Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 3/2008...HIRAM Rivista del Grande Oriente d’Italia n....

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HIRAM Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 3/2008 EDITORIALE Le Tenebre e la Fratellanza 3 Darkness and Fraternity 7 Gustavo Raffi Aspetti dell’elemento femminile nelle scritture neo-testamentarie 11 Giuseppe Abramo Cinema e Massoneria 33 Gianfranco Boiani Dalla “Sapienza totale” alla “Sapienza massonica” 41 Giuseppe de Virgiliis La catastrofe dell’essere 61 Bent Parodi di Belsito Medicina curativa, Medicina palliativa 69 Pietro F. Bayeli Memorie del Gran Maestro Giuseppe Mazzoni nel duecentesimo dalla nascita 75 Guglielmo Adilardi Carducci “conservatore sovversivo” 79 Marco Veglia Templarismo e Massoneria 89 Bent Parodi di Belsito SEGNALAZIONI EDITORIALI 93 RECENSIONI 107

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HIRAM

Rivista del Grande Oriente d’Italian. 3/2008

• EDITORIALELe Tenebre e la Fratellanza 3Darkness and Fraternity 7

Gustavo Raffi

Aspetti dell’elemento femminile nelle scritture neo-testamentarie 11Giuseppe Abramo

Cinema e Massoneria 33Gianfranco Boiani

Dalla “Sapienza totale” alla “Sapienza massonica” 41Giuseppe de Virgiliis

La catastrofe dell’essere 61Bent Parodi di Belsito

Medicina curativa, Medicina palliativa 69Pietro F. Bayeli

Memorie del Gran Maestro Giuseppe Mazzoni nel duecentesimo dalla nascita 75Guglielmo Adilardi

Carducci “conservatore sovversivo” 79Marco Veglia

Templarismo e Massoneria 89Bent Parodi di Belsito

• SEGNALAZIONI EDITORIALI 93• RECENSIONI 107

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* Intervento del Fr4 Gustavo Raffi, Ven.mo Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia inoccasione della IX Conferenza Mondiale Delle Grandi Logge Massoniche (Washington, D.C. - 2008).An English version of this talk is published at p. 7.

EDITORIALE

Le Tenebre e la Fratellanza*

di Gustavo RaffiGran Maestro del Grande Oriente d’Italia

(Palazzo Giustiniani)

Venerabilissimi Gran Maestri,

n grande mistico medioevalecome Bernardo di Chiaravallescriveva che l’epoca in cui vive-

va aveva le sue notti e queste non erano poche.Voleva dire — malgrado la forza e la spe-ranza della sua incrollabile fede — che letenebre, nel suo mondo, erano presenti,operanti e inquietanti. Ma se facciamo unsalto temporale di qualche secolo troviamoin Kant — espressa in un diverso linguag-gio — la medesima preoccupazione. Letenebre, in questo caso, non sono le sottiliseduzioni del “secolo” ma l’incapacità del -l’uomo di servirsi del proprio intelletto comeguida. Con il rischio di cadere preda di ognisorta di illusioni: prima fra tutte quella —

insidiosissima — di non servirsi delle pro-prie capacità critiche e razionali, cedendoal dogmatismo, all’intolleranza e al deside-rio di sopraffazione.

Ma il filo rosso che unisce Bernardo aKant giunge sino a noi.

Tante sono le tenebre che ci oscurano esempre viva e operante è la forza del dog-matismo, dell’intolleranza e della sopraf-fazione. In ogni momento della giornata,uomini, donne, bambini, collettività, inte-re nazioni soffrono e muoiono. Soffronoperché non hanno la libertà, perché nonpossono esprimersi, perché non possonoservirsi della critica e della ragione. Perchénon possono essere se stessi: fino in fondo.Ma muoiono anche perché non hanno diche mangiare, bere o curarsi. Accade

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quando si impedisce all’uomo, a qualunqueuomo, di esprimersi in una maniera pro-pria e non conformista. Quando si vietaall’uomo di pratica-re la propria reli-gione; quando glis’impone una ideo-logia e quando sivuole che sia il cie-co esecutore dialtrui volontà.

Le antiche tene-bre non sono scom-parse. Hanno unnome diverso matutte rimandanoall’antico fanatismo, all’antica intolleran-za, all’antica sopraffazione, all’anticasuperstizione e all’antica volontà di asser-vire l’uomo. Malgrado sforzi secolari, nonsono state spazzate via dalla Luce della cul-tura, del progresso, della democrazia e del-la libertà. Rinascono eternamente perimpedire all’umanità di progredire, perstrapparle le “giuste parole”: come fecerocon Hiram i suoi sciagurati assassini. Col-pevolmente, non ce ne rendiamo conto.Colpevolmente, pensiamo ad altro.

Un uomo e un Libero Muratore nonpossono dimenticare che la loro essenza èla Luce. E che questa Luce — in cui si espri-me il Grande Architetto dell’Universo —deve dissolvere le tenebre: ristabilendol’aurora del vero progresso. La luce del sole,canta il coro alla fine del Flauto Magico delFratello Mozart, ha scacciato la notte, /distrutto il potere carpito dagli ipocriti. Era lasperanza che animava e motivava i rivolu-zionari che — nel 1789 in nome della Luce

della ragione — hanno osato distruggere ilcupo carcere della Bastiglia, affinché trion-fasse la Luce della Liberta, dell’Uguaglian-

za e della Fraternità.Le tenebre dell’in-

tolleranza, del fanati-smo, della tirannia,della sopraffazione,del disprezzo dell’uo-mo assumono, talora,i contorni della cul-tura, prendono a pre-stito le parole dellareligione, si servonodella scienza, utiliz-

zano la politica e l’eco-nomia. Ma in realtà si oppongono alla veracultura, alla vera religione, alla vera scien-za, alla vera politica e alla vera economia.Date queste premesse è evidente che unodei compiti storici della Libera Muratoria èproprio quello di combattere contro letenebre. Il Massone può farlo perché cono-sce le tenebre, conosce la loro potenza, illoro fascino sottile e la loro forza sedutti-va. Perché le sperimenta nel suo camminoiniziatico, quando nel Gabinetto di Medita-zione si inabissa nella profondità della ter-ra prima di risalire alla Luce. Ma le conosceanche, per contrasto, comparando la vita ei lavori in Loggia — la più grande scuola divita che ci sia — con l’oscurità che permeail mondo profano.

