Rivista n°2 2013

79
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013 Rivist sta a di M Med e ic cin ina Veterina naria, v vol o . 49 49, n. 2, 20 013 1 RIVISTA di MEDICINA VETERINARIA VOL. 49 - n. 2 - Agosto-Dicembre 2013 DAL PROSSIMO NUMERO DISPONIBILE SOLO ONLINE maggiori informazioni all’interno

description

 

Transcript of Rivista n°2 2013

Page 1: Rivista n°2 2013

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013Riviststa a di MMede iccinina Veterinanaria, vvolo . 4949, n. 2, 200131

RIVISTA di

MEDICINA

VETERINARIAVOL. 49 - n. 2 - Agosto-Dicembre 2013

DAL PROSSIMO NUMERO

DISPONIBILE SOLO ONLINE

maggiori informazioni all’interno

Page 2: Rivista n°2 2013

RIVISTA di

MEDICINA

VETERINARIA“Recensita da CAB Abstracts”

Pubblicazione semestrale di informazione e aggiornamento su temi inerenti

la ricerca scientifica e la tecnologia veterinaria e zootecnica

Direttore scientifico

Silvano Carli

Direttore responsabile

Giorgio Valla

Comitato di redazione

D. Bizzarri; C. Camoni; P. Casappa; F. Cozzi;

A. Fiorentini; A. Galuppini; A. Meini; L. Montanari

Segretaria di redazione

Irma Lucarelli

Redazione e Amministrazione

Viale Colleoni 15 - 20864 Agrate Brianza (MB) - Tel. 039.6559.442

I Medici Veterinari interessati a ricevere in abbonamento gratuito la Rivista di Medicina Veterina-

ria o a variare il recapito di consegna della stessa (allegare il talloncino con il precedente indirizzo)

sono pregati di scrivere a CEVA SALUTE ANIMALE S.p.A. - Rivista di Medicina Veterinaria -

Viale Colleoni 15 - 20864 Agrate Brianza (MB) - Fax 039.6559.244 - E-mail: [email protected].

I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati.

CEVA SALUTE ANIMALE S.p.A. - Autorizzazione del Tribunale di Monza n. 1719 del 14/2/2004

Stampa: GRAFICADUE PRINT srl - Cinisello Balsamo (MI)ASSOCIATO ALL’USPI - UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Page 3: Rivista n°2 2013

1

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

Sommario

Sezione RUMINANTI

La flogosi nelle patologie uterine del bovino e il ruolo di BoHV-4Sarah Jacca, Valentina Franceschi pag. 29

Ipocalcemia sub-clinicaDanilo Buoli pag. 33

Utilizzo del dispositivo intravaginale a lento rilascio diprogesterone, nella terapia dell’anaestro di tipo i, ii, iii: prova in campoGiovanni Gnemmi pag. 43

L’associazione benazepril-spironolattone (Cardalis®) come primo trattamento in cani affetti da insufficienza cardiaca congestizia causata da degenerazione cronica della valvola mitralica -Studio FILIT (FIrst LIne Treatment)

P. Ovaert, E. Guillot, V. Grassi, E. Ollivier pag. 7L’importanza della visita clinica cardiologica Oriol Domenech, Federica Marchesotti pag. 15

L’uso della Cabergolina nella gestione dei tumori mammari della cagnaMaria Carmela Pisu pag. 25

Sezione ANIMALI DA COMPAGNIA

Comparazione dell’efficienza in scrofette puberi di un trattamento progestinico e di un trattamento progestinico associato a gonadotropine

A. Scollo, E. Catelli, P. Casappa, C. Mazzoni pag. 49

Sezione SUINI

Page 4: Rivista n°2 2013

2

Page 5: Rivista n°2 2013

3

Sezione EVENTI CEVA

ReprodAction Meeting - Gestione riproduttiva delle manze in allevamenti da latte

Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012 pag. 55

Abstracts and research digest - Estratti di articoli selezionati comparsi su altre riviste veterinarie

Effetto della somministrazione di meloxicam su sensibilità al dolore, ruminazione e sintomi clinici in bovine da latte affette da mastiti cliniche indotte da endotossine

G. Valla pag. 69

Tassi di luteolisi e di gravidanza in bovine da latte dopo trattamento con cloprostenolo o dinaprost

G. Valla pag. 71

Nella bovina da latte il trattamento con progesterone prima dell’inseminazione artificiale favorisce la sincronizzazione dell’ovulazione, aumenta i tassi di gravidanza per inseminazione eriduce le perdite di gravidanza dopo l’inseminazion

G. Valla pag. 73

Page 6: Rivista n°2 2013

4

B. Riccio

Page 7: Rivista n°2 2013

5

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

IL RINNOVAMENTO CONTINUA

Gentile lettrice, gentile lettore

Con la pubblicazione del n°1-2012 è iniziato, per la Rivista di Medicina Veterinaria, un nuovo percorso che ha previsto modifiche nella grafica e l’introduzione di nuove sezioni con l’obiettivo di fornire ai Medici Veterinari uno strumento che possa essere utile nell’acquisizione di ulteriori conoscenze ed approfondi-menti nel campo della Medicina Veterinaria.

Ma i tempi cambiano e con questi cambia anche il modo di comunicare ed il modo di fruire degli stru-menti di aggiornamento. Nel solco di questo cambiamento il Comitato di Redazione ha deciso che dal prossimo numero (n°1 del 2014) la Rivista di Medicina Veterinaria, che molti di voi già ricevono la Rivista unicamente o anche in formato elettronico.sarà inviata solo in formato elettronico e non più in forma cartacea. Di seguito, i lettori che attualmente ricevono la Rivista unicamente in formato cartaceo, troveranno i rife-rimenti utili per la comunicazione dell’indirizzo di posta elettronica al quale, ne caso in cui non sia stato comunicato in precedenza, potrà essere inviata la Rivista di Medicina Veterinaria.

In ultimo, ma non per ultimo, questo cambiamento contribuirà a ridurre la quantità di carta utilizzata con riflessi positivi, sia pur limitati, sulla protezione dell’ambiente.

Confidiamo che questa scelta sia apprezzata e possa consentire un migliore utilizzo dei contenuti della Rivista

Un cordiale saluto

Il Comitato di Redazione

Editoriale

Per ricevere la Rivista in formato digitale scrivi una mail all’indirizzo [email protected] oppure collegati al sito www.ceva-italia.it/Rivista

Page 8: Rivista n°2 2013

6

B. Riccio

Page 9: Rivista n°2 2013

7

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

Parole Chiave: spironolattone, benazepril, cane, insufficienza car-

diaca, compliance, qualità di vita

Negli ultimi anni sono stati condotti numerosi studi clinici

(Bench Study Group, 1999; Bernay et al., 2010; Besche et al., 2007;

Haggstrom et al., 2008) per valutare l’efficacia dei diversi farma-

ci utilizzati nella gestione dell’ insufficienza cardiaca congestizia

(CHF) causata da degenerazione cronica della valvola mitralica del

cane (CDVD).

Si è trattato di studi prospettici, a singolo o doppio cieco, com-

parativi o con controllo placebo, basati principalmente sulla valu-

tazione dell’efficacia dei preparati farmaceutici. Tra i parametri in

genere considerati sono stati spesso trascurati aspetti importanti

come la praticità di utilizzo dei preparati da parte di proprietari e

veterinari, la compliance e l’appetibilità dei prodotti.

Lo “Studio FILIT” descrive l’impiego clinico di un’associazio-

ne tra benazepril e spironolattone, recentemente approva-

ta in Europa (Cardalis ), come primo trattamento in cani con

CHF causata da CDVD. Nel corso dello studio, insieme a ef-

ficacia e sicurezza, sono stati valutati anche la compliance

alla terapia, l’appetibilità del preparato farmaceutico e la fa-

cilità di somministrazione da parte di proprietari e veterinari.

METODI

Criteri di inclusione ed esclusione

I cani ammessi allo studio erano portatori di CHF causata da

CDVD, confermata dalla presenza di soffi cardiaci, intolleranza allo

sforzo, dispnea, edema polmonare, cardiomegalia da radiografia

(Buchanan Vertebral Heart Size [BVHS] > 10.5) e ingrossamento

atriale sinistro da ecocardiografia (Rapporto Atrio Aorta Sinistri

[LA/Ao] ≥ 1.5).

I cani non sono stati inclusi nello studio se in precedenza erano

stati sottoposti ad altro trattamento farmacologico o erano porta-

tori di una malattia cardiaca diversa da CDVD.

L’associazione benazepril-spironolattone (Cardalis®) come primo trattamento in cani affetti da insufficienza cardiaca congestizia causata da degenerazione cronica della valvola mitralica - Studio FILIT (FIrst LIne Treatment)

P. Ovaert*, E. Guillot*, V. Grassi+, E. Ollivier+

* Ceva Santé Animale, Medical Services, Companion Animals, Libourne, France+ Ceva Santé Animale, Research and Development, Libourne, FranceAutore cui inviare la corrispondenza: [email protected]

Trattamenti

Il protocollo terapeutico ha previsto 2 diversi periodi di trattamen-

to. La terapia è iniziata con la somministrazione di Cardalis® (0.25

mg di benazepril e 2 mg di spironolattone per kg di peso cor-

poreo) una volta al giorno per 3 mesi (periodo di trattamento 1)

ed è continuata per altre 2 settimane con una somministrazione

giornaliera di benazepril (Fortekor ) + spironolattone (Prilactone )

(periodo di trattamento 2).

Nei soggetti sottoposti alla prova era ammessa la somministrazio-

ne di altri farmaci come furosemide e pimobendan. In caso di

necessità era autorizzato anche il ricorso alla somministrazione di

una dose doppia di benazepril.

Il ricorso ad altre terapie convenzionali era consentito se queste

non interferivano con l’attività dei farmaci oggetto della valutazio-

ne sperimentale.

Follow-up

Lo studio prevedeva l’effettuazione di 5 visite veterinarie obbliga-

torie che comprendevano: un esame clinico generale, la misura-

zione della pressione sanguigna e la valutazione del profilo emato-

logico e ematochimico.

Al giorno 0 (D0) sono stati effettuati un ECG, un’ecocardiografia e

una radiografia toracica. La radiografia toracica è stata ripetuta al

giorno 84 (D84) (tabella 1).

Ad ogni visita il proprietario doveva compilare un modulo (il que-

stionario Functional EvaluaTion of Cardiac Health (FETCH) (Freeman

et al., 2012) per documentare la qualità di vita del cane (QOL).

Durante la prima settimana di ciascuno dei due periodi di trat-

tamento, il proprietario doveva annotare se il cane assumeva le

compresse con facilità o no. Inoltre, i proprietari e i ricercatori do-

vevano valutare la comodità d’impiego di Cardalis® e la preferenza

nei confronti di Benazepril + Prilactone .

Page 10: Rivista n°2 2013

8

P. Ovaert - E. Guillot - V. Grassi - E. Ollivier

Valutazione dei risultati

Sono stati analizzati tutti i dati derivanti la popolazione canina glo-

bale arruolata per la prova. E’ stata confermata l’efficacia nel perio-

do di trattamento 1, mentre altri parametri sono stati valutati per

tutto il periodo dello studio.

Si è confermata l’efficacia del trattamento in (a) cani che sono stati

trattati con Cardalis durante lo studio e in (b) cani che sono stati

trattati con Cardalis e con un altro trattamento cardiaco conco-

mitante (Cardalis + CCT) almeno una volta durante lo studio

RISULTATI

Caratteristiche della popolazione al momento dell’inclusione

101 cani di proprietà sono stati reclutati da 28 centri di ricerca in

Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Slovacchia. Circa la metà

dei soggetti era composta da maschi e l’altra metà da femmine.

Con una età media di 11 anni, una maggioranza di cani di piccola

taglia e con un peso medio di 11,8 kg, la popolazione reclutata

era rappresentativa della comune popolazione di cani cardiopatici

con CDVD.

In accordo con i criteri di inclusione, tutti i cani presentavano di-

spnea, intolleranza allo sforzo, soffio cardiaco, cardiomegalia, ede-

ma polmonare e ingrossamento atriale sinistro.

La maggior parte dei cani presentava tosse (87.1%) e/o ridotta vi-

talità (60.4%). Quasi il 90% dei cani era portatore di insufficienza

cardiaca di classe II. Ulteriori dettagli sono inseriti nella tabella 2.

TABELLA 1

programma visite.

Periodo di trattamento Periodo 1 (Cardalis®) Periodo 2 (Benazepril+ Prilactone®)

Nr. visita V1 V2 V3 V4 V5

No. giorno (D). (Nr. Mese (M)

D0 D7±1 D28±2 (M 1)

D84±3 (M 3)

D98±3 (M 3.5)

Veterinario

Esame clinico * X X X X X

Pressione sanguigna arteriosa X X X X X

Esame del sangue (ematologia

e ematochimica)

X X X X X

ECG X

RX toracica X X

Ecocardiografia X

Proprietario

QOL (punteggio Fetch) X X X X X

Registrazione assunzione

(per appetibilità)

Prima settimana periodo di studio

Prima settimana periodo di studio

TABELLA 2

Caratteristiche dei cani all’inclusione (n=101, numero di casi e %).

Età 11.0±2.7 anni (da 3.1 a 18.0)

Peso corporeo 11.8±7.5 kg (da 2.8 a 42.6)

Sesso

Maschio

Femmina

55 (54.5%)

46 (45.5%)

Razze

Cavalier King Charles Spaniel

Barboncino

Russel Terrier

Yorkshire Terrier

Brittany Spaniel

Meticcio

Altre razze

16 (15.8%)

10 (9.9%)

9 (8.9%)

6 (5.9%)

5 (5.0%)

16 (15.8%)

39 (38.6%)

BVHS 12.0 ± 2.2 (10.6 to 26.5)

LA/Ao 2.0 ± 0.4 (1.5 to 3.7)

Classe di insufficienza cardiaca

IA e IB

II

IIIA

IIIB

0 (0.0%)

90 (89.1%)

11 (10.9%)

0 (0.0%)

Punteggio FETCH 25.8 ± 12.8 (da 6.0 a 61.0)

* Esame clinico: segni clinici (dispnea, tolleranza allo sforzo, tosse, scarsa vitalità), soffio cardiaco (punteggio da 0 a 6), classe ISACHC di insufficienza cardiaca

Page 11: Rivista n°2 2013

9

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

Trattamenti cardiaci concomitanti

In linea con i criteri di inclusione, al momento dell’inclusione

nessuno dei cani era già stato sottoposto a terapie cardiache.

In aggiunta a Cardalis®, su una popolazione totale di 36 cani, al

momento dell’inclusione nello studio, è iniziato un trattamento

cardiaco (35.6%, vedasi tabella 3) che in seguito è stato effettuato

anche su altri 9 cani (8.9%). Considerato che durante lo studio 56

cani (54.4%) sono stati trattati solo con Cardalis®, un totale 45 cani

(44.6%) ha ricevuto, almeno una volta, un trattamento cardiaco

concomitante (CCT) durante lo studio stesso.

Nello specifico, furosemide è stato prescritto a 37 cani (36.6%), a

dosi medie di 3.6 ± 1.9 mg/kg/giorno, e pimobendan è stato pre-

scritto a 28 cani (27.7%), a dosi medie di 0.5 ± 0.4 mg/kg/giorno. In

nessuno dei cani è stato necessario raddoppiare la dose di bena-

zepril alle condizioni di protocollo.

EFFICACIA DI CARDALIS®

Segni clinici e classe di insufficienza cardiaca

Nella popolazione globale, tutti i sintomi clinici (dispnea, intolle-

ranza allo sforzo, tosse, diminuita vitalità) e la classificazione dell’in-

sufficienza cardiaca sono migliorati rapidamente e significativa-

mente sino a D7 e poi ulteriormente sino al D28. E’ stata osservata

una stabilizzazione dei sintomi clinici fino al D84 (figure 1 e 2 per

dispnea e intolleranza allo sforzo). Il miglioramento dei sintomi cli-

nici era coerente con l’evoluzione della classificazione dell’insuffi-

TABELLA 3

Trattamenti cardiaci concomitanti iniziati all’inclusione (numero

di cani e %, n=101).

Trattamento Cardiaco

ConcomitanteN (%)

Totale furosemide

Totale pimobendan

Furosemide 14 (13.9%)

29 (28.7%)Furosemide + Pimobendan

15 (14.9%)

21 (20.8%)

Pimobendan 6 (5.9%)

Altri 1 (0.99%)

Nessun trattamento

66 (65.3%)

cienza cardiaca (figura 3).

Nella popolazione trattata solo con Cardalis®, dispnea e intolle-

ranza allo sforzo sono migliorati in una percentuale maggiore di

animali rispetto al gruppo trattato con Cardalis® + CCT (diagrammi

1 e 2). Risultati analoghi sono stati osservati per il sintomo tosse e

per la ridotta vitalità. Anche l’evoluzione dell’insufficienza cardiaca

è migliorata nel gruppo che è stato trattato solo con Cardalis®.

DIAGRAMMA 1

Evoluzione Dispnea.

Popolazione globale (101 cani): rispetto all’inclusione, la dispnea è

migliorata rispettivamente del 52.5, 65.3 e 56% nei cani a D7, D28 e D84.

Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani): rispetto alla inclusione, la

dispnea è migliorata rispettivamente del 49.1, 71.7 e 60.4% nei cani a D7,

D28 and D84.

Cani trattati con Cardalis® e con almeno un concomitante trattamento

cardiaco (56 cani): rispetto all’inclusione, la dispnea è migliorata rispettiva-

mente del 56.8, 57.1 e 50.0% nei cani a D7, D28 e D84.

Page 12: Rivista n°2 2013

10

P. Ovaert - E. Guillot - V. Grassi - E. Ollivier

DIAGRAMMA 2

Evoluzione dell’intolleranza allo sforzo.

Popolazione globale (101 cani): Rispetto all’inclusione, l’intolleranza

allo sforzo è migliorata rispettivamente del 41.4, 61.1 e 57.1% nei cani a

D7, D28 e D84.

Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani): rispetto all’inclusione, l’intol-

leranza allo sforzo è migliorata rispettivamente del 30.9, 60.4 e 64.2% nei

cani a D7, D28 e D84.

Cani trattati con Cardalis® e con almeno un concomitante tratta-

mento cardiaco (56 cani): rispetto all’inclusione l’intolleranza allo sforzo

è migliorata rispettivamente del 54.5, 61.9 e 47.4% nei cani a D7, D28 e

D84.

DIAGRAMMA 3

Evoluzione della classe di Insufficienza cardiaca.

Popolazione globale (101 cani)

Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani) Cani trattati con Cardalis® e con almeno un trattamento

cardiaco concomitante (56 cani)

Page 13: Rivista n°2 2013

11

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

Popolazione globale (101 cani): rispetto

all’inclusione, il punteggio Fetch è migliorato

rispettivamente del 39.5, 55 e 50.8% a D7, D28 e

D84.

Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani):

rispetto alla inclusione, il punteggio Fetch è

migliorato rispettivamente del 39.5, 56.1 e 61.4%

a D7, D28 e D84.

Cani trattati con Cardalis® e con almeno

un concomitante trattamento cardiaco (56

cani): rispetto all’inclusione, il punteggio Fetch è

migliorato rispettivamente del 39.3, 54.2 e 38% a

D7, D28 e D84.

Parametri radiografici

Nella popolazione globale, i risultati degli esami radiografici BVHS

effettuati al D84 (11.9 ± 2.4) sono risultati comparabili con quelli

registrati al D0 (12.0 2.2). L’edema polmonare è migliorato o è

rimasto di modesta gravità nell’ 86.5% dei cani, rilievo anch’esso

coerente con il miglioramento dei sintomi clinici e della classifica-

DIAGRAMMA 4

Evoluzione del punteggio Fetch.

Popolazione globale (101 cani): rispetto all’inclusione, il punteggio

Fetch è migliorato rispettivamente del 39.5, 55 e 50.8% a D7, D28 e D84.

Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani): rispetto alla inclusione,

il punteggio Fetch è migliorato rispettivamente del 39.5, 56.1 e 61.4%

a D7, D28 e D84.

Cani trattati con Cardalis® e con almeno un concomitante tratta-

mento cardiaco (56 cani): rispetto all’inclusione, il punteggio Fetch è

migliorato rispettivamente del 39.3, 54.2 e 38% a D7, D28 e D84.

zione dell’insufficienza cardiaca (diagramma 4).

Nella popolazione trattata solo con Cardalis®, l’edema polmonare

è migliorato o è rimasto di modesta gravità nel 96,2% dei cani al

D84, mentre la percentuale si è attestata al 72,2% nei cani trattati

con Cardalis® + CCT (diagramma 5).

DIAGRAMMA 4

Evoluzione del punteggio Fetch.

Page 14: Rivista n°2 2013

12

P. Ovaert - E. Guillot - V. Grassi - E. Ollivier

TABELLA 4

Trattamenti cardiaci concomitanti iniziati all’inclusione (numero

di cani e %, n=101).

Cardalis® Benazepril

Ingestione spontanea senza cibo 34.9% 19.6%

Ingestione spontanea con cibo 57.2% 71.4%

Somministrazione forzata 7.9% 8.9%

Progressione della qualità di vita (valutata dai proprietari)

Se paragonato a quello registrato al momento dell’inclusione,

il punteggio del questionario FETCH nella popolazione canina

globale ha mostrato una diminuzione del 40% al D7 e del 55% al

D28, indicando quindi un rapido miglioramento della qualità di

vita percepito dai proprietari. Oltre tali percentuali, il punteggio è

rimasto stabile fino alla fine dello studio (diagramma 5).

In entrambi i sotto-gruppi, la diminuzione del punteggio FETCH è

risultato simile al D7 e al D28. Per contro, al D84, mentre il punteg-

gio FETCH continuava a migliorare nei cani trattati solo con Car-

dalis®, si è registrato un peggioramento nel gruppo di cani trattati

con Cardalis® + CCT.

Sicurezza di Cardalis®

Gli effetti indesiderati registrati sono risultati corrispondenti ai sin-

tomi frequentemente osservati nei cani cardiopatici anziani.

Il loro tipo e la loro frequenza sono apparsi paragonabili alle osser-

vazioni riportate in letteratura (ad esempio, BENCH (Bench Study

Group, 1999), EFFIC (Besche et al., 2007), COVE (Cove Study Group,

1995) studi effettuati con ACEi). I valori di pressione sanguigna e

i parametri sanguigni sono rimasti stabili durante l’intero periodo

dello studio.

CARDALIS® CONFRONTATO CON BENAZEPRIL + PRILACTONE®: COMPLIANCE, APPETIBILITÀ, FACI-LITÀ DI USO

Compliance al trattamento

La compliance al trattamento è risultata migliore per il periodo di

trattamento di 3 mesi con Cardalis (l’86.5 % dei cani presentava

una buona compliance) rispetto al trattamento di 2 settimane con

Benazepril + Prilactone (74.4%). Durante il secondo periodo di

trattamento, la difficoltà era dovuta soprattutto alla necessità di

dover somministrare quotidianamente due diversi prodotti inve-

ce di doverne somministrare solo uno.

Appetibilità

Nel 92.1% dei cani Cardalis è stato ingerito spontaneamente. Se

assunto senza cibo, Cardalis sembra essere più appetibile di Be-

nazepril (tabella 4).

Opinione del proprietario

La percezione del proprietario è stata che il trattamento con Car-

dalis® risulta molto positivo: il 91.7% dei proprietari si è dichiarato

soddisfatto o molto soddisfatto, il 94.4% ha trovato il prodotto fa-

cile o molto facile da somministrare e il 97.2% lo ha trovato pratico

o molto pratico da gestire su base quotidiana.

Più del 97% dei proprietari ha preferito Cardalis rispetto a Benaze-

pril + Prilactone con riferimento alla facilità di somministrazione

e alla comodità d’uso.

Opinione del ricercatore

L’opinione dei veterinari è stata molto positiva: l’88.9% ha trovato

Cardalis più facile da prescrivere rispetto a Benazepril + Prilac-

tone ed il 96.3% ha trovato agevole o molto agevole adattare il

regime di dosaggio.

DISCUSSIONE

Lo “Studio FILIT” ha descritto l’impiego clinico di Cardalis come

primo trattamento in cani con CHF causata da CDVD. La prova

non è stata la classica prova comparativa in cieco o con controllo

placebo, ma le informazioni raccolte nel corso della prova sono

risultate interessanti in quanto descrivono il modo in cui Cardalis®

viene utilizzato nella pratica e come viene percepito da veterinari

e proprietari.

I veterinari, che erano liberi di aggiungere trattamenti convenzio-

nali, hanno associato diuretici a Cardalis nel 36.6% dei cani e pi-

mobendan a Cardalis nel 27.7% dei cani.

I risultati di questo studio hanno dimostrato che Cardalis , sommi-

nistrato come trattamento di prima scelta in cani con CHF causata

da CDVD, è ben tollerato e migliora i sintomi clinici e la classifi-

cazione dell’insufficienza cardiaca entro 1 settimana. Un ulteriore

miglioramento si è registrato entro la fine del primo mese di trat-

tamento, e si è osservata una stabilizzazione per i due mesi succes-

sive dello studio. Questi miglioramenti si sono potuti registrare sia

quando Cardalis® è stato somministrato da solo che in combina-

zione con altri principi attivi (pimobendan, furosemide), ma sono

risultati maggiori quando Cardalis è stato somministrato da solo.

Le valutazioni di proprietari e veterinari sono state identiche; la

qualità di vita dei cani, così come affermato dai proprietari, è mi-

gliorata rapidamente.

Nella prima settimana di trattamento si è ottenuta una importante

diminuzione del punteggio FETCH ed un ulteriore miglioramento

si è registrato fino alla fine del primo mese in tutti i cani.

La qualità della vita dei cani trattati con il solo Cardalis , è

migliorata ulteriormente fino alla fine dello studio.

Ciò non è stato osservato, invece, in cani trattati con Cardalis e

almeno un altro concomitante trattamento cardiaco.

La ragione di ciò non è stata determinata, ma nel gruppo specifico

Page 15: Rivista n°2 2013

13

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

erano inclusi più cani che al momento dell’inclusione presenta-

vano insufficienza cardiaca di classe III e ciò può aver giocato un

ruolo importante.

L’appetibilità di Cardalis si è rivelata buona, con il 92.1% di inge-

stione spontanea; i proprietari e i veterinari hanno ritenuto il pro-

dotto più pratico rispetto al protocollo che prevedeva la sommini-

strazione di due diversi preparati .

Infine, in nessuno degli animali è stato necessario raddoppiare la

dose di benazepril ed anche questo è stato apprezzato dai vete-

rinari.

CONCLUSIONE

Quando somministrato come primo trattamento in cani con

CHF causata da CDVD, Cardalis (preparazione farmaceutica che

combina benazepril e spironolattone) risulta ben tollerato e mi-

gliora le condizioni cardiache (segni clinici valutati dai veterinari e

qualità di vita testimoniata dai proprietari).

Questo miglioramento è stato dimostrato in cani trattati con il solo

Cardalis e in cani portatori di una più severa insufficienza car-

diaca che sono stati invece trattati anche con pimobendan e/o

furosemide.

Cardalis è risultato anche appetibile e la combinazione dei due

farmaci, che fanno entrambe parte della terapia standard per cani

con insufficienza cardiaca (Atkins and Haggstrom, 2012), sembra

poter migliorare la compliance,fattore di grande importanza nei

casi di terapie polifarmacologiche di lunga durata .

BIBLIOGRAFIA

1. Bench Study Group, 1999, The effect of benazepril on survival

times and clinical signs of dogs with congestive heart failure:

Results of a multicenter, prospective, randomized, dou-

ble-blinded, placebo-controlled, long-term clinical trial.

The BENCH (BENazepril in Canine Heart disease) Study Group,

Journal of veterinary cardiology, v. 1, no. 1, p. 7-18.

2. Bernay, F., J. M. Bland, J. Haggstrom, L. Baduel, B. Combes, A.

Lopez, and V. Kaltsatos, 2010, Efficacy of Spironolactone on

Survival in Dogs with Naturally Occurring Mitral Regurgitation

Caused by Myxomatous Mitral Valve Disease, Journal of veteri-

nary internal medicine, v. 24, no. 2, p. 331-341.

3. Besche, B., V. Chetboul, M. P. Lachaud Lefay, and E. Grande-

mange, 2007, Clinical evaluation of imidapril in congestive

heart failure in dogs results of the EFFIC study, The Journal of

small animal practice, v. 48, no. 5, p. 265-270.

4. Haggstrom, J. et al., 2008, Effect of Pimobendan or Benazepril

Hydrochloride on Survival Times in Dogs with Congestive

Heart Failure Caused by Naturally Occurring Myxomatous

Mitral Valve Disease: The QUEST Study, Journal of veterinary

internal medicine, v. 22, no. 5, p. 1124-1135.

5. Freeman, L. M. et al., 2012, Development and evaluation of a

questionnaire for assessment of health-related quality of life in

cats with cardiac disease, Journal of the American Veterinary

Medical Association, v. 240, no. 10, p. 1188-1193.

6. Cove Study Group, 1995, Controlled clinical evaluation of

enalapril in dogs with heart failure : results of the Cooperative

Veterinary Enalapril Study Group, Journal of veterinary internal

medicine, v. 9, no. 4, p. 243-252.

7. Atkins, C. E., and J. Haggstrom, 2012, Pharmacologic manage-

ment of myxomatous mitral valve disease in dogs, Journal of

veterinary cardiology, v. 14, no. 1, p. 165-184.

