un altro tipo direcinto sepolcrale, in cui l’ara eraposizionata al centro del muroanteriore verso la strada (recintocon altare).

Non meno problematiciappaiono i tempi di costruzionedei sepolcri, che necessiterebbe-ro di un attento riesame per veri-ficare se la successione cronolo-gica suggerita dalle iscrizioni èconfermata anche dall’evidenzaarcheologica e dai dati di scavo.Un’analisi complessiva del cor-redo epigrafico (onomastica, for-mulario, paleografia, aspetti lin-guistici e officinali), insieme allatecnica edilizia e ai materialiimpiegati, suggerisce comunquedi collocare approssimativamen-te i nostri monumenti tra gli inizidel I sec. a.C. (PANCIERA: primametà del I sec. a.C.; diversamen-te COLINI: seconda metà del IIsec. a.C.) e gli ultimi decennidello stesso secolo.

Il più antico della serie è ilsepolcro dei Quinctii (A), databi-le forse agli inizi del I sec. a.C.,alla cui parete destra si appog-

gia, probabilmente intorno allametà dello stesso secolo (PAN-CIERA), il cd. sepolcro Ge-mino(B-BI), che presenta un’analogafronte in opera quadrata di tufoe pareti in blocchi di cappellac-cio, poi restaurate in opera reti-colata. Segue il cd. colombarioAnonimo (C) con prospetto inopera quadrata di peperino epareti rivestite da un paramentoin reticolato. L’ultimo in ordinedi tempo è il sepolcro deiCaesonii (D), realizzato negli ulti-mi decenni del I sec. a.C. inopera reticolata, ad eccezionedella facciata che riutilizza ilprecedente sepolcro ad ara inblocchi di peperino ed è definitasuperiormente e lateralmente daelementi architettonici nello stes-so materiale.

L’organizzazione internadelle celle riflette il rituale adot-tato per la sepoltura, il cui cam-biamento sembra quasi seguirela successione cronologica deimonumenti, se il sepolcro piùantico, quello dei Quinctii (A),era originariamente destinato alsolo rito dell’inumazione entrofosse scavate direttamente nelpavimento tufaceo, mentre glialtri quattro (B-BI, C, D) furono

progettati in funzione della cre-mazione - il rito prevalente dallatarda età repubblicana soprattut-to in ambito colombariale - eprovvisti di loculi contenentiuna o due olle fittili ciascunolungo le pareti. Più difficile risul-ta invece stabilire la datazione diampliamenti (BI), rifacimenti (B-BI, C) e adattamenti interni(apertura di nicchie per olle nelsepolcro dei Quinctii e nellepareti laterali del cd. sepolcroAnonimo; fosse scavate nei cd.sepolcri Gemino e Anonimo)perché potevano essere eseguitianche a poca distanza di tempodalla costruzione della tombastessa, come testimoniano - adesempio - il probabile aggiorna-mento onomastico dell’elencodei proprietari sulla fronte delcd. sepolcro Gemino (B), cheforse coincise con qualche modi-fica all’interno della cella, ilreimpiego edilizio del monu-mento ad altare nella facciata delmonumento dei Caesonii (D) e

Sopra: Sepolcro dei Caesonii (D), bloccodi travertino con iscrizione sepolcraleincisa dopo l'erasione di un testo prece-dente, di cui restano alcune lettere sui lis-telli laterali

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l’eventualità, qui prospettata invia ipotetica, della commissionedi una nuova iscrizione in sosti-tuzione di quella originaria. Ilrivestimento in opera lateriziadella parete sinistra del cd.colombario Anonimo (C), insie-me ai bolli su mattoni e lucernerinvenuti durante gli scavi (A, B-BI), documentano comunque unuso e una frequentazione deisepolcri ancora nella prima etàimperiale.

La destinazione prevalente-mente familiare dei monumentisi desume dalle epigrafi incise omurate sulle facciate prospicientila moderna via Statilia, alle qualiera delegato il compito di perpe-tuare il nome e la memoria deititolari e di tutelarne giuridica-mente la proprietà. I testi epigra-fici, schematici e molto lontanidall’evoluzione che il formularioregistrerà già in età augustea (27a.C.-14 d.C.), contengono infattil’elenco al nominativo (o geniti-vo) dei fondatori dei sepolcri,congiunti tra loro da vincoli diparentela o da rapporti di patro-nato e/o dipendenza, cui siaggiunge nel sepolcro deiQuinctii (A) e in quello cd.Gemino (B) la formula stereotipasepulcrum/hoc monumentum here-des ne sequatur che sancisce l’ina-lienabilità e quindi la destinazio-

ne esclusivamente familiare deimonumenti. Il ricorso a questaclausola non esclude la facoltàdei proprietari di vendere, cede-re o donare a terzi, apparente-mente estranei al nucleo familia-re originario, un posto di sepol-tura o una quota del sepolcro,come forse accade nel cd. sepol-cro Gemino (B), dove la probabi-le aggiunta epigrafica dei nomidi L. Marcius Arm(- - -) e M.Annius Hilarus potrebbe riflettereun mutamento nel regime di pro-prietà del monumento, che divie-ne comune a cinque individui.Per quanto riguarda invece lacondizione sociale dei fondatori,tranne L. Marcius Arm(- - -) (B) edA. Caesonius Paetus (D), chepatronimico e tribù qualificanocome cittadini romani ingenui, sitratta sempre di individui appar-tenenti al dinamico ceto liberti-no, che hanno raggiunto, insiemealla posizione sociale, una dispo-nibilità economica tale da con-sentirgli l’investimento di risorsepecuniarie nella costruzione ditombe di un certo livello.

Relativamente all’evoluzionedell’onomastica romana, misembra interessante rilevare l’a-dozione da parte di P. QuinctiusT.l. librarius (A) di un prenomediverso rispetto a quello del suopatrono (T. Quinctius). Questa

consuetudine onomastica, tipicadell’età repubblicana, si rendevanecessaria proprio per distin-guere i liberti dai responsabilidella loro manomissione in un’e-poca in cui, i primi, presentava-no ancora una nomenclaturapriva di cognome o, viceversa,pur avendo il cognome, eranosoliti ometterlo per imitare leformule onomastiche degli inge-nui (mimesi onomastica). Nelnostro caso la differenza di pre-nome rispetto al patrono diventaanche un indicatore cronologicoa favore della maggiore antichitàdel sepolcro dei Quinctii rispettoagli altri, i cui proprietari di con-dizione libertina - secondo unuso che si affermerà definitiva-mente in età imperiale - portanotutti lo stesso prenome del loromanomissore (B, D) e impieganoil cognome come elemento indi-viduante.

Oltre questo aspetto, il corre-do epigrafico dei sepolcri offreuna visione diacronica privile-giata per seguire le soluzioniadottate dalle officine lapidarieurbane nell’impaginazione deitesti, un’operazione da cuidipendeva da un lato, l’impattovisivo che l’iscrizione avrebbeavuto una volta ultimata, dall’al-tro la sua capacità comunicativa.Sulla facciata del monumentodei Quinctii (A), la bottegasegue, nella disposizione dell’e-pigrafe, uno schema tradizionaleche aveva avuto grande fortunasoprattutto nel III sec. a.C.(PANCIERA), in cui gli attacchidelle righe, tutte di lunghezzadifferente, sono allineati secon-do una verticale, ad eccezionedel primo e del penultimo attac-co, che - sporgendo a sinistra -generano una struttura «para-grafata» (PANCIERA). Rifletteinvece una tendenza prevalenteproprio nel corso del I sec. a.C.l’ordinamento scelto per il testoinciso sulla metà sinistra dellafronte del cd. sepolcro Gemino(B), in corrispondenza del busto-

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ritratto di donna (a), e per l’iscri-zione erasa del sepolcro deiCaesonii (D), in cui le righe, didifferente (B) o uguale lunghez-za (D?), presentano tutte gliattacchi rigidamente allineati inperpendicolare a sinistra.L’ultimo stadio di questa evolu-zione è rappresentato dalle altreepigrafi del cd. sepolcro Gemino(B, b-c; BI, a-b) e, in particolare,dal testo più recente del monu-mento dei Caesonii (D), in cuil’officina lapidaria adotta unaccorgimento innovativo cheavrà predominanza assoluta inetà imperiale: la disposizionespeculare delle righe rispetto adun asse mediano verticale.

Un secondo aspetto riguardainvece il campo in cui le iscrizio-ni sono state impaginate. Neiprimi tre sepolcri (A, B- BI) l’offi-cina non impiega alcun artificioper predisporre e delimitare l’a-rea della facciata destinata adaccogliere il testo e incide l’iscri-zione direttamente sui blocchigià posti in opera, come è resoevidente dalla presenza di lette-re sulle commessure verticali traun blocco e l’altro. Tuttavia, nelcd. sepolcro Gemino possiamoapprezzare - rispetto al più anti-co sepolcro dei Quinctii (A) - unaqualche, embrionale, attenzionedel lapicida nel disporre o farrientrare le righe (o almeno gliattacchi delle stesse) all’interno

dei margini verticali dei blocchi.Una tappa successiva è invecerappresentata dall’iscrizionescalpellata sulla fronte del sepol-cro dei Caesonii (D), in cui il testoè posto in risalto e isolato dalmonumento cui appartiene uti-lizzando come supporto scritto-rio un blocco di materiale (equindi colore) diverso, le cuilinee di contorno assumono, innuce, la funzione di cornice. Lostesso blocco, dopo il reimpiegoepigrafico, riflette anche lo svi-luppo conclusivo di questa pro-cedura: la nuova iscrizione inci-sa sulla superficie scalpellata sipresenta infatti evidenziata edelimitata - anche se forse nonintenzionalmente - con una cor-nice a listello piatto, elementoche troverà un organico inseri-

Nella pagina accanto: Sepolcro deiCaesonii (D), prima edizione e facsimiledell'iscrizione sepolcrale

In alto: Prospetto e pianta dei sepolcri divia Statilia secondo l'interpretazione diHenner von Hesberg (rielaborazione graficada VON HESBERG 2005). Da destra a sinis-tra: recinto con facciata dei Quinctii (A),recinto con facciata del cd. sepolcro Gemino(B-BI), recinto con altare, poi inglobato nelsepolcro dei Caesonii (D)

mento nella prassi officinaleurbana proprio a partire dall'etàaugustea. �

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TUTTO EBBE INIZIO...

t r e c e n t oanni esattidalla scoper-ta casuale diE r c o l a n o(1709-2009),si continua a

rimanere stupiti di fronte allemeraviglie che a poco a pocoiniziarono ad emergere daiprimi scavi. Una recentemostra, svoltasi al MuseoNazionale Archeologico diNapoli, ha illustrato le fasi piùimportanti di questa scoperta,esponendo bronzi e affreschiprovenienti dall’anticaHerculaneum.

Tutto ebbe inizio un giorno,quando un contadino diResina, un certo GiovannaBattista Nocerino dettoEnzecchetta, nel fare i lavori alsuo pozzo, sfondando parecchistrati di pietra durissima, sitrovò con grande stupore difronte a una varietà di marmi.Il contadino raccolse i marmiche gli sembrarono più belli e livendette a un cosiddetto mar-moraro, che li utilizzò per farestatue di santi.

ALA RISCOPERTADI ERCOLANO

A destra: Nella foto d'epoca l'eruzione delVesuvio nel 1872

In alto, a destra: Nella foto d'epoca unodei pozzi scavati

Proprio in quel periodo, ilprincipe di Elboeuf, in previ-sione delle sue nozze, avevaintenzione di costruire unaresidenza estiva. Per questaoccasione aveva chiamato dallaFrancia un celebre artigianoche sapeva fabbricare, con resi-dui di marmo, una specie dicemento porcellanato più duroe più brillante del marmo.Insieme, i due capitarono nella

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bottega del marmista cliente diEnzecchetta, che mostrò lorogli oggetti in suo possesso. Ilprincipe intuì che i pezzi dimarmo che gli venivano offertierano di origine romana e licomprò in blocco facendoli tra-sportare nella sua villa.Consultato il suo architetto, ilprincipe ebbe conferma che sitrattava di pezzi di epocaromana e allora decise di com-

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prare il campo con il pozzo econtinuare gli scavi a propriespese.

Partendo dal pozzo, inizia-rono a scavare alcuni cunicolisotterranei e, dopo pochi gior-ni, gli scavatori si imbatteronoin un ambiente che contenevauna statua di Ercole in marmopario; e poi ancora in colonnedi alabastro e statue di ottimafattura. Inizialmente il principed’Elboeuf credette di avermesso mano su un tempiodedicato ad Ercole e proseguìgli scavi con ardore. Dopo tregiorni vennero alla luce tre sta-tue muliebri praticamente inte-gre e questo convinse ancor di

più il principe che si trattava diun tempio di Ercole. Ma la suaconvinzione era errata.Nonostante tutte le precauzio-ni per cercare di manteneresegreti questi scavi, l’interacittà di Napoli non parlava chedelle sensazionali scoperte,anche se nel 1720 - a dispettodegli scavi (non certo sistema-tici) del principe - non si eraancora riusciti a stabilire concertezza che cosa si fosse recu-perato. Negli anni seguenti ilprincipe fu chiamato parecchievolte a Vienna, dove trascorselunghi periodi, e per questonessuno si fece più carico diriprendere gli scavi.

