Rocco Margiotta - Tiggiano

192
Il dialetto tiggianese Rocco Margiotta

Transcript of Rocco Margiotta - Tiggiano

Page 1: Rocco Margiotta - Tiggiano

Il dialetto tiggianese

Rocco Margiotta

Page 2: Rocco Margiotta - Tiggiano

2 Rocco Margiotta

Presentazione Il Capo S. Maria di Leuca, territorio delimitato

dalla linea che congiunge Otranto ad est, e Gallipoli

ad ovest è, dal punto di vista del dialetto, un‟isola

linguistica con specificità proprie, molto differenti

dalle altre isole linguistiche salentine.

Il dialetto di questo territorio è stato definito

“estremo”, come estremo è il dialetto della punta più

meridionale della Calabria e della Sicilia.

Estremo, in quanto sono state quasi impedite o

quasi difese l‟integrità e la conservazione della

specificità dialettale più ancestrale, dalla presenza, a

nord di quella linea ideale, dell‟area grecanica, che si

è comportata come una frontiera, impedendo la

penetrazione di influssi e di forme dialettali e parole

provenienti a nord di quella linea Otranto-Gallipoli.

Possiamo genericamente affermare che la

barriera grecanica ha consentito la conservazione di

una forma di volgare, considerata diretta emanazione

del volgare latino, anche se sono presenti molte

sovrapposizioni di altre lingue, di origine barbarica,

araba, spagnola, francese.

Del dialetto si vanno pubblicando molti studi e

ricerche, ed io non intendo rifare lo stesso percorso di

tanti studiosi e ricercatori, molto più esperti di me in

questo campo, ma voglio solamente ridurre la mia

Page 3: Rocco Margiotta - Tiggiano

3 Rocco Margiotta

ricerca alla specificità linguistica della piccola

Tiggiano, che nonostante la sua limitata estensione

territoriale e la sua scarsissima popolazione, è, come

tante altre nel Capo di Leuca, una piccola isola

linguistica, a sè stante.

La comunità di questo piccolissimo paese che si

trova tra Tricase, Alessano e Corsano, si esprime con

forme linguistiche proprie; a volte, sostanzialmente

differenti, non solo riferite alla scrittura, ma anche

alla fonetica; il timbro comunicativo è diverso,

rispetto a quelli delle comunità dei paesi citati.

Tantissimi studi ci hanno avvertito ormai che il

vernacolo o dialetto non è che una seconda lingua, ed

è la lingua madre, la lingua naturale che si impara in

modo più veloce e senza alcuna fatica particolare. Per

apprenderla infatti non è necessario studiarla, in

quanto non ha regole codificate, come la lingua

italiana, non ha costrutti standardizzati; si impara

direttamente dalla viva voce dei parlanti, prima di tutti

dalla madre.

Gli studiosi si chiedono come mai nei territori

periferici d‟Italia, ma non solo, perdura la necessità di

utilizzare due lingue, quella ufficiale, l‟italiano e

quella locale, il dialetto. Le risposte che hanno dato

non sono univoche, anche perché il mantenimento dei

due strumenti linguistici non si limita alle classi più

Page 4: Rocco Margiotta - Tiggiano

4 Rocco Margiotta

popolari, ma coinvolge anche le classi più acculturate

e più abbienti.

Per cercare di spiegare il fenomeno si ricorre

alla psicologia e si afferma che i parlanti che usano le

due lingue è come se volessero, quando gliene si

presenta l‟opportunità, far ritorno alla lingua materna,

quella naturale, considerata, in via ideale, più libera,

più sincera, più immediata; è come mettersi in

maniche di camicia e pantofole, tornando a casa, dopo

una giornata di lavoro. E‟ come se si volesse

riacquistare, nel proprio ambiente familiare o sociale,

anche la libertà linguistica, dopo essere stati

“costretti” ad indossare, linguisticamente scrivendo,

giacca e cravatta, e quindi obbligati a comportarsi

impeccabilmente, seguendo regole e condizionamenti.

Il gusto, la consapevolezza della propria

capacità comunicativa, la possibilità di esprimere tutte

le sfumature più immanenti, relative alla vita

quotidiana, ci inducono a preferire la nostra seconda

lingua, anche se dovremmo parlare di prima lingua.

La lingua ufficiale sembra ingabbiarci, in quanto è

doveroso seguire le regole e le strutture sintattiche,

imparate a scuola, per poter comunicare in modo

ufficialmente accettabile.

Quando si può usare il dialetto ci si libera dalla

gabbia e si può dare libero sfogo alla comunicazione,

Page 5: Rocco Margiotta - Tiggiano

5 Rocco Margiotta

la quale non ci obbliga a rispettare regole o strutture

sintattiche precise.

Alcuni studiosi e ricercatori hanno tentato, a più

riprese, di codificare le regole fonetiche, grammaticali

e sintattiche del volgare, ma tutte le fatiche si sono

rivelate inutili, in quanto ogni piccola o grande

comunità, possiede il “suo” dialetto che, differisce

rispetto a quello del paese o della città vicina; a volte,

anche nella stessa città si verificano differenti

comunicazioni, se i parlanti appartengono a quartieri

diversi e a categorie sociali diverse.

Sappiamo ormai che il dialetto è figlio naturale

della lingua latina, come lo è il volgare. Ma se il

volgare, dopo la crisi e la scomparsa dell‟impero

romano e quindi del latino, lentamente, dopo vari

secoli e per merito dei padri della lingua italiana:

Dante, Petrarca, Boccaccio è diventata la lingua

ufficiale della nazione Italia, i dialetti invece, hanno

seguito un altro itinerario, anzi hanno continuato a

solidificarsi, a permanere, quasi incolumi, nei riguardi

dell‟evoluzione, che ha invece subito il volgare, per il

fatto che quella era una lingua solo parlata.

Sappiamo dal “De Vulgari Eloquentia” di

Dante; l‟opera con la quale il sommo poeta cercò di

dimostrare che tutti i volgari del suo tempo, sarebbero

stati degni e potenzialmente adeguati ad esprimere la

Page 6: Rocco Margiotta - Tiggiano

6 Rocco Margiotta

comunicazione relativa alla sua epoca. Poi prevalse il

toscano e il fiorentino in particolare, e sappiamo

perché, in quanto quel territorio e quella città hanno

espresso gli artisti più dotati, gli intellettuali più “in”,

già a partire dal XIII secolo, mentre i territori più

marginali continuarono a permanere nel primitivo

volgare e a subire, nel corso dei secoli, gli influssi

comunicativi di sempre nuovi conquistatori.

La mia ricerca, perciò, si limiterà ad inquadrare

le caratteristiche generali del dialetto del Capo di

Leuca per poi cercare di definire, se ci riuscirò, le

peculiarità del parlare dialettale dei tiggianesi, che

come ho più volte detto, sembrerà strano al lettore, è

una piccolissima isola linguistica.

Non foss‟altro per quel benedetto rompicapo

fonetico e di scrittura che è il “ddhr”, nelle parole

come “caddhrina”(gallina), “cuddhrura”(collana di

pasta dolce con al centro un uovo o due che si

preparava per il venerdì santo e cotta al forno, veniva

poi consumata quel giorno, dopo aver fatto il canonico

digiuno) “paddhrotta” (zolla di terra), “ddhrai”(là,

particella usata per i complementi di luogo, oppure

per indicare un luogo più o meno lontano, di solito

contrapposto a “ccquai”(qui), “marteddhru”(martello)

e tantissime altre che, nel corso della presente ricerca,

cercherò di porre all‟attenzione del lettore.

Page 7: Rocco Margiotta - Tiggiano

7 Rocco Margiotta

E‟ un rompicapo fonetico e di scrittura in

quanto moltissimi dialettologi, nel passato e nel

presente, si sono cimentati a rendere graficamente

quel suono, ma pare che la soluzione proposta non sia

poi quella scientificamente, anzi foneticamente e

graficamente, la più adeguata.

Qualcuno avanza l‟ipotesi che sia una fonema

di origini messapiche: Tricase, Alessano, non

possiedono quel suono e quel segno, ma non ci sono

supporti documentari a comprovare l‟ipotesi, anzi il

nostro piccolo paese non conosce, non possiede

documenti materiali per affermare che sia di origine

messapica, come lo possono fare invece Patù con

Vereto, Muro Leccese, Vaste, adesso anche

Montesardo; non conserva cioè le mura caratteristiche

di quell‟antichissima civiltà, non possiede tombe

peculiari messapiche con corredo funerario, non

possiede alcunché per poter dire che quel fonema sia

di origini messapiche. Simile grafema non si trova

nella lingua greca, né in quella latina, né in

nessun‟altra delle lingue che hanno lasciato qualche

traccia nel nostro corredo linguistico.

Rimarrà un enigma!?

Che dire poi dell‟altro grafema e fonema che,

allo stesso modo, non si riesce a rendere graficamente

e la cui pronunzia deve essere fatta abbinando il

Page 8: Rocco Margiotta - Tiggiano

8 Rocco Margiotta

suono gutturale del “ca co cu” col suono labiale

scivolato, strascicato e sibilato dolce di “sci, sce”, ma

senza le due vocali: “pescu” (roccia), si deve leggere

“pesc(i)cu”, ma la “i” non si deve pronunziare,

“scoma” (schiuma), si deve leggere “sc(i)oma”, ma la

“i” non si deve pronunziare, “rasccheddhru”

(rastrello), che difficile combinazione! Si deve leggere

“rasc(i)ccheddhru”, ma la “i” non si deve sentire, e

poi l‟indefinibile grafema e fonema “ddhru”!!!

Si può già avvertire, da queste poche parole

prese in considerazione, come, sia la loro resa grafica,

che sonora, sono di complicatissima evidenza

scientifica.

E‟ stato da sempre difficilissimo per i glottologi

rendere oggettivamente quanto fin qui portato

all‟attenzione del lettore.

Page 9: Rocco Margiotta - Tiggiano

9 Rocco Margiotta

La Carta dei Dialetti Italiani. I dialettologi, studiosi del dialetto, si

incontrano spesso nei Convegni, appositamente

organizzati, per fare il punto della situazione, per

quanto si riferisce allo stato della ricerca, allo scambio

di opinioni e di riflessioni sui diversi problemi

scientifici che la stessa comporta.

In occasione dei convegni di alcuni decenni

orsono, emerse la figura dello studioso salentino

professor Oronzo Parlangèli, nato a Novoli nel 1923,

professore di glottologia all‟Universtà di Messina e

poi di storia della lingua italiana all‟Università di Bari

che, da tempo conduceva, individualmente, delle

ricerche, per cercare di codificare il dialetto salentino.

Lo studio e l‟impegno, la preparazione in questo

campo, del professor Parlangèli, furono di

fondamentale importanza durante il convegno tenutosi

a Messina nel 1964.

Nella città siciliana convennero studiosi di

diverse discipline e di diversa tradizione linguistica e,

il professore di Novoli, riuscì a convincere gli

intervenuti che era ormai opportuno avviare una

ricerca collettiva, condotta su diversi versanti e,

quindi venne stabilito un piano di ricerca comune.

Venne condiviso un Regolamento che doveva

essere a fondamento della ricerca collettiva che era

Page 10: Rocco Margiotta - Tiggiano

10 Rocco Margiotta

stata progettata, lasciando comunque ampio margine

di manovra anche alle ricerche di tipo individuale che

proprio da quella carta costitutiva poteva trarre nuovi

impulsi di studio.

La raccolta di materiale individuale sarebbe

stata analizzata, secondo un comune canone

comparatistico e sarebbe potuta diventare così fonte

per successive analisi del difficile fenomeno

linguistico dialettale.

Il professor Parlangèli moriva però in un tragico

incidente stradale, nei pressi di Roma, il 1° ottobre

del 1969. Dopo quella tragica scomparsa, fu il C.N.R.

ad appropriarsi della competenza della ricerca

dialettologia e a nominare il Comitato Scientifico,

diventato Gruppo di Ricerca per la Dialettologia

Italiana, trasferendo la sua sede da Bari a Padova.

Quel Consiglio Scientifico decise di pubblicare

nel 1998 la prima monografia regionale dei dialetti,

quella appunto del Salento.

Era un riconoscimento speciale che veniva fatto

al Salento e ai suoi ricercatori che erano stati guidati

proprio dal professore Oronzo Parlangèli.

Tornando al Convegno di Messina del 1964,

venne deciso di costituire, in ogni regione italiana, un

comitato scientifico, affinché avviasse le ricerche

dialettali e mantenesse i rapporti con il Comitato

Page 11: Rocco Margiotta - Tiggiano

11 Rocco Margiotta

Centrale di Padova. Per il Salento vennero designati il

professor Mario D‟Elia, docente di filologia romanza

all‟Università di Lecce e, il più volte ricordato,

professor Oronzo Parlangèli.

Lo studioso di Novoli aveva anche costituito, a

fianco del Comitato Regionale, l’Associazione

linguistica Salentina, l’Associazione dei Comuni

Messapici Peuceti e Dauni e la rivista di Studi

Linguistici Salentini, tutte queste iniziative avevano lo

scopo di far conoscere e di diffondere le

problematiche linguistiche e storiche del Salento

preromano e romano.

L‟Associazione Linguistica Salentina venne

fondata dal Parlangèli presso la Cattedra di Filologia

Romanza di Lecce.

“Dopo la morte di lui, (la ricerca) resta

impelagata per gelosia e calcoli meschini in una stasi

veramente deplorevole, specie se si consideri la mole

e l‟importanza dei materiali già raccolti e attualmente

sequestrati nell‟Università di Bari in uno stanzino

inaccessibile agli studiosi”.1

Il professore Mario D‟Elia, dopo la morte di

Parlangèli, insieme ad altri, decise di pubblicare Studi

Linguistici Salentini, gli stessi si avvalsero del

contributo della fonetica storica, dell‟epigrafia,

dell‟onomastica antica e moderna, di autori e testi

Page 12: Rocco Margiotta - Tiggiano

12 Rocco Margiotta

dialettali, dei testi medioevali, del lessico etimologico,

degli elementi greci e riguardanti la Grecìa Salentina,

elementi albanesi e contributi riguardanti l‟Albania

Salentina, lingua e dialetto del Salento.

Page 13: Rocco Margiotta - Tiggiano

13 Rocco Margiotta

Il Salento nella storia linguistica. Il vocalismo del dialetto leccese di Giuseppe

Morosi del 1874 dava inizio cronologicamente alla

ricerca e alla trattazione scientifica dei dialetti

salentini. Quello studio stabiliva già le affinità e le

diversità locali della provincia salentina, che, pur nella

sua continuità territoriale, distingueva le parlate

settentrionali (Taranto-Brindisi) e quelle più

meridionali (Capo d Leuca), nei confronti della

parlata del capoluogo della Terra d‟Otranto.

Il ricercatore stabiliva dunque una triplice

varietà salentina: a) la parlata propriamente leccese, b)

un tipo fonetico latino-siciliano dei paesi del Capo di

Leuca, c) un tipo apulo-barese.

E‟ poi intervenuto il ricercatore tedesco

Gerhard Rohls con la sua teoria della

“romanizzazione” che stravolse la cronologia della

classificazione dei sistemi vocalici dell‟area apulo-

salentina, supponendo un‟ininterrotta continuità

magno-greca, presente nei 9 comuni ellèfoni del

Salento.

Rolhls si spinse a classificare così i dialetti

salentini:

”1) I Messapi del Salento, dominati dai Greci di

Taranto, dopo un periodo di bilinguismo, avrebbero

optato per la lingua greca;

Page 14: Rocco Margiotta - Tiggiano

14 Rocco Margiotta

2) il Salento non fu mai completamente latinizzato,

perché abitato sempre da parlanti di lingua greca;

3) il dialetto salentino, di conseguenza, è solo

apparentemente arcaico”.2

Oronzo Parlangèli, invece, ha continuamente

sostenuto che il Salento sia stato anticamente

romanizzato, e che ancora oggi continua in un sistema

linguistico arcaico, e che con l‟arrivo di alcune

innovazioni medioevali, si è distinto nelle tre

principali varietà dialettali:

1) quella di tipo settentrionale con metafonìa e

dittongazione condizionata;

2) quella di tipo centrale con la sola dittongazione

condizionata;

3) quella di tipo meridionale senza nessuna

innovazione.

Egli sosteneva che i Tarentini non riuscirono

mai ad imporre la loro supremazia sull‟intero Salento,

tanto che i Messapi rimasero politicamente

indipendenti, sino alla conquista romana.

Egli ha dimostrato che “a) il Salento conosce un

sistema lessicale latino, in parte arcaico, e alcuni

costrutti sintattici (periodo ipotetico con due

indicativi, la mancanza dell‟infinito nelle dipendenti),

in continuazione di un latino regionale; b) il grìco

delle comunità ellèfone del Salento non continua il

Page 15: Rocco Margiotta - Tiggiano

15 Rocco Margiotta

greco di Taranto, ma è un dialetto neo-greco; la

distinzione delle tre varietà salentine è il risultato

medievale, quando le innovazioni partite dall‟Italia

centrale hanno raggiunto i territori occupati dai

Longobardi, ma non riuscirono a penetrare in tutto, o

in parte, nei territori occupati più stabilmente dai

Bizantini”.3

Page 16: Rocco Margiotta - Tiggiano

16 Rocco Margiotta

Romanizzazione del Salento. I Messapi non furono mai sottomessi ai Greci

di Taranto, finchè non furono definitivamente

soggiogati dai Romani: i loro lunghi contatti con i

greci di Taranto, anche se subirono alcuni influssi,

sostanzialmente svilupparono e mantennero

un‟originale civiltà e un‟autonomia culturale e

linguistica, che perdettero del tutto alla fine degli

scontri con Roma.

Questo fenomeno è testimoniato dalla lunga

tradizione epigrafica, che è stata solo Messapica,

durante il lungo periodo preromano, usata da una

popolazione monolingue, quella tradizione epigrafica

diverrà poi latina a cominciare dal II secolo d.C. Si

passa così “dal monolinguismo messapico al

bilinguismo messapico-latino, risolto in favore del

latino in ogni uso sociale, senza l‟ipotetica

affermazione di un bilinguismo messapico-greco, data

la inesistente documentazione di una epigrafia

greca”.4

I Messapi insomma riuscirono a mantenere una

propria indipendenza nelle attività sociali, politiche e

culturali “dal VI° secolo a. C. fino al I° secolo dopo:

attività di un popolo ferocemente attaccato alla

propria indipendenza, che ha combattuto contro

Taranto e ha mantenuto una completa autonomia

Page 17: Rocco Margiotta - Tiggiano

17 Rocco Margiotta

sociale e culturale, testimoniata anche dalla nuova

epigrafia”.5

Dopo la guerra di Roma contro Taranto e la sua

conclusione (273) e la fondazione della colonia di

Brindisi nel 244, la latinizzazione linguistica del

Salento è documentata dalle epigrafi latine, con la

frammentazione dell’Ager Brundusinu, e dalla

presenza di villae, praedia, fundi, d‟epoca romana in

tutto il territorio brindisino.

Altri reperti archeologici testimoniano la

completa romanizzazione del nostro territorio: la parte

finale della via Appia con le due colonne terminali,

una conservata a Brindisi, l‟altra a Lecce, piccoli tratti

di strade romane in diversi territori salentini.

Altra testimonianza è un elenco di villae

rusticae ritrovato in territorio brindisino con

l‟ubicazione dei siti di età imperiale o repubblicana:

gli acquedotti, le necropoli, le località con tesori di

monete.

Anche Lecce, diventata molto importante in età

imperiale, ha conservato un notevole numero di

testimonianze romane nell‟Anfiteatro, nel teatro e

anche diverse tracce tanto nell‟antico porto Adriano,

che in strade e antiche abitazioni romane, scoperte

anche in questi ultimi anni.

Page 18: Rocco Margiotta - Tiggiano

18 Rocco Margiotta

Molti toponimi romani “nella parte più

meridionale del Salento, al di sotto della linea

Otranto-Gallipoli, si trova concentrato il maggior

numero dei toponimi di origine romana che

potrebbero spiegare non solo l‟antichità dell‟attuale

frazionamento territoriale, ma anche una più intensa

romanizzazione della popolazione locale”.6

Anche la presenza di alcune forme greche nei

dialetti del Salento, era stata considerata dal Rohlfs,

come testimonianza di un‟antica ellenizzazione dello

stesso territorio che si sarebbe protratta sino al

periodo romano e romanzo e sino all‟arrivo dei

Normanni. O. Parlangèli ha rivoltato l‟impostazione

di scavo linguistico ed ha raccolto diverse forme

lessicali, di sicura origine latina, ma esclusive del

Salento; oppure dei dialetti meridionali: forme quali

pastiddhra, suppinna, purpatagnu, assenti nei dialetti

dell‟Italia meridionale, non possono essere trasportate

nel Salento “neoromanizzato” in epoca normanna, ma

sono i diretti continuatori di un antico latino regionale.

Così come le antiche forme greche sono sopravvissute

attraverso antichi prestiti penetrati nel Salento tramite

lo stesso latino regionale.

“La sola presenza del passato remoto di alcuni

dialetti salentini era stata riportata da G. Rohlfs alla

permanenza dell‟aoristo greco in una popolazione

Page 19: Rocco Margiotta - Tiggiano

19 Rocco Margiotta

diventata molto tardi “italiana” e che non ha

conosciuto la formazione perifrastica del passato

prossimo. V. Pisani ha sostenuto invece che proprio

l‟assenza del tipo habui cantatu-haggiu cantatu, sta a

documentare l‟arcaicità di un fenomeno latino rimasto

nelle aree periferiche.

Altri elementi linguistici, quali la formazione

del periodo ipotetico con due indicativi (se tanìa fame

manciava, se era tanutu fame era manciatu), la

mancanza delle dipendenti dell‟infinito (dicu ca

vegnu, voju cu vveni) ritenuti d‟origine greca, si sono

invece ritrovati in altri territori sicuramente non

ellenizzati, e, perciò, continuatori d‟un comune

latino”.7

Page 20: Rocco Margiotta - Tiggiano

20 Rocco Margiotta

Il Dialetto Salentino. I ricercatori: dialettologi, filologi, antropologi

del linguaggio, archeologi, dopo alcuni decenni,

ormai, di attenta analisi del fenomeno dialettale

salentino, hanno potuto stabilire alcune coordinate

accettate in via definitiva da tutti.

L‟interpretazione storica del dialetto salentino

viene distinto in tre fondamentali varietà: uno di tipo

brindisino o settentrionale, uno di tipo leccese, o

centrale; uno di tipo otrantino, o meridionale.

Immediatamente a nord della linea Otranto-

Gallipoli, invece, si situa quel territorio linguistico,

definito ellèfono, un‟isola linguistica, cioè, ancora

oggi (e se ne sta facendo da anni un merito, anche dal

punto di vista turistico) dove si parla il “grìco”, che ha

“costretto” il dialetto del Salento meridionale a

rimanere “estremo” e marginale e a “conservarsi”

ancora inalterato fino ai nostri giorni.

La tripartizione del dialetto salentino ha

convinto gli studiosi a stabilire che il sistema

dialettale apulo-tarantino che manifesta “continue

tracce di una più antica unità fonetica frantumata, solo

in epoca medioevale, a causa delle recenti innovazioni

di natura metafonetica. Una interpretazione storica di

esclusiva natura linguistica, fondata su un‟antica unità

fonetica e successiva distinzione medievale, ci porta a

Page 21: Rocco Margiotta - Tiggiano

21 Rocco Margiotta

rifiutare l‟opinione di un dialetto salentino, e

specialmente quello di tipo ‟siciliano‟ del territorio

otrantino, solo recente e d‟epoca normanna. Non

possiamo, infatti, accettare l‟interpretazione di un

Salento completamente ellenizzato sino all‟arrivo dei

Normanni, e sottratto a una antica romanizzazione,

perché è in contrasto con la più recente produzione

storica, che ha confermato l‟assoluta indipendenza dei

Messapi dai Greci di Taranto. Solo Roma riuscì a

sottomettere i Messapi del Salento e a introdurre in un

territorio, diventato deserto dopo le ripetute

deportazioni dei Messapi, i numerosi elementi latini,

con i veterani assegnatari degli antichi possedimenti

messapici, e soprattutto con le masse di schiavi addetti

alla coltivazione del territorio. Tutti questi nuovi

elementi latini, rappresentanti della nuova società

dominante, hanno dovuto, necessariamente finire di

latinizzare i superstiti Messapi, socialmente minoritari

e politicamente emarginati.

In continuità di questo territorio latinizzato, il

sistema linguistico salentino è realmente arcaico,

come già indicato da Morosi, Ribezzo, Panareo, così

come, anche in diverse occasioni aveva sostenuto

Oronzo Parlangèli, che ha permesso di definire in

questo modo il nostro dialetto: „Il dialetto salentino è

un sistema linguistico originale come risultato del

Page 22: Rocco Margiotta - Tiggiano

22 Rocco Margiotta

processo evolutivo di un comune latino regionale,

distinto poi, in epoca medievale, in alcune varietà

minori in un territorio già culturalmente unitario”8.

A questa suggestiva ipotesi, si contrappone

però la difficoltà storico-linguistica dell‟assenza di

tracce materiali di frange di Messapi nel nostro

territorio e, quindi, quell‟interpretazione è invalida

perché non supportata da testimonianze. E se, come si

è scoperto di recente, a Montesardo sono state trovate

tracce materiali di costruzioni di stile messapico e,

perciò qualche nucleo umano di quella stirpe si era

sistemato su quella collina, questo potrebbe suggerirci

a lanciare un‟altra ipotesi, quella cioè di qualche

possibile contatto tra i messapi di Montesardo e quelli

di Tiggiano, che, come abbiamo più volte detto, non è

possibile sostenere, in quanto nel limitato territorio di

Tiggiano non si sono mai rinvenuti segni di presenza

messapica. Allora bisogna produrre altre ipotesi, in

quanto quel suono e quel segno misterioso, è

utilizzato solo ed esclusivamente, ancora oggi, da noi

tiggianesi; né gli abitanti di Montesardo, né quelli di

Tricase fanno ricorso, nei loro linguaggi dialettali, a

quel suono e a quel segno, poi, non trascrivibile.

Forse, l‟ipotesi è mia, quindi soggetta, anzi,

aperta alla “critica” più spietata, quel “ddhr”, è un

retaggio archeologico di qualche piccolissimo gruppo

Page 23: Rocco Margiotta - Tiggiano

23 Rocco Margiotta

sociale che trasferendosi da Montesardo a Tiggiano,

abbia inconsapevolmente continuato ad utilizzarlo, ed

essendosi, poi, quel clan, ripiegato su sé stesso, abbia

potuto conservare quella stranezza, mentre il gruppo

sociale di Montesardo abbia, invece, seguito

l‟evoluzione linguistico-dialettale, a partire dal

medioevo, come affermato da molti studiosi per altre

aree del Salento, considerato che Montesardo aveva

già assunto dal periodo messapico, un‟importanza di

rilievo, vista la sua posizione strategica e, quindi, era

in collegamento con altre realtà sociali del sud

Salento, mentre Tiggiano è rimasta davvero un‟isola,

ripiegata su sé stessa.

Page 24: Rocco Margiotta - Tiggiano

24 Rocco Margiotta

Per quale motivo pubblicare studi di

dialettologia? La risposta è molto complessa.

Una prima motivazione possiamo rintracciarla

nelle mutate condizioni economico-sociali che hanno

consentito, sempre più, ad un maggior numero di

italiani, di conoscere e di utilizzare la lingua nazionale

e sempre più sottile diventa il numero di coloro che

fanno uso del dialetto.

Questo evento storico per la nostra Nazione, sta

provocando un altro fenomeno, quello di notare che

anche il dialetto “parlato” va via via perdendo le sue

forme più arcaiche e va lentamente modificandosi, in

quanto alcune culture locali sono ormai superate e

dunque i codici linguistici relativi sono utilizzati solo

da esigui gruppi di parlanti.

La penetrazione della lingua nazionale, inoltre,

ha permesso una maggiore cultura civile e una

maggiore giustizia sociale, proprio presso quei gruppi

che ne erano rimasti esclusi. Se questo è vero,

bisognerebbe plaudire alla scomparsa definitiva del

dialetto!

Se guardiamo invece al dialetto come ad un

sistema di comunicazione, usato da gruppi ristretti di

parlanti, questa forma linguistica locale continuerà a

perdurare a fianco a quella nazionale. Quelli che

Page 25: Rocco Margiotta - Tiggiano

25 Rocco Margiotta

parlano il dialetto, sono infatti, una comunità più

piccola (provinciale) all‟interno di una comunità più

grande (nazionale).

“Non sia mai il dialettologo un archeologo o un

ricercatore di fossili e di reliquie, angosciato dal

timore che alle sue premure sia affidato l‟inventario

di un mondo quasi scomparso: andiamo sì alla ricerca

di vecchiette che sappiano, esse soltanto, voci e forme

dialettali ormai uscite dall‟uso comune, ma non

dimentichiamo tutti gli altri parlanti che conservano, e

conserveranno ancora per molti anni, il loro

particolare dialetto”.9

Non siamo ancora agli sgoccioli di un

fenomeno secolare, se non millenario; possiamo

ancora confidare di poter realizzare un lavoro,

ricorrendo alle fonti viventi e non viventi, sforzandoci

di verificarne poi la loro sincerità.

E‟ un lavoro difficile, quello di catalogare,

esaminare ed esplicitare, in quanto in nessuna scuola

si insegna la metodologia della ricerca dialettale, né in

alcuna scuola si insegna il dialetto, ad eccezione dei

paesi della Grecìa salentina.

Nella ricerca dialettologia si cerca di ricreare,

quasi, le atmosfere del linguaggio parlato di un mondo

di valori che va via via modificandosi profondamente

Page 26: Rocco Margiotta - Tiggiano

26 Rocco Margiotta

e, non saremo impressionati invece dalla istantaneità

della resa parlata.

Oggi è molto più difficile una ricerca di questo

tenore, in quanto, come abbiamo affermato

precedentemente, il dialetto di ogni territorio, diviene

sempre più indebolito, a causa della pronunzia, con

cadenze e modalità molto più vicine alla lingua

nazionale. Questa, cioè, sta esercitando una sorta di

livellamento linguistico dei dialetti.