Page 16: Rivista n°2 2013

14

B. Riccio

Page 17: Rivista n°2 2013

15

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

L’importanza della visita clinica cardiologica

Oriol Domenech DVM, Ms, Dipl. ECVIM-CA Federica Marchesotti DVM Istituto veterinario di Novara, Dipartimento di cardiologia

RIASSUNTO

Le patologie cardiache sono una delle più importanti cause di

morbidità e mortalità negli animali. Nonostante i progressi nell’e-

cocardiografia e nella cardiologia interventistica che hanno per-

messo dei cambiamenti nella diagnosi e gestione delle patolo-

gie cardiovascolari, la visita clinica cardiologica è il punto chiave

nell’identificazione delle patologie cardiache e facilita la diagnosi

nella maggior parte dei casi. Il segnalamento, l’anamnesi, la visita

clinica e l’auscultazione sono i 4 punti principali della visita cardio-

logica ed il clinico, grazie a queste manovre poco invasive e poco

costose, riuscirà ad orientarsi sul problema del paziente e decidere

quali saranno i test diagnostici più corretti per raggiungere una

corretta diagnosi.

ABSTRACT

Diseases of the heart remains an important cause of morbidity

and mortality in animals. While advances in echocardiography

and in interventional cardiology changed the diagnosis and ma-

nagement of the cardiovascular diseases, the cardiological clinical

examination is a key point in the early detection of a heart disease

and facilitates the diagnosis in the majority of the cases. Signal-

ment, anamnesis, clinical examination and auscultation are the 4

key points of the clinical cardiology evaluation, and the clinician

thanks to these minimally invasive and inexpensive maneuvers,

will be able to have the appropriate problem oriented approach to

the patient and will be able to decide which of the diagnostic tests

will be most appropriate to reach a correct diagnosis.

INTRODUZIONE

La cardiologia veterinaria ha avuto in questi ultimi anni un notevo-

le sviluppo delle conoscenze scientifiche sia diagnostico-cliniche

che terapeutiche; l’aumento dell’età media degli animali e la mag-

giore attenzione dei proprietari sul loro stato di benessere ha inol-

tre contribuito ad evidenziare più frequentemente alcune malattie

cardiache e a conoscerle meglio.

La cardiologia rappresenta quindi oggi per il Veterinario un’area di

intervento molto importante e sempre più frequente: conoscere

gli strumenti adeguati per effettuare una corretta visita clinica è

quindi di forte attualità.

La visita consente di approcciare correttamente il paziente anche

dal punto di vista terapeutico, offrendogli le migliori possibilità in

termini di qualità ed aspettativa di vita.

LA VISITA CLINICA

E’ noto come nella cardiologia gli esami strumentali (es. elettrocar-

diogramma, ecocardiografia), siano di fondamentale importanza

diagnostica, tuttavia non si deve dimenticare come anche la visita

clinica, eseguita in modo accurato e scrupoloso, possa orientarci

sul tipo di problema del nostro paziente, facilitandoci la diagnosi

nel 75% dei casi.

E’ per questo motivo che la visita cardiologica rappresenta la base

essenziale ed imprescindibile di qualsiasi accertamento diagnosti-

co strumentale cardiovascolare.

Essa si articola e si sviluppa in 4 punti fondamentali: segnalamento,

anamnesi, visita clinica e auscultazione.

1) SEGNALAMENTO

Il segnalamento, insieme ad una buona anamnesi aiuta il clinico

ad orientarsi sul sospetto diagnostico. E’ molto importante cono-

scere l’epidemiologia delle principali patologie cardiache, soprat-

tutto di quelle congenite, in quanto un riconoscimento precoce

permette di fornire la migliore terapia, sia essa di natura medica o

chirurgica, con lo scopo di migliorare, dove possibile, la prognosi.

Nel segnalamento vanno valutate attentamente:

• età dell’animale: soggetti anziani saranno più facilmente affetti

da patologie cardiache acquisite primarie o secondarie a patolo-

gie sistemiche e/o neoplasie, mentre nei cuccioli o negli animali

giovani andranno prese in considerazione patologie cardiache

congenite o secondarie a patologie infettive, le quali possono

causare endocarditi, miocarditi o pericarditi [2]. La prevalenza

di alcune patologie, come per esempio degenerazione mixo-

matosa valvolare, è fortemente correlata all’età: si passa da una

Page 18: Rivista n°2 2013

16

F. Marchesotti

piccola percentuale nei cani giovani, a circa il 75% nei cani con

età superiore a 16 anni [2].

• Razza e taglia dell’animale: per quasi ogni patologia, sia acqui-

sita che congenita, esiste una predisposizione di razza. La car-

diomiopatia dilatativa, per esempio, è tipica dei cani di taglia

gigante/media, con particolare predisposizione per gli Alani, e i

Dobermann Pinscher [2]. Anche per le patologie congenite esi-

ste una predisposizione di razza (Tabella 1). Uno dei più recenti

studi a tale proposito è stato pubblicato nel 2011 e ha valutato

l’epidemiologia delle patologie congenite in 976 cani italiani [5].

Da questo lavoro è emerso che in Italia la patologia congenita

più comune nel cane è la stenosi polmonare (32,1%), seguita

dalla stenosi sub-aortica (21,3%) e dal dotto arterioso pervio

(20,9%) [5].

2) ANAMNESI

Anamnesi e visita clinica sono i punti chiave della diagnosi. Esse

sono cruciali per le decisioni riguardanti la valutazione clinica e la

terapia.

Un’accurata e precisa anamnesi fornisce importanti informazioni

sul paziente cardiologico. Una buona anamnesi aiuta il clinico a

riconoscere dove è localizzato il problema, a distinguere tra pato-

logia respiratoria e patologia cardiaca, a determinare la frequenza

e la gravità dei sintomi, a valutare la risposta alla terapia, a de-

terminare la presenza di altre patologie concomitanti ed infine,

ma non meno importante, a stabilire un rapporto di fiducia con

il cliente.

Durante l’approccio iniziale è importante che il proprietario forni

sca le informazioni secondo il proprio punto di vista, che dipende-

ranno dallo stato d’animo e dall’esperienza con gli animali. Spesso

fornirà delle informazioni non rilevanti, che il clinico dovrà essere

in grado di filtrare, ma altrettanto spesso potrà fornire delle indica-

zioni cruciali sullo stato clinico del paziente, sentendosi ascoltato e

messo a proprio agio. Un altro tassello importante durante la rac-

PATOLOGIA CONGENITA RAZZA

Stenosi polmonare Boxer

Meticcio

Bulldog Inglese

Bulldog Francese

Pinscher

Pastore tedesco

Beagle

West Highland White Terrier

America Staffordshire Terrier

Chihuahua

Cavalier King Charles Spaniel

Cocker Spaniel

Pitbull Terrier

Rottweiler

Terranova

Golden Retriever

Shih-Tzu

Yorkshire Terrier

Mastino Italiano

Barbone

Schnautzer

Stenosi sub-aortica Boxer

Pastore tedesco

Dog de Bordeaux

Terranova

Rottweiler

Golden Retriever

Dotto arterioso Pastore tedesco

pervio Meticcio

Terranova

Maltese

Dobermann

Barbone

Yorkshire Terrier

Cavalier King Charles Spaniel

Bassotto

Chihuahua

West Highland White Terrier

Volpino di Pomerania

Setter Irlandese

Pastore Belga

Pastore Australiano

Difetto del setto Meticcio

interventricolare Pinscher

Bulldog Francese

Pastore Tedesco

Labrador Retriever

Stenosi Aortica Boxer

Bull Terrier

Pastore Tedesco

Displasia della Labrador Retriever

tricuspide Boxer

Pastore Tedesco

Bulldog Inglese

Golden Retriever

TABELLA 1

predisposizione di razza delle patologie congenite. Tratto da:

Retrospective Review of Congenital Heart Disease in 976 Dogs.

Oliveira P., Domenech O., et al. J Vet Intern med 2011.

Page 19: Rivista n°2 2013

17

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

colta dell’anamnesi è l’essere consapevoli del fatto che non tutte

le informazioni importanti saranno fornite dal proprietario, a causa

dell’incompleta osservazione dei segni clinici o di un’ interpre-

tazione sbagliata della sintomatologia da parte di quest’ultimo.

Il clinico quindi deve essere in grado di interrogare in maniera gui-

data il proprietario sul tipo di sintomatologia, per cercare di foca-

lizzare i sintomi di interesse cardiologico (Tabella 2) [3], senza però

dimenticare il concetto che un animale è fatto di più organi.

A volte è utile avere una schema scritto in modo tale da essere

sicuri di non tralasciare nulla di importante.

Questo schema dovrà comprendere, oltre al segnalamento, l’anam-

nesi ambientale (dove vive l’animale e se è a contatto diretto con

altri animali), le informazioni riguardanti il tipo di dieta, l’anamnesi

remota (patologie presenti in passato e tipi di trattamento), lo stato

vaccinale del paziente, il tipo di profilassi eseguita (filaria, pulci e

zecche), le eventuali terapie in atto (dosaggio, durata e risposta alla

terapia) e l’accurata valutazione su eventuali sintomi presenti.

3) VISITA CLINICA

Una scrupolosa visita clinica completerà le informazioni ricevute

dall’anamnesi e dal segnalamento. La visita clinica già inizia men-

tre l’animale entra in ambulatorio. Molto importante è osservare il

proprio paziente, ancora prima di manipolarlo. Questo permetterà

di valutare:

• Body condition score: l’insufficienza cardiaca cronica può por-

tare alla cosìdetta cachessia cardiaca[4]. Questo calo ponderale

negli animali con insufficienza cardiaca è diverso da quello di

un cane sano che perde peso [4]. In un animale sano che sta

ricevendo una quantità di calorie insufficiente a soddisfare i fab-

bisogni, il grasso funge da fonte energetica primaria e ciò contri-

buisce a preservare la massa corporea magra [4]. In un cane con

insufficienza cardiaca la fonte primaria di energia è rappresen-

tata dagli amminoacidi di derivazione muscolare, il che porta

ad una perdita della massa corporea magra [4]. Ciò comporta,

oltre alla perdita di peso, anche la perdita di massa muscolare,

in particolare a livello di regione temporale della testa e a livel-

lo di regione dorsale dell’area lombare (Figura 1) [3]. Questo

processo è molto complesso e l’eziologia è multifattoriale ed

è causato dall’anoressia (presente nel 34-75% dei cani cardio-

patici), malassorbimento ed aumento della produzione di varie

citochine infiammatorie come il fattore di necrosi tumorale e

l’interleuchina 1 [4].

SINTOMI PIU’ COMUNI NEI PAZIENTI

CON PATOLOGIE CARDIACHE

Tosse

Dispnea

Sincopi

Debolezza/intolleranza all’esercizio

Distensione addominale

Perdita di peso

Zoppie

TABELLA 2

sintomatologia in corso di patologie cardiache.

FIGURA 1

cane con cachessia cardiaca in seguito a grave insufficienza mi-

tralica e tricuspidale. Si apprezza la perdita di massa muscolare a

livello di regione temporale della testa e a livello di regione dorsale

dell’area lombare.

E’ noto che queste molecole provocano direttamente anoressia,

aumentando i fabbisogni energetici ed incrementando il cata-

bolismo della massa corporea magra (Figura 2) [4]. Inoltre nel

cucciolo è importante valutare la crescita corporea, confrontan-

dola con quella di eventuali fratelli: infatti la scarsa crescita può

essere indice di una patologia congenita, sia di natura cardiova-

scolare che non [2].

• Respiro: la frequenza ed il tipo di respiro è un’ottima valutazione

iniziale sulla gravità della patologia cardiaca e soprattutto sull’ur-

genza dell’intervento del clinico. Una respirazione frequente e

superficiale è molto spesso presente nei cani durante una visita

clinica. Questo tipo di respiro deve essere distinto dalla vera di-

spnea. Esistono 2 tipi di pattern respiratorio in base alla causa di

dispnea:

- Pattern restrittivo: è caratterizzato da un aumento della fre-

quenza respiratoria e da una riduzione della profondità del

FIGURA 2

Effetti cardiovascolari e nutrizionali delle citochine infiammatorie.

TNF: fattore di necrosi tumorale; IL-1: interleuchina 1.

Page 20: Rivista n°2 2013

18

F. Marchesotti

respiro [2]. E’ causato da una riduzione dei volumi polmonari

determinata da una ridotta compliance dei polmoni o della

parete toracica. Generano questo quadro condizioni quali l’e-

dema polmonare, altri disturbi interstiziali o infiltrativi e la fibrosi

polmonare. Tutte queste patologie riducono l’area disponibile

per gli scambi gassosi, diminuendo la compliance. Essa è an-

che compromessa dal collasso parziale del polmone causato

da accumulo di liquido pleurico o altre alterazioni dello spazio

pleurico [7].

- Pattern ostruttivo: è caratterizzato da un aumento della fre-

quenza e profondità del respiro [2]. E’ causato da patologie

che ostruiscono il lume delle vie respiratorie, a qualsiasi livello

dell’albero respiratorio (es. paralisi laringea, asma) [2].

Nel paziente cardiopatico è anche molto importante la valuta-

zione della frequenza respiratoria a riposo che deve essere infe-

riore ai 30 atti respiratori al minuto. Per questo è fondamentale

che il clinico istruisca il proprietario del paziente sul modo più

semplice di valutarla. L’aumento della frequenza respiratoria a

riposo, nel paziente cardiopatico, può essere un segno precoce

di scompenso cardiaco. Oltre a scopo diagnostico, questa infor-

mazione può essere usata durante la visita clinica per valutare al

meglio la frequenza respiratoria del nostro paziente.

Sono ora disponibili applicazioni on line gratuite ( Cardio Dog-

Ceva Salute Animale) che consentono al proprietario di monito-

rare facilmente la frequenza respiratoria e di mandare il report al

Veterinario curante.

• Intolleranza all’esercizio: animali con patologie cardiache sono

spesso riluttanti al movimento [2, 3]. Con patologie gravi essi

possono anche essere capaci di deambulare per più di qualche

metro [2]. Tuttavia subdoli affaticamenti sono difficili da ricono-

scere e quantificare, per questo è necessario un’accurata anam-

nesi [2].

• Distensione addominale: la distensione addominale causata

dall’ascite è comune nei cani con insufficienza cardiaca destra

conseguente a stenosi polmonare, cardiomiopatia dilatativa,

patologie congenite o acquisite a carico della tricuspide, filariosi

cardiopolmonare [2, 3]. Verificarla è abbastanza semplice, attra-

verso la palpazione addominale o il test del ballottamento [2, 3].

Occasionalmente può essere difficile da identificare in soggetti

obesi e necessita della valutazione ecografica [2].

• Distensione delle vene giugulari: animali con insufficienza

cardiaca destra o patologie pericardiche possono presenta-

re distensione delle vene giugulari e talvolta anche polso

giugulare [2, 3]. Dopo aver osservato molto attentamente l’ani-

male si procede alla visita clinica vera e propria. Gli elementi da

valutare saranno:

• Colore delle mucose e tempo di riempimento capillare: le mu-

cose normalmente si presentano rosee e umide con tempo di ri-

empimento capillare inferiore a 2 secondi [2, 3]. Questi elementi

possono essere influenzati fa numerosi fattori, sia patologici (es.

anemia, policitemia), sia fisiologici (animali molto spaventati) [3].

Per questo tali valutazioni sono spesso poco sensibili per valuta-

re la perfusione tissutale e la massa circolante di eritrociti [3]. Di

solito, nei pazienti con insufficienza cardiaca il colore delle mu-

cose ed il tempo di riempimento capillare è normale, a meno

che non sia presente un grave scompenso [3]. La presenza di

cianosi (colore bluastro delle mucose) può derivare da cianosi di

tipo centrale o cianosi di tipo periferico [7]. La prima è correlata

a concentrazioni > 50 g/l di emoglobina insatura e si riscontra di

solito durante shunts causati da patologie cardiache congenite

quali tetralogia di Fallot e PDA invertito [7]. Quest’ultima con-

dizione causa un particolare tipo di cianosi centrale che viene

definita cianosi differenziale ed è caratterizzata dalla presenza di

cianosi a livello di mucose caudali e non craniali [7]. La cianosi

peiferica è invece correlata ad una scarsa o assente perfusione

periferica [7]. E’ tipica dei gatti cardiopatici in seguito a trombo-

embolismo arterioso [7].

• Palpazione del collo: è molto importante, oltre alla visualizzazio-

ne diretta del collo e delle vene giugulari la palpazione del collo

[3]. Questo esame è particolarmente utile nel gatto con cardio-

miopatia ipertrofica per la valutazione della tiroide, in quanto in

questa specie sono molto comuni patologie della tiroide che

determinano ipertiroidismo e secondariamente patologie car-

diache [3].

• Palpazione addominale: questo tipo di esame viene effettuato

per valutare la presenza di ascite ed epatomegalia [3]. Questi

reperti sono di comune riscontro nell’insufficienza cardiaca de-

stra e nelle patologie con ostruzione della vena cava caudale

[3]. Un’altra manovra che si può eseguire è la valutazione del

riflesso epatogiugulare che si presenta come distensione delle

vene giugulari in seguito ad una compressione addominale cra-

niale di 10-30 secondi [7]. Questa alterazione è associata ad un

aumento della pressione venosa centrale in seguito ad elevate

pressioni in atrio destro [7].

• Palpazione del torace: la palpazione del torace serve per valuta-

re l’itto cardiaco e l’eventuale presenza di fremito [3]. L’itto car-

diaco è di solito anche il punto in cui i toni cardiaci si presentano

di massima intensità [3]. Esso può essere dislocato in seguito alla

presenza di qualsiasi condizione che determina uno sposta-

mento cardiaco all’interno del torace [3]. Nei pazienti obesi può

essere affievolito o assente [2, 7]. Il fremito invece rappresenta

una vibrazione palpabile sulla parete toracica, corrispondente

solitamente al reperto auscultatorio dei soffi cardiaci [7].

• Valutazione del polso arterioso: il polso si basa sulla differenza

tra la pressione arteriosa sistolica e la pressione arteriosa diasto-

lica [7]. L’intensità, la regolarità e la velocità delle onde pressorie

periferiche arteriose si valutano mediante la palpazione del

polso dell’arteria femorale o di altri vasi periferici [7]. Nella de-

Page 21: Rivista n°2 2013

19

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

terminazione del polso sono importanti 3 fattori: la frequenza

cardiaca, la gittata cardiaca e le resistenze periferiche [2]. Il polso

dovrebbe essere sempre valutato contemporaneamente all’au-

scultazione cardiaca. Esistono diversi tipi di polso:

- Polso ipocinetico (debole): può dipendere da un aumento

della frequenza cardiaca (riduzione della durata della diastole

con conseguente aumento della pressione diastolica, la quale

porterà ad una riduzione dell’intensità del polso) oppure da una

riduzione della gittata cardiaca secondaria a insufficienza cardia-

ca congestizia, tamponamento cardiaco o ipovolemia [2]. Tutta-

via in seguito ad un aumento compensatorio delle resistenze

periferiche, questo reperto viene riscontrato in caso di marcata

riduzione della gittata cardiaca [2].

- Polso ipercinetico (forte): l’aumento dell’intensità del polso

può essere causata da un aumento della pressione sistolico e/o

riduzione della pressione diastolica ed è un reperto tipico dei

pazienti con insufficienza aortica, dotto arterioso pervio o fistole

artero-venose [2]. Polso ipercinetico può anche essere presente

nei pazienti con ipertermia, anemia, ipertiroidismo e marcata

bradicardia [2, 3].

- Polso paradosso: è tipico dei pazienti con tamponamento car-

diaco o con masse che comprimono l’atrio destro ed è caratte-

rizzato da una riduzione dell’intensità del polso durante l’inspi-

razione ed un aumento durante l’espirazione [2, 3, 7]. Questo

fenomeno si verifica in quanto, durante l’inspirazione, si assiste

ad una riduzione della pressione intratoracica e intrapericardica

e quindi anche a livello di atrio destro, con conseguente aumen-

to del riempimento ventricolare destro [2, 7]. Tale fenomeno a

sua volta causa uno spostamento del setto interventricolare

verso sinistra con riduzione della portata cardiaca sinistra e calo

della pressione arteriosa [2, 7]. Tale reperto si può riscontrare

quando il calo della pressione arteriosa sistolica durante l’inspi-

razione è maggiore di 10mmHg [2, 3, 7].

- Polso alternante: caratterizzato da un’alternanza ritmica di

polso in seguito a gravi disfunzioni del ventricolo sinistro (es.

cardiomiopatia dilatativa) [2]. Un altro tipo di polso alternante,

caratterizzato però dall’assenza di ritmicità, è quello che si può

riscontrare nella fibrillazione atriale secondaria a cardiomiopatie

o a endocardiosi. Tale polso è caratterizzato da un’alternanza

irregolare di polsi di varia ampiezza e morfologia [5]

- Polso piccolo e tardivo: è tipico dei pazienti con grave stenosi

aortica in cui, in seguito ad un aumento del tempo di eiezione,

presenta un’ascesa lenta ed un picco più tardivo [2].

- Polso irregolare: la frequenza dell’onda sfigmica non è regolare

e non è associata a variazioni della respirazione [2]. E’ tipico di

aritmie quale la fibrillazione atriale primaria. L’intensità del polso

è costante, ma la frequenza è irregolare e non varia con il respiro

(distinguere dall’aritmia sinusale respiratoria).

- Assenza di polso: un numero inferiore di pulsazioni femorali,

rispetto ai battiti cardiaci indica un deficit di polso. Tali deficit

sono causati da aritmie cardiache che generano il battito pri-

ma che si sia verificato l’adeguato riempimento ventricolare (es.

battiti ectopici ventricolari prematuri) [7]. L’assenza di polso è

tipico in pazienti con tromboembolismo o grave ipotensione.

In caso di tromboembolismo è possibile rilevare polso assente

o polso debole simmetrico o asimmetrico in base alla localizza-

zione del trombo [7].

• Pressione arteriosa: La pressione arteriosa esprime l’intensità

della forza con cui il sangue spinge sulle pareti arteriose, ed

è in funzione della portata cardiaca e delle resistenze vascolari

periferiche [7]. Poiché la portata cardiaca è rappresentata dalla

gittata sistolica per la frequenza cardiaca, essa sarà influenzata

dalla contrattilità cardiaca, dal precarico e dal postcarico [3]. Tra

questi parametri esistono interazioni continue [7]. In condizio-

ni normali la pressione arteriosa viene mantenuta entro stretti

limiti dall’attività del sistema nervoso autonomo (barocettori

arteriosi), dal sistema endocrino (es. sistema renina-angioten-

sina-aldosterone, ormone antidiuretico/vasopressina e peptide

natriuretico atriale), dai meccanismi di controllo endoteliali, dal-

le prostaglandine vasodilatatrici e dalla regolazione del volume

di sangue da parte del rene [7]. Si definisce pressione sistolica

la pressione massima che si verifica al momento di ciascuna

eiezione cardiaca [7]. Si definisce pressione diastolica invece, la

pressione minima raggiunta appena prima dell’eiezione succes-

siva [7]. Il valore medio della pressione arteriosa nei cani è circa

133/75 mmHg, mentre nel gatto il valore normale è circa 124/84

mmHg [7]. Si inizia a parlare d’ipertensione quando la pressio-

ne sistolica è 150-180 mmHg [2]. Ovviamente nella valutazione

della pressione si deve valutare lo stato di ansietà del paziente

e devono eseguire più misurazioni per rendere più attendibile il

valore risultante [2]. Gli organi più comunemente danneggiati

dall’ipertensione sono occhi, reni, encefalo e cuore [2]. Se duran-

te una visita clinica viene diagnosticata ipertensione, questi or-

gani dovrebbero essere attentamenti esaminati per valutarne il

danno [2]. In particolare a livello cardiaco l’ipertensione cronica

determinerà ipertrofia del ventricolo sinistro [2]. In pazienti con

assenza di anomalie all’auscultazione, l’ipertensione dovrebbe

essere presa in considerazione come causa d’ipertrofia cardiaca

[2]. L’ipotensione è invece definita quando la pressione sistolica

è inferiore a 80 mmHg [2]. Essa dovrebbe essere presa in consi-

derazione in tutti i pazienti che si presentano con segni clinici

riferibili a una bassa portata cardiaca (es. estremità fredde, polso

periferico debole), shock, perdita di sangue e ottundimento del

sensorio [2].

4) AUSCULTAZIONE

L’auscultazione rappresenta uno dei momenti più importante

della visita clinica. Deve essere effettuata in un luogo silenzioso

Page 22: Rivista n°2 2013

20

F. Marchesotti

e possibilmente con l’animale in stazione quadrupedale. I rumo-

ri respiratori possono interferire con la valutazione cardiaca. Essi

possono essere attenuati chiudendo la bocca dell’animale (se que-

sto presenta tachipnea) oppure chiudendo con un dito una o en-

trambi le narici per qualche secondo. Nel gatto, altra interferenza

all’auscultazione è data dalle fusa. Per ovviare a questo problema si

può provare a fargli annusare un batuffolo di cottone bagnato con

alcool per qualche secondo, e questo in molti casi, dovrebbe inter-

rompere le fuse per qualche secondo o minuto permettendoci di

avere una finestra auscultativa pulita.

Durante l’auscultazione verranno valutati i toni cardiaci, la frequen-

za e il ritmo cardiaco e la presenza di eventuali soffi.

I toni cardiaci sono suoni transitori di breve durata e sono distinti

in:

• Primo tono (S1): associato alla chiusura della valvole atrio-ventri-

colari, all’inizio della sistole ed è normalmente udibile [2].

• Secondo tono (S2): associato alla chiusura delle valvole semi-

lunari aortica e polmonare ed è normalmente udibile. Nei cani

e nei gatti la chiusura della valvola polmonare, in condizioni fi-

siologiche, è immediatamente successiva a quella della valvola

aortica, ma questa differenza normalmente non viene perce-

pita e per questo S2 è percepito come singolo tono [2]. A vol-

te uno sdoppiamento del secondo tono può essere percepito

fisiologicamente in pazienti di grossa taglia, oppure essere un

reperto patologico in corso di shunt con direzione del flusso de-

stro-sinistro (dotto arterioso pervio reverso), stenosi polmonare,

blocco di branca destro [2].

• Terzo tono (S3): segna l’inizio della diastole ed è dato dal riempi-

mento rapido del ventricolo sinistro [2, 3, 7]. E’ un tono a bassa

intensità e corta durata non udibile in soggetti sani. La sua pre-

senza è sempre patologica e determina il galoppo proto-diasto-

lico [2]. Può essere associato a marcato sovraccarico volumetri-

co in corso di cardiomiopatia dilatativa, dotto arterioso pervio

ed insufficienza mitralica [2]. Nei gatti è più comunemente at-

tribuibile a patologia miocardica ipertrofica o restrittiva e può

essere il primo segno rilevabile con l’esame clinico [7]. La sua

presenza è sempre indice di patologia cardiaca [7].

• Quarto tono (S4): è dato dalla contrazione atriale e non è nor-

malmente udibile [2, 3, 7]. La sua presenza è solitamente asso-

ciata a ipertrofia e/o ridotta compliance ventricolare [1]. Talvolta

è udibile in pazienti con blocco atrioventricolare di III grado [1]

specialmente in cani di grossa taglia.

• Click mesosistolico: è un suono a frequenza medio alta, di corta

durata, che sembra originare dalla vibrazione delle corde ten-

dinee della valvola mitralica [2]. Si può auscultare nei cani con

insufficienza mitralica lieve e spesso è associato ad un soffio di

bassa intensità [2].

I soffi cardiaci vengono definiti come vibrazioni auscultabili che

originano dalla presenza di un flusso sanguigno turbolento [7].

Sebbene siano spesso indicatori di patologia cardiaca, alcuni si ve-

rificano in cuori strutturalmente normali (soffi cardiaci innocenti e

funzionali) [7]. I soffi innocenti sono tipici dei cuccioli e sono dovuti

alle ridotte dimensioni delle strutture vascolari, rispetto alla gittata

cardiaca [2]. Sono di solito soffi sistolici , proto-mesosistolici (corta

durata) , di bassa intensità (da I-III/VI), localizzati nella base cardia-

ca sinistra, che cambiano d’intensità in funzione della frequenza

cardiaca ed eccitazione del paziente, e scompaiono solitamente

entro i 4-6 mesi d’età [2]. La distinzione tra soffio innocente o soffio

patologico di corta durata e bassa intensità in un cucciolo è molto

spesso difficoltosa e merita l’ ecocardiografia, ma la conoscenza

della predisposizione di razza delle varie patologie cardiache con-

genite può sicuramente aiutare il clinico nel formulare una dia-

gnosi differenziale. Anche i soffi funzionali non sono associati a

patologie cardiache, ma alla riduzione od aumento della viscosità

del sangue , del volume plasmatico e della frequenza cardiaca [2].