Nel 1734 le truppe spagnolesi impadronirono di Napoli edel territorio circostante. Pocodopo giunse sul luogo l’Infantedi Spagna, Carlo III di Borbone,allora diciottenne, amantedella caccia e della pesca. Eglivolle acquistare una proprietàche gli offrisse la possibilità diesercitare i suoi due sport pre-feriti e seppe che era in venditala proprietà del principe diElboeuf. La acquistò e vi trovòle antichità recuperate dal prin-cipe che lo interessarono cosìtanto da ripromettersi diriprendere gli scavi non appe-na la situazione si fosse stabi-lizzata. Intanto nel 1727 ilVesuvio aveva dato luogo aduna nuova eruzione. L’annodopo, Carlo III fece riprendere ilavori nello stesso punto doveil principe aveva trovato le sta-tue. L’impresa non era facile,poiché le antichità erano sepol-te sotto una massa pietrificataspessa dai quindici ai ventimetri. Quindi non rimanevaaltro che continuare a procede-re alla cieca per mezzo di galle-rie, ma utilizzando una mano-dopera più numerosa e mezzipiù efficaci. Partendo di nuovodal pozzo già scoperto nei pre-cedenti scavi, emersero fram-menti di due statue equestri inbronzo. Ne venne informatosubito il marchese DonMarcello Venuti, umanistatoscano, al quale il re avevaaffidato la direzione della suabiblioteca di Napoli e dellaGalleria d’Arte ereditata dallamadre Elisabetta Farnese. Ilmarchese Venuti discese diret-tamente nelle gallerie dove glioperai stavano disseppellendouna scalinata e ne dedusse checi si trovava in presenza delpodio di un teatro o della gra-dinata di un anfiteatro. Neldicembre del 1738 venneroestratti i frammenti di un’iscri-

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zione attestante che un certoLucio Annio Mammiano Rufoaveva finanziato la costruzionedel Teatro. Non c’erano piùdubbi: si trattava del theatrumHerculanense!

Il lavoro di recupero, permeglio dire lo scavo dei cunico-li, intanto procedeva e nel 1739si estrasse una magnifica statuaequestre in marmo, che un’i-scrizione rivelò essere il ritrattodi Marco Nonio Balbo, uno deiprincipali magistrati diErcolano, poi governatore diCreta e della provinciad’Africa. Per quanto ingenua epoco versata in questioniarcheologiche, la corte difende-va gelosamente il monopoliodegli scavi: la consegna era for-male e nessuno poteva intra-prendere anche il più innocen-te lavoro di sterro senza incor-rere in severe ammende. Benpresto, tuttavia, Carlo III si reseconto che il direttore degliscavi, Alcubierre, eccellentetecnico ma incompetente inquestioni archeologiche, com-metteva degli sbagli gravissi-mi. Il re decise quindi di affian-

Nella pagina accanto: Stampa del XVIIIsecolo rappresentante reperti rinvenutidurante gli scavi

Sopra: Nella foto d'epoca uno dei cunicoliscavati

Sotto: Nella foto d'epoca un particolaredella cavea del Teatro

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A sinistra: Nella foto d'epoca particolaredella scena del Teatro

Al centro e in basso: Incisioni diFrancesco Piranesi del XVIII secolo, rela-tive al Teatro di Ercolano

Nella pagina accanto: Foto d'epoca rela-tiva alla statua equestre di M. Nonio Balbo

cargli un luminare della scien-za, un certo Monsignor OttavioAntonio Bayardi, che godevadella fama di erudito.

Intorno al 1745 i lavori discavo giunsero a una fasemorta: il rendimento era nulloe gli animi erano turbati dallaminaccia di un’invasione delletruppe imperiali, incaricate dirimettere gli Asburgo sul tronodi Napoli.

Alla metà del Settecento,l’ingegner Weber aveva trasfe-rito la sua attività nella zona diErcolano ed era stato adibitoalla «sorveglianza e manuten-zione delle gallerie sotterra-nee»; egli ultimò una piantadella rete dei cunicoli e un pro-getto per il disseppellimentocompleto del teatro. Ben pre-sto, infatti, ne mise in luce ilpalcoscenico. Quando ebbenotizia delle importanti scoper-te di Resina, si buttò con ardo-re in questa nuova impresa:venne alla luce un peristilio disessantaquattro colonne checircondava una vasta piscinarettangolare. Weber non crede-va ai suoi occhi quando a que-sta scoperta seguì il rinveni-mento di una vera e propriacollezione di oggetti d’arte difattura greca e romana, in bron-zo e in marmo. Fu subito evi-

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dente che la villa racchiudevatesori inestimabili. Era moltoestesa e comprendeva stanze disoggiorno decorate ed arreda-te, logge, verande, porticati,atri, tutto perfettamente con-servato e intatto dopo circadiciassette secoli di sepoltura.La corte di Portici andò in deli-rio e il re dimenticò la caccia ela pesca per passare le sue gior-nate sui cantieri di scavo eammirare le statue che veniva-no via via estratte. Non si eraancora potuto stabilire a chifosse appartenuta la villa quan-do, nel 1752, venne fatta unanuova scoperta, ancora piùsensazionale: gli operai sbuca-rono in una cameretta circon-data tutt’intorno da scaffali car-bonizzati contenenti strani

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oggetti cilindrici che facevanopensare a pezzi di carbone dilegna tagliati simmetricamen-te. Si trattava di rotoli di papiroe poiché ve n’erano tanti radu-nati insieme, ci si trovava inpresenza di una vera e propriabiblioteca. Il vero problema erariuscire a svolgere quei papirisenza che si disfacessero com-pletamente. Passarono annisenza che si riuscisse a svolge-re un solo rotolo di papiro etutti i tentativi fatti causaronosolo la distruzione parziale ototale di un nuovo rotolo.

Nel 1755 Bayardi diedefinalmente alle stampe il primoinventario del museo, pubbli-cato in una veste editorialesfarzosa, ma diffuso e prolisso,in cui dava descrizione di 738

Nella pagina accanto, in alto: Foto d'e-poca della staua equestre del figlio di M.Nonio Balbo

Nella pagina accanto, in basso: Piantadegli scavi di Ercolano

Sopra: Nella foto storica di GiorgioSommer gli scavi nel 1861

Sotto: Nella foto d'epoca gli scavi del XIXsecolo

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Sopra: Nella foto d'epoca, un cardo tra leinsule II e III

In basso, a sinistra: Particolare dei papiririnvenuti

In basso, a destra: Una veduta diErcolano prima dei nuovi scavi

Nella pagina accanto: Scavi lungo il cos-tone est dell'insula IV

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affreschi, 350 statue e 1647manufatti di minore importan-za. Nello stesso anno il re, con-sigliato anche da eruditi, decisedi fondare la Regia AccademiaErcolanense, che doveva radu-nare tutti gli intellettuali diNapoli ferrati in antichità e inletteratura greca e latina.Purtroppo l’Accademia non

arrecò alcun miglioramentoalla tecnica degli scavi, néimpedì che si perpetrassero glistessi scempi del passato.

Per questi motivi a Napoli sidiceva con malignità che ilVesuvio, il quale dal 1755aveva ripreso la sua attività,sputava fuori lava per protesta-re contro la lentezza con cui si

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rimetteva in ordine ciò che insoli due giorni era riuscito alivellare al suolo.

Dopo anni di interruzione, ilavori ripresero nel 1828, sottoil regno di Francesco I diBorbone. Per la prima voltafurono condotti scavi ‘a cieloaperto’, diretti fino al 1855 dal-l’architetto Bonucci. In questofrangente, vennero messi inluce due isolati di case, tra cui ilperistilio della Casa d’Argo. Lagenerale scarsità dei ritrova-menti determinò tuttavia unanuova interruzione. In seguito ilavori ripresero grazie all’inte-ressamento del re VittorioEmanuele II e all’iniziativa diGiuseppe Fiorelli. Purtroppo,anche questa volta, la porzionedi città messa in luce fu moltomodesta, anche a causa delle

Sopra: Nella foto d'epoca una strada diErcolano

Sotto: Il re Vittorio Emanuele II inaugural'inizio degli scavi del 1869

Nella pagina accanto: Nella foto d'epocaparticolare del decumano

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abitazioni della moderna Resinache vi incombevano sopra.

Fu solo nel 1924 cheAmedeo Maiuri, divenutoSoprintendente agli Scavi e alleAntichità della Campania,provvide ad arrestare l’espan-sione della moderna Resina aldi sopra dell’antica Ercolano,imponendo una serie di vincolisulle aree ancora libere.

I nuovi scavi iniziarono nel1927 e furono inaugurati dal reVittorio Emanuele III. La gran-de impresa, diretta da Maiuri

A sinistra: Nella foto d'epoca, particolaredel peristilio della Casa d'Argo negli scavidel 1828

In basso, a sinistra: Il re VittorioEmanuele III in visita agli scavi

Sotto: Il rinvenimento dei tetti delleabitazioni

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In basso: Il debutto dei nuovi scavi del1927

A destra: Particolare degli scavi del 1929

con abili maestranze e un’ecce-zionale organizzazione deicantieri di lavoro, si protrassefino al 1958, anche se già nel1942 quasi tutta l’area checostituisce l’odierno parcoarcheologico, era stata riporta-ta alla luce.

Tra il 1960 e il 1969, ulteriorilavori furono condotti nella zonasettentrionale e sul DecumanoMassimo, con la scoperta dellaCasa degli Augustali e del quartie-re dell’atrio della Casa del SaloneNero.

Negli ultimi venti anni delNovecento, è stata esploratal’antica spiaggia, nella cui areasono emersi 12 ambienti coningresso ad arco, i cd. Fornici,ricoveri per barche e magazzinidove molti Ercolanesi avevanocercato invano riparo.

Nuovi e accuratissimi rilievisono stati eseguiti nel 1993 equindi nel biennio 1997-1998dagli architetti Alfredo Balasco

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Sopra: Lo sviluppo degli scavi

Sotto: Il rinvenimento di una imbarcazione

Nella pagina accanto: Le difficoltàincontrate durante il consolidamento delleabitazioni

e Alfredo Maciariello e dal geo-metra Pietro Cifone, sotto ladirezione di Mario Pagano,funzionario dellaSoprintendenza Archeologicadi Pompei. Durante l’esecuzio-ne di questi rilievi sono statieffettuati due piccolissimi scaviper mettere interamente alloscoperto un’iscrizione dipinta erecuperare alcuni frammenti diuna scultura in bronzo e di unacornice angolare marmorea delsacello centrale posto sullasommità della cavea, vicino ilpozzo grande.

Anche oggi rimane il proble-ma del moderno abitato chepreme su parte dell’areaarcheologica, costituendo unabarriera a possibili nuovi scavi.Questo vuol dire che la scoper-ta di Ercolano non è ancorafinita: altre meraviglie attendo-no di essere ammirate dalmondo intero!

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IL TEATRO DIERCOLANO

Il teatro fu costruito in etàaugustea in una zona diErcolano urbanizzata e popola-ta probabilmente già dalla finedell’età repubblicana. Con que-sta cronologia concordano sialo stile dei capitelli e delle cor-

nici della scena, sia la tecnicaedilizia. L’edificio è posto inprossimità del Foro e per que-sto motivo era considerato unodegli edifici pubblici piùimportanti della città. Essopoteva contenere all’incirca

In basso: Nella foto d'epoca particolare deiresti della scena del Teatro

Nella pagina accanto in alto: Nella fotod'epoca un particolare della cavea

Nella pagina accanto al centro:Particolare di scritte graffite sull'intonacodelle pareti del Teatro

Nella pagina accanto in basso:Incisione del XVIII secolo di FrancescoPiranesi raffigurante una ricostruzione, insezione, del Teatro

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2500 persone. È orientato danord-est a sud-ovest, con lacavea rivolta verso est, ha undiametro massimo di 54 m ed èinteramente costruito in operareticolata e cementizia, fattaeccezione per la scena e la fac-ciata esterna del corridoio anu-lare che sono in laterizio.

Sulle pareti del teatro riman-gono firme in varie lingue,testimonianza dei viaggiatoridel Settecento e dell’Ottocento,e i segni dei picconi degli sca-vatori borbonici.

Nella cavea, lungo i percorsiattualmente praticabili, si

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incontrano cunicoli chiusi damateriale vulcanico e scavatinel Settecento per indagareparte della cavea e dei podi. Laparte alta della scaletta radialecentrale è attraversata dalgrande pozzo del 1750. Il corri-doio che costeggia la sommitàdella media cavea era coperto davolta a botte decorata con stuc-co perfettamente conservatosie serviva a disciplinare l’afflus-so degli spettatori dall’emiciclosottostante alle scalette checonducono alla summa cavea.La summa cavea, già indagata in

età borbonica, si compone ditre gradini ed è divisa in quat-tro settori da altrettante scaletteradiali. Al centro e ai lati diessa erano tre edicole che servi-vano ad accogliere statue eque-stri in bronzo dorato, recupera-te in stato frammentario nelSettecento.

Scendendo nell’ima cavea,formata da quattro gradini dimarmo e un tempo separatadalla media cavea da una tran-senna di lastre marmoree, inte-ramente asportate, si giungeall’orchestra, che ha una formasemicircolare ed era rivestitada lastre di marmo giallo anti-co di cui rimangono alcuni

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frammenti. Da qui si giunge alpulpitum, cioè la fronte del pal-coscenico, realizzato in lateri-zio rivestito di marmo; il muropresenta alle estremità due sca-lette che consentivano agli atto-ri di salire sul tavolato delpalco dove si svolgeva la rap-presentazione. Il fronte scena(frons scenae) era costruito inte-ramente in opera laterizia erivestito di marmi pregiati dicui rimangono solo pochi ele-menti. Sul podio del frontescena si impostavano dieci

colonne che inquadravano treporte e quattro nicchie qua-drangolari che ospitavano lestatue ritrovate nei primi scavidel principe d’Elboeuf.