Combattere per la Luce contro le tene-bre è la sfida più grande che si prospetta,nel futuro, per la Libera Muratoria Univer-sale: se vuole essere al livello delle grandibattaglie che, da sempre, i Liberi Muratorihanno intrapreso nel passato. Da Beniami-

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• 5 •Le Tenebre e la Fratellanza, G. Raffi

no Franklin a Simon Bolivar, da Garibaldiad Allende sino alla schiera gloriosa di Fra-telli che si sonoopposti a dittature etirannie in ogni par-te del mondo.

In un mondodove le religioni, leideologie, le filosofiesono in crisi, la Libe-ra Muratoria deveportare il suo mes-saggio. Deve avere ilcoraggio di essereall’altezza della suastoria plurisecolare,traducendo — in linguaggio moderno eefficace — quei contenuti di saggezza chele vengono dalla sua Storia, dalla sua Tra-dizione, dai suoi Simboli e dai suoi Riti.Deve proclamare a tutti che l’uomo è il suocentro e che nel rinnovamento di questouomo, nella sua libertà e nella sua felicità,vede l’attuazione della volontà del GrandeArchitetto dell’Universo alla cui Gloria noitutti lavoriamo.

Dobbiamo avere l’orgoglio di esserequello che siamo: senza falsa modestia, macercando di esserne all’altezza. Percorrerequesta strada significa assumersi un impe-gno: forte, virile, nobile e cavalleresco.

In questo spirito, la lotta contro latirannia, l’intolleranza, il dogmatismo e l’i-gnoranza deve diventare — operativamen-te — la nostra parola d’ordine. Deve diven-tare la parola che salda la catena che uni-sce i Liberi Muratori di tutto il mondo. Èciò che esprime, al più alto livello, il conte-nuto autenticamente e nobilmente rivolu-

zionario del Trinomio “Libertà, Uguaglian-za, Fratellanza”: rivoluzionario perché

vuole sconfigge-re le tenebre,ovunque si tro-vino.

Perciò, sareb-be auspicabile —c o n t i n u a n d oquanto già egre-giamente fattodal carissimoFratello Jackson— potenziareulteriormente

tutto ciò che è uti-le per stigmatizzare il fanatismo, peropporsi alle tirannie, per sostenere “i dan-nati della terra”: i poveri, i diseredati, gliumili, i disprezzati e coloro che non posso-no far sentire la loro voce. La istituzione diuna Giornata Mondiale della Libera Mura-toria contro ogni forma di fanatismopotrebbe essere l’occasione per rendereesplicito e palese — a livello planetario — ilnostro continuo impegno per la libertà e ilprogresso dell’uomo.

Venerabilissimi Gran Maestri,

alla sfida della modernità la LiberaMuratoria non può non rispondere: ne vadel suo significato, della sua coerenza e delsuo futuro. Dobbiamo essere consapevoliche noi siamo i custodi di un antico sogno:quello di costruire — e se si preferisce ri-costruire — un uomo diverso e migliore.Un uomo che, guardando negli occhi unsuo simile, — a qualunque etnia, zona geo-

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grafica, convinzione, religione appartenga— possa dire “Tu sei miofratello”. È per questosogno — in cui si con-densa l’essenza del mes-saggio esoterico — chenoi siamo qui a Wa-shington: accomunatidalla passione per l’uo-mo e dal desiderio direnderlo migliore. Difarlo uscire — come ilMosè di Michelangelo —dal blocco di marmo chelo tiene prigioniero.

Essere i custodi di un sogno è unaresponsabilità enorme, ma è anche undestino che ci conduce verso la Luce a pat-

to che la portiamo a tutti coloro che vivo-no con noi l’esperienza di essere

al mondo: in questo mondo. Questa esperienza si com-

pendia in una unica sola, gran-de, parola. È una parola di Spe-ranza, di Luce e di Vita: è “Fra-tellanza”. Solo la Fratellanza èin grado di sconfiggere il fana-tismo, l’intolleranza, la tiran-nia: le tenebre.

Nella Fratellanza, c’è ilcompimento della nostra Ini-

ziazione, il compimento di unProgetto Esoterico che viene da lontano eche guarda lontano. È la costruzione delTempio dell’Uomo. E i custodi dei sognisono sempre stati grandi costruttori.

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EDITORIAL

Darkness and Fraternity

by Gustavo RaffiGrand Master of the Grande Oriente d’Italia, Palazzo Giustiniani

Most Worshipful Grand Masters,

he great mediaeval mysticBernard of Clairvaux wrote thatthe time when he lived “had its

nights and they were not a few”. He meant— in spite of the strength and hope of hisunshakeable faith — that darkness, in hisworld, was real, operating, and disquiet-ing. If we jump a few centuries forward, wefind the same concern in Kant, butexpressed in a different language. Dark-ness, in this case, is not represented bysubtle seductions of the “world”, but “theincapacity of man to use his intellect as aguide”, with the risk to fall a prey of anykind of illusions: first the very insidiousillusion of not using personal critical andrational capabilities, yielding to dogma-tism, intolerance, and overwhelmingdesire.

The red thread uniting Bernard andKant reaches us.

So much darkness obscures us and theforce of dogmatism, intolerance, and over-whelming is always alive and active. Atany time of the day, men, women, chil-dren, communities, and entire nations suf-fer and die. They suffer because they haveno freedom, because they cannot expressthemselves, because they cannot rely oncriticism and reason. They cannot fully bethemselves. However, they also die of star-vation, and lack of water, or healthcare.This happens when man, any man, is notallowed to express his own and not con-formist ideas; when man is not allowed topractice his religion; when an ideology isimposed on man; and when he is supposedto be blind executor of other people’s will.

The ancient darkness has not disap-peared. It has a different name, but itrecalls old fanaticism, old intolerance, old

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overwhelming, old superstition, and olddesire to subjugate man. In spite of theefforts made forcenturies, theyhave not beenremoved fromthe Light of cul-ture, progress,democracy, andfreedom. Theyeternally reap-pear to preventhuman progress,and wring the“right words”from humankind:as his wickedmurderers didwith Hiram. Guiltily,we do not realize that. Guiltily, we think ofsomething else.