Si possono riscontrare in corso di anemia, ipertermia, gravidanza,

ipertiroidismo ed aumento del tono simpatico [2]. Sono solitamen-

te proto- o meso- sistolici con basso grado d’intensità [2]. Come

già accennato la sola visita clinica non può differenziare un soffio

innocente o funzionale da un soffio patologico di corta durata e

bassa intensità. In uno studio del 2009 sui boxer è risultato che il

52% dei soggetti non presentava segni ecocardiografici di patolo-

gie cardiache congenite, ma che la maggior parte dei soggetti con

patologie cardiache congenite presentava un soffio di bassa inten-

sità [1]. Per questo la sola auscultazione non può essere utilizzata

come test diagnostico ma è senz’altro un campanello di allarme

che motiva l’esecuzione di un esame ecocardiografico [1]. Infatti

può succedere che cardiopatie congenite non vengano diagnosti-

cate in tempo. In uno studio sulle patologie congenite cardiache

in Italia è emerso che l’età media dei pazienti al momento della

diagnosi era superiore ai 2 anni di età [5]. Questo tipo di patolo-

gie dovrebbero essere diagnosticate il più precocemente possibi-

le in modo da ottimizzare la gestione terapeutica e di aumentare

l’aspettativa e la qualità di vita [5]. E’ per questo che l’auscultazione

cardiaca gioca un ruolo importante e potrebbe essere considerato

come il primo passo per la diagnosi delle cardiopatie congenite.

I soffi cardiaci vengono descritti in base a:

• Insorgenza: indica il momento di comparsa all’interno del ciclo

cardiaco [7]. Si possono distinguere in:

- Sistolici (Figura 3): sono i soffi più comuni nei cani (circa l’80

%) e possono iniziare contemporaneamente a S1 e durare fino

a S2 (pansistolici), possono iniziare subito dopo S1 e durare fino

a S2 (olosistolici), oppure possono iniziare con S1 ed estinguersi

prima di S2 (olosistolici) ed infine possono insorgere dopo S1 ed

estinguersi prima di S2 (Proto o Mesosistolici) [2].

- Diastolici (Figura 3): sono meno frequenti e più difficili da iden-

tificare rispetto ai soffi sistolici e si riscontrano comunemente

nella fase precoce diastolica (protodiastolici), attraverso tutta la

Page 23: Rivista n°2 2013

21

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

diastole (olodiastolici), oppure occasionalmente essere presenti

alla fine della diastole (presistolici) [2].

- Continui: sono anche definiti a locomotiva e perdurano du-

rante tutta la durata del ciclo cardiaco [2]. Indicano che tra due

aree connesse vascolarmente esiste un costante e significativo

gradiente di pressione [7]. A frequenze cardiache basse questo

tipo di soffio può non essere udibile verso la fine della diastole

[7].

FIGURA 3

Nomenclatura dei soffi cardiaci in funzione della durata durante la sistole o la diastole.

FIGURA 4

Aree di auscultazione dei soffi cardiaci nell’emitorace sinistro (A) e destro (B) con rappresentazione fonocardiografica dei soffi nelle varie

patologie cardiache (IM: insufficienza mitralica; SP: stenosi polmonare; SSA: stenosi subaortica; PDA: dotto arterioso pervio; DIV: difetto inter-

ventricolare; DT: displasia della tricuspide).

- To and Fro: sono soffi caratterizzati da una componente sistoli-

ca e una diastolica [2].

• Localizzazione ed irradiazione (Figura 4): la localizzazione indica

l’area di proiezione valvolare in cui il soffio presenta maggiore

intensità [2]. Alternativamente la localizzazione può essere de-

scritta semplicemente come basale o apicale [2]. Alcuni soffi si

possono irradiare in altre aree, in base alla direzione del flusso

sanguigno responsabile del soffio [3].

Page 24: Rivista n°2 2013

22

F. Marchesotti

FIGURA 5

diagnosi differenziali in corso di soffi cardiaci patologici.

• Intensità: L’intensità di un soffio in genere viene graduata su una

scala da I a VI (Tabella 3) [7]. Nei pazienti con insufficienza mitra-

lica, stenosi polmonare e stenosi sub-aortica l’intensità del soffio

è di solito direttamente proporzionale alla gravità della patolo-

gia, ad eccezione dei soffi musicali in cui la forte intensità è data

dall’effetto del torace che diventa una cassa di risonanza [2].

TABELLA 3

Scala d’intensità dei soffi.

• Configurazione o tonalità : indica la frequenza del profilo del

soffio durante il ciclo cardiaco in relazione alla forma che de-

scrive sul fonocardiogramma [2]. Si distingueranno così soffi

a plateau (uguale sonorità durante la loro apparizione, tipici

dell’insufficienza mitralica) e soffi crescendo decrescendo (l’in-

tensità aumenta gradualmente fino ad un valore picco, per poi

diminuire, tipici della stenosi aortica o polmonare) [2]. Esiste un

altro tipo di soffio definito “soffio musicale”. Tale soffio è dovuto

alla vibrazione dell’apparato valvolare mitralico dato dal rigurgi-

to ed amplificato dalla gabbia toracica che diventa una sorta di

cassa di risonanza [2]. Di solito si riscontra in corso d’insufficien-

za mitralica lieve o moderata [2] .

Sapere riconoscere le diverse caratteristiche del soffio è fonda-

mentale per il clinico, sia per quanto riguarda la gravità della pa-

tologia, sia perché ci da informazioni utili sull’eziologia. Infatti ogni

patologia cardiaca è caratterizzata da un tipo di soffio cardiaco)

[Figura 5].

Page 25: Rivista n°2 2013

23

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

CONCLUSIONI

La visita clinica è quindi fondamentale, poiché attraverso ma-

novre poco invasive e soprattutto poco costose per il clien-

te, il clinico potrà essere in grado di orientarsi sul problema

dell’animale e decidere quale approfondimento diagnostico

riterrà più opportuno in modo di arrivare alla diagnosi di for-

ma ordinata ed orientata al problema, aumentando così la

percentuale di esito di arrivare ad una diagnosi corretta.

E’ anche un fondamentale servizio per il Cliente, sempre più esi-

gente ed attento alla qualità offerta.

BIBLIOGRAFIA1. Bussadori C., Pradelli D., Borgarelli M-, Chiavegato D., D’Agnolo

G., Menegazzo L., Migliorini F., Santilli R., Zani A., Quintavalla C.

Congenital heart disease in boxer dogs: results of 6 years of

breed screening. The Veterinary Journal. 2009; vol. 181, n. 2:

187-192.

2. Ettinger S.J., Feldman E.C. Textbook of Veterinary Internal Me-

dicine 7th edition. Saunders Elsevier, Missouri; 2007.

3. Fox R.S., Sisson D., Moїse S. Textbook of Canine and Feline Car-

diology 2 nd edition. W. B. Saunders Company, Pennsylvania;

1999.

4. Freeman L.M., Rush J.E. Enciclopedia della nutrizione clinica

del cane: malattie cardiovascolari, modulazione nutrizionale.

5. Oliveira P., Domenech O., Silva J., Vannini S., Bussadori R., Bus-

sadori C. Retrospective Review of Congenital Heart Disease in

976 Dogs. Journal of Veterinary Internal Medicine. 2011; vol.

25, n. 3: 477-483.

6. Rawles J.M., Rowland E. Is the pulse in atrial fibrillation irregu-

larly irregular? British Heart Journal. 1986; vol. 56, n. 1: 4-11.

7. Ware W.A. Edizione italiana a cura di Domench O. Malattie

dell’apparato cardiovascolare. UTET S.p.A. Torino; 2008.

Page 26: Rivista n°2 2013

24

B. Riccio

Page 27: Rivista n°2 2013

25

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

L’uso della Cabergolina nella gestione dei tumori mammari della cagna

Maria Carmela PisuDVM, Libero Professionista ECAR Resident

KEYWORDS:

mammary tumours, prolattin, cabergoline.

RIASSUNTO

Nella cagna intera i tumori mammari sono i secondi per incidenza

e risultano maligni in circa il 50% dei casi.

E’ stata dimostrata la stretta correlazione tra steroidi sessuali e for-

mazione di neoplasie e il diretto rapporto tra pseudociesi e svilup-

po tumorale. La cabergolina si e’dimostrata utile nel ridurre l’iper-

plasia mammaria progesterone-prolattina indotta e nel ridurre le

dimensioni dei noduli mammari benigni e risulta quindi importan-

te il suo utilizzo prima dell’intervento di mastectomia.

ABSTRACT

In non-spayed bitches, the mammary tumours are the seconds for

incidence, and result malignant in approximately 50% of cases. The

close correlation between pseudopregnancy and tumour devel-

opment has been demonstrated. Cabergoline has proved to be

useful in reducing the benign mammary hyperplasia progester-

one- prolactin induced and in reducing the size of the mammary

benign nodules. Therefore it is important its use before mastec-

tomy.

INTRODUZIONE

Nella cagna intera i tumori mammari sono i secondi per incidenza,

secondi solo ai tumori cutanei , con un’incidenza del 35-50% di

tutti i tumori.(1-2-3) Le neoplasie mammarie si presentano soli-

tamente in cagne di eta’ superiore ai 9 anni (maggiore tra i 9-12

anni) ed e’ anche stata descritta una predisposizione di razza (piu’

colpiti barboncini, terrier e spaniel) (1,4) . Le mammelle piu’ coinvolte

sono le mammelle addominali (58% ) che sono solitamente le piu’

sviluppate. Vengono comunemente definiti tumori “fifty-fifty” per-

che’ la percentuale di tumori maligni e’ praticamente sovrapponi-

bile a quella dei tumori benigni (47%-53%). In ordine di incidenza

tra le lesioni benigne si riconoscono, a livello istologico, iperplasia

mammaria, fibroadenomi, adenomi e tumori misti benigni. Tra le

neoplasie maligne il 60% e’ rappresentato dai carcinomi, il 30% dai

tumori misti e il 10% dai sarcomi. (5,6)

E’ stata dimostrata una correlazione tra i tumori mammari e le pato-

logie ovariche e uterine, quali cisti ovariche follicolari, cisti luteini-

che, iperplasia endometriale cistica, e il rapporto diretto tra terapie

ormonali per la soppressione dei calori e incidenza di neoplasia,

cosi come e’ stata descritta la correlazione tra pseudogravidanza

sintomatica e insorgenza dei tumori mammari (7). L’ovariectomia

precoce si e’ invece dimostrata efficace nella prevenzione delle

neoplasie riducendo il rischio relativo (ODDS ratio) a 0.005, 0.08 e

0.26 rispettivamente se l’intervento e’ effettuato prepubere, entro

il secondo calore o entro il terzo calore, contro un rischio relativo

di 1 nella cagna intera (8).

Tale prevenzione , cosi’ come la correlazione con le patologie ova-

riche, le terapie steroidee e con la pseudogravidanza, trova la sua

spiegazione nell’effetto degli ormoni sessuali (estrogeni e proge-

sterone) nello sviluppo della ghiandola mammaria, nel quale gli

estrogeni hanno un ruolo nello sviluppo duttale mentre il proge-

sterone in sinergia con la prolattina ha un potente fattore mitoge-

no sulle cellule epiteliali dell’alveolo e un’azione sulla differenzia-

zione alveolare stessa. Come nella donna, anche nella cagna sono

stati descritti nei tumori mammari recettori per gli estrogeni e per

il progesterone. Tali recettori sono in numero direttamente pro-

porzionale alla differenziazione della neoplasia: nei tumori maligni

diminuiscono rispetto ai tumori benigni e nei tumori indifferenzia-

ti rispetto a tumori maggiormente differenziati; tale correlazione

inversa nella cagna e’ maggiore per i recettori del progesterone (1) .

Nei tumori benigni, cosi come in mammelle iperplasiche, sono an-

che stati descritti recettori per il GH che si ritiene stimoli, attraverso

la produzione di epidermal growth factor (EGF), la moltiplicazione

delle cellule epiteliali mammarie. E’ probabilmente per questo mo-

tivo che le cagne obese (soprattutto se si tratta di obesita’ giova-

nile) hanno una maggiore predisposizione alla formazione di neo-

plasia e una peggior prognosi e aspettativa di vita post chirurgia.

PROLATTINA E ANTI PROLATTINICI

La prolattina interviene nel processo di sviluppo della ghiandola

mammaria in modo diretto e indiretto, attraverso la stimolazione

Page 28: Rivista n°2 2013

26

M. Carmela Pisu

della moltiplicazione delle cellule acinose, attraverso la sinergia

con il progesterone nel processo di mitosi cellulare e indiretta-

mente attraverso la sua forte attivita’ luteopropa che permette il

perdurare del corpo luteo e della progesteronemia elevata per

oltre 65 giorni ad ogni ciclo sessuale. La prolattina e’ anche sta-

ta ritenuta responsabile dell’induzione e della crescita di tumori

mammari, attraverso l’attivazione di oncogeni.

Nella mia personale casistica piu’ del 60% delle pazienti con tumo-

ri mammari ha anamnesi di pseudociesi ripetute. Uno studio del

2006 (Verstegen et al) conferma la correlazione tra pseudogravi-

danza e noduli mammari e valuta l’efficacia dell’utilizzo preinter-

vento di una terapia con un antiprolattinico agonista dopaminer-

gico, la cabergolina, con uno studio in doppio cieco.

La somministrazione di 5 μg/die di cabergolina (Galastop®, Ceva

Salute Animale, Milano) per 7-10 giorni preintervento si e’ dimo-

strata utile per ridurre le dimensioni mammarie e la reazione in-

fiammatoria correlata; per ridurre o eliminare piccoli noduli beni-

gni progesterone dipendenti (nel 23% dei casi), per evidenziare

piccoli noduli mascherati dall’iperplasia della ghiandola (13%) e di

conseguenza rendere piu’ semplice e piu’ efficace la chirurgia (9).

In accordo con le piu’ recenti linee guida oncologiche, durante gli

interventi di exeresi, personalmente tendo ad asportare il minimo

tessuto necessario affinche’ la chirurgia sia risolutiva e sicura. Cio’

significa che risulta indispensabile poter riconoscere e distingue-

re, al momento della chirurgia, tutti i noduli presenti nel tessuto

mammario per poter decidere per una mastectomia parziale, tota-

le di una fila o bilaterale in 2 sedute successive.

E’ anche importante sottolineare che proprio per l’effetto del pro-

gesterone e della prolattina sulla mammella e sui tumori mam-

mari, i proprietari spesso si accorgono dei noduli in fase diestrale.

Per tale motivo in accordo con lo studio di Verstegen, prima di

effettuare interventi di mastectomia prescrivo 5μg/kg/die per 10

giorni di cabergolina (Galastop® Ceva Salute Animale, Milano). Con

questo protocollo la chirurgia risulta effettivamente piu’ semplice

perche’ si interviene su tessuti non iperplasici, senza presenza di

latte negli acini e senza congestione mammaria; alla palpazione

prechirurgica e’ spesso possibile riconoscere noduli di dimensioni

< 5mm che non erano stati riscontrati prima della terapia. D’altro

canto e’ spesso possibile osservare la scomparsa di noduli prece-

dentemente rilevati (formazioni benigne progesterone-prolattina

dipendenti) e di disomogeneita’ del tessuto mammario(micro-

granulosita’ e addensamenti localizzati) e di risparmiare in questo

modo mammelle sane.

Tra i noduli mammari personalmente diagnosticati negli ultimi 3

anni, il 59% e’ risultato istologicamente maligno e di questi il 22%

e’ stato identificato come carcinoma complesso, il 16% come car-

cinoma semplice (tubulare o papillare), il 18% come carcinoma in

situ, il 9% come carcinoma squamocellulare, il 2% come sarcomi e

il 33% come tumori misti.

In tutti i casi di diagnosi di noduli mammari (>3mm) viene pre-

scritta terapia con cabergolina per 10 giorni e si rivaluta la paziente

a fine terapia. Nell’ 8% dei casi noduli di piccole dimensioni non

sono stati rilevati alla visita di controllo, nel 12% dei casi sono sta-

ti rilevati noduli adiacenti nella stessa mammella o piu’ spesso in

mammelle adiacenti e nel 15% dei casi i noduli sono stati rilevati di

dimensioni diminuite, spesso spostando il grading anatomoclini-

co da T2 a T1 (cioe’ da noduli >3 cm di diametro a noduli <3cm) (10).

Per la particolare caratteristica dei tumori mammari, nel 60% dei

casi neoplasie benigne e maligne sono presenti nello stesso nodu-

lo, l’utilizzo della cabergolina prima della chirurgia, permette inol-

tre la riduzione delle dimensione anche dei noduli che all’istologia

risultano maligni per l’azione sulla parte benigna e iperplasica del

nodulo stesso.

Fondamentale risulta inoltre la terapia con cabergolina in tutti i

casi in cui la chirurgia viene condotta in diestro (la maggior parte

dei casi) e si associa nella stessa seduta chirurgica l’ovariectomia/

ovarioisterectomia: e’ indispensabile infatti evitare che l’aumento

della prolattina indotto dall’asportazione delle ovaie e conseguen-

te crollo della progesteronemia induca pseuociesi sintomatica a

livello delle mammelle non asportate con conseguente prolunga-

mento dei tempi di cicatrizzazione e di convalescenza post chi-

rurgica.

CONCLUSIONI

La terapia preventiva con cabergolina ad un dosaggio di 5μg/kg/

die per almeno 7 giorni si e’ dimostrato, sia negli studi sia nella

pratica clinica dell’autore, utile per rendere l’exeresi mammaria piu’

semplice e piu’ tranquillamente terapeutica.

Data la dimostrata correlazione tra presudogravidanza e neoplasie

mammarie, l’effetto trofico sul tessuto mammario e la probabile

capacita’ di attivazioni di oncogeni della prolattina, unito al noto

effetto cancerogeno della distensione degli acini alveolari e della

permanenza del latte negli alveoli stessi e nei dotti, in una specie in

cui le neoplasie mammarie sono il secondo tumore per incidenza,

e’ fortemente consigliabile trattare tutte le cagne in stato di pseu-

dociesi anche se sono presenti pochi sintomi, o anche in presenza

di soli sintomi comportamentali senza montata lattea.

La cabergolina si e’ dimostrata un farmaco sicuro ed efficace nel

trattamento della pseudociesi, gli effetti collaterali sono scarsi, di

poca rilevanza e limitati solo alla prima o seconda somministra-

zione. La cabergolina agisce infatti in modo selettivo sui recettori

ipofisari svolgendo una azione diretta di inibizione sulla produzio-

ne e secrezione della prolattina.

La cabergolina inoltre a dosaggi terapeutici, non supera la barriera

ematoencefalica e quindi non stimola la “chemo-receptor trigger

zone” (CTZ) per cui la comparsa del vomito è ridotta o assente cosi’

Page 29: Rivista n°2 2013

27

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

come la gastrite secondaria e deve quindi essere considerato il far-

maco di prima scelta per la riduzione della prolattinemia.

BIBLIOGRAFIA1. England G, von Heimendahl A. Canine and Feline Repro-

duction and Neonatology, 2 edizione, QBSAWA Quedgeley,

Gloucester,UK, 2010, 163-165.

2. Dorn CR, Taylor DON, Schneider R., Hibbard H.H., Klauber., Sur-

vey of animal neoplasms in Alameda and Contra Costa coun-

tries ,Cancer morbility in dogs and cats from Alameda contry,

Journal Nat. Cancer, 1968. 40, 307-318,

3. Bostock DE, Canine and feline mammary neoplasms, Bri. Vet-

erinary Journal, 1986.142, 506- 515.

4. Priester WA, Occurrence of mammary neoplasms in bithes in

relation to breed, age, tumour type and geographical region

from which reported, Journal Small Animal Practice, 1979, 20,

1-11.

5. Gilbertson SR, Kurzman ID, Zachran RE, Hurvitz AI, Black MM,

Canine mammary neoplasms: biologic implications of mor-

phologic characteristics assessed in 232 dogs, Veterinary Pha-

tology, 1983, 2,127-142.

6. Marconato L, DelPiero F. Oncologia medica dei piccoli animali

1ed., Poletto Editore, 2005 cap 22.

7. Ferguson HR, Canine mammary gland tumors, Vet Clinics of

N Amer: Small Animal Practice; Vol 15, N.33, 1985

MacEwen EG, Patnaik AK, Harvey HJ Estrogen receptors in ca-

nine mammary tumors. Cancer Res, Vol 42:2255-2259,1982

8. Schneider R, Dorn CR, Taylor DON. Factors Influencing Canine

Mammary Cancer, Developmentand postsurgical survival, J

Natl cancer institute, Vol 43, 6, 1969.

9. Vertegen J, Scalais S, Onclin K, La cabergolina nei tumori

mammary in pseudogestazione, Summa, Le point Veterinaire

Italie, Vol 23 N3, 7-8, 2006.

10. Sarli G, Benazzi G, Galeotti M, Capitani O, Preziosi R, Berton D,

marcato PS, Integrazione di parametri clinici ed istologici nel-

la prognosi dei tumori mammari maligni della cagna e della

gatta, Veterinaria, Vol 14, n. 2, 2000.

Page 30: Rivista n°2 2013

28

A. Barberio

Page 31: Rivista n°2 2013

29

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

La flogosi nelle patologie uterine del bovino e il ruolo di BoHV-4

Sarah Jacca1 , Valentina Franceschi1 1Dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, Università di Parma, Italia, via del Taglio 10, 43126 ParmaAutore corrispondente: Dr. Sarah Jacca

RIASSUNTO

Le malattie uterine nella specie bovina sono causa di notevoli

perdite economiche negli allevamenti e per tali ragioni è molto

importante comprenderne l’eziologia e la patogenesi a fini

preventivi e terapeutici. Attualmente, lo sviluppo di patologie

uterine post-parto, quali metriti ed endometriti, è spesso associato

a batteri di origine ambientale, soprattutto E.coli e Arcanobacterium

pyogens, e ad alcuni virus, come l’herpesvirus bovino del tipo 4

(BoHV-4). Nella specie bovina il BoHV-4 è in grado di indurre, come

altri virus erpetici, infezioni persistenti, in particolare nei macrofagi,

ed è stato spesso isolato come patogeno secondario in metriti di

origine batterica. E’ stata perciò ipotizzata una stretta relazione tra

l’instaurarsi di una endometrite batterica, che induce la secrezione

di citochine proinfiammatorie e quindi il richiamo di macrofagi,

persistentemente infettati, dai distretti periferici e la stimolazione

della replicazione virale, in grado di causare ulteriori danni e

infiammazione a carico del tessuto endometriale.

SUMMARY

Bovine uterine diseases are responsible of great economical

losses in the farms and, for these reasons, it is very important to

understand their etiology and pathogenesis, for therapeutic and

preventive purposes. Nowadays, the development of post-partum

uterine diseases, as metritis or endometritis, is often associated to

environmental bacteria, as E.coli and Arcanobacterium pyogenes,

and to some viruses, like Bovine Herpesvirus-4 (BoHV-4). In

the bovine species, BoHV-4, like other herpesviruses, is able to

induce persistent infection, especially in macrophages, and it is

often isolated as secondary pathogen in bacterial metritis and

endometritis. It is suggested the close relationship between the

onset of a bacterial endometritis (which induces the secretion

of proinflammatory cytokines and the attraction of persistently

infected macrophages from the periphery of the body) and

the stimulation of viral replication, that causes damages and

inflammation to endometrial tissue.

KEYWORDS

Bovine uterine diseases, Bovine Herpesvirus-4, proinflammatory

cytokynes.

Nella specie bovina le perdite prenatali, intese come mortalità

embrionale e morte fetale, rappresentano le più importanti

cause di mancato reddito negli allevamenti (1). La maggior parte

di queste perdite si verifica durante la fase embrionale che è

compresa tra il momento della fertilizzazione e il completamento

dello stadio differenziativo, ossia da quando l’embrione, essendosi

già formati tutti gli organi e iniziando la fase di mineralizzazione

dei tessuti duri, inizia a essere definito feto. Il momento più

delicato della fase embrionale è quello compreso tra il primo

giorno post-fertilizzazione e il momento dell’impianto embrionale

che si verifica verso il 20°-21° giorno dopo la fertilizzazione (2). Le

perdite embrionali sono attribuibili alla mancanza di condizioni

intrauterine in grado di permettere prima l’impianto dell’embrione

e in seguito il proseguo della gravidanza. Infatti, il ruolo principale

dell’endometrio è quello di accogliere l’embrione e supportarne

la crescita nel corso della gravidanza, in assenza della quale il

corpo luteo regredisce e prende avvio un nuovo ciclo ovarico.

L’impianto dell’embrione è un processo estremamente dinamico

che richiede un attento dialogo fra blastocisti ed endometrio. Nel

bovino, cosi come nella maggior parte dei mammiferi, il periodo

di tempo durante il quale l’endometrio è recettivo all’impianto è

ridotto e in questo periodo i livelli di progesterone aumentano

mentre diminuiscono quelli degli estrogeni. Questi eventi chiave

legati all’impianto embrionale sono dovuti a tutta una serie di

modificazioni non solo endocrine ma anche immuno-istologiche

dell’endometrio: infiltrazione leucocitaria, modificazione della

matrice extra-cellulare e incremento della permeabilità vasale.

Tutti fenomeni riconducibili a un evento infiammatorio, anche

se moderato e non patologico. Ed è proprio la regolazione

dell’inizio, dell’intensità e della risoluzione di questo stato flogistico

parafisiologico (paraflogosi) a rivestire un ruolo di estrema

Page 32: Rivista n°2 2013

30

Sarah Jacca - V. Franceschi

importanza nell’impianto dell’embrione e nel mantenimento

della gravidanza (3). Ne consegue che un’alterata regolazione

di tale risposta infiammatoria, sia nel senso di una flogosi

esuberante che di una sua completa assenza, potrebbe portare a

patologie ginecologiche e a mancata gravidanza. Una dettagliata

conoscenza delle possibili vie di flogosi dell’endometrio costituisce

un requisito indispensabile per lo sviluppo di nuovi strumenti

diagnostici e terapeutici (1,3).

Le funzioni uterine sono spesso alterate dalla contaminazione,

dalla proliferazione e dalla persistenza di microorganismi patogeni

nel lume uterino in conseguenza del parto (Figura 1).

Sebbene in molti casi questi microorganismi possano essere

spontaneamente eliminati nell’arco di circa tre settimane dal

parto, nel 10-17% delle bovine la persistenza dell’infezione può

causare turbe infiammatorie a carico dell’utero, lesioni istologiche

e un ritardo dell’involuzione uterina (con conseguente mancato

impianto embrionale). L’involuzione post-parto dell’utero favorisce

l’eliminazione dei microorganismi contaminanti, mentre è

ostacolata e ritardata dalla loro persistenza. Infatti, la valutazione

dell’involuzione uterina post-parto può aiutare nel discriminare

una condizione fisiologica da una patologica. In animali sani le

corna uterine raggiungono un diametro di 3-4 cm a 25-30 giorni

dal parto, mentre 40 giorni circa dopo il parto la cervice raggiunge

un diametro inferiore a 5 cm, anche se l’involuzione uterina non

può essere considerata completa fino a 50 giorni dopo il parto.

Da un punto di vista patologico la definizione dello stato

infiammatorio del tratto genitale è semplice: in caso di

infiammazione limitata e circoscritta si parla di endometrite,

quando interessa l’intero spessore della parete uterina, strato

muscolare compreso, si parla di metrite, se infine interessa

i legamenti sospensori si parla di parametrite. Le evenienze

flogistiche più frequenti sono rappresentate da metriti ed

endometriti: in entrambi i casi la mucosa si presenta congesta,

edematosa, con una prominente infiltrazione leucocitaria spesso

accompagnata da degenerazione cellulare (apoptosi e necrosi).

Queste condizioni patologiche sono per lo più associate alla

presenza di microorganismi di origine batterica, anche se alcuni

virus, come il BoHV-4 (Bovine Herpesvirus-4), possono talvolta

essere rilevati, anche se solo come agenti di irruzione secondaria. Il

quadro istologico in caso di metriti ed endometriti è caratterizzato

da leucocitosi e deplezione e atrofia delle ghiandole endometriali.

Nel caso in cui la metrite o l’endometrite siano associate alla

presenza di batteri piogeni, oltre che alla presenza di un corpo

luteo progesterone-secernente che garantisce il mantenimento

della cervice chiusa, si parla di piometra (1,3).

Se in termini anatomo-istopatologici la definizione dello stato

infiammatorio dell’utero è apparentemente semplice, lo stesso

non si può dire della sua definizione clinica. Da questo punto di

vista le affezioni uterine a carattere flogistico si distinguono in:

1) Metrite: stato flogistico acuto prettamente sostenuto da

batteri penetrati nell’utero per via ascendente e che tende

a manifestarsi entro 21 giorni circa dal parto. Essendo una

forma acuta, la metrite è anche clinicamente manifesta e i

segni clinici possono essere di entità variabile, localizzati o

sistemici. In funzione della variabilità dei sintomi, le metriti

possono essere classificate in: metrite di grado 1, caratterizzata

da ridotta involuzione uterina con secrezioni uterovaginali

muco-purulente, brunastre e maleodoranti e da assenza di

sintomi sistemici; metrite di grado 2, nella quale, in aggiunta ai

precedenti, sono presenti sintomi sistemici come febbre (>39,5

C°) e riduzione della produzione lattea; metrite di grado 3, con

la quale subentrano anche apatia, depressione del sensorio,

inappetenza e stati tossiemici. I soggetti con metrite di grado 3

sono spesso incurabili e presentano prognosi infausta.

2) Endometrite clinica: non si manifesta prima dei 21 giorni

dal parto (più spesso verso il 26° giorno), è caratterizzata da

secrezioni utero-vaginali mucopurulente e da un diametro

cervicale maggiore di 7,5 cm e non è accompagnata da sintomi

sistemici. L’intensità dell’endometrite clinica è determinata

dal grado di mucopurulenza delle secrezioni utero-vaginali.