Si pone poi un altro problema al ricercatore,

quello delle informazioni richieste a più persone che

possono essere, a volte, anche dissimili, e per questo

potrebbero indurre a falsificare il dato, ma se ci si

pone con atteggiamento di accoglienza di fronte a

tutti, allora si può intendere che le differenze non sono

altro che la manifestazione della “vivacità” dei

parlanti in seno ad gruppo, se pur ristretto.

Ho voluto cimentarmi in questo lavoro solo per

cercare, con l‟aiuto di altri, di “rivitalizzare” il nostro

secondo linguaggio, quello dialettale, affinché il

“nostro” non vada “annacquandosi” in forme sempre

più lontane da quella originaria e anche perché, come

ho timidamente cercato di dimostrare, il nostro

dialetto possiede alcune peculiarità che non hanno i

parlanti degli altri comuni limitrofi. La mia ricerca e

il riporto sulla carta hanno solo questo scopo.

Page 27: Rocco Margiotta - Tiggiano

27 Rocco Margiotta

Non ho le competenze scientifiche; non sono un

dialettologo, un glottologo, né un archeologo della

lingua, né un antropologo della stessa.

Le conoscenze personali, i ricordi, le persone, mi

accompagneranno in questo difficile lavoro, che non

può essere esaustivo, non posso illudermi, cioè, di

poter dire la parola definitiva per quanto riguarda il

“nostro” dialetto.

La ricerca, a livello scientifico: il C.N.R., le

Università, le Accademie, i circoli di intellettuali

continuano ad approfondire gli studi nei riguardi di

questo fenomeno e solo loro possono stabilire regole,

metodi di ricerca, classificazione scientifica,

determinazione di aree sempre più contraddistinte da

forti peculiarità interne.

Nell‟epoca delle telecomunicazioni, la ricerca

sembra anacronistica, proprio perché il livellamento

nel campo della comunicazione, diventa sempre più

veloce, una miriade di neologismi nascono e vengono

acquisiti in fretta, sempre nuovi barbarismi

influenzano la nostra lingua, l‟europeizzazione e la

globalizzazione favoriscono tutto questo.

E‟ proprio in virtù di queste scarne

considerazioni, che ogni comunità dovrebbe darsi un

suo codice, riferito alla seconda lingua, quella

dialettale, non per rimanere anchilosati o ingessati in

Page 28: Rocco Margiotta - Tiggiano

28 Rocco Margiotta

forme linguistiche ormai del passato, ma affinché la

testimonianza su carta possa permettere, a chi ne ha

volontà, di continuare ad indagare, per rispolverare un

patrimonio che va lentamente esaurendosi.

Non è vergogna interessarsi del dialetto locale,

non è tempo perduto, a mio avviso, è pur sempre

stimolante cercare di capire chi siamo, perché

parliamo oggi un linguaggio omogeneo, perché

resistono gruppi di parlanti che fanno uso quotidiano,

ancora, del dialetto.

Sono quesiti ai quali nessuno sa dare una

risposta esauriente, ma che l‟intrinseca esigenza

umana di “sapere” è riferita anche a questa disciplina

particolare della convivenza sociale.

La mia ricerca vorrebbe corrispondere solo a

questo obiettivo: ripristinare il dialetto di Tiggiano,

attraverso il tentativo di codificazione, affinché resti

vivo nei parlanti quella lingua che abbiamo tutti

appreso dalla viva voce dei propri consanguinei. Lo

sguardo è rivolto anche alle nuove generazioni,

educate solo alla lingua italiana e ad una

comunicazione crittografata e massificata; non

farebbero “peccato” se si avvicinassero al dialetto per

gustarne il sapore, l‟odore, la forte pregnanza, anche

nei riguardi di attività, lavori, mansioni, arnesi ed

oggetti ormai scomparsi.

Page 29: Rocco Margiotta - Tiggiano

29 Rocco Margiotta

La Fonetica. Il problema di come rendere i suoni in grafia è

un sommo problema, in quanto non sempre è possibile

con i mezzi grafici della lingua italiana o latina o

greca, rendere perfettamente i suoni particolari del

dialetto in genere, ed in particolare del nostro,

tiggianese.

Abbiamo accennato all‟inizio come per alcuni

suoni è quasi impossibile trascriverli, e allora si cerca

di avvicinarsi, quanto più possibile alla pronunzia che

se ne fa.

Un altro problema che gli studiosi si pongono è,

se la trascrizione deve avvenire durante o dopo al

ricerca, se i suoni devono essere “normalizzati” o

annotati in modo “impressionistico” e cioè trascritti

senza alcuna sistemazione.

In genere la trascrizione andrebbe fatta quanto

prima possibile e riportare quella della generalità dei

parlanti di un certo luogo. Si sa che alcune parole o

espressioni, specialmente quelle più arcaiche,

possono cambiare da informatore ad informatore, ma

nella nostra piccola Tiggiano le differenze sarebbero

certamente irrilevanti.

Piccitto affermava che il ricercatore “da una

analisi attenta e spregiudicata delle impressioni

Page 30: Rocco Margiotta - Tiggiano

30 Rocco Margiotta

acustiche, […] ne realizzi la trascrizione attraverso

uno schema che sia il più perfetto possibile”.

Poche regole:

Il punto sottoscritto servirà per indicare le vocali

chiuse; con apici si indicheranno le consonanti

palatali; le continue saranno segnate con un trattino

che taglia la consonante occlusiva. E‟ quasi poi

impossibile distinguere le infinite gradazioni di

palatalità delle consonanti.

Le vocali di sillaba fortemente accentata

saranno indicate con l‟accento acuto a, é, le vocali

delle sillabe che rechino un accento secondario

saranno indicate con l‟accento grave à, è. Le parole

piane o parassìtone non recheranno alcuna indicazione

d‟accento. L‟accento sarà segnalato sui monosillabi

accentati.

Se sarà necessario, si distinguerà una pronunzia lunga

„a‟ da una breve.

Le vocali ridotte saranno indicate con caratteri di

corpo minore sopra la riga.

Il suono vocalico indistinto sarà indicato con …

Con il titolo saranno indicate le vocali nasalizzate, se

esistono più gradi di nasalizzazione, si userà …per la

nasalizzazione parziale e …per la nasalizzazione

totale.

Page 31: Rocco Margiotta - Tiggiano

31 Rocco Margiotta

Nessun segno sarà adottato per indicare la caduta di

vocali o di consonanti: è consentito un trattino

d‟unione per indicare l‟intima unione di enclitiche o

di proclitiche con la parola accentata.

Il triangolo vocalico tipico sarà quello indicato nella

tav. I: i segni tra parentesi quadre sono da usare solo

quando il raccoglitore avverte sicuramente la

differenza di grado di apertura.

Si noti che

-un punto sottoscritto indica la vocale chiusa;

-due punti sottoscritti indicano la vocale molto chiusa;

-un gancio, aperto verso destra, sottoscritto indica la

vocale aperta;

-una lineetta sottoscritta indica la vocale molto aperta;

-due puntini soprascritti caratterizzano la serie dei

suoni vocalici turbati palatilizzati,

-un cerchietto soprascritto indica la serie dei suoni

vocalici velari.

Con un cerchietto sottoscritto si indicheranno le

liquide, rotate e nasali sonanti.

Per le consonanti, riunite nella tav. II, si noti:

-invertite (cacuminali o gengivali) t,d,

-prepalatali, mediopalatali, postpalatali, velari,

affricate dentali, nasale palatale, nasale velare, rotata

invertita, laterale palatale, fricative prepalatali,

Page 32: Rocco Margiotta - Tiggiano

32 Rocco Margiotta

fricative velari, sibilanti dentali, sibilanti prepalatali,

sibilanti mediopalatali, fricativa mediopalatale.

Si dà una piccola esplicitazione.

Velare: si pronunzia, si articola col velo del palato.

Gutturale: si pronuncia come la g di gaio.

Consonanti occlusive: sono quelle consonanti la cui

pronunzia non può essere prolungata nel tempo. Si

distinguono in dentali, labiali, palatali, gutturali che, a

loro volta, si suddividono in sorde e sonore.

Sorde: emettono suoni velati smorzati: strumento

(voce sorda), in cui non si odono bene i suoni.

Sonore: quelle che hanno una particolare risonanza

con le momentanee (d,b,g) e le fricative (z nella parola

rozzo ed s nella parola rosa).

Fricative: quelle continue che si pronunziano

emettendo un soffio di aria attraverso le labbra e i

denti e si distinguono in interdipendenti, labiali,

sibilanti.

Page 33: Rocco Margiotta - Tiggiano

33 Rocco Margiotta

Le aree dialettali. I Messapi si stabilirono in tutto il territorio

salentino. Il loro linguaggio era incomprensibile alle

altre tribù ed è stato definito paleo-greco, etrusco, o

egeo-anatolico, qualcuno ancora ipotizza legami

fonetici con la civiltà precolombiana Maya!

“Voci che non esistono in latino e nell‟italiano: è

chiaro che esse non derivano da queste due lingue, ma

provengono da un linguaggio che le ha precedute: nel

nostro caso si può ammettere, per esclusione, che

questo linguaggio precursore sia stato introdotto da

elementi umani provenienti chissà da quale ambito

territoriale, detto indefinitivamente indo-europeo.”10

A questo periodo e a queste aree geografiche

sarebbero da assegnare alcune voci, insieme a molte

di origine greca.

ABISSOS, precipizio, bbissu.

AMORGHE, morchia, murga.

APALOS, molle, aplu.

AS, saccare, aridus.

AS+(S)KAND, asc(i)a. Anche

SKWENTH=scintilla, e il greco eskhara,

bruciatura.

ASKLA, pezzo di legno, asc(i)ca.

BABAX, cialtrone, bbabbione.

BAL, rigettare=vomito, bolbiton, vommucu.

Page 34: Rocco Margiotta - Tiggiano

34 Rocco Margiotta

BAMBAKION, bambagia, vammacia.

BAUCALIS, vaso per acqua da bere, vuccalu.

BHREZA, gnagnale=leccio, quercia

BILIA= lat. filia, (notare la B osca al posto della F

latina).

BOMBULIS, acqua che gorgoglia, mmili, vuzzili.

CABEZA, testa, capèzza.

CABONIS, castrato, capune

CAPACHA, recipiente, capàsa.

CENIZA, cenere, canìsciare.

CHAR A BANCS, carretto alto a due ruote con

due sedili, scirabbà.

CONKHE, buca, conka.

DISO, da un tracico DIZOS (greco teikos=muro);

DOLIKHOS, lungo, dòlaga, cicerchia.

ENKAINIZO, cominciare, nzignare.

FASOULION, fagiolo, fasulu, pasulu.

HIPA (sepoltura), greco „ipò‟ (sotto).

GASTRA, vaso da fiori, rasc(i)ta.

GONGULOS, rotondo, curnocchiulu.

HE’MONEM, uomo, hommu.

HIPA, sepoltura, greco „ipò‟, (sotto).

HYDOR, gr. (Otranto), e il più antico anatolico

vadar (acqua).

KABOUROS, granchio, kavùra.

Page 35: Rocco Margiotta - Tiggiano

35 Rocco Margiotta

KAI e COI=osco, greco ed etrusco kai=latino cae e

coe in posizione proclitica

KAMPE’, insetto che si curva, bruco, kampia.

KANKELLON, cancello, cancellu.

KAP, prendere, kaplè, da cui (‘n)kaplè e (s)caplè,

scapulare.

KAPPARIS, cappero, chiappru.

KAR, essere duro, scarabeo, karabos, scravasciu.

KENTRON, punta, chiodo, centrune.

KER, tagliare, caruppare, la tosatura della lana o

dei capelli, lat. caedere.

KERE, rompere, cravottu, foro o perforare.

KHA, aprirsi=deserto, kheros, (alla) scersa.

KHANTAROS, vaso con due manici, kantru.

KIKHORE’, cicoria selvatica, cikore.

KNOHHA, nodo, nnocca, nnudu.

KOKKOS, piccolo corpo sferico, kokàla.

KOFINOS, cesto, cofunu.

KOKLIAS, chiocciola, kozza.

KONKHE’, conca, conca.

KRAIPNOS, svelto, veloce, furioso, krapa.

KREM, pendere, ciò che serve a tenere un oggetto

appeso, kremaster, kamastra.

IMAS=profondo, sepoltura; osco ìmai=giù; osco

meridionale imif=profondo; lat. imus=profondo.

ISOS, identico, uguale, sozzu.

Page 36: Rocco Margiotta - Tiggiano

36 Rocco Margiotta

LAGANON, sfoglia di pasta per lasagne, làvana.

LAMIA, copertura a volta, lamia.

LEGH, raccogliere=pulpito, logheion, loggia,

loggiata.

LIKH, leccare, leiko, lliccare.

LIP(P), grasso, lippu, la panna del latte, e per

analogia visiva tutte quelle membrane biologiche

che si formano sui liquidi organici inquinati da

muffe. Vedi greco lipos.

LYKOS, (lupo), lupa, Lecce, da un tema i.e. che ha

dato il greco.

LUKWOS, lupu. Lat. lupus, greco lykos.

MAL, molle, tenero, malakòs, malota.

MEN, sporgere, minne, mamma, mammelle.

MET, mietere, màtire.

MINS, metà, menzu.

MLDU=molle.

MOLDAHIAS=molle; osco molda=molle.

MUSTAX, mustacchio, mustazzu.

NAKE’, vello, pelle di capra, nàka.

NER=uomo; osco ner e nir=uomo; greco

aner=uomo.

PAGH, rendere duro, paktà, paddrhotta.

PABULA, paglia, paja, pajara, pajareddhra,

pajareddhru.

PALOMO, colombo, palummu.

Page 37: Rocco Margiotta - Tiggiano

37 Rocco Margiotta

PANOS=pane; lat.arcaico pastnis=cibo.

PAPRASCIANNA, strano ibrido oscillante tra

papera e barbagianni, paparascianni.

PEIS/PES, pestare, pasare.

PENSCLEN=sacello; umbro persclo, osco

pestlùm=sacello, varianti di un più antico perk-sklo.

PERKOS, macchiato di scuro, lentiggini, pèrkia.

PERSCLOM, pietra, pesc(i)ku.

PITHOS, grande vaso per liquidi, patella.

PEUG, colpire, pugnulu.

PAIKOKION, percoco, vernacocca.

PRKA, zolla di terra, paddhrotta.

PULTUS, PUCCA, puccia.

PURCE, maiale, porcu, purceddhu. Per sim.

porciaddrhuzzi.

QUBBAITA, torrone, cupèta.

RAPPA, grinza, rrappatu.

REUKH, REUG, piegare, incidere, rrunchiare.

Anche rruncare, tagliare con la runca.

REZG, treccia, intreccio, rezza.

RUG, ruggire, roffulare.

SAILOMNAS, siloca: sa fatta quantu nna siloca.

SALPIZO, soffiare nella tromba, salpisso,

sciarpisciare.

SARAS, specchio d’acqua, per contrasto,

ssaccarutu.

Page 38: Rocco Margiotta - Tiggiano

38 Rocco Margiotta

SERAPIAS-ADOS, pianta sacra a Serapide,

sanapuddhru.

SER/SEK, tagliare, serra, sarrare.

SERP, serpe.

SIDE’, melograno, sita.

SPONGHIOS, spugna, sponza, spugna.

(S)KAND, ardere, sc(i)kannìe, vampate improvvise

al volto per cause emotive o ormonale, menopausa.

(S)KER, tagliare, skàrasce, skàrasciale, piante

spinose e graffianti. Anche i cognomi Scarascia.

SKWA, squama, scoscia.

SPURIUS, SPURCUS, spurkja.

SPURTA, sporta.

STAKA, palo o asse di legno, stakka (di donna).

STEIP, pestare-schiacciare, stumpare, stompu.

STEUD, battere, sc(i)toticu. Come se avesse battuto

la testa da piccolo. Anche picchiatu, stupidu.

STOUMPIZO’, pestare, sc(i)tumpare,

sc(i)tumpisciare.

STREIG, strofinare, strincire.

SUPFA, minestra brodosa, suppa.

SUK, succhiare, sucare.

SUSTO, spavento, susta.

SWERKU, suocero, socru, socrama, u socru/a meu,

mia.

SUR, tirare, fune da tiro, surtes, nzàrtu.

Page 39: Rocco Margiotta - Tiggiano

39 Rocco Margiotta

TABUT, cassa da morto, chiavùtu.

TACHA, chiodo, tàccia.

TAK, liquefare=padella, tèganon, tajanu.

TAMBOR, tamburo, tammurru.

THE, depositare, deposito, apotheke, putèa.

THWAIRKS, che guarda storto, nguerciu.

TYRSOS, asta, torsolo, tursu,

TLAPUNI, talpa, trappune.

TREKW, torcere, turcire.

TRAG(H), trascianare, a traja, trajare.

THUMM, un ottavo, tummunu.

TUP, battere, tumpanon, tampagnu.

TUP, battere, tuptò, tuzzare.

ZAMBERGA, giacca a coda di rondine,

sciammèràca.

ZANN, denti, sanni.

ZAZZA, lunga capigliatura, zazzara.

ZEKKA, mosca cavallina, zzicca.

ZINZULA, cencio, zìnzulu.

ZIPPIL, punta, zzippuru.

ZIZUFON, giùggiolo, scisciàla.

WRAD, radice, ruddhra. Lat. radix.11

Ai Messapi poi si sovrapposero i greci della Magna

Grecia e ancora dopo i Romani che recarono il latino.

Page 40: Rocco Margiotta - Tiggiano

40 Rocco Margiotta

Nei confronti della lingua di Virgilio è

necessario chiarire qualche dubbio. E‟ alquanto ovvio

che il latino parlato nelle zone periferiche della

Repubblica prima e dell‟Impero poi, non doveva

essere il latino classico che conosciamo attraverso le

opere degli scrittori, era sicuramente un latino

illetterato in quanto la massa della popolazione

trasferita o sottomessa non aveva la possibilità di

frequentare le scuole di eloquenza per imparare il

latino ormai codificato. Parlavano un latino popolare

o volgare e quindi è da queste forme di latino che

deriva poi il volgare e poi il dialetto che si afferma in

tutte le zone dell‟Impero a cominciare dall‟inizio della

crisi dello stesso.

Durante il Medioevo continua il processo di

volgarizzamento del latino popolare, imbarbarito dalle

invasioni di popoli provenienti da altri ambiti

territoriali indo-europei.

Il processo continua in quanto nessuna autorità

può costringere più a parlare nemmenoo il latino

popolare.

La fine del Medioevo troverà ormai consolidate

tutte le forme dialettali che si erano andate

diversificando nel corso dei secoli. Col Duecento

inizia quel lentissimo movimento linguistico che

condurrà, dopo diversi secoli, all‟affermazione

Page 41: Rocco Margiotta - Tiggiano

41 Rocco Margiotta

definitiva e codificata con regole fonetiche,

grammaticali e sintattiche che sono a fondamento

della lingua italiana.

I dialetti viaggiavano di pari passo e vanno via

via diversificandosi e consolidandosi in quelle forme

che sono giunte, quasi incolumi, fino a noi.

I dialetti salentini dunque hanno una comune

origine che è quella messapica, greca, latina, anche se

andarono poi sparpagliandosi in moltissimi rivoli,

dando sostanza a quelle isole linguistiche di cui tante

volte abbiamo riferito.

Page 42: Rocco Margiotta - Tiggiano

42 Rocco Margiotta

Il dialetto di Tiggiano. Non è mia intenzione scrivere un vocabolario

del dialetto tiggianese; sarebbe un lavoro inutile e

sterile, quel lavoro lo hanno già compiuto altri

ricercatori: il grande studioso tedesco Gerhard Rohlfs

che ha pubblicato nel 1976 un “Vocabolario dei

Dialetti Salentini. (Terra d‟Otranto). E poi

recentemente un collega di Salve, Gino Meuli ha

pubblicato “I Dialetti del Capo di Leuca”, quindi per

cercare le parole dialettali sono disponibili già due

vocabolari.

Come già detto all‟inizio, voglio soffermarmi

“solo” sul dialetto tiggianese, per tutte quelle

considerazioni già espresse.

Cercherò di riportare solo quelle parole

prettamente tiggianesi, non contemplate nei due

vocabolari citati, inserendole in un contesto

comunicativo.

Riporterò alcuni proverbi locali che denotano il

modo di vivere e di sentire della nostra popolazione

nelle età più remote.

Elencherò i soprannomi (“nciurite”), sperando e

chiedendo anticipatamente scusa ai tiggianesi per la

pubblicazione, ma non dovrebbero essi adontarsi in

quanto il lavoro riveste solo un carattere scientifico.

Page 43: Rocco Margiotta - Tiggiano

43 Rocco Margiotta

Fornirò alcuni vocaboli “oronimici”, nomi di

fondi rustici interessati da rocce (“pesc(i)hi”) e alcuni

toponimi rurali, anche nella più antica dizione.

Darò alcuni toponimi stradali, i più antichi.

Descriverò alcuni giochi, divertimenti, anche

fanciulleschi, che ormai nessuno esercita più.

Tenterò di riportare gli insulti e gi scherni che si

facevano tra paesi vicini.

L‟afèresi, la perdita cioè della vocale iniziale e

il raddoppiamento fonetico della consonante iniziale,

nel nostro dialetto è frequentissima:

appendere=ppannire, arrostire=rrustire,

avanti=nannzi, asciugare=ssucare,

innamorata=nnamurata, arrostire=rrustire.

Per scrivere alcuni grafemi particolari, i

dialettologi hanno trovato la soluzione, per esempio:

i nostri fonemi: ddhra, ddhri, ddhro, dhru,

ddhre=d: con un puntino sotto la d, si deve

pronunziare appoggiando la punta della lingua sul

palato, suono cacuminale.

Il fonema tr, come nella parola otru= t, con un

puntino sotto la t.

Il fonema sc seguito da vocale, come scupa,

scotulare, si dovrebbe scrivere con ^ capovolto sulla

s, quando si pronunzia con suono dolce e sibilante,

Page 44: Rocco Margiotta - Tiggiano

44 Rocco Margiotta

mentre in altre parole il suono è palatale, fischiato,

forte, come in scelu, sc(i)attare.

Io continuerò invece a scrivere per esteso,

sforzandomi di essere il più semplice possibile,

sapendo in anticipo che è difficilissimo rappresentare

tutti i suoni del nostro dialetto in grafemi.

Page 45: Rocco Margiotta - Tiggiano

45 Rocco Margiotta

Espressioni Dialettali Tiggianesi. A bbunanima de mama dicia sempre=i defunti

erano sempre anime buone.

A camisa è mputtànuta=la camicia è molto sporca.

A casa mia non ci ncorpora cullu curtìu sou=la mia

casa non è confinante con il suo cortile.

A casciabbanca è china de pane=la cassapanca,

madia, è colma di pane.

Aci=traduce la perifrastica attiva latina: „sto per……‟

A cci servène tutte ste marcivotèle=a cosa servono

tutte queste giravolte, girare intorno nel discorso.

A ciappa di cosi s’à spazzata=il gancio dei pantaloni

s‟è rotto.

Aci camina alli 70 anni=la sua età va verso i 70 anni

(espressione dal costrutto tipicamente latino, la

perifrastica attiva viene adoperata anche in dialetto).

Aci chiove?, aci nziddhràca?=sta piovendo?, sta

piovigginando?

Aci cunti schiòvère=stai parlando a vanvera.

Aci face acquanive=era la pioggia sottile mista a

nevischio.

Aci faci sc(i)omareddhru=stai producendo schiuma.

Aci manci a sbafu=stai mangiando senza merito.

Aci passa u caroppaciucci=sta passando il

maniscalco, che provvedeva a tosare gli asini.

Page 46: Rocco Margiotta - Tiggiano

46 Rocco Margiotta

Aci passa u ccattabbinni=sta passando il

commerciante che compra e vende.

Aci passa u prevete cu l’acqua santa=sta arrivando

il prete con l‟acqua santa. Dopo la benedizione

pasquale dll‟acqua, il prete passava in tutte le case per

la benedizione e riceveva una ricompensa: uova,

soldi…..

Aci rrapu u nzimmùru=sto tosando il caprone.

Aci spaccu fricciu=sto tritando breccia.

Aci su mancia l’asima=L‟affanno lo sta travolgendo.

Aci trìvàla=è di lutto, sta soffrendo.

Aci u faci l’inchiamentu=stai provvedendo a fare il

vespaio.

Aci vane spertu e damertu=sta andando ramingo,

senza una fissa dimora.

A conza!=era il comando del capomastro all‟operaio

affinché gli fornisse la malta.

A cquai ttocca chianti nn’ìnzàta=qui devo piantare

un virgulto d‟olivo, piantina d‟olivo.

A crapattera s’à bbinchiata=la capretta s‟è

abbuffata.

A culazza du traìnu è scasciata=la parte posteriore

del traino è rotta.

A’ deggiere bonu=deve essere bene.

A ferita è mpùràgnuta=la ferita si è infettata.

Page 47: Rocco Margiotta - Tiggiano

47 Rocco Margiotta

Ahi fatta nna macagna=hai fatto un imbroglio, sei

ricorso ad un trucco.

A fijascia mia è nna brava risc(i)tiana=mia nuora, o

figliastra, è una brava persona.

A fiòccula è stajata=la chioccia ha finito di covare le

uova.

Affredu, zappa chiru capucciu de terra=Alfredo,

zappa qule poco di terra.

A futticumpagni sciucamu=staimo giocando a

fotterci l‟un l‟altro.

Aggiu ccote e petre de ntrù sciardinu e l’aggiu

mmantunate sutta u parìte=ho raccolto il pietrame

dal giardino e l‟ho ammucchiato sotto il muro.

Aggiu ccoti nnu chilu de cacai e cannellini=ho

raccolto un chilo di confetti (cacai=confetti più grossi;

cannellini= confetti più piccoli).

Aggiu ccotu nnu mazzu de curcumiddhru=ho

raccolto un fascio di camomilla.

Aggiu chiamatu u llattature=ho chiamto

l‟imbianchino.

Aggiu ddumannare se pozzu scire=devo chiedere se

posso andare.

Aggiu fattu acitu=cattiva digestione, a causa dei

succhi gastrici abbondanti.

Aggiu fattu frusciu=ho realizzato quattro carte dello

stesso ramo, palo.

Page 48: Rocco Margiotta - Tiggiano

48 Rocco Margiotta

Aggiu fattu sangu acitu=mi sono molto arrabbiato,

(il sangue è diventato acido).

Aggiu fattu u cazzafricciu=ho lavorato come operaio

alla frantumazione delle pietre.

Aggiu frabbacare e me serène muti sordi=devo

costruire una casa e mi servono molti soldi.

Aggiu ncamapanatu u pallone=ho mandato in alto il

pallone.

Aggiu persu nnu chianozzulu=ho perduto una pialla.

Aggiu pijatu urcumu e ssu cadutu=ho perso

l‟equilibrio e son caduto.

Aggiu spaccatu nnu cannizzu de fiche=con i fichi

tagliati ho colmato un telaio (telaio di canne

intrecciate per seccarvi fichi, peeprono, pomodori,

zucchine).

Aggiu tassuta nna coperta de pazzuddhi=ho tessuto

una coperta con strisce di stracci.

Ahi, tegnu nna doja allu cutursu!=ahi, ho un dolore

alla schiena!

Aldu, ttocca bbai a Llessànu=Aldo, devi andare ad

Alessano.

Alla bbuccolica apriti l’occhi, no!=bere in modo

smisurato vino o birra.

Alla fera de Santu Pati ncerene tanti vinnitili=alla

fiera di S. Ippazio c‟erano tanti mercanti (vinnitili).

Page 49: Rocco Margiotta - Tiggiano

49 Rocco Margiotta

Alla festa de Santu Pati ‘ncè a banna ranne=alla

festa di S. Ippazio si esibirà una banda famosa.

Alla porta da capanna aggiu fare fare a

cattalora=alla porta della capanna devo far fare il

foro rotondeggiante e quadrato per consentire

l‟ingresso dei gatti per catturare i topi.

Alle ppise imu ffare capicanale=al principio delle

volte (della costruzione) e a costruzione terminata, era

d‟obbligo offrire il pranzo a tutti i lavoranti.

Allerta vagnoni co l’otri stonnu ggià a fore=sveglia

ragazzi; gli altri sono già in campagna, sul posto di

lavoro.

Allu banchettu da zzita=prender parte al pranzo

nuziale.

Allu bellubbonu=inaspettatamente, d‟improvviso.

Allu cavaddhru i piace cullu faci culla brusc(i)a=il

cavallo prova sollievo ad essere trattato con lo

spazzolone.

Allu cusifierru mantivène i

canneddhri=all‟incannalatoio si inserivano i cannelli.

Allu pede m’aggiu fatta nna vussìca=mi sono

procurata una vesci a la piede.

A maggiu nci suntu e culummàre=a maggio

maturano i fioroni.

Page 50: Rocco Margiotta - Tiggiano

50 Rocco Margiotta

A mamma se chiamava Dulurata come

nonnasa=mi amadre si chiamava Addolorata come

sua nonna.

A manoscia d pisce me piace=la minutaglia di pesce

mi piace.

A ma renna facìmu nna paparotta=a colazione

prepariamo la “paparotta” , (piatto tipico: pane fritto,

miscelato con verdure e legumi).

A marìola sa scusata=la tasca interna della giacca è

scucita.

A marmaja nun la supporto=la marmaglia, il

guazzabuglio non lo sopporto.

A mattareddhra è vecchia=la matterela (attrezzo di

sostegno al setaccio mentre opera la separazione della

farina dalla crusca), è vecchia.

A mazzammurra imu sciucare=dobbiamo giocare

confusamente.

A mentemmente cu lli dicu e m’aggiu

scurdatu=stando attento con la mente per dirgli, ma

mi sono dimenticato lo stesso.

A mmenzu a chiazza nc’è u sinnucu=in piazza c‟è il

sindaco.

A mmie m’onnu fatta l’operazione allu core=io ho

subito un intervento al cuore.

A naca s’a fatta vecchia=la culla è diventata vecchia.

Page 51: Rocco Margiotta - Tiggiano

51 Rocco Margiotta

Ancora hai cacciare l’antu?= detto chi era più

lento/a a portare a termine una striscia di terra da

zappare o da sarchiare.

Anchi cammuru=dalle gambe arcuate.

A notte d’estate essène e cattùvivèle=la notte

d‟estate si vedono i pipistrelli.

A notte non ci dormu=di notte non riesco a dormire.

A Pasca se fannu e cuddhrure cu ll’ovu=a Pasqua si

producono le ciambelle con l‟uovo.