A man and a Freemason cannot forgetthat their essence is Light, and this Light —in which the Great Architect of the Uni-verse expresses himself — shall dissolvedarkness and restore the dawn of realprogress. “Sunlight” sings the chorus atthe end of The Magic Flute by our brotherMozart has driven away the night, / destroyedthe power seized by hypocrites. Hope animat-ed and motivated the revolutionaries who— in 1789, on behalf of the Light of reason— dared destroy the dark Bastille jail, forthe triumph of the Light of Freedom,Equality, and Brotherhood.

The darkness of intolerance, fanati-cism, tyranny, overwhelming, and con-tempt of man sometimes takes the con-tours of culture, borrows the words of reli-

gion, and uses science, politics, and econo-my. However, in reality, they are opposed

to real culture, realreligion, real sci-ence, real politics,and real economy.With this back-ground, it is evi-dent that one of thehistorical tasks ofFreemasonry is tofight against dark-ness. A Freemasoncan do it, becausehe knows darkness,its power, its subtlecharm, and seduc-tive force, because

he tries darkness in hisinitiatory path, or when he sinks in thedepth of earth in the Meditation Roombefore he goes back up to the Light. Bycontrast, he also knows them by compar-ing life and Lodge work — the greatestschool of living — with the darkness thatpermeates the profane world.

Fighting for Light against darkness isthe greatest challenge in the future forUniversal Freemasonry, if it wants to be atthe level of great battles that Freemasonshave always undertaken in the past. FromBenjamin Franklin to Simon Bolivar, fromGaribaldi to Allende to the many gloriousBrethren who opposed dictatorships andtyrannies in any part of the world.

In a world where religions, ideologies,and philosophies are in crisis, Freemason-ry must bring its own message. It musthave the courage of being equal to its cen-

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turies — old history, and translating thewisdom contents originating from its His-tory, Tradition, Symbolsand Rituals into a mod-ern and effective lan-guage. It must proclaimto all that man is its cen-tre and that the imple-mentation of the will ofthe Great Architect ofthe Universe to the Glo-ry of whom we all workis found in the renewalof this man, in his free-dom and his happiness.

We must be proud ofbeing what we are, with-out false modesty, buttrying to be equal to thistask. Following thisdirection means under-taking a strong, virile, noble, and chival-rous commitment.

In this spirit, the fight against tyranny,intolerance, dogmatism, and ignorancemust actually become our password. Itmust become the word that links the chainuniting Freemasons all over the world.This is what expresses the authenticallyand nobly revolutionary content of theTrinomial “Freedom, Equality, and Broth-erhood” at the highest level: revolutionarybecause it wants to defeat darkness, any-where it is.

Therefore, it would be desirable to con-tinue the great work already done by ourdear Brother Jackson and furtherstrengthen all what is useful to stigmatizefanaticism, oppose tyrannies, and support

“the damned of earth”: poor, outcast,humble, and despised people, and those

whose words are notheard. The institutionof a World FreemasonryDay against any fanati-cism may be an oppor-tunity to make our con-tinuous commitmentfor freedom andprogress of man clearand evident at a worldlevel.

Most Worshipful GrandMasters,

Freemasonry cannotavoid undertaking thechallenge of modernity,

otherwise its meaning,consistency, and future would be affected.We must be aware that we are the uphold-ers of an ancient dream: constructing — orreconstructing, if you prefer — differentand better man, a man who can look intoanother man’s eyes — no matter his ethnicgroup, geographical origin, ideas, or reli-gion — and say “You are my brother”. Forthis dream — which contains the essenceof esoteric message — we are here inWashington, with our common passion forman and desire for better man. Our wish isto take man out — as Michelangelo’s Moses— of the block of marble where he his pris-oner.

Being the upholders of a dream is ahuge responsibility, but also a destinyleading us towards the Light, provided

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that we bring it to all those who share oursame experience ofbeing in the world:in this world.

This experienceis summarized inone great word. Itis a word express-ing Hope, Light,and Life: it is“ Broth erhood ”.Brotherhood aloneis not able to defeat

fanaticism, intolerance, and tyranny: i.e.darkness.

In Brotherhood,there is the completionof our Initiation, thecompletion of an Eso-teric Project comingfrom far away and look-ing ahead of us. It is theconstruction of Man’sTemple. And dreamupholders have alwaysbeen great constructors.

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Aspetti dell’elemento femminile nelle scritture neo-testamentarie

di Giuseppe AbramoGran Segretario del Grande Oriente d’Italia

(Palazzo Giustiniani)

The circumstance that, in the more tragic and dramatic moment of Jesus’ history onEarth, all around the cross, there were a great number of women, while it seems thatmost of the disciples had run away or were staying in hiding, is not a negligible detail.Also if the shadows of “subalternity” of the woman, who generally are present in theScriptures, are in any way dissipated in the New Testament literature, neverthelessthe position of the feminine seems to be different. In fact, “the other part of the heav -en” becomes an active subject of redemption and liberation from ancient taboos, anda very important instrument, with which the new faith carries out its “revolution”,and looks for its achievement. Even those characters, without a name, or without a his -tory to tell, become protagonists, and cut the umbilical cord with those by then out -dated and binding beliefs. The new faith, searching for love and freedom, proposessome new aspects, and looks for reasons to validly support his truth.How and how far this message has been understood, not always we can know, alsobecause, maybe, other taboos of some another nature have raised, that often were qui -te useless to a serene reading of the New Scriptures.

impossibile negare che nelleScritture in generale, laposizione sociale, la sfera di

azione della donna siano state condizion-ate da un androcentrismo che forse hapagato un eccessivo tributo alla civiltàpatriarcale. Infatti, la collocazione delladonna è rigidamente definita nella suasubordinazione all’uomo. E a questa rego-la non sfuggono storie, ritratti, parabolein cui protagoniste sono le tante donnedelle Scritture bibliche siano esse regine o

schiave, fanciulle o vecchie, figlie o spose,vergini o madri. Tuttavia, nonostante laniente affatto apprezzabile posizione, latipologia femminile di quelle Scritture, siarricchisce di figure singolari, di partner-ship, di compagne dei patriarchi chediventano protagoniste, di matriarcheche interpretano e proiettano il ruolofemminile in determinanti decisioni edeliberazioni autonomamente prese o“apparentemente” fatte prendere dal“padre”.