Si può così avere un’endometrite clinica di grado 1 quando

sono presenti pochi flocculi di pus, un’endometrite di grado 2

quando i flocculi sono più densi e numerosi ma non superano

il 50% del secreto, un’endometrite di grado 3 quando invece i

flocculi di pus superano il 50% del secreto. Si è osservato che al

crescere del grado aumenta anche l’incidenza della presenza di

FIGURA 1

Metriti ed endometriti sono principalmente indotte da batteri di

origine ambientale. Le cellule epiteliali endometriali sono le prime

a venirne in contatto e sono indotte alla secrezione di citochine

proinfiammatorie che richiamano macrofagi dai distretti periferici

nel sito dell’infiammazione. In un animale persistentemente infet-

tato con Bovine herpesvirus 4, l’attivazionemacrofagica induce la

replicazione di BoHV-4 e, in questo modo, la cronicizzazione della

patologia.

Page 33: Rivista n°2 2013

31

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

microorganismi patogeni e si riduce la probabilità di successo

terapeutico.

3) Endometrite subclinica: forma infiammatoria dell’endo-

metrio ad andamento cronico, con assenza di secrezioni

mucopurulente e diagnosticabile tramite indagine citologica.

Come l’endometrite clinica, la forma subclinica si manifesta

dopo almeno 21 giorni dal parto e fino a 60 giorni. Sebbene

le conoscenze non siano ancora molto approfondite, sulla

base dei dati disponibili è stato proposto che si possa parlare

di endometrite sub-clinica quando i campioni citologici uterini

(prelevati tramite flushing o cytobrush tra i 21 e i 32 giorni dopo

il parto) presentano una percentuale di neutrofili maggiore del

10% oppure se i campioni, prelevati tra i 34 e i 47 giorni dopo

il parto, presentano una percentuale di neutrofili maggiore del

5% (1,3).

Come scritto in precedenza, la maggior parte delle affezioni uterine

di origine infettiva sono a eziologia prettamente batterica. Questo

assunto, ormai confermato da una copiosa letteratura scientifica, ha

fatto sì che potenziali agenti patogeni endometrio-tropi di origine

virale fossero del tutto trascurati sia dal punto di vista diagnostico

che eziopatologico. Le infezioni uterine di natura batterica sono

infatti quasi sempre associate a contaminanti ambientali che

penetrano in utero durante il parto per via transvaginale e sono

perciò di individuazione relativamente semplice. Al contrario, le

infezioni uterine di origine virale si verificano per via sistemica

e perciò sono difficilmente individuabili o addirittura non

considerate, soprattutto in caso di animali persistentemente

infetti. Solo in seguito a indagini accurate, che non prendano in

considerazione soltanto la ricerca di agenti batterici ma anche

di virus, si è potuto constatare che il BoHV-4 è spesso associato a

metriti post-parto in copresenza di batteri (4,8).

Il BoHV-4 può essere isolato dalle lesioni endometriali e dai fluidi

utero-vaginali soprattutto nelle prime 3 settimane dopo il parto

e si accompagna spesso a rialzo dei titoli anticorpali. Inoltre,

quando la metrite post-parto è caratterizzata dalla copresenza di

batteri e BoHV-4, è accertabile anche una discreta refrattarietà ai

trattamenti antibiotici (1,3). Il BoHV-4 è in grado di indurre infezione

persistente nei macrofagi, grazie ai quali può diffondere a livello

sistemico (9,10). Nei distretti organici in condizioni flogistiche

e iperemiche e nei quali si verifica un richiamo di macrofagi dai

distretti periferici, in caso di infezione persistente da BoHV-4 si può

manifestare riattivazione virale grazie alla presenza di molecole

pro-infiammatorie (9). Infatti non è un caso che il BoHV-4 si possa

riattivare durante il parto e sia facilmente isolabile in sede uterina

in animali persistentemente infetti. Purtuttavia non si assiste

sempre allo sviluppo e alla cronicizzazione della metrite ma tale

possibilità si riscontra soprattutto in seguito alla copresenza di

BoHV-4 e di alcuni batteri (8) riconosciuti come patogeni uterini

specifici, quali A.pyogenes, E.coli, Streptococcus sp. and Citrobacter.

Essendo noto che il BoHV-4 viene spesso co-isolato con batteri

metritogeni e che da solo non è in grado di indurre metrite,

persino dopo inoculazione sperimentale, è stato ipotizzato che il

virus possa fungere da agente sia predisponente che cronicizzante

le infezioni uterine sostenute da batteri (8,11). In generale, i batteri

e i virus in grado di resistere ai meccanismi di difesa e di proliferare

nei tessuti animali costituiscono i principali fattori scatenanti il

processo infiammatorio e il richiamo di cellule polimorfonucleate

(PMN) dalla periferia che, paradossalmente, sono responsabili

della forma patologica e delle lesioni. La mobilizzazione dei

PMN nella sede di flogosi è poi orchestrata dall’interazione fra

leucociti e citochine (12,13). Quando tale mobilizzazione risulti

particolarmente esuberante, nonostante si verifichi per contrastare

l’infezione, spesso contribuisce essa stessa allo sviluppo delle

lesioni. Durante lo sviluppo della flogosi le prime citochine

prodotte sono IL-1β e TNF-α, che inducono marcata secrezione di

IL-8, il più efficace fattore chemiotattico e attivatore dei PMN. IL-1β,

TNF-α e IL-8 promuovono la degranulazione dei PMN e il rilascio a

livello extracellulare di metaboliti dell’acido arachidonico (PGE2 e

leucotrieni), radicali tossici dell’ossigeno ed enzimi proteolitici che,

operando insieme, generano le lesioni tessutali (12,13).

Sulla scorta delle informazioni di cui sopra e di una serie di dati

sperimentali ottenuti in vitro e in vivo è stato delineato il seguente

paradigma patogenetico: durante il parto l’utero di un animale

può venire a contatto con diversi batteri di origine ambientale.

Qualora l’animale presenti una persistente infezione da BoHV-4 a

livello macrofagico, l’utero infiammato richiama macrofagi dalla

periferia. In queste cellule, grazie alla produzione di molecole

pro-infiammatorie (come l’LPS [lipopolisaccaride]) prodotte

dall’endometrio per via della proliferazione batterica, si assiste alla

replicazione del BoHV-4 che così può infettare dapprima le cellule

stromali e in seguito quelle epiteliali dell’endometrio. La replicazione

del BoHV-4 nelle cellule endometriali determinerà quindi, grazie

a un proteina virale, un ulteriore sintesi di IL-8 che, come già

ricordato, è uno dei maggiori responsabili del richiamo di PMN. Per

il complesso di questi eventi si potrà assistere alla trasformazione

dell’infiammazione uterina da una condizione acuta e transitoria

(metrite) a una condizione cronica (endometrite) (8,11,13,15).

Un simile meccanismo non si verificherà invece in animali non

persistentemente infettati nei quali l’infezione, definibile come

para-fisiologica, si risolverà in circa 3 settimane.

CONCLUSIONI

Sulla base di queste risultanze si può concludere che gli agenti

virali, nello specifico il BoHV-4, costituiscono una componente

aggiuntiva nelle infezioni e nelle patologie uterine della bovina.

Per tali ragioni sarebbe auspicabile l’utilizzo di procedure

Page 34: Rivista n°2 2013

32

S. Jacca - V. Franceschi

diagnostiche più accurate, che non limitino il loro campo di ricerca

ai soli agenti batterici. Queste tecniche, anche se più complesse e

dispendiose, potrebbero infatti rappresentare un valore aggiunto

per una corretta diagnosi e un conseguente approccio preventivo

e terapeutico.

BIBLIOGRAFIA

1. Sheldon IM, Lewis GS, LeBlanc S, Gilbert RO. Defining

postpartum uterine disease in cattle. Theriogenology 2006;

65:1516-1530.

2. Vanroose G, de Kruif A, Van Soom A. Embryonic mortality and

embryo-pathogen interactions. Anim Reprod Sci 2000; 60-

61:131-143.

3. Sheldon IM, Cronin J, Goetze L, Donofrio G, Schuberth HJ.

Defining postpartum uterine disease and the mechanisms of

in fection and immunity in the female reproductive tract in

cattle. Biol Reprod 2009; 81:1025-1032.

4. ParK JB, Kendrick JW. The isolation and partial characterization

of a herpesvirus from a case of bovine metritis. Arch Gesamte

Virusforsch 1973; 41:211-215.

5. Frazier KS, Baldwin CA, Pence M, West J, Bernard J, Liggett A,

Miller D, Hines ME, 2nd. Seroprevalence and comparison of

isolates of endometriotropic bovine herpesvirus-4. Journal of

Veterinary Diagnostic Investigation 2002; 14:457-462.

6. Monge A, Elvira L, Gonzalez JV, Astiz S, Wellenberg GJ. Bovine

herpesvirus 4-associated postpartum metritis in a Spanish

dairy herd. Research in Veterinary Science 2006; 80:120-125.

7. Nikolin VM, Donofrio G, Milosevic B, Taddei S, Radosavljevic

V, Milicevic V. First Serbian isolates of bovine herpesvirus 4

(BoHV-4) from a herd with a history of postpartum metritis.

New Microbiol 2007; 30:53-57.

8. Donofrio G, Ravanetti L, Cavirani S, Herath S, Capocefalo

A, Sheldon IM. Bacterial infection of endometrial stromal

cells influences bovine herpesvirus 4 immediate early gene

activation: a new insight into bacterial and viral interaction for

uterine disease. Reproduction 2008; 136:361-366.

9. Donofrio G, Cavirani S, van Santen V, Flammini CF. Potential

secondary pathogenic role for bovine herpesvirus 4. J Clin

Microbiol 2005; 43:3421-3426.

10. Donofrio G, van Santen VL. A bovine macrophage cell line

supports bovine herpesvirus-4 persistent infection. J Gen Virol

2001; 82:1181-1185.

11. Donofrio G, Herath S, Sartori C, Cavirani S, Flammini CF, Sheldon

IM. Bovine herpesvirus 4 is tropic for bovine endometrial cells

and modulates endocrine function. Reproduction 2007;

134:183-197.

12. Galvao KN, Pighetti GM, Cheong SH, Nydam DV, Gilbert

RO. Association between interleukin-8 receptor-alpha

(CXCR1) polymorphism and disease incidence, production,

reproduction, and survival in Holstein cows. J Dairy Sci 2011;

94:2083-2091.

13. Galvao KN, Felippe MJ, Brittin SB, Sper R, Fraga M, Galvao JS,

Caixeta L, Guard CL, Ricci A, Gilbert RO. Evaluation of cytokine

expression by blood monocytes of lactating Holstein cows

with or without postpartum uterine disease. Theriogenology

2012; 77:356-372.

14. Donofrio G, Capocefalo A, Franceschi V, Price S, Cavirani S,

Sheldon IM. The chemokine IL8 is up-regulated in bovine

endometrial stromal cells by the BoHV-4 IE2 gene product,

ORF50/Rta: a step ahead toward a mechanism for BoHV-4

induced endometritis. Biol Reprod 2010; 83:919-928.

15. Jacca S, Franceschi V, Colagiorgi A, Sheldon M, Donofrio G.

Bovine endometrial stromal cells support tumor necrosis

factor alpha-induced bovine herpesvirus type 4 enhanced

replication. Biol Reprod 2013; 88:135.

Page 35: Rivista n°2 2013

33

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

RIASSUNTO

Il parto e l’inizio della lattazione sono alla base di cambiamenti me-

tabolici che coinvolgono primariamente il calcio e, di conseguen-

za, il metabolismo energetico e lo stress ossidativo. Questi sono

fenomeni complessi e interdipendenti: allo scopo di controllarli, è

necessario migliorare la gestione dell’allevamento attraverso l’uti-

lizzo di appropriati strumenti di indagine.

SUMMARY

Calving and beginning of lactation are responsible of metabolic

changes that primarily involve Calcium turnover, consequently

energy metabolism and oxidative stress. These are complex and

interdependent phenomena: in order to control them, it is neces-

sary to keep on improving the farm management resulting from

appropriate instrument surveys.

Key words: Subclinic Hypocalcaemia (SCH), Milk Fever, DCAD,

NEFA, β-OHB, Oxidative Stress.

INTRODUZIONE

Per le bovine ad alta produzione la regolazione omeoretica del

metabolismo in fase di transizione corrisponde all’utilizzazione

dell’energia disponibile, dei minerali e degli antiossidanti per la

produzione di latte e per affrontare l’attività riproduttiva. Già nei

giorni precedenti il parto hanno inizio fenomeni metabolici e

immunologici contrastanti. Al calo di ingestione fisiologica (cir-

ca 30%) si contrappone una maggiore richiesta di energia per il

completamento del feto ( ≥ 500 g/die) e la produzione di colostro.

Contemporaneamente si innescano i normali processi immunitari

che porteranno successivamente al distacco ed espulsione del-

la placenta (intervento della IL-8). L’obbiettivo che tutte le figure

professionali interessate si debbono porre è quello di ridurre il più

possibile l’entità dei seguenti aspetti:

- deficit energetico

- stress ossidativo

- ipocalcemia

Ipocalcemia sub-clinica

Danilo BuoliMedico Veterinario, Cremona

Questi sono argomenti che possono essere trattati anche sepa-

ratamente, ma che inevitabilmente si intrecciano a causa delle

vicendevoli interferenze. Limitando la trattazione al metabolismo

del calcio, dobbiamo ricordarne l’importanza per l’organismo, es-

senziale per il mantenimento di un buono stato di salute ma an-

che per il controllo di numerose attività extra e intra-cellulari.

Funzioni extracellulari:

- mineralizzazione ossea

- coagulazione

- eccitazione neuromuscolare

Funzioni intracellulari:

- attivazione neuronale

- contrazione muscolare

- secrezione di ormoni

- secondo messaggero per ormoni e fattori di crescita

- regolazione trascrizione genica e attività metaboliche

IL METABOLISMO DEL CALCIO

Considerando il ruolo biologico di primo piano di questo mine-

rale, non sorprende che il metabolismo del calcio sia soggetto a

un controllo piuttosto complesso, finemente regolato da sostanze

ormonali e non. Scopo primario dell’omeostasi calcica è quello di

mantenere costanti le concentrazioni ematiche di calcio. La ripar-

tizione del calcio nell’organismo è riportata in tabella 1.

Calcio mineralizzato

delle ossa

98%

Calcio plasmatico 1%

(di cui il 50% ionizzato e il 50%

legato a proteine e sali)

Calcio extracellulare

e intracellulare

1%

TABELLA 1

Ripartizione del calcio nell’organismo.

Page 36: Rivista n°2 2013

34

D. Buoli

La calcemia è un parametro rigidamente regolato a cui parteci-

pano:

- intestino: gradiente osmotico, diffusione facilitata dalla calcium

binding protein (CBP), vitamina D dipendente

- rene

- tiroide

- paratiroidi

Tuttavia la perdita elevata di calcio che si verifica a fine gravidanza

per il completamento delle strutture ossee del vitello e per la pro-

duzione del colostro possono causare dei cali più o meno elevati

di calcio ematico. E’ opportuno ricordare che la quantità di calcio

elementare presente nella prima munta di colostro corrisponde a

4-5 volte la quantità di calcio totale in circolo nel sangue della bo-

vina. Questi cali, in funzione dello scostamento dai normali valori

ematici, possono causare quadri clinici o subclinici.

I QUADRI CLINICI DELL’IPOCALCEMIA

I quadri clinici sono riportati nella tabella 2.

L’ipocalcemia subclinica, priva di segni clinici apparenti, è diagno-

sticabile solo strumentalmente. Allo scopo quindi di eseguire una

diagnosi corretta, possono essere utilizzati, a livello aziendale, due

tipi di strumenti:

- enzimatico-fotometrici (VetScan II, Catalist, e altri)

- emogas analizzatori (EMGA).

I primi strumenti esprimono il valore del calcio in mg/dl e misura-

no la quantità di minerale presente in toto nel sangue (ionizzato,

legato alle albumine, in aggiunta a quello presente sotto forma di

citrati, fosfati e bicarbonati).

L’EMGA rileva invece solo la frazione ionizzata unitamente al pH

ematico, parametro quest’ultimo estremamente importante in

fase di indagine predittiva nel periodo di close-up.

L’incidenza dei primi due quadri clinici (collasso puerperale e

ipocalcemia senza perdita di stazione) si va progressivamente

riducendo e risulta ormai limitata al 3,5/7%. Secondo DeGaris e

Lean, 2008, a un tasso di ipocalcemia subclinica (SCH) del 33% cor-

risponde un tasso di ipocalcemia clinica del 5%. Il vero pericolo

che corrono attualmente le nostre bovine è quindi rappresentato

dall’ipocalcemia subclinica (SCH). Abbiamo detto che si tratta di

una patologia subdola, diagnosticabile solo strumentalmente nel TABELLA 2

Quadri clinici di ipocalcemia.

Page 37: Rivista n°2 2013

35

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

FIGURA 1a

Misurazione del calcio eseguita giornalmente dal giorno del parto

per 4 giorni successivi utilizzando l’EMGA. Il valore espresso nel

grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel

sangue in mmol/I.

FIGURA 1d

Misurazione del calcio eseguita giornalmente dal giorno del parto

per 4 giorni successivi utilizzando l’EMGA. Il valore espresso nel grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel

sangue in mmol/I.

FIGURA 1b

Misurazione del calcio eseguita giornalmente dal giorno del parto per 4 giorni successivi utilizzando l’EMGA. Il valore espresso nel grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel sangue in mmol/I.

FIGURA 1c

Misurazione del calcio eseguita giornalmente dal giorno del parto

per 4 giorni successivi utilizzando l’EMGA. Il valore espresso nel grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel

sangue in mmol/I.

periodo di massimo pericolo rappresentato dai 3-4 giorni dopo il

parto. In passato sono stati considerati come valori subclinici quelli

compresi tra 5,5 mg/dl e 8 mg/dl. Quest’ultimo valore pare deb-

ba essere ulteriormente aumentato a 8,59 mg/dl (Martinez et al.,

2012). L’SCH è quindi condizione comune nell’immediato postpar-

to (Reinardt et al., 2011) dovuta all’elevata perdita di calcio con il

colostro associata a un’inadeguata capacità di mobilizzazione le

proprie riserve organiche al fine di ristabilire una normale calce-

mia (Goff, 2008). Secondo uno studio condotto nel 2011 da Rei-

nardt et al., il 25% delle bovine primipare e il 47% delle pluripare

sono colpite da SCH. Gli autori hanno rilevato che la percentuale

di SCH aumenta con l’aumentare del numero dei parti. Questi dati

sono facilmente rilevabili anche da parte del medico veterinario

nella normale pratica professionale.

ESPERIENZE PERSONALI

Le Figure 1a, 1b, 1c e 1d riportano i dati relativi a indagini personali

che confermano quanto riportato precedentemente, e cioè il fatto

che la SCH interessa il 50% e oltre delle bovine pluripare.

Page 38: Rivista n°2 2013

36

D. Buoli

Nel caso sopra riportato la misurazione della calcemia è stata

eseguita giornalmente con EMGA a partire dal giorno del parto

e per i 4 giorni successivi. Il valore espresso nel grafico rappresen-

ta la quantità di calcio ionizzato presente nel sangue espressa in

mmol/l. Essendo il peso atomico del calcio pari a 40 e conside-

rando che il calcio ionizzato rappresenta il 50% del calcio totale,

per ottenere il controvalore in mg/dl del calcio totale si deve mol-

tiplicare il valore rilevato per 8 (1 mmol/l di calcio ionizzato corri-

sponde a 8 mg/dl di calcio totale): si può quindi rilevare che solo la

bovina n.102 conserva una calcemia ottimale dal giorno del parto

fino al quarto giorno.

Nelle Figure 2, 3, 4, 5 e 6 sono riportati i dati ottenuti nel corso di

una prova durante la quale la misurazione della calcemia è stata

sempre eseguita nei 4 giorni successivi al parto, misurando diretta-

mente il calcio totale.

FIGURA 2

Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).

FIGURA 3

Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).

Page 39: Rivista n°2 2013

37

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

FIGURA 4

Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).

FIGURA 5

Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).

Page 40: Rivista n°2 2013

38

D. Buoli

Anche questa prova ha confermato che, indipendentemente dai

valori metabolici rilevati nel close-up, l’ipocalcemia subclinica in-

teressa una percentuale elevata di bovine (nella prova in oggetto

il 50%).

Al fine di riconoscere e far riconoscere il problema, il medico vete-

rinario deve innanzitutto mettere a disposizione dell’allevatore e

del nutrizionista gli opportuni strumenti (EMGA, Vetscan, Catalist,

Spotchem ecc.) ed il tempo necessario all’esecuzione ed interpre-

tazione dei risultati ottenuti con queste metodiche analitiche. Le

misurazioni devono essere eseguite nei modi e nei tempi (come

riportato negli esempi precedenti) utili per la correzione della for-

ma patologica. E’ compito del veterinario anche individuare sem-

pre strumentalmente i fattori di rischio che nel close-up possono

interferire o agire negativamente sui meccanismi di mantenimen-

to della normale calcemia:

-misurazione del pH ematico e urinario (DCAD negativo) (Figura 7).

FIGURA 6

Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).

FIGURA 7

Misurazione del ph ematico e del ph urinario.

Page 41: Rivista n°2 2013

39

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

E’ opportuno fare in modo che il pH ematico non scenda a valo-

ri inferiori a 7,35 per non causare stati di acidosi non compensati

(Constable, 2010). L’acidificazione ematica migliora anche la fun-

zionalità del paratormone (PTH) e contribuisce complessivamente

al mantenimento di quote elevate di calcio totale e di calcio ioniz-

zato dopo il parto.

Gli obiettivi da raggiungere sono:

- un corretto livello ematico del potassio (da 3,5 a 5 mmol/l);

- un apporto di macroelementi in quantità e biodisponibilità

ottimali

- un corretto apporto di antiossidanti (vitamine A, E e C, betacaro-

tene, zinco, selenio, rame-manganese).

L’ipocalcemia subclinica (SCH)

Le patologie direttamente riconducibili all’SCH possono sintetizza-

te nei seguenti punti:

- aumento della cortisolemia come fattore di immuno depressio-

ne (Horst e Jorgensen,1982);

- concentrazioni elevate di cortisolo riducono la chemiotassi e

l’attività antibatterica dei neutrofili (Roth et al., 1982; Salak,

Johnson & McGlone, 2007);

- in presenza di SCH la cortisolemia aumenta di 5-7 volte rispetto

alla norma (Horst e Jorgensen, 1982);

- SCH come agente di stress;

- diminuzione della contrattilità della muscolatura liscia (Harsen

et al., 2003);

- diminuzione della contrattilità del rumine e dell’abomaso

(Chapinal et al., 2011);

- diminuzione della contrattilità degli sfinteri dei capezzoli

(aumento dei casi di mastite) (Curtis et al., 1983);

- diminuzione della contrattilità del miometrio, e conseguente

incremento delle ritenzioni placentari;

- diminuzione dei neutrofili e aumento dell’incidenza delle metriti

(Ducusin et al., 2003);

- aumento dei parti “languidi” con aumento delle distocie (Curtis

et al., 1983);

- aumento del rischio di prolasso uterino (Risco et al., 1984);

- diminuzione del calcio intracellulare che si verifica prima della

riduzione del calcio ematico (Kimura, 2006) (Il calcio è un mes-

saggero secondario dell’immunità cellulare. Dopo la fissazione

dell’antigene sul linfocita la liberazione del Ca2+ contenuto nel

reticolo endoplasmatico favorisce la produzione di anticorpi e

peptidi antibatterici);

- riduzione del numero di cellule immunitarie collegata a ritenzio-

ne placentare (Melendez et al., 2004) (la SCH causa la riduzione

del 40% della capacità dei neutrofili di aggredire i batteri e del

30% circa la capacità dei linfociti di produrre anticorpi);

- l’incidenza delle metriti si riduce del 22% per ogni aumento di 1

mg/dl del calcio ematico totale (Martinez et al., 2012);

- le bovine affette da SCH hanno elevati livelli di corpi chetonici

(Curtis et al., 1983);

- la SCH causa l’aumento di NEFA e β-OHB (Martinez et al., 2012; -

Ospina et al., 2010; Chapinal et al., 2011).

Abbiamo detto in precedenza che questi sconvolgimenti meta-

bolici non sono completamente separati, ma hanno dei naturali

punti di contatto e di cointeressenza. Si arriva quindi al punto di

contatto tra calcemia, metabolismo energetico (NEFA e β-OHB) e

stress ossidativo.

L’aumento dei NEFA causato dalle SCH produce inoltre ulteriori ef-

fetti negativi sulla risposta immunitaria. Si riduce infatti la capacità

di distruzione delle cellule polimorfonucleate dei batteri per i se-

guenti motivi (Hammon , 2006):

• riduzione dell’attività mieloperossidasica (Hammon, 2006)

• riduzione dei livelli di glicogeno nei neutrofili (Galvao et al., 2010)

• riduzione della moltiplicazione delle cellule mononucleari

(Sordillo et al., 2009) e dell’attività ossidativa dei neutrofili (Ster et

al., 2012)

• possibile danno a carico delle cellule pancreatiche preposte alla

produzione di insulina. Nelle bovine ad alta produzione, per

sostenere la produzione di latte, si verifica un periodo transitorio

di resistenza all’insulina. L’aumento dei NEFA ha la funzione di

compensarne la resistenza temporanea (Kahn et al., 2006);

Inoltre, i NEFA sono in grado di fissarsi ai TLR 4 (Tool Like Receptors)

che sono normalmente stimolati dai lipopolisaccaridi batterici

(LPS). Questo stimolo innesca il processo infiammatorio nell’utero,

che in condizione normali viene invece indotto dal contatto con

gli LPS batterici (Hotamisligil et al. al., 2008);

l’aumento dei corpi chetonici sembra invece non avere un effetto

sfavorevole sulla proliferazione delle cellule mononucleate sangui-

gne, sulla produzione di interferone da parte di queste cellule, né

sull’attività ossidativa dei neutrofili (Ster et al., 2012). I corpi che-

tonici non sono quindi necessariamente responsabili degli effetti

sfavorevoli associati alla riproduzione: sono solo da considerarsi

dei semplici marcatori.

Buon ultimo, ma non meno importante aspetto, è quello

rappresentato dal controllo e dalla valutazione dello stress

ossidativo. Tutto ciò che permette di limitare la quantità dei NEFA

(0.3 meq/l prima del parto e 0.8-1 meq/l dopo il parto) in presenza

di SCH ha un effetto benefico sulla produzione dei radicali liberi. Il

deficit energetico è associato a un elevato stress ossidativo, causa

a sua volta di disfunzione dell’attività mitocondriale e del reticolo

endoplasmatico, di morte cellulare (apoptosi) e di modificazione

dell’espressione di numerosi geni;

- l’aumento dello stress ossidativo nelle bovine grasse è una

delle maggiori cause di alterazione del sistema immunitario

(Sorillo, 2009). Il tessuto adiposo è da considerare ormai un orga-

no ad attività endocrina (Inguartsen, 2001; Mukesh, 2009),

Page 42: Rivista n°2 2013

40

D. Buoli

capace di esprimere e regolare le adipochine e in grado di avvia-

re il processo infiammatorio con l’intermediazione delle citochi-

ne proinfiammatorie TNF α, IL 6, ecc.) liberate in grande quantità

quando il BCS aumenta.

Correzione dell’ipocalcemia

Considerando quindi l’ipocalcemia (come forse impropriamente

ritenuto da alcuni) la madre di tutte le patologie, vediamo come

si può operativamente correggere questa patologia. Le forme cli-

niche di ipocalcemia, con o senza perdita di stazione, vanno ov-

viamente corrette mediante iniezione endovenosa di soluzioni a

base di calcio. In Italia attualmente disponiamo di prodotti a base

di gluconato di calcio al 20%, associato o meno a sali di fosforo,

magnesio e vitamina B12

. La quantità di prodotto da infondere di-

pende da due fattori:

1. ogni grammo di gluconato di calcio contiene 100 mg di calcio

elementare;

2. alla luce del primo dato, la quantità da somministrare è in rela-

zione alla quantità di calcio effettivamente presente in circolo al

momento dell’iniezione. Dobbiamo altresì considerare un ulte-

riore aspetto: la quota infusa è da considerare come quota ioniz-

zata, cioè immediatamente disponibile. Il conteggio deve quin

di tenere conto di questo particolare (il Ca2+ è il 50% del calcio

totale).

A titolo esplicativo, si ritiene opportuno mostrare un esempio dei

valori che si possono rilevare in un caso di bovina a terra con col-

lasso ipocalcemico:

- Ca++ totale 4 mg/dl ---> Ca++ 2 mg/dl

- una bovina di 700 kg con un volume di sangue di circa 50 litri

ha in circolo un totale di circa 1 g di Ca++, mentre dovrebbe aver-

ne circa 3.5 g. Con la somministrazione di 500 ml di calcio glu-

conato al 20% si infondono realmente 10 g di calcio elementare.

Questo semplice ragionamento suggerisce quindi grande pru-

denza nell’uso endovenoso, comunque sempre successivo ad una

valutazione di tipo strumentale.

Prevenzione dell’ipocalcemia subclinica

L’ipocalcemia subclinica può essere prevenuta, come le forme cli-

niche, mediante interventi nel periodo di close up:

- controllo dell’apporto di K+ in grado di interferire attraverso la

depolarizzazione delle cellule della parete ruminale, sull’assorbi-

mento del magnesio e, in qualità di anione, di contrastare l’acidifi-

cazione della dieta;

- controllo dell’apporto di Ca++, P e Mg;

- introduzione eventuale di mezzi di acidificazione della dieta nel

periodo di close-up. Questo accorgimento può consentire di

ottenere, al momento del parto, una più rapida mobilizzazione

del Ca++ dalle ossa e una riduzione della stabilità del legame tra

Ca++ e albumine e di aumentare con la mediazione del magnesio

l’affinità del paratormone (PTH) con i suoi recettori periferici.