Arda cci annesse!=esclamazione con la quale i

„grandi‟ si meravigliavano per alcune espressioni o

azioni di un bambino, ritenute smisurate alla sua età.

Ardià, mo vadimu. Ma anche arrè=era il comando

per far indietreggiare il cavallo o l‟asino al carro.

A Santa Marina nnè ccattavène e zigareddhre=a

Santa Marina compravamo i nastrini colorati.

A sarìca se ne sciuta ntru cravottu=la lucertola si è

rifugiata in un buco.

A scèrmata quannu è bbona=quest‟anno la fioritura

è di buon auspicio.

A settembre se ccujivène e pampène de fiche cu lle

dame alle crape=a settembre si raccoglievano le folgi

di fico da dare da mangiare alle capre.

A sira d’estate vadivene e cattuvìvele=le sere

d‟estate vedevamo volare i pipistrelli.

Page 52: Rocco Margiotta - Tiggiano

52 Rocco Margiotta

A sirma i piacìa a regna, u baccalà e lu

stoccapisce=a mio padre piaceva l‟aringa affumicata,

il baccalà e lo stoccafisso.

Assa me fazzu nna durmuta=mi faccio una dormita.

A tene pe divuzzione=è sua abitudine.

A terra s’ha mpàddhruttàta=la terra si è indurita e

appallottolata.

A tuvaja è china de muddhriche=la tovaglia è carica

di molliche.

Atte cittu mucculone=stai zitto stupidone.

A ttìe tocca cu cciummi=a te tocca piegare la testa e

nascondere gli occhi (in un gioco di ragazzi).

A vespra se scìa alla chiesia=al vespro si andava in

chiesa.

A vita è nnu tiraturu, oci ha piji nculu e crai

puru=espressione che indica le tantissime difficoltà di

vita.

Avoja quante vòte l’aggiu dittu=le ho detto

moltissime volte.

A vommàra s’a scasciata=il vomere si è rotto.

A vozza s’a rutta=la giara si è rotta.

Basta fazzu quarche scalune ca ffannisciu=mi basta

fare qualche gradino e sono colto dall‟affanno.

Bbunattanima de sirma era severu= mio padre,

buonanima, era molto severo.

Page 53: Rocco Margiotta - Tiggiano

53 Rocco Margiotta

Caccia chiru càntru=porta fuori il càntaro (vaso

figulo usato di notte per accogliere urine e altro….)

Capudecazzu cumpare!=perbacco compare!

Carzàcchie te bbuschi=non ti tocca nulla.

Cè falòticu!=che stupido!

Cc’è sapurita st’acquassale=come è gradevole

questa acqua e sale, in verità erano pomodori tagliati,

conditi con acqua, sale e olio e d‟estate peperoni

amari, nel cui si intingeva il pane.

C’è mmortu aci sona a cunìa=al suono delle

campane, ci si chiedeva chi fosse morto.

Chira è nna bardascia=quella è una donna poco di

buono, malandata, una donna grassa.

Chira ristiano sta comu nna culòfia=quella donna è

grassa e malformata.

Chira tovàla nci vole chianilisciata=quella tavola

deve essere piallata.

Chiru allu cantieri solu l’accqualuru pote fare=nei

cantieri di lavoro, il meno dotato, veniva incaricato

dal capo-cantiere solo a provvedere l‟acqua per

dissetare gli operai.

Chiru è vuddhru=quello è sterile.

Cci bellu fòffulu a frunte=che bel ciuffo di capelli

sulla fronte.

Cci bùlìa nna manesca de rape=quante vorrei una

pietanza di rape.

Page 54: Rocco Margiotta - Tiggiano

54 Rocco Margiotta

Cci camascìa=che noia!

Cci famotica ca tè!=che fame che dimostri!

Cci llesamentu osci ca me sentu=che sposattezza

oggi.

Cci me dole lu vangaru=che dolore ad un molare.

Cciumma tìe mo=ora tocca a te piegarti e

nasconderti.

Ccoja chiri asc(i)uliddhri=raccogli quei frammenti

di legna.

Ccoji chire cacàgnele de crapa, de

pequara=raccogliere quegli escrementi di capra, di

peciora.

Cci còjiuru tosc(i)tu ca tei=che pelle dura che

possiedi, in senso figurato.

Cci gghiè pannàcciara chira ristiana=quella donna

è pettegola, (diffonde notizie altrui)

Cci l’onnu fattu a stu crìaturu, piccinneddrhu,

vagnone?=cosa gli hanno combinato a questo

piccolo?

Cci maddhrune ca tei=che testa pelata, o testa dura.

Cci me faci a cagnavula=mi fai il dispetto, facendo

finta di …

Cci me faci sta ntìfana=perché mi fai

quest‟allusione.

Cci rungulisci!=perché piangi con lamento!

Cci rrusacaturu!=che scocciatore!

Page 55: Rocco Margiotta - Tiggiano

55 Rocco Margiotta

Cci si fatente!=come sei malizioso, furbastro!

Cci sinti ntisicatu=come sei magro.

Cci ssu belle llattumate ste cicore=come sono tenere

e gradevole queste cicorie.

Cerca cu lu ncàfurchi addhra intra=cerca di

ficcarlo là dentro.

Che fimmànazza è socrama=che donna tuttofare,

bella e forte di carattere.

Chiru mesciu è cuscenziusu=quel maestro è

scrupoloso.

Chiudi cullu masc(i)caru moci essi=chiudi quando

esci, (masc(i)caru: un pezzo di legno che scivolando

chiudeva la porta).

Ci ha post usti mustisci cquai?=chi ha messo uesti

rifiuti qui?

Ci è sta fajassa?=chi è questa donna volgare?

Ci l’à ccucchiati chiri doi?=chi li ha accoppiati quei

due?

Ci l’à pijatu u scarcagnulu, o u fusciarizzu=è stato

colto da qualche vortice di vento o dalla corsa

frenetica.

Ciseppe, va ccoji e culummàre=Giuseppe vai a

raccogliere i fioroni.

Ci mustazzu!=che baffo!

Ci t’à bbannutu!=chi ti mandato, chi ti ha venduto.

Page 56: Rocco Margiotta - Tiggiano

56 Rocco Margiotta

Cittu, ca aci me ne porti e maduddrhe=zitto, mi

stai facendo stancare il cervello.

Ciuveddhri me pote dire de quistu e quistu

passa=nessuno mi può criticare.

Come face u lardusu osci=oggi si atteggia con

superbia, con vanità.

Comu feti osci=come puzzi oggi.

Comu sinti crusitusu=come sei ficcanaso.

Conzème nna ccucchiatùra de pane=preparami col

companatico una combaciatura di pane.

Crammane vegnu=verrò domani.

Crammenzadìa chiove=pioverà domani a

mezzogiorno.

Cràbbespàra vegnu=verrò domani al vespero.

Crassìra tròvète a menza a chiazza=domani sera

fatti trovare in piazza.

Crai ttocca facìmu u còfunu=domani dobbiamo fare

il bucato (cofano grosso recipiente di terracotta).

Cravvespera nc’è a purgissione=domani a vespero

si terrà la processione.

Crisc(i)tina, ci t’à criata, ogni ggiurnu rumpi nnu

piattu o nnu bicchieri=Cristina, (chi ti ha creata,

domanda retorica), ogni giorno rompi un piatto o un

bicchiere.

Cu bbutti lu citu=era un‟invettiva bonaria rivolta

all‟amico: ci si augurava che questi vomitasse „aceto‟.

Page 57: Rocco Margiotta - Tiggiano

57 Rocco Margiotta

Cu bbutti lu sangu=generalmente era un‟invettiva

bonaria che si lanciava all‟amico in una durante una

discussione animata, ci si preoccupava che il

malcapitato vomitasse sangue.

Cu ddumi u focu nci volène e frunze=per accendere

il fuoco ci vuole il fogliame secco d‟olivo.

Cu l’asc(i)che aggiu fatta nna mita erta=con la

legna ho realizzato un‟alta catasta.

Culla brucacchia poti fare l’insalata=con la

brucacchia (erba grassa selvatica) si può fare

l‟insalata.

Cummare Ada a caddhrista=la commare Ada di

Alliste.

Cumu si fumusu=quanto sei borioso, o dall‟offesa

facile.

Cu ppoti rrunciaddhrare!=che possa paralizzarti!

Cursupinama se chiama Carmelu=mio cugino si

chiama Carmelo.

Cu tte cascia nna coccia=espressione generalmente

in un momento di rabbia, detta con benevolenza.

Cu tte cascia nna cògnala=che ti prenda un

accidente.

Cu tte cascia nnu lampu e cu tte bruscia e se te

canna cu se torna=era una maledizione inviata alla

persona con la quale si era verificata qualche alterco.

Page 58: Rocco Margiotta - Tiggiano

58 Rocco Margiotta

Cu tte sequata nnu sciame de vespe=espressione

anche questa bonaria, all‟indirizzo di qualcuno o di

qualcuna.

Cu tte vène pànticu=che ti venga un colpo.

Damme nna mentastra ca me dolène i

cannavozzi=dammi una caramella alla menta, mi fa

male la gola.

Damme nnà mozzacata de pane=dammi un morso

di pane.

Damme nnà ranta d’acqua frisca=dammi un po‟

d‟acqua fresca.

Damme nnu baciu a pizzichilli=dammi un bacio

pizzicandomi le guance.

Damme nnu canceddhru de maranciu=dammi uno

spicchio d‟arancio.

Damme nnu muteddhu cu inchiu l’oju ntrà

buttija=dammi un imbuto per mettere l‟olio nella

bottiglia.

Damme u nzurfaturu ca aggiu nzurfare a

prevàla=prestami la solfalora per irrorare di zolfo la

pergola.

Da scatìna vè?=torni dal duro lavoro della terra?

Datte canza=aspetta un po‟.

Ddulurata, damme nna stusciafacce=Addolorata,

dmmi un‟asciugamano.

Page 59: Rocco Margiotta - Tiggiano

59 Rocco Margiotta

Ddulurata, damme nnu maccaluru de

nasu=Addolorata dammi un fazzoletto da naso.

Ddulurata, ma cci bboi cu nne pìne pe

fessi?=Addolorata, in questo modo ci prenderanno in

giro.

Dduma a luce!=accendi la luce!

De ci è stu falaru?=di chi è questo filare?

De notte essène e cattuvivèle=di notte volano i

pipistrelli.

De quannu face u ccattabbinni è canciatu=da

quando ha iniziato a fare il commerciante ha cambiato

posizione.

De vagnone ttuccatu ffazzu i cazzafricciu=da

giovane ho dovuto fare il mestiere dello spaccapietre.

De vagnoni sciucavène a furmeddhre=da ragazzi

giocavamo a bottoni.

Diàmmana mò!=diamine!

Dunatu, nnucème nnu mmojucu=Donato, portami

un tufo lungo più di un metro.

Dopu a fes(i)ta de Santu Pati aggiu ccotu tantu

carburiu=dopo la festa di S. Ippazio ho raccolto

molta acetilene.

Dopu u carcassune su spicciati i fochi=dopo il

grosso botto finale si dava termine ai fuochi

d‟artificio.

E’ bbanutu càniavata?= è venuto tuo cognato?

Page 60: Rocco Margiotta - Tiggiano

60 Rocco Margiotta

E’ bbonu u cannalire ca tei!=non ti soddisfa mai

bere.

E brunelle me piacene=mi piacciono le susine.

E caddhrine e lu caddhru ntrù caddhranaru nun ci

suntu cchiui=le galline e il gallo nel pollaio non ci

sono più.

E cagnu poi!=e caspita poi!

E càmise l’aggiu pos(i)te a mmoddhru=le camicie

le ho messo a mollo.

E capère du pisce i piacène alli catti=delle teste di

pesce i gatti sono ghiotti.

E case prima e facivène culle petre e cullu

mùrtieri=anticamente le case venivano costruite con

pietre malta fatta di bolo e calce.

E cicore su marostiche=le cicorie sono amarognole.

E cisure e llassàmu nicchiariche=lasciamo le

campagne incolte.

E fiche saccate se mantivène a ntrù padale=i fichi

secchi si conservavano nel vaso di argilla.

E’ malecrìanza cu nun dici bonasera=è da

maleducati non dire buonasera.

E castagnole se sunavène u vennardìa santu=le

castagnole venivano suonate il venerdì santo.

E cci ghiè crisma santa?=cos‟è qualcosa di prezioso?

E ficarigne nzanguinate me piacène=mi piacciono i

fichi d‟India color sangue.

Page 61: Rocco Margiotta - Tiggiano

61 Rocco Margiotta

E fujazze de fiche saccate se davène alle crape=le

foglie secche del fico erano alimento per le capre.

E gnàgnele su bbone pe lli porci=delle ghiande si

nutrono i maiali.

E livène moi nun le vole ciuveddhri=i rami d‟olivo

della rimonda non li utilizza più nessuno.

E maranciane volène nnu mare de acqua=le

melanzane hanno bisogno di molta acqua.

E mascise l’à rruvinate a ranana=i campi ad

ortofrutta sono stati rovinati dalla grandine.

E minchia stu trappune, quanta via a fatta=quanta

via ha percorso la talpa.

E minchia cci jè anchicàmmuru

chiru=esclamazione che indicava colui che aveva le

gambe arcuate.

E minchia comu scàrùfi=quanto mangi.

E minnedemonache è ua duce=l‟uva seno delle

monche è dolce, (uva dai chicchi allungati).

E’ mmàrsàtu u traìnu=s‟è capovolto il traino.

Ehmmò cci bbo faci!=dal levantino maktub,

intraducibile, divenuto emmò a significare la più

completa arrendevolezza di fronte all‟insormontabilità

del volere del destino, del fato.

Ehmmò, ccimu ffare!= classica espressione che

denuncia l‟impotenza e la rassegnazione di fronte ai

casi della vita, una sorta di fatalistica lentezza

Page 62: Rocco Margiotta - Tiggiano

62 Rocco Margiotta

levantina, incline alla rassegnaione o all‟indifferenza

passiva, imperturbabile, ironica.

Ehmmò, fazza Ddiu!=altra classica denuncia di totale

rassegnazione.

E’ mpàpagnàta=si è addormentata.

E’ mortu l’anchi tortu, ci l’ha sunatu? L’anchi

stuccau=è morto lo sciancato ed ha suonato le

campane l‟uomo con le gambe storte.

Ennà, cci sacciu=non lo so.

E’ nna risc(i)tiana de debrusinnu=è una persona di

buon senso.

E’ nna funnata=è una terra buona, senza ostacoli.

E nne faci làvie!=quante smorfie fai!

E’ prontu u fumuleu=è pronto lo scavo per le

fondamenta.

E purnittèle e rrustivène e nne

mancavène=arrostivamo le ghiande più grosse e le

mangiavamo.

E quasette de barba se mantivène i zzappaturi=le

calze (fasce di pezza intorno alle gambe) dovevano

mettersele le persone che zappavano.

Era fattu u purpatagnu e jè scarratu=avevo eretto

un muretto ed è caduto.

Era nnu càrniale de ris(i)tianu=era un omone

grande e grosso.

Page 63: Rocco Margiotta - Tiggiano

63 Rocco Margiotta

E rape aci fèrvene ‘ntrà a farsùra, quadarottu=le

rape sbolliscono nel pentola (grossi contenitore di

rame utilizzati per cucinare grandi quantitativi di

alimenti sul fuoco).

E rotu di traini onnu fatte tante bìvele=il passaggio

dei traini hanno provocato solchi nelle carreggiate.

E sarìche e le sarmènele essène a bbrile=le lucertole

e i lucertoloni si fanno vedere ad aprile.

E’ ssaccata nna chianta de chiappuru=è seccata una

pianta di cappero.

E vagnòne mmoscène u vuddhricu=le ragazze fanno

vedere l‟ombelico.

E’ vvanutu nnu ciddhruzzu e me l’ha dittu=come

se un

uccellino fosse il latore di una notizia quasi sempre

benevola.

Fa cibboi sempre fiju meu è=ma sì, è sempre mio

figlio.

Faci e cose alla fasinfàsò=operi alla carlona.

Facivène u rispicu antrù ristucciu e truvavène e

spiche de ranu=nelle stoppie andavamo a raccogliere

le spighe di grano, (spigolare).

Fàlli nnu picca de cànìa alle caddhrine=prepara un

po‟ di crusca da dare alle galline.

Famme nna curiscia=fammi una cinghia.

Page 64: Rocco Margiotta - Tiggiano

64 Rocco Margiotta

Famme nna porta cu la cattalora=fammi una porta

con la buca, per far entrare e uscire il gatto.

Famme nnu rinacciu a sti cosi ca s’onnu

strazzati=fammi un rammendo ai pantaloni che si

sono strappati.

Fane nna cùmma allu pane e mintème e rape=fai

un incavo al pane e mettimi delle rape.

Fane nna ntravujata=fai un rimescolamento.

Fane u nafriceddhru a sta tuvaja=era il comando

dato dalla mamma alla figlia di provvedere a fare

l‟orlo alla tovaglia.

Farche bbota, sèntime=sentimi qualche volta.

Fenca crai, fencacquannu, fencammoi, fencattantu,

fencattannu= fino a domani, fino a quando, fino

adesso, fino a tanto, fino ad allora.

Fermallòcu!=fermati!

Fermu, stai comu nna verdicula=fermo, sei come

un‟ortica.

Fìama aci dorme=mio figlio sta dormendo.

Fiàta cullu fiataluru=soffia col soffietto.

Fìata u Pazziu ‘ncè?=c‟è tuo figlio Pazio?

Fimmàna cullu ttoppu=donna con ciuffo di capelli

legato dietro la nuca.

Finalmente aggiu ccommatata a fijia=finalmente ho

sistemato la figlia, l‟ho sposata.

Fratama se n’è sciutu=mio fratello se n‟è andato.

Page 65: Rocco Margiotta - Tiggiano

65 Rocco Margiotta

Furmine cu tte pija!=che ti prenda un fulmine!

Hai cacciatu l’orgialuru=hai l‟orzaiolo, foruncolo

sulla palpebra.

Hai fatta trasàtura?=ti sei presentato ufficialmente a

casa della fidanzata?

Hai fattu nnu laccu cullu mieru=hai fatto un lago

(del vino versato per terra) col vino.

Hai manatu u siu alli scarpuni?=hai spalmato il

sego agli scarponi.

Hai nnàscatu a robba bbona!=hai fiutato i prodotti

buoni.

I carròfuli su janchi= i garofani sono bianchi.

I cuccuvasci essène a notte=le civette escono di

notte.

I curciùli di passiri su mpànnati=i piccoli dei

passeri hanno messo le prime piume.

Iddhru è mpànnatu, mpàpagnàtu=lui, si è

addormentato.

Iddhru sane mpàppinàtu= egli si è confuso.

I curnocchili de fave me piacène=gradisco i baccelli

delle fave.

I cuzziddhri de mare su sapuriti=le chiocciole di

mare sono saporite.

I darlampi me fannu mpaurare=i lampi mi mettono

paura.

Page 66: Rocco Margiotta - Tiggiano

66 Rocco Margiotta

Iddhru àne ncammaratu=egli ha rotto il digiuno del

venerd santo.

Ieu aggiu caccià a taja=ho portato a termine il mio

pezzo di terra, (quando si zappava).

Ieu cagnisciu quannu visciu chire cose=mi fa schifo

vedere quelle brutture.

Ieu me chiamène Pazziu, alla comune m’onnu

dicharatu Roccu=io sono chiamato Pazio, ma

ufficialmente sono Rocco.

Ieu nu me mintu a vannisciare=non sarò io a

diffondere la cattiva notizia.

I fiji quannu su piccinni te vene a vula cu tti manci,

quannu se fannu ranni te trovi pantutu ca nun te

l’hai manciati=riferito ai figli: da piccoli sono da

amare smisuratamente, da grandi invece , se

potessimo, li elimineremmo.

Ihi cavaddhru=fermati cavallo.

Imu spicciatu de metere e de pasare=abbiamo finito

di mietere e di pestare, (abbiamo finito di consumare

tutte le disponibilità).

Inchi u scarfalettu de focu=metti il fuoco nello

scaldaletto.

I paratari moi stonnu comu dottori=gli artigiani di

muri a secco sono molto apprezzati.

Page 67: Rocco Margiotta - Tiggiano

67 Rocco Margiotta

I pasaddhrari e li pasulari li purtavène allu

furnu=le piante secche di piselli e di fagioli si

portavano al forno.

I pasotri nc’erène in tutte e case=i ceppi c‟erano in

utte le case, (servivano da sedile).

I piezzi stivane nculazza=i tufi stavano nella parte

posteriore, (del carro).

I povareddhri se facivene fare a cascia de mortu

cullu casciune=i poveri, alla morte, dovevano

autorizzare l‟utilizzo della cassapanca per farsi

approntare il baule.

I paseddhri su mmurgiulati=le painte di piselli

cominciano a seccare.

I pasuli aci ccocculiscène=i fagioli gorgogliano.

Isa-isa si sciuti cu rrivi=sei arrivato appena, appena

in tempo.

Isci=va piano, fermati.

I samenti de cummarazzi su ciati=i semi di

cocomero sono germogliati.

I maluni toi l’aggiu frinquilisciati addhra

menzu=le tue angurie le ho lanciate lontano.

Intrafore imu fatti vinti quintali de

tabbaccu=abbiamo prodotto circa venti quintali di

tabacco.

I rùcùli s’onno manciatu e salate=le cavallette si son

mangiata l‟insalata.

Page 68: Rocco Margiotta - Tiggiano

68 Rocco Margiotta

Isti suntu fiji mei=altra espressione tipica latina:

„questi sono figli miei‟, in lat.: isti sunt filii mei.

Istu è lu brusinnu=questa è la verità.

I sulìtri mi mantìa, spritti sullu pane=l‟erba

commestibile fritta me la mettevo sul pane.

Ità=esclamazione della mamma, o di altri, verso il

piccolo, fingendo di scoprirsi il volto, o di comparire

da un posto nascosto.

I tuzzuni du focu=i tizzoni del fuoco.

I vientalaturi stonnu ‘ncora ‘ntrà l’ajara=i

ventilatori (chi provvedeva a separare i cereali o i

legumi battuti a mano o con altro mezzo dalle scorie)

sfruttando proprio le folate di vento.

L’acqua aci rispiscia=l‟acqua comincia a bollire.

L’acqua te va ntrà spaddrha=espressione tipica dei

bevitori incalliti che rifiutano l‟acqua come se questa

dovesse provocare qualche supposta malattia

polmonare.

Jata a tìe=beato te.

La fatta dispustatu=l‟ha fattto di proposito.

L’aggiu caniscita sta camisa!=ho bruciacchiato la

camicia.

L’aggiu fatta nna partaccia=l‟ho rimproverato

smisuratamente

L’aggiu merchisciatu bbonu=le ho suonate,

lasciandogli dei lividi.

Page 69: Rocco Margiotta - Tiggiano

69 Rocco Margiotta

L’aggiu nchiummàtu bbonu=l‟ho pressato molto

bene.

L’aggiu spruscinutu=ho tolto la ruggine.

L’aggiu spuragnatu=ho tolto il pus.

L’annìte me servine a nnotra casa=le impalcature

mi servono per un‟altra casa.

L’hai mmàppisciata sta màppìna=l‟hai resa

raggrinzita e sporca questo canovaccio.

L’hai ammassata a pas(i)ta?=hai impastato la

farina?

La pijatu culla bardasciola=lo ha colpito con u

bastone di legno, a volte anche di cuoio. Ironizzando

ci si riferiva anche al sesso maschile.

L’aria è ddrafascata=il clima è più fresco.

L’arvùlu de chiosu è saccatu=l‟albero di gelso è

seccato.

L’erva de vientu nasce ntri pariti=la paritaria nasce

nei muri.

L’ha pijatu a nicateddhra=è vittima di tosse

convulsa.

L’hai fattu u bivarone alla vacca?=hai preparato il

pastone per la mucca.

L’hai chiantatu u misiricoi?=hai piantato il basilico?

L’hai nguacchiatu tuttu u quadernu=hai sporcato

tutto il quaderno.

L’honnu mpàpucchiàtu=lo hanno imbrogliato.

Page 70: Rocco Margiotta - Tiggiano

70 Rocco Margiotta

Libberamusdomine=liberaci o signore, che Dio ce ne

liberi.

L’irmici vecchi moi custène nnu saccu de sordi=le

tegole, embrici, antichi hanno un costo esorbitante.

Li vvanuta mancanza=è stato colto da svenimento.

Llàssàti ca mmàrannàmu=lasciate di lavorare che

facciamo merenda.

Llàveme i pedalini ca puzzène=lavami i calzini

perché puzzano.

Llàvìli bboni chiri piatti se no rimanène

nsivati=lavali bene i piatti, altrimenti rimangono unti.

Llevène chire rratatìle=togli quelle ragnatele.

Llèvene chiri pedàcuni alle cicore=togli le radici alle

cicorie.

Llèvete chira camasula culla llàvu=togliti la camicia

che devo lavarla.

Llèvete de cquai c’aggiu bbrustulire

l’orgiu=allontanati dal fuoco che devo provvedere a

brustolire l‟orzo (l‟orzo sostituiva il caffè nelle

famiglie impossibilitate a comprarlo).

Llèvete de nanzi mpiastru=scostati, uomo noioso.

Llevètène de nanzi, stu capaplasimu=spostàti,

questo cataplasma (detto a prsona inefficiente).

Llevète, mpàssulatu=scostati, incapace, ingessato.

L’occhiu l’aggiu pijatu propriu du cippunaru=il

rametto l‟ho preso dalla ceppaia.

Page 71: Rocco Margiotta - Tiggiano

71 Rocco Margiotta

Lusciare u cattu=accarezzare il gatto.

Luviggi, ‘nchiana sc(i)tu saccu de ranu sulla

scansìa e scummùrulu=Luigi, porta questo sacco di

grano sù nel granaio e svuotalo.

Màcariddìu ca li dici=anche se glielo dici, lo avverti.

Ma cci la faci ‘mposta?=domanda che si rivolgeva a

chi perseverava in un‟azione ritenuta fastidiosa.

Madammane aggiu scire a mare=questa mattina

devo andare a mare.

M’aggiu bbinchiatu de maccarruni=mi sono

abbuffato di pasta asciutta.

M’aggiu bbruffacatu i mani=mi sono preso

l‟allergia alle mani a causa dell‟acido di fico.

M’aggiu brusciatu u cielu da vucca=mi sono

bruciato il palato. M’aggiu caruppato=mi sono tagliato i capelli.

M’aggiu ccommatàtu=mi sono sistemato.

M’aggiu curcatu tante vote su nna lattera=mi sono

coricato molte volte su un materasso di paglia.

M’aggiu fattu allampede dieci chilometri=ho

percorso a piedi dieci chilometri.

M’aggiu fattu nnu mmòmmulu ncapu=mi sono

provocato un bernoccolo in testa.

M’aggiu fatti i caddhrupi alli mani=mi sono

provocato i calli alle mani.

Page 72: Rocco Margiotta - Tiggiano

72 Rocco Margiotta

M’aggiu manciatu nnu ricioppu de ua=ho mangiato

un piccolo grappo d‟uva.

M’aggiu misu alla mantagnata ca sentu friddu=mi

sono messo al sole, riparato perché ho freddo.

M’aggiu ncaddhrisciatu cu sto cquai=mi sono

annoiato di stare qui.

M’aggiu ncàsciatu de sagne torte=mi sono

abbuffato di lasagne casalinghe.

M’aggiu nchichirizzàtu sullu pede de fica e ssu

cadutu=sono salito sulle cime più alte del fico e sono

caduto.

M’aggiu ncuvazzatu=mi sono ingozzato.

M’aggiu nnudacatu=sono stato colto dall‟emozione.

M’aggiu nturtijatu ntri gnommiri=mi sono

attorcigliato nei gomitoli, (di cotone).

M’aggiu ntrufulatu=mi sono intrufolato,

immischiato.

M’aggiu vis(i)tu de nnzi nnu tranqualasciune=mi

sono visto di fronte una persona alta e sottile.

M’è rravatu nnu sbròcculu=mi è arrivato un grosso

danno, (di solito, una bolletta con una forte somma da

pagare).

M’ha data nna pinzogna=mi ha dato un forte

pizzico.

M’hai fattu nu mercu ncapu=colpendomi in testa mi

hai lasciato una cicatrice.

Page 73: Rocco Margiotta - Tiggiano

73 Rocco Margiotta

Mamma mia cci favugnu face osci=che caldo vento

di scirocco oggi.

Mamma comu è mugnulusu stu vagnone=com‟è

piagnone questo ragazzo.

Manàre e cose nun nne ppe mìe=non sono capace a

gettare gli oggetti.

M’ane forfacàti i capiddhri=non mi ha fatto un bel

taglio di capelli.

Mannàggia alli ntrùni!=maledetti vermi!

Mannaggia all’osàpedi=maledetti aculei, (pianta

selvatica che produce aculei).

Mannàggia allu ncrisciamentu vosciu=porca

miseria alla vostra pigrizia.

Mannàggia quante carpìe=porca miseria quanta

lanugine.

Mannaggia santunuddhru=mannaggia santo

nessuno, (una bestemmia che non era una bestemmia).

Mannàggia stu pane sa ntùfatu=porca miseria il

pane si è rinsecchito.

Manòscia nun se ne trova cchiui comu prima=il

novellame di pesce non se ne trova più come prima.

Mazzisciare i vagnoni era normale=era normale

battere i piccoli.

Me custatu marcatu=l‟ho comprato a buon prezzo.

Me dole ntrà ncinaja=ho un dolore all‟inguine.

Me dole u cutursu=mi fa male la schiena.

Page 74: Rocco Margiotta - Tiggiano

74 Rocco Margiotta

Me dole u ntantingulu=mi fa male l‟ugola.

Me dole u vangaru=mi fa male il molare.

Me mintu cu frisciu paparussi, pisce=mi accingo a

friggere peperoni, pesce.

Me sembri nnu vardacchiazza=mi sembri un

fannullone.

Mèna, nchiòva chiru chiovu=sbrigati a inchiodare il

chiodo.

M’è nnata nna minneddhra sutta u razzu=mi è nata

un‟escrescenza sotto il braccio.

Me nnuci nna carratizza d’acqua?=mi porti

un‟autocisterna d‟acqua?

Menu male can un ntartaja cchiu=meno male che

non balbetta più.