La decorazione scultoreadella scena comprendeva sta-tue femminili, inserite in novenicchie rettangolari, di cui cisono pervenute la Piccola e laGrande Ercolanese, oggi conser-vate a Dresda.

Le tre grandi porte del fron-te scena immettevano in unacamera, forse adibita a spoglia-

Nella pagina accanto in alto:Particolare del corridoio che costeggiava lamedia cavea

Nella pagina accanto in basso:Iscrizione dedicata dagli ercolanesi a MarcoNonio Balbo

Sopra: Resti di affreschi delle volte

In alto a destra: Iscrizione dedicata dopola morte a Claudius Pulcher amico dicicerone

In basso: Particolare del fronte scena delTeatro

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Sopra: la cd. Grande Ercolanese, conserva-ta a Dresda

A destra in alto e al centro: Le cd.Piccole Ercolanesi, conservate a Dresda

Nella pagina accanto in alto a sinistra:Statua in bronzo di M. Calatorius Quartio,dal Teatro. Museo Archeologico Nazionaledi Napoli

Nella pagina accanto al centro: Lapidedel XIX secolo indicante l'ingresso alTeatro

Nella pagina accanto, in alto a destra:Statua in bronzo di Agrippina Minore, dalTeatro. Museo Archeologico Nazionale diNapoli

Nella pagina accanto in basso:Modellino in scala del Teatro

toio per gli attori. Nella parteretrostante la scena sono rico-noscibili le due scale per mezzodelle quali si raggiungevano itribunalia attraverso un solaiodi legno di cui rimangono letravi carbonizzate.

Dietro la lunghezza dellascena correva una porticus postscaenam, che aveva una fila dicolonne in laterizio rivestite dastucco bianco. Dell’emiciclo delteatro, costituito da diciassettearcate, è visibile la parte bassadei pilastri del primo ordine.

I locali d’accesso al teatro,già sistemati nel 1750 all’iniziodelle campagne di scavo, furo-no risistemati nel 1849 e restau-rati nel 1865 su iniziativa diGiuseppe Fiorelli. Nella stanzadi ingresso sono state recente-mente esposte le fotografiedelle varie piante dell’edificio,tra cui quella più antica, realiz-zata dall’Alcubierre. Altre foto-grafie mostrano le statue chedecoravano la scena del teatroe alcuni protagonisti degliscavi e degli studi su Ercolano.

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Al centro della stanza si trovaun plastico eseguito nel 1808,forse a scopo didattico, e nellasaletta adiacente sono statiesposti i primi ritrovamentimarmorei dell’epoca borboni-ca, tra cui un capitello corinziocon palmette.

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«TANTI BEI QUADRI PERLA GALLERIA DEL RE…»

Nel 1739, durante gli scavidei cunicoli di Ercolano cheportarono alla scoperta delTeatro, ci si imbatté in un fregiodipinto. Carlo III di Borboneacconsentì a staccarlo e lo scul-tore francese Joseph Canart ini-ziò a ‘ritagliare’ le scene figura-te dalla parete. Questo primostacco inaugurò la prassi diritagliare dalle pareti degli edi-fici ercolanesi e pompeiani, conl’ausilio di scalpelli, solo laparte affrescata ritenuta di

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A sinistra: Giocatrici di astragali. Dipintosu marmo rinvenuto ad Ercolano nelMaggio 1746. Museo ArcheologicoNazionale di Napoli

Sopra: Scena di Banchetto. Affresco, daErcolano. Museo Archeologico Nazionaledi Napoli

Sotto: Predella e Pannello. Frammento diaffresco. Rinvenuto ad Ercolano nelDicembre del 1947. Museo ArcheologicoNazionale di Napoli

maggior pregio, che venivachiusa in cassette e trasportatanei laboratori di restauro. Lì lasuperficie dipinta veniva libe-rata dalla terra dello scavo e siassottigliava la porzione dimuro rimasta attaccata, sten-dendo su di essa uno strato digesso o di ardesia per irrigidir-la. Il lato posteriore del pannel-lo staccato era poi chiuso conassi di legno e la cassetta veni-va rifinita con cornici di casta-gno dipinte in rosso con bordo

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A destra: Scenografia Teatrale. Affresco.Rinvenuto ad Ercolano nel Luglio 1743.Museo Archeologico Nazionale di Napoli

In alto a destra: Infanzia ed educazione diDioniso, particolare, Affresco da Ercolano.Museo Archeologico Nazionale di Napoli

nero, sulle quali era riportata incaratteri romani l’iniziale dellacittà di provenienza. La preoc-cupazione non era pertantoquella di conservare l’interaparete, ma di realizzare ‘qua-dri’ e ‘quadretti’ con cui arric-chire la collezione di Carlo III.Come scriveva lo storico earcheologo Ridolfino Venutinel 1739, quando il Canart ese-guì il primo stacco: «Si taglie-ranno, e se ne farà tanti beiQuadri per la Galleria del Re!».Nel 1771 i dipinti recuperati econservati erano già 1400.

Per i primi decenni non ven-

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nero applicate alle pitture stac-cate né integrazioni, né rico-struzioni pittoriche, seguendoun criterio prettamente moder-no. La selezione degli affreschida staccare per il sovrano fuaffidata a Camillo Paderni,custode del Museo Ercolanesedi Portici, che decideva anchequali distruggere: «Carnat o isuoi aiutanti staccavano le pit-ture, ma la decisione circa lapittura da staccare o da rompe-re spettava a Paderni» (A.ALLROGGEN-BEDEL - H.

KAMMERER GROTHAUS 1983).Ma questo scempio non durò alungo, perché il Winckelmanninformò le altri corti europee diquanto si stava compiendo aidanni dei dipinti ritrovati e nel1763 il re di Borbone, per salva-guardare il suo buon nome, fucostretto a vietare questa prassi.

Intanto si cercava di ovviaread un problema di non facilerisoluzione: i colori brillantidelle pitture antiche, una voltatolta la terra che li ricopriva,tendevano ad opacizzarsi. Si

tentarono diversi procedimenticonservativi e alla fine prevalsela scelta di stendere sullesuperfici una specie di ‘vernice’liquida trasparente, ideata dalcapitano di artiglieria StefanoMoriconi, anche se questa, alungo andare, tendeva adingiallirsi. Nel 1811 il pittoreAndrea Celestino individuò lecause del degrado degli affre-schi vesuviani e presentò unarelazione al Direttore delMuseo di Napoli. In manieraintuitiva egli distinse anche ildiverso modo di operare sui‘quadri’ conservati nel Museo esulle pitture ancora in situ. Lapreparazione della ‘vernice’ diCelestino era molto elaborata,ma indubbiamente ha datonotevoli risultati, poiché haprotetto a lungo gli affreschidall’attacco degli agenti esterni.Per questo nel 1813 il Direttoredel Museo di Napoli decise diadottare, per la salvaguardiadelle pitture vesuviane, questonuovo procedimento.

A sinistra: Volto di fanciulla. Particolaredi affresco, da Ercolano. MuseoArcheologico Nazionale di Napoli

In basso: Pannello con medaglioni raffig-uranti Sileno, Menade e Satiro. Affresco daErcolano. Museo Archeologico Nazionaledi Napoli

Nella pagina accanto: Cerimonia Isiaca.Particolare di affresco da Ercolano. MuseoArcheologico Nazionale di Napoli

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GLI AFFRESCHIDELL’AUGUSTEUM

La cd. Basilica di Ercolano,oggi meglio nota comeAugusteum, è ancora sepoltasotto la città moderna. Peravere un’idea dell’organizza-zione architettonica del com-plesso, uno spazio porticatoche occupava un settore delDecumano Massimo, bisognapertanto ricorrere alla docu-mentazione degli scavi sette-centeschi. Sappiamo che - oltrealle statue e alle iscrizioni - l’e-dificio ha restituito quattrograndi pannelli ad affresco conprofilo concavo: il Teseo liberato-re dei giovani Ateniesi, Ercole eTelefo, Achille e il centauroChirone, Pan (o Marsia) e il gio-vane Olimpo.

Il primo pannello raffigural’episodio finale del mito diTeseo, figlio di Egeo ed Etra,che si era unito alla spedizionecon cui Atene si era impegnataa mandare a Minosse, re diCreta, un tributo di sette fan-ciulli e sette fanciulle da servirein pasto al Minotauro. Teseo,sbarcato a Creta, riuscì ad ucci-dere il Minotauro e ad uscire

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dal Labirinto con l’aiuto diArianna, liberando così gliAteniesi dal pesante tributo.Nell’Ercole e Telefo è rappresen-tato il momento del ritrova-mento da parte di Ercole delfiglioletto Telefo, che la madre,la principessa Auge, avevaesposto sul Monte Partenio inArcadia, dove il bambino fuallattato da una cerva e alleva-to dai pastori della regione, quipersonificata come figura fem-minile seduta su una roccia chetiene un bastone nodoso nellamano sinistra. Nel pannello cheritrae Pan (o Marsia) e Olimpo, ilgiovane Olimpo, mitico musici-sta, sta apprendendo l’uso delflauto da un Sileno. Nell’ultimoaffresco, Achille e il centauroChirone, sono infine rappresen-tati l’eroe Achille, ancora adole-scente, che impara a suonare lalira dal suo maestro, il saggiocentauro Chirone, raffiguratocon orecchie equine e pelle feri-na sulle spalle.

Quando vennero scoperti, il25 novembre del 1739, questiaffreschi suscitarono un gran-

dissimo interesse, tanto chefurono le prime pitture pubbli-cate nelle Antichità di Ercolano.Poiché si trattava di quadri digrande formato e con soggettomitologico, alimentarono nelmondo accademico vivacidiscussioni. Dai rendicontidello scavo del 1739 si ricavanoputroppo scarsi elementi perdedurre la posizione originariadei quadri sulle murature del-l’edificio. Infatti, nelle relazionidi scavo, dopo il distacco diuna sacerdotessa, non ci sonoaltre notizie riguardanti deco-razioni parietali ad affresco.

Tuttavia, sulla base del pro-filo concavo dei quadri, sembraoggi accertata la loro prove-nienza dalle nicchie absidate

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Nella pagina accanto in basso: Disegnoraffigurante i resti dell'augusteum diErcolano

Sopra: Teseo libera i fanciulli ateniesi.Affresco dall'Augusteum di Ercolano, cm.155 X 194. Museo Archeologico Nazionaledi Napoli

A destra: Eracle e Telefo. Affrescodall'Augusteum di Ercolano, cm. 182 X218. Museo Archeologico Nazionale diNapoli

A pag. 60: Chirone e Achille. Affrescodall'Augusteum di Ercolano, cm. 127 X125. Museo Archeologico Nazionale diNapoli

A pag. 61: Marsia e Olimpo. Affrescodall'Augusteum di Ercolano, cm. 112 X126. Museo Archeologico Nazionale diNapoli

poste sul lato di fondodell’Augusteum, anche se ilprimo problema è rappresenta-to dal fatto che ci sono due nic-chie e quattro quadri ad affre-sco. Domenico Esposito, calco-lando le misure delle pitturericurve, ha ipotizzato che inciascuna nicchia absidata fosse-ro collocati un grande quadro asoggetto mitologico fiancheg-giato da due pitture come quel-la con il centauro Chirone eAchille. Ma questa ipotesi susci-ta qualche perplessità.

Nel 1761 l’Augusteum funuovamente esplorato e inquesto frangente venne distac-cata una serie di pitture dispo-ste nella zona superiore, tra cuii quadri con le fatiche di Ercole.Ancora oggi la loro cronologiae interpretazione sono oggettodi discussione. Per quantoriguarda la datazione, purtrop-po non abbiamo l’intero ciclopittorico ma solo frammenti,per cui potrebbe trattarsi del

primo allestimento dell’edifi-cio, risalente alla metà del I sec.d.C. (età claudia).

Da vari elementi, l’ipotesioggi accreditata è che le duegrandi pitture curvilinee, raffi-guranti il Teseo liberatore edErcole e Telefo (entrambi conser-vati al Museo ArcheologicoNazionale di Napoli), rivestis-sero le pareti delle due nicchieabsidate. Data la loro posizio-ne, non c’è dubbio che dovesse-ro avere un ruolo di grandeimportanza nel programmadecorativo dell’intero edificio.Il quadro con il piccolo Telefoallattato da una cerva sulmonte Partenio, alla presenzadi Ercole, mitico fondatore diErcolano, e quello con Teseo,fondatore di Atene, hanno incomune l’esaltazione dell’eroefondatore e il tema del miraco-loso salvataggio di giovinetti.

Una diversa ipotesi inter-pretativa, riguardo i due affre-schi, è stata proposta da

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Françoise Gury, che nel quadrodi Ercole e Telefo identifica lamaestosa figura femminileseduta davanti l’eroe nellaMagna Mater, riconoscendonella rappresentazione ancheun’allusione al restauro deltempio di Ercolano, dedicatoalla stessa dea, realizzato dal-l’imperatore Vespasiano nel 76d.C. Il quadro con Teseo liberato-re, nella sua ambientazione cre-tese, conterrebbe invece unriferimento sia a Marco NonioBalbo, che fu proconsole diCreta e Cirene, sia a

Vespasiano, anch’egli procon-sole di Creta e Cirene. La stu-diosa è inoltre convinta che lac.d. Basilica di Ercolano siaquella costruita da Balbo erestaurata da Vespasiano, inter-pretando l’edificio come luogodedicato al culto imperiale.