Tutti questi provvedimenti sembrano essere in grado di ridurre l’in-

cidenza dell’SCH del 15-25% (Garret, 2013), senza tuttavia arrivare

ad annullarla. I possibili ulteriori interventi atti a contrastare que-

sta patologia possono essere fondamentalmente due: l’infusione

sottocutanea, al momento del parto, di soluzione di gluconato di

calcio o la somministrazione di boli di sali di calcio.

La prima modalità di intervento ha controindicazioni importanti:

- la quantità di calcio elementare infuso è modesta (500 ml di cal-

cio gluconato al 20% infondono solo 10 g di calcio elementare);

- l’istolesività della soluzione infusa che imporrebbe la sommini

strazione di quantità massime di 75 ml di soluzione per ogni

punto di inoculo (Garret, 2013).

Decisamente più efficace è la modalità di somministrazione di

calcio attraverso boli di sali di calcio (cloruro di calcio e solfato

di calcio). Questa soluzione, di facile impiego e senza rischi reali,

consente un rapido incremento del Ca++ totale, che si protrae nel

tempo. Ulteriore buona caratteristica è l’effetto anionico del pro-

dotto stesso.

BIBLIOGRAFIA

1. Bernabucci U, Ronchi B. 2005. Influence of body condition score

on relationships between metabolic status and oxidative

stress in periparturient dairy cows. - J. Dairy Sci 88:2017-2026.

2. Bouwstra R.J., Nielen M., Stegeman J.A. Dobbelaar P, Newbold

J.R., Jansen E.H., vanWerven T. 2010. Vitamin E supplementa-

tion during the dry period in dairy cattle. J.Dairy sci. 93: 5684-

5695.

3. Bowstra R.J, Nielen M. 2010. Vitamin E supplementation during

the dry period in dairy cattle. Part II Oxidative stress follow-

ing vitamin E supplementation may increase clinical mastitis

incidence postpartum, J.Dairy Sci. 93:5696-5706.

4. Chapinal N., Carson M., Duffield TF., Capel M., Godden S.,

Overton S., Santos I.E., LeBlanc S.J. 2011. The association of

serum metabolites with clinical disease during the transition

period 2011, J.Dairy Sci. 94:4897-4903.

Page 43: Rivista n°2 2013

41

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

5. Dann H.M., Litherland N.B., Unnderwood J.B., Bionaz M.,

D’Angelo A., Mc Fadden J.W., Drackely J.K. 2006. Diets during

far-off and close-up dry periods affect periparturient metabo-

lism and lactation in mutiparous cows. J.Dairy Sci 89:3563-

3577.

6. Garverick H.A., Harris M.N., Vogel-Bluel R., Sampson J.D., Bader

J., Lamberson W.R., Spain J.N., Lucy M.C., Youngquist R.S. 2013.

Concentrations of nonesterified fatty acids and glucose in

blood of periparturient dairy cows are indicative of pregnancy

success at first insemination. J.Dairy Sci 96:181-188.

7. Giuliodori M.J., Magnasco R.P., Becu-Villalobos D., Lacau-Men-

gido I.M., Risco C.A., de la Sota R.L. 2013. Clinical endometritis

in an Argentinean herd of dairy cows: risk factor and reproduc-

tive efficiency. J.Dairy Sci 96:210-218.

8. Goff, J.P, 2008. The monitoring, prevention and treatment of

milk fever and subclinical hypocalcaemia in dairy cows.

The veterinary journal 176, 50-57.

9. Graugnard D.E., Moyes K.M., Trevisi E., Khan E.J., Keisler D., Drack-

ley J.K., Bertoni G., Loor J.J. 2013. Liver lipid content and

inflammometabolic indices in peripartal dairy cows are altered

in response to prepartal energy intake and postpartal intram-

mamary inflammatory challenge, J.Dairy Sci 96:918-935.

10. Grunberg w., Donkin S.S., Constable P.D. 2011. Periparturient

effects of feeding a low dietary cation-anion difference diet on

acid-base, calcium and phosphorus homeostasis and on in-

travenous glucose tolerance test in high-producing dairy

cows. J.Dairy Sci. 94: 727-745.

11. Hostens M., Fievez V., Leroy J.L.M.R., Van Ranst J., Vlaeminck B.

2012. The fatty acid profile of subcutaneous and abdominal fat

in dairy cows with left displacement of the abomasums. J.Dairy

Sci 95:3756-3765.

12. Javor P.E., Huzzey J.M, LeBlanc S.J., von Keyserlingk M.A. 2012.

Associations of subclinical hypocalcemia at calving with milk

yeld, and feeding, drinking and standing behaviors around

parturition in Holstein cows. J.Dairy Sci. 95 :1240-1248.

13. Kimura K., Reinhardt T.A., Goff J.P. 2006. Parturition and hypocal-

cemia blunts calcium signals in immune cells of dairy cattle.

J.Dairy Sci. 89 :2588-2595.

14. Lean L.J., DeGaris P.J., McNeil D.M., Block E. 2006. Hy-

pocalcemia in dairy cows: meta-analysis and dietary cat

ion anion difference theory revisited. J. Dairy Sci. 89:669-684.

15. Loor J.J., Everts R.E., Bionaz M., Dann H.M., Morin D.E., Oliveira

R., Rodriguez-Zas S.L., Drackley J.K., Lewin H.A., 2007. Nutrition-

induced ketosis alters metabolic and signaling gene networks

in liver of periparturient dairy cows. Physiol. Genomics 27: 29-41.

16. Martinez N., Risco C.A., Lima F.S., Bisinotto R.S., Greco L.F.,

Ribeiro E.S., Maunsell F., Galvao K., and Santos J.E.P. 2012. Evalu-

ation of peripartal calcium status,energetic profile, and neutro

phil function in diary cows at low or high risk of developing

uterine disease. J. Dairy Sci. 95:7158-7172.

17. McArt J.A.A., Nydam D.V., Oetzel G.R. 2013. Dry period and

parturient predictors of early lactation hyperketonemia in

dairy cattle J.Dairy Sci 96: 198-209.

18. Mukesh M., Bionaz M., Graugnard D.E., Drackley J.K., Loor J.J.

2010. Adipose tissue depots of Holstein cows are immune

responsive; inflammatory gene expression in vitro. Domest

Anim Endocrinol 38:168-178.

19. Oetzel G.R., Miller B.E. 2012. Effect of oral calcium bolus supple-

mentation on early-lactation health and milk yield in commer-

cial dairy herds.– J.Dairy Sci 95:7051-7065.

20. Ospina P.A., Nydam D.V., Stokol T., Overton T.R. 2010. Associa-

tion between the proportion of sampled transition cows with

increased nonesterified fatty acids and β- hydroxybutyrate

and disease incidence, pregnancy rate and milk reproduction

at the herd level. J.Dairy Sci 93:3595-3601.

21. Reinhardt T.A, Lippolis J.D., Goff J.P., Horst R.L. 2011. Prevalence

of subclinical hypocalcemia in dairy herds. Vet. J. 188:122-124.

22. Risco G.A., Reynolds J.P., Hird D. 1984. Uterine prolapse and

hypocalcemia in dairy cows. J. Am. Vet. Med. Assoc. 185:1517-

1519.

23. Roberts T., Chapinal N., LeBlanc S.J., Kelton D.F., Dubuc J., Duff-

ield T.F. 2012. Metabolic parameters in transition cows as indi-

cators for early-lactation culling risk.– J. Dairy Sci 95:3057-3063.

24. Santos J.E., Narciso C.D., Rivera F. Thatcher WW., Chebel R.C.

2010. Effect of reducing the period of follicle dominance in

a timed A.I protocol on reproduction of dairy cows. J. Dairy Sci.

93:2976-2988.

25. Sheldon I.M., Lewis G.S., Le Blanc S, Gilbert R.O. 2006 Defin-

ing postpartum uterine disease in cattle. Theriogenology

65:1516-1530.

26. Sordillo L.M., Aitken S.L. 2009. Impact of oxidative stress on the

health and immune function of dairy cattle. Vet Immuno

Immunopathol 15; 128: 104-109.

27. Stamey J.A., Janovick N.A., Kertz A.F., Drackley J. 2012. J.Dairy

Influence of starter protein content on growth of dairy calves

in an enhanced early nutrition program Sci 95:3327-3336.

28. Exuberant Ca2+ signalling in neutrophils. A cause for concern.

News. Phys. Sci 15:130-136 Sayeed 2000.

29. Impact of metabolic oxidative stressors on periparturient

immune function and health, 2010 Penn State Dairy Cattle

Nutrition Workshop 33-39, Waldron M.R.

30. Transition cow: overview, 20th ADSA discover conference on

the transition cow: biology and management, September

2010, Champaign, IL.

Page 44: Rivista n°2 2013

42

D. Buoli

Page 45: Rivista n°2 2013

43

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

Utilizzo del dispositivo intravaginale a lento rilascio di progesterone nella terapia dell’anaestro di tipo I, II, III: prova in campo

Giovanni GnemmiDVM PhD Diplomato ECMHM, BOVINEVET Bovine Ultrasound Services

RIASSUNTO

Obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’efficacia, in con-

dizioni di campo, di un dispositivo intra-vaginale a lento rilascio di

progesterone (PRID®) nel trattamento di bovine in anaestro. L’effi-

cacia del trattamento è stata valutata sulla base del tasso di conce-

pimento registrato a 28-35 e a 55-62 giorni post inseminazione. Il

dispositivo è stato mantenuto in situ per 7 giorni; al momento della

rimozione sono stati somministrati 0,150 mg di D-cloprostenolo

(PGF2

) e 500 U.I. di eCG. Dopo 56 ore dalla somministrazione della

PGF2

sono stati somministrati 4 μg di buserelin (GnRH). Le bovine

sono state inseminate artificialmente (IA) a distanza di 18 ore dal

trattamento con il GnRH. Sono state incluse nella prova un totale

di 100 bovine di razza Holstein con anaestro rilevato a seguito di

due successive indagini ultrasonografiche eseguite a distanza di

14 giorni), nelle quali non era stata evidenziata la presenza di un

corpo luteo (CL). Tra il 28° e il 35° giorno post-IA e tra il 55° e il 62°

giorno post-IA sono stati effettuati anche due accertamenti ultra-

sonografici transrettali per diagnosticare la gravidanza. Il tasso di

concepimento rilevato è stato rispettivamente del 39% (a 28-35

giorni post-IA) e del 33% (a 55-a62 giorni post-IA). Considerata la

tipologia delle bovine oggetto della prova (bovine ad alta produ-

zione in condizioni di anaestro), i risultati ottenuti sono da ritenersi

soddisfacenti.

SUMMARY

Objective of the study was to evaluate the efficacy, in field con-

ditions, of an intra-vaginal device releasing progesterone (PRID®)

in the treatment of bovine in anoestrus. The efficacy of the de-

vice was evaluated on the basis of the conception rate recorded

at 28-35 and at 55-62 days post-insemination (AI). The device was

removed after 7 days from its insert. At the time of removal 0.150

mg of D-cloprostenol (PGF2

) and 500 IU eCG were administered.

After 56 hours from PGF2

injection, 4 mg of buserelin (GnRH) were

administered. Cows were artificially inseminated (AI) after 18 hours

from GnRH administration. A total of 100 Holstein cattle, with

anoestrus detected by the execution of two successive gyneco-

logical ultrasound examinations, spaced at 14 days, in which had

not been highlighted the presence of a corpus luteum (CL ), were

included in the trial. Pregnancy was diagnosed by two trans-rectal

ultrasonography exams carried out twice, the first between the

28th and the 35th day after AI and the second between the 55th

and the 62nd day post AI. The conception rate was respectively of

39 % at 28-35 days post AI and 33 % at 55-62 days post AI. Con-

sidering the characteristics of the selected cows (high-producing

cows in anoestrus), the results can be considered satisfactory .

INTRODUZIONE

L’anaestro è una delle patologie riproduttive più importanti della

specie bovina e può interessare il 20-30% degli animali alla fine

del tempo di attesa volontario1,2. Un’elevata produzione lattea è

considerata come un fattore di rischio: circa il 25% delle bovine

ad alta produzione è sottoposto a riforma anticipata per problemi

riproduttivi nei primi 50 giorni di lattazione3.

Esistono quattro diversi tipi di anaestro4 che presentano una sinto-

matologia clinica sempre caratterizzata dall’assenza della ciclicità

ma con un’eziopatogenesi completamente diversa. Nell’anaestro

di tipo I non si arriva alla deviazione del follicolo dominante per as-

senza di FSH4. Nell’anaestro di tipo II, dopo la deviazione, il follicolo

dominante (FD) regredisce a causa di una scarsa pulsatilità dell’LH.

Ne consegue un nuovo reclutamento follicolare, la deviazione di

un nuovo FD e la sua regressione, processo che si può ripetere per

due, tre o più volte in relazione alla profondità del bilancio ener-

getico negativo4. Infatti, l’anaestro di tipo I e II sono strettamente

correlati a un deficit energetico della bovina. Il tipo I è presente in

circa l’8 delle bovine, e in particolare nelle primipare4. L’anaestro di

tipo III, conosciuto anche come degenerazione cistica, si caratte-

rizza sotto il profilo eziopatogenetico per l’assenza del picco pre-o-

vulatorio dell’LH (surge); conseguenza di ciò è che il FD invece di

ovulare continua a crescere e può persistere, in assenza di un cor-

po luteo (CL), anche per settimane. L’anaestro di tipo IV è carat-

terizzato dalla presenza di un CL persistente, come conseguenza

Page 46: Rivista n°2 2013

44

G. Gnemmi

di una infiammazione endometriale, che di fatto pregiudica la pro-

duzione endogena di PGF2α

e impedisce così la luteolisi4.

L’anaestro non dovrebbe essere considerato una vera e propria

patologia ma solo un sintomo e come tale dovrebbe essere gesti-

to6. L’anaestro di tipo I, II e III sono l’espressione, a diversi livelli, di

un bilancio energetico negativo, mentre l’anaestro di tipo IV è la

conseguenza di una infiammazione uterina.

Prima di intraprendere una terapia per l’anaestro, ci si dovrebbe

chiedere quale è l’obiettivo: curare il “sintomo” o ingravidare la bo-

vina? Apparentemente le due cose costituiscono un unico obiet-

tivo ma in realtà di tratta di una visione medico-scientifica e zoo-

tecnica molto diversa. Se l’obiettivo sanitario è quello di curare il

“sintomo” possono essere adottate diverse strategie: nell’anaestro

di tipo I, II e III si può prendere in considerazione l’utilizzo di GnRH

o di hCG5-6-7 associato alla somministrazione di vitamine liposolu-

bili (A-D-E), mentre in caso di anaestro di tipo IV si può ricorrere a

trattamenti intrauterini e/o alla somministrazione di prostaglandi-

ne (naturali o sintetiche)8,9.

L’obiettivo sanitario dovrebbe però coincidere con l’obiettivo zoo-

tecnico: curare il sintomo finalizzando la terapia all’ingravidamen-

to della bovina. Nel caso di anaestro di tipo I, II e III, questo obietti-

vo può essere perseguito ricorrendo all’impiego di un dispositivo

intra-vaginale a lento rilascio di progesterone. L’efficacia di questo

tipo di terapia nel contrastare l’anaestro è ampiamente documen-

tata in letteratura10,11,12,13,16.

Questo lavoro si prefigge lo scopo di descrivere il risultato di una

prova di campo condotta in 12 diversi allevamenti nei quali sono

state selezionate 100 bovine di razza Holstein con anaestro di tipo

I, II e III e alle quali è stato applicato un dispositivo intra-vaginale a

lento rilascio di progesterone (PRID®DELTA).

OBIETTIVO DELLA PROVA

L’obiettivo della prova è stato quello di verificare i tassi di concepi-

mento in bovine in anaestro di tipo I, II e III a distanza di 28-35 e di

55-62 giorni dall’inseminazione, a seguito dell’applicazione di un

dispositivo intra-vaginale. Nello studio non era prevista la presen-

za di gruppi di controllo positivi e/o negativi.

MATERIALI E METODI

Criterio diagnostico. Le bovine selezionate per la prova erano di

razza Holstein e Red Holstein. Il numero medio di giorni di lattazio-

ne era di 117 giorni (minimo 92 e massimo 136 giorni), il BCS me-

dio era di 2.25 (minimo 2.00 e massimo 2.50) e la produzione lattea

media era di 36 litri/giorno (minimo 28 e massimo 46 litri/giorno).

Le bovine sono state incluse nel gruppo di studio, dopo essere

state sottoposte a due visite ginecologiche e ad accertamenti

diagnostici ultrasonografici eseguiti a distanza di 14 giorni e nei

quali non è stata evidenziata la presenza di corpi lutei (CL). Nelle

bovine non sono state verificate le concentrazioni di progestero-

ne, e quindi la diagnosi di anaestro è stata emessa solo sulla base

dei due accertamenti ecografici. L’ecografia ha dimostrato di avere

un’ottima sensibilità e specificità nella determinazione della pre-

senza-assenza di CL14,15. I criteri di valutazione adottati nel corso

dell’esame ecografico sono riportati di seguito:

• Anaestro tipo I: sono state definite in anaestro di tipo I le bovine

con strutture follicolari inferiori a 8 mm, in assenza di CL. Totale

bovine in anaestro di tipo I: 6.

• Anaestro tipo II: sono state definite in anaestro di tipo II le bovine

con strutture follicolari tra 8-15 mm, persistenti nelle due

successive visite, in assenza di CL. Totale bovine in anaestro di

tipo II: 53.

• Anaestro tipo III: sono state definite in anaestro di tipo III le

bovine con strutture follicolari > 15 mm, persistenti nelle due

visite successive, in assenza di CL. Totale bovine in anaestro di

tipo III: 41.

Il Dispositivo. Le bovine sono state incluse nello studio solo alla

fine del periodo di bilancio energetico negativo, ovvero al mo-

mento del calo del picco di lattazione. Complessivamente sono

stati inseriti 101 dispositivi intra-vaginali: nel corso della prova

infatti un dispositivo è stato perso da una bovina che, di conse-

guenza, è stata estromessa dalla prova. Il tasso di ritenzione del

dispositivo è stato quindi del 99%. Questo dato è stato superio-

re alle attese, in considerazione del fatto che il tasso di ritenzione

normalmente registrato è intorno al 97% (Dati Ceva). Il dispositivo

intra-vaginale impiegato è stato il PRID DELTA© (Ceva), contenente

1.55 grammi di progesterone. La regione perineale è stata lavata,

detersa e disinfettata prima dell’inserimento del dispositivo che è

stato posizionato sul fondo della vagina, a ridosso dell’ostio cer-

vicale esterno, mediante l’utilizzo di un apposito applicatore. Per

facilitare lo scorrimento del dispositivo nell’applicatore si è fatto

ricorso a un gel.

Il Programma di sincronizzazione. Il dispositivo è stato mantenuto

in situ per 7 giorni; in settima giornata il dispositivo è stato quindi

rimosso dalla vagina grazie all’apposito cordino collegato al dispo-

sitivo stesso. Al momento della rimozione, a ogni bovina sono stati

iniettati 0,150 mg di d-cloprostenolo (VETEGLAN® BIO98) e 500 UI

di eCG (SINCROSTIM® CEVA). Dopo 56 ore dalla somministrazio-

ne della prostaglandina sono stati somministrati 4 μg di buserelin

(RECEPTAL© MSD), cui è seguita una inseminazione artificiale a di-

stanza di 18 ore (Tabella 1).

Page 47: Rivista n°2 2013

45

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

Diagnosi di gravidanza. Le bovine sono state sottoposte a diagno-

si di gravidanza ultrasonografica per via trans-rettale utilizzando

un’unità ecografica ultra-portatile di 1.850 grammi (IMAGO© ECM).

La diagnosi è stata realizzata ricorrendo a una sonda lineare da 7.5

MHz. Il criterio diagnostico utilizzato è stato il seguente:

1. Verifica delle ovaie (destro e sinistro): ricerca di uno o più CL,

identificando anche la posizione (destra o sinistra) del CL. In caso

di CL multipli si è registrata la presenza e la loro distribuzione sulle

ovaie: ovaio destro e sinistro, due a destra o due a sinistra. Non si

è provveduto a registrare il tipo di CL (compatto, cavitario, ex cavi-

tario), non essendo questo dato sensibile e/o condizionante nella

gestione del metodo. La diagnosi di gravidanza è stata realizzata a

28-35 giorni post inseminazione su tutte le bovine che non hanno

manifestato calore precedentemente al 28° giorno dall’insemina-

zione (n=62 bovine). Una seconda diagnosi di gravidanza è stata

realizzata a 55-62 giorni su tutte le bovine che sono risultate gravi-

de con embrione vivo al primo controllo (n=37 bovine).

RISULTATI

I risultati relativi alla diagnosi di gravidanza eseguita a 28-35 giorni

post inseminazione sono riportati nella Tabella 2. Trentotto bovine

(38%) hanno manifestato il calore tra il 18° e il 25° giorno post-

inseminazione mentre le restanti sessantadue bovine (62%) sono

state sottoposte a diagnosi di gravidanza ultrasonografica trans-

rettale tra il 28° e il 35° giorno post-AI.

Di queste 39 (pari al 39% del totale delle bovine e al 57,35% delle

bovine sottoposte a diagnosi) sono risultate gravide. Due delle 39

bovine diagnosticate gravide (pari al 2% del totale, ovvero al 5.12%

delle gravide) mostravano morte embrionale tardiva (una bovina

alla diagnosi eseguita al 28° giorno e un’altra al 33° giorno post-

AI). Delle 37 bovine risultate gravide, 3 presentavano gravidanza

gemellare (7.69% delle gravide), due delle quali bilaterali e una

monolaterale destra. Altre 5 bovine risultate gravide presentavano

un doppio CL: 3 a destra, 1 a sinistra e 1 a destra e a sinistra. Tutti

gli embrioni sono stati valutati ecograficamente, senza manipola-

zione uterina, ed è stata rilevata la presenza di un battito cardiaco

normale e di una frequenza regolare. Inoltre sono stati valutati i

seguenti parametri: anecogenicità del liquido amniotico, aneco-

genicità del liquido allantoideo, integrità della membrana amnio-

tica, aderenza della membrana corion-allantoidea, dimensione

dell’embrione. Tutti i 37 embrioni vivi presentavano i parametri

vitali nella norma.

Delle 23 bovine risultate non gravide al primo controllo (pari al

23% del totale, ovvero al 37.09% di quelle non viste in calore), otto

(pari all’8% del totale, ovvero al 34.78% delle bovine non gravide al

primo controllo) non presentavano un CL, mentre delle 15 bovine

con tessuto luteale, 3 presentavano due CL (in entrambi i casi 1 a

destra e 1 a sinistra).

I risultati relativi alla diagnosi di gravidanza eseguita a 28-35 giorni

dopo l’inseminazione sono riportati nella Tabella 3.

TABELLA 1

Programma di sincronizzazione con dispositivo intravaginale in

bovine da latte.

TABELLA 2

Diagnosi di gravidanza eseguita a 28-35 giorni post inseminazione

artificiale.

TABELLA 3

Diagnosi di gravidanza eseguita a 55-62 giorni post inseminazione

artificiale.

Il secondo controllo di gravidanza è stato eseguito tra il 55° e il 62°

giorno di gestazione. Delle 37 bovine gravide al primo controllo,

4 sono state trovate “vuote” (10.81%), una di queste con un feto di

circa 50 giorni all’interno del corno uterino ipsi-laterale al CL. Una

delle gravidanze perse era una gravidanza gemellare mono-latera-

Page 48: Rivista n°2 2013

46

G. Gnemmi

le, mentre le restanti 3 erano gravidanze singole.

In totale 33 bovine (pari al 33% del totale delle bovine) sono state

riscontrate gravide al secondo controllo di gestazione. Tra il primo

e il secondo controllo di gestazione si sono perse 6 gravidanze

(pari al 15,38% del totale delle gravide alla prima diagnosi di gra-

vidanza).

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

L’anaestro è una patologia riproduttiva importante e di non facile

gestione. Soprattutto negli allevamenti commerciali è fondamen-

tale poter utilizzare protocolli collaudati, di facile impiego e in gra-

do di garantire ripetibilità dei risultati. Questi protocolli devono

integrarsi ai programmi di sincronizzazione già in uso per le bovine

cicliche. Esistono diverse interpretazioni, relativamente all’efficacia

dei diversi trattamenti, che possono prevedere o meno l’incorpora-

zione di un dispositivo intra-vaginale a lento rilascio di progestero-

ne17,18. I risultati di questa prova confermano la validità del metodo

utilizzato , garantendo un tasso di concepimento assolutamente

accettabile al secondo controllo di gestazione (33%) e perfetta-

mente in linea con i dati di Bryan e collaboratori, che hanno rileva-

to un tasso di concepimento tra il 30 e il 36% in bovine in anaestro

trattate con un dispositivo intra-vaginale rilasciante progesterone

associato o meno alla somministrazione di eCG al momento della

rimozione del dispositivo18. Considerando la tipologia delle bovine

selezionate per questa prova (bovine ad alta produzione), i risul-

tati ottenuti sono incoraggianti. Queste bovine infatti presentano

un catabolismo epatico degli ormoni steroidei accelerato rispetto

alle manze, alle bovine in asciutta e a quelle a bassa produzione.

Ulteriori approfondimenti sono comunque necessari per com-

prendere come sia possibile mantenere un livello di P4 >1.5 ng/

mL (per bloccare la pulse dell’LH). L’applicazione di due dispositivi

o il ricorso a un dispositivo con un maggiore livello di progestero-

ne, oppure con una diversa forma di rilascio, potrebbe essere una

possibile soluzione.

BIBLIOGRAFIA 1. Mwaanga E.S., Janowsky T. Anaestrus in dairy cows: causes,

prevalence and clinical form. Reprod. Domest. Anim. 2000;

vol 35: 193-200.

2. Peter A.T., Vos P.L.A.M., Ambrose D.J. Postpartum anaestrus in

dairy cattle. Theriogenology 2009; vol 71: 1333-1342.

3. Dobson H., Smith R.F. , Royal M.D., Knight C.H., Sheldom I.M.

The high producing dairy cow and its reproductive perfor-

mances. Reprod Domest Anim 2007; 42(S2): 17-23

4. Gnemmi G., Maraboli C. L’anaestro nella bovina: fisiopatologia

di un evento multifattoriale. Rivista di Medicina Veterinaria,

vol.46, n.1, 2012

5. Rigoglio N.N., Fatima L.A., Hanassaka J.H., Pinto G.L., Machado

A.S.D., Gimenes L.U., Baruselli P.S., Rennò F.P., Moura C.E.B., Wata-

nabe Il-S., Papa P.C. Equine chorionic gonadotropin alters luteal

cell morphologic features related to progesterone synthesis.

Theriogenology 79(2013) 673-679.

6. Pulley S.L., Wallece L.D., Mellieon H.I., Stevenson J.S. Ovarian

characteristic, serum concentration of progesterone and

estradiol and fertility in lactating dairy cows in response to

equine chorionic gonadotropin. Theriogenology 79 (2013)

127-134.

7. De Rensis F., Valentini R., Gorrieri F., Bottarelli E., Lopez-Gatius

F. Inducing ovulation with hCG improves the fertility of dairy

cows during the warm season. Theriogenology 69 (2008)

1077-1082.

8. Kasimanickam R., Cornwell J.M., Nebel R.L. Effect of presence

of clinical and subclinical endometritis at the initiation of

Presynch-Ovsynch program on the first service pregnancy in

dairy cows. Animal Reproduction Science 95(2006) 214-223

9. McDougall S., De Boer M., Compton C., S.J. LeBlanc. Clinical trial

of treatment programs for purulent vaginal discharge in

lactating dairy cattle in New Zealand. Theriogenology 79

(2013) 1139-1145.

10. Yaniz J.L., Murugavel K., Lòpez-Gatius F. Recent developments

in oestrus synchronization of postpartum dairy cows with and

without ovarian disorders. Reprod Domest Anim 2004; 29:

86-93.

11. Walsh R.B., LeBlanc S.J., Diffield T.D., Kelton D.F., Walton J.S.,

Leslie K.E. Synchronization of estrus and pregnancy risk in

anestrous dairy cows after treatment with a progesterone

releasing intravaginal device. J Dairy Sci 2007; 90:1139-1148.

12. Lòpez-Gatius F., Mirzaei A., Santolaria P., Bech-S°bat G.,

Nogareda C., Garcìa-Ispierto I., Hanzen Ch., Yàniz J.L. Factors

affecting the response to the specific treatment of several

forms of clinical anestrus in high producing dairy cows.

Theriogenology 69 (2008) 1095-1103.

13. Garcia-Ispìerto I.,Lòpez-Helguera I., Martino A., Lòpez-Gatius

F. Reproductive performances of anoestrus high-producing

dairy cows improved by adding equine chorionic gonadotro-

phin to a progesterone based oestrus. Reprod Dom Anim:

2011, 1439.