Me piacène e cozze pintuliddhre=mi piacciono le

lumachine d‟estate.

Me piacène i maranci nzanguinati=mi piacciono le

arance sanguigne.

Me piace u casu nciràtu=gradisco il formaggio un

po‟ duro.

Me rravata nna ‘ncianfata=detto di persona che ha

ricevuto una folata di vento caldo o di aria

maleodorante.

Me sentu u nasu nchiummàtu, ncimurràtu=sento il

naso chiuso, per il raffrddore, che mi impedisce di

respirare.

Page 75: Rocco Margiotta - Tiggiano

75 Rocco Margiotta

Me serve nnu carrisciapiezzi=mi è necessario un

operaio per il trasporto a spalla dei tufi.

Me si passatu de cosc(i)ti e nun ta n’à ccortu=sei

passato al mio fianco e non ti sei accorto.

Me ssamiji a nnu ccuzzaru=mi sembri una persona

stupida, la zucca al posto della testa.

Me ssamiji a nnu mccabeu=mi sembri uno

stupidone.

Me ssamiji a nnu trèfulu=assomigli ad un vento

vorticoso.

Me ssùta nna mpùddhra alla manu=si è provocata

una bolla alla mano.

Me ssutu nnu frunchiu sullu nasu=mi è nato un

foruncolo sul naso.

M’hai ncuddhratu nnu papiellu=mi hai tirato un

tior mancino.

M’hai nnuttu a ntrà nna scampistra=mi hai

condotto in u luogo vasto e aperto.

Mina, coppàla coppàla=lancia la boccia lentamente.

Mina a minimenzu=lancia per fare centro.

Mintème menzu chilu de pisce a ntrù

scartocciulu=mettimi mezzo chilo di pesce nel

cartoccio.

Mintème u spiritu ca m’aggiu fatta nna

sìma=mettimi l‟alcool perché mi sono ferito.

Page 76: Rocco Margiotta - Tiggiano

76 Rocco Margiotta

Mintète i cosi curti ca face còvutu=mettiti i

pantaloncini siccome fa caldo.

Mintète i scarpini=mettiti le scarpe eleganti.

Minti a scala alla cunucchieddrha=metti la scala

alla biforcazione dei rami.

Minti a surgiattàla ca nci suntu muti

surgi=predisponi la trappola in quanto ci sono molti

topi.

Minti i piatti ntra piattera=metti i piatti nella

piattaia.

Minti l’cquua ntra ggiucculatera=metti l‟acqua

nella caffèttiera.

Minti u calaturu moci essi=chiudi quando esci

(calaturu) parte della serratura.

Minti u focu ntrù scarfalettu=metti il fuoc nello

scaldaletto.

Minti u nafriceddhru a stu maccaluru=fai l‟orlo a

questo foulard.

Minti u vagnone ntru banchettu=(anche) comando

che veniva dato a chi accudiva un neonato di

collocarlo nel “banchettu” che era un parallelepipedo

in legno, con la base e con poggiatesta, simile allo

“stompu”, in cui venivano infilati i bambini in fasce,

mentre la mamma era indaffarata in faccende

domestiche o rurali.

Page 77: Rocco Margiotta - Tiggiano

77 Rocco Margiotta

Moci vo’ a S. Marina ttocca mme ccattu e

zigareddhre=alla festa di S. Marina a Ruggiano, il 17

luglio, ci si recava in quanto si riteneva che la Santa

proteggesse dall‟itterizia ed era doveroso comprare i

nastri colorati, „zigareddhre‟, per adornare con queste

la bicicletta, i traini, i calesse, ecc.

Mo face nna patùrnia=ora si immalinconisce.

M’onnu ncùgnatu cquai=mi hanno costretto qui.

M’onnu ncùlatu=mi hanno ingannato.

Mo chiance stu piccinneddrhu=piange questo

piccino.

Mo, puru stu scanciune tene a tossa=anche questo

ragazzetto si dà delle arie.

Mo, stoviniceddhru è scannami pe nnu=questo

agnellino lo macelliamo per noi.

Mo te cacciu a cetàla=ora ti presento il conto (in

modo ironico).

Mo te do nnu picozzu=ti dò un pugno in testa.

Mo te fazzu nna caucisciata=ora ti do una serie di

calcioni.

Mo te ncutugnu=ora ti dò tanti pugni in testa.

Mo te rria nna carcagnata=attento che ti assesto un

calcio.

Mo te rria nnu cazzottu=attento che ti dò un pugno

sotto il mento.

Page 78: Rocco Margiotta - Tiggiano

78 Rocco Margiotta

Mo te rria nnu muffattune, nnu

sciacquadenti=attendo che ti dò un manrovescio, un

ceffone.

Mo te rria nnu muffattune a ntri carzali, carze=ti

arriva adesso una sberla sulle mascelle.

Mo te rria nnu ricchiale=ti arriva adesso un un colpo

all‟orecchio.

Mo te stàmpàgnu=ora ti percuoto con violenza.

Mo ttocca me faci cradènzia=mi devi dare fiducia,

credito.

Mpizzùta l’abbisi=appuntisci la matita.

Mujerama è ssuta=mia moglie è uscita.

Ncàvaddhra l’anche comu nna signùra=accavalla le

gambe come una nobildonna.

Ncàsetta chira porta ca trase friddu=accosta bene

quella porta, altrimenti penetra il freddo.

Ncè nnu lummu alla porta=c‟è una deformazione

alla porta, una incavatura.

Ncera nna fracaja de vagnoni=c‟era un gruppo di

piccoli ragazzi indistinti.

Nc’era nnu cagnulastru=c‟era un giovinastro.

Nchiana sulla scansìa e pija nnu picca de ranu=Sali

sulla scansìa (deposito ottenuto nella muraglia al di

sopra del focalire, camino).

Ncòssàla chira chianta=premi la terra sotto quella

pianta.

Page 79: Rocco Margiotta - Tiggiano

79 Rocco Margiotta

Nna fietta de cipuddhre, de aji, de fiche=un

intreccio, collana, di cipolle, di agli, di fichi.

Nna vòta a conza se fatacava cullu roddhrulu=nel

passato la malta si lavorava con un attrezzo manuale.

Nnna vòta a ricotta sc(i)ante a facivène a casa=nel

passato la ricotta forte si produceva domesticamente.

Nna vòta i lupranari i purtavène allu furnu=tempo

addietro gli stecchi dei lupini si prtavano al forno.

Nna vòta ntrà limma nne làvavène=anni fa ci

lavavamo nella bacinella.

Nna vòta u mieru se manta ntru rsulu=nel passato

il vino si metteva nell‟ociolo di creta.

Nnu darluttu è salute=l‟erutto è salutare.

Nnu giurnu a samana passava u mpàjaseggie=un

giorno alla settimana passava il ripara-sedie,

impagliatore.

Nu tutti sapìvène muncire ntrù munciaturu=non

tutti sapevano mungere e dirigere il latte nel

recipiente.

Nprùvulisciàla cu llu zuccuru chira

torta=spolverala di zucchero quella torta.

Nui scivène squasati=noi andavamo scalzi.

Nui stivane a ntrà scittàla=noi abitavamo in un vico.

Nun bboju manciamenti de capu=non desidero

preoccupazioni eccessive.

Nun c’è u nnudu cquai=qui non c‟è il nodo.

Page 80: Rocco Margiotta - Tiggiano

80 Rocco Margiotta

Nun fare cusì ca me rizzechene i carni=non fare

così che mi fai accapponare la pelle.

Nun ma mancia sta licurda=questa brodaglia non la

mangio.

Nun me ncicciare=non mi stare troppo addosso.

Nun me scafàzzare u pede=non mi calpestare il

piede.

Nun me tene fame, me piace cu pizzùlisciu=non ho

fame, mi piace solo piluccare.

Nun misura mancu nnu furcu=non misura

nemmeno la distanza tra l‟indice e il pollice.

Nun nnè mmèstu una=non ne indovino una.

Nun piji riggettu=non riesci a star fermo.

Nun se usène cchiu e nciurìte=non si usano più le

ingiurie.

Ntrà ll’acqua ci suntu i matassari=nell‟acqua ci

sono le larve.

‘Ntrè fave ci suntu i favaluri=nelle fave ci sono i

tarli.

‘Ntrè pasazze aggiu posti i taraddhri=nella bisaccia

ho messo le frise nere.

‘Ntrù ncurtaturu nc’è u ciucciu ttaccatu=l‟asino è

fuori, legato nel recinto

‘Ntunucciu, pija chiru zzappune e va sarchia chire

cicore ‘ntrù sciardinu=Antonio, prendi la zappetta e

vai a smuovere la terra delle cicorie nel giardino.

Page 81: Rocco Margiotta - Tiggiano

81 Rocco Margiotta

Nu ddamurare=non tardare.

Nun la spicci de strollacare?=non la finisci di

brontolare.

Nun nne putivène ccummire=non potevamo

coricarci per riposare un po‟.

Nun boi trasi alla cazzatura=non vuoi addivenire ad

un razionale ragionamento, metaforicamente: solco,

carreggiata.

Nun cunfinfara nenzi=non riesce a concludere.

Nun n’era campustaju=c‟era disordine, caos.

Nun lli dare retta ca dice cabbaterie=non dargli

credito in quanto dice fesserie.

Nun me carsare ca sto straccu=non mi scocciare

perché sono stanco.

Nun me ncicciare=non mi dare fastidio con le tue

moine.

Nun me ngarbizza=non mi va a genio.

Nun me piacène e mbroje=non mi picciono lgi

imbrogli.

Nun se trovava cchiui campustàju=il disordine era

totale.

Nu si bbona cu tte tei nnu ciciuru mmucca=non sei

capace a mantenere un segeto.

Nun te cotulare mutu mo!=non ti dare molte arie,

adesso.

Page 82: Rocco Margiotta - Tiggiano

82 Rocco Margiotta

Nun te fare cabbu=non giudicare i comportamenti

altrui, specialmente negativi.

Nnuci nn’asc(i)a=porta una legna per il camino

(focalire).

Nnucieme nnu trainu de brecciulina= portami un

tarino carico di pietrisco.

Ntrà cascia ncci su i chiasciuni=nella cassa (di legno

dove si conservara il corredo) ci solo le lenzuola.

Ntrà l’oju minti nna buratta de sarsa=nell‟olio,

versaci una scatola di salsa.

Nusterssignu su sciutu alle matine=tre giorni fa

sono andato in campagna, (denominata „matine‟).

Ogni annu me pija tre-quattro vote a

fursione=ogni anno mi prendo il raffreddore tre-

quattro volte.

Ogni parola, llantava nna castignàta=bestemmiava

ad ogni piè sospinto

Ogni tantu me piace me fazzu nna fisc(i)ata=di

tanto in tanto mi piace fischiare.

Ogni tantu passa u murgaru ca ccoje a murga=di

tanto in tanto passa il raccoglitore della morchia.

Ogni tantu ttocca ddrafiscu=di tanto in tanto devo

riposare.

Ogni vòta me tocca nna ccappatura=sono sempre

impedito da un ostacolo o impedimento.

Page 83: Rocco Margiotta - Tiggiano

83 Rocco Margiotta

Osci alla zzita aggiu ccoti menzu chilu de cacai e de

cannellini=oggi al seguito della sposa ho raccolto

mezzo chilo di confetti più grossi e piccoli.

Osci ddalessa doi padate=lessa un po‟ di patate per

oggi.

Osci facimu u cchiancatu=oggi provvederemo a

lastricare il tetto con le le cianche.

Osci m’aggiu bbinchiatu=oggi mi sono saziato

oltremisura.

Osci m’aggiu fatta a gnata=oggi ho fatto il vaccino.

Osci nenti manora=oggi niente la primizia della

ricotta, per punizione verso bambini e ragazzi .

Osci nun nc’era u manieri=oggi non c‟era il

responsabile dei rimondatori.

Osci nun se fannu cchiu mannucchiare=oggi non è

più necessario accumulare covoni di grano.

Osci nun se pote jentulare, non c’è ientu=oggi non

si può ventilare, non soffia il vento.

Osci nun tegnu appetitu=oggi non mi va di

mangiare.

Osci se ddasciuna=oggi si digiuna.

Passa ca è manzu, non te tocca no=passa

tranquillamente, è un animale mansueto.

Pati, mpàna sta vitarella=Pati, avvita questa piccola

vite.

Page 84: Rocco Margiotta - Tiggiano

84 Rocco Margiotta

Paziu nnuci nna menza d’acqua=Pazio, porta una

brocca (di latta) d‟acqua.

Pe lla liàma serve a bujacca=per il solaio serve un

impasto cementizio molto liquido.

Percè si ddamuratu?=perché hai fatto tardi?

Pija nna furcata=prendi una forca.

Pijala cullu cuppinu=prendila con il mestolo.

Pija u ddacquaturu e d’acqua chiri

paparussi=prendi l‟innaffatoio e innaffia i peperoni.

Pija u labbisi ca me serve=prendimi la matita.

Percè manora tocca sempre a iddhru?=perché la

ricotta del siero viene data sempre a lui?

Percè hai fattu chiru cucuruzzu de petre?=perché

hai realizzato quel cumulo di pietre?

Porgeme u mbrella ca chiove=porgimi l‟ombrello

perché piove.

Porta chiru cannizzu de fiche sulla liàma=porta il

porta-fichi sul solaio.

Portème a mannara, Michieli=Michele, portami

l‟accetta per i tufi.

Portème a ncuddhrizzi=portami sulle spalle.

Portème nnu cavallozzu=portami sulle spalle, come

su un cavallo.

Nun ncè nna mappinna cu mne stusciu=non c‟è uno

strofinaccio per asciugarmi.

Page 85: Rocco Margiotta - Tiggiano

85 Rocco Margiotta

Primu cu cchianti i pummàdori ttocca lli faci a

salamure=prima di piantare i pomodori è necessario

immergerli nella salamoia.

Nu sciati ddhrai ca esse l’occhiatura=era divieto

rivolto ai bambini o ragazzi per impedire di entrare in

qualche luogo buio e pericoloso; l‟occhiatura,

un‟immagine fantastica con la quale si indicava anche

il ritrovamento di un tesoro,sic!, ma quale tesoro si

diceva: Chiru sta comu quannu ca ha truvata

l’occhiatura. Paulucciu chianta nnu picca de lacciu=Paolino

pianta una piantina di sedano.

Paulucciu chianta nnu picca de misiricoi=Paolino

pianta un po‟ di basilico.

Paziu, vane allu putàchinu e ccatta u sale=Pazio,

vai alla rivendita a comprare il sale.

Paziu, va pija nnu misureddhru de ojiu=Pazio vai a

riempire un po‟ d‟olio con l‟oliera.

Paziu, nnùcème nnu ferrazzulu=Pazio, portàmi una

corda. (spago o corda robusta).

Pe lle fraseddhre nci volene doi cutture=per le frise

è necessaria una doppia cottura.

Pescriddhri, pescroddhri vegnu=verrò fra tre, fra

quattro giorni.

Pija a rattacasa e ratta u casu=prendi la grattugia e

gratta il formaggio.

Page 86: Rocco Margiotta - Tiggiano

86 Rocco Margiotta

Pija u litrattu du nonnu da taciera=prendi la foto

del nonno dalla taciera (mobiletto sul quale si

sistemavano foto varie e ninnoli).

Porti nna senàca=sei un avaraccio.

Pozzu avìre nna manescia de sèviche?=posso avere

una pietanza di bietole?

Pozzu vanire pescrai=posso venire dopodomani

Pozzu vanire pescriddhri=posso venire l‟altro

dopodomani.

Primu a lana se quatisciava a mmare=nel passato la

lana si lavava a mare pestandola con i piedi.

Primu muti risc(i)tiani tanivène i prudiceddhri=nel

passato molte persone avevano i geloni.

Primu se criscivène tante puddhrasce=nel passato si

allevavano molte pollastrelle.

Puru e quasette s’onnu strazzate=anche le calze si

sono strappate.

Puru sti sc(i)attareddhri nnà taràti?=hai raccolto

anche questi fichi non maturi.

Puru stu frasciulu nc’era d’essere=ci doveva essere

anche questo piccolino.

Quannucivène vò a Parigi=l‟anno venturo andrò a

Parigi.

Quannu ccujivène l’ua nnè manciavène i

ricioppi=quando raccoglievamo l‟uva, mangiavamo i

racimoli.

Page 87: Rocco Margiotta - Tiggiano

87 Rocco Margiotta

Quannu nne portène a Santu Lasi vor dire ca simu

morti=quando siamo condotti a S. Lasi (a Tiggiano la

zona del cimitero) vuol dire che siamo morti.

Quannu passava u mbrellaru a mamma ccattava e

cuceddhre pe llu tabaccu=quando passava il

riparatore d‟ombrelli, mia madre comprava gli aghi

per infilare il tabacco.

Quannu putavène nui erene ccujire e

rammène=quando si potava, noi dovevamo

raccogliere i piccoli rami d‟olivo.

Quannu zappi ttocca tti minti e quasette de

barba=quando si zappa è necessario rivestire le

gambe di panni altrimenti ci si sporca i pantaloni.

Quanta acqua à ddavacata stanotte=quanta

abbondanza di pioggia questa notte.

Quanta fessagginità=molta ignoranza.

Quante malote nci su a casa mia=quanti scarfaggi ci

sono a casa mia.

Quanti famazzi aci fazzu=quanti sbadigli sto

facendo.

Quanti malunceddhri ha ccoti=quanti piccoli

mellone ha raccolto.

Quantu mieru ta vipputu stasira?=quanto vino hai

bevuto questa sera.

Queta, ca me rratiddhrucu=ferma perché mi fai il

solletico.

Page 88: Rocco Margiotta - Tiggiano

88 Rocco Margiotta

Sarvatòra, stasira ttocca bbai tìe alla

Madonna=Salvatora, questa sera devi andare tu a

dislocare la Madonna.

S’a fatta a còzzica=(la ferita) si è trasformata in

crosta.

S’a sc(i)trazzatu nnu chiasciune=s‟è rotto un

lenzuolo.

S’a cunzumatu u limmatare=s‟è consumata la soglia

di casa.

S’ane scutursàtu=si è rotto la schiena, (per il lavoro).

S’a spazzatu u furticiddhru da seggia=s‟è rotta la

traversa della sedia.

S’ane mpèrnacchiàtu=si è esaltato da sé.

S’ane ncapunitu=si è intestardito.

Scàpulati mo=lasciate di lavorare.

Scia sempre comu nnu zinzulusu=vestiva sempre

com un cencioso.

Sciamu ca sciucamu a còchele=andiamo a giocare a

bocce.

Sciaràppa!=fermo, non mi molestare, altrimenti!

Sciucamu alli lapuni=giochiamo alle nove buche.

Se nun lu minti allu nzùrfuriu, u ranu

ncànnèddhra=se non lo tratti con lo zolfo il grano

produce i bachi.

Page 89: Rocco Margiotta - Tiggiano

89 Rocco Margiotta

Se sapivi u nanzi bbanire, sì=era la sconsolata

considerazione nei confronti dell‟imprevedibilità della

sorte.

S’era ‘nfortacata a camisa=si era rimboccato le

maniche della camicia.

S’era scioculisciatu tuttu=si era indolenzito tutto il

corpo.

Se vinciu vo ginucchiuni alla chiesia=se vincerò

andrò ginocchioni in chiesa.

Si bbonu sulu cu sciji tuttu=sei solo capace a

mettere disordine.

Si nfessùlutu tuttu=sei proprio diventato scemo.

Si rravatu ffannisciannu=sei arrivato affannato.

Simu rravati allu domissubbiscu=siamo arrivati al

dunque, alla conclusione, (dominus vobiscum).

Sinti nnà crepazzione, sc(i)attazzione!=sei una

disperazione, tormento!

Sinti nnu cannavuzzutu=sei un goloso, ingordo.

Sinti nnu capidemazza, capidezzaru=hai la testa

dura come una mazza o come l‟acciaio.

Sinti nnu màzzaru, scarufaterra=sei una persona

rozza, zoticone, contadino sempre sporco.

Sinti nnu scazzàmurredhru=sei un folletto

dispettoso.

Sinti nnu sicchimennonne=sei un indeciso.

Sinti nnu talornu=sei un una persona petulante.

Page 90: Rocco Margiotta - Tiggiano

90 Rocco Margiotta

Sinti nnu tiraturu=sei un tiretto, un rompiscatole.

Sinti propriu nnu cannarutu=sei proprio goloso.

Sinti propriu nnu fojamisch(i)e= sei proprio un

imbroglione (bonario).

Sinti propriu nnu llelliri=sei proprio un uomo

leggero, senza furbizia.

Sinti propriu nnu maccarrune=sei proprio uno

stupido.

Sinti rrasanatu=sei proprio secco-secco.

Sinti sempre suturnu=sei sempre taciturno.

Sinti statu bbonu a picca timpu cu fòffuli diecimila

lire=sei stato capace in poco tempo a sperperare

diecimila lire.

Si propriu ngàlanatu=sei proprio sciupato.

Si propriu strèùsu=sei proprio strano.

Sirma facìa a samente de cicora cullu maju=mio

padre otteneva i semi di ciocoria col maglio.

Sirma è davantatu ormai terra pe ciciri=mio padre

è ormai terra buona per i ceci, è morto da molto

tempo.

Sirma se chiamva Paulucciu comu nonnasa=mio

padre si chiamava Paolino come il suo nonno.

Sirma sembrijacava a duminaca=mio padre si

ubriacava la domenica.

Page 91: Rocco Margiotta - Tiggiano

91 Rocco Margiotta

Sirma u chiamavène tutti cu ttacca sarcène=mio

padre veniva pagato a giornata per legare i rami

d‟olivo della rimonda e farne fascine.

Spezza nna còna de vulìa=spezza un ramo d‟ulivo.

Ssamija a nnu capittummnune=sembra una persona

schiva, timida.

Ssamiji a nnu baccalà=assomigli ad una persona

stupida.

Ssamiji a nnu lupusurdu=assomigli ad persona

interessata solo di sé.

Ssamiji a nnu nfertu=assomigli ad un poveraccio.

SSamiji a nnu piru nafddhrutu=assomigli ad una

pera non sviluppatasi.

Ssamiji a nnu sciammerga=assomigli a persona

trasandata.

Ssamija a nnu serpe lèscitu=somiglia ad una serpe

brutta a vedersi, ma non velenosa.

Sseqquete cu me scordu, se no vegnu=solo se mi

dimenticassi, altrimenti verrò.

Sta cucumeddhra=questa piccola trottola di legno,

detto di donna molto bassa e grassoccia.

Sta comu nnu bbuzzaccu=è una persona panciuta.

Sta comu quannu è passatu u scàrcàgnulu=è come

se ci fosse stato un vortice di vento.

Stai comu nnu ballanzarti=sei ua persona

altalenante.

Page 92: Rocco Margiotta - Tiggiano

92 Rocco Margiotta

Stai commu nnu mammocciu=sembri un

bamboccio, imbecille.

Stai comu nnu fiju spamijatu=mi sembri un figlio

trovatello, estraneo alla famiglia.

Stai propriu comu nnu babbione=assomigli proprio

ad uno sciocco.

Stai comu nna trama lesa=sei un rammollito.

Stai comu nnu cataplasimu=assomigli ad un

cataplasma, ad un impiastro, detto di persona

insignificante.

Stai comu nnu ntostulatu=sei irrigidito.

Stai propriu cu cchira misìa=attendi proprio quel

piccolo e misero dono.

Stai propriu nicmurratu=sei molto raffreddato.

Sta mila è mbermanuta=questa mela ha il bruco

dentro.

Stammane me ssamiji a nna macara=questa mattina

assomigli ad una fattucchiera.

Stane comu nnu mpòsimàtu=è una persona

irrigidita.

Stanotte aggiu ntìsu u ceddhru da morte=questa

notte ho sentito la civetta.

Stanotte imu ntisu u cistareddhru=questa notte

abbiamo sentito il verso del gheppio, gufo.

Page 93: Rocco Margiotta - Tiggiano

93 Rocco Margiotta

Stanotte m’agiu curcatu sutta nnu mbracchiu pel li

mluni=questa notte mi sono coricato sotto un riparo

di fortuna per far la guardia alle angurie.

Stanotte sciamu alle cavure=questa notte andiamo a

pescare granchi.

Stasira brusciamu a caremma=questa sera

bruceremo la caremma (pupa vestita di lutto che

veniva bruciata alla fine della quaresima).

Stasira ta fattu a luta=questa ti sei ubriacato, sei

come la mota, il fango.

Stou picciusu=sono nervosetto.

Sttate ncortu adunca minti i pedi se no mmutti

ntrà moja=stai attento dove metti i piedi, altrimenti li

metti nel fango.

Sta via ttocca se nfriccia=questa strada deve essere

riassestata con breccia.

Statte ncortu sica te pizzica a fòrfaca=stai attento a

non farti pizzicare dalla scolopendra.

Ste cipuddhre su ntaddhrate=queste cipolle hanno il

tallo.

Ste scarpe m’onnu ffattu e mpuddhre alli

pedi=queste scarpe mi hanno provocato le bolle, le

vesciche ai piedi.

Sti ciciri su crudei=i ceci sono di difficile cottura.

Sti covùli se l’honnu manciati e càmpie=i cavoli

sono stati attaccati dai bruchi.

Page 94: Rocco Margiotta - Tiggiano

94 Rocco Margiotta

Sc(i)tonnu mutu ncutti ncutti=sono vicini vicini.

Sc(i)tu pane è mpàlummùtu=questo pane è

ammuffito.

Stu malune è mpràsciunàtu=quest‟anguira è marcia.

Stu spilorciu!=questo tirchio!

Su bbone e cànasce ca tè!=sono robuste le tue

mascelle!

Su cadutu pe llu lippu=sono caduto a causa dello

strato scivoloso.

Su cadutu ventriddotu=sono caduto con la pancia in

giù.

Su ggiuncatu, ssattatu=sono rattrappito stando

seduto.

Su ncapuzzàtu a nnanti=sono caduto in avanti con la

testa in giù.

Su ncàrnàtu a stu sciocu=mi sono appassionato a

questo gioco.

Sulla camisa tei nna lampa d’ojiu=sulla camicia una

macchia d‟olio.

Su nchianàta sulla liama cu spannu e rrobbe=son

salita sulla terrazza a stendere la biancheria.

Su nchiatu comu nna vutte=sono gonfio come una

botte.

Su nfrizzùlatu=sono intirizzito.

Su rrimastu frasturnatu=sono rimasto confuso.

Page 95: Rocco Margiotta - Tiggiano

95 Rocco Margiotta

Su rrimastu mpeèdacunàtu=sono rimasto impalato,

fermo.

Su tuttu nfussu=sono completamente bagnato.

Stu jussu ‘nc’èra cinquecento anni rreta=questo

diritto risale a cinquecento anni fa.

Stu vagnone sta comu nn’ommaneddhru=piccolo

uomo, ragazzo che dalle fattezze somatiche sembra

avviarsi velocemente a diventare un uomo.

Taja ccquai culli forfici=taglia qui con le forbici.

Taja stu ramu ca è nzaccarutu=taglia questo ramo

perché secco.

Taja stu nzàrtu=taglia questa fune.

T’aggiu squisciatu=ti ho sfiorato.

T’hai chinu u cuvazzu=ti sei ingozzato bene.

T’hai cumminatu comu nnu cciommu=sei

combinato male.

T’hai fattu nfanucchiàre=ti sei fatto imbrogliare.

T’hai stracallatu stasira=ti sei vestito a festa questa

sera.

Tanìa nna cilona=avevo una tartaruga.

Tanìa nna citilena a carburiu=possedevo una

lampada ad acetilene.

Tanìa nna scupranara=possedevo scopa molto

rozza.

Tata, sa ruttu nnu capasune=papà si è rotto il

capasune (groso vaso di terracotta dal ventre rigonfio

Page 96: Rocco Margiotta - Tiggiano

96 Rocco Margiotta

con due anse che serviva per conservare fichi secchi,

frise, taralli, grano, piselli, ecc.)

Tata, ttocca mme ccattu l’abbisi novu=papà mi

devo comprare una nuova matita, sempre “u tata”

(papà) rispondeva:l’hai cunsumata già, ci ta criatu!

Te auguru nna bonasorta=ti auguro buona fortuna,

una sorte favorevole.

Te canusciu parazzu=ti conosco da piccolo, sin

dall‟origine.

Te ffranchi cu bbè=risparmiati la venuta.

Tei e pitite come e caddhrine=hai le pitite, piccoli

sollevamenti della pelle sulle mani.

Tei nna tecca!=hai un vizio!

Tegnu nna calime osci!=oggi mi sento infiacchito.

Tegnu nna cunsòla de mama=possiedo una consolle

appartenuta a mia madre.

Tegnu nnu parròzzulu ncapu=in testa mi ritrovo un

bitorzolo.

Tegnu nnu pede de cornàla vecchiu=possiedo un

vecchio albero di carrubo.

Tei nna spìrpa de tòvàla=possiedi una tavola piccola

e sottile.

Tei propriu nna facce de ncùtana=hai proprio il

viso duro come l‟incudine, (sei proprio disubbidiente).

Tene tante facente u fiju meu=mio figlio ha molto

da fare.

Page 97: Rocco Margiotta - Tiggiano

97 Rocco Margiotta

Te nna dittòlica osci!=sei logorreo oggi, prli troppo.

Te propiu nna capu de zzaru=hai la testa dura come

l‟acciaio.

Teresa, ccoji chira ricotta e mintàla ntrà

fisc(i)a=Teresa, raccogli quella ricotta e sistemala

nella portaricotta (contenitore di vimini).

Terra scàpula, scàpula=terra non coltivata, giorno

dopo la festa.

Te vivi puru e scolature=bevi anche i rimasugli.

T’hai mmutatu osci=ti sei messo a nuovo oggi.

T’hai mpernacchiatu stasira=ti sei agghindato oltre

le tue possibilità questa sera.

T’hai ntolettata osci=ti sei vestita a festa oggi.

T’hai posta nna pimpinella=ti sei messo un vestito

leggerissimo, inadatto.

T’hai propriu mmùrtulàtu=ti sei proprio

comportato per bene.

Tiempu rrèta nne manciavène i pùpili a

pulenta=anni fa mangiavamo la polenta di

granoturco.

Tie rrivi sempre all’accurrenzia=arrivi sempre nelle

occasioni più opportune.