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Interessanti figure come quelle di Sara,che lontano dagli anni della fertilità haperfino il coraggio di ridereall’annuncio divino di unaormai insperata maternità, eancor più quella di Rebeccache preferendo un figlioall’altro sorpassa la linea del-la primogenitura e imprimeun nuovo corso alla “storia”.

E all’interno della Scrittu-ra, troviamo tante altre don-ne, non proprio “subordina-te”, chiamate ad esercitareperfino la profezia, la regalità,la giustizia e quant’altro, manon il sacerdozio che non prevede nean-che il vocabolo femminile.

Nel Nuovo Testamento restano nonpoche le ombre riguardo alla condizione di“subalternità” della donna. Molte predica-zioni di San Paolo, e non solo, appaionodavvero inquietanti. Eppure, io credo che,se proprio non possiamo parlare di mutatecondizioni o situazioni, le cose vanno unpo’ diversamente, anche se, ad una primalettura, le tipologie femminili appaiono,talora, poco chiare o poco evidenti.

Tuttavia, nonostante interrogativi eincertezze, continuo a ritenere che l’eredi-tà del mondo biblico, nelle scritture neo-testamentarie si veste di “nuovo”, sia nellafunzione che nella qualità dell’elementofemminile, che va capito e illustrato.

Chissà che, indagando e riflettendo sultema non riusciamo anche ad individuarele ragioni vere e profonde di situazioni eavvenimenti che fin troppi dubbi hannocreato al pensiero e forse anche alla fede.

Torniamo dunque alla non par condicio,all’atteggiamento dell’uomo che, di fronte

alla donna, non sempre ha tenu-to conto della pari “dignità”dei sessi. Tuttavia anche se l’e-quiparazione, per così dire, è“di specie”, ma non “di funzio-ni”, non può essere posta indiscussione:

Dio creò l’uomo a sua immagi -ne: a immagine di Dio lo creò:maschio e femmina li creò (Gene-si 1, 27).

L’atteggiamento negativoverso la donna sembra fare la

sua comparsa proprio “all’ombra dellaSinagoga”, cioè là dove il Libro, non soloquello del Genesi, era ben conosciuto, stu-diato ed interpretato fino a costituire un“corpus” dottrinale che si poneva accantoalla tradizione scritta cioè alla Bibbia, edera la cosiddetta tradizione orale, che poifu scritta anch’essa, cioè il Talmud. Infattinel Talmud (esattamente nel quinto Ordi-ne della Misnhah, Kodashim (Cose sante),nel trattato Menachot, 43 b) si legge: l’uomoè obbligato ad offrire tre benedizioni al giorno:che egli mi ha fatto ebreo, che non mi ha fattodonna, che non mi ha fatto zotico. Talvolta laparola “zotico” è sostituita da “schiavo”.

Il Talmud stesso, dunque, sembrerebbesminuire la dignità della donna.

E, passando ad altra civiltà e ad altracultura, Aristotele, da parte sua, non diràforse che la donna è una realtà incompiu-ta, mentre l’uomo una realtà compiuta?

Per molti, influenzati da culture e daciviltà remote, addirittura, soltanto l’uomo

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• 13 •Aspetti dell’elemento femminile nelle scritture neo-testamentarie, G. Abramo

fu creato ad immagine di Dio e per la suagloria. Quando Adamo ed Eva erano nelGiardino, fu la donna, nonl’uomo che disobbedì. Conla sua natura peccaminosaEva perdette anche ilnome e venne indicatacome “la donna”. Fu Eva aportare il peccato nelmondo e lei e le sue figliesono eternamente respon-sabili della depravazioneumana e della morte.

Ma indubbiamente le cose non stannoproprio così e le premesse per capire esi-stevano già “all’ombra della Sinagoga”.

Infatti quel brano del Talmud cheabbiamo citato — anche se più spesso è sta-to interpretato negativamente — vuol soloesprimere una estrema umiltà dell’ebreoreligioso che prega e che ringrazia il suoCreatore per avergli dato una maggioreresponsabilità religiosa rispetto alla don-na, la quale, per sua natura, è dispensatada certi doveri: Le donne sono esentate daiprecetti affermativi “Fa” (Kiddushin 1,7), ilche peraltro, non ne sminuisce in alcunmodo la dignità e l’essenza.

E sempre dal Talmud:State molto attenti a far piangere una

donnaChe poi Dio conta le sue lacrime.

La donna è uscita dalla costola di un uomoNon dai piedi perché dovesse essere calpe -

stataNé dalla testa per essere superioreMa dal fianco per essere uguale…Un po’ più in basso del braccio per essere

protetta

E dal lato del cuore per essere Amata.

Ed inoltre comechiaramente vieneinsegnato dal ritobattesimale nellaChiesa delle origini:

Tutti quanti sietestati battezzati inCristo, vi siete rive -stiti di Cristo. Non viè più né Giudeo néGreco, non vi è schia -

vo né libero, nonmaschio o femmina, ma tutti voi siete uno soloin Cristo Gesù (Lettera ai Galati 3, 27-28).

Nonostante tutto ciò non possiamoignorare e sottolineare, anche se decisa-mente inaccettabile, l’atteggiamento noncerto positivo verso la donna, consideratacome oggetto del desiderio virile e comeapportatrice di peccaminosi comporta-menti.

Indubbiamente, questo è il prodotto dipensieri e di speculazioni decadenti, chepurtroppo si proietteranno nei secoli,anche dopo Esdra e Neemia, dopo gli ulti-mi testi del canone ebraico, e dopo il Nuo-vo Testamento e nonostante che l’insegna-mento diretto di Cristo sia stato, a miomodo di vedere, ben chiaro e di tutt’altranatura.

Del resto sin dalle origini il Cristianesi-mo ebbe una grossa componente romanti-ca che non poteva ignorare o umiliare l’e-lemento femminile.

Cosa poteva esserci di più romanticodel figlio di un falegname della Galilea chescende a Gerusalemme a cacciare i mer-

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canti dal cortile del Tempio? Ma soprattut-to quale bellezza più grande ed indescrivi-bile di quella del Figlio di Dio, divino eglistesso e tuttavia partoritoda “donna” come un qua-lunque essere umano chealla fine ritorna alla suadivina condizione attra-verso il martirio dellacroce?