14. Ribadu A.Y., Ward W.R., Dobson H. Comparative evaluation of

ovarian structures in cattle by palpation per rectum ultraso-

nography and plasma progesterone concentration. Vet Rec

1994 Nov 5; 135 (19): 452-7.

15. Hanzen C., Pieterse M. Scenczi O., Drost M. Relative accuracy of

the identification of ovarian structures in the cow by ultraso-

nography and palpation per rectum. Vet J. 2000 Mar; 159 (2):

161-70.

16. Lopez-gatius F., Santolaria P., Yanez J., Rutllant J., Lopez-Bejar

Page 49: Rivista n°2 2013

47

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

M. Persistent ovarian follicles in dairy cows: a therapeutic

approach. Theriogenology 2001 Sep. 1; 56(4): 649-59.

17. Crane M.B. Bartolome J., Melendez P. De Vries A., Risco C.,

Archbald L.F. Comparision of synchronization of ovulation with

timed insemination and exogenous progesterone as thera-

peutic strategies for ovarian cyst in lactating dairy cows.

Theriogenology 2006 May; 65(8): 1563-74.

18. Bryan M.A., Bò G., Mapletof R.J., Emslie F.R. The use of equine

chorionic gonadotropin in the treatment of anestrus dairy

cows in gonatropin-releasing hormone/progesterone proto-

cols of 6 or 7 days. J Dairy Sci. 2013 Jan; 96(1): 122-31.

Page 50: Rivista n°2 2013

48

M.C. Mura

Page 51: Rivista n°2 2013

49

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

Comparazione dell’efficienza in scrofette puberi di un trattamento progestinico e di un trattamento progestinico associato a gonadotropine

A. Scollo1,DVM, PhD, E. Catelli1, DVM, P. Casappa2, DVM, C. Mazzoni1, DVM1 Medico Veterinario Suivet2 Ceva Salute Animale

RIASSUNTO

Nell’allevamento suinicolo moderno la gestione e l’introduzione

della scrofetta nella carriera riproduttiva ricoprono un ruolo

fondamentale, in quanto da questo animale dipende il futuro

produttivo dell’azienda. Lo scopo del presente lavoro è stato

quello di determinare l’efficacia della sincronizzazione degli estri

sulle performance zootecniche di un gruppo di scrofette puberi

sottoposte a trattamento farmacologico con il solo progestinico

(Altresyn®, 4 mg/ml di Altrenogest) o con il progestinico associato

a una successiva somministrazione di gonadotropine (Fertipig®,

eCG 80UI/ml e hCG 40UI/ml). I risultati suggeriscono che la

somministrazione nelle scrofette di eCG e hCG in associazione

(Fertipig®) 24 ore dopo la fine del trattamento con Altrenogest

(Altresyn®) garantisce maggiore omogeneità tra la fine di

quest’ultimo trattamento e la venuta in estro degli animali,

consentendo così un’ottimizzazione del management delle

fecondazioni.

ABSTRACT

In modern pig breeding, the management and the introduction of

the gilt in the reproductive career play a key role, from this depends

the reproductive future of the herd. The aim of this work was to

determine the effectiveness of oestrus synchronization on the

reproductive performances of a pubertal gilts group subjected to

pharmacological treatment with progestin-only (Altresyn ®, 4mg/

ml of Altrenogest), or with progestin associated with subsequent

administration of gonadotropins (Fertipig ®, e CG and hCG 80UI/

ml 40UI/ml) group. The results suggest that the administration

of eCG and hCG in combination (Fertipig®) 24 hours after the

end of treatment with Altrenogest (Altresyn®) in gilts, ensures

greater uniformity between the end of the latter treatment and

the coming of the animals in oestrus, allowing optimization of

insemination management.

KEY WORDS

Gilt, Gonadotropin, Estrus, Progestin, Gonadotropine.

INTRODUZIONE

Nell’allevamento suinicolo la scrofetta richiede particolari

attenzioni in quanto dalla sua delicata gestione dipende il futuro

riproduttivo dell’intera azienda. Ricoprendo un ruolo cardine, i

costi a essa legati non sono trascurabili e un calo di efficienza può

rapidamente tradursi in una tangibile perdita economica (1). Nella

realtà zootecnica, ogni anno vengono riformate dal 30 al 50%

delle scrofe che vengono sostituite dalla rimonta delle scrofette

(2): il successo di questa sostituzione rappresenta una vera e

propria sfida per il management dell’azienda. Sfortunatamente

però non è facile ottenere un numero sufficiente di scrofette

pronte a garantire il tasso di rimonta e quindi il successo dell’intera

operazione passa necessariamente attraverso un’ottimizzazione

dei flussi di questi animali. L’opportunità di poter decidere

in che momento sincronizzare gli estri delle scrofette, ma

soprattutto di poterli concentrare in un breve lasso di tempo può

rappresentare un punto di grande utilità per l’azienda. I risvolti

positivi tanto sulla gestione del seme, certamente ottimizzato

soprattutto se acquistato, quanto sulla gestione dei parti, a loro

volta più concentrati nell’unità di tempo, possono veramente

“fare la differenza”. Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia

della somministrazione per via orale dei progestinici nella

sincronizzazione dell’estro in scrofette puberi, anche in una fase

sconosciuta del ciclo estrale (2). Tuttavia, l’insorgenza del calore

in animali sincronizzati con progestinici può avvenire in un arco

di tempo non del tutto prevedibile e distribuirsi anche all’interno

di una intera settimana. Questo inconveniente è per la maggior

parte attribuibile a un insufficiente sviluppo follicolare. Con lo

scopo di stimolare questo sviluppo e ottenere un maggiore effetto

sincronizzante, negli ultimi anni la ricerca ha indirizzato la propria

attenzione verso protocolli di sincronizzazione dell’estro che

prevedono l’utilizzo di gonadotropine al termine del trattamento

col progestinico (3). Diversi studi sono stati già condotti sugli

effetti dell’associazione di queste due categorie di farmaci nella

fisiologia delle scrofette (4, 5, 6), mentre per contro meno indagato

Page 52: Rivista n°2 2013

50

A. Scollo - E.Catelli - P. Casappa - C. Mazzoni

è stato finora l’aspetto zootecnico delle performance conseguenti

alla sincronizzazione.

Lo scopo del presente lavoro è stato quello di determinare

le performance zootecniche di scrofette puberi sottoposte a

trattamento farmacologico con il solo progestinico (Altresyn®,

4mg/ml di Altrenogest) oppure con il progestinico associato a

una successiva somministrazione di gonadotropine (Fertipig® eCG

80UI/ml e hCG 40UI/ml).

MATERIALI E METODI

Animali e management

Lo studio è stato condotto in un allevamento suinicolo commerciale

a ciclo aperto, rispettando le norme minime sulla protezione dei

suini come indicate dalla legislazione vigente (7). Per la prova sono

state selezionate 66 scrofette puberi in fase estrale sconosciuta,

tutte di genetica ibrida commerciale Large White × Landrace.

L’età media degli animali era di circa 180 giorni di vita, con un

peso stimato intorno ai 100 kg. L’ultima fase di selezione, prima

dell’introduzione nel reparto di gestazione, è avvenuta valutando

l’integrità degli appiombi, le dimensioni dei genitali esterni e la

condizione corporea (BCS) (8). Il periodo di osservazione è iniziato

in marzo, concomitantemente al trasferimento delle scrofette nelle

gabbie di gestazione (attorno ai 7 mesi di vita e a un peso di 120 kg),

ed è terminato in maggio. Gli animali sono stati allocati all’interno

di un capannone a ventilazione forzata con pavimentazione in

grigliato e sono stati sottoposti a un’irradiazione luminosa di 8 ore

di luce al giorno ad un’intensità di 300 lux. L’alimento, in ragione

di 1,80 kg/capo/die di una formulazione standard, è stato fornito

con sistemi automatizzati due volte al giorno (alle ore 07:00 e alle

ore 16:00). L’acqua è stata lasciata a disposizione ad libitum tramite

un abbeveratoio a spillo. A tutte le scrofette è stato somministrato

puntualmente e individualmente Altrenogest (Altresyn® 4 mg/

ml, Ceva) al dosaggio orale di 20 mg/capo/die (pari a 5 ml di

preparato) per 18 giorni consecutivi al momento del pasto delle

ore 07:00. Il diciannovesimo giorno (ossia 24 ore dopo l’ultima

somministrazione di Altrenogest) 36 scrofette sono state trattate

per via intramuscolare con 5 ml di un preparato contenenti

400 UI di eCG e 200 UI di hCG (Fertipig®, Ceva). Le rimanenti 30

scrofette sono state invece trattate con le stesse modalità con

una soluzione placebo. A partire dal giorno 19 per due volte al

giorno (alle ore 08:00 e alle ore 16:00) è stata effettuata la ricerca

degli estri con il verro; la venuta in estro è stata registrata alla

manifestazione del riflesso dell’immobilità da parte dell’animale

e delle tipiche caratteristiche dell’estro descritte da Signoret (9).

Durante l’estro, le scrofette sono state fecondate alla presenza del

verro, con inseminazione artificiale convenzionale con cateteri

a spugna e buste monodose da 90 ml per 2,6 x 106 spermatozoi

vivi e vitali in extender a lunga conservazione. Il seme refrigerato,

utilizzato entro 24 ore dal prelievo, è stato depositato nelle vie

genitali femminili con una prima dose al rilevamento dell’estro e

una seconda a distanza di 24 ore, secondo il protocollo suggerito

da Almeida et al. (10). Gli animali sono stati quindi monitorati per

l’intera gravidanza e gli eventuali ritorni in estro o gli aborti sono

stati annotati.

Oltre all’intervallo tra la fine del trattamento con Altrenogest e

l’insorgenza dell’estro (ISE-pt) sono stati calcolati anche i principali

parametri riproduttivi degli animali, quali la fertilità ecografica, la

portata al parto e la percentuale di calori entro l’ottavo giorno

post-trattamento. Inoltre, al momento del parto, per ciascuna

scrofetta sono stati raccolti i dati relativi al numero di nati totali,

nati vivi, nati morti e mummificati.

Analisi statistica

Le percentuali di portata al parto dei due gruppi sono state

confrontate tramite l’analisi del chi-quadro, mentre per le

percentuali di scrofette in calore entro gli 8 giorni dalla fine del

trattamento è stato utilizzato il Fisher’s exact test. Per l’ISE-pt, il

numero di nati totali, nati vivi, nati morti e mummificati invece è

stato utilizzato il t-test. La variabile ISE-pt è stata successivamente

analizzata anche con il test del chi-quadro per il confronto tra

due distribuzioni di dati. Un ulteriore z-test è stato effettuato per

il confronto tra frequenze di dati entro ciascun giorno di venuta

in calore.

RISULTATI

Sono emerse differenze significative tra i due gruppi di trattamento

(P < 0,05) per intervallo tra la fine del trattamento con Altrenogest

e l’insorgenza dell’estro (di seguito nel testo ISE-pt), la cui durata

è risultata di 5,6 giorni per le scrofette trattate con Altrenogest

e Fertipig® e di 6,3 giorni per il gruppo trattato solamente con

Altrenogest. Tale differenza è stata confermata anche nell’analisi

della distribuzione dei dati nei due gruppi (P < 0,05); l’indice di

Kurtosis calcolato ha evidenziato una distribuzione con una

curva ad angolo molto più acuto (?) nel gruppo delle scrofette

con doppio trattamento piuttosto che nel gruppo trattato con

solo Altrenogest (3,03 vs 0,24), descrivendo la minore variabilità

della venuta in estro dopo la somministrazione di gonadotropine

(Grafico 1).

Infatti, il 57% delle scrofette trattate con entrambi i farmaci

ha manifestato il calore a distanza di 5 giorni dalla fine del

trattamento con Altrenogest, con un complessivo 83% tra il giorno

5 e 6. Tra le scrofette non trattate con Fertipig® invece, solo il 41%

ha manifestato il calore concomitantemente al giorno 6, mentre le

restanti si sono distribuite nei giorni precedenti e seguenti (10%

il giorno 5; 17% sia il giorno 7 che il giorno 8). Nel confronto tra

frequenze percentuali per ciascun giorno di venuta in calore si

è evidenziata forte differenza significativa (P < 0,001) al giorno 5

(Grafico 2).

I risultati non significativi degli altri parametri indagati sono

riportati in Tabella 1.

Page 53: Rivista n°2 2013

51

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

DISCUSSIONE

Alla luce della ormai consolidata difficoltà di individuare il momento

ideale della fecondazione nelle scrofe e ancor più nelle scrofette, il

controllo dell’estro è l’unico approccio per cercare di determinare

il minore intervallo possibile tra il momento dell’ovulazione e la

fecondazione artificiale. A tale scopo, l’efficacia dell’Altrenogest

nel sincronizzare l’estro in scrofette puberi è ampiamente

documentato (revisioni: 2, 11, 12). Riassumendo i dati riportati in

letteratura Estienne et al. (5) sostengono che la sincronizzazione

con l’utilizzo di Altrenogest per 18 giorni garantisce l’estro

approssimativamente nel 90% delle scrofette trattate. I risultati

del presente lavoro hanno invece superato queste aspettative

in entrambi i gruppi di trattamento, raggiungendo entro l’ottavo

giorno dall’ultima somministrazione di Altrenogest il 96,6% e il

97,2% rispettivamente per le scrofette senza gonadotropine e

per quelle trattate anche con il Fertipig®. L’elevata percentuale di

scrofette in calore entro l’ottavo giorno dalla fine del trattamento

conferma dunque l’efficacia dell’Altrenogest nella sincronizzazione

dell’estro a prescindere dall’utilizzo di gonadotropine. Come

già osservato da de Jong et al. (13) in un recentissimo lavoro,

le differenze nelle performance zootecniche dei due gruppi

possono infatti essere esigue. Tuttavia, a differenza di quanto

GRAFICO 1

Analisi della distribuzione degli intervalli tra l’ultima somministra-

zione di Altrenogest ed il calore.

TABELLA 1

Dati produttivi delle scrofette dei due gruppi di trattamento.

GRAFICO 2

Frequenze percentuali del giorno di insorgenza dei calori nelle

scrofette appartenenti ai due gruppi di trattamento (analisi della

distribuzione dei dati: P < 0,05).

A: scrofette trattate solo con Altrenogest; B: scrofette trattate sia con

Altrenogest che con Fertipig®; k = indice di Kurtosis.

a,b: lettere differenti indicano differenza significativa tra le frequenze nei

due gruppi di trattamento (P< 0,001).

*Dati calcolati escludendo i parti delle scrofette tornate in calore dopo la fecondazione.

Variabile Altrenogest Altrenogest + Fertipig P-value

Scrofette (n°) 30 36

Calori entro 8 giorni (%) 96,6 97,2 > 0,05

ISE-pt, media (giorni) 6,3 ± 1,4a 5,6 ± 1,1b < 0,05

Fertilità ecografica % 90 83,3 > 0,05

Portata al parto (%) 83,3 77,8 > 0,05

Nati totali, media (n°)* 14,8 ± 2,7 13,2 ± 3,5 > 0,05

Nati vivi, media (n°)* 12,6 ± 3,1 11,5 ± 4,1 > 0,05

Nati morti, media (n°)* 1,5 ± 2,2 1,0 ± 1,3 > 0,05

Mummificati, media (n°)* 0,7 ± 1,4 0,7 ± 2,3 > 0,05

Page 54: Rivista n°2 2013

52

A. Scollo - E.Catelli - P. Casappa - C. Mazzoni

effettuato nel presente lavoro, de Jong ha utilizzato le sole eCG

per la stimolazione dello sviluppo follicolare. Sebbene infatti

le gonadotropine corioniche di cavalla siano spesso utilizzate

da sole, la loro associazione con le hCG rappresenta uno tra i

protocolli di induzione dell’estro più diffusi sia per la sua efficacia

nella stimolazione dell’ovulazione (14) che per la minore mortalità

embrionale che ne deriva (15). Nel presente lavoro, utilizzando una

associazione tra eCG ed hCG è emersa una differenza significativa

(P < 0,05) per l’ISE-pt, che nel sopracitato studio si era manifestata

solo con una lieve tendenza senza piena significatività statistica

(P = 0,07). Le scrofette trattate con il Fertipig® invece hanno

manifestato il calore 5,6 giorni dopo la fine del trattamento rispetto

ai 6,3 giorni degli animali trattati solo con Altrenogest. Risultati

simili erano stati riportati precedentemente in letteratura da

Horsley et al. (6), anche in questo caso a seguito dell’associazione

di hCG e eCG. Ancora, una riduzione dell’ISE-pt nelle scrofette è

stata osservata anche da Engl et al. (16) (con l’impiego del GnRH)

e da Martinat-Bottè et al. (17) (con l’impiego di eCG associate a un

agonista del GnRH). Al contrario, Kaeoket (18), facendo ricorso alla

somministrazione delle sole hCG dopo l’Altrenogest, afferma che

l’intervallo tra la fine del trattamento e la comparsa dell’estro non è

tra i parametri influenzati dalla somministrazione di gonadotropine.

Malgrado i risultati contrastanti, è comunque da sottolineare il

differente utilizzo delle gonadotropine fatto dai diversi autori che

ha permesso di evidenziare una apparente minore efficacia per

i protocolli che prevedono, dopo il trattamento progestinico, la

somministrazione di solo una delle gonadotropine in esame (eCG

o hCG) e non una associazione tra le diverse gonadotropine o

tra gonadotropine e GnRH. Sebbene i diversi studi non possano

essere confrontati in quanto condotti in condizioni sperimentali

differenti, l’effetto positivo registrato nel presente lavoro sulla

venuta in estro dopo il trattamento potrebbe essere attribuibile

proprio all’associazione di eCG e hCG. È probabile infatti che la

riduzione dell’intervallo ISE-pt sia avvenuta grazie alla sinergia

nell’attività LH- ed FSH-simile delle due gonadotropine; Driancourt

et al. (19) affermano infatti che l’LH stimola la crescita follicolare

dai 4 mm fino alle dimensioni preovulatorie e che questo

si traduce in un accorciamento della fase follicolare e nella

conseguente riduzione dell’ISE-pt (13, 20). Inoltre, l’efficacia del

protocollo terapeutico utilizzato conferma anche la correttezza

delle tempistiche di somministrazione delle gonadotropine dopo

l’ultima dose di Altrenogest (24 ore): Kaeoket (18) infatti, che non

aveva registrato alcuna efficacia nel proprio protocollo, suggeriva

che il timing utilizzato per la somministrazione gonadotropinica

(3 giorni dopo l’ultima dose di Altrenogest) poteva essere improprio

e responsabile di uno squilibrio ormonale in grado di determinare

il mancato incremento preovulatorio di LH, la precoce produzione

di progesterone per luteinizzazione dei follicoli, e le conseguenti

interferenze nel processo di ovulazione.

Gli altri parametri analizzati nel presente lavoro non hanno

mostrato differenze significative tra i due gruppi di trattamento.

Sebbene le stesse conclusioni abbiano suscitato alcune perplessità

in altri autori (17) sui reali effetti benefici conseguenti all’aggiunta

di gonadotropine all’Altrenogest, è utile sottolineare come da

un’indagine più approfondita sull’ISE-pt si possano rilevare risvolti

estremamente interessanti per quanto riguarda l’ottimizzazione

della successiva fase di inseminazione della scrofetta. Infatti

l’analisi del parametro ha evidenziato anche nel gruppo trattato

con Fertipig® una maggiore concentrazione degli estri in due

giorni invece che in quattro.

Engl et al. (16) suggeriscono il potenziale tornaconto ottenibile

dalla concentrazione delle inseminazioni in un arco di tempo

minore. Come suggerito da Degenstein et al. (21), l’ottenimento

di calori ravvicinati permetterebbe di focalizzare una maggiore

attenzione zootecnica e valutare con più precisione il momento

delle ovulazioni garantendo così un ottimale management di

questa delicata fase. L’adozione di un protocollo di inseminazione

artificiale con scarso margine di errore rappresenta infatti il valore

aggiunto dell’efficacia dell’induzione dell’estro; il fine ultimo

delle ricerche in questo campo, empiricamente, è l’ulteriore

restringimento di questo intervallo per l’utilizzo di una singola

dose di seme (21).

In conclusione, la somministrazione nelle scrofette di eCG e hCG

in associazione (Fertipig®) 24 ore dopo la fine del trattamento con

Altrenogest garantisce un migliore intervallo tra quest’ultimo e

la venuta in estro degli animali. Il più ristretto range di insorgenza

dell’estro consente inoltre di ottimizzare il management delle

inseminazioni nella scrofetta, facilitando così la delicata gestione

di questo animale che riveste un ruolo chiave nell’azienda

suinicola moderna.

BIBLIOGRAFIA

1. Davis, D.L., Using Regumate to control estrus in swine,

Conference paper of the Swine Day, 2004.

http://krex.k-state.edu/

dspace/bitstream/handle/2097/1975/Using%20

Regumate%20to%20Control%20Estrus%20in%20Swine-%20

Swine%20Day%202004.pdf?sequence=1

2. Gordon, I., Controlled Reproduction in Pigs, CAB International,

Wallingford, Oxon, UK, 1997.

3. Brüssow, K.P., Wähner, M., Biological and technological

background of estrus synchronization and fixed-time ovulation

induction in the pig, Biotechnology in Animal Husbandry, 27,

533-545, 2011.

4. Knox, R.V., Tudor, K.W., Rodriguez-Zas, S.L., Robb, J.A., Effect of

Page 55: Rivista n°2 2013

53

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

subcutaneous vs intramuscular administration of P.G. 600 on

estrual and ovulatory responses of prepubertal gilts, Journal of

Animal Science, 78, 1732-1737, 2000.

5. Estienne, M.J., Harper, A.F., Horsley, B.R., Estienne, C.E., Knight,

J.W., Effects of P.G. 600 on the onset of estrus and ovulation

rate in gilts treated with Regu-mate, Journal of Animal Science,

79, 2757-2761, 2001.

6. Horsley, B.R., Estienne, M.J., Harper, A.F., Purcell, S.H., Baitis, H.K.,

Beal, W.E., Knight, J.W., Effect of P.G. 600 on the timing of

ovulation in gilts treated with altrenogest, Journal of Animal

Science, 7, 1690-1695, 2005.

7. Consiglio dell’Unione Europea, Consiglio Direttivo 2008/120/

EC del 18 dicembre 2008 che stabilisce le norme minime sulla

protezione dei suini, Official Journal 316, 36-38, 2008.

8. Stalder, K.J., Johnson, C., Miller, D.P., Baas, T.J., Berry, N., Christian,

A.E., Serenius, T.V., The replacement gilt evaluation guide,

National Pork Board, Des Moines, IA USA, 2009.

9. Signoret, J.P., Reproductive behavior of pigs. Jurnal of

Reproduction and Fertility, 11, 105-107, 1970.

10. Almeida, F., R.C.L., Novak, S., Foxcroft, G.R., The time of ovulation

in relation to estrus duration in gilts, Theriogenology, 7, 1389–

1396, 2000.

11. Webel, S.K., Day, B.N., The control of ovulation, Control of pig

reproduction, D.J.A. Cole, G.R. Foxcroft, ed. Butterworths,

London, UK, 1982.

12. Day, B.N., Estrous cycle regulation, Proceedings of 10°

International Congressi on Animal reproduction and Artificial

Insemination, Urbana, IL, 1984.

13. De Jong, E., Kauffol, J., Engl, S., Jourquin, J., Maes, D., Effect of

a GnRH analogue (Maprelin) on the reproductive performance

of gilts and sows, Theriogenology, 8, 870–877, 2013.

14. Brüssow, K.P., Schneider, F., Tuchscherer, A., Kanitz, W., Influence

of synthetic lamprey GnRH-III on gonadotropin release and

steroid hormone levels in gilts, Theriogenology, 74, 1570-

1578, 2010.

15. Tilton, J.E., Schmidt, A.E., Weigl, R.M., Ziecik, A.J., Ovarian steroid

secretion changes after hCG stimulation in early pregnant

pigs, Theriogenology, 32, 623–631, 1989.

16. Engl, S., Bischoff, R., Zaremba, W., Use of a new GnRH to control

reproduction in gilts, Proceedings of the 21th IPVS Congress,

Vancouver, Canada, P778.

17. Martinat-Botté, F., Venturi, E., Guillouet, P., Driancourt,

M.A., Terqui, M., Induction and synchronization of ovulations

of nulliparous and multiparous sows with an injection of

gonadotropin-releasing hormone agonist (Receptal), Therioge-

nology, 73, 332–342, 2010.

18. Kaeoket, K., Study on the oestrous synchronization in gilts by

using progestin altrenogest and hCG: its effects on the follicular

development, ovulation time and subsequent reproductive

performance, Reproduction of domestic animals, 43, 127-129,

2008.

19. Driancourt, M.A., Terqui, M., Follicular growth and maturation

in hyperprolific and large white sows, Journal of animal

science, 74, 2231-2238, 1996.

20. Cassar, G., Hormonal control of pig reproduction, London

Swine Conference, Tools of the Trada, 137-139, 2009.

21. E., Ambrose, D.J., Foxcroft, G.R., Dyck, M.K., Synchronization of

ovulation in cyclic gilts with porcine luteinizing hormone

(pLH) and its effects on reproductive function, Theriogenology,

70, 1075-1085, 2008.

Page 56: Rivista n°2 2013

54

A. Meini

Page 57: Rivista n°2 2013

55

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

Gestione riproduttiva delle manze in allevamenti di bovine da latte

Ceva Sante Animale ha organizzato il secondo ReprodAction Scien-

tific Meeting con il contributo di un nuovo gruppo di ricercatori

esperti nel campo della riproduzione e della gestione della man-

dria. L’incontro si è tenuto il 16 e il 17 Aprile del 2013 presso l’Azien-

da “La Blanca Dairy Hub” (www.blancapyrenees.com) a La Seu de

Urgell, in Spagna. Obiettivo principale dell’incontro è stato quello

di creare un ambiente ideale per un aperto scambio di idee e per

un’ampia discussione tra esperti su uno specifico argomento: “La

gestione riproduttiva delle manze in allevamenti di bovine da lat-

te”. I partecipanti all’incontro, provenienti da diversi Paesi, hanno

presentato dati e discusso delle pratiche più comuni nella gestio-

ne delle manze (con particolare riferimento agli aspetti riprodutti-

vi), prendendo in considerazione i differenti sistemi di allevamento

nei vari Paesi.

RICONOSCIMENTI

Ceva Sante Animale vuole ringraziare tutti i partecipanti all’incon-

tro per il sostegno e l’impegno profusi nel fornire informazioni

aggiornate sull’argomento oggetto del simposio. Un particolare

ringraziamento va al Dr. Alex Bach (IRTA), al Sig. Pepe Ahedo, alla

sua famiglia e al Dr. Daniel Martinez della Blanca Dairy Hub. Un do-

veroso ringraziamento va anche al Dr. Palma per il prezioso contri-

buto nella stesura di questo documento.

NOTA

I contenuti riportati in questa breve rassegna non rappresentano

l’opinione di un singolo esperto ma sono piuttosto un compendio

delle opinioni dei diversi partecipanti all’incontro. Nel caso di un

interesse riguardo particolari linee di ricerca o per approfondire

singoli punti di vista riguardanti gli argomenti trattati nel presente

documento, invitiamo i lettori a prendere contatto direttamente

con il Dr. Giorgio Valla ([email protected]) che si farà carico

di contattare l’esperto.

Gamze Alpun (Ceva Product Manager, Turkey), Gita Imam (Ceva

Technical Manager Savapars, Iran), Aryan Badiei (Islamic Azad

University, Tehran, Iran), Pedro Rodriguez (Ceva Corporate Prod-

uct Manager), Robert Dobson (Dairy Producer, UK), Simon King

(BVM&S MRCVS, Lambert Leonard & May Vet Practice, UK), Thomas

Paliargues (Ruminant Director for Ceva Africa/Middle East), Russ

Davis (Ceva Product Manager, Australia), Valentin Nenov (Rumi-

nant Product Manager, Ceva Middle-East), Hilary Dobson (Univer-

sity Liverpool, UK), Juan Munoz-Bielsa (Ceva Corporate Marketing

Director), Stephanie Clarke (Ceva Marketing Manager, UK), Tine

Van Werven (Utrecht University, Netherlands), Anna Zakharova

(Ceva Veterinary Adviser, UK), Ralf Werner (Ceva Livestock Man-

ager, Germany), Marta Terré (IRTA Research Center, Spain), Prof.

Geert Opsomer (University of Ghent, Belgium), Rafal Trukan (Ceva

Product Manager, Poland), Heinrich Bollwein (University of Zurich,

Switzerland), Tomasz Janowski (University of Warmia and Mazury,

Poland), Şukru Metin Pancarcı (University of Balikesir, Turkey),

Giovanni Gnemmi (ECBHM Diplomate, Bovinevet, Italy), Stephane

Floch (Ceva Product Manager, France), Vasileios Kanoulas (Ceva

Product Manager, Greece).

FIGURA 1

Il gruppo che ha partecipato all’incontro scientifico.

In piedi da sinistra a destra:

Page 58: Rivista n°2 2013

56

Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012

In prima fila, da sinistra a destra:

Victor Cabrera (University of Wisconsin, USA), Alex Souza (Ceva

Corporate Technical Manager), Giorgio Valla (Ceva Marketing Ma-

nager, Italy), Antonio Jimenez (Ceva Product Manager, Spain), Su-

sana Astiz (INIA Research Center, Spain).

INTRODUZIONE

Questo documento si prefigge l’obiettivo di riassumere gli aspetti

principali e le conclusioni relative agli argomenti trattati nel cor-

so di una riunione di esperti nel campo della gestione sanitaria e

dell’allevamento della bovina da latte, riunione che si è concen-

trata soprattutto sul tema della “gestione riproduttiva delle manze

nell’allevamento delle bovine da latte”.