Tie si bbonu cu faci u cacchiu pe le sariche?=sei

capace fare il cappio? (stelo di biada, anche selvatica)

per catturare le lucertole.

Tinotru poi!=anche tu, poi!

Page 98: Rocco Margiotta - Tiggiano

98 Rocco Margiotta

Tirane chire rratatile de ddrhai=togli quelle

ragnatele di là.

Tonnu futtutu=ti hanno fregato.

Ttocca bbo allu cessu=devo andare al bagno.

Ttocca bbo allu ccumpagnamentu=devo andare al

funerale.

Ttocca cu bbo taju chire rappe d’ua=devo andare a

tagliare quei grappoli d‟uva.

Ttocca ccattu nna buttazzola pellu mieru=devo

comprare una botticella per il vino.

Ttocca cavitàmu=dobbiamo risparmiare.

Ttocca ccunzamu l’artarinu pe lu Corpu Domini=

bisogna apparecchiare l‟altarino per il Corpus Domini.

Ttocca chiamu i munnàturi cu me mmùnnène e

vulìe=devo chiamare i rimondatori per farmi

rimondare le olive.

Ttocca chiamu nnu cazzafattaru cu me face e

cazzafitte=devo dare incarico ad un intonacatore per

provvedere all‟intonaco.

Ttocca conzu i cuvarnimenti du cavaddhru=devo

riparare i finimenti del cavallo.

Ttocca facimu nnu picca de cacchiame pel li letti=è

necessario procurarci un po‟ di paglia (lunga) d‟orzo

per riempire i sacconi del letto.

Ttocca fazzu a bona crìanza=devo provvedere a fare

un gesto di riguardo.

Page 99: Rocco Margiotta - Tiggiano

99 Rocco Margiotta

Ttocca fazzu e presumìe a caniatàma=devo

preparare il pranzo a mia cognata perché è di lutto.

Ttocca lli facimu a bricazione=dobbiamo

ringraziarlo per il favore fattoci.

Ttocca me stiri a camisa ca s’a rrappata=devi

stirarmi la camicia perché si è raggrinzita.

Ttocca tte ccuvi=devo piegarti.

Ttocca portu a sciumenta allu ferraciucci=devo

portare la giumenta al maniscalco.

Ttocca spàràgnàmu=dobbiamo risparmiare.

Ttocca ttu vivi ‘nforza se no nun te passa=è

necessario berlo, (uno sciroppo amaro) anche contro

voglia per poter guarire.

Ttuccatu cu portu tuu i ncàrtamenti=ho dovuto

portare tutta la documentazione.

Ttuccava cu mbirci cu nfili l’acu=bisognava fissare

attentamente per infilare l‟ago.

Ttuccava ncàrcagnàmu=dovevamo darcela a gambe.

Quannu me scòccula a capu…=quando mi perdo la

pazienza…

Quannu bbuscavène e scoppule ttuccàva cu nne

stamu citti=ricevevamo gli scappellotti e non

dovevamo fiatare.

Quistu tutt’osci m’a fatta bbalire=questi tutt‟oggi

mi ha fatto avvilire, arrabbiare a dismisura.

Page 100: Rocco Margiotta - Tiggiano

100 Rocco Margiotta

Quista è ua brunesta=questa è uva non ancora

matura, dal colore ancora verdognolo.

U brustulaturu sa spazzatu=l‟abbrustolitore

(cilindretto girevole, in cui si metteva l‟orzo da

abbrustolire sul fuoco) si è rotto.

U cafè meu mintumu ntra chiccara ranne=il mio

caffè mettilo nella tazza grande.

U casu mintulu sulla ggiumanìa=il formaggio

mettilo sul camino, ripiano d‟appoggio.

U cattu è crettu=è morto il gatto.

U chiuppu du tabaccu è bellu sprittu=l‟involucro di

tabacco è ben secco.

U cocciulu di pummadori nun lu manamu ntrà

terra=i resti della passata del pomodoro non vanno

abbandonati nella terra.

U conzalimmi, u conzacòfini, u conzambrelli, u

conzasegge crai passa=il riparatore di vasi, di vasi

più grandi, di ombrelli, di sedie passerà domani.

U cummarazzu nun sape de nenti=il cocomero non

ha sapore.

U cutrubbu de Papa Caliazzu=il grosso vaso di

Papa Galeazzo.

U darloce da chiesia à sunata menzadìa=l‟orologio

della chiesa ha suonato mezzogiorno.

U ficàtale du porcu è bbonu=il fegato e le interiora

del maiale sono ottimi.

Page 101: Rocco Margiotta - Tiggiano

101 Rocco Margiotta

U giustacofini!=il riparatore di vasi di terracotta!

U Giuvanni sprentapiche abita ntrà nnu

cafùrchiu=Giovanni (che tira fuori le interiore alle

cornacchie) abita in un tugurio.

U lènu me facìa rattare=le polvere sottile di paglia o

di fieno mi dava prurito.

U lucignu ntrà luciarneddhra aci se spiccia=il

lucignolo nella piccola lucerna sta per esaurirsi.

U mmulaforbici, a ci ha mmulare i

forbici!=l‟arrotino, chi deve arrotare le forbici!

U mortu l’imu misu ‘ntru baùju=il morto è stato

messo nel baule.

U nachiru du trappitu comandava i trappatari e

pijava l’oju cullu nappu=il capo dei frantoiani dava

ordini agli operai e selezionava l‟olio col nappo.

U nafriceddhru me l’aggiu mparatu a ffare

quannus cia allu sartore=ho imparato a fare l‟orlo

alle stoffe quando andavo dal sarto ad imparare.

U naseddhru se manta alli scenchi=il ferro a staffa

si metteva nelle narici dei vitelli.

U nonnu Affonziu sapìa tanti culacchi=il nonno

Alfonso conosceva tanti racconti fantastici.

U pane sa brusc(i)catu=il è si è bruciacchiato.

U pane stane ntra mattrabanca=il pane si trova

nella madia.

Page 102: Rocco Margiotta - Tiggiano

102 Rocco Margiotta

U pede da lummìa aci sicca=l‟albero dei limone sta

seccando.

U pipe se pasava a ntrù murtàru cullu pisaturu=il

pepe si riduceva in polvere col pestello nel mortaio.

U pisce l’aggiu ccattatu du jatacaru=ho comprato il

pesce dall‟acquirente all‟ingrosso.

U puzzunettu s’ha scasciatu=il paiolo si è rotto.

U ranocculu se ne sciutu=la rana si è allontanata.

U ranu tene u bbafune=il grano è stato attaccato

dalla muffa, un parassita del grano.

U sciuscettu meu è dàvantatu ranne=il mio

figlioccio è grande ormai.

U scurisciatu de sirma tanìa nna puntetta…=lo

scudiscio di mio padre era dotato di uan punta

terminale…

U signurinu aci vene cullu birocciu=il signore sta

arrivando i calesse, barroccio.

U spirdu du tabbaccu=il calo del tabacco.

U state ‘nci suntu mute musc(i)he e ttocca

pumpisciamu cullu flitti=d‟estate ci sono molte

mosche e bisogna spruzzare insetticida.

U tragnu de fore=il secchio di campagna.

U vagnone nun tène u sciupparaddhruzzu=al

neonato manca la camiciòla.

U valanu era straccatu=il bifolco era stanco.

Page 103: Rocco Margiotta - Tiggiano

103 Rocco Margiotta

U vennardìa santu i vagnoni sunavene culle

castagnole=il venerdì santo, i ragazzi suonavano le

nacchere.

U vennardìa santu sunavène a trancascia= il

venerdì santo sonavamo la grancassa.

U voi nnu bicchiarinu de rosolio=posso offrirti un

bicchiere di rosolio, liquore.

U zoccature facìa i piezzi=il cavamonti produceva i

tufi.

Vabbanne ca se nò stasira te stoccu=era la minaccia

di qualcuno, di solito verso un ragazzo, in seguito a

qualche marachella compiuta.

Va a ddhra mesciu Pati e dumannulu se è rravata

a mòtàna=anche questo era un espediente giocoso: si

mandava un ragazzo, di solito un po‟ sventato, in una

putea (apoteke, greco) di:calzolaio, sarto, falegname,

e si fingeva di chiedere della “mòtàna”, qualcosa di

fantasioso inesistente. L‟artigiano destinatario,

naturalmente avvertito del gioco, rinviava il ragazzo

al mittente con un altro messaggio fantasioso, privo di

alcuna realtà.

Va a ddhra mesciu Franciscu e dì cu tte dà u

ntartè=vai dal maestro Francesco e cerca (u ntartè)

era qualcosa di inesistente, era una burla, alla quale

venivano sottoposti i ragazzi che frequentavano le

botteghe artigianali.

Page 104: Rocco Margiotta - Tiggiano

104 Rocco Margiotta

Vaffanculo aci face rànana=maledizione sta

grandinando.

Vaffanculo a tutta la strappina=vai…con tutta la tua

discendenza.

Vane ddrha cummare Pascalina e fatte dare nnà

rancateddhra de sale=vai dalla comare Pasqualina e

fatti dare un pugno di sale.

Vane a fafottere!=vai al diavolo!

Vane a ntrù ncurtàturu e cuverna i porci=vai nel

piccolo capanno e dai da mangiare ai maiali.

Varda chiru arù s’ane mpipirizzatu=guarda quegli

dove è riuscito a salire.

Voju nn’ovu quajatu=desidero un uovo appena

rappreso.

Zzicca u vagnone ‘mbrazze’, nun senti ca aci

chiance=prendi il bambino in braccia perchè sta

piangendo.

Page 105: Rocco Margiotta - Tiggiano

105 Rocco Margiotta

Proverbi Tiggianesi. A caddhrina face l’ovu e allu caddrhu i vusc(i)ca u

culu=la gallina espelle l‟uovo e si sente male il gallo.

A ci fatica nna sarda a ci no una e menza=chi

lavora guadagna una sarda, chi non lavora una e

mezza.

A ci tantu e a ci nenzi=a chi molto e a chi niente.

Acqua e scelu nun rimanène n‟cielu=acqua e gelo non

rimangono in cielo.

A cocuzza se cucina cu l’acqua sua stessa=la

zucchina si cucina senza acqua.

A cumpagnìa te porta a male via=la compgnìa ti

può indurti a cattive strade.

A fattu u passu cchiu longu de l’anca=ha fatto un

passo sproporzionato alle sue gambe.

A lume de cannila, ogni canuvacciu pare tila=nella

penombra un lavoro realizzato sembra perfetto, ma

alla luce invece……...

Alli santi vecchi nun se ddùma a cannìla=ai vecchi

santi non si accende la candela.

Annu bisestile cu nu pozza mai vanire=l‟anno

bisestile sarebbe bene che non capitasse mai.

A Pasca cu lli toi, a Natale cu ci voi=Pasqua

trascorrila con i tuoi parenti, a Natale con chi vuoi.

Arcu de sira u tiempu scincira, arcu de mmane u

tiempu nun ‘mbale=si pensava che se l‟arcobaleno si

Page 106: Rocco Margiotta - Tiggiano

106 Rocco Margiotta

formava di sera il giorno successivo il tempo sarebbe

stato bello, se invece l‟arcobaleno fosse apparso di

mattina il tempo sarebbe peggiorato.

A ricchezza du povareddu è cu sse bbinchia

d’acqua frisca d’inviernu=detto ironico, in quanto il

povero non poteva permettersi di avere acqua fresca

d‟estate.

A tie fija dicu e tie nora senti=si riferiva a quando la

suocera intendeva richiamare la nuora., per interposta

persona.

Batti u fierru quannu è covùtu=batti il ferro finchè è

caldo.

Cane scovatàtu, time l’acqua covàta=il cane rimasto

scosso dall‟acqua bollente, teme anche l‟acqua calda.

Capiddhri longhi, cervellu curtu=capelli lunghi,

cervello corto.

Capu de zzaru=testa d‟acciaio.

Casa quantu copri, terra quantu scopri=una casa

piccola è sufficiente, la terra deve essere abbondante.

Cvaddrhu dunatu, nun mbole vardatu=a caval

donato non si guarda in bocca.

Cchiu se sape e cchiui se pate=quanto più sai, più

soffri.

Chiru ca pe ttìe nnu bboi, all’otri nu ffare=quello

che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri.

Page 107: Rocco Margiotta - Tiggiano

107 Rocco Margiotta

Ci fatica nna sarda, ci no una e menza=chi lavora

guadagna il giusto, chi non lavora guadagna molto di

più.

Ci fiji e ci fijasci=alcuni sono trattati da figli, altri da

figliastri.

Ci la face, la penza=chi la fa, la pensa.

Ci ll’assa a via vecchia pe lla nova, sape cci llassa

ma nun sape cci trova=colui che trascura la via

conosciuta per quella sconosciuta, sa quello che lascia

ma non può sapere quello che troverà.

Ci mmoscia gode,ci vide sc(i)atta=chi fa vedere

gode, chi guarda scoppia dal desiderio.

Ci se vanta sulu, nun bbale nnu pasùlu=chi si dà da

solo delle arie, non vale nulla.

Ci sparte ricchezza, torna povertà=chi divide le sue

ricchezze, torno povero.

Ci t’ha criatu!=chi ti ha fatto nascere!

Ci te sape, te rape=chi ti conosce, ti sfrutta.

Ci mutu vole, nenti strince=chi molto pretende,

niente raccoglie.

Ccoji l’acqua quannu chiove=invito ad approfittare

delle piogge per rifornire le cisterne, metaforicamente,

invito ad approfittarne delle occasioni favorevoli.

Ccucchiète culli meju de tie e falli e spese=stai con

quelli migliori di te e pagane anche le spese.

Chiru ca llassi è persu=ciò che lasci è perduto.

Page 108: Rocco Margiotta - Tiggiano

108 Rocco Margiotta

Ci camina llicca, ci sta a casa sicca=colui si muove

trova da vivere, chi non lo fa muore misero.

Ci ddùmanni trovi=se chiedi puoi risolvere.

Ci frabbàca e sprabbàca nun perde mai

tiempu=chi costruisce e ricostruisce non perde mai

tempo.

Ci nun sente i soi, se ne pente poi=chi non ascolta i

consigli dei familiari, si pentirà dopo.

Ciuveddhri nasce mparatu=nessuno nasce imparato.

Coiuru de l’otri, curiscia larga=lett. Col cuoi altrui

ci si ritaglia una cintura larga; a spese degli altri

sappiamo essere spendaccioni.

Comu a faci a canni=qualsiasi cosa tu faccia, sbagli

sempre.

Comu spenni manci=mangi come spendi.

Comu te voti te bbrusci=come ti giri ti bruci.

Comu vane vane e comu vene vene=come va va e

come viene viene.

Cosa mpristata è menza regalata=la cosa che viene

prestata è mezza regalata.

Culi de caddhrina hai manciatu, stai sempre

cuntannu?=Parlo molto, hi mangiato sederi di

gallina?

Culla muttura non ne inchi sc(i)terna=servono

attività fondamentali per vivere bene, come la rugiada

non incanala acqua nella cisterna.

Page 109: Rocco Margiotta - Tiggiano

109 Rocco Margiotta

Cullu pane de l’otri nun te bbinchi mai=col pane

degli altri, non sarai mai soddisfatto.

Culle parole nun inchi panza=con le sole parole,

non riesci a mangiare.

Cunta quannu piscai a caddhrina=parla quando

urina la gallina.

Curnùtu, vattùtu e cacciatu de casa=cornuto,

picchiato e mandato via da casa.

Cu te cascia nna coccia=che ti possa accadere un

accidente.

Da a capu nfatisce u pisce=chi comanda dà il cattivo

esempio.

Da Cannalora de l’inviernu simu fora, ma se

chiove e tira vientu de l’inviernu simu dentru=della

Candelora l‟inverno comincia a finire, ma se piove e

c‟è vento, l‟inverno non è ancora passato.

De nna sciumenta cammara nun te pijare a fija ca

se nunnè tutta cammara, a mammasa ssamija=non

sposare la figlia di una madre poco di buono, che se

non è tale la madre, sicuramente lo sarà la figlia.

Ddiu li face e lu diavulu li ccucchia=Dio li crea e il

diavolo li accoppia.

Ddiu vide e pruvvide=Dio vede e provvede.

Ddoi pedi ntrà nna scarpa nun ponnu stare=due

piedi in una sola scarpa non possono stare.

Page 110: Rocco Margiotta - Tiggiano

110 Rocco Margiotta

Ddùmannànnu ddùmannànnu rrivi a

Roma=chiedendo informazioni puoi arrivare a Roma.

De Pasca Bbifanìa tutte le feste vannu via, mo

rispunne Santu Pati e mìe a cci me ll’assati,

rispunne a Cannalora ncì su jeu e lu Biasi

ncòra=La Befana porta via tutte le feste, S. Ippazio

dice che c‟è ancora la sua festa, risponde la Candelora

che ancora c‟è da festeggiare lei e S. Biagio.

De Santa Lucia u giurnu ncurt’a quantu lu pullu lu

pede stannìa=il giorno di Santa Lucia il giorno

diventa tanto corto quanto il passo di un pollo.

De Santa Marina a menguala è china=Di Santa

marina la mandorla è piena.

De Santu Larenzu u noce è menzu=di San Lorenzo

il noce è a metà.

Dopu li confetti se scoprène li difetti=dopo i confetti

si scoprono i difetti.

E’ cchiu forte cu la penzi ca culla faci=finchè pensi

l‟hai già fatta.

E’ cchiu a spesa de l’impresa=è più grande la spesa

dell‟affare.

E nna fritti bburpi!=è molto esperta in amore.

Fane comu u prevète dice nu comu uu prevète

face=fai come il prete dice, no come egli si comporta.

Faci u fessa cu nu pachi e tasse=fingi di essere fesso

per non pagare le tasse.

Page 111: Rocco Margiotta - Tiggiano

111 Rocco Margiotta

Fane bbene e scòrdète, fane male e penza=quando

fai del bene puoi dimenticare, quando fai del male ti

rimane il rimorso.

Focu de fica=fuoco poco consistente.

Forte jè cu ti piji na numinàta=tutto sta a prendere

una nomea.

Friscennu, manciannu=si frigge e

contemporaneamente si mangia.

Gira ca vidi, vòta ca trovi=se giri vedi, se cerchi

trovi.

I capiddhri da fimmàna su longhi, u sensu è

curtu=i capelli della donna sono lunghi, l‟intelligenza

è corta.

I guai da pignata i sape a cucchiara ca li vota=i

problemi di vita li conosce bene solo chi ha fatto

esperienza, come il cucchiaione conosce il patimento

della pentola sul fuoco.

I guai da pignata i sape a cucchiara ca li vota=i

problemi di vita li conosce bene solo chi ha fatto

esperienza, come il cucchiaione conosce il patimento

della pentola sul fuoco.

I guai nun venène mai suli=i guai non sono mai

solitari.

Lampu e furmine!=lampo e fulmine.

L’anima tt’esse!=che ti esca l‟anima dal corpo.

Page 112: Rocco Margiotta - Tiggiano

112 Rocco Margiotta

L’arte de lu tata è menza mparata=se si segue il

mestiere del padre si è favoriti nell‟apprendere.

Latte de crapa, ricotta de pecuara=il latte di capra,

la ricotta di pecora.

L’occhiu du patrunu ngrassa u

cavaddhru=l‟occhio del padrone ingrassa il cavallo.

L’onori su castichi de Ddiu=gli onori sono castighi

di Dio.

Lu bbinchiatu nun cride u famacusu=l‟uomo sazio,

non crede chi ha fame.

Mare vidi e fusci, putea vidi e trasi=scappa dal

mare, entra invece nella bottega.

Meju l’ovu osci, ca a caddhrina crai=filosofia

spicciola: è meglio l‟uovo di oggi, che attendere

l‟ipotetica gallina domani.

Mena ciucciu meu ca masciu vène=forza asino mio,

presto arriverà maggio.

Monici, prevìti e passiri, cazzìli a capu e

lassìli=monaci, preti e passeri, schiaccia loro la testa e

abbandonali.

Mo vadìmu disse lu cicatu=ora vediamo disse il

cieco.

Mortu nnu papa, se ne face nn’otru=dopo la morte

del papa se ne elegge un altro.

Mpara l’arte e mintala da parte=impara un‟abilità

in qualche modo ti servirà durante la vita.

Page 113: Rocco Margiotta - Tiggiano

113 Rocco Margiotta

Ncè tantu pisce a mmare=c‟è abbondanza di pesce

in mare, per tutti c‟è possibilità di vita.

Nci vole nnu pacciu pe casa=è necessario un pazzo

in ogni casa.

Né de venere, né de marte, nun se sposa e nun se

parte=di venerdì e di martedì non ci si sposa e non si

parte.

Nna bbotta allu circhiu e una allu tampagnu=un

colpo al cerchio e uno al coperchio.

Nna chiraca rasa te inchie nna casa=un sacerdote in

casa la rende ricca quella.

Nna manu lava l’otra, tutte doi llavène a facce=una

mano lava l‟altra, entrambe lavano il viso.

Nne vòi, se dice alli malati=solo al malato si chiede

se vuole qualcosa.

Nnu ciciò mantene centu cicì, centu cicì nun

mantenene nnu ciciò=il padre riesce a sfamare molti

figli, molti figli non riescono a mantenere un padre.

Ntrà nna casa nun c’è mai paece, se a caddhrina

canta e lu caddhru tace=in una famiglia non ci sarà

mai concordia se la madre parla e il padre sta zitto.

Nun nnè acqua du puzzu tou-nun nnè farina du

saccu tou=detti similari, lo si rivolge all‟interlocutore

dicendogli che il prodotto fatto vedere, non può

essergli attribuito, in qunato le sue qualità, capacità

sono molto più scadenti.

Page 114: Rocco Margiotta - Tiggiano

114 Rocco Margiotta

Nun se pote campare sulu de aria=per vivere, oltre

all‟aria, è necessario altro.

Nun te fare cabbu de l’otri=non ti meravilgiare dei

guai altrui.

Nu poti tanìre a vutte china e a mujere

mbrujaca=non puoi avere la botte colma e la moglie

ubriaca.

Nu te piji se nu te ssamiji=non ti associ se non ti

assomigli.

Nu fare crai ciru ca poti fare osci=non fare domani

quello che puoi fare oggi.

Nzurete mare ca te cqueti=si invita metaforicamente

il mare a sposarsi per calmarsi, così come succede

agli uomini, dopo il matrimonio.

Occhi chini e mani vacanti=occhi soddisfatti, le

mani vuote.

Ogni massaru è patrunu de nna ricotta=ogni

massaro è padrone della ricotta.

Ogni petra ozza parìte=ogni pietra serve a costruire

il muro.

O te manci sta manescia o te mini da fanescia=o

mangi questa minestra o ti butti dalla finestra.

Panza china, cerca riposu=con la pancia piena, si

cerca il riposo.

Passata la festa, cabbatu lu santu=passata la festa, il

santo è stato gabbato.

Page 115: Rocco Margiotta - Tiggiano

115 Rocco Margiotta

Persu lu sciuscettu, nun fomme cchiuj

cumpari=perso il figlioccio, non restammo più

compari.

Picca pane e picca patarnosci=poco pane, poche

preghiere.

Puru i puci portène a tossa=anche le pulci, hanno la

tosse.

Puru l’occhiu vole a parte sua=anche l‟occhio ha

bisogno della sua parte.

Quannu ccappi rrappi=quando ti capiterà

l‟accadimento soffrirai.

Cchiui sacristani n’cè, cchiui a chiesia rimane

perta=quanti più sacristi ci sono, è più probabile che

la chiesa rimanga aperta.

Quannu u ciucciu nu bbole bive, inutile ca

fis(i)chi=quando l‟asino non ha volgia di bere, inutile

che tu fischi.

Quannu u diavulu te ncarizza l’anima nne

vole=quando il diavolo ti fa le moine vorrebbe la tua

anima; quando una persona ti rivolge eccessive

premure nasconde un suo secondo fine, scopo.

Quista è l’arte de Caifassu, manci e bbivi e stai allu

spassu=questa è l‟arte di Caifas, mangi e bevi e sei

ozioso.

Se è turtàla all’acqua torna=come l‟uccello ama

tornare nel luogo dove può dissetarsi, così una

Page 116: Rocco Margiotta - Tiggiano

116 Rocco Margiotta

persona ritorna in un luogo per soddisfare sue

necessità.

Se farbaru li tanja tutti, quajava u mieru ntrà le

vutti=se febbraio avesse tutti i giorni, congelerebbe il

vino nelle botti.

Se farbaru nun scinnariscia, marzu mmale

penza=se a febbraio non fa freddo, lo farà a marzo.

Se l’acqua sta ferma nfatisce=si giustificava in

questo modo l‟iirequietezza dei bambini.

Se meti nun tessi=se sei impegnato nella mietitura

non puoi contemporaneamente tessere la tela, (si veda

il contrasto profondo tra il lavoro faticoso, rurale,

d‟estate e quello domestico, leggero del tessere al

telaio).

Se mina a innanzi cu no rimane a rretu=si lancia

per non rimanere indietro.

Se nu te ratti sulu nu te passa lu pruditu=se non ti

gratti da solo, non ti passa il prurito.

Senti comu trona marzu=senti la rabbia di marzo.

Se otru nu trovi cu mammata te curchi=Se non

riuscirai a fare fortuna dovrai rimanere con tua madre.

Se pecùara te faci, u lupu te mancia=sei sei troppo

buono, i cattivi ne approfittano.

Se petre mini ncapu te rrìvène=se lanci pietre, ti

arriveranno in testa.

Page 117: Rocco Margiotta - Tiggiano

117 Rocco Margiotta

Se scinnaru nun scinnariscia farbbaru mmale

penza=se a gennaio non fa freddo lo farà a febbraio.

Se vo futti lu vicinu a sira tardi e lla mmane a

matinu=se vuoi vincere la gara col vicino, devi fare

tardi la sera e molto presto al mattino.

Si cchiu fessa de l’acqua ca balla=sei più stupido

dell‟acqua bollente.

Si cchiu fessa de l’acqua e sale=è un apostrofe simile

a quella precedente, in quanto il pane bagnato con

pomodori, olio e sale era un alimento molto povero e

banale.

Simmana quannu voi, ca a messi meti=puoi

seminare quando ti è possibile, nel mesi di giugno

sicuramente potrai mietere.

Spàràgna a farina quannu a mattra è china, ca

quannu lu funnu pare, nun te serve u

spàràgnare=risparmia la farina quando la madia è

colma, perché quando è vuota non puoi più farlo.

Ssettète tortu e sciudàca dirittu=siediti scomodo ma

giudica bene.

Sulu alla morte nun c’è rimediu=solo la morte non

si può rimediare.

Tie si nnatu culla camisa=tu sei nato fortunato.

Tie vagnone porti l’artetica=si diceva di ragazzo

continuamente irrequieto.

Page 118: Rocco Margiotta - Tiggiano

118 Rocco Margiotta

Tie ta mmozzacare e vutere=ti dovrai mordere i

gomiti, detto ai figli, per disperazione, che non

mettevano in pratica gli insegnamenti dei genitori.

Torci vinchiateddhru quannu è

tennareddhru=piega il ramo quando è giovane.

Ttacca u ciucciu arù vole u patrunu=lega l‟asino

dove ti indica il padrone.

U bburpu se cucina cu l’acqa sua stessa=il polipo si

cucina senza acqua.

U cane scovatatu time l’acqua covàta=il cane che ha

già subito dell‟acqua bollente continua ad aver paura

dell‟acqua calda.

U cane se mina sempre allu strazzatu=il cane

addenta sempre gli stracci.

U ciuccu pisa a paja, u ciucciu se la raja=l‟asino

contribuisce alla produzione della paglia e lo stesso

dovrà mangiarla.

U cchiu fessa ceddhru se pija a meju fica=il più

stupido degli uccelli, può prendersi il miglior fico.

U fiju mutu, a mamma lu capisce=il figlio muto è

capito solo dalla mamma.

U lettu comu u ggiusti lu trovi=trovi il letto come lo

apparecchi.

U mercatu te merca=il mercato ti frega.

U pisce rossu, se mancia sempre u piccinnu=il

pesce grosso, mangia il piccolo.

Page 119: Rocco Margiotta - Tiggiano

119 Rocco Margiotta

U porcu bbinchiatu mmersa a pila=il maiale

soddisfatto, capovolge il recipiente.

U povuru quannu l’ane, u riccu quannu vole=il

povero (mangia) quando può, il ricco ogni qualvolta

lo vuole.

U saccatu, u verde se mancia=il ramo secco fa

morire quello verde.

U saccu vacante nun s’è mantène tisu=il sacco

vuoto non si regge in piedi.

U sule ca te vide te scarfa=devi cogliere tutte le

occasioni oportune.

U tiempu è galantommu=il tempo è galantuomo.

Vane rreta comu i zzucari=Indietreggia come i

lavoranti di corde o di funi.

Vardète de li capi ttummuni=guardati dalle persone

silenziose.

Vesti cippùne e pari barune=vestiti elegante e

sembri una persona importante.

Vunci l’arsu ca a rota gira=ungi l‟asso, così gira la

ruota.

Page 120: Rocco Margiotta - Tiggiano

120 Rocco Margiotta

I Soprannomi Tiggianesi. Lo sfaldamento che l‟Impero romano

cominciava a subire negli ultimi secoli della sua

esistenza, ebbe una diretta influenza sul classico

sistema onomastico latino, in un primo momento

subendo radicali trasformazioni, successivamente finì

per essere del tutto abbandonato.

Alla classica composizione dei tre nomi: il

prenome, il nome (gentilizio) e il cognome (Gaius

Julius Caesar) si andava affermando una tendenza ad

utilizzare, nell‟uso quotidiano, il solo cognome:

Gaius, Ambrosius. Sembra di poter affermare che

questo passaggio dal sistema dei tre nomi ad uno solo,

sia dovuto al sistema onomastico usato presso i greci

(Platone, Socrate, Stradone) e presso altri popoli

orientali (Devesos, Kambises, Ramses).

Le invasioni barbariche poi portarono un

mutevole numero di nomi germanici che si aggiunsero

alla già grande varietà dei nomi individuali romani:

Arnoldus, Bernardus, Robertus, Aldus, Gualfredus,

Manfredus, Alfredus.

Si può affermare che già nell‟ottavo secolo il

vecchio sistema delle “tria nomina” aveva finito

praticamente per essere sostituito dal nuovo nome

unico.