C’era romanticismo enon certo disprezzo inchi non esitava a parago-nare la gioia per il suoritorno sulla terra dopo la crocifissione,alla gioia di una donna che partorisce unbimbo:

Una donna, quando è presa dalle doglie ètriste, perché è venuta la sua ora; ma subitodopo essersi liberata non ricorda più l’ango -scia, per la gioia che un uomo è venuto almondo. E voi ora conoscete la tristezza, ma iovi vedrò ancora ed il cuore vi si rallegrerà, enessun uomo vi toglierà la gioia.

Ed è proprio con riferimento almomento più tragico e drammatico dellastoria di Gesù sulla terra, che voglio sotto-lineare il fatto, peraltro assolutamentedegno di nota, che — come appare con evi-dente chiarezza da tutti i Vangeli — intor-no alla croce si trovava un gran numero didonne che erano seguaci di Gesù mentresembra che la gran parte dei discepoli sia-no fuggiti di buon ora quel giorno o la not-te prima e che siano state solo le donne atornare alla croce e a vegliare con Gesùmentre gli altri restavano nascosti.

Avvezze ad avere cura di un bambinomalato, ad attendere accanto ad una don-

na in travaglio, ad assistere un vicinomorente, ci fa apparire la presenza delledonne intorno alla croce come del tutto

normale. E a questo con-tribuiscono tanti dipinti,tanta iconografia che cihanno abituati ad imma-ginare la scena dellacrocifissione popolatadai seguaci di Gesù chesi trattengono ai piedidella croce, per ore finoalla fine. In effetti essere

visti sul luogo di una cro-cifissione era molto pericoloso per parentied amici. Tacito ed altri storici testimonia-no di persone arrestate ed uccise solo per-ché viste a mostrare segni di lutto accantoad una croce. Ed altrettanto pericoloso erafarsi vedere nei pressi di un luogo di sepol-tura di una persona crocifissa, soprattuttose si trattava di un condannato politico daparte dei Romani. Petronio scrive di perso-ne imprigionate sul luogo della sepoltura ecrocifisse a loro volta.

Le donne dunque erano ben consapevo-li del pericolo al quale si esponevano aggi-randosi sul luogo della crocifissione e delfatto che questo pericolo non era certa-mente diminuito tra venerdì e domenicaquando determinarono di andare a cospar-gere di balsami il cadavere, non solo peronorare il defunto, ma anche per testimo-niare la loro fede. Ed è per questo che,come vedremo, fu una donna la prima avedere il Maestro risorto.

Ma a questo punto ci vien fatto di chie-dere: ma chi erano queste donne intornoalla croce e, ancor più in generale, chi equante sono le donne dei Vangeli?

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• 15 •Aspetti dell’elemento femminile nelle scritture neo-testamentarie, G. Abramo

Rispondiamo subito alla prima doman-da e poi cercheremo di addentrarci nellaricerca, tra i Vangeli stessi, di queste per-sone ed eventualmente dialtre che forse non eranointorno alla croce o chissà,forse, la loro presenza vaintuita ed immaginata più cheletteralmente documentata.

Matteo scrive: (27, 55-56): V’erano pure parecchie don -

ne che osservavano da lontano;esse avevano seguito Gesù dallaGalilea per assisterlo; tra loro c’e -ra Maria Maddalena, Mariamadre di Giacomo e di Giuseppe e lamadre dei figli di Zebedeo.

Marco (15, 40-41):

C’erano pure alcune donne che osserva -van da lontano: tra esse vi era Maria Madda -lena, Maria, madre di Giacomo il minore e diGiuseppe e Salome; le quali fin da quando erain Galilea, lo seguivano e gli prestavano servi -gi; e molte altre che erano venute a Gerusa -lemme insieme con lui.

Luca (23,49): Ma tutti i suoi amici e le donne che l’ave -

vano seguito dalla Galilea, stavano in lonta -nanza, osservando tali cose.

(23,55-56): Le donne poi, che erano venu -te con Gesù dalla Galilea videro il sepolcro ecome c’era stato messo il corpo di Gesù. Poi sene tornarono e prepararono aromi e unguen -ti; nel sabato, però, fecero riposo, secondo ilprecetto.

Infine, Giovanni (19, 25):

Presso la croce di Gesù stavano la madre e

la sorella di sua madre, Maria di Cleofa, eMaria Maddalena.

Com’è evidente, abbiamoindividuato innanzituttoMaria Vergine, ciòè la Madre,e la sorella della Madre,Maria di Cleofa (o moglie diCleofa, quella stessa che Mat-teo indica come la madre diGiacomo il minore e di Giu-seppe), poi Maria Maddalenaed infine Salome (la madredei figli di Zebedeo cioè Gia-como Maggiore e Giovanni).Maria di Cleofa e Salome

appaiono nei Vangeli come figure margi-nali, come “madri di...” piuttosto che perloro particolari situazioni. Possiamocomunque immaginarle come donne forti,sane, piene di buon senso, avvezze a difen-dersi e a difendere i loro figli, validi soste-gni morali per una donna che sta soffren-do il patibolo del figlio e che volentieriavrebbe preso il suo posto. Ma le altre due“Marie” sono sicuramente protagoniste,ovviamente in misura, per ragioni e moti-vazioni del tutto diverse.

Della prima, della Vergine, sulla qualesono corsi fiumi di inchiostro che ne han-no glorificato ogni aspetto, i Vangeli dico-no poco. Essi danno di lei una immaginevaga che lascia posto al gioco della fanta-sia.

Non è nelle nostre intenzioni, né nellenostre possibilità metterci a disputare sul-le questione teologiche che da sempre sisono intrecciate intorno a questa mitica e

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sacra figura della fede, intorno all’idea del-la sua verginità perpetua, della sua venutaal mondo senza peccato e così via.

Nei nostri modesti pen-sieri di uomini che vivonola vita di ogni giorno, sen-za poter sempre attingeread elevate speculazionidottrinali o a dettati dog-matici, ci colpisce, inmodo particolare, l’aspet-to umano di questo straor-dinario personaggio che puòparlare a chiunque, santo, eroe o peccato-re che sia. E forse proprio per questo i Van-geli non hanno voluto dire più di tanto. Mase solo poniamo mente al fatto che al disopra e al di là di ogni divinità femminile,di cui gli uomini hanno vagheggiato, o chesia mai apparsa nella storia, questa donna,questa umile donna con un bimbo tra lebraccia, riesce a sublimare la sua femmini-lità e la sua maternità, portando ad unaposizione di maggiore stima tutte le altredonne della terra, anche quando, nel paga-nesimo o nei primi secoli dell’era cristiana,le condizioni della donna erano tutt’altroche invidiabili.

Nella Cristianità, solo con la sua dignitàe la sua presenza, essa sostituì gli idealipagani di forza, di vigore e di fascino fisico,con sentimenti di simpatia, con spirito disacrificio, con la gentilezza e soprattuttocon il coraggio di essere “la Madre”, lamadre che doveva perfino capire la predi-cazione di quel figlio che riconosceva lasua famiglia in un gruppo di estranei. Èvero che Gesù riconosceva sua madre, isuoi fratelli e le sue sorelle in coloro che

ascoltano la parola di Dio e la mettono in prati -ca (Luca 8, 21), ma è anche vero che a quel-la donna deve essersi spezzato il cuore per

effetto di quelle parole chetagliavano cordoni ombeli-cali terreni per crearne didivini.

Chissà quante nottiinsonni deve aver trascorsoquella donna che vedevainfranta l’esistenza in cuiaveva investito tutta se stes-

sa. Tuttavia, anche se permotivi così straordinari, stava vivendo, eavrebbe vissuto ancora di più ai piedi dellacroce, tutto quel mondo di dolore e di per-dita in cui resta ogni donna ed ogni madre.

Eppure Maria non poteva non sapereche, con quel figlio, tutto sarebbe statospeciale. Lo aveva capito sin dal momentoin cui di fronte alle presenze angelicheaveva accettato di diventare figlia di tuofiglio, come dice Dante. E quindi in una talesituazione a che cosa poteva servire ildolore che si accompagna ad ogni nascita,la gioia che fa scomparire ogni dolorequando la madre sente il vagito del figlioche nasce, a che cosa potevano servire tut-te le ansie ed i timori di fronte ad ognirespiro ed il mondo che scompare negliocchi di un figlio ogni volta che una madrevi guarda dentro?

Eppure aveva dovuto abituarsi all’ideadi dover rinunciare a quel figlio e proba-bilmente in un modo forse non dissimileda quanto era accaduto ad un’altra donna,ad un’altra madre che Lei ben conosceva:Elisabetta, la madre di Giovanni, il Battista.

Ecco un’altra donna dei Vangeli, un’al-

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tra figura straordinaria che non abbiamovisto elencata tra le donne che si trovava-no intorno alla croce, ma del-la cui presenza, in spirito,alla agonia di Gesù non pos-siamo certamente dubitare.

Elisabetta, dopo averlatanto desiderata per benventi anni dopo il matrimo-nio con Zaccaria, aveva vis-suto la maternità di un per-sonaggio straordinario,dedicato a Dio e predicatoredi verità, sacrificato da Ero-de, a causa, peraltro, di uninfame commercio di Ero-diade e Salomè, altre donnedi cui è notizia nei Vangeli, ma di cui, for-se, è bene cancellare ogni memoria.

Chissà se Elisabetta aveva provato lestesse situazioni di Maria e chissà se incuor suo, pur sapendo di sognare l’impos-sibile aveva segretamente sperato che ilfiglio avesse una vita normale, come tuttigli altri e che la facesse magari diventarenonna e, infine, che per lei non si sarebbeavverato fino in fondo il destino che vuolecome componente di ogni maternità ilsacrificio di un figlio?

Con il passare degli anni, la stima perMaria, presso i fedeli crebbe sempre di piùe anch’essa venne esaltata nel regno deldivino. Il suo corpo venne considerato laresidenza della Santissima Trinità ed essastessa giunse ad avere un trono alla destradel Padre celeste.

Ma nonostante fosse innalzata dal pia-no della femminilità a quella di ben piùelevate dignità, a noi, nel nostro limitato

quotidiano piace ricordare e sottolineareche gli uomini continuano a chiedere il suo

intervento di Madre amore-vole in ogni difficoltà fintroppo terrena, che le par-torienti si rivolgono a leicome ad una donna capacedi protezione, aiuto e con-forto e che può colmareogni spazio vuoto nel cuoreumano desideroso d’amore.

Se i Vangeli sono avaridi notizie e di particolarisulla Vergine Maria, ancorpiù vaghi, se non addirittu-ra confusi, sono sull’altra

Maria a cui abbiamo innanzi fatto cenno.La tradizione identifica questo perso-

naggio tanto con Maria sorella di Marta edi Lazzaro che unse Gesù a Betania (Gio -vanni 12,3), quanto con la peccatrice di cuiparla Luca (7,37) e quindi anche con la don-na liberata da spiriti maligni e da infermità,cioè Maria detta La Maddalena, dalla quale era -no usciti sette demoni (Luca 8,2).

Personalmente non ritengo che Mariasorella di Lazzaro possa identificarsi conMaria Maddalena, la quale deve il suonome ad una località: Magdala. Infatti l’u-so dei nomi di località per identificare per-sonaggi (quali Maria di Magdala, Giuseppedi Arimantea, Simone di Cirene ecc.) trovauna giustificazione quando ci si riferisce apersone che si trovano fuori del loro con-testo abituale. Ma quando invece si trattadi persone del posto, queste vengono iden-tificate con il nome del padre.

Ora, come appare chiaramente dal con-

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testo dei Vangeli Maria, sorella di Lazzaro,insieme a Marta, l’altra sorella, abitava aBetania, località apochi chilometri daGerusalemme, quasialla periferia, e quindinon può identificarsicon l’altra Maria,quella di Magdala.

Inoltre, dai Vange-li non si ricavano ele-menti da cui si possadedurre che Maria diBetania, fosse una peccatrice nella città, perusare le parole di Luca, o una indemoniataesorcizzata da Gesù.

Le due Marie comunque hanno incomune più di una cosa:

1) Innanzitutto entrambe lavarono ipiedi di Gesù, li asciugarono con i capelli eli “unsero” con unguento profumato.

2) Entrambe erano seguaci e discepoledi Gesù.

3) Infine ad entrambe può essere impu-tato un comportamento, che — comevedremo — non si può dire sia quello che cisi aspetta da discepole che hanno ben com-preso la predicazione del Maestro.

Ma procediamo con ordine e, prima diandare oltre vorrei subito affrontare ilproblema della Maddalena peccatrice eanche, come dice Luca, della posseduta dasette demoni che, senza molte difficoltà,possiamo vedere come simboli fin troppoeloquenti dei sette vizi capitali che, con laloro possessione, hanno fatto precipitarequesta donna nella oscurità del peccato.

Al riguardo, quello che a me pare di

straordinario valore e che diventa uno deimomenti fondamentali di quella che pos-

siamo chiamare unavera e propria “rivo-luzione”, il cui fineultimo è la conquistadi un mondo privo dipregiudizi, è l’atteg-giamento generoso diGesù verso le donneche erano cadute,atteggiamento che

esce dal normale mododi vedere dell’epoca e sovrasta, se non con-trasta, la legge mosaica.

Anche una donna “caduta” è una crea-tura di Dio ed ha ogni dignità umana e ognipossibilità di redenzione.

Infatti quando Simone Fariseo si stupi-sce con Gesù perché permette ad una don-na di strada, una peccatrice, di avvicinarsi,questi risponde:

Vedi questa donna? Sono entrato in casatua e tu non mi hai dato acqua per i piedi; malei mi ha bagnato i piedi con le sue lacrime e liha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi haidato un bacio e lei, da che è entrata, non hasmesso di baciarmi i piedi. Tu non mi hai untoil capo con l’olio e lei mi ha unto i piedi conl’unguento. Per la qual cosa ti dico che le sonorimessi i suoi molti peccati, perché molto haamato. Ora quello cui meno si perdona, menoama (Luca 7, 44-49).

Ed altrove (Matteo 21,31-32):

In verità vi dico che i pubblicani e le mere -trici vanno nel regno di Dio prima di voi. Per -ché Giovanni è venuto a voi da giusto e voinon gli credeste; ma i pubblicani e le meretri -ci gli hanno creduto…

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Ho innanzi parlato di atteggiamentorivoluzionario nei confronti delle donne emi sembra di aver usato un vocabolo nien-te affatto “forte”, se solo consideriamoche, in un’epoca nellaquale costituiva untabù solo rivolgere laparola alla propriamoglie in pubblico,per non parlare dirivolgerla ad un’altradonna, il sostegno diGesù per quella pecca-trice era veramentetraumatizzante, in unmodo che per noi riesce difficile soloimmaginare.

In più questa donna diventa una dellesue discepole e come se non bastasse laprima persona che scopre Cristo risorto ene dà testimonianza, lei che, come qualun-que altra donna — sempre secondo la leg-ge mosaica — era inaccettabile ed inam-missibile come teste, anche in una qualun-que banale vicenda giudiziaria.

A questo punto dunque resta l’insegna-mento di Gesù: anche la donna caduta èuna creatura di Dio con quel che ne conse-gue e pertanto quale importanza ha anda-re a stabilire se questa donna si chiamaMaria di Betania o Maria di Magdala?

Tuttavia torniamo a questi personaggiche abbiamo innanzi accusato di un com-portamento non proprio adeguato a quel-lo che ci si aspetta da discepole, per cosìdire, consapevoli di così tanto insegna-mento.

Nessun dubbio che entrambe le Mariefossero sue discepole, anzi a proposito di

Maria, la sorella di Marta, Luca (10, 38-42)riporta un episodio sul quale vale la penadi soffermarsi.

Ma diamo la parola a Luca: Ella avevauna sorella chia -mata Maria, laquale seduta aipiedi del Signore,ascoltava la suaparola, Martaintanto si affan -nava tra moltefaccende e si pre -sentò a dire:

“Signore non tiimporta che mia sorella mi lasci sola a ser-vire? Dille dunque di aiutarmi”. Ma il Signo -re le rispose: “Marta, Marta tu t’affanni e tiinquieti di troppe cose. Eppure una solacosa è necessaria. Maria ha scelto la partemigliore che non le sarà tolta”.

Ciò premesso non credo che si possaimmaginare che nelle intenzioni di Gesù vifosse la volontà di disprezzare Marta chestava svolgendo un compito prettamentefemminile.

Ma, a mio modo di vedere, Gesù ha acuore proprio il comportamento di Martache non deve lasciarsi assorbire dalle cosequotidiane e terrene al punto tale da vive-re in esse e solo per esse. Il mondo va avan-ti lo stesso se la quotidianità del femminilenon assorbe ed esaurisce l’esistenza.

Non è necessario che Marta passi tanteore in cucina a preparare chissà qualepranzo prelibato, l’importante è mangiare,mangiare per vivere e non il contrario.Basta perciò anche un pasto semplice enon elaborato, ma ciò che invece importa

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è trovare anche gli spazi e i tempi necessa-ri alla vita dello spirito.

Ma nonostante il fatto cheMaria, come abbiamo letto,ha scelto la parte migliore, chenon le sarà tolta, ha tuttaviaanch’essa i suoi momenti diperdonabile incertezza e miriferisco al fatto che in occa-sione del tragico evento del-la morte di Lazzaro, fra ledue sorelle, quella che —nonostante gli insegnamen-ti ricevuti dalla parole diGesù — appare maggior-mente sconvolta è proprioMaria, la quale, peraltro, sem-bra quasi voler ritrovare la causa dellamorte del fratello nell’assenza di Gesù enel suo mancato tempestivo intervento,ancorché fosse stato avvertito della malat-tia e delle febbri di Lazzaro.

Sembra quasi che Maria, per essere unadiscepola di Cristo, si senta autorizzata ad“accampare” diritti sul Maestro, o quantomeno di ritenere di avere diritto ad untrattamento preferenziale, sicché continuameccanicamente a ripetere quella fraseche suona quasi una condanna: Signore setu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe mor -to (Giovanni, 11,32), quella stessa frase cheaveva detto Marta, la sorella che per accu-dire alle cure domestiche poco o nulla ave-va seguito dell’insegnamento del Maestro,il quale, tuttavia, proprio rivolgendosi aMarta dice:

Tuo fratello risorgerà. Marta rispose: Soche risusciterà nella resurrezione all’ultimogiorno. Gesù soggiunse: Io sono la resurre -

zione e la vita. CHI CREDE IN ME, quand’an -che fosse morto, vivrà, e chi vive e crede in me

non morrà in eterno. Credi tu questo?Ella rispose: Sì, Signore, ho semprecreduto che sei il Cristo, il Figliuolo diDio che sei venuto in questo mondo(Giovanni 11, 23-27) .

Maria dunque che pur avevaseguito l’insegnamento del Mae-stro aveva bisogno di toccare, divedere, di sentire in concreto lapresenza del divino per vivereuna fede ed una credenza, Martainvece, la modesta casalinga CRE-DE senza condizioni e insiemealla sorella viene “ripagata”, per

così dire, con la resurrezione di Lazzaro.Al comportamento di Maria possiamo

accomunare anche Maria Maddalena cheinsieme a tutte le altre donne aveva rispet-tato il precetto del Sabato, standosene lon-tano dal sepolcro che la pietà di Giuseppedi Arimatea aveva posto a disposizione delcorpo inerme di Cristo.

Ma, certamente si era lasciata andarealla disperazione ed al più profondo dolo-re. Incapace di nutrire un barlume di spe-ranza di fronte alla scomparsa del Maestro,la immaginiamo sconvolta e tesa allo scor-rere delle ore che la separavano dalmomento in cui avrebbe potuto tornare aquel sepolcro, quasi per continuare e com-pletare quella “unzione” cominciata tantotempo fa nella casa di Simone il Fariseo.Sicché tutta sola, senza attendere nessuno,di buon mattino, si reca al sepolcro e viscopre la pietra rimossa. Corre dunque adarne notizia a Simon Pietro, il discepolodi Cristo.

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Com’è normale immaginare si scatenaun putiferio, da cui Maria Maddalena restaquasi travolta e poi piangente, mentre glialtri si ritirano, resta inebetita, priva diogni volontà, nei pressidel sepolcro, perduta,così come era accadutonel momento peggioredella sua possessione.Ma finalmente una vocele parla. La Maddalenanon capisce di chi sitratta, ma ancora unavolta, proprio come eraaccaduto al momento incui era stata strappata alle forze del male,recupera la possibilità di esprimere il suoamore, quando Gesù la richiama a se stes-sa: “Maria” le dice e lei risponde “Rabbonì”(che significa “Maestro”), ormai consape-vole e cosciente di vivere eventi, che non sipossono “toccare”.

Anche la Maddalena, come la sorella diLazzaro, capisce che non è necessaria lapresenza concreta e terrena per testimo-niare Dio, sicché può andare ad annunziareai discepoli che aveva veduto il Signore e le ave -va detto queste cose, e cioè: Non mi toccare,perché non sono ancora salito al Padre mio. Vàdai miei fratelli e dì loro che salgo al Padre mioe Padre vostro, Dio mio e Dio vostro (Giovanni20, 17).

Dopo queste straordinarie parole cheGiovanni mette in bocca a Gesù, ci convie-ne abbandonare il luogo della sepoltura,anche perché non sapremmo trovare altreparole per poter continuare a commentaregli eventi.

E, anche se con molta difficoltà, cer-chiamo di sfuggire al fascino e alla magiadel momento e riprendiamo il nostro cam-mino alla ricerca delle donne dei Vangeli.

Certamente dopoi personaggi cheabbiamo incontratole figure che potre-mo scoprire ci sem-breranno poca cosaeppure — comevedremo — non èproprio così, inquanto, come già hoaccennato io credo

che la “vera”, grande rivoluzione ed inno-vazione di Cristo passa proprio attraversol’elemento femminile, il suo modo di con-siderarlo e di sostenerlo.

Torniamo dunque ai piedi della crocedove, oltre alle donne di cui ci siamo occu-pati finora, i Vangeli ci parlano di “parec-chie” donne che erano venute con Gesùdalla Galilea. Ed è di queste che ora dobbia-mo cercare l’identità.

Di alcune abbiamo il nome, anche senon una storia che le accompagna, di altreinvece abbiamo una storia, dei fatti da rac-contare e da valutare e che — come vedre-mo — confermeranno sempre di più quella“rivoluzione” di cui ho innanzi parlato.

Certamente ai piedi della croce ci saràstata Giovanna e Susanna di cui parla Luca(8,3).

Di Susanna non sappiamo nulla altroche il nome e che faceva parte di quelledonne che assistevano Gesù nelle sue pere-

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grinazioni per città e villaggi, dove andavapredicando ed annunciando il regno di Dio.Possiamo immaginarla attiva e laboriosanel comporre il corpo di Cri-sto nel suo sudario o nellasapiente distribuzione dellebende e degli unguenti sulsuo corpo. Una figura umile e— come ho detto — senza sto-ria, ma che pure avrà sorret-to Maria Vergine durante l’a-gonia del Figlio e l’avrà con-fortata unendo a lei le suelacrime.

Di Giovanna già sappiamoqualcosa in più. Infatti eramoglie di Cusa, procuratore diErode. Non è difficile immaginarla come lameglio vestita di tutte le donne del seguitodi Gesù, forse anche la più evoluta, lei cheprobabilmente aveva fatto parte della cor-te di Erode. Ma, nei Vangeli, non dice unaparola, scompare nella moltitudine, e anulla vale la provenienza dallo sfarzo dellacorte. Se ha trovato conforto alla sua ani-ma tormentata e desiderosa di verità, alpunto da abbandonare gli agi della suanascita, ciò non è certamente dovuto alsuo alto lignaggio; e se oggi ne ricordiamoil nome ciò, ancora, certamente, non è per-ché faceva parte di una corte terrena, madi un gruppo di persone destinate a benaltri onori.

Dopo Giovanna e Susanna, quante ledonne senza nemmeno un nome?

Ora, saranno state intorno alla croce,oppure no, ha una importanza relativa.Certamente ci piace immaginarle tutte lì atestimoniare la loro fede e la loro gratitu-

dine, ma ancor più importante della loropresenza fisica intorno alla croce è il mes-saggio trasmesso tramite la loro storia.

Nei Vangeli (Luca, 8,40-56; Matteo, 9, 18-26;Marco, 5 21-34) non hacertamente un nome l’e-morroissa, cioè la donnache soffriva di