I dati presentati relativi all’età ideale, nonché al peso ottimale al

momento del primo parto, si applicano alle manze di razza frisona;

informazioni su altre razze sono disponibili su richiesta.

Il documento è suddiviso in cinque sezioni:

• Panoramica sulle pratiche di gestione delle manze nei diversi

Paesi

• “Dalla nascita al periodo dell’accoppiamento/inseminazione:

investire sulla futura bovina”

• Le migliori strategie e pratiche di gestione al momento dell’ac-

coppiamento/inseminazione

• Appendice: riassunto dei principali programmi di riproduzione

disponibili per le manze

• Appendice: linee-guida nutrizionali durante il periodo di alleva-

mento delle manze

Panoramica sulle pratiche manageriali di gestione delle man-

ze nei diversi Paesi

Tutti i partecipanti all’incontro hanno concordato sul fatto che gli

allevatori hanno la tendenza a investire poco tempo e a dedicare

poca attenzione alla gestione dell’allevamento delle manze, e in

particolare agli aspetti riproduttivi che riguardano in modo spe-

cifico questi animali. Nel corso degli interventi sono stati portati

alcuni esempi per evidenziare una gestione non adeguata delle

manze:

• le manze sono spesso allevate in aree (al pascolo o in recinti)

distanti dall’allevamento principale (Figura 1);

• i ricoveri delle manze sono spesso costituiti da strutture obsolete

o da adattamenti improvvisati o non idonei;

• il personale addetto alla gestione delle manze può non possede-

re un adeguato livello di competenza;

• infine, e questo punto è stato considerato molto importante,

tutti gli esperti hanno convenuto che si riscontrano spesso gran-

di difficoltà ad accedere e a disporre di un adeguato e accurato

sistema di registrazione dei dati di allevamento in generale e dei

dati riproduttivi delle manze in particolare, che talvolta semplice-

mente non esistono.

La mancanza di interesse e la carenza di informazioni sulle strate-

gie nutrizionali adottate nelle manze risultano evidenti se si con-

siderano i dati di letteratura disponibili. Durante gli ultimi decenni

l’allevamento delle manze ha ricevuto scarsa attenzione da parte

della comunità scientifica e accademica rispetto a quella dedicata

alle bovine in lattazione. Il risultato è stato che sono disponibili

limitate informazioni scientifiche per quanto riguarda alcune aree

relative alla gestione delle manze.

La Dott.ssa Terré (Spagna) e la Professoressa Dobson (Regno Uni-

to) hanno dimostrato che, nonostante sia spesso trascurato dagli

allevatori, l’allevamento delle manze rappresenta la seconda voce

di spesa tra i costi globali sostenuti in un allevamento di bovine

da latte e incide in genere per circa il 15-20% dei costi totali di

produzione (Figura 2).

Pertanto, l’aumento dell’efficienza nella gestione delle manze rap-

presenta un fattore di criticità per una buona economia aziendale.

FIGURA 1

Le manze nullipare sono spesso allevate in zone remote dell’alle-

vamento da latte - la sindrome della manza “dimenticata”. Diaposi-

tiva presentata dal Dr. S. King. UK.

FIGURA 2

I costi relativi alle manze allevate per la rimonta costituiscono la

seconda voce di spesa nell’allevamento da latte. Diapositiva pre-

sentata dalla Dr.ssa Terré, Spagna.

Page 59: Rivista n°2 2013

57

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

Per quanto riguarda la gestione riproduttiva, quando si confronta

il quadro relativo alle performance riproduttive delle manze in Eu-

ropa uno dei problemi principali da affrontare e risolvere è costi-

tuito dalla mancanza di un’affidabile registrazione dei dati a livello

nazionale. Inoltre, secondo l’esperienza dei partecipanti, molti alle-

vatori fanno ancora affidamento sulla rilevazione visiva degli estri

che solo a volte vengono indotti dall’utilizzo di prostaglandine. La

data della prima inseminazione/accoppiamento sembra essere

compresa tra i 13 e i 18 mesi di età e la data del primo parto tra i

23 e i 31 mesi. Questo dato varia in modo significativo in funzione

del tipo di gestione adottato nell’allevamento. L’utilizzo di sistemi

di rilevazione dell’estro, che possono comprendere anche sistemi

elettronici rilevatori di attività, può incrementare in modo signi-

ficativo il tasso di rilevazione dei calori. Gli esperti incoraggiano

l’utilizzo di questi dispositivi, anche se occorre sempre tenere in

considerazione i possibili limiti correlati alla tipologia dell’alleva-

mento e agli aspetti economico-finanziari legati all’adozione di

questi sistemi. Inoltre, allo scopo di ovviare a una scarsa efficienza

nella rilevazione dei calori, gli allevatori tendono a utilizzare una

grande varietà di programmi di sincronizzazione. In seguito, per

fornire un adeguato supporto a veterinari e allevatori nella scelta

nella migliore strategia da adottare, saranno discussi in modo ap-

profondito i vari aspetti della gestione riproduttiva delle manze.

Il tasso di utilizzo dell’inseminazione artificiale (IA) si differenzia tra

i diversi Paesi e persino all’interno dei singoli Paesi: ad esempio,

il Dr. Pancarci (Turchia) ha presentato dei dati che evidenziano

come l’IA sai molto utilizzata delle zone occidentali della Turchia,

mentre la monta naturale è ancora molto diffusa nelle zone orien-

tali del Paese.

Queste osservazioni sono state integrate dai dati forniti dal Dr. S.

King (Regno Unito), che ha riferito che l’inseminazione naturale è

ancora utilizzata in circa il 25% degli allevamenti di bovine da latte

da lui controllati nella sua attività professionale. E’ perciò abbastan-

za evidente che in alcune aree europee l’inseminazione artificiale

non è utilizzata nella totalità dei casi e che il ricorso al/ai toro/i è

considerata ancora oggi come la scelta migliore per l’inseminazio-

ne delle manze. Ciò accade in particolare negli allevamenti che

prevedono il pascolo come metodo di allevamento.

In generale è stato evidenziato che i vantaggi dell’IA rispetto alla

monta naturale sono rappresentati dal miglioramento genetico

della mandria, da una migliore bio-sicurezza, da una maggiore

uniformità della qualità del seme (ad esempio, il toro aziendale

può presentare un seme di bassa qualità nei mesi estivi) e da una

migliore performance riproduttiva, almeno quando l’IA è ben ge-

stita. Tutti questi punti sono stati oggetto di approfondimento e di

discussione in numerosi articoli scientifici riguardanti sia le bovine

da latte che da carne, mentre, come già accennato, sono piuttosto

scarsi i dati disponibili relativi alle manze.

FIGURA 3

Effetto della dimensione della mandria sull’età al primo parto in

manze da latte.

Nel corso dell’incontro, uno degli argomenti maggiormente al

centro dell’attenzione degli esperti è stato l’aumento dell’utiliz-

zo di seme sessato nella gestione delle manze. Il Dr. King (UK), ad

esempio, ha mostrato alcuni dati indicanti che l’uso di seme sessa-

to rappresenta circa il 12,5% del totale del seme utilizzato nel Re-

gno Unito (DairyCo Survey, 2012), anche se ancora non si raggiun-

gono i livelli di utilizzo rilevati in altri Paesi europei quali Svizzera e

Germania, come affermato dal Prof.Bollwein. Nonostante ciò, gli

esperti si sono mostrati d’accordo nell’affermare che è necessaria

una certa cautela al riguardo di un uso “aggressivo” del seme sessa-

to. In breve, devono essere attentamente valutate alcune variabili

di mercato quali i prezzi delle manze da rimonta, del latte e delle

bovine riformate, così come tutte le variabili correlate alla riprodu-

zione, e in particolare i tassi di gravidanza che si conseguono dopo

l’uso di seme sessato o non-sessato.

Si vuole qui incoraggiare i lettori ad accedere a un sito web indi-

pendente che utilizza diversi programmi (alcuni di questi sviluppa-

ti dal Prof. V. Cabrera, USA) e che può essere d’aiuto nel prendere

decisioni accurate riguardo l’utilizzo di seme sessato nelle manze

da rimonta: http://dairymgt.uwex.edu/tools.php. Dal sito web è in-

fatti possibile scaricare ulteriore documentazione e dettagli sull’u-

tilizzo dei dati che possono essere utili nell’uso di questi supporti.

Il Dr. G. Gnemmi (Italia) ha fornito interessanti dati epidemiologici

sull’allevamento delle manze da rimonta in Italia (AIA, 2013; ARAL

2011; dati personali). Il Dr. Gnemmi ha ricordato che ci sono mar-

cate differenze tra le diverse razze di bovine da latte per quanto

riguarda l’età al primo parto (ad esempio, Holstein: 27 mesi di vita;

Brown Swiss: 31 mesi), probabilmente legate al tipo di gestione

e alle dimensioni medie delle mandrie. Per esempio, secondo l’e-

sperienza del Dr. Gnemmi e come confermato anche nell’ultimo

rapporto ARAL del 2011, nelle mandrie di grandi dimensioni (>200

bovine in lattazione) le manze presentano un’età al primo parto

inferiore a quella registrata nelle mandrie più piccole (<50 bovine

in lattazione) (Figura 3 – a sinistra). Una simile tendenza è stata evi-

denziata anche dalla Dr.ssa S. Astiz (Spagna) (Figura 3 – a destra).

Page 60: Rivista n°2 2013

58

Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012

Nel corso del suo intervento inoltre il Dr. Gnemmi ha presentato

prove convincenti del fatto che, indipendentemente dalla varietà

di fattori che possono influenzare le performance delle manze, si

possono ottenere buoni risultati, con sistemi di gestione differen-

ziati e mirati, sia negli allevamenti al pascolo che negli allevamenti

confinati a stabulazione semi-libera. Il relatore ha affermato che

tutto si riduce alla cura dei dettagli.

Gli esperti di altri Paesi non sono stati in grado di produrre riscontri

ufficiali e aggiornati relativi ai dati riproduttivi nelle manze. Infatti,

alcuni dati ufficiali sulla gestione delle manze risalgono a più di

dieci anni fa. Secondo il Prof. Opsomer (Belgio), la mancanza di una

adeguata registrazione e analisi dei dati è un chiaro elemento di

debolezza su base multinazionale.

Altri esperti hanno discusso di sistemi alternativi di allevamento.

La Prof.ssa T. van Werven (the Netherlands) ha mostrato che circa

il 5-8% degli allevatori olandesi vendono sia i vitelli maschi che le

femmine ad allevamenti da ingrasso e che quindi non allevano la

rimonta in azienda. Le manze gravide vengono quindi acquistate

da allevamenti specializzati nella crescita delle manze stesse. La

Prof.ssa van Werven ha posto l’attenzione anche su un altro im-

portante aspetto che riguarda l’interpretazione dei dati aziendali: “i

veterinari e gli allevatori devono porre molta attenzione alla distri-

buzione che presenta l’età al primo parto all’interno dell’azienda e

non solamente al dato medio”. A questo riguardo, ha fornito alcuni

dati (Figura 4) che rivelano che, anche se il dato medio dell’età al

primo parto non è lontano dal dato ideale, oltre la metà delle man-

ze partorisce a un’età superiore ai 26 mesi di età.

Il Dr. King (UK) ha aggiunto che in un recente studio esplorativo

condotto al fine di valutare l’età al primo parto utilizzando i dati

provenienti da 500 allevamenti di bovine da latte forniti dalla ban-

ca dati nazionale del Regno Unito (Hanks & Kossaibati, 2011), è

stato evidenziato che solo il 25% degli allevamenti aveva un’età

media al primo parto uguale o inferiore ai 27 mesi. Questo ritardo

nell’età al primo parto può avere un considerevole impatto sulla

profittabilità dell’allevamento. Oltre alle perdite correlate all’au-

mento dei costi di alimentazione che si registrano fino al mo-

mento del parto, un incremento significativo dei tempi del primo

parto rispetto all’intervallo ideale di 23-34 mesi ha un drammati-

co impatto sulla produzione di latte della prima lattazione, come

evidenziato nella Figura 5 presentata dal Prof. Bollwein (Svizzera e

Germania).

È interessante notare che la scelta del momento giusto per avviare

le manze alla riproduzione, scelta che si basa sul raggiungimento

di specifici parametri relativi ad età, dimensioni della bovina (al-

tezza) e peso vivo delle manze stesse, non è necessariamente ap-

plicabile in tutti i territori, e in particolare nelle aree sottoposte a

condizioni estreme di stress da calore.

Nel corso dell’incontro, questo punto è stato sottolineato dal Dr.

Badiei (Iran), così come da altri esperti che si sono occupati degli

effetti dello stress da calore nei loro Paesi.

Di norma, in considerazione del fatto che durante la stagione cal-

da i tassi di concepimento tendono a essere bassi nelle bovine in

lattazione mentre non risultano drasticamente influenzati nelle

manze nullipare1, gli allevatori hanno la tendenza ad agire sull’e-

tà al primo concepimento delle manze (anticipandolo) al fine di

ottenere abbastanza gravidanze nel gruppo delle manze per com-

FIGURA 4

La distribuzione dell’età al primo parto è maggiormente rappre-

sentativa delle performance riproduttive reali delle manze piutto-

sto che la semplice età media al primo parto, diapositiva presenta-

ta dalla prof.ssa van Werven - the Netherlands.

FIGURA 5

L’età al primo parto influenza la produzione lattea alla prima lat-

tazione, diapositiva presentata dal Prof. Bollwein (Svizzera e Ger-

mania).

Mahlkow- Nerge 2007. LKV Mecklenburg-Vorpommern.

Slide presented by Dr. Tine van Werven

Page 61: Rivista n°2 2013

59

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

FIGURA 6

Perdite delle manze da rimonta dalla nascita alla 1a lattazione -

diapositiva presentata dalla Prof.ssa Dobson (UK).

pensare gli scarsi tassi di concepimento che si riscontrano nelle

pluripare negli allevamenti da latte. Di conseguenza, gli allevatori

che operano in zone calde possono mantenere il tasso di bovine

gravide relativamente costante nel corso dell’anno.

Le manze allevate al pascolo rappresentano un’eccezione alla re-

gola che stabilisce l’intervallo tra 23 e 24 mesi di vita come data

ideale del primo parto. Questi animali semplicemente non sono

in grado di raggiungere dimensioni e peso adeguati a 23 mesi di

età e quindi la data ideale del primo parto viene a essere ritardata.

Una volta che le manze hanno raggiunto dimensioni/età ideali, è

essenziale adottare alcune semplici strategie manageriali durante

il periodo di transizione (pre-parto) e nel periodo post- parto. La

Prof.ssa Dobson (UK), per esempio, ha sottolineato che, in conside-

razione del fatto che le bovine alla prima lattazione hanno tipolo-

gie e requisiti alimentari differenti da quelli delle bovine pluripare2,

è importante mantenere le manze primipare separate dalle bovine

pluripare allo scopo di incrementare il tasso di ingestione di mate-

ria secca e anche lo stato sanitario nel corso della prima lattazione.

Le manze dovrebbero essere introdotte nel gruppo di accoppia-

mento/inseminazione a circa 400 giorni di vita (o a circa 13 mesi

di vita) e dopo che hanno raggiunto almeno i 400 kg di peso. In

seguito, per ottenere un’ottimale produzione lattea alla prima lat-

tazione e massimizzare quindi la profittabilità, le manze, sottopo-

ste a un ideale gestione riproduttiva, dovrebbero essere in grado

di partorire tra i 23 e i 24 mesi di vita, con un peso che si dovrebbe

aggirare intorno ai 650 kg.

Dalla nascita al periodo dell’accoppiamento/inseminazione:

investire sulla futura bovina.

Concetto di sistema di alimentazione intensiva o “enhan-

ced-growth” durante il periodo di allevamento della manza-

Secondo la Dott.ssa Terré (Spagna) è frequente la pratica di som-

ministrare ridotte quantità di latte o di sostituti del latte (4 l/giorno)

alle vitelle da rimonta. Tuttavia è stato dimostrato che promuovere

una rapida crescita nelle prime fasi di allevamento può avere ef-

fetti positivi sulla futura produzione di latte e sul mantenimento

delle performance nella seconda lattazione [3,4]. L’unico modo per

incrementare in modo significativo la crescita delle giovani vitelle

è quello di somministrare elevate quantità di latte o di suoi sosti-

tuti (fino a 6-7 l/giorno) in modo da consentire un tasso di cre-

scita giornaliera superiore ai 700 g. In genere, mentre le manze

crescono si rileva di norma la diminuzione dell’efficienza alimenta-

re e quindi è molto importante accelerare la crescita delle manze

non solo durante il periodo pre-svezzamento, ma anche durante

il periodo di transizione dallo svezzamento ai 5 mesi di età. Du-

rante questo periodo, per assicurare un buon tasso di crescita, si

dovrebbe raggiungere l’obiettivo di una crescita giornaliera media

(Average Daily Gain o ADG) > 1,000 g/giorno.

Nel corso del suo intervento, la Prof.ssa Dobson (UK) ha sottoli-

neato l’importanza dell’allevamento delle manze e soprattutto il

numero impressionante di perdite nel comparto dei giovani ani-

mali documentato nel 2009 dalla Prof.ssa Claire Wathes del Royal

Veterinary College (UK) in allevamenti commerciali del Regno Uni-

to. I dati, riportati nella Figura 6, evidenziano le perdite in giovani

animali registrati dalla nascita all’inizio della lattazione.

Sorprendentemente, come descritto dalla Prof.ssa Dobson, solo

Brickell et al. 2009

il 77% delle manze arrivano a effettuare la prima lattazione. Per-

tanto, il miglioramento della gestione delle manze, con particolare

riferimento alle misure di prevenzione come la corretta sommini-

strazione del colostro e l’adozione di adeguate strategie alimentari

e sanitarie, determina un impressionante effetto sulla salute e sul

tasso di sopravvivenza nel comparto delle vitelle dal momento

dell’allattamento e dello svezzamento fino all’inizio dell’attività ri-

produttiva.

Quante manze si devono allevare per mantenere costante la

dimensione della mandria?

Questa è una domanda interessante che merita una certa atten-

zione, anche perché allevare le manze è un’attività abbastanza co-

stosa (è la seconda voce di spesa in un allevamento di bovine da

latte). Come è stato sottolineato nel corso dell’incontro dalla Dott.

ssa Terré (Spagna) e dal Prof. Cabrera (USA), oltre a cercare di fare

in modo che la maggior parte delle manze arrivino al primo parto

il più presto possibile e con dimensioni e peso ideali, gli allevatori

più avanzati si pongono l’obiettivo di non allevare un numero di

manze superiore a quello effettivamente necessario per mantene-

Page 62: Rivista n°2 2013

60

Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012

re costante la grandezza della mandria (Tabella 1).

Gli allevatori con un’elevata efficienza manageriale nell’allevare le

manze e che sono in grado di ottenere un’età e una dimensione

TABELLA 1

Numero di animali da rimonta necessari per ogni anno per mante-

nere inalterata la dimensione della mandria in funzione del tasso

di riforma nelle bovine in lattazione e dell’età al primo parto in una

mandria di 100 vacche in lattazione - Adattato da Paul Frike, 2003.

TABELLA 2

Punteggio del tratto riproduttivo - fonte (7): Andersen et al., 1991.

ideale degli animali al primo parto possono permettersi di avere

un numero minore di giovani animali pur mantenendo stabile la

dimensione della mandria, come evidenziato nella Tabella 1. Il Prof.

Cabrera (USA) ha citato un interessante supporto informatico di-

sponibile in rete (free web-tool) sviluppato da lui in collaborazione

con il team del Servizio Tecnico (extension service) dell’Università

del Wisconsin e che ha l’obiettivo di aiutare gli allevatori a calco-

lare il numero di animali da rimonta necessari per la loro mandria.

Questo supporto, e la documentazione relativa, è disponibile al

pubblico al sito http://dairymgt.uwex.edu/tools.php. Inoltre, il

Prof. Cabrera ha sottolineato che il test genomico sta diventando

uno strumento prezioso per gli allevatori di bovine da latte al fine

di aumentare l’efficienza dell’allevamento attraverso l’allevamento

di un minor numero di animali da rimonta. “Gli allevatori efficienti

possono eseguire un test genomico su tutti gli animali da rimonta

subito dopo la nascita e allevare solo gli animali migliori” ha com-

mentato il Prof. Cabrera.

Le migliori strategie e pratiche gestionali al momento della

riproduzione

Uno scarso sviluppo uterino, l’età al momento dell’ingresso nel

gruppo degli animali in attività riproduttiva e il punteggio di con-

dizione corporea (Body Condition Score o BCS) sono fattori che

sembrano chiaramente influenzare la fertilità delle manze. Questi

fattori devono essere attentamente valutati prima di avviare le

manze all’attività riproduttiva.

Per quanto riguarda lo sviluppo uterino, è stato raccomandato di

procedere alla valutazione del punteggio del tratto riproduttivo

(Reproductive Tract Score), come indicato nella Tabella 2, in tutte

le manze prima di iniziare la routine riproduttiva5-7. In generale, le

manze con un punteggio che evidenzia scarso o immaturo svi-

luppo uterino dovrebbero essere gestite in modo differenziato

(ad esempio, adottando la riforma selettiva degli animali infertili,

il miglioramento del piano nutrizionale, e così via) allo scopo di

migliorare i punteggi uterini e consentire alle bovine di iniziare l’at-

tività riproduttiva nel modo migliore. Le manze dovrebbero essere

introdotte nel gruppo delle bovine in riproduzione solo quando

il punteggio uterino è superiore a 3 nella classificazione riportata

nella Tabella 2.

Page 63: Rivista n°2 2013

61

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

In relazione all’impatto dell’età e del Body Condition Score (BCS)

sulla ciclicità delle manze, nonostante il fatto che i problemi di ci-

clicità siano stati ampiamente studiati nelle bovine in lattazione,

lo stato di anaestro nelle manze di allevamenti di bovine da latte

non è stato altrettanto frequentemente oggetto di studio. I dati

presentati dal Prof. Janowski (Polonia) e dal Dr. King (UK) eviden-

ziano chiaramente l’impatto che l’età delle manze e il BCS hanno

sull’incidenza dell’anestro, come riportato in Tabella 3.

TABELLA 3

Effetto dell’età delle manze e del BCS sullo stato di ciclicità - diapositiva presentata dal Dr. King (UK).

Quindi, queste due variabili, in aggiunta a una corretta valutazio-

ne del punteggio del tratto uterino, devono essere prese in con-

siderazione prima di impostare un programma riproduttivo delle

manze.

In generale, le manze ben gestite possono raggiungere la pubertà

e mostrare cicli riproduttivi normali a partire dagli 11-12 mesi di

vita. Quindi le manze, di norma, sono avviate alla riproduzione a

partire dai 13-14 mesi di vita e mostrano chiari segni dell’attività

estrale che hanno una durata variabile tra le 12 e 18 ore. Pertanto,

la maggior parte degli allevamenti nei quali sono utilizzati di rou-

tine sistemi di rilevazione degli estri, come la rilevazione visiva o

l’utilizzo di altri sistemi (uso di gessetti colorati), tendono a avere

un eccellente tasso di rilevazione dei calori (numero di bovine in-

seminate/numero di bovine idonee a essere inseminate), che può

raggiungere il 65-70%8.

I tassi di concepimento (numero di bovine gravide/numero di

bovine inseminate) che si ottengono nelle manze da latte pube-

ri in seguito a inseminazione all’estro naturale possono raggiun-

gere valori uguali o superiori al 60%. Quindi nelle manze gestite

in modo ottimale l’obiettivo di fare sì che la maggior parte degli

animali partorisca tra i 23 e i 24 mesi di vita può essere facilmente

raggiunto attuando esclusivamente una corretta routine di rile-

vazione dei calori senza il ricorso ad altre manipolazioni del ciclo

estrale che prevedono l’utilizzo di ormoni.

Tuttavia, dato che è piuttosto comune che la raccolta dei dati

relativi alle performance riproduttive delle manze da latte è relati-

vamente scarsa, molti allevatori non sono consapevoli dello stato

reale dell’efficienza riproduttiva delle loro manze. Pertanto, sono

necessari molti sforzi per raccogliere informazioni accurate per

valutare l’efficienza della rilevazione dell’estro così come i tassi di

concepimento che si ottengono nel comparto delle manze.

L’utilizzo delle prostaglandine (PGF2α

), che causano luteolisi e indu-

cono comparsa dell’attività estrale in manze cicliche, può essere

una buona scelta per cercare di ridurre il dato relativo ai giorni medi

che intercorrono tra la nascita e l’inizio dell’attività riproduttiva e,

di conseguenza, anticipare la prima gravidanza e il conseguente

inizio della prima lattazione. Il Prof. Cabrera ha anche affrontato e

discusso le problematiche relative all’’utilizzo di differenti program-

mi di sincronizzazione nelle manze e il ritorno dell’investimento

effettuato con la loro adozione, argomento che di recente è stato

oggetto di una rassegna pubblicata da Chebel8.

L’uso delle PGF2α

nelle manze cicliche all’inizio del periodo di inse-

minazione/accoppiamento favorisce l’aumento della percentuale

di manze inseminate nel corso di un certo periodo (ad esempio,

una settimana) rispetto al gruppo di manze non sottoposte ad

alcun trattamento. La letteratura disponibile ha dimostrato che la

somministrazione delle PGF2α

all’inizio del periodo riproduttivo può

indurre una migliore sincronizzazione del comportamento estrale,

facilitare la rilevazione dei calori (un maggior numero di animali

vanno in calore nello stesso momento) e ridurre di circa 7-10 giorni

il tempo necessario per ottenere una gravidanza nelle manze trat-

tate rispetto agli animali di controllo non trattati (Figura 7).

Page 64: Rivista n°2 2013

62

Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012

FIGURA 7

Distribuzione dell’espressione estrale in manze da latte trattate con di PGF 2 rispetto al gruppo di controllo non trattato - Fonte: adattato

da (6,8).

Ad esempio, Stevenson6 ha dimostrato che il 72% delle manze

sono rilevate in calore entro una settimana dal trattamento con

una singola dose di PGF2α

mentre solo il 36% delle manze non sot-

toposto a trattamento ha mostrato il calore nello stesso periodo.

I tassi di concepimento ottenuti non differiscono in modo signi-

ficativo tra le manze inseminate al calore indotto dal trattamen-

to farmacologico rispetto alle manze di controllo non trattate e

inseminate al calore naturale. Quindi, l’uso delle PGF2α

raddoppia

di fatto la quantità di manze ingravidabili per ogni settimana. Non

deve quindi sorprendere che l’utilizzo strategico delle PGF2α

nelle

manze , come protocollo di sincronizzazione, sia così diffuso a li-

vello mondiale.

Gli allevamenti di manze con una bassa efficienza di rilevazione

dei calori possono trovare beneficio dall’utilizzo di programmi di

sincronizzazione sviluppati recentemente che consentono di ese-

guire un’inseminazione a tempo fisso e di ottenere elevati tassi di

concepimento. Le manze da latte, rispetto alle bovine in lattazio-

ne, hanno un certo numero di caratteristiche uniche dal punto di

vista riproduttivo, come una maggior percentuale di animali che

mostrano mediamente più di 2 (fino a 3) ondate follicolari (ondate

follicolari che sono probabilmente più corte) e maggiori livelli di

progesterone circolante durante il diestro.

Pertanto, i programmi di sincronizzazione come l’Ovsynch9 che

sembrano funzionare piuttosto bene nelle bovine in lattazione,

quando sono utilizzati nelle manze consentono di ottenere tassi

di concepimento inferiori a quelli che si ottengono nelle man-

ze inseminate naturalmente all’estro rilevato10. Di conseguenza,

nell’ultimo decennio, da parte di diversi gruppi di ricerca sono

stati condotti studi di base e di campo per la definizione di pro-

grammi di inseminazione a tempo fisso, specificamente sviluppati

per le manze, che possano consentire di ottenere tassi di conce-

pimento uguali o superiori a quelli ottenuti dopo inseminazione

naturale all’estro rilevato. Un esempio significativo di questi nuovi

protocolli, che sembra funzionare abbastanza bene nelle manze,

è quello conosciuto come “programma progesterone a 5 giorni”

(5 days-progesterone program”)11,12. Seguendo il concetto che pre-

vede l’utilizzo di programmi di sincronizzazione “corti”, la Dott.ssa

Astiz (Spagna) ha presentato dei dati ottenuti utilizzando questo

programma in otto allevamenti da latte del nord-est della Spa-

gna, per un totale di 451 inseminazioni. Il tasso di concepimento

ottenuto è stato del 57.4% (Dr. Palma, 2013 – comunicazione per-

sonale).

Pertanto, attualmente si ha a disposizione una gamma di efficienti

programmi di sincronizzazione per l’inseminazione a tempo fis-

so che possono essere utilizzati validamente nelle manze e che

consentono di inseminare la totalità degli animali con tassi di con-

Page 65: Rivista n°2 2013

63

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

FIGURA 8

Tavola riassuntiva delle priorità da tenere in considerazione per la definizione di un possibile piano di azione per la gestione riproduttiva delle

manze da latte.

cepimento simili o leggermente inferiori a quelli che si possono

ottenere con inseminazione naturale delle manze in calori rilevati.

Inoltre, come evidenziato dalla Dott.ssa Astiz, una volta presa la de-

cisione di utilizzare, ad esempio, una semplice somministrazione di

prostaglandina o di implementare un programma di sincronizza-

zione più complesso, l’allevatore è comunque obbligato a gestire

la riproduzione delle manze su base settimanale o bi-settimanale

e, quindi, le manze non sono mai trascurate per un lungo periodo

di tempo. Questo, di per sé, si traduce in un miglioramento della

gestione riproduttiva della gestione delle manze.

Ovviamente, i veterinari e gli allevatori devono tenere in consi-

derazione le differenti variabili e effettuare un’attenta valutazione

del ritorno dell’investimento allo scopo di decidere quale possa

essere la migliore strategia all’interno dei diversi programmi di

sincronizzazione/inseminazione disponibili. Nelle reali condizioni

di allevamento delle mandrie gestite in modo ottimale si tende

a combinare differenti tecniche per fare in modo che le manze si

ingravidino il più presto possibile e nel modo economicamente

più vantaggioso. Chebel8 ha effettuato un’interessante analisi eco-

nomica al fine di comparare i diversi sistemi di gestione riprodutti-

va delle manze in allevamenti di bovine da latte. In breve, Chebel

nel corso della sua analisi ha preso in considerazione il numero

di giorni risparmiati nel periodo che va dall’inizio di un program-

ma di inseminazione/accoppiamento al parto e i costi associati ai

diversi programmi utilizzati. Per acquisire maggiori dettagli può

risultare utile la lettura dell’articolo originale8.

La principale conclusione del lavoro è stata che, in considerazione

del fatto che l’utilizzo delle PGF2α consente di accorciare il tem-

po per ottenere un calore fertile, si dovrebbero ottenere benefici

dall’uso delle prostaglandine anche in allevamenti con un buon

(>66%) tasso di rilevazione dei calori, anche in funzione del fatto

che i costi sostenuti per il trattamento farmacologico sono com-

pensati dall’anticipazione del concepimento stesso (Figura 8).

Un’altra importante conclusione che si può trarre dalla rassegna

di Chebel è che gli allevatori che devono affrontare il problema di

una non efficiente rilevazione dei calori possono trarre beneficio

dall’implementazione di sistemi di sincronizzazione con insemi-

nazione a tempo fisso specificamente studiati per essere utilizzati

nelle manze, come il programma che utilizza dispositivi intra-vagi-

nali a base di progesterone (5d-progesterone program).

Page 66: Rivista n°2 2013

64

Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012

Appendice: riassunto dei principali programmi riproduttivi disponibili per le manze .

FIGURA 9

FIGURA 10

Page 67: Rivista n°2 2013

65

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

Appendice: linee guida nutrizionali durante il periodo di allevamento delle manze.

FIGURA 11

FIGURA 12

Page 68: Rivista n°2 2013

66

Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012

FIGURA 13

FIGURA 14

FIGURA 15

Page 69: Rivista n°2 2013

67

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

BIBLIOGRAFIA

1. Sartori R, Sartor-Bergfelt R, Mertens S, Guenther J, Parrish

J, Wiltbank M: Fertilization and early embryonic development in

heifers and lactating cows in summer and lactating and dry cows

in winter. J Dairy Sci 2002, 85 (11): 2803-2812.

2. Grant R, Albright J: Feeding behavior and management

factors during the transition period in dairy cattle. J Anim Sci

1995, 73 (9): 2791-2803.

3. Bach A: Ruminant Nutrition Symposium: Optimizing Perfor-

mance of the Offspring: nourishing and managing the dam and

postnatal calf for optimal lactation, reproduction, and immunity.

J Anim Sci 2012, 90 (6): 1835-1845.

4. Bach A: Associations between several aspects of heifer develop-

ment and dairy cow survivability to second lactation. J Dairy Sci

2011, 94 (2): 1052-1057.

5. Smith M, Perry G, Atkins J, Jinks E, Pohler K, Patterson D: Keys to

a successful oestrus synchronisation and artificial insemination

program. American Red Angus Magazine 2012, 4: 22-32.

6. Stevenson J, Rodrigues J, Braga F, Bitente S, Dalton J, Santos

J, Chebel R: Effect of breeding protocols and reproductive tract

score on reproductive performance of dairy heifers and economic

outcome of breeding programs. J Dairy Sci 2008, 91 (9): 3424-

3438.

7. Andersen K, LeFever D, Brinks J, Odde K: The use of reproductive

tract scoring in beef heifers. Agri Practice1991, 12.

8. Chebel RC: New strategies for synchronisation of dairy heifers

and economic considerations. In: Dairy Cattle Reproduction

Conference: 2010; St Paul, MN - USA. 8.

9. Pursley JR, Mee MO, Wiltbank MC: Synchronisation of ovula-

tion in dairy cows using PGF2 and GnRH. Theriogenology

1995, 44 (7): 915-923.

10. Rivera H, Lopez H, Fricke PM: Fertility of Holstein Dairy Heifers

after Synchronisation of Ovulation and Timed AI or AI after

Removed Tail Chalk. J Dairy Sci 2004, 87 (7): 2051-2061.

11. Rabaglino MB, Risco CA, Thatcher MJ, Lima F, Santos JEP,

Thatcher WW: Use of a five-day progesterone based timed AI

protocol to determine if flunixin meglumine improves pregnancy

per timed AI in dairy heifers. Theriogenology 2010, 73 (9): 1311-

1318.

12. Lima FS, Ayres H, Favoreto MG, Bisinotto RS, Greco LF, Ribeiro

ES, Baruselli PS, Risco CA, Thatcher WW,Santos JEP: Effects of

gonadotropin-releasing hormone at initiation of the 5-d timed

artificial insemination (AI) program and timing of induction of

ovulation relative to AI on ovarian dynamics and fertility of dairy

heifers. J Dairy Sci 2011, 94 (10): 4997-5004.

Page 70: Rivista n°2 2013

68

Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012

Page 71: Rivista n°2 2013

69

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

Abstracts and research digest - Estratti di articoli selezionati comparsi su altre riviste veterinarie

A cura di G. Valla, Marketing Manager Ruminanti Ceva Salute AnimaleE-mail: [email protected]

EFFETTO DELLA SOMMINISTRAZIONE DI MELOXICAM SU SENSIBILITÀ AL DOLO-RE, RUMINAZIONE E SINTOMI CLINICI IN BOVINE DA LATTE AFFETTE DA MASTI-TI CLINICHE INDOTTE DA ENDOTOSSINE.

Fitzpatrick CE, Chapinal N, Petersson-Wolfe CS, DeVries TJ, Kel-

ton DF, Duffield TF, Leslie KE. The effect of meloxicam on pain

sensitivity, rumination time, and clinical signs in dairy cows

with endotoxin-induced clinical mastitis. J Dairy Sci. 2013 May;

96(5):2847-56.

Obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’efficacia di un

dispositivo (algometro a pressione) per la misurazione del dolore

(Pressure Algometer=PA) (Figura 1) e di un sistema di monitorag-

gio automatizzato dell’attività ruminale allo scopo di individuare i

mutamenti che si verificano sulla sensibilità al dolore e sui tempi

della ruminazione in risposta a mastiti cliniche da endotossine. Il

PA è un dispositivo che può essere usato per definire la pressione

e / o la forza necessarie per produrre una determinata soglia di

pressione-dolore. Secondo obiettivo dello studio è stato quello

di valutare gli effetti prodotti da un preparato farmaceutico con-

tenente meloxicam, un farmaco antinfiammatorio non steroideo

(FANS), sulla sensibilità al dolore e sull’attività ruminale, così come

su altri sintomi correlati, in bovine affette da mastiti cliniche da en-

dotossine. La mastite clinica è stata indotta sperimentalmente in

13 bovine da latte primipare e in 12 pluripare a seguito di infusione

intramammaria in un quartiere sano di 25 μg di lipopolisaccaridi di

Escherichia coli (LPS). Subito dopo l’infusione, una metà delle bo-

vine è stata sottoposta a trattamento con meloxicam (0.5 mg/kg

p.c. [2.5 mL del preparato farmaceutico ogni 100 kg di peso corpo-

reo]), mentre l’altra metà, utilizzata come controllo, è stata trattata

con lo stesso volume di un placebo. La soglia di sensibilità al dolore

è stata valutata per mezzo della misurazione delle differenze nella

pressione necessaria per indurre risposte dolorifiche nei quartie-

ri dei soggetti controllo rispetto ai quartieri dei soggetti infettati,

utilizzando un “algometro” 3 giorni prima, immediatamente dopo

e a distanza di 3, 6, 12 e 24 ore dall’infusione delle LPS, e dopo trat-

tamento con meloxicam e con la preparazione placebo. L’attività

ruminale è stata monitorata in modo continuo per mezzo di un

rilevatore individuale collegato a un collare (HR-Tag, SCR Engineers

Ltd) a partire dai 2 giorni precedenti e fino a 2 giorni dopo l’infusio-

ne di LPS. Inoltre, al fine di valutare l’entità e la durata dell’infiam-

mazione dopo infusione di LPS, sono stati monitorati i seguenti

parametri: edema mammario, valutato mediante un punteggio

da 1 a 5 (1= nessun edema; 5= edema molto grave); temperatura

corporea; punteggio cellule somatiche (Somatic Cells Score = SCS);

assunzione di materia secca (Dry Matter Intake = DMI). Negli ani-

mali di controllo (trattati con il placebo), a 6 ore dall’infusione di

LPS, la differenza nella pressione sui quartieri sani e su quelli infetti

è aumentata di 1.1 ± 0.4 kg di forza esercitata rispetto ai valori di

base, suggerendo un aumento della sensibilità al dolore nei quar-

tieri infettati. L’infusione di LPS e il trattamento con meloxicam non

hanno dimostrato, in generale, di esercitare influenze sull’attività

ruminale. Tuttavia, il modello relativo all’attività ruminale diurna

nel giorno dell’infezione con LPS ha rivelato una deviazione com-

plessiva dai valori basali. In particolare, le bovine hanno trascorso

meno tempo a ruminare nelle ore seguenti l’infusione di LPS e un

tempo maggiore nella seconda parte della giornata. Il trattamento

con meloxicam non ha influenzato il conteggio delle cellule so-

matiche o il livello di assunzione della materia secca. Tuttavia, gli

animali trattati con meloxicam hanno mostrato l’insorgenza di un

edema mammario di grado minore (Tabella 1) e una temperatura

corporea inferiore rispetto ai soggetti di controllo trattati con la

preparazione placebo nelle ore successive all’infusione di LPS. Gli

Autori concludono affermando che il dispositivo di rilevazione del

dolore e il sistema di monitoraggio della ruminazione possono

essere utili strumenti per la rilevazione della presenza di mastite

e per la valutazione della guarigione della stessa a livello di alleva-

mento. Inoltre, il trattamento con meloxicam presenta benefici per

quanto riguarda il contenimento del dolore, dell’edema mamma-

rio e della temperatura corporea correlata alla presenza di forme

cliniche di mastite indotte da LPS batterici.

Page 72: Rivista n°2 2013

70

Abstracts and research digest

FIGURA 1

Sensibilità al dolore misurata con un dispositivo di rilevazione della pressione (Force Ten FDX 50 pressure algometer - Wagner Instruments,

Greenwich, CT), equipaggiato con una piastra di rilevazione della pressione applicata perpendicolarmente al quarto mammario, approssima-

tivamente a 25 cm, ventralmente, all’attaccatura del capezzolo e a 5 cm lateralmente al legamento sospensore mediano.

TABELLA 1

Valori medi dei punteggi relativi all’edema mammario nelle 24 bovine prima (valori basali) e dopo (+ 3, 6, 12 e 24 ore) l’infusione con LPS di

Escherichia coli e iniezione di meloxicam o di placebo.

Page 73: Rivista n°2 2013

71

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

TASSI DI LUTEOLISI E DI GRAVIDANZA IN BOVI-NE DA LATTE DOPO TRATTAMENTO CON CLO-PROSTENOLO O DINAPROST.

Stevenson J.S.a, Phatak A.P.b. 2010. Rates of luteolsis and

pregnancy in dairy cows after treatment with cloprostenol

or dinoprost. Theriogenology 73:1127-38.a Department of Animal Sciences and Industry, Kansas

State University, Manhattan, Kansas USAb Technical Services Veterinarian, Alta Genetics, Hughson, Ca-

lifornia USA

La luteolisi, definita come regressione o involuzione del corpo lu-

teo con perdita della sua funzionalità, è un momento chiave nei

programmi di sincronizzazione attualmente utilizzati nell’alleva-

mento della bovina da latte. Alcuni studi indicano che circa il 20%

delle bovine non risponde positivamente alla somministrazione

di PFG2α

(1). Per ottenere un’efficace diminuzione dei valori di pro-

gesteronemia, condizione che precede sempre un’inseminazione

fertile(1,2), è essenziale che le bovine presentino una luteolisi com-

pleta. In corso di utilizzo di un protocollo di pre-sincronizzazio-

ne–sincronizzazione (PreSynch-Ovsynch) con inseminazione arti-

ficiale a tempo fisso, la percentuale di bovine gravide raggiunge

il 40,5%(1) quando il trattamento con la prostaglandina induce una

luteolisi completa e la progesteronemia scende da valori supe-

riori a 1ng/ml a valori inferiori a 0,5 ng/ml a distanza di 56 h dal

trattamento prostaglandinico. Tuttavia, il tasso di concepimento

diminuisce drasticamente se la luteolisi è ritardata (la concentra-

zione di progesteronemia non scende a 0,5 ng/ml fino a 96 ore

dalla somministrazione della prostaglandina). La situazione risulta

ancora più critica, con tassi di concepimento inferiori al 10%, quan-

do la prostaglandina induce luteolisi incompleta. Infine, il tasso di

concepimento risulta nullo quando non si verifica la luteolisi e i

livelli di progesterone rimangono al di sopra di 1 ng/ml. Le moti-

vazioni per le quali un corpo luteo maturo può risultare refrattario

al trattamento prostaglandinico sono al momento sconosciute.

In riferimento alla farmacodinamica delle diverse prostaglandine,

naturali o sintetiche, Pursley e Coll.(4) suggeriscono l’esistenza di

differenze nel tempo che intercorre tra la somministrazione della

prostaglandina e la successiva luteolisi (rispettivamente, 29,4 ore

con dinoprost e 29,1 ore con cloprostenolo) e la conseguente ovu-

lazione (103 ore vs 101 ore, rispettivamente con dinoprost e clo-

prostenolo). Nello stesso studio gli Autori hanno rilevato differenze

nelle concentrazioni di progesterone dopo il trattamento con le

prostaglandine, con una caduta più veloce della progesteronemia

dopo trattamento con cloprostenolo rispetto al trattamento con

Dinoprost entro 12 ore. Tuttavia, le differenze scompaiono e le

concentrazioni di progesterone risultano sovrapponibili quando

la progesteronemia viene valutata fra le 12-24 ore, le 24-48 ore

e le 48-96 ore dal trattamento con entrambe le prostaglandine(4).

Quindi, si può affermare che esistono differenze di comporta-

mento tra prostaglandine sintetiche e naturali, ma che queste

differenze sono presenti solo nelle prime ora post-trattamento(2).

La comparazione dell’effetto luteolitico prodotto dalle diverse pro-

staglandine disponibili sul mercato per quanto attiene percentua-

le di luteolisi, tasso di induzione dell’estro e tasso di concepimen-

to, è stata al centro di numerosi studi pubblicati negli ultimi 30

anni. La struttura chimica delle prostaglandine sintetiche (come

il cloprostenolo) presenta un anello cloro benzilico che è invece

assente negli analoghi naturali (come il dinoprost) e che conferi-

sce un’emivita maggiore. Pertanto, in molti studi è stata formulata

l’ipotesi che, in considerazione del metabolismo endogeno e della

resistenza e del tasso di eliminazione delle varie prostaglandine, i

composti di sintesi possano sviluppare una maggiore attività lu-

teolitica rispetto ai composti naturali. Di recente questa ipotesi è

stata oggetto di una pubblicazione di Stevenson e Coll (3), che han-

no riportato i dati ottenuti nel corso di due altri studi eseguiti negli

U.S.A (Figura 1). Nel primo studio, 2358 bovine da latte, provenienti

da sei allevamenti da latte della California, sono state sottoposte

ad un protocollo di pre-sincronizzazione (Presynch) mediante l’uti-

lizzo di due iniezioni di PGF2α

eseguite a distanza di 14 giorni l’una

dall’altra. Le bovine rilevate in calore in risposta al trattamento con

prostaglandine sono state inseminate (n=1094), mentre le rima-

nenti bovine (n=1264), che non presentavano calore, sono state

sottoposte a un secondo protocollo di sincronizzazione (Cosynch

72), iniziato 12 o 14 giorni dopo la seconda iniezione del Presynch

(GnRH; PGF2α

dopo 7 giorni; GnRH dopo 72 ore; inseminazione a

tempo fisso dopo 72 ore). All’interno del Cosynch, le bovine sono

state assegnate “a caso” a due gruppi di trattamento: gruppo a

= closprostenolo (n=650 soggetti; gruppo b = dinoprost (n=614

soggetti). Campioni di sangue per la determinazione dei livelli di

progesterone (P4) prima e dopo il trattamento con le prostaglan-

dine sono stati raccolti al momento dell’iniezione (tempo 0) e a 48

e 72 ore dall’iniezione. Per la valutazione dei risultati è stato utiliz-

zato un cut-off di 1 ng/ml: concentrazioni di P4 ≥1 ng/ml definiva-

no un corpo luteo (CL) funzionale, mentre concentrazioni di P4 <1

ng/ml indicavano la presenza di un CL non funzionale o l’avvenuta

regressione dello stesso. Nel secondo studio, 427 bovine da latte,

delle quali non era noto lo stato di gravidanza, sono state incluse in

un protocollo di Ovsynch-Resynch. Una dose di GnRH è stata som-

ministrata a 333 bovine, mentre in 94 bovine è stata iniettata solu-

zione fisiologica. Sette giorni dopo è stata verificata la gravidanza

e le bovine risultate non gravide sono state classificate in funzione

del numero di CL presenti e assegnate, a caso, al trattamento con

cloprostenolo o dinaprost (Figura 1).

Considerando le bovine che presentavano concentrazioni emati-

che di progesterone ≥1 ng/ml (e che quindi erano potenzialmente

in grado di rispondere all’azione luteolitica della prostaglandina), la

percentuale di soggetti con luteolisi completa (riduzione dei livelli

di P4 a < 1 ng/ml a 73 ore dal trattamento) era significativamente

maggiore (P < 0.01) nelle bovine trattate con dinoprost (91.3%)

rispetto al cloprostenolo (86.6%) (Figura 2).

Anche nel secondo studio la percentuale di regressione luteale è

Page 74: Rivista n°2 2013

72

Abstracts and research digest

risultata statisticamente superiore (P < 0.05) nel gruppo trattato

con dinoprost (78.5%) rispetto a quello trattato con cloprostenolo

(69.1%). Il tasso di concepimento rilevato nei due gruppi, sia nello

studio 1 che nello studio 2, non ha presentato differenze statistica-

mente significative (Figura 3).

Gli Autori concludono che, sulla base della definizione di luteolisi

utilizzata nel corso degli studi, che presuppone che le concentra-

zioni ematiche di P4 scendano al di sotto di 1 ng/ml a 72 ore dal

trattamento, dinoprost mostra un’attività luteolitica maggiore di

cloprostenolo. Questo dato è stato registrato in entrambi gli studi,

anche nelle bovine che mostravano più di un corpo luteo. Tutta-

via, nonostante le differenze rilevate nell’efficacia luteolitica delle

due tipologie di prostaglandine utilizzate, nei due studi presi in

considerazione non sono state riscontrate differenze nelle perfor-

mance riproduttive.

BIBLIOGRAFIA CONSULTATA

1) Martins J.P.N., Policelli R.K., Neuder L.M., Raphael W., Pursley J.R.

2011. Effects of cloprostenol sodium at final prostaglandin F2α

of Ovsynch on complete luteolysis and pregnancy per artifitial

insemination in lactating dairy cows. J. Dairy Science 94:2815-

24.

2) Pursley J.R., Martins J.P.N. 2011. Control farmacologico de la

funcion del foliculo y del cuerpo luteo para mejorar la fertilidad

en las vacas lecheras en lactacion. Libro de ponencias del XI

Congreso Internancional ANEMBE de medicina bovina (Avila

2011).

3) Stevenson J.S., Phatak A.P. 2010.Rates of luteolysis and pregnan-

cy in dairy cows after treatment with cloprostenol or dinoprost.

Theriogenology 73:1127-38.

4) Martins J.P.N., Policelli R.K., Pursley J.R. 2011.Luteolytic effects

of cloprostenol sodium in lactating dairy cows treated with

G6G/Ovsynch. J. Dairy Science 94:2806-14.

5) Pursley J.R., Martins J.P.N. 2011. Factores hormonales que

influyen en la fertilidad de la vaca lechera en produccion. Libro

de ponencias del XI Congreso Internancional ANEMBE de

medicina bovina (Avila 2011).

FIGURA 3

Tasso di concepimento dopo l’utilizzo dei protocolli di insemina-

zione artificiale (IA) e di due tipi di prostaglandine (3).

FIGURA 1

Schemi di trattamento.

FIGURA 2

Percentuale di luteolisi dopo utilizzo dei protocolli di inseminazio-

ne artificiale (IA) e di due tipi di prostaglandine (3).

Page 75: Rivista n°2 2013

73

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

NELLA BOVINA DA LATTE IL TRATTAMENTO CON

PROGESTERONE PRIMA DELL’INSEMINAZIONE ARTIFI-

CIALE FAVORISCE LA SINCRONIZZAZIONE DELL’OVU-

LAZIONE, AUMENTA I TASSI DI GRAVIDANZA PER

INSEMINAZIONE E RIDUCE LE PERDITE DI GRAVI-

DANZA DOPO L’INSEMINAZIONE.

Colazo M.G., Dourey A., Rajamahendran R., Ambrose D.J. Pro-

gesterone supplementation before timed AI increased ovula-

tion synchrony and pregnancy per AI, and supplementation

after timed AI reduced pregnancy losses in lactating dairy

cows. Theriogenology 79 (2013) 833–841.

Una delle principali cause di ridotta fertilità nelle bovine da latte ad

alta produzione consiste in una inadeguata progesteronemia pri-

ma e dopo l’accoppiamento o l’inseminazione artificiale (IA). Infatti,

la presenza di idonee concentrazioni di progesterone è essenziale

perché l’ovulazione abbia successo e si instauri la gravidanza. Per

questa ragione, in passato, sono stati condotti studi al fine di valu-

tare gli effetti sulla fertilità conseguenti alla somministrazione di

progesterone. Obbiettivo degli Autori è stato quello di valutare l’ef-

ficacia dell’utilizzo di un dispositivo intravaginale a lento rilascio di

progesterone, contenente 1,55 g di progesterone (PRID), nei primi

7 giorni di un protocollo Ovsynch (pre-IA) e/o dal 4° all’11° giorno

post-IA . Nel corso dello studio sono stati valutati i seguenti para-

metri: risposta dell’ovaio al trattamento, concentrazioni ematiche

di progesterone, tasso di gravidanza per inseminazione artificiale

(P/AI) e percentuale di perdita di gravidanza. L’ipotesi alla base del-

lo studio era che il trattamento con PRID pre- e post-IA possa in-

crementare il tasso di gravidanza e ridurre le perdite di gravidanza.

Per la prova sono state utilizzate 608 bovine da latte di tre differenti

allevamenti, alle quali è stato applicato un protocollo di sincroniz-

zazione (Ovsynch) che consisteva in due iniezioni di GnRH (100

mg di gonadorelina) ad intervallo di 9 giorni e in un’iniezione di

prostaglandina (PG) (500 mg di cloprostenolo) dopo 7 giorni dal

primo trattamento con GnRH. In 294 bovine si è proceduto all’in-

serimento del dispositivo PRID mentre le restanti 314 bovine sono

state tenute come controllo (Figura 1). Il dispositivo è stato inserito

al momento della prima iniezione di GnRH del protocollo Ovsynch

ed è stato rimosso al momento della somministrazione della PG.

L’inseminazione artificiale a tempo fisso (TAI) è stata eseguita a 12

e a 16 ore di distanza dal secondo GnRH del protocollo Ovsynch.

Un sottogruppo di 217 bovine, in uno dei tre allevamenti, era stato

pre-sincronizzato con una doppia iniezione di PG intervallate tra

loro da 14 giorni, con la seconda somministrazione di PG effet-

tuata 12 giorni prima del primo trattamento con GnRH previsto

dal protocollo Ovsynch. Tutte le altre bovine incluse nello studio

hanno iniziato il protocollo Ovsynch in una fase del ciclo non nota.

Lo stato di condizione corporea (BCS = Body Condition Score), con

una scala di valutazione da 1 a 5, è stato valutato al momento

dell’inseminazione artificiale (TAI). Per la valutazione della risposta

al trattamento un esame ultrasonografico (U/S) è stato effettuato

in tutte le bovine incluse nello studio al momento della sommini-

strazione del GnRH, al momento della somministrazione della PG,

al momento dell’inseminazione artificiale (TAI) e 24 ore dopo la TAI.

Inoltre, l’esame ultrasonografico è stato eseguito anche a distanza

di 32 e di 60 giorni dall’IA allo scopo di accertare e confermare la

gravidanza. A distanza di 4 giorni e mezzo dall’inseminazione artifi-

ciale (TAI) (e precisamente al giorno 14) le bovine che non avevano

risposto alla PG (con luteolisi valutata mediante esame ultrasono-

grafico e confermata, in modo retrospettivo, dalla valutazione del-

la progesteronemia) e non avevano ovulato (l’ovulazione è stata

accertata mediante esame ultrasonografico eseguito al giorno

10,5) dopo il secondo trattamento con GnRH sono state riasse-

gnate a due gruppi: negli animali di un gruppo è stato inserito il

dispositivo PRID (n=223), mentre gli animali dell’altro gruppo sono

stati tenuti come controlli (n=229). Il dispositivo è stato lasciato

in situ per 7 giorni (Figura 1). Al fine di valutare le concentrazioni

ematiche di progesterone sono stati raccolti campioni di sangue

(BS) al momento del trattamento con la prostaglandina (PG), al

momento dell’inseminazione artificiale (TAI) e a distanza di 14 e

21 giorni dall’inseminazione. L’utilizzo del PRID prima dell’IA ha

ridotto in modo significativo la percentuale di bovine che hanno

ovulato prima dell’inseminazione (5.8% vs. 11.1%) e ha significati-

vamente aumentato il tasso di gravidanze per IA nelle bovine non

pre-sincronizzate (41.3% vs. 25.1%). Le bovine che hanno ovulato

in risposta al primo trattamento con GnRH (bovine cicliche e bovi-

ne con un BCS ≥ 2.75) hanno mostrato un incremento del tasso di

gravidanza per inseminazione (P/AI), ma l’utilizzo del PRID pre-TAI

non ha aumentato il tasso P/AI in queste bovine. Inoltre, l’utilizzo

del PRID post-TAI non ha influenzato il tasso di gravidanza per in-

seminazione (P/AI). Al contrario, l’applicazione del PRID ha ridotto

il tasso di perdita di gravidanza (6.2% vs. 11.4%) tra il 32° ed il 60°

giorno di gestazione. La riduzione del tasso di perdita di gravidan-

za (Tabella 1) era significativamente inferiore (P=0.10) nelle bovine

acicliche cui è stato applicato il PRID rispetto alle bovine alle quali

il dispositivo non è stato applicato (5.6% vs. 33.3%). Per quanto ri-

guarda le concentrazioni ematiche di progesterone (P4), l’impian-

to del PRID pre-TAI ha prodotto un aumento significativo (P=0.08)

delle concentrazioni di P4 (4.4 ± 0.2 nelle bovine trattate e 3.9 ±

0.2 ng/mL nelle bovine non trattate) al momento della sommini-

strazione della PGF (giorno 7). Un aumento significativo (P<0.01)

si è potuto rilevare anche con l’impianto di PRID post-AI (6.5 ± 0.2

nelle bovine trattate e 5.6 ± 0.2 ng/mL nelle bovine non trattate).

Inoltre, le concentrazioni ematiche di P4 rilevate al momento della

somministrazione della PG e al giorno 21 sono risultate correlate in

modo lineare alla probabilità di ottenere una gravidanza al giorno

Page 76: Rivista n°2 2013

74

Abstracts and research digest

32. Gli Autori concludono affermando che il trattamento con pro-

gesterone tramite il ricorso a un dispositivo intravaginale a lento

rilascio effettuato prima dell’inseminazione (pre-TAI) aumenta il

tasso di gravidanza (P/AI) nelle bovine non pre-sincronizzate e che

l’utilizzo del dispositivo post-TAI riduce il tasso di perdita di gravi-

danza, in particolare nelle bovine non cicliche.

FIGURA 1

Protocollo sperimentale.

TABELLA 1

Perdita di gravidanza tra il 32° ed il 60° giorno post TAI, in considerazione dello stato di ciclicità rilevata all’inizio del protocollo Ovsynch e del

trattamento con PRID eseguito post-TAI.

Page 77: Rivista n°2 2013

75

Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013

NOTE

Page 78: Rivista n°2 2013

76

B. Riccio

Page 79: Rivista n°2 2013

B. RiccioB. Riccccicio

Ceva Salute Animale S.p.A. - Viale Colleoni 15 - 20864 Agrate Brianza (MB)

Tel. 039.6559.442 - Fax 039.6559.244

e-mail:[email protected] www.ceva-italia.it