Page 121: Rocco Margiotta - Tiggiano

121 Rocco Margiotta

Questo nuovo sistema però, specialmente nelle

realtà urbane, dava luogo a confusione e malintesi per

il frequente ripetersi di un ristretto numero di nomi

(omonimie).

Nacque così l‟esigenza di poter distinguere

coloro che avevano nomi uguali, per mezzo di una

nuova distinzione individuale. Al nome unico venne

così sostituendosi, man mano, un nuovo sistema,

composto da nome e cognome.

Il cognome risultava molto spesso da un

soprannome e, a volte, poteva essere anche un

patronimico: Albertus filius Constantis. Nacquero

cognomi che si riferivano al luogo di origine: Basilius,

Romanus, Gregorius, Longobardus. Poteva nascere

dall‟esercizio di un mestiere: Joseph murator, o da

altre circostanze.

Mentre il nome aggiunto, in origine, era servito

ad individuare una sola e definita persona, esso a poco

a poco tende a consolidarsi come vero nome di

famiglia, cioè come casato, ereditario e trasmissibile

di padre in figlio e da questo alle generazioni

seguenti.

Questo sviluppo si osserva fin dal secolo IX,

affermandosi prima nelle famiglie nobili, più tardi

anche nel ceto borghese, mentre nelle campagne,

Page 122: Rocco Margiotta - Tiggiano

122 Rocco Margiotta

presso i contadini, il nome unico individuale è

resistito più a lungo.

Tanti sono i patronimici nell‟Italia meridionale,

per esempio: De Judicibus, De Gemmis, De

Francescus, De Paolus, De Joannes, De Stefanus, De

Josephus.

Sono presenti altri patronimici composti con la

parola „figlio‟, potrebbe trattarsi di un influsso

normanno: Figiovanni, Firoberto, come Fitzgerald,

Fitzrobert, in Inghilterra.

Altri cognomi accennano ad una remota origine

matriarcale: Lamonica, La Greca, Labianca, La

Tagliata, che però potrebbe non trattarsi di un vero e

proprio matriarcato, ma piuttosto di una discendenza

spuria, ovvero riconducibile ad un padre ignoto.

Tanti nomi di città e paesi sono diventati

cognomi: Nicotera, Palermo, Ravenna, Salandra,

Salerno, Perugina, Napoli, Brescia, Abbrescia,

Milano.

A volte il cognome è nato da un aggettivo etnico,

aggettivo di provenienza: Pugliese, Catalano,

Bulgarelli, Andriano, Albanese, Turco, Greco.

Naturalmente il mestiere esercitato da un

antenato ha dato origine alla formazione di cognomi:

Bottai, Muratore, Ortolano, Beccari, Calidari,

Carpentieri, Fornaciari, Frau (fabbro), Marangoni

Page 123: Rocco Margiotta - Tiggiano

123 Rocco Margiotta

(falegname), Moleta (arrotino), Strazzeri (cenciaiolo),

Cuffaro, Curatolo (capo dei mandriani), Lo Jodice, Lo

Prete, Papa (parroco), Piscopiello (piccolo vescovo),

Semeraro (conduttore di bestie da soma), Saccaru

(venditore di acqua), Pignataro, Barillaro, Foderaro,

Ceravolo (ciurmadare di serpenti).

Alcuni cognomi sono composti da un titolo

accompagnato da un nome: Notarnicola,

Cicciopastore, Notarbartolo, Abatangelo, Fratepietro,

Papaleo, Papirissu, Papasidero, Paparusso.

Una serie sconfinata di nomi deriva da

soprannomi che possono essere metaforici, scherzosi,

ingiuriosi, pornografici: Cipolla, Cornacchia, Drago,

Falco, Farina, Fava, Lucertola, Lupo, Malerba, Merlo,

Radice, Acerbo, Caputo, Gentile, Gagliardo, altri con

articolo Lobianco, Lovecchio, Lavatere, Lorusso,

Loverde, Lomuscio.

Ci sono i cognomi formatisi con i numeri:

Treccani, Tresoldi, Trequattrini, Settepani, Centonze,

Cinque, Tredici, Quaranta. Altri cognomi tipici sono:

Lanotte, Mezzanotte, Mezzatesta, Mezzacasa,

Vaccamorta, Barbagallo.

Ancora altri cognomi di casati: Tagliaferro,

Pappalardo, Vinciguerra, Passalacqua, Mellacqua,

Martiradonna.

Page 124: Rocco Margiotta - Tiggiano

124 Rocco Margiotta

Cognomi che hanno preso origine da una

formula di augurio: Bentivoglio, Benincasa,

Bentivenga, Diotallevi, Buongiorno, Dioguardi,

Fatenebenefratelli.

I soprannomi, le „nciurite‟, invece sono stati il

segno della vivacità popolare, le mille invenzioni sono

dovute alla fantasia davvero inesauribile e denotano i

diversi aspetti della persona, delle circostanze, delle

situazioni.

Con le „nciurite‟ si voleva colpire la persona

che denunciava un difetto fisico, oppure le si modifica

il nome, le si affibbiavano virtù e difetti, talvolta

inesistenti, ma che servivano a colpire la psiche,

l‟orgoglio, la dignità della persona umana. Il

nomignolo attribuito si tramandava di generazione in

generazione e marcava la persona colpita.

Oggi non si riconosce più alla „nciurita‟ la

stessa forza dirompente che assumeva fino a qualche

decennio fa. Le „nciurite‟ classiche non si utilizzano

più, se non da un ristretto numero di parlanti, magari i

più anziani, mentre i giovani ricorrono ad altri

nomignoli, in ordine alla tecnologica loro disponibile,

per lanciarsi lazzi ed insulti.

Erano poche le famiglie esenti da nomignoli, in

genere erano quelle di più recente immigrazione, ma

per queste comunque sopraggiungeva, presto o tardi,

Page 125: Rocco Margiotta - Tiggiano

125 Rocco Margiotta

un addebito che si rifaceva al paese di provenienza.

Molti cognomi poco frequenti non hanno dato origine

a “nciurite” in quanto il cognome stesso diventava

l‟emblema di quella, al pari delle “nciurite”: i

Chianca, i Margiotta, i Patirizzi, qui è abbinato nome

e cognome.

Le metafore caricaturali erano tante: la

cattiveria, l‟invidia, la vendetta, le disavventure,

diventavano vere e proprie armi nella fantasia

popolare che le riversavano nei confronti del

malcapitato/a.

Spero che il riporto delle „nciurite‟ tiggianesi

non suscitino malumori, come ho già scritto,

l‟indagine riveste prettamente un aspetto scientifico-

sociologico, e se qualche altro ricercatore pensa di

voler continuare l‟approfondimento e l‟aggiornamento

della ricerca, sono a disposizione per rendere il nuovo

lavoro maggiormente completo del mio.

Dò un elenco parziale dei soprannomi tiggianesi:

Cànnìta, A Coca, A paccia, A petra, A quardia.

Bbajoccu, Bammaneddhru, Barbetta, Barese,

Beddhamamma, Bianculina, Bionda, Brocculu,

Brunitta, Bruttu.

Page 126: Rocco Margiotta - Tiggiano

126 Rocco Margiotta

Cacatizzu, Caddhrista, Caddhristera, Cafone,

Cagnata, Cagnazzu, Calìa, Caliotu, Calla-calla,

Cammarieri, Capellatura, Capirossu, Carota,

Cascignana, Cataborra, Catanza, Catardu, Catti,

Ccattavulìe, Cattìu, Ceci, Chiccozzu, Chirichizzu,

Chiti-chiti, Cintile, Ciolu, Ciondola, Ciriolu, Cola,

Corsiu, Cucumeddhra, Cucuzza, Culiverde, Cuja,

Cuvazzu, Cuzzune.

Donpospuru, Dormi, Ddottu.

E

Fattore, Favaluru, Festa, Fisc(i)hettu, Fraciddhra,

Franchi, Fulia.

Giacchetta, Ggiacchiri, Giolu, Gnazzu.

I

Lallò, Ll‟acqua, Liscia.

Maccarne, Manciapane, Masetta, Massaru,

Massaru-Peppe, Matteu, Mazzetta, Mesciapata,

Mescia-Rocca, Mesciu-Minucu, Mesciu-Tidoru,

Mmericanu, Minga, Mira, Misarini, Monici, Morte,

Munni, Muschitta, Muscia.

Ncalocchia, Ncheddhra, Nena, Nnecu,

Nnettapadate, Nnettaricchie, Nutri.

O

Paccione, Paparotta, Papissu, Pappotte, Pasazza,

Patavita, Patibomba, Patiduminucu, Paticeddhru,

Paticola, Patiluigi, Patimora, Patirizzu, Patisajetta,

Page 127: Rocco Margiotta - Tiggiano

127 Rocco Margiotta

Patisantu,, Patreternu, Pavulacchia, Pettirussu,

Pica, Pichi, Piccola, Picciularu, Pinna, Pinnetta,

Pinzetta, Pirilli, Piscia, Piscijancu,, Pititi, Pizzaca,

Pizzazziri, Pizzicatore, Pizziruquala, Pulignunu,

Pummitipiera, Pupinu.

Quattrupedi.

Raca, Racu, Re, Ricchia, Rusanna.

Sabbia, Sabella, Sajetta, Sarica, Scancatu,

Scasciaporte, Scategna, Scialaneddhra

Sc(i)attitunnu, Sprunzale, Sc(i)turnu, Stiddhra,

Stella a Tronia, Surda.

Tampa, Ticchi-ticchi, Tinci, Tiritalla, Tranquillu,

Trasciàna, Trottatore, Tumaseddhri, Turchia,

Tutuviti.

Valente, Ventrijancu, Venza, Verza, Vicianzone,

Vurpe, Vuttisagne,

Zoccula, Zulì, Zzocca.

Page 128: Rocco Margiotta - Tiggiano

128 Rocco Margiotta

Oronimia Tiggianese. L‟oronimia è il complesso di nomi escogitati

per indicare i fondi rustici interessati da rocce.

L‟oronimia ha sempre una base (lessema)

mediterranea, preitalica, slava o illirica, greca, latina,

medioevale, romanza.

Asima: asma. Murrune: illirico mukùron.

Mucurune. Macurano.

Calliculi: caggiune, calane, cavallone, cavalloni.

Cocci: karki, calìiculi. Calùmi: grande mucchio di

pietre.

Culummùni: roccia, rutta, sana. Murrune: colle.

Piccola elevazione di terreno. Culumni. Chianca.

Limmàtuni. Limmàtare.

Cummarazzu: cucummuru, protuberanza,

cocuzzolo, cucuruzzu, cucurizzu, chirichizzu:

mucchio di pietre. Chichirizzu: parte più alta di un

monte. Cucurizzutu, cucurizzu. Pizzu: cucuzzulu.

Cucuruzzu (bernoccolo). Cucurizzu. Ncucuruzzutu.

Cucurucuzzu.

Ficazzàni: lenze, fureddhre, lenziceddhre. lenze,

ficazzàni.

Greco: kulùmi/kumùli=mucchio, lat. cumulus,

sinonimo di muntune, mantune.

Page 129: Rocco Margiotta - Tiggiano

129 Rocco Margiotta

Gargano: “monte” di origine mediterranea,

conservatosi nell‟ illirico, divenne in latino

Garganum. Graganico fino a Leuca.

Mantune: Murrune, muntusu.

Marena. Morena: mucchio di sassi e di rocce.Morra.

Marro. Murro. Murru. Murrine: colle, piccola

elevazione.

Mat(a): medit. Matina, “collina”, “altura”, Litus

matinum (Orazio), “matine”, “mezzane”

(sollevamenti premurgiani). Matine (collina, altura,

vasto terreno pianeggiante con roccia affiorante).

Mattinata. Matino. Massaria de Matine.

Motta: Monticello. Mutta.

Mucchiu : munte, mantune. Ogni mucchio me pare

nnu Turchiu. I mucchi parène turchi e le spinguele

parène spate. Ogni mucchiu me pare nnu munte.

Munte, Cute, (Monte). Cutrusu. Scuzzusu. Nnu

munte o criscente de cuttone, de vulìa, de ranu; nnu

mantùne de petre, de sabbia, de tufu, de rrumatu, de

fricciu, munticchiu, muntàrune, munticicci,

piccinnu, muntarune ranne, muntarune piccinnu,

muntagna. Munticeddhri. Mantune

Munticicci: Munte. Muntagna. Muntarune.

Muntuni, Mantuni: I Murgi. Mucchio di sassi.

Mura, Morciano: moro, arabo. Or: elevato, alto.

Page 130: Rocco Margiotta - Tiggiano

130 Rocco Margiotta

Muntuni: mantuni. A mazza e murra: alla rinfusa in

grande quantità. Mmurra: mucchio di sassi. Da

Murra: Morciano. I murgi. Muricciu. Murgi: sassi

acuti.

Murichi: Mureca.

Murridde: mucchio di covoni. Murriccia: cumulo di

sassi.

Oriu, Uriu, Riu. Or: elevato, alto. Riu: li Rii.

Peschiu, pescu, peschi: sasso, grossa pietra. Sasso,

roccia affiorante ed elevata.

Peu: monte. Puntune, pentina, pèntine: grossa

pietra. Pertrusu.

Roccia superficiale crepata : rutta, senza crepe:

sana. Montesano. Montesardo: mons arduus, monte

aspro, sassoso. Monticeddhru.

Serra: zona rocciosa. Serra, serricella, serrone,

serrano.

Serra: altura, zona montagnosa. Serra di Tricase.

Madonna della Serra. Serrano (chi abita nella

serra).

Specchia: cumuli di pietra. Cumuli, tumuli,

maceriae. Accumulo di pietre. Specchiaddrine.

Chirichizzu (pila di pietre). Specchie, Specchia,

specchiuddhre, spaccareddhra.

Tauro: monte, collina. Taurisano, Urì: piccola

collina. Toros, taretus: monticello.

Page 131: Rocco Margiotta - Tiggiano

131 Rocco Margiotta

Nel Salento ci sono 175 cognomi oronimici.

Toponimi rurali:

Aja, aja di sopra, aja di sotto, ajara, amendola,

Antonio Mito, appennino, arbi, arco torto, arcutortu,

aricella, a rutta.

Bellu, bessi, bosco, bosco di Jacovello, bulanu,

busca,

Cadutu, seci macchia del Mastria, calauri, callone,

campore in foedo disabitato di Valiano, campu,

canale u toma, caputu, carcara, carcara dei ceri e

della Bianca, carcara, cardascio, cardone, casini,

carlu vecchiu, cavaddhru, ceta, chianche, cianche,

chianchetta, chiusa, chiusa della Calderaia, chiusa

del Giangra, chiusa del Perreca, chiusa del

Storicchio, chiuse, chiuse di Guari, chiusura,

chiusurelli, chiusurelli del Plano della torre,

chiusurelli piccoli, cicaline, cimine, cimine, seci

orto grande, cisterna, cistrate, coccioli, colombello,

colombo, colosso, conca del capitano, coriscie de

cuti, coriste, cornola, cornola, seci monte pedaci,

corona, cortina, cravaliu, craunazze, cresimò, seci

Page 132: Rocco Margiotta - Tiggiano

132 Rocco Margiotta

Antonio Mito, croce, crocicchie, crociella, culummu,

cupa, cupicella, scurisce, curti, curuveddhra, cuti,

Damaschini, demaura,seci cicaline, demaura, seci

farra, donnasana.

Favaàli, ferraio, focelle, foggie, fuceddhre, fucilati,

funnu, funnuvargiliu, funtana, furnaru.

Gauda, gauda del novizio, gauda, seci monte li cicci.

Iacovello.

Juzzi.

Lacquari, lama delle scicele, lama del cardascio,

lame, lamia, lamia dei monaci, largo, largo della

massaia, Laura, lauri, lauro, lia, limannu, Lisa, seci

pozzo, lizze, l‟uci, l‟uci dei Blevi, l‟uci, seci rigatole,

luci, luciperti.

Macchie, macchia dei Mattei, macchie del mastria,

macine, macene, magazzinu, malajanu, Malizia,

mancini di basso, mancino, mancini, marasco,

marcamanna, marchiello, marcheddhru

marcheddhru, mardano, mardano dell‟ospedale,

Page 133: Rocco Margiotta - Tiggiano

133 Rocco Margiotta

mardano, seci lo rio, Maria, maria putenza, marra,

marraffa, masciu, massaria, massaria grande,

massaria i catti, massaria matine, massaria piccola,

matine, matine del Cera, matine seci chiusurella,

matine, matine i noci, seci il largo del buonasera,

matine, seci largo del cassano, matine, seci torre

mozza, mazzulu, mazzurru, menguala, messere

Orazio, minneddhra, miniò, minneddhra, molello,

monsignore, monte calori, monte dell‟apo, monte

ferrari, montepedaci, monterune, moro, morola,

muleddhru, muntarune, munticicci, murgi, murgi

del mattei, murgi, seci vigna la bianca.

Nasicani, nivera, nutaru.

Orto dei cicali di Santa Catarina,orto dei sodari.

Pajare, palombaro, palummaru, panninu, parmentu,

pastine, pazzale, peschio, pescu, pescu la mazza,

petraccia, pezzale, picciularu, pietro mecchi, piru,

pizzicolla, pizzicoddhra, pizzolu, plano,plano de

morti, plano del giardiniere, plano del nipote, plano

della musica, palno di Vito Cai, plano grande, porte,

pozzale, pozzo, pozzo del rio, pozzo vecchio.

Page 134: Rocco Margiotta - Tiggiano

134 Rocco Margiotta

Remauda, rina, rio, rio del curto, rocco, rovoli,

rovulu, rrostifava, ruspu, russa, rutta.

Sacramentu, Santu Angelinu, S. Catarina,

Santuscianni, Santumartinu, Sannicola, Santu Lasi,

Santummuru Santustefanu, Santutidoru, sauri

d‟Achille Sodero, scettaturi,sciardinu, sciardinu

d‟Achille, scutursatu, seci curtina, sciardinu del

curti, serra, serriceddhra, specchiaddhrine,

specchie, spetali, spinzu, scorcia, serra, spurchia a

l‟uci, sterna, sterna masciu, stinceta, suttimonicoi.

Taiate, taiate del Colosso, tamburrinu, tammurrinu,

tarate, termiti, torre mozza, torre mozza seci

Ferrante Colicchia, torrimuzza, tumari, trapizzu,

trappitu vecchiu, tromia, seci chiusura, truscenti,

turciddhru.

Verdarellu, vargiliu (funnu), via de specchia, vigna

dell‟aja, vigna della curte, vigna, vignacisura,

vignavecchia, vignale, voscele, voscu, vovete.

Università, u riu.

Zecca.

Page 135: Rocco Margiotta - Tiggiano

135 Rocco Margiotta

Antichi toponimi stradali.

Avanti la Chiesa. Avanti S. Maria. Avanti S.

Teodoro. Dietro la Chiesa. Luogo del Castello.

Luogo detto S. Catarina. Luogo detto S. Maria.

Luogo dietro la Chiesa. S. Maria. Stella d‟Italia.

Strada del Castello. Strada del Cimitero. Strada del

trappeto vecchio. Strada della chiesa. Strada delle

malote. Strada delle milote(var.). Strada detta S.

Maria. Strada di meza die. Strada di Mezzadia.

Strada di Mezzo. Strada di Santa Catarina. Strada

di Santa Maria. Strada per il magazzino governativo

dei tabacchi. Strada Poggiardo-Vaste-Tricase-

Tiggiano-Corsano-Gagliano(tratto interno). Strada

di San Teodoro. Strada Tiggiano-Corsano-Alessano.

Strada Tiggiano-Marina di Tricase. Torre Mozza?

U sole a Penzia. Via d‟Alessano. Vicinale Palane-

Chiuse. Vicinale Tiggiano-Matine.

Page 136: Rocco Margiotta - Tiggiano

136 Rocco Margiotta

Monete, pesi e misure. “Anteriormente al 1841 nelle province meridionali

erano in uso monete, pesi e misure stabiliti da

Ferdinando I d‟Aragona con l‟editto 6 aprile 1840.

L‟unità monetaria era il ducato che la legge del 20

aprile 1818 stabilì del peso di 25,75 trappesi al titolo

di 833 e ½ millesimi, cioè 2,4585 trappesi di argento

puro o 19,119315 grammi.

Esso si divideva in parti decimali, ossia:

1 ducato=10 carlini; 1 carlino=10 grani; 1 grano=10

cavalli.

Era in uso anche conteggiare in tarì:

1 ducato=5 tarì; 1 tarì=20 grani; 1 ducato=4,248913

lire oro nel 1861.

Base dell‟antico sistema metrico decimale era il

palmo, diviso in 12 once, ogni oncia in 5 minuti ed

ogni minuto in 12 punti.

Le misure di lunghezza erano il passo formato da 7

palmi; la canna (per le stoffe) di 8 palmi; la pertica

(per il servizio di ponti e strade) di 10 palmi, di

diversa grandezza, adoperato in alcuni comuni e non

in altri.

Page 137: Rocco Margiotta - Tiggiano

137 Rocco Margiotta

Per le misure itinerarie era in uso il miglio, formato da

100 passi; ciascuno di 7 palmi; 1 palmo=0,2636670

metri; 1 canna=2,109360 metri.

La nuova legge del 6 aprile 1840, che entrò in vigore

il 1° gennaio dell‟anno successivo, fissò il palmo a

base del sistema metrico e stabilì la sola canna di 10

palmi; da cui la canna quadrata uguale a 100 palmi

quadrati e la canna cubica di 1000 palmi cubici.

Le nuove parità furono così stabilite: 1

palmo=0,264550 metri; 1 canna=2,64455503 metri.

Le misure di superficie „abusive‟, ossia anteriori al

1840, erano numerosissime. Le più comuni erano in

uso in provincia di Lecce. Il tomolo di superficie

variabile; dai 1600 passi quadrati di Otranto,

Corsano, Tiggiano, ecc., ai 2500 di Brindisi, Ostuni,

Francavilla Fontana, ecc, ai 3000 di Manduria, per cui

oscillavano tra 0,408789 e 0,881190 ha; il vignale di

2500 passi quadrati, in uso nella maggior parte del

circondario di Lecce, pari a 0,625697 ha o di 1600

passi quadrati, pari a 0,494378 ha. In numerosi

comuni del distretto di Gallipoli, infine, la tomolata,

la vigna, il moggio, l’orto, la giornata, e il carro.

Talora le misure agrarie erano espresse in moggi

napoletani. Un moggio=0,336486 ettari.

Page 138: Rocco Margiotta - Tiggiano

138 Rocco Margiotta

La nuova misura agraria fu il moggio, di 10.000 palmi

quadrati; ossia uno spazio quadrato avente i lati di

100 palmi; o di 10 canne, pari a 0,069986 ha; ma non

pochi comuni continuarono ad usare le vecchie

misure.

Per gli aridi era in vigore una sola misura di capacità,

il tomolo, equivalente a tre palmi cubici, composto di

24 misure, oppure di 8 stoppelli, ciascuno di 3 misure

(Alliste, Diso, Tiggiano) Così, 1 tomolo=0,549925

ettolitri; 1 misura=2,304954 litri.

Nel comune di Gravina il tomolo era fatto uguale a 0,

549925 ettolitri.

La nuova legge conservò la stessa misura che si

divideva in 2 mezzette, o in 4 quarte o in 24 misure.

Sicchè, 1 tomolo=0,555451 hl; 1 misura=2,314379

litri.

Per i liquidi si adoperava il barile, che si divideva in

60 caraffe; 12 barili formavano una botte; 2 botti

costituivano 1 carro.

La nuova legge confermò l‟antica misura di capacità

ed estese a tutto il regno quella in uso a Napoli.

Cosicché il barile fu fatto equivalere a 43,6205291, e

la caraffa a 0,727083 litri.

Per il vino, in particolare, era in uso ovunque la soma

di un numero di caraffe variabili da comune a

comune.

Page 139: Rocco Margiotta - Tiggiano

139 Rocco Margiotta

Anche in provincia di Lecce, in quasi tutti i comuni

del circondario omonimo ed in quello di Gallipoli, era

in uso la soma di 240 caraffe, pari a 1,544921 hl;

negli altri comuni la soma era compresa tra 1,234337

hl (S. Vito dei Normanni, Francavilla, ecc.) e 1,

928652 hl di S. Donaci, Veglie, ecc.

Per l‟olio l‟unità di misura era lo staio, corrispondente

al peso di un numero variabile di rotoli di liquido. In

commercio si usava la salma di 16 staia napoletane

del peso di 200 rotoli (Bitonto), pari a 1,951117 hl; di

216 e 2/3 rotoli (Conversano), pari a 2,113772 hl e

così via.

In provincia di Lecce si adoperava invece, la salma

che era compresa tra 1,612971 hl (Gallipoli) e 2,

048733 hl (Taranto).

La nuova legge stabilì che l‟olio venisse misurato

sempre a peso, cioè a cantari, a rotoli e a frazioni

decimali di rotolo.

Solo per il commercio al minuto poteva misurarsi a

capacità, cioè a staia di 96 misurelli e a salme di 16

staia (ogni staio di 10 e 1/3 di rotoli) per le

contrattazioni commerciali.

L‟unità di peso continuò ad essere il rotolo composto

di 33 e 1/3 once, ovvero 1000 trappesi, di 30 dei quali

Page 140: Rocco Margiotta - Tiggiano

140 Rocco Margiotta

costituivano l‟oncia, 100 rotoli formavano un

canataro.

Così, 1 cantaro=80,099722 kg; 1 rotolo=0,89997 kg;

1 trappeto=0,80007 gr.

Per alcuni generi e per usi farmaceutici l‟unità di peso

era la libbra che si divideva in 12 once; ogni oncia in

10 dramme; ogni dramma in 3 trappeti o scrupoli;

ogni trappeto in 20 acini o grani.

Queste misure furono lasciate dalla legge del 1840, la

quale confermò la libbra uguale a 0,320789 kg. e

l‟oncia pari a 0,026729 kg.

Nonostante la nuova legge del 1840, nelle

contrattazioni private furono sempre tollerate le

vecchie misure, purchè fossero state enunciate nel

contratto, seguite immediatamente dai valori

corrispondenti dal nuovo sistema.

Con legge 28 luglio 1861 si rese obbligatorio nel

napoletano, l‟uso del sistema metrico decimale, ma in

realtà l‟applicazione si ebbe con ritardo, vari

provvedimenti furono emanati per diffondere la

conoscenza delle nuove misure e le nuove equivalenze

con le vecchie”.12

Page 141: Rocco Margiotta - Tiggiano

141 Rocco Margiotta

Cucina Tiggianese.

A cipuddhrata.

Una quantità varia di cipolle venivano soffritte

nell‟olio bollente e si mangiavano. Le stesse erano

anche cucinate al forno in una teglia, oppure arrostite

nella cenere del fuoco, sbucciate e tagliuzzate,

venivano condite con olio, sale, pomodori, origano.

Acqua e ssale.

Specialmente d‟estate, era comune nelle famiglie

“normali”, ricorrere ad un‟alimentzione di poco conto

e considerata volgarmente “rinfrescante”. Si

tagliuzzava del pane rappreso, meglio una frisa o un

tarallo in un piatto concavo, si cospargeva di sale, si

inzuppava con acqua, poi si versava dell‟olio. Si

aggiungevano tocchetti di pomodoro fresco o

invernali, qualcuno aggiungeva anche della cipolla,

peperoni amari verdi, e anche del sedano; si doveva

rimescolare bene e si mangiava e si rimaneva

soddisfatti, tanto che l‟intingolo rimasto, veniva come

bevuto direttamente dalla scodella.

A cuddhrura.

Il venerdì santo era d‟obligo preparare “e cuddhrure”.

Si doveva impastare la farina, con olio e addolcita con

Page 142: Rocco Margiotta - Tiggiano

142 Rocco Margiotta

lo zucchero. Si facevano varie forme, ma al centro di

esse venivano posizionati uno o due uova e si

facevano cuocere nel forno. Noi ragazzi dovevamo

mangiarle solo a mezzogiorno per rispettare il digiuno

pasquale. Ricordo che la nostra ingordigia ci portava a

mangiare subito l‟uovo, estraendolo con fatica dalla

massa di pane.

A pulenta.

Ricordo con angoscai quando bisognava mangiare la

polenta. Il mais, “i pupuli”, venivano coltivati solo per

sfamarsi. Una volta raccote le pannocchie, si

staccavano i semi, si pestavano nello “stompu”, si

otteneva una farina giallastra. Si metteva a bollire sul

fuoco, mentre in un‟altra padella veniva fatta

soffriggere la cipolla e l‟aglio e si versava della

conserva, si otteneva il sugo. La polenta veniva fatta

raffreddare, poi tagliata a pezzi, veniva messa nel

piatto e cosparsa di sugo. Io non riuscivo ad ingoiarla,

mi era insapore, ostile, dovevo inzupparla

competamente di sugo per poterne mangiare qualche

pezzo.

A strascinata.

Era una particolarità di pane. Dopo aver infornato il

pane ufficiale, la pasta raccogliticcia si impastava di

Page 143: Rocco Margiotta - Tiggiano

143 Rocco Margiotta

nuovo con abbondante acqua e la si introduceva nel

forno “strascinandola”.

Baccalà.

Durante il tempo natalizio era tradizionale mangiare il

baccalà. Mio padre ne era ghiotto, io no. Dopo averlo

tenuto a bagno per qualche giorno per dissalarlo, si

preparava un sughetto e tagliato a pezzettini si

immergeva e si faceva cuocere a fuoco lento. Si

mangiava la vigilia di Natale.

Brucacchia.

Era un‟erba grassa che veniva raccolta in primavera,

prima della fioritura e si consumava come vera e

propria insalata.

Cannocciuleddhri-Patarnosci.

Era un tipo di pasta corta. Si preparava l‟intingolo,

sempre con olio soffritto, cipolla, pomodoro, a parte si

bolliva quel tipo di pasta particolare. Dopo la cottura e

la scolatura, la pasta veniva versata nell‟intingolo

ancora sul fuoco e si rimestava per farla amalgamare e

poi si versava nei piatti.

Page 144: Rocco Margiotta - Tiggiano

144 Rocco Margiotta

Cartellate.

Le cartellate erano una delle varietà dei fritti di

Natale. Ottenuta la “lavana”, impastando farina,

zucchero, sale olio sfumato con la buccia di

mandarino, un po‟ di vermouth bianco, veniva

impastata col succo di mandarini. Si tagliava a

striscioline e si friggeva nell‟olio bollente. Dopo si

potevano zuccherare, irrorare di miele.