Recentemente Mario Torelliha proposto una nuova letturadei quattro pannelli, che sareb-bero stati creati con l’intento dicelebrare il culto imperiale,interpretando le scene mitolo-giche rappresentate come un’e-vocazione dell’atmosfera del

ginnasio, luogo riservato inGrecia alla preparazione fisicae all’educazione dei giovani: ilpiccolo Telefo, i giovaniAteniesi, Achille e Olimpo rap-presenterebbero pertanto idiversi stadi di crescita e for-mazione degli iuvenes (giova-ni). Seguendo l’interpretazionedi Torelli, è possibile che l’edifi-cio fosse proprio destinato alculto imperiale, lasciando spa-zio anche a funzioni commer-ciali. Ed è anche per questo cheil nome Augusteum sembraessere appropriato. �

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IL CONTRASTATO PERIODODELL’IMPERO ROMANO

TRA STORIA E ARCHEOLOGIA

l termineanarchia mili-tare definiscesolitamentequel momen-to storicod e l l ’ e p o c a

imperiale caratterizzato daimperatori-soldati che erano perlo più eletti dalle proprie legionidi appartenenza e con granderapidità, spesso in conseguenzadi eventi favorevoli o sfavore-voli alle diverse milizie, e veni-vano destituiti mediate morteviolenta o per tradimento.Questo periodo si colloca tradi-zionalmente tra il principato diMassimino il Trace (235 d.C.) el’avvento al potere diDiocleziano nel 284 d.C.

Le origini di questo partico-lare degrado culturale e politicosono state ricondotte da diversistorici già al principato diSettimio Severo, salito al trononel 193 d.C. in maniera rocam-bolesca e per acclamazione dellelegioni della PannoniaSuperiore (di cui Settimio eralegato propretore), a cui prestosi unirono quelle della Dacia,

IANARCHIAMILITARE

Sopra: Aureo di Settimio Severo e GiuliaDomna

A destra: Il Foro di Leptis Magna

Nella pagina accanto, in alto a sinis-tra: Busto ritratto di Settimio Severo(Roma, Musei Capitolini)

Nella pagina accanto, in alto a destra:Testa in bronzo di Settimio Severo

del Norico, della Germania edella Rezia. Settimio Severo sitrovò di fronte a un impero cheviveva la sua peggior crisi eco-nomica, politica e militare dallasua nascita e malgrado fosseispirato da nobili ideali, dovettepresto adottare misure drasticheper porre rimedio al clima didisfacimento dello Stato. Dicerto, era lontana l’idea dell’im-pero così come venne elaboratada Augusto, accolta e praticatadalla maggior parte dei suoisuccessori: quella di un governofondato sulla cooperazione tra ilprinceps, quale sovrano indi-scusso, e tutte le forze politiche,economiche e istituzionali,anche a livello periferico, e incui l’esercito non era che unodei tanti mezzi utile al raggiun-gimento di questa idea, che sipotrebbe definire democraticaper la partecipazione di tutti aun fine supremo e che fino allafine del II sec. d.C. aveva dato isuoi ambitissimi frutti.

Settimio Severo era anche

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uno statista freddo, pratico, lun-gimirante. Comprese immedia-tamente che lo Stato romano eraormai divenuto una macchinapreparata per la guerra e diedetutto il suo sostegno all’esercitomediate cure e benefici del tuttonuovi e, per certi aspetti, inatte-si. Questa opera di profondamilitarizzazione si rese necessa-ria anche per le sempre piùpressanti minacce delle popola-zioni barbariche ai confini del-l’impero, ma soprattutto permi-se al nuovo imperatore di con-cretizzare la sua visione assolu-tistica dello Stato, che proprionell’esercito vedeva la sua mag-giore forza. La vecchia aristo-crazia, i ceti medi e ricchi, l’ordi-ne equestre e non da ultimo, ilsenato, venivano a ricoprireruoli sempre più secondari e dietichetta, lasciando così allemilizie il ruolo preminente nellavita dello Stato romano. Da que-sto momento in poi sarà quasisempre l’esercito a deciderel’imperatore di turno e con essola politica, divenuta ormai mili-tare, da seguire nel decidere lediverse operazioni belliche chedovevano essere condotte e per-seguendo, in genere, finalitàeconomiche e personalistichelegate ai diversi bottini di guer-ra da poter conquistare. Le lotteintestine tra legioni per lasupremazia dell’una o dell’altra

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al fine di acclamare i loro gene-rali alla porpora, fra tradimenti,congiure e complotti, completa-no infine il quadro di questidecenni torbidi della storiaromana, per concludersi conquella crisi nell’unità dell’impe-ro che sfocerà nella sua divisio-ne e nella fine di Roma qualecapitale di un solo Stato.

Questo nuovo sistema fonda-to sull’esercito venne ufficializ-zato da Settimio Severo attra-verso alcuni interventi che ave-vano lo scopo di dare il massi-mo favore al benessere dei sol-dati.

È il caso, ad esempio, dellecleruchie, ossia l’assegnazione diterre coltivabili ai soldati che ingenere le cedevano ad appalta-tori per il loro mantenimento.Venne poi concesso all’esercitoil controllo sulle confische deibeni, sui pagamenti all’erario esu tasse speciali, comel’Annona, istituita in Egitto, cheveniva per lo più pagata innatura. Ai soldati venne ancheelargito l’anulus aureus affinché

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Nella pagina accanto, in alto: L'Arco diSettimio Severo a Leptis Magna

Nella pagina accanto, in basso: Losplendido Teatro di Leptis Magna

Sopra: Uno dei pannelli dell'Arco diSettimio Severo con rappresentazione disoldati

Sotto: Particolare del Foro Romano, sulladestra l'Arco di Settimio Severo

potessero essere aggregati nel-l’ordine equestre e, infine, datala notevole svalutazione mone-taria di quel periodo, il loro sti-pendio venne quasi raddoppia-to. Ma la concessione forse piùsingolare e rivoluzionaria fu chei legionari potevano arruolarsianche se sposati e vivere con leloro mogli in villaggi prossimiagli accampamenti, venendosicosì a infrangere la netta separa-zione esistente fra il castrum e ilmondo civile. La lungimiranzadi Settimio Severo, tuttavia, loportò a escludere da quest’ulti-mo beneficio i suoi fedeli e pre-diletti pretoriani, che continua-rono ad essere sottoposti a unarigida disciplina.

In ultima analisi sono signifi-cative, dopo tutte queste con-cessioni elargite in vita, le ulti-me parole che Settimio Severodisse ai suoi figli, Caracalla eGeta, poco prima di morire:«Andate d’accordo, arricchite isoldati, non preoccupatevi deglialtri».

Questo imperante strapotere

dell’esercito e il nuovo climaesasperatamente militarizzatonon tardò a dare i suoi esiti pro-prio durante gli anni di regnodella dinastia dei Severi.

Caracalla, infatti, nell’inver-no del 216-217 d.C. si trovava adEdessa, suo quartier generale,per prepararsi a sferrare unnuovo attacco contro il re deiParti, Artabano V. I soldati cheerano già da tempo esasperatiper i ritardi e i costanti rinviinell’iniziare la nuova campagnabellica, trovarono l’occasioneper sopprimerlo durante un suoviaggio a Carrhae, nell’odiernaTurchia, supportati dal tradi-mento del suo fidato prefettodel pretorio, Macrino, che giun-se addirittura ad intendersi coni capi dell’opposizione a Romaper avere la certezza della suaelezione alla porpora dopo l’as-sassinio di Caracalla.

La città di Carrhae, già teatrodi una dolorosa disfatta subitanel lontano 53 a.C. dall’esercitoromano comandato da LicinioCrasso contro i Parti, fu scelta, apartire dalla metà del II sec.d.C., quale avamposto e baseper le operazioni belliche versola Mesopotamia. Probabilmente

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essa viene anche rappresentatain uno dei pannelli a rilievo chedecorano l’Arco di SettimioSevero nel Foro Romano, eleva-to in memoria delle vittoriosecampagne partiche di questoimperatore. Si tratta proprio delpannello sinistro della frontedell’Arco che guarda il Foro, incui - dal basso verso l’alto - sonoraffigurate su tre registri le fasiiniziali della prima campagnapartica con la partenza dell’e-sercito romano dall’accampa-mento di Carrhae, rappresentatoal centro con le sue poderosemura. Il prestigio di questa cittàcrebbe moltissimo tanto chedivenne colonia e sede di unaimportantissima zecca duranteil principato di Marco Aurelio,raggiungendo il suo apogeoproprio all’epoca di Caracallacon emissioni bronzee che reca-vano l’effige dell’imperatore eimmagini allusive al culto luna-re della città. Proprio un devotopellegrinaggio verso questosantuario fu fatale a Caracalla,soppresso dai suoi fedeli colla-boratori capeggiati da Macrino.Era l’8 aprile del 217 d.C.

Marco Opelio Macrino era di

origine africana, nato da umilefamiglia. Le fonti lo descrivonocome un uomo ignobile e sordi-do che svolse da giovane umilimansioni presso la corte impe-riale. Riuscì comunque a far car-riera e a raggiungere l’altogrado di prefetto del pretorio.La sua acclamazione a impera-tore non fu mai ben vista dalSenato e dal popolo di Romache si trovava ad avere sul mas-simo soglio imperiale, per laprima volta, un personaggioappartenente all’ordine eque-

Sopra: Particolare dei resti della città diEdessa

Sotto: Particolare dei resti della città diCarre

Nella pagina accanto: Busto dell'impera-tore Marco Opellio Macrino (MuseiCapitolini - Roma)

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Sopra: Iscrizione realizzata sull'architravedell'Arco degli Argentari. Roma

Sotto: Rilievo eseguito all'internodell'Arco degli Argentari raffigurante l'im-peratore Settimio Severo e sua moglieGiulia Domna

Nella pagina accanto, in alto: Denariocon l'immagine di Giulia Maesa, nonna diEliogabalo

Nella pagina accanto, al centro:Denario con l'immagine di Giulia Soemia,madre di Eliogabalo

Nella pagina accanto, in basso:L'imperatore Eliogabalo rappresentato suuna moneta

stre. I tempi tuttavia erano vera-mente difficili. Alla notizia dellamorte di Caracalla e della ripre-sa degli attacchi dei Parti, chericonquistarono molti territoriin precedenza occupati daiRomani, l’elezione di Macrinofu accolta e questi restò a capodegli eserciti presso le regionidella Mesopotamia.

A Roma, frattanto, serpeggia-va il malcontento, anche se,malgrado la crisi congiunturalee il momento di grande inquie-tudine etica, l’Urbe continuavaa godere di numerosi privilegiche sembravano aumentare conl’accrescersi delle difficoltàriscontrate dall’esercito nelladifesa dei confini. Questo èanche testimoniato dal fatto chealle consuete distribuzioni digrano alla plebe, si aggiunseroanche quelle di carne suina (caroporcina), di cui si ha testimo-nianza nel monumento, chiama-to impropriamente Arco degliArgentari, dedicato nel 204 d.C.nel Foro Boario in onore diSettimio Severo e della suafamiglia dagli argentarii (ban-chieri) e dai negotiantes boarii(commercianti di carne bovina).L’opera architettonica è infattida considerarsi una porta archi-travata di accesso al ForoBoario, che in seguito fu anchelegata all’istituzione, da parte diCaracalla, del Foro Suario, dovei boarii, come attestano le fonti,si prestarono a una distribuzio-

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ne di carne porcina alla plebe.L’iscrizione dell’Arco, dunque,come ipotizzò il Mazzarino, è«l’espressione non già di puri esemplici boarii come all’epoca diSettimio Severo, ma di boarii cheimportavano carne suina», pro-babilmente proprio per effetto

delle nuove distribuzioni allaplebe.

A questo punto, sulla scenapolitica e militare dell’impero,già ampiamente degenerata e inpiena crisi, entrano in gioco gliesponenti che restavano dellafamiglia dei Severi, ormai orfa-na del suo capostipite al tronoimperiale e dei suoi due succes-sori maschi: Giulia Domna,moglie di Settimio Severo emadre di Caracalla e Geta, eGiulia Mesa, sua sorella, madredi Giulia Soemia e GiuliaMamea.

Se il destino fatale di Giulia

Domna viene ampiamente rac-contato da Cassio Dione, chericorda come il dolore di costeiper la morte del figlio Caracallala portò prima a tentare il suici-dio e poi a lasciarsi morire difame nel 217 d.C. ad Antiochia,anche l’ordine imposto da

Macrino alle donne dei Severi diabbandonare il Palazzo impe-riale e di ritornare nella loropatria siriana, Emesa, si rivelòun errore altrettanto fatale.Rientrate in Siria con tutte leloro ricchezze, Giulia Mesa e lesue figlie organizzarono uncomplotto per riprendersi ilpotere.

Ormai Macrino era circonda-to solo da nemici e pur nel ten-tativo di ripristinare una saggiapolitica monetaria mediante lariduzione delle tasse (cosa cheprocurò nuovo malcontento frai militari) e un nuovo governocostituzionale ed illuminato,venne ucciso dopo soli 14 mesidalla sua proclamazione a impe-rator. Detestato dal Senato per lasua appartenenza all’ordineequestre e dai suoi nemici che,vedendo in lui un usurpatoredel potere, pretendevano l’ab-bandono della Mesopotamia, sitrovò a perire proprio a causa diun complotto ordito da GiuliaMesa con l’intento di riportaresul trono un membro dei Severi:il nipote Sesto Vario AvitoBassiano, il futuro imperatoreElagabalo. Fu per questo cheMesa cominciò a istigare i sol-dati che si trovavano pressoRaphaeneae, vicino Emesa, negli

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accampamenti della III legioneGallica, con la notizia che il gio-vane Avito Bassiano era il figliodi Caracalla, nato dalla cuginaSoemia, e che a lui spettava didiritto la porpora.

I militari della legioneGallica acclamarono alloraimperatore Avito Bassiano e benpresto altre legioni si unirono aquella, mettendo Macrino, chesi trovava ad Apamea in Siria,in una difficilissima situazioneche lo portò allo scontro direttocon i ribelli e quindi alla sconfit-

ta nei pressi di Antiochia.Macrino, alla notizia dellamorte dell’amato figlioDiadumeniano, che aveva ele-vato al rango di Cesare, tentòdapprima il suicidio e poi, infuga, fu raggiunto e ucciso spie-tatamente all’inizio dell’estatedel 218 d.C. nelle vicinanze diArchelaide in Cappadocia.

La cospirazione ordita daMesa e Soemia era giunta così abuon fine, elevando al trono ilgiovane Elagabalo, appenaquattordicenne, e rendendo di

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fatto le due donne, originarie diEmesa, le vere regine e domina-trici dell’impero.

In questo periodo della storiaromana la città di Emesa acqui-stò quindi una preminenza deltutto rispettabile e divenne tea-tro di avvenimenti che influen-zeranno non poco l’andamentodella vita sociale e politica del-l’impero. Situata in una posizio-ne dominante lungo la valledell’Oronte e sulla direttrice checollegava Damasco allaPalestina e all’Egitto, la città fusempre teatro di battaglie per lasua conquista e il conseguentecontrollo dei numerosi trafficiche si muovevano dall’Orienteverso sud. Già con PompeoEmesa venne a trovarsi in unasituazione di sudditanza verso

Roma, mentre al tempo deiFlavi, durante le lotte contro lepopolazioni ebraiche, fu amicadei Romani, favorendo tuttequelle attività che portaronoalla distruzione diGerusalemme. Senza dubbio,con l’avvento al trono diSettimio Severo e della sua con-sorte Giulia Domna, originariadi Emesa, la città visse il suo flo-ruit, culminato in seguito conl’elevazione al potere di principiemesiani, quali furonoElagabalo e Severo Alessandro.Si colloca infatti in questi anni lariconquista della città durante lecampagne partiche condotte daSettimio Severo e raccontate neipannelli dell’arco onorario eret-to nel Foro Romano, doveEmesa appare cinta da solide

Nella pagina accanto, in basso:Denario con l'immagine dell'imperatoreEliogabalo

Sopra: La via Colonnata di Apamea

A destra: Particolare della via Colonnatadi Apamea

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mura. Dotata di una zecca pro-pria, la città era molto nota nel-l’antichità per la presenza di unimportante santuario dedicatoad El Gabal, divinità solare, cheaveva nel proprio tempio, comesimulacro, una pietra nera obetilo, raffigurato in moltissimeemissioni monetali.

Il giovane principe Elagabaloera stato educato alla manieraorientale e soprattutto, perdiscendenza, era divenuto ilgran sacerdote del dio Baal:l’impero si trovò quindi ad esse-re dominato da un sacerdoteorientale, per di più identificatocon il dio di Emesa. Durante ilsuo principato si assistette alcompleto disfacimento dei prin-cipi fondanti della romanitas.Prima di tutto, rinunciando agliappellativi richiamanti impresebelliche e adottando solo quellidi Pius e Felix, Elagabalo negòcome modello proprio quella

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tradizione guerriera che avevafatto grande Roma e di cui sierano fregiati i più importantipersonaggi della repubblica,come Scipione l’Africano, e del-l’impero, come Augusto,Traiano e Marco Aurelio.Influenzato fortemente dallamadre, che le fonti descrivonocome dissoluta e viziosa, feceinoltre costruire sul Quirinale ilSenaculum, ossia il senato delle

Sopra: Denario di Eliogabalo coniato nellazecca di Edessa

Sotto: Basamento del Tempio di Eliogabalosul Palatino a Roma

Nella pagna accanto, in alto: Sesterziocon la rappresentazione del Tempio diEliogabalo

Nella pagina accanto, in basso: Ritrattoin marmo dell'imperatore Eliogabalo.Roma, Musei Capitolini

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donne, dove si legiferava sufutili argomenti di vita monda-na e galateo. La sua megaloma-nia religiosa lo portò anche acostruire sul Palatino un tempiodedicato al dio Eliogabalo,all’interno del quale fece tra-sportare tutti i simboli religiosi eleggendari legati alle origini diRoma, come il Palladio, il fuocodi Vesta, gli ancili di Marte e ilsimulacro aniconico della deaCibele che dovevano, quindi,rientrare nell’unico culto solarein cui si identificava lo stessoimperatore. Un altro tempiovenne realizzato sull’Esquilinoe frequentissime erano le ceri-monie e le processioni fra i duetempli, caratterizzate da danzee dal trasporto del betilo. Tuttala vita di corte, infine, si imper-niò su un’atmosfera di ambigualussuria, dove si alternavano,con cadenza continua, gli aman-ti e le amanti del principe e disua madre, che di volta in voltavenivano nominati per i loromeriti ‘di letto’ alle cariche

amministrative e politiche delloStato. Non a caso l’impero diElagabalo è stato definito comequello del femminismo di altorango e dei liberti (MAZZARINO).E gli spazi all’interno dell’Urbeal giovane imperatore di certonon mancarono: al Palazzo sulPalatino si aggiunsero infatti igrandi possedimenti ereditatidal padre Sesto Vario Marcello,noti con il nome di Horti SpeiVeteris od Horti Variani e colloca-ti sulla propaggine orientale delCelio. Entrata a far parte deldemanio imperiale, questasplendida residenza suburbana,che appariva come una villacomposta da diversi nucleimonumentali, immersi inmagnifici giardini, fu ulterior-mente abbellita proprio daElagabalo con la costruzionedell’Anfiteatro Castrense e con

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la risistemazione del CircoVariano, realizzato in preceden-za da Caracalla. A questaristrutturazione si deve il riuti-lizzo, al centro della spina delCirco, dell’obelisco di Antinoo,che l’imperatore Adriano avevafatto collocare ad ornamento diun monumento dedicato allamemoria del giovane sulla viaLabicana. Nel 1551 l’obelisco sitrovava ancora nella sua giaci-tura originaria, seppure cadutoe fratturato, come testimonianoalcune vedute del Bufalini e delLigorio, insieme a molte vesti-gia del Circo. Trasportato nel1633 da papa Urbano VIII aPalazzo Barberini con l’intentodi inserirlo - su progetto delBernini - nella suntuosa decora-zione dei giardini, fu in seguitodonato a papa Clemente XIV e,dopo molte vicissitudini, siste-

mato dal Valadier nell’attualecollocazione del Pincio.

Nella proprietà degli HortiVariani, quindi, l’imperatorenon disdegnò di fare la suaapparizione, anche in virtùdella sua adorazione, per laquale aveva predisposto uncerimoniale particolare, e diassistere, così, alle corse deicarri che - come racconta il suobiografo - si svolgevano proprionella residenza sul Celio.

Nel frattempo la situazionesociale e politica era divenutainsostenibile. Roma non potevapiù tollerare i capricci di questogiovane sacerdote siriano e isuoi estremi estetismi, accom-pagnati dagli impudichi com-portamenti della madre. A que-sto si aggiunse l’indifferenza diElagabalo nei confronti dell’atti-vità legislativa e amministrati-va, il disinteresse per la difesadei confini dell’impero e ilsopraggiunto livellamento tra laclasse senatoria ed equestre peril loro accorpamento. A Roma enelle principali province impe-riali insoddisfazione e disap-provazione regnavano sovrane.Bisognava quindi correre airipari. E ancora una volta inter-venne Giulia Mesa, che avver-tendo il pericolo di un colpo diStato ai danni del nipote, propo-se di affiancare ad Elagabalol’altro suo nipote, il figlio diGiulia Mamea: Bassiano

Sopra: L'obelisco del Circo Variano collo-cato sul Pincio a Roma

Sotto: Pianta di Pirro Ligorio del XVI seco-lo con il Circo Variano ancora rappresentato

Nella pagina accanto, in alto: Ritratto diGiulia Mamea, madre di Alessandro Severo

Nella pagina accanto, in basso: 26Busto ritratto di Alessandro Severo. Roma,Musei Capitolini

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Alexiano Marcello, che alloraaveva solo 13 anni. Cresciutosecondo i principi della culturaromana, il giovane era moltoben visto dal popolo e dalSenato di Roma. Usando lo stes-so stratagemma ideato per ilfiglio di Soemia, Giulia Mesafece credere che anche questogiovane principe fosse figlio diCaracalla e così fu eletto Cesarecon l’intenzione di far svolgerea lui le principali attività digoverno di cui l’impero necessi-tava ormai da anni. Prese ilnome di Marco Aurelio SeveroAlessandro con l’approvazionedel Senato, ma non quella diSoemia, che temendo per sé eper il figlio, fomentò quest’ulti-mo nell’intento di disfarsi delnuovo Cesare e dei suoi fidi col-laboratori. Ma immediato giun-se l’intervento dei pretoriani che

presero in mano la situazione econ l’ennesima congiura uccise-ro Soemia, Elagabalo e molti deiloro adepti, gettando i corpi inun canale e di qui nel Tevere. Siera agli inizi del mese di marzodel 222 d.C. Elagabalo e suamadre furono colpiti da damna-tio memoriae e AlessandroSevero fu acclamato imperatorecon grandi festeggiamenti. Ilpotere di fatto restava ancoranella mani di due donne deiSeveri: l’anziana Mesa e l’altrasua figlia, Giulia Mamea.

Come sempre, l’avvento diun nuovo imperatore portavaentusiasmo e nuove speranze.La giovane età di AlessandroSevero, tuttavia, preoccupava lamadre che affiancò al giovaneprincipe uomini illustri esoprattutto una serie di giuristicon cui la donna cooperò per ricucire i rapporti tra la corte

imperiale, il Senato e l’esercito,e riportare un clima più mode-rato e vicino ai valori dellaRoma della prima età imperiale.Frattanto Alessandro cresceva,studiando con ottimi maestri econ abitudini morigerate esobrie che certamente si distin-guevano da quelle eccessive eturpi del suo predecessore.Come è stato giustamente affer-mato, all’impero dei liberti sisostituì un impero di giuristiche comunque aveva i suoi limi-ti nei rapporti con l’esercito,rimasto ancora in attesa di esse-re guidato verso campagne bel-liche vittoriose e remunerative.

Roma non si accorgeva diquanto stava contemporanea-mente accadendo in Oriente.Nel 224 d.C. Artaserse, nellaribellione contro il re deiPersiani Artabano V, avevaavuto la meglio riportando cosìnuovamente al trono la dinastiadei Sasanidi, dinastia con unaforte connotazione nazionalistae integralista, nonché una tradi-zionale avversione a Roma: ilconflitto tra Persiano e Classicotornava ancora una volta alla

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ribalta. E i fatti non tardarono amanifestarsi. Già nel 230 d.C. siregistrano le prime incursionipersiane nei territori romanidella Mesopotamia, mentrealtre scorrerie di cavalieri sasa-nidi sono attestate in Siria eCappadocia. La risposta diAlessandro non fu quella di uncondottiero deciso, ma piuttostoquella di un diplomatico chepoco aveva compreso le vereintenzioni dei suoi nemici: dif-fidò più volte, per via epistola-re, Artaserse dalle azioni chestava compiendo e solo dopodue anni si decise a muoverecontro il nuovo nemico.

A Roma Alessandro Severo,con la sua indole remissiva edipendente dalla volontà altrui,si era infatti abituato ad una vitadi corte in cui primeggiavano losplendore delle arti; il suo mag-gior interesse era quello di asse-condare le decisioni dei suoi giu-risti, difeso e protetto costante-mente dalla madre, nell’ammini-strazione dello Stato e nel rende-re ancora più magnifica l’Urbe.

Abbiamo molte notizie sul-l’attività edilizia di AlessandroSevero sia a Roma, sia in diver-se province dell’impero. Il suobiografo, Lampridio, ricorda lacostruzione della Basilica

Alexandrina, situata nel CampoMarzio e identificabile in ungrande portico che costeggiavalo Stagnum Agrippae; i numerosirestauri, tra cui si possono ricor-dare quelli del Teatro diMarcello, dell’Anfiteatro Flavio,del Circo Massimo e delloStadio di Domiziano; i nuoviampliamenti eseguiti nella villaresidenziale del Celio; l’erezio-ne di statue in tutta la città e, inparticolare, nell’area del Foro diTraiano e del Foro Transitorio; larisistemazione di ponti e strade;la costruzione di un edificio sulPalatino, noto col nome diDiaetae Mammaeae, che si puòidentificare con una zona, all’in-terno del Palazzo imperiale, chevenne riservata agli apparta-menti privati della madre.Ancora oggi a Roma restanomolte vestigia del suo program-ma urbanistico: il completamen-to delle Terme di Caracalla conla realizzazione del porticatoimpostato sul recinto esterno ela probabile decorazione pavi-mentale delle palestre; le Termeche da lui prendono il nome,edificate nel Campo Marzio sulluogo delle precedenti TermeNeroniane. Lo stesso biograforicorda con notevole rilievo

Sopra: Arco di Alessandro Severo aDougga in Tunisia

Sotto: Particolare dei resti dell'AnfiteatroCastrense a Roma

Nella pagina accanto, in alto: Colonnerelative alle Terme Neroniane-Alessandrine

Nella pagina accanto, in basso:Particolare dell'Acquedotto Alessandrino aRoma

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come, per la loro costruzione,vennero istituite nuove tasse subanchieri e artigiani, come giàera accaduto per finanziare irestauri degli edifici, tassando lecortigiane. Le magnifiche Termefurono alimentate da un nuovoacquedotto, l’Alessandrino, checaptando l’acqua nell’area delleggendario Lago Regillo(odierna zona di PantanoBorghese) si snodava per circa22 km lungo il percorso compre-so tra le vie Casilina ePrenestina fino a giungere aRoma per dirigersi verso ilCampo Marzio. Tutte questeopere furono realizzate anchecon l’intento di ottenere un sem-pre maggiore consenso presso laplebe. Acquedotti, strade, pontie altre opere pubbliche attribui-te ad Alessandro Severo sonopresenti anche in Pannonia e inaltre provincie del vicino orien-te romanizzato. Ben noto è l’ar-co di trionfo in suo onore erettoa Dougga in Tunisia.

Malvolentieri, quindi, il ven-titreenne imperatore - come rac-conta Erodiano - lasciò Roma,piangente e voltandosi spesso aguardarla. Privo di esperienzain campo militare, si apprestavaa comandare le legioni per far

fronte agli attacchi dei Persiani.Da questo momento le versionidegli avvenimenti si dividonotra gli stessi storiografi antichi.Secondo Erodiano, l’esercitoromano subì una grave sconfittacon pesanti perdite, dovuta pro-prio alle indecisioni e alle pauredell’imperatore, aggravate dal-l’incapacità di attuare un validopiano strategico. AurelioVittore, invece, attribuisce adAlessandro una vittoria che lovide anche - secondo la versionedell’Historia Augusta - ritornarea Roma per celebrare il trionfo.

Certamente, l’aver distaccatoingenti forze dai confini germa-nici per la guerra in Oriente

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favorì quelle popolazioni barba-riche nell’invasione dei territoriromani a ridosso del Danubio edel Reno. Alessandro dovetteriprendere la via della guerraportandosi in Gallia insieme aisuoi pretoriani. E anche in que-sto contesto adottò la tatticadiplomatica e, come se nonbastasse, offrì anche del denaroin cambio della pace. Decisionequesta inaccettabile per le trup-pe romane che videro in quelgesto di Alessandro un doppiotradimento, sia nel mancatocoraggio di battersi, sia nell’of-frire denaro ai nemici piuttostoche alle sue truppe per una sicu-ra vittoria. In questa sua politicail giovane imperatore non avevacompreso appieno l’importanteruolo da assegnare all’esercitoin un momento di così gravecongiuntura, come invece avevafatto il suo avo e predecessoreSettimio Severo. La reazionedegli eserciti schierati fu imme-

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diata. Un ammutinamentoportò all’uccisione diAlessandro, accusato di codar-dia e colpito nella sua tenda aMagonza, insieme alla madre,nel marzo del 235 d.C. Al suoposto fu acclamato imperatore ilrude e possente prefetto deitironi Caio Giulio VeroMassimino, un pastore origina-rio della Tracia, senza censo econ ascendenza barbarica.

Un fitto mistero avvolgeancora oggi il luogo in cui furo-no deposte le spoglie mortali diAlessandro Severo e di suamadre Giulia Mamea. La scoper-ta di un grande mausoleo sullavia Tuscolana, noto con il tardotoponimo di Monte del Grano edatato ai primi decenni del IIIsec. d.C., anche in base all’analisistilistica di uno splendido sarco-fago ivi ritrovato, ha fatto pensa-re che proprio questa potesseessere la tomba degli ultimi eredidella dinastia dei Severi. Se da

un lato, infatti, la tecnica e la pre-senza di alcuni bolli di mattoneascrivibili al principato diAdriano, collocano il monumen-to nella sua realizzazione origi-naria alla seconda metà del IIsec. d.C., il sarcofago, rinvenutonel 1582, presenta sul coperchiodue figure sdraiate che alcunistudiosi - sulla base dei trattisomatici - hanno ricondotto alleimmagini di Alessandro e dellamadre Giulia. Tuttavia, ulteriorie più recenti indagini e analisiiconografiche suggeriscono dinon attribuire con estrema cer-tezza i ritratti alle immagini deidue regnati ma, più generica-mente, a due importanti perso-naggi della vita civile del III sec.d.C. Proveniente dalle officineattiche resta infine da ricordarela pregevole lavorazione artisticadella fronte del sarcofago, in cuifigura l’episodio di Achille ospi-te presso re Licomede e le suefiglie a Sciro. � (continua)

Nella pagina accanto, in basso:Disegno rappresentante la sezione delMausoleo di Monte del Grano

Al centro: Particolare dell'interno delMausoleo con la galleria di ingresso

Sopra: Interno del Mausoleo con il parti-colare della cupola

Sotto: Il sarcofago rinvenuto nel XVI secolo

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: L. PARENTI, Storia di Roma, Torino 1952-1955;M. ROSTOVZEV, Storia economica e sociale del mondo romano, Firenze 1967; R.BIANCHI BANDINELLI, Roma. La fine dell’arte antica, Roma 1970; A.GIULIANO, Le città dell’Apocalisse, Roma 1971; S. MAZZARINO, L’Imperoromano, Roma-Bari 1973; A.H.M. JONES, Il tardo impero romano, Milano1973-1974; P. BROWN, Il mondo tardo antico, Torino 1974; M. GRANT, Gliimperatori romani, Roma 1993; S. RINALDI TUFI, Archeologia delle provinceromane, Roma 2000; P. GROS - M.TORELLI, Storia dell’urbanistica. Il mondoromano, Bari 2007.

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AL MUSEO ARCHEOLOGICO

NAZIONALE DI NAPOLI

o scorso 2ottobre 2009è stato inau-gurato pres-so il MuseoArcheologicoNazionale di

Napoli il nuovo e definitivo alle-stimento della collezioneFarnese, composta di gruppimarmorei, statue, ritratti, rilievi,sarcofagi e iscrizioni.L’allestimento è stato curato dal-l’équipe scientifica del professorCarlo Gasparri, ordinario diArcheologia e Storia dell’Arte

LLA COLLEZIONE

FARNESE

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In basso a sinistra: Divinità fluviale

In basso: Una delle prime sale che raccol-gono la Collezione Farnese

Nella pagina accanto in alto: Il Prof.Carlo Gasparri ordinario di Archeologia eStoria dell'Arte Greca e Romana pressol'Università Federico II di Napoli

Greca e Romana pressol’Università Federico II diNapoli, in collaborazione conValeria Sampaolo, direttrice delMuseo Archeologico, e PaolaRubino, sotto la direzione scien-tifica dei soprintendenti Pietro

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Giovanni Guzzo e MariarosariaSalvatore. Il nuovo criterio espo-sitivo è opera dell’architettoEnrico Guglielmo, ex soprinten-dente di Palazzo Reale, che daanni studia la forma del Museo.

La rinnovata esposizione per-manente raccoglie i frutti di oltrequindici anni di studi e rappre-senta la degna conclusione di unlungo e impegnativo progetto diricerca partito nel 1994. L’intentodei curatori era quello di cercareun criterio espositivo che ren-desse giustizia ai capolavoridella collezione Farnese.L’approdo a questo riordino èmaturato attraverso una soluzio-ne complessa: disegnare all’in-

terno delle sale un itinerario chefosse vicino ai criteri collezioni-stici che avevano ispirato laprima esposizione, quella volutadal cardinale AlessandroFarnese, il futuro papa Paolo III(1543-1549), e poi proseguita eaccresciuta nei palazzi di fami-glia dall’omonimo nipote, il car-dinale Alessandro, affinché ilvisitatore potesse «ammirare leopere e al tempo stesso com-prendere - come ha spiegato ilprofessor Gasparri, durante lapresentazione delle sale allastampa - il mondo dei mecenatirinascimentali e dei loro consi-glieri scientifici, come il brillanteumanista Fulvio Orsini».

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«L’intento è stato quello di pre-sentare ai visitatori la collezioneFarnese nel suo insieme - ha pre-cisato la nuova Soprintendentedi Napoli e Pompei,Mariarosaria Salvatore, che hasostituito a settembre il collegaGuzzo - liberando la raccolta daisuccessivi inserimenti di operedi pregio, che nulla avevano ache fare con il suo nucleo origi-nale». Sono in tutto una quindi-cina le opere escluse in seguito ariscontri accurati che ne hannorivelato la non appartenenza alnucleo farnesiano, tra cui l’AtenaAlbani, che giunse a Napoli con

le altre sculture romane e cheappartiene appunto alla colle-zione Albani.

La collezione Farnese delMuseo Nazionale di Napoli rap-presenta una delle più grandiraccolte di sculture antiche for-matasi nel Rinascimento, forse lapiù grande che sia rimastasostanzialmente intatta, sia pureoggi lontana dalla sua sede origi-naria. Non è possibile risalire alnumero esatto delle opere checomponevano il nucleo della col-lezione nel momento del suomassimo splendore (agli inizi delSeicento), per poi subire un gra-

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duale processo di spoliazione.Sono oggi esposte al Museo

Archeologico circa trecentoopere tra statue, marmi e iscri-zioni. La collezione si trova aNapoli perché ereditata per viamaterna (Elisabetta Farnese,ramo Parma) da Carlo III diBorbone. Divenuto re di Napolinel 1734, questi decise il trasferi-mento delle raccolte parmensinella capitale del Regno, seguitodal figlio Ferdinando IV, che viportò anche le collezioni romanedella famiglia: tra il 1786 e il 1800le residenze farnesiane a Romavennero svuotate e le sculture,

dopo diverse vicissitudini, con-fluirono nel Palazzo degli Studi,denominato nel 1816 Real MuseoBorbonico e oggi MuseoArcheologico Nazionale.

Fino allo scorso ottobre man-cava un filo rosso, un criterio diesposizione che collegasse letante opere conservate al pianoterra del Museo Nazionale diNapoli, perché inopinatamentemescolate alle tante antichità

Nelle due pagine: La sala dei Tirannicidi

Nella pagina accanto in basso: LaDott.ssa Mariarosaria Salvatore,Soprintendente archeologo di Napoli,Pompei ed aree vesuviane

Sotto: Statua di Iside - Fortuna in marmobigio morato

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Nella pagina accanto: Statua di Heratipo Efeso-Vienna, cd. Hera Farnese, inmarmo bianco a grana fine

Sopra: Raffigurazione di cane seduto

In basso a sinistra: Testa di Apollo tipoKassel

In basso a destra: Busto di barbaro

pompeiane e campane. Le sta-tue, dopo il riallestimento, sonoora raccolte in gruppi sulla basedei contesti di provenienza,come doveva essere nelCinquecento e nel Seicento,quando erano divise tra le

numerose residenze della fami-glia: Palazzo Farnese, oggi sededell’Ambasciata di Francia, inpiazza Farnese, la VillaFarnesina alla Lungara, VillaMadama sulle pendici del monteMario, gli Horti Farnesiani sulPalatino e la Villa Farnese diCaprarola in provincia diViterbo.

Alcuni marmi giacevanodimenticati nei magazzini delMuseo e si era perso il ricordodella loro provenienza, mentre,per i più conosciuti, «si sonovoluti evidenziare - da un lato - imomenti salienti della vicendaformativa della collezione»(Gasparri), come è il caso, adesempio, delle campagne discavo promosse da Paolo IIIFarnese alle Terme di Caracallanel biennio 1545-1546, grazie allequali vennero alla luce il gruppodel cd. Toro Farnese e l’ErcoleFarnese, dall’altro, gli intenti pro-grammatici e i criteri espositiviche portavano a realizzareambienti in cui architettura,decoro ed arredo fossero inscin-

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dibilmente collegati, come nellaGalleria dei Carracci, scandita danicchie in cui erano ospitate sta-tue e busti, o nella Galleria deiRitratti Imperiali, entrambe all’in-terno del Palazzo Farnese. Alsistema espositivo precedente,che ricostruiva nelle sale delMuseo la storia cronologicamenteordinata della scultura antica, si èprivilegiato, dunque, il criteriocollezionistico voluto dai Farnese.

In questa ottica filologica dirispetto delle ragioni formativedella collezione, con un itinera-rio virtuale attraverso le diversesedi originarie, l’apparato dida-scalico guiderà i visitatori attra-verso le vicende che hannoriguardato i capolavori esposti,sottolineando con i diversi colo-ri, ripresi nelle sale, i luoghi diprovenienza degli stessi. Nontutti i trecento pezzi della colle-

A sinistra: Busto di divinità fluviale

Sopra: Rilievo con scena di Teatro

Sotto: Il celeberrimo gruppo scultoreo cd.Toro Farnese

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zione hanno cambiato colloca-zione nell’ambito del quadripor-tico orientale del Palazzo, anzi, idue pezzi più famosi, il gruppodel Toro Farnese e l’Ercole Farnese,sono rimasti al loro posto (diffi-cilissimo spostarli date le dimen-

sioni colossali). Non è stato toc-cato neanche il Gabinetto delleGemme, che tuttavia resta un po’nascosto per il turista disattentoo poco informato, con un piccoloaccesso laterale dalla saladell’Ercole.

A destra: La stupenda statua denominataErcole Farnese, in basso a destra l'ingressoalle sale delle Gemme

In basso a destra: Il nuovo allestimentodelle sale delle Gemme

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Nella pagina accanto: La bellissima cd.“Tazza Farnese”

In questa pagina: Il retro della “TazzaFarnese” con immagine di Medusa e varitipi di gemme esposte

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L’ingresso a destra del pianoterra del Palazzo degli Studi,appena varcata l’entrata delMuseo, è guardato da due gigan-tesche statue di prigionieri Daciin marmo bigio. Il corridoio d’in-gresso (sala I) presenta i grandiframmenti della cd. Aula Regiadella domus Flavia e del tempiodi Adriano, e una statua colossa-le di Apollo in porfido, convolto, mani e piedi in marmobianco (aggiunta settecentesca).A destra della corridoio si apro-no le sale II-VI con le sculturedella collezione Farnese. Si entrain quest’ala trovandosi davanti ilgruppo dei Tirannicidi. Nellasala II sono esposte le sculturedella Galleria dei Carracci comel’Apollo Citaredo e l’Antinoo, men-tre nella sala VI sono protagoni-sti dei ed eroi, tra cui la celeber-

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rima Artemide Efesia, l’AfroditeCallipige, il gruppo del Meleagrocon il cinghiale e una statua diEros che gioca con un delfino.

I grandi capolavori della col-lezione non hanno certo bisognodi presentazione per un pubbli-co di addetti ai lavori. Come giàdetto per l’Ercole e il Toro Farnese(sale XI-XVI), il riordino ha inte-ressato solo in piccola parte ilnucleo della Kaisergalerie (XXIX),mentre i busti dei filosofi hannotrovato collocazione nelle saleattigue (XXVII-XXVIII), ex spazidella sezione didattica, dove ha

Nella pagina accanto in alto: L a bellis-sima statua di Barbaro Inginocchiato inmarmo pavonazzetto e volto e mani inmarmo bigio

Nella pagina accanto in basso: Statuadi Apollo citaredo seduto su roccia in porfi-do rosso e marmo bianco

A sinistra: Particolare della sala deiTirannicidi

In basso: Gruppo, particolare, di Satirocon Dioniso bambino

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trovato anche posto una toccantericostruzione del gruppo diAmazzoni, Giganti, Persiani eGalati morenti, ora scenografica-mente riversi in una vasca riem-pita di sabbia (XXVI).

Resta escluso dal nuovo crite-rio di allestimento il celebreAtlante che sostiene il globo ter-restre, rimasto, per una sceltacoerente, nell’omonimo salonedel primo piano del Museo.Mancano inoltre all’appello legrandi sculture in basalto prove-nienti da Palatino, trasferite nelSettecento a Parma, e un secon-do Ercole, che oggi si trova nellaReggia di Caserta. Sempre aCaserta, ma nei giardini dellaReggia, è stata individuata unaMenade appartenente alla colle-zione Farnese. Un’altra statuacolossale raffigurante Telamoneè collocata a Capodimonte, men-tre alla fine dell’Ottocento alcu-ne sculture sono state vendute alBritish Museum e al Museum ofFine Arts di Boston.

È infine il caso di ricordareche oltre ad un generale inter-vento di pulizia e restauro delleopere, con il mantenimento dellenumerose integrazioni modernedi Guglielmo Della Porta (XVIsec.) e di Carlo Abacini (XVIIIsec.), frutto anche questo lavorodi un discorso filologico e diricostruzione delle vicende stori-

Nella pagina accanto: Statua di Apollocitaredo in Grovacca dello UadiHammamat (Egitto)

Sopra: Gruppo di Eros con delfino inmarmo bianco a grana fine

A sinistra: Statua equestre, particolare, diguerriero loricato in marmo bianco

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che di ciascuna, è stata parallela-mente condotta una scrupolosaricerca d’archivio su testimo-nianze grafiche, disegni e foto-grafie, che ha permesso di rin-tracciare parti mancanti e lavo-rare al recupero con maggiorsicurezza.

Con il riallestimento dellacollezione Farnese si aggiungeun terzo fondamentale tasselloal programma di valorizzazionedel Museo Archeologico diNapoli, dopo il grande lavorofatto sulla pittura pompeiana ela sistemazione delle sculturedella Villa dei Papiri di Ercolano.Un museo incredibile, unico almondo, la cui Direzione - poten-do contare sull’eccezionale qua-lità dei pezzi esposti - sta oralavorando per adeguarsi allenuove modalità di fruizionedegli stessi, senza cadere nelletrappole delle mode, con unapresentazione classica, sobria (ifondi a disposizione fanno dinecessità virtù…) e, finalmente,ragionata. �

In occasione del nuovo allesti-mento, la casa editrice Electa hapubblicato, a cura di C. GASPARRI

e con testi di C. CAPALDI, M.CASO, F. CORAGGIO, E. DODERO, S.PAFUMI, il primo catalogo scienti-fico della Collezione, articolatonei seguenti volumi: G. GASPARRI

(a cura di), Le sculture Farnese I.Sculture ideali, Napoli 2009; ID. (acura di), Le sculture Farnese II. Iritratti, Napoli 2009. Il terzo volu-me, in preparazione, è dedicatoai gruppi scultorei, alle scultured’arredo, ai rilievi, alle urne, aisarcofagi e ai materiali architetto-nici, e contiene un’appendice contutte le sculture della collezioneFarnese che attualmente sonoconservate fuori del MuseoArcheologico Nazionale diNapoli. Altri titoli disponibilisulla collezione Farnese: G.GASPARRI (a cura di), Le gemmeFarnese, Napoli 1994; ID., Le scul-ture Farnese. Storia e documenti,Napoli 2007.

Nella pagina accanto in alto: Statua diGanimede, particolare, in marmo bianco agrana fine (lunense)

Nella pagina accanto in basso: Statuadi Amazzone a cavallo, particolare, inmarmo bianco

Sopra: Statua di Artemide Efesia, partico-lare, in alabastro (torso) e bronzo (testa,mani e piedi)

Sotto: Statua femminile, particolare, repli-ca della Kore di Eleusi, restaurata comeMusa

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IN MOSTRA APALAZZO MASSIMO

ella sededi PalazzoMassimo delM u s e oN a z i o n a l eRomano dal16 dicembre

2009 al 18 aprile 2010 laSoprintendenza Speciale per iBeni Archeologici di Roma espo-ne un complesso di 11 marmiantichi, costituenti un unicum nelpanorama dell’archeologia dellaMagna Grecia di età tardo-classi-ca. Si tratta di reperti straordina-ri provenienti dal territorio del-l’antica Ausculum, l’odiernaAscoli Satriano, in provincia diFoggia, che spiccano per l’altaqualità del marmo provenientedall’isola di Paro, per la decora-zione pittorica e la particolarestoria del ritrovamento.

Infatti nel maggio del 2006 ilComando Carabinieri TutelaPatrimonio Culturale recuperòuna serie di manufatti dai localidel Museo Civico di Foggia e litrasferì a Roma a disposizionedella magistratura che indagavasul commercio internazionaleclandestino di reperti di scavo.L’interesse per questo gruppo di

NIL SEGRETO DI

MARMO

manufatti antichi da parte deimagistrati si deve ad alcunedichiarazioni di un cittadino ita-liano, emerse durate precedentiindagini, che ammetteva la pro-pria partecipazione a uno scavoclandestino effettuato nel territo-rio dell’antica Ausculum, nelquale era stato ritrovato un grup-po raffigurante due Grifi chedilaniano un cerbiatto, vendutoin seguito ad un museo america-

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no, e una serie di altri oggetti,che vennero sequestrati dallaGuardia di Finanza di Foggia. Siriprese quindi il fascicolo proces-suale a carico del testimone, giàaperto nel 1978, e il 5 maggio del2006 si rintracciarono i reperti,che furono portati subito nellaboratorio della SoprintendenzaSpeciale per i Beni Archeologicidi Roma per gli interventi di con-servazione e restauro.

In alto al centro: Mensole in marmo

A sinistra: Particolare del supporto damensa raffigurante due grifi che attaccanoun cerbiatto

Sopra: Serie di vasi in marmo

Sotto: Particolare del podanipter, grandebacino in marmo

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La conferma dello straordina-rio interesse dei reperti conser-vati a Foggia ha inoltre sollecita-to un sopralluogo nelle campa-gne di Ascoli Satriano. Questeindagini hanno permesso diricollegare tutti i pezzi, che intotale sono undici, ipotizzando-ne la comune provenienza da uncontesto funerario daunio dellaseconda metà del IV sec. a.C. Il14 giugno del 2006, anche graziealla collaborazione dei famigliaridell’imputato, venuto a mancarenel 2002, gli stessi Carabinierisono riusciti ad individuare lazona in cui tra il 1976 e il 1978furono ritrovati i reperti. Due trai pezzi più eccezionali di questogruppo di reperti, il sostegno damensa con Grifi e il podanipter(grande bacino con supporto),furono acquistati dal J.-P. GettyMuseum di Malibu e restituitiall’Italia nel 2007. Uno studioeffettuato da Vermeule su questimarmi, durante la loro perma-nenza nel museo americano,indicava come probabile prove-nienza il contesto apulo e, piùprecisamente, come emerso daun documento pubblicato in un

articolo sul Los Angeles Times,una tomba nel territorio dell’an-tica Herdonea (Orta Nuova, inprovincia di Foggia), meglioconosciuta archeologicamente diAscoli Satriano. Ovviamentequeste ipotesi erano state avan-zate senza conoscere esattamen-te il luogo di ritrovamento che,come detto, è stato individuatograzie alle indagini svolte nelterritorio dell’antica Ausculum.Secondo i dati raccolti daiCarabinieri, la zona di rinveni-mento dei materiali si collocanell’area a monte della StradaProvinciale 99, alla base del pen-dio della collina conosciutacome l’altura del Serpente. Questorilievo è stato oggetto di nume-rosi interventi di scavo da partedi istituzioni italiane e straniere,ed emerge chiaramente la pre-senza di apprestamenti cultuali,connessi con sepolture di perso-naggi di rilievo, collocate intombe a pozzo che ricevono laloro sistemazione finale nellaseconda metà del IV sec. a.C. eche a partire dai primi decennidel secolo successivo risultanogià distrutte. Sembra dunque

trattarsi, in sostanza, di un’areasacra «destinata - secondo M.Osanna - ad ospitare praticherituali in cui il sacrificio ed ilbanchetto dovevano svolgere unruolo significativo, e che potevadunque essere stata riservata acerimonie commemorative didefunti di rango, cui dovevaessere stato attribuito, in qualchemodo, uno statuto eroico».L’importanza e la ricchezza deicorredi funebri marmorei diAscoli Satriano possono proba-bilmente ben ricollegarsi ad unasituazione “eroica” o comunquedi rango elevato che sembracaratterizzare quest’area sepol-crale. Conferme circa l’esistenzain ambito daunio dell’uso anchefunerario di manufatti litici ven-gono comunque dal corredo del-l’ipogeo della Medusa di Arpi edai grandi corredi ritrovati nelletombe di Lavello.

I marmi di Ascoli Satrianosono accumunati dalla particola-re tecnica di lavorazione, dallapresenza della decorazione poli-croma e dalla medesima qualitàdel marmo, pario e di afrodisia.Può ipotizzarsi, come analizzato

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in precedenza, una versione par-ticolarmente monumentale, efino ad oggi praticamente igno-ta, di un servizio funebre, le cuiforme richiamano da vicino l’e-legante ceramica italiota di IVsec. a.C. e i rispettivi esemplaridi bronzo.

Spicca tra i pezzi in mostra ilpodanipter, un bacino marmoreosu supporto realizzato a manolibera senza uso del tornio.Richiama un tipo di bacile dibronzo caratteristico dei com-plessi tombali monumentalidell’Italia meridionale, utilizzatosia nei banchetti che nelle ceri-monie sacrificali. L’interno delbacino conserva dipinta la scenadel trasporto delle armi di

Achille da parte delle Nereidi.Delle tre figure che cavalcano imostri marini, separati da altret-tanti delfini che inseguono pescipiù piccoli, si distingue benesolo quella che porta lo scudo; lealtre dovevano sostenere l’elmoe la spada. La rappresentazionedel trasporto delle armi da partedi figure femminili è ampiamen-te diffusa nel repertorio dellaceramica apula del IV sec. a.C. Inparticolare, la decorazione delpodanipter è stata accostata allepitture, di probabile originetarantina, del Sarcofago delleAmazzoni (IV sec. a.C.) e ne sonostate evidenziate le caratteristi-che comuni, forme e colori, inun’esposizione precedente dedi-

Nella pagina accanto: Il podanipter,grande bacino con supporto in marmo dip-into

Sopra: Interno del podanipter con disegnia colori raffiguranti il trasporto delle armidi Achille da parte delle Nereidi

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Nelle tre immagini: Particolari delleNereidi che trasportano la armi di Achillecavalcando draghi marini

Nella pagina accanto: Bellissimo craterein marmo con evidenti tracce di colore

Nelle pagine seguenti: Totale e partico-lare del supporto da mensa in marmo diAfrodisia con numerose tracce di colore

cata ai reperti di Ascoli Satrianonel Museo ArcheologicoNazionale di Firenze, dove èconservato il Sarcofago delleAmazzoni.

Di squisita fattura è inoltre ilgrande cratere di marmo checonserva sulla base e sul soste-gno tracce della decorazionedipinta a motivi geometrici.L’interesse maggiore deriva peròdalla presenza sul bordo di unacorona aurea caratterizzata daun motivo vegetale a foglie ebacche d’edera, riemerso dopoun attento lavoro di restauro chene ha consentito una ricostruzio-ne virtuale.

Di grande suggestione è ilsupporto da mensa, realizzato inmarmo di Afrodisia. È unico nelsuo genere e raffigura una cop-pia di Grifi nell’atto di dilaniareun cerbiatto. Le grandi ali deidue animali mitologici nascon-dono gli elementi di sostegnodella mensa (non conservata).Questo motivo ripropone unoschema iconografico della tradi-zione figurativa orientale, notosoprattutto attraverso oggetti diarredo di materiali diversi. Sulmarmo rimangono ampie traccedella decorazione pittorica poli-croma: giallo per gli animali,

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verde sulla base ad evocare ilcontesto naturale della scena e ilrosa per le narici del cervo e l’at-tacco delle piume delle ali deigrifi.

Indagini petrografiche e geo-chimiche hanno consentito diidentificare i marmi con cui sonostati realizzati gli oggetti. Lamaggior parte è stato lavorato,come già accennato, con marmoproveniente dall’isola di Paro,mentre il supporto da mensa èstato fatto con marmo diAfrodisia. Vari colori decoranoquesti marmi: il rosso, il rosso-violaceo, l’azzurro, il verde, ilrosa, il bianco, il beige, il giallo, ilmarrone. Le analisi condotte inparticolare sul podanipter hannofornito particolari indicazionisul procedimento pittorico: lefigure sono state realizzate attra-verso un disegno preparatoriocon una linea di contorno diver-sa nello spessore e nel tono, evi-dente nel corpo degli animali enel volto e nella veste della

Nereide meglio conservata. Leindagini hanno altresì permessodi individuare i pigmenti utiliz-zati per dipingere, come lacuprorivaite negli azzurri, ilcinabro e l’ematite nei rossi, lacerussite e il caolino nel bianco,la malachite nel verde, la goethi-te nel giallo dorato. Tutti ele-menti presenti e caratteristici diuna decorazione pregiata.

In conclusione, l’ipotesi piùprobabile che può desumersidagli elementi finora mostrati èche i pregiati reperti provenientidall’antica Ausculum faccianoparte del monumentale corredodi una tomba a camera, databilealla seconda metà del IV sec. a.C.In questo contesto il podanipter,nel quale la raffinata decorazionepittorica indica una funzionalitàassai ridotta, potrebbe esserestato utilizzato per la sola ceri-monia funebre come contenitoredell’acqua lustrale. L’incavo pra-ticato nella parte superiore delcratere farebbe pensare ad un

suo utilizzo come cinerario, ipo-tesi rafforzata dalla presenza delmotivo decorativo della coronavegetale dorata, interpretatacome elemento caratterizzante lostatus di eroe del defunto.L’appartenenza ad una sepolturamonumentale spiegherebbe inol-tre la presenza di due mensole,riferibili ad un letto funebre.

Vista l’eccezionalità dei reper-ti esposti, si sottolinea come siada ritenere quanto mai grave l’ir-reparabile perdita della maggiorparte dei dati di scavo dovutaallo scavo clandestino, dati cheavrebbero permesso di ottenereuna maggiore quantità di infor-mazioni per la ricostruzione sto-rica e archeologica dei contestifunerari monumentali dell’Italiameridionale nel IV sec. a.C. �

BIBLIOGRAFIA: A. BOTTINI - E.SETARI (a cura di), Il segreto dimarmo. I marmi policromi di AscoliSatriano, Roma 2010.

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I METODI DIINDAGINE

ella sederomana diP a l a z z oMas-simo sisono tenutedue giorna-

te di studio con il titolo diArcheologia e Infra-strutture,volte a fare il punto sia sull’an-damento dei lavori della LineaC della Metropolitana diRoma, sia sui ritrovamentiarcheologici emersi durante losvolgimento degli stessi.

Dopo il rituale interventodi apertura da parte del Prof.Andrea Carandini, ilSoprinten-dente AngeloBottini, nelle sue considerazio-ni, ha messo in risalto come laricerca archeologica abbiacompiuto, nei recenti anni,notevoli passi avanti nel deli-neare metodi di indagine fun-zionali alle continue modifica-zioni dei paesaggi urbani afavore delle infrastrutture ecome anche per la realizzazio-ne della Metro C, si sia tenutoconto della priorità da asse-

NARCHEOLOGIA E

INFRASTRUTTURE

gnare all’archeologia rispettoall’esecuzione delle opere.Ricordando, quindi, la feliceespressione già usata nel 2003di «Metro Archeologica»,veniva sottolineato come lastessa va vista «non solo comesemplice strumento di tra-sporto, ma anche come mezzodi valorizzazione del patrimo-nio storico di Roma».

Gli interventi di questaprima giornata si sono poiconcentrati sui ritrovamentinel territorio suburbano, fracui spiccano quelli avvenutinell’area di Pantano Borghesenel comune di Montecompatri(M. Angle), dove nella realiz-zazione di un parcheggio mul-tipiano collegato con la stazio-ne del capolinea della MetroC, la metodologia di indagineapplicata è stata quella di

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Sopra: Resti di basolato della CasilinaVecchia

Sotto: Largo Agnesi. Strutture in blocchidi tufo e pavimento in lastre di edificio dietà medio repubblicana (IV-III a.C.)

intervenire su tutta la zonainteressata dal parcheggio,evitando le poco esaustive espesso solo dispendiose trin-cee esplorative. Ciò ha per-messo di evidenziare la pre-senza nel sottosuolo di benquattro livelli di frequentazio-ne, che vanno dalle più recen-ti fasi con destinazione agrico-la dell’area, fino a quelle chene attestano l’uso abitativo eriferibile all’Eneolitico (fineIV-III millennio a.C.).

Più in generale le indaginiche hanno interessato ilMunicipio VI (A. Buccellato)hanno permesso di documen-tare attività volte allo sfrutta-mento del suolo a partire dal-l’età repubblicana: zone desti-nate alla produzione agricolasi alternano con aree destinateall’estrazione di materiali dacostruzione.

La prima giornata di studisi è conclusa con l’esposizione(R. Rea) dei dati preliminarirelativi alle campagne di caro-taggi, eseguiti in più ripresefra il 1999 e il 2007, lungo iltratto delle Mura Aureliane(anch’esse oggetto di prelievieseguiti alla loro base) interes-sato dal passaggio della MetroC, che hanno consentito unaprima ricostruzione dell’asset-to geomorfologico dell’area esoprattutto un tentativo diricostruzione del paesaggioprima delle trasformazioniantropiche.

Ne è derivato che il vasto epopoloso quartiere Appio - S.Giovanni, in un’epoca attesta-bile a circa 3 millenni fa, eracaratterizzato da una vastaarea verde in cui la flora erarappresentata essenzialmenteda lecci, faggi e da altre speciepeculiari dell’ambiente palu-stre.

La seconda giornata delConvegno è stata interamentededicata ai ritrovamenti in ter-ritorio urbano, a partire dal-l’intervento relativo ai datipreliminari delle indaginieffettuate nel territorio delMunicipio XVII (M.

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Bertinetti). Si tratta dell’areacorrispondente all’antico AgerVaticanus caratterizzato daun’ampia pianura alluvionaleche favorì l’isolamento di que-sta zona dalla città vera e pro-pria, facilitando la sua destina-zione ad area cimiteriale. Leindagini eseguite lungo laTratta 1 del percorso dellaMetro C e, in particolare, learee interessate dalle stazioni S.Pietro e Risorgimento non solohanno permesso di confermare

il quadro archeologico dellazona, ma anche di aggiungerenuovi dati come nel caso delloscavo di piazza Risorgimento,dove la scoperta di una fornacedi epoca ottocentesca si inseri-sce perfettamente nelle funzio-ni assolte da questa zona, desti-nata a diverse attività produtti-ve.

Diverso il discorso per l’a-rea del Celio (M. Barbera),dove numerosi carotaggihanno ulteriormente docu-

mentato l’aspetto geomorfolo-gico del colle in forma alquan-to accidentata, aspetto che haobbligato, nel corso dei secoli,a continue colmature e soprat-tutto a opere di sostruzioneper contenere il colle lungo isuoi versanti. I dati raccolti, aseguito dei vari sondaggi,hanno portato infine alla rea-lizzazione di una carta archeo-logica georeferenziata, il cuiprimo risultato è stato quellodi spostare la nuova stazione

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metro di via Amba Aradam inviale Ipponio anche per noninterferire ed eventualmentedistruggere antiche e comples-se stratigrafie.

Ancora una conferma del-l’importanza di queste indagi-ni volte ad accertare la realeconsistenza del sottosuoloattraverso i carotaggi, vienedai risultati emersi nei lavorieseguiti lungo il versanteovest del Celio (R. Santolini).Qui, oltre ad accertare la pre-senza a circa 10 metri diprofondità di strutture mura-rie romane (fatto questo cheha obbligato a porre a soli 7,5metri di profondità le operefunzionali al passaggio dellametro), è stato possibile ispe-zionare alcune cavità sotterra-nee, finora note solo in parte,poste sotto il Claudium, e diuna galleria antica che da S.Maria in Domnica si dirigeverso S. Stefano Rotondo e l’a-rea di Villa Celimontana.

Nella pagina accanto in alto: ViaCasilina Porta Metronia. Area compresatra via Casilina Vecchia e Porta Metronia.Ricostruzione del paesaggio non antropiz-zato con sovrapposte delle Mura Aureliane

Nella pagina accanto in basso:Malatesta e Pigneto. Panoramica delloscavo

A sinistra: Via Sannio. Testa di Dioniso almomento del rinvenimento all'interno del-l'officina

Sotto: Via dei Fori Imperiali. Le pendicidella collina Velia, resti non distrutti nel1932 delle botteghe retrostanti il Foro dellaPace (IV d.C.)

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Ai lavori eseguiti per la rea-lizzazione delle stazioni ForiImperiali e Colosseo (quest’ul-tima di interscambio con laLinea B) è dedicato un artico-lato intervento che riguarda inuovi rinvenimenti nella valledell’Anfiteatro e lungo le pro-paggini della Velia (R. Rea).Nell’area di largo S. Agnese ezona limitrofa sono infattivenuti alla luce, oltre ad alcu-ne strutture di età medio-repubblicana, i resti di unamuratura in blocchi di tufodatabile all’età augustea, chein un primo momento fu dan-neggiata da alcune gettate incementizio attribuite alleopere di contenimento delcolle Oppio, eseguite durante iprincipati di Nerone eVespasiano. In seguito, tutta-via, il poderoso muro augu-steo fu risistemato, confer-mando la sua importanza eprobabilmente il suo strettolegame con un edificio sacro

che in questa zona potrebbeidentificarsi con il tempiodella Tellus. Altre scopertenella zona si riferiscono a lus-suose residenze che a partiredall’età repubblicana hannointeressato questa pendice delcolle Oppio, di cui la testimo-nianza più significativa resta ilninfeo scoperto nel 1895durante l’apertura di via degliAnnibaldi.

I diversi cantieri aperti inrelazione alla costruzionedella stazione di piazzaVenezia e alle sue diverse usci-te, hanno portato alla luce con-siderevoli resti della città anti-ca. Per quanto riguarda l’areadi piazza della Madonna diLoreto (R. Egidi), lo scavo harestituito un monumentaleedificio pubblico databileall’età adrianea. Costituito dauna sala rettangolare con gra-dinate all’interno e bordato sullato sud da un corridoio tri-partito, il monumento è splen-

didamente decorato da unapavimentazione marmorea edè da porre in stretta relazionecon il vicino foro di Traiano.L’ipotesi attualmente prospet-tata è che si tratti di uno “spa-zio culturale” oppure di unluogo dove si amministrava lagiustizia (è stato già avviatoun progetto per musealizzarel’area a cielo aperto nel piùampio contesto della stazionedella Metro C).

Lo scavo archeologico ese-guito in piazza Venezia hapermesso inoltre di indagarele stratigrafie moderne,medievali e tardo antiche chehanno avuto come punto diriferimento l’asse viario costi-tuito dalla via Lata (M.Serlorenzi). A partire dallafine del II sec. d.C.- inizi IIIsec. d.C. sui lati della via pro-spettano una serie di tabernaedisposte su più piani. La desti-nazione commerciale dell’areasi protrae per molti secoli,

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almeno fino all’VIII sec. d.C.,intervallata da momenti in cui- a causa del degrado - la zonadocumenta sia un’intensa atti-vità metallurgica (confermatadalla scoperta di piccole forna-ci circolari per la riduzione delmetallo e la produzione dioggetti), sia la presenza disepolture da riferirsi al diffici-le periodo storico delle guerregotiche.

Dall’VIII sec. d.C. in poi siassiste al cambiamento delladestinazione d’uso della zona,che si trasforma in abitativa(sono stati intercettati i livellipavimentali di diverse abita-zioni e numeroso materialeceramico di uso domestico)fino alla metà del IX sec. d.C.,quando un improvviso crollointeressò tutta l’area e le adia-centi piazza Madonna diLoreto e via Cesare Battisti,dove le indagini hanno avva-lorato questa repentina cesura.L’ipotesi al momento avanzataè che si tratti di un devastanteterremoto abbattutosi sullacittà proprio alla metà del IXsec., cui fece seguito un’operadi ricostruzione e riqualifica-zione dell’area che vedrà l’av-vio di nuovi impianti residen-ziali che saranno alla base deipalazzi aristocratici del

Quattrocento, fra cui si ricor-dano lo stesso Palazzo Veneziadi Papa Barbo e il PalazzoParraciani.

L’intervento che ha chiusola seconda giornata di studi èquello relativo ai risultati pro-venienti da una serie di son-daggi eseguita lungo l’asse dicorso Vittorio Emanuele II (F.Filippi).

Le conoscenze relativeall’assetto topografico dell’an-tica area del Campo Marziooccidentale, già in parte notograzie alle informazionidesunte dalla Forma UrbisSeveriana e agli scavi chehanno interessato questa zonaa partire dalla fine del XIXsec., si sono arricchite soprat-tutto per quanto riguarda l’a-rea oggi occupata dalla chiesadi S. Andrea della Valle, doveè stato possibile individuare lapresenza di un quadriporticocolonnato identificabile con ilGymnasium di Nerone e realiz-zato proprio a ridosso dellesue Terme. Altri sondaggihanno permesso di rileggere ilpercorso dell’Euripus che sisnodava lungo il tracciato del-l’attuale di corso VittorioEmanuele, fornendo anchenuovi dati in ordine alla suastruttura e cronologia. �

A sinistra: Piazza Venezia. Panoramicadello scavo

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