Casu.

La produzione del formaggio seguiva un rito

complesso, come la produzione del pane. Le famiglie

“normali” possedevano una-due pecore o capre che

producevano una quantità di latte insufficiente, a

volte, per una forma di formaggio. Allora due o tre

famiglie si accordavano e si scambiavano il latte, in

modo tale che, a turno, ognuna potesse produrre una

forma di formaggio. Raccolto il latte, o si poneva in

una pentola sul fuoco, dopo aver immesso il caglio

proporzionato alla quantità di latte. Il caglio era

naturale, si ricavava dall‟abomaso dei capretti o

agnelli lattanti. L‟esperta, con pazienza e a fuoco

lento, doveva girare delicatamente con la lunga

cucchiaia da tavola, per consentire l‟amalgamarsi del

caglio. Si formava la ricotta che veniva raccolta con la

schiumarola e la si pressava nella “fisc(i)ca” veniva

Page 145: Rocco Margiotta - Tiggiano

145 Rocco Margiotta

salata e lasciata un giorno, dopo veniva girata e

condita ugualmente con sale. Intanto nel siero rimasto

sul fuoco, si immergeva qualche altro grammo di

caglio e si otteneva un‟altra coagulazione,

quantitativamente molto inferiore, era la manora che

ci veniva data con nostra somma soddisfazione di

ragazzi, perché aveva un sapore eccellente. Col siero

rimasto poi facevamo colazione, in una scodella si

immergeva del pane duro, o una frisa e si mangiava

succolentemente, era la nostra colazione! Il formaggio

intanto veniva rigirato ogni giorno, dopo una

settimana, veniva tirato fuori dalla “fisc(i)a” e si

posizionava sulla “ggiumanìa” del focalire e lì

rimaneva fino al suo utilizzo come formaggio da

grattuggiare.

Fave cullu capucciu.

Bisognava togliere il “cappuccio” delle fave, la

sommità con la quale sono legate all‟interno del

baccello, per il resto rimaneva la buccia. Si

mettevano al bagno la sera, al mattino venivano cotte

al fuoco del “focalire”. Alla cottura, venivano servite

cospargendole di olio e servite, di sera, di solito, al

ritorno dei contadini dalla campagna, accompagnate

da cipolle, peperoni e “foje reste”, verdura di

Page 146: Rocco Margiotta - Tiggiano

146 Rocco Margiotta

campagna. Queste fave erano più nutrienti in quanto

arricchite dalle vitamine contenute nelle bucce.

Fave cullu cappottu.

Si preparavano le fave con la buccia integrale.

Fave nette.

Bisognava sbucciare le fave secche. Sistemato su una

piattaforma di legno uno scalpello con la lama rivolta

all‟insù, l‟operatore doveva sistemare le fave con il

peduncolo sullo scalpello, a contato della lama, con

un martellino si dava un colpetto sul punto in alto, e la

fava si apriva, essendo una dicotiledone, facilitando

l‟eliminazione della buccia. La sera si mettevano a

bagno, il mattino seguente venivano messe nella

“pignata” con il sale, e si avvicinavano al fuoco nel

“focalire”, quando le stesse si erano trasformate in

purè soffice bianco, erano cotte, si condivano con olio

e si versavano nei piatti. Con peperoni, cipolle, a volte

con pane soffritto, si consumavano insieme alle “foje

reste”, verdure di campagna che di solito

accompagnavano la degustazione delle fave.

Fave verdi.

Oltre a consumarle secche, le fave venivano cucinate

anche verdi. Oltre a mangiarle direttamente verdi col

Page 147: Rocco Margiotta - Tiggiano

147 Rocco Margiotta

pane e formaggio, si preparavano soffriggendole nelle

pentole sul fuoco e venivano servite.

Ricordo che da bambini, dopo aver tolto le fave dal

baccello, sceglievamo le più grosse, e ci facevamo

l‟anello. Toglievamo con cura la parte carnosa, e ci

rimaneva la buccia alla quale facevamo un foro e lo

rendevamo adatto ad infilarlo ad un dito della mano;

avevamo prodotto l‟anello.

Ficarigne.

Frutto povero ed esotico, con la buccia spinosa, ma se

ne mangiavano tante, specialmente dopo le prime

piogge estive in quanto queste contribuivano a far

cadere molte spine. Raccolte con cautele e sbucciate

con la stessa cautela, era la frutta più ovvia, insieme ai

fichi, e ai cocomeri.

Fiche.

I fichi erano un altro alimento integrativo importante.

Non mi soffermo sulle varie qualità di fichi, ci sono

tanti manuali scientifici che lo fanno, piuttosto dirò

che alcuni alberi di fico maturano due frutti, verso la

fine di maggio-giugno, i fioroni, “e culummare”, sono

di solito molto più grosse dei fichi normali che

matureranno alla metà-fine d‟agosto. Dei fioroni

eravamo tutti molto ghiotti, perché è il primo frutto

Page 148: Rocco Margiotta - Tiggiano

148 Rocco Margiotta

d‟estate che matura e perché la sua dolcezza coglie

tutti di meraviglia. La raccolta dei fichi seguiva un

lungo rituale. Bisognava raccoglierli la mattina presto,

prima che il sole infuocasse l‟aria, i rami più

inaccessibili venivno piegati ed avvicinati con un

attrezzo di legno “u roccu”, ricurvo, si portavano a

casa, oppure nella stessa campagna, quando la

famiglia, d‟estate abitava nelle “pagliare”, proprio per

accudire a tutte le faccende che la terra richiedeva.

Dopo aver scelto i migliori che si consumavano

freschi, i restanti venivano tagliati a metà e sistemati

su appositi graticci di canne, “i cannizzi”, dove

venivano fatti seccare. Se si verificava qualche

pioggia estiva bisognava riparare i fichi, così pure la

sera, specie se umida, calava “a muttura”, altrimenti

questi si sarebbero impregnati di umidità e la loro

disidratazione si sarebbe trasformata in rancidità. Una

volta essiccati come di dovere, si aromatizzavano con

semi di finocchio e foglie d‟alloro, si portavano al

forno per essere sottoposti a tostatura, a volte, chi

poteva permetterselo, all‟interno metteva mandorle

sbucciate o gherigli di noci. Il fornaio le sottoponeva a

tostatura la sera, dopo la cottura del pane e delle frise.

Portate a casa venivano conservate in quei recipienti

di terracotta, “i capasi” e collocati negli stipi, ricavati

all‟interno delle muraglie. Anche i fichi erano vigilati,

Page 149: Rocco Margiotta - Tiggiano

149 Rocco Margiotta

specialmente quando erano con le mandorle. Ci

veniva concesso un nugolo di fichi secchi da portare a

scuola, a sostituire la merenda che non c‟era. A

scuola, da ragazzi, ponevamo i fichi sotto l‟asse del

banco che era allora ribaltabile e li schiacciavamo

perché assumessero una forma meno voluminosa, poi

l‟insegnante ci sorpendeva ed era violenza.

Foje.

Si mangiavano diverse qualità di verdure, “foje”, sia

coltivate e non coltivate. Tra le prime: le cicorie, le

cime di rape, i cavoli, i cavolfiori, le verze, le zavirne,

tra le seconde: la paparina, i zanguni, i sulitri, erba

grassa commestibile, e altro. La preparazione era

molto semplice. Si faceva bollire l‟acqua in una

grande pentola, “ u quadarottu”, e dopo averla pulita e

lavata più volte, si immergeva nell‟acqua bollente la

verdura, si versava il sale proporzionato, veniva poi

“scolata” quando era al punto giusto di cottura. Si

versava in un grande piatto e si condiva con olio. Più

raramente si ricorreva a soffriggere le cime di rape, si

preparavano le cicorie a minestra: si soffrigeva l‟olio

con la cipolla, dopo essere state bollite un po‟ meno

del dovuto, le cicorie o le verze, si versavano nell‟olio

e si condivano con formaggio caprino e peperone in

polvere, con acciughe.

Page 150: Rocco Margiotta - Tiggiano

150 Rocco Margiotta

Foja fritta.

Si raccoglieva la “paparina”, verdura spontanea che

spunta nei primi mesi dell‟anno, si lavava, si lessava e

poi si metteva a cuocere a fuoco lento in olio bollente

nel quale era stato già rosolato l‟aglio, ”oiu fattu”. Si

aggiungevano olive nere, peperone macinato.

Fraseddhre-Taraddhri. Collegata alla fattura del

pane era quella della fattura dei taralli e delle frise,

che erano due alimenti a più lunga conservazione

rispetto al pane. La fattura dei due prodotti integrati al

pane avveniva come per il pane, era solo la forma a

cambiare; i taralli e le frise assumono una forma

circolare del diametro di circa 10-15 centimetri, le

frise si ottenevano con il grano, i taralli con farina

d‟orzo. Venivano infornati dopo aver estratto il pane

perchè avevano bisogno di una temperatura meno

elevata e anche perché questi sono sottoposti a doppia

cottura. Estratti dal forno, si procedeva a tagliarli a

metà lungo lo spessore. Sistemato un fil di ferro alle

tavole del pane, l‟operatrice faceva passare il fil di

ferro perfettamente a metà della frisa o del tarallo,

ottenendo due forme circolari con la caratteristica

striatura sulla superficie fattasi mentre il fil di ferro le

divideva a metà. Verso il pomeriggio il fornaio

Page 151: Rocco Margiotta - Tiggiano

151 Rocco Margiotta

infornava di nuovo le “cucchie”, le coppie ottenute e

le faceva biscottare. Quando riteneva che avessero

raggiunto il colore e la fragranza giusta li tirava fuori

e il proprietario poteva portarseli a casa. Venivano

conservati nei “capasi” o negli “stangati”, anche

questi erano tenuti d‟occhio dai grandi, quando la

fame era proprio nera. Frise e taralli era la provvista

che durava più a lungo, avevano una conservazione

di più lunga durata, perché la doppia cottura li aveva

nettamente privati dell‟acqua. Si consumavano

bagnati con olio, pomodoro, peperoni verdi, oppure

sotto forma di “acqua e ssale”.

Granite.

Le domeniche passava dai nostri paesi l‟uomo che con

un triciclo vendeva le granite. Quando uno di noi ne

chiedeva l‟erogazione, l‟uomo apriva una sorta di

scrigno, dov‟era conservato il blocco di ghiaccio,

adoperando un pialletto ne grattava un po‟ e lo

scaricava in un bicchiere, poi a seconda della

richiesta, vi versava l‟essenza, che poteva essere

menta, mandorla, amarena, ecc.

Page 152: Rocco Margiotta - Tiggiano

152 Rocco Margiotta

Lacurda-brodaglia. Si bolliva in un pentola un po‟ d‟acqua con olio, sale,

cipolla, peperoni in salamoia, patate. A cottura

effettuata, si versava nella coppa e si immergeva pane

rappreso, frise o taralli e si mangiava.

Legumi: fave. ciciri. paseddhri. pasuli. lanticchia,

dòlaga.

I legumi, insieme alle verdure, era l‟alimentazione più

ovvia, più naturale, perché gli stessi venivano prodotti

in proprio. Naturalmente venivano tutti cotti nella

pignata, al fuoco del focalire e conditi solo con olio,

cipolla, peperoni di varia conservazione. Si diceva che

i legumi era la carne dei poveri.

Lumache (cozze piccinne, cozze rosse, cuzzuni,

verri, verri culla panna, cozze pintuliddhre).

Abbondanti nelle nostre campagne, appena dopo le

prime piogge autunnali, questi animali si svegliano

dal loro letargo estivo ed iniziano la loro attività

vitale. Amano l‟umidità e perciò vanno raccolte nelle

campagne la mattina presto e la sera tardi, temono il

vento e tendono a ritirarsi e a rifugiarsi nell‟umidità

dei muri a secco, oppure scavano piccoli fori nella

terra e vi si nascondono. Raccolta la quantità

opportuna, è necessario accudirle per tre-quattro

Page 153: Rocco Margiotta - Tiggiano

153 Rocco Margiotta

giorni prima di poterle mangiare. Si conservavano in

grandi “limmi” capovolti e si nutrivano di crusca e

farina, questo per purgare il loro intestino, perché

appena dopo la prima pioggia, destatesi dal letargo

iniziano ad alimentarsi di erbe e di altre sostanze

naturali. Vanno pulite ogni mattina, altrimenti le loro

feci, possono provocare la loro stessa morte e

alimentate. Vanno poi lavate molte volte. Immerse in

una capiente padella, sul fuoco, si fanno bollire, poi si

scolano, si lavano ancora e si immergono nella padella

nella quale si è fatto soffrigere la cipolla nell‟olio

bollente alla quale si aggiunge qualche pomodoro,

peperone ed aromi e si versano le lumache e si

lasciano cucinare a fuoco lento, finchè non si

insaporiscono per bene. Si versano nel piatto e si

mangiano accompagnandole col pane. C‟è una tecnica

speciale per estrarle dal guscio, si usano stuzzicadenti,

forchettoni e altri strumenti. Mio padre era abilissimo

a succhiare per poterle estrare e quando non vi

riusciva, produceva un forellino sul dorso del guscio e

riusciva ad estrarle, succhiando da quel foro.

Le “cozze pintulidhre” e i “verri culla panna” si

degustano d‟estate. Per loro natura, all‟inizio dei primi

caldi estivi, le lumache si chiudono in letargo

producendo una membrana esterna chiamata “panna”.

Page 154: Rocco Margiotta - Tiggiano

154 Rocco Margiotta

I verri dal guscio marrone si inoltrano nella terra, di

solito nei pressi dei muri, e le lumache bianche invece

si attaccano ai muri, alle piante secche, agli alberi e

resistono tutto l‟estate. I “verri con la panna”, dopo

averli lavati, si mangiano direttamente, solamente

soffrigendoli nell‟olio bollente. Anche le lumache

bianche, “e cozze pintuliddhre”, si possono mangiare

appena raccolte; si lavano, si lessano, dopo si versano

nell‟olio bollente nel quale si è soffritta la cipolla e

qualche pomodoro, peperone e qualche altro aroma. Si

mangiano con la stessa tecnica delle lumache

autunnali.

Maccarruni.

Erano i banali spaghetti, ma subito dopo la guerra,

non si sapeva chiamarli col nome col quale si

sarebbero fatti conoscere in tutto il mondo. A volte si

preferivano gli spaghetti bucati, conditi

tradizionalmente col sugo. Era uno spettacolo, quando

si portava una forchettata alla bocca; il risucchio

faceva cospargere del sugo rosso di pomodoro gli

indumenti che si indossavano. Specialmente a noi

ragazzi si faceva sovrapporre una salvietta per evitare

gli schizzi, ma noi ci sentivamo menomati da tanta

accortezza.

Page 155: Rocco Margiotta - Tiggiano

155 Rocco Margiotta

Maccarruni cu la carne.

Era la variante più attesa del mangiare gli spaghetti.

Era un rito che si poteva assolvere solo a S. Ippazio.

Solo in quell‟occasione “u tata” poteva comprare un

po‟ di carne di maiale che si faceva cucinare nel sugo

col quale si condivano gli spaghetti.

Manora e seru.

Ho gia detto quando ho scritto come si preparava il

“casu”, il formaggio.

Maranciane.

Anche le melanzane si consumavano fresche e

conservate. Si preparavano con le patate e con

peperoni, alla parmigiana, ripiene, soffritte,

abbottonate. Venivano poi conservate sott‟olio,

secche.

Massa e ciciri. Si dovevano cucinare i ceci nella “pignata” al fuoco

del “focalire” la sera precedente. Il giorno del pranzo

la mamma o la nonna procedeva a produrre la

“massa”. Veniva impastata la farina di grano con

acqua e sale, si stendeva e si tagliava in tante

striscioline che all‟ora di pranzo veniva “calate”,

messe nell‟acqua della pentola fatta bollire sul fuoco.

Page 156: Rocco Margiotta - Tiggiano

156 Rocco Margiotta

Intanto i ceci venivano soffritti in un‟altra pentola con

olio, cipolla, pomodoro, a volte si soffriggeva della

pasta dura spezzettata. Alla cottura la “massa” veniva

scolata e condita con il soffritto preparato a parte. Era

la gioia dei partecipanti.

Ovu quajatu, lessu. Le uova erano un‟altra fonte alimentare. E‟ vero che

molte uova venivano regalate “alli signuri”, alle

signore della scuola, al prete quando benediceva le

case dopo Pasqua, ma questo prodotto animale veniva

consumato anche nelle nostre famiglie. Si

consumavano lesse, condite con sale, olio, aceto. Si

preparavano in padella, dove si faceva soffriggere un

po‟ di olio e si immergevano le uova con un po‟ di

sale e formaggio, dopo un po‟ il calore le rassodava e

si potevano mangiare. Quando eravamo “deperiti”,

particolarmente bisognosi di vitamine, ci veniva

preparato l‟uovo crudo con la marsala, che schifo! Si

preparava alla coque; appena riscaldato, si metteva un

po‟ di sale e si mangiava col pane. Si usavano con le

“pittele ll‟acqua”. Un cibo di uova più gustoso era la

“frattata”. Si dovevano amalgamare tante uova quante

la necessità richiedeva, con sale, pepe, mollica di

pane, formaggio e un po‟ di menta. Nella padella sul

fuoco l‟olio aveva raggiunto una buona temperatura

Page 157: Rocco Margiotta - Tiggiano

157 Rocco Margiotta

quando si versava l‟amalgama delle uova, queste

cominciano a prendere consistenza e quando la stessa

raggiungeva la coloritura dell‟oro, si doveva girare. Si

serviva su una fetta di pane, oppure nel piatto.

Padate. Le patate erano un altro piatto fondamentale,

specialmente d‟estate, in quanto la produzione locale

comincia ad esserci dal mese di maggio. Si

mangiavano cotte nella pignata, a volte, con la carne,

a minestra, lesse ad insalata, stufate al forno, rosolate

al forno, si faceva anche il pane di patate, si

mangiavno inoltre a minestra, insieme alle zucchine.

Con le patate poi si ottenevano anche gli gnocchi che

si mangiavano come la pasta asciutta.

A maggio si spiantano le patate, la maggior parte

veniva venduta, una parte veniva stipata per le

esigenze familiari. Effettuata la cernita rimanevano le

patate molto piccole, si lavavano, senza sbucciarle, si

condivano con olio, sale, pepe, si sistemavano in una

teglia, “tajanu”, e si mettevano al fuoco, quando erano

ben rosolate si potevano gustare.

Pampasciuni.

I bulbi sono molto sotterranei e per poterli raccogliere

è necessario uno scavo profondo con la zappa o lo

Page 158: Rocco Margiotta - Tiggiano

158 Rocco Margiotta

“zappune”. Di colore rosato, vengono lavati, lessati e

conditi con olio, sale, aceto e mangiati col pane. Sono

anche conservati sott‟olio, o immersi nell‟aceto; si

consumano d‟inverno.

Pane cottu. Forse il piatto più povero della cucina

salentina. Quando il pane diventava raffermo, lo si

metteva in una padella, tagliato a pezzi, si copriva

d‟acqua e si condiva con sale, olio e qualche foglia

d‟alloro. Si cuoceva a fuoco lento e quando era ben

denso veniva versato nei piatti e si mangiava, quando

possibile, anche con un po‟ di formaggio.

Pane fattu ccasa.

La necessità prorompente della fame trovava la sua

soddisfazione, per antonomasia, nel gustare e

consumare il pane. Produrre il pane domestico era una

mansione importante e delicata al tempo stesso. Il

grano prodotto veniva conservato allo zolfo,

“surfuriu”. Veniva portato al mulino in quantità

ritenuta sufficiente per la produzione di pane per un

quindicina di giorni. La farina ottenuta doveva essere

setacciata e per farlo era necessaria una madia, un

setaccio fine e un telaio di tavola che veniva sistemato

sui lati lunghi della madia e fungeva da appoggio

all‟azione di scivolamento, su e giù, del setaccio con

Page 159: Rocco Margiotta - Tiggiano

159 Rocco Margiotta

dentro la farina. La farina si depositava all‟interno

della madia, mentre la crusca veniva raccolta in altro

recipiente che sarebbe stata utilizzata come mangime

per le galline, per le mucche, per i cavalli. La mattina

presto ci si era preparato il lievito di pasta che lo

stesso fornaio elargiva recapitandolo di persona a casa

e stabilendo l‟orario in cuisi doveva “temparare”. In

una porzione di farina, calcolata a “regola” dalla

donna di casa, mamma o nonna, si scioglieva il lievito

con acqua tiepida e sale e si lasciava per alcune ore a

riposo in modo che i fermenti del lievito si

moltiplicassero e diventassero miliardi. Quando la

“massara” lo riteneva opportuno, la sera tardissima,

mescolava tutta la farina con la parte di pasta lievitata

e impastava il tutto, ancora con acqua tiepida e sale e

si lasciava lievitare. All‟ora indicata dal fornaio, di

solito le tre, le quattro, le cinque del mattino,

bisognava “temparare”, e cioè tutta la massa di farina

impastata doveva essere lavorata di gomito per

renderla omologa e soffice, i fermenti cioè si

dovevano distribuire omogeneamente in tutta la pasta,

altrimenti qualche forma di pane non risultava soffice,

dopo la cottura. Intanto la pasta veniva sistemata nelle

“panare”, ceste di canne, con ogni cautela, la stessa

veniva rivestita all‟interno con tovaglie pulite e poi,

riempita la cesta, si provvedeva a mettere su altre

Page 160: Rocco Margiotta - Tiggiano

160 Rocco Margiotta

tovaglie e mante, coperte, altrimenti la pasta poteva

“costipare”. All‟ora convenuta, arrivava il fornaio con

un piccolo traino a mano, “u traineddhru”, e caricava

le ceste colme di pasta lavorata. Arrivati al forno i

componenti la famiglia, in genere le donne, dovevano

poi ridurre la pasta in forme di pane. Se la quanità di

pane occupava tutto il forno, di solito un quintale, “a

cotta”, non si procedeva ad accoppiate con altre

persone, se invece la quantità non era tale, il fornaio

procedeva a combinare più “partite” per poter esaurire

tutto lo spazio nel forno. Quando era così, su ogni

forma di pane, la proprietaria doveva fare un segno

distintivo affinché fosse riconosciuto quando sarebbe

stato sfornato e regolarmente attribuito. I segni

potevano essere i più diversi: una crocetta, una lettera

iniziale di un nome, si metteva un rametto, un

cerchietto della stessa pasta. Intanto il fornaio aveva

provveduto a portare a temperatura idonea il suo forno

facendo bruciare le biomasse più varie: fascine

d‟olivo, rovi e pruni, “scarasce”, “pasaddhrari”, le

piante secche di piselli, i “pasulari”, le piante secche

dei fagioli, i “lupranari”, piante secche di lupini, “tursi

de tabaccu”, piante secche di tabacco, comunque il

combustile migliore che sprigionava maggiori calorìe

erano le fascine d‟olivo, “e sarcine”. Dopo che

l‟artista del forno aveva ripulito la base del forno con

Page 161: Rocco Margiotta - Tiggiano

161 Rocco Margiotta

gli attrezzi del mestiere, quando riteneva he la

temperatura fosse calata al punto giusto; non c„erano

termometri, tutto era lasciato alla maestrìa e

all‟esperienza dell‟operatore, si iniziava a infornare.

Ad uno ad uno le forme di pane venivano posizionate

sulla pala del fornaio che con abile manovra le

collocava sul pavimento del forno, a cominciare dalla

parte posteriore fino a riempire tutto il forno. Delle

particolarità di pane venivano realizzate: le olivate,

pane con olive, era un impasto più morbido ed

infornate dopo, poi le “simeddhre”, un altro impasto

molto molle, che veniva posto per ultimo, poi, curioso

era “u mmui”, erano i rimasugli di pasta che noi

bambini impastavamo e ottenevamo un informe tozzo

che veniva messo nel forno per nostra soddisfazione.

Dopo un po‟ il fornaio faceva la prima ispezione e

stabiliva quanto tempo altro doveva rimanere nel

forno. All‟odine “sfurnamu”, ci si attrezzava con le

ceste e il fornaio tirava fuori i pani che avevano

assunto un colore dorato e un aroma estasiato, e la

donna li collocava nella “panara”, subito dopo veniva

coperta con tovaglie e mante in modo che il pane non

costipasse. Naturalmente se erano due o più i

compartecipanti, ogni donna collocava nella cesta il

proprio pane. Noi ragazzi ritrovavamo “u mmui” ed

eravamo eccitati in quanto dovevamo portare a casa il

Page 162: Rocco Margiotta - Tiggiano

162 Rocco Margiotta

pane col piccolo traino del fornaio; era la gioia più

grande, se capaci guidavamo noi il traino, come un

pony prendevamo le due stanghe e via, se invece non

eravamo ritenuti all‟altezza, venivamo issati sul carro

e venivamo trasportati da altri, realizzavamo “u

cavallozzu”. Una volta a casa, le ceste rano lasciate

coperte per evitare la costipazione, solo dopo molte

ore, quando la temperatura del pane si era ridotta, solo

allora si provvedeva a sistemare il pane nella madia e,

in tempi di estrema miseria, la stessa veniva chiusa a

chiave e solo i grandi, la mamma o “u tata” avevano il

potere di aprirla quando lo ritenessero necessario.

Pane rrustutu.

Specialmente le sere d‟inverno nel focalire, sulla

fiamma, non era raro che si mettesse ad abbrustolire il

pane che poi veniva insaporito con aglio e condito con

olio, pomodoro e sale.

Paparotta. Era il piatto povero più prelibato. Venivano

riutilizzate le verdure e i legumi superstiti della sera o

sere precedenti. Si tagliava a dadini il pane rappreso,

naturalmente proporzionato alla quantità di verdure e

legumi rimasti e al numero dei componenti della

famiglia. Intanto sul fuoco, nella pentola, era sttao

Page 163: Rocco Margiotta - Tiggiano

163 Rocco Margiotta

messo dell‟olio per farlo sfumare, quando era al punto

giusto, si versava il pane a dadi e si faceva soffrigere

bene: non ragazzi “rubavamo” il pane soffritto dalla

pentola, perché è di gusto prelibato, suscitando

naturalemten le proteste della mamma, al momento

opportuno, si versavano le verdure e i legumi e si

mescolava per un po‟ di tempo, finchè non si fosse

amalgamato bene il tutto. Si versava nei piatti e si

mangiava con accompagnamento di peperoni di

diversa conservazione e il vino, per i grandi, era il

nettare che aiutava la degustazione.

Paparussi. Verso i peperoni c‟era un vero e proprio culto.

Tantissime erano le varietà che si coltivavano.

Quelli amari, quelli dolci e tante varietà intermedie.

La degustazione più affasciannte era d‟estate quando i

peperoni si raccoglievano e si consumavano freschi:

amari con le frise o taralli bagnati, nell‟acqua e sale,

nelle varie minestre, con la pasta asciutta, nelle patate

lesse, mangiati come insalata. Le prelibatezze erano

però i peperoni fritti nell‟olio, anche qui; amari, meno

amari e dolci. Si mangiavano ancora caldi, con

pomodoro, sale olio; si schiacciavano con un tozzo di

pane e si portavano alla bocca e l‟aroma dell‟olio

soffritto aromatizzava il palato. Si mangaiavano sulla

Page 164: Rocco Margiotta - Tiggiano

164 Rocco Margiotta

frisa bagnata con olio, sale e pomodoro. Era poi una

vera e propria gara la conservazione dei peperoni per

l‟inverno. Si conservavano tagliuzzati sott‟olio, in

salamoia, con l‟aceto, secchi, ridotti in salsa,

sbriciolati, insieme alle melanzane sott‟olio.

Pasta a sciotta.

Si otteneva allungando il sugo con acqua e quando la

brodaglia bolliva si “calavano i cannoccili o

cannocciuleddhri”, pasta corta, di piccolo taglio, di

diverse forme. Si consumava di solito la sera

d‟inverno, dopo il ritorno dalla campagna o da altro

lavoro, quando la famiglia era tutta riunita.

Varianti arricchite con un secondo ingrediente erano

poi altre paste: pasta e pasuli, pasta e ciciri, pasta e

paseddhri, pasta e padate, pasta culli covùli, pasta

culle rape, pasta cullu covùlufiuru.

Pasta fatta a casa. La pasta prodotta in modo domestico era un delle

ricchezze della cucina nostrana. Si impastava la farina

di grano, mista a quella di orzo, con acqua

leggermente salata, e si lavorava a lungo, “sc(i)anare”,

per renderla omogenea e e morbida, poi col matterello

si stendeva e si otteneva la “lavana”, cioè un sottile

strato. Da questa si tagliava a seconda del formato che

Page 165: Rocco Margiotta - Tiggiano

165 Rocco Margiotta

bisognava ottenere. A strisce, per le lasagne torte, per

la massa. Per altri formati di pasta invece si doveva

ridurre la massa in lunghi cilindri dal vario diametro.

Si ottenevano le orecchiette, “e ricchiateddhre”, i

minchiareddhri, per cnfezionare i quali, era però

necessario u “fierriceddhru”, piccolo ferro, lungo una

trentina di centimetri, al quale si attorcigliava la pasta

sotto la mano esperta della nonna e il formato così era

forato all‟interno.

Pisce frittu, ddalassatu, a brodu, rrustutu.

Il pesce si comprava dai pescivendoli che venivano da

Tricase. Il pesce più comune che si poteva acquistare

erano le sarde, i popilli, i culei, le vope; veniva

preparato a brodetto, lesso, arrostito, fritto. Si

compravano anche le sarde salate alla carne. In

occasione di S. Ippazio si comprava la “scapece”,

specialità gallipolina, consistente nel trattare i

“popilli”, piuttosto piccoli, le “femmineddhre” e la

“manoscia”, dopo essere stati fritti in olio, venivano

allineati in barilotti di legno. Ogni strato di pesce,

vieniva cosparso con abbondante pane di semola

grattugiato e bagnato con aceto bianco misto a

zafferano. Riempito il barilotto, il pesce veniva

compresso col coperchio e lasciato marinare per

qualche giorno fino a che i profumi, la fragranza del

Page 166: Rocco Margiotta - Tiggiano

166 Rocco Margiotta

mare e il colore dello zafferano non si amalgamassero

perfettamente. Tolto il coperchio, si procedeva al

primo assaggio, una delizia per il palato!

Pittèle.

A Natale le “pittele” erano fondamentali. Si trattava di

far lievitare la pasta, tanta quanta si riteneva

sufficiente per la famiglia e per diversi giorni. La sera

della vigilia, la mamma o la nonna, dopo aver

mandato a letto i piccoli, perché sarebbero stati

d‟impaccio, e perché non chiedessero di mangiare le

prime, al fuoco del “focalire” iniziava il lungo rito

delle “pittele”. Nella pentola veniva versato molto

olio, quando cominciava a sfumare, la mano destra

agguantava un pugno di pasta e la stringeva, facendola

fuoriuscire dal foro prodottosi dalla chiusura del

pollice e dell‟indice della mano, con la sinistra

prelevava quell‟informe grumo di pasta e veniva

immerso nell‟olio bollente e cosi di seguito, finchè

non si completava la prima “cotta”, cioè la pentola

non fosse colma. Si dava poi seguito alla seconda

cotta e così via, fino all‟esaurimento della pasta

lievitata. Gustate appena tolte dall‟olio bollente queste

hanno un sapore ed un aroma strabiliante. Le pittele

venivano consumate così come soffritte, oppure si

Page 167: Rocco Margiotta - Tiggiano

167 Rocco Margiotta

spolverava un po‟ di zucchero, si potevano immergere

nel miele.

L‟impasto poi poteva conoscere delle varianti: si

preparava con i cavolfiori, con le cicorie, con i

capperi, alla pizzaiola, col baccalà.

Pittèle ll’cqua.

Preparato il sughetto più lento, si immergevano uova

impastate con farina e con formaggio, quando

diventavano ben rapprese si scodellavano e si

consumavano col pane.

Purciaddhuzzi. Si impastava la pasta come per le pittèle. Si rendeva a

tocchetti cilindrici di tre-quattro centimetri e si

immergevano nell‟olio bollente, quando acquisivano

un bel colore dorato si prelevavano. Si potevano

mangiare direttamente così, oppure con lo zucchero,

col miele.

Regna.

Mio padre era ghiotto della “regna”. Si trattava di un

piccolo merluzzo che veniva privato delle interiora,

affumicato, appena salato. Lo comprava alla fiera di

S. Ippazio, il 19 gennaio.

Page 168: Rocco Margiotta - Tiggiano

168 Rocco Margiotta

Sangunazzu.

Di tanto in tanto si acquistava “u sangunazzu”. E‟ il

sangue del maiale macellato che si raccoglieva e si

mescolava con pezzetti di grasso, delle orecchie, della

coda, del muso dello stesso maiale, tutti questi,

insieme a peperoncino, pepe, sale ed altri aromi,

veniva conficcato nelle interiora del maiale,

naturalmente dopo che erano state pulite bene. Dopo

di ciò venivano immerse nell‟acqua e cotto al fuoco.

Si mangiava a tavola, tagliandolo a fette, col pane,

con l‟insalata ed, il vino era di ottima compagnìa.

Stoccàpisce.

Era il rongo o il merluzzo essiccato che sia acquistava

come un pezzo di legno. Era duro, per ridurlo a

pezzettini bisognava tagliarlo con il “sarracchio”, la

sega, e tenerlo a mollo per circa quindici giorni. Dopo

si poteva cucinare, dopo aver preparato un sughetto, i

pezzettini si immergevano in questo e si poteva

mangiare quando diventava tenero e profumato. Per le

famiglie era tradizione consumarlo nel periodo di

Natale.

Sulitri.

Una pianta spontanea particolare sono i “sulitri”. Si

doveva raccogliere nei primi mesi estivi, quando le

Page 169: Rocco Margiotta - Tiggiano

169 Rocco Margiotta

foglie sono ancora tenere, andavano lavati, si

facevano saltare in olio bollente nel quale era stato

rosolato dell‟aglio. Non c‟era bisogno di lessarli. I

“sulitri” ci venivano messi su una fetta di pane

casereccio e potevamo mangiarlo anche fuori di casa,

stando per strada con gli amici a giocare.

U sciuttìddhru.

Erano i peperoni misti, amari e dolci, che si

soffrigevano, a parte veniva preparato un sughetto e

dopo si immergevano i peperoni nel sughetto, dopo

essersi amalgamati per bene, si potevano servire.

U stànatu.

Era una sorta di pizza contenuta in una teglia. Poteva

essere impasto di farina o di patate, il condimento

poteva essere il più vario: olio, sale, pepe, cipolle,

salsa di pomodoro, origano e di solito veniva cotto al

forno, sia quando si confezionava il pane, sia in

occasioni diverse.

Zzavirne.

Un‟altra pianta spontanea che faceva parte della

nostra alimentazione erano le “zzavirne”, cresceva in

luoghi solitari, assomigliava ad una cicoria e ad un

finocchio, aveva un sapore delicato, tra la salvia-

Page 170: Rocco Margiotta - Tiggiano

170 Rocco Margiotta

menta-finocchio. Si lessava, poi si friggeva e si

amalgamava con uova e pane grattugiato.

Page 171: Rocco Margiotta - Tiggiano

171 Rocco Margiotta

Giochi e divertimenti Tiggianesi.

A buttuni o furmeddhre. Ci si giocava i bottoni o le

formelle dei vestiti. Per poter vincere i grossi bottoni

(i buttunacci) bisognava superare la prova per due

volte di seguito. A volte, si strappavano dalle camicie,

dalle giacche, dai pantaloni, per poter partecipare al

gioco. Quando la mamma si accorgeva scoppiava il

finimondo! Erano diversi i giochi.

A palline.(biglie)

Si produceva una buca per terra, i giocatori alla

distanza convenuta, dopo aver tirato a sorte dovevano

far entrare la biglia nella buca. Chi riusciva a farlo,

comandava il gioco; facendo centro dalla buca, questi

allungando i palmi delle mani e tenendo la biglia nella

amno destra tra il medio e il pollice, spingendo conme

un piccolo stantuffo, questi cercava di colpire la biglia

avversaria fuori della buca, se riusciva a colpirla

vinceva quella biglia. Il gioco continuava in questo

modo, fino all‟esaurimento delle bilgie da parte di

qualche concorrente, oppure fino alla stanchezza.

C‟era un vero e proprio giro d‟affari; si compravano e

si cedevano biglie, quelle più grosse avevano un

valore più elevato, insieme a quelle multicolorate.

Page 172: Rocco Margiotta - Tiggiano

172 Rocco Margiotta

A puzza. Era un gioco inerme; toccato a sorte con le

dita dlle mani, il prescelto dalla sorte doveva

raggiungere qualche giocatore che intanto scappava,

chi veniva raggiunto e toccato era portatore della

“puzza”, che, a sua volta, doveva cercare di

trasmetterla all‟altro, raggiungendolo in corsa e

toccandolo. Il gioco finiva quando si era esausti delle

corse.

A rubare frutta, fave, piselli. Era un divertimento, ma

anche una esigenza per assaporare le verdi primizie.

Specialmente la domenica, a gruppi, ci si organizzava

per recarsi in campagna a „rubare‟ le primizie dette.

A rubare nidi. In primavera ci si divertiva ad andare a

scovare nidi nei quali gli uccelli avevano deposto le

uova dalle quali, più tardi schiudendosi, fuoriuscivano

gli uccellini. I ragazzi o prelevavano le uova per

trastullarsi con esse, alla fine venivano lanciate per

distruggerle, oppure si prelevavano gli implumi più o

meno grandi e si procuravano ai piccoli animaletti

tante di quelle torture. Qualcuno tentava di portarseli a

casa e custodirli in una scatola di cartone, i più

fortunati nella gabbia, ma come era naturale, dopo

pochi giorni gli uccellini morivano.

Page 173: Rocco Margiotta - Tiggiano

173 Rocco Margiotta

A scàrraca. Un gruppo di ragazzi tiravano a sorte, il

malcapitato doveva piegarsi con la testa e le mani

appoggiati al muro, gli altri, dopo una rincorsa,

dovevano saltargli in groppa e quegli doveva reggere

tutti sulla spalla. Il malcapitato vinceva il gioco, se

riusciva a resistere, in un arco di tempo prestabilito.

A soldi. Erano diversi i giochi in cui si puntavano dei

soldi. Uno dei più comuni era “alli lapuni”, già

descritto, l‟altro “a batta parite”. Si stabiliva la posta,

tirato a sorte, il primo batteva con la moneta al muro

e doveva cercare di farla allontanare quanto più

possibile, il secondo batteva al muro e doveva tentare

di avvicinarsi alla moneta del primo che stava a terra

di quel tanto di poter essere „vinta‟, se cioè la seconda

moneta cadeva alla distanza del palmo della mano del

battitore, questi vinceva la moneta in gioco. E così

via. L‟abilità consisteva ad allontanare la moneta

quanto più possibile, e al proprio turno, calcolare

quanta energia bisognava imprimere alla mano per

cercare che la propria moneta si ponesse alla distanza

inferiore del proprio palmo della mano, per poter

vincere.

A schiànta schiànta. Un gruppo di ragazzi, tirato a

sorte, cominciavano il gioco. Il sorteggiato doveva

Page 174: Rocco Margiotta - Tiggiano

174 Rocco Margiotta

cercare di raggiungere l‟altro che si dava a correre, ma

era un correre non rettilineo, in modo da ingannare la

traiettoria di chi rincorreva, se però si era raggiunti e

toccati, la corsa del primo giocatore terminava e

bisognava bloccarsi; si doveva attendere l‟eventuale

“liberazione” di un altro compagno, se riusciva ad

eludere la rincorsa e la sorveglianza dell‟incaricato a

bloccare tutti. Il gioco terminava se tutti erano stati

toccati dal sorteggiano e quindi con la suo vittoria.

A stacce. Generalmente si giocava il pomeriggio della

domenica. La staccia era una pietra piatta, piccola da

essere manovrabile con la mano. Ogni giocatore si

cercava la propria, oppure si conservava di volta in

volta, e si tirava a sorte e cominciava il gioco. Una

pietra più rozza, più arrotondata fungeva da punto che

il primo lanciava ad una certa distanza, i giocatori

dovevano far giungere la propria pietra (staccia) il più

vicino possibile al „punto‟, naturalmente realizzava il

punto la pietra più vicina. Si vinceva la partita quando

si totalizzavano 15 punti. Si dava poi seguito al

“padrone”. La pietra più vicina al punto segnava il

„padrone‟ che poteva fare il bello e il cattivo tempo

con le poste in gioco di chi aveva perso la partita. Di

solito ci si recava alla “putea de mieru”, dove gli

anziani giocavano a carte e bevevano vino. Il

Page 175: Rocco Margiotta - Tiggiano

175 Rocco Margiotta

„padrone‟ comprava, a suo piacimento, con le somme

corrispondenti alle poste, fave, ceci arrostiti,

aranciate, gassose („sitalore‟) e le distribuiva ai

giocatori a suo esclusivo giudizio. Il giocatore al quale

il „padrone‟ (patrunu) non elargiva nulla, si diceva,

che era rimasto „all‟urmu‟ (all‟olmo). Espressione dal

significato botanico; come l‟olmo campestre era, nel

passato, tutore della vite, così il „padrone‟ era tutore

dei beni di consumo rivenienti dalla perdita della

posta della squadra sconfitta e che poteva ritirare la

„sua‟ protezione, non elargendo la sua „bontà‟ a chi

riteneva che non dovesse essere ricompensato con

fave o con bibita. Naturalmente in seguito si

intrecciavano propositi di riscatto, da parte di chi

rimaneva „all‟olmo‟ e nelle prossime giocate il

malcapitato cercava di rifarsi, diventando „padrone‟,

esercitando una maggiore abilità con la „staccia‟ in

mano per poi attuare la vendetta nei riguardi del

precedente „padrone‟.

Il gioco delle „stacce‟ era la brutta copia di quello

delle bocce che, non era consentito fare a noi ragazzi,

perché vietato dall‟esercente „a putea de mieru‟, in

quanto ai ragazzi era proibito adoperare le bocce,

riservate ai grandi. La felicità domenicale era quando,

diventati adulti, potevamo finalmente adoperare,

anche noi, le bocce. Non c‟erano le piste di oggi, si

Page 176: Rocco Margiotta - Tiggiano

176 Rocco Margiotta

giocava per strada e le tecniche di avvicinamento

della propria boccia al ‟punto‟ erano tante. Per

esempio il „punto scusi, cinca nne face, nne face doi‟,

cioè il giocatore che si avvicinava di più al punto

nascosto, era premiato con un doppio punteggio; era

un modo per provare le proprie abilità e la propria

attenzione. Il „punto si faceva arrivare in un sito non

visto, nascosto, il giocatore doveva tentare di

avvicinarsi al „punto‟, tenendo conto della sua

velocità, della traiettoria, facendo affidamento sul

proprio intuito. Era un gioco di destrezza, ma anche di

abilità manuale.

Il gioco dei lapuni. Consisteva nel produrre nove

buche simmetriche per terra, poi si stabiliva una certa

distanza e con un arancio o una pallina, tirato a sorte,

si provava a farli entrare in una buca, tanto meglio in

quella centrale. La posta in gioco poteva essere

diversa: bottoni, nocciòli, soldi, chi riusciva a far

entrare la pallina in una buca, aveva diritto a

riscuotere la sua posta, se invece era fortunato e

riusciva a far entrare la pallina o l‟arancio nella buca

centrale, aveva diritto a riscuotere tutte le poste in

gioco.

Quando l‟oggetto che rotolava si fermava sul bordo

delle buche di diceva: “Ha fattu tiddhra”. Quando

Page 177: Rocco Margiotta - Tiggiano

177 Rocco Margiotta

entrava in una buca: “aggiu fatta a mia”. Quando

invece entrava in quella centrale, era l‟esultanza del

giocatore: “aggiu fattu menzu”.

Il gioco dei sassi (paddhri).

Era un gioco prettamente delle ragazze, ma anche noi

maschietti ci cimentavamo. Ci si procuravano cinque

sassolini quanto più rotondeggianti possibile. Una

volta toccato a sorte, la prima cominciava il gioco che

si snocciolava lungo diverse fasi.

A uno. Seduti su una superficie piana, si lanciavano i

sassi per terra e si dovevano raccogliere uno alla

volta, lanciando sempre in aria un sasso e mantenendo

via via nella mano i sassi raccolti, recuperando quello

lanciato in alto; si perdeva se non si riusciva a

condurre a termine il gioco.

A due. Lanciati i sassi per terra, se ne lanciava uno in

alto e simultaneamente si dovevano raccogliere a due

a due i sassi da terra e riprendere il sasso lanciato in

alto.

A tre. Si spargevano i sassi per terra, uno si lanciava

in alto, mentre bisognava raccogliere prima un solo

sasso, poi al secondo lancio tre sassi insieme e

recuperare sempre quello lanciato in alto.

A quattro. Si procedeva allo stesso modo e lanciato

un sasso in alto si dovevano raccogliere nel palmo

Page 178: Rocco Margiotta - Tiggiano

178 Rocco Margiotta

della mano gli altri quattro da terra e recuperare quello

lanciato in alto. Successivamente si doveva rilanciare

in alto un sasso e battere a terra gli altri quattro che

erano nella mano e raccoglierli di nuovo tutti insieme

e recuperare sempre quello lanciato in alto.

Al portone. Si posizionava la mano sinistra sulla

superficie con il pollice e l‟indice aperti a costituire

una specie di „portone‟. Con la mano destra passando

da dietro quella sinistra si lanciavano i sassi davanti al

„portone‟, si sceglieva il sasso da lanciare in alto e

simultaneamente bisognava far entrare nel „portone‟

ad uno ad uno i sassi. Dopo si disfaceva il „portone‟

della mano sinistra e bisognava raccoglierli insieme,

mentre uno veniva sempre lanciato in alto, doveva

essere raccolto insieme a quelli da terra.

A traballante. I sassi per terra, se ne sceglieva uno da

lanciare in alto mentre con la stessa mano se ne

raccoglieva uno da terra; ora i due venivano lanciati in

alto e contemporaneamente si doveva raccogliere un

altro sasso da terra, ora si lanciavano in alto i tre sassi

e raccogliere da terra un altro, ora erano quattro ad

essere lanciati in alto e si doveva simultaneamente

raccattare l‟ultimo da terra, infine venivano lanciati

tutti in alto e raccolti di nuovo nel palmo della mano.

Perdeva naturalmente chi non avesse l‟abilità a

raccogliere i sassi dall‟alto e da terra.

Page 179: Rocco Margiotta - Tiggiano

179 Rocco Margiotta

Al dorso. Si lanciavano i cinque sassi in alto, intanto

si girava la mano sul dorso, abbassando il medio in

modo da formare una sorta di vuoto nel quale

dovevano essere raccolti i sassi lanciati in alto. Quanti

più sassi si riusciva a mantenere in qul cavo delle dita

più punti si acquistavano.

Il gioco terminava così, vinceva la manche chi

riusciva a superare tutte le fasi senza errori.

Anche questo gioco era prettamente esercitato dalle

ragazze che dimostravano di possedere una maggiore

abilità e destrezza dei ragazzi.

Il gioco della campana.

Consisteva nel tracciare per terra nove circonferenze

a zig zag, lungo un asse centrale. I circoli venivano

numerati. Il giocatore doveva lanciare

successivamente nei circoli, dal primo al nove, un

coperchio di terracotta e poi saltellare con un solo

piede, dal primo circolo all‟ultimo e ritorno, e così

successivamente fino all‟ultimo circolo. Se il

coperchio cadeva fuori del circolo si perdeva il turno e

il gioco passava al secondo giocatore. Anche questo

era un divertimento prettamente femminile.

Il gioco delle noci. Quando si avevano a disposizione

le noci novelle, da settembre in poi, si giocava con

Page 180: Rocco Margiotta - Tiggiano

180 Rocco Margiotta

queste. Ogni giocatore doveva mettere alla posta la

sua noce che venivano sistemate su un ciglio di terra o

sabbia, ad una distanza convenuta, si tracciava una

linea per terra, da quella linea, tirato a sorte, ogni

giocatore lanciava la propria noce a colpire quelle

posizionate sulla terra. Se qualche noce si rovesciava

diventava di appannaggio di quel giocatore. Se la noce

lanciata, poi, superava la linea delle noci posizionate,

dopo che tutti i giocatori avevano esercitato il proprio

turno, dal più lontano al più vicino, di spalla e

arcuandosi all‟indietro, si cercava di rovesciare le noci

per vincere.

Il telefono.

Da ragazzi si giocava col telefono. Ci si procurava

uno spago piuttosto lungo, ad un capo si legava un

oggetto cavo e lo si poneva all‟orecchio, mentre

dall‟altro parte del capo, l‟emittente parlava in un

altro oggetto cavo, i suoni viaggiavano così lungo lo

spago e ci si divertiva, simulando la telefonata.

La palla al muro.

Si tirava a sorte e la giocatrice, ad una distanza

convenuta dal muro, lanciava la palla contro di questo

e doveva poi raccogliere dicendo: sono. Poi la

rilanciava ancora al muro e doveva girarsi su sè stessa

Page 181: Rocco Margiotta - Tiggiano

181 Rocco Margiotta

e raccogliere poi la palla dicendo: faccio. A volte, le

più abili potevano girare su sè stesse anche due volte,

riuscendo sempre a recuperare la palla che ritornava

dal muro. Si rilanciava la palla al muro e la si faceva

battere a terra e la si recuperava, dicendo: tocco. Si

rilanciava la palla al muro e la si lasciava rimbalzare

tre volte a terra e la si recuperava dicendo: rimando,

uno, due, tre.

Il gioco finiva così. Anche questo gioco era esclusivo

appannaggio delle ragazze che dimostravano una

maggiore capacità elastica rispetto ai ragazzi.

U carrarmatu.

Si trattava di un rocchetto di cotone esaurito, che

veniva gettato e noi ragazzi lo raccoglievamo, lo

sottoponevamo ad operazione chirurgica. Facevamo

delle scanalature sui due cerchi esterni e per noi

diventavano le ruote dentate del carro armato. Nel

tunnel facevamo passare un elastico di camera d‟aria

di bicicletta, da un lato lo agganciavamo ad un piccolo

legnetto o piccolo chiodo che doveva fungere da

fermo, dall‟altra parte dell‟elastico si attorcigliava un

chiodo più lungo. Si procedeva a girare quanto più

possibile il chiodo in modo che l‟elastico attorcigliato

subisse una tensione, posato per terra e lasciato il

chiodo, il rocchetto si muoveva per effetto

Page 182: Rocco Margiotta - Tiggiano

182 Rocco Margiotta

dell‟elastico interno che si srotolava, a noi sembrava

che fosse un carro armato, con i cingoli.

U fitu.

La trottola. Il gioco consisteva nell‟attorcigliare uno

spago intorno alla fusoliera della trottola di legno,

tenerne il capo nella mano e lanciarla per terra,

tirando velocemente a sé lo spago, la trottola prendeva

a girare su sé stessa velocemente. Vinceva chi faceva

durare di più la rotazione della trottola. Un‟abilità

aggiuntiva era poi prenderla nel palmo della mano,

mentre la stessa continuava a ruotare e finiva di farlo

nella mano.

U vurlu.

Consisteva nel correre dietro un cerchio nudo di

bicicletta, spinto da un bastoncino, col quale si

guidava il percorso del cerchio. L‟abilità consisteva

nel fare le curve, nel salire o scendere col cerchio da

un gradino, nel lanciarsi a tutta velocità in una

discesa.

A cacai e cannallini.

Quando seguivamo una sposa lo facevamo per

raccogliere da terra i “cacai e i cannellini”, i confetti

più grossi e più piccoli che gli invitati, lungo il tragitto

Page 183: Rocco Margiotta - Tiggiano

183 Rocco Margiotta

dalla casa della sposa alla chiesa, lanciavano per

festeggiare l‟avvenimento e noi ci lanciavamo a

capofitto a raccoglierne quanti più possibile. A volte

si arrivava anche a darsele di santa ragione per

affermare il diritto che il “cacao” o i “cannallini” li

avevo presi io per primo.

Dopo che il corteo nuziale aveva finito di attraversare

le vie del paese, ritirandosi in casa dello sposo, per i

festeggiamenti, noi ragazzi cominciavamo a giocare a

“cannallini”. Si sceglieva uno scivolo, sotto una

cunetta e, a sorte, si lasciavano cadere dall‟alto i

“cannallini”, se il mio riusciva, nella discesa, a

toccare quello dell‟avversario si vinceva il cannallino

dell‟avversario e, così via.

Page 184: Rocco Margiotta - Tiggiano

184 Rocco Margiotta

Insulti, scherni e dileggi Tiggianesi.

Ci cu nnanca, ci cu nnu pede va a Cursanu ca

trova mujere=ancora nell‟immaginario, si era

convinti che a Corano, qualsiasi tiggianese trovava la

sposa adatta, in quanto, innanzitutto perché più

numerosi di noi e poi perché c‟era l‟ansia, la fretta,

l‟affanno di sistemarsi delle donne, per cui ogi

giovane poteva trovare la propria donna.

Cistareddhri=gli abitanti di Caprarica venivano

apostrofati con tale nome, i quanto si considerava

quella società più chiusa, più antiquata e come le

civette amano il buio, cos‟ quelli.

Cucuzzari=erano i tricasini che nell‟immaginario

collettivo erano i maggiori produttori di zucchina.

Cursanisi carcagni tisi=i corsanisi, nell‟immaginario

collettivo di noi tiggianesi, sono sempre stati

considerati più sfrontati, più capaci di imprese, più

avventurieri, più furbi.

Sciudei (Gli alessanesi)=era un nomignolo

infamante, in quanto ad Alessano c‟era stata una

Page 185: Rocco Margiotta - Tiggiano

185 Rocco Margiotta

comunità di ebrei, tanto è vero che ancora esiste via

della Giudecca. Il nostro insulto significava che gli

alessanesi erano come gli ebrei (sciudei-giudei), e

cioè spregiudicati e nulla facenti, capaci speculatori

come gli ebrei.

Ventri janchi (I gaglianesi)=non saprei spiegare

come mai ai gaglianesi si appioppasse tale insulto,

evidentemente si presumeva che fossero più coperti di

noi, anche durante l‟estate, per cui la loro pancia

rimaneva sempre bianca, anche d‟estate.

Page 186: Rocco Margiotta - Tiggiano

186 Rocco Margiotta

Mestieri d’una volta esercitati in modo fisso e in

modo ambulante.

Do solo un elenco dei mestieri che si svolgevano in

posto fisso e poi quelli che venivano svolti in modo

ambulante.

A posto fisso.

Beccaio - farraru – filatrice - furnaru - maniscalco

– mesciu de trainu - sapunaro - sartu - scarparu –

spaccafricciu - tessitrice - zuccature – venditore di

spirito - stagnino – trappataru.

Ambulanti.

Banditore – capiddhraru - carrettiere –

chiancimorti - cistaru - conzalimmi - guardafili –

mbrellaru – raccoglitrice d’olive – ovaluru – sarta

- sciurnatieri - spigolatrice – tainieri - trifinaru -

ttaccascupe - vinni pisce.

Page 187: Rocco Margiotta - Tiggiano

187 Rocco Margiotta

Conclusione.

Alla fine di questa lunga ricerca, dichiaro che

non sono completamente soddisfatto, in quanto ci

sarebbe stato tanto altro da riportare, ma mi sono

accorto, man mano che proseguivo nel lavoro, che è

quasi umanamente impossibile, poter riportare tutte le

espressioni dialettali nella loro diversa sfaccettatura e

nella molteplicità dei significati e delle intonazioni.

Non essendo quindi la mia ricerca esaustiva, mi

auguro che qualche altro ricercatore, più preparato di

me, più paziente di me, voglia continuare il lavoro da

me iniziato. Io sarò felicissimo di poter sapere che

altri sta completando un lavoro da me appena

accennato. Sarebbe un grande pregio per chi lo vorrà

fare, in quanto si darebbe uno strumento di memoria e

di conoscenza ai giovani, anche ricercatori, anche se

non presentemente motivati, ma che in futuro

sentirebbero la necessità di accostarsi a questo tipo di

ricerca.

Dichiaro da subito che io sono sempre

disponibilissimo a dare il mio contributo alla buona

riuscita di una nuova impresa se alcuna verrà messa

in moto.

Page 188: Rocco Margiotta - Tiggiano

188 Rocco Margiotta

Ringrazio qui la dott.ssa Angela Corvaglia che

pur lavorando a Parigi, ha voluto presentare questa

mia ricerca senza alcuna pretesa di scientificità.

Ringrazio il dott. Carlos Simao, portoghese

d‟origine, ma tiggianese di elezione, per aver saputo

essere di stimolo e di aver voluto, da “straniero”,

rendersi maggiormente conto della nostra più atavica

comuinicazione; penso di averlo aiutato un pochino a

penetrare maggiormente nell‟animo dei tiggianesi

attraverso una conoscenza migliore e maggiore del

nostro volgare.

Page 189: Rocco Margiotta - Tiggiano

189 Rocco Margiotta

Bibliografia. 1 Dal Convegno di Messina del 1964 alla Monografia

del Salento. E‟ una raccolta di fotocopie 2 Dal Convegno di Messina…....op. cit.

3 Dal Convegno di Messina…... op. cit.

4 Dal Convegno di Messina……op.cit.

5 Dal Convegno di Messina……op. cit.

6 Dal Convegno di Messina……op. cit.

7 Dal Convegno di Messina……op.cit.

8 C.N.R. Centro Studi per la Dialettologia italiana.

“Oronzo Parlangèli”. Padova, Salento. Monografia

Regionale della Carta dei Dialetti Italiani. A cura di

G. B. Bancarella, Edizioni del Grifo, Lecce 1998. In

“Dal convegno di Messina del 1964 alla Monografia

del Salento”. 9 Oronzo Parlangèli, Scritti di Dialettologia, Ristampa

a cura di G. Falcone-G.B. Bancarella, Congedo,

Galatina MCMLXXII, pagg. 12-13. 10

Stefano Leonardo Imperio, Alle origini del dialetto

pugliese, Schena editore, 1990. 11

Tutte le voci di questo elenco le ho dedotte da:

Stefano Leonardo Imperio, op. cit. 12

Franca Assante, Città e campagne nella Puglia del

secolo XIX.

Page 190: Rocco Margiotta - Tiggiano

190 Rocco Margiotta

L‟evoluzione demografica. Genève, Libreie Droc,

1974, pag. 425. Introduzione IX – X – XI.

Page 191: Rocco Margiotta - Tiggiano

191 Rocco Margiotta

Bibliografia Consultata.

1) Amministrazione comunale di Spongano, C‟era una

volta…i mestieri, Piero Manni editore, Lecce 1998.

2) Francesco D‟Elia, Vita e opere di Giuseppe De

Domicis (Capitano Black), a cura di M. Congedo e M.

Paone, 2 volumi, Congedo editore, Galatina 1976.

3) G. Bronzini, Folk-lore e cultura tradizionale,

Adriatica editrice, Bari 1970.

4) Gino Meuli, I dialetti del capo di Leuca, Grafiche

Panico, Galatina 2004.

5) Mario D‟Elia, Corso di filologia romanza-aspetti

della latinità volgare nel medioevo, Facoltà di

Magistero, Lecce Anno accademico 1968-69.

6) Ottocento dialettale salentino, a cura di Ribelle

Roberti, 1° volume, Editrice Pajano, Galatina 1950.

7) Speciale Quotidiano (Supplemento), Pani, Pesci e

Briganti - Piatti da leggere, storie da mangiare, a cura

di Antonio Maniglio, Lecce Giugno 1991.

Page 192: Rocco Margiotta - Tiggiano

192 Rocco Margiotta

Indice

Presentazione Pagina 1

La carta dei dialetti “ 8

Il Salento nella storia linguistica “ 12

Romanizzazione del Salento “ 15

Il dialetto salentino “ 19

Per quale motivo pubblicare ricerche

di dialettologia? “ 23

La fonetica “ 28

Le aree dialettali “ 32

Il dialetto di Tiggiano “ 41

Espressioni dialettali tiggianesi “ 44

Proverbi tiggianesi “ 104

I soprannomi tiggianesi “ 119

Oronimìa tiggianese “ 127

Antichi toponimi stradali “ 135

Monete, pesi e misure “ 136

Cucina tigginaese “ 141

Giochi e divertimenti “ 170

Insulti tiggianesi “ 183

I mestieri fissi e ambulanti “ 185

Conclusione “ 186

Bibliografia “ 188

Bibliografia consultata “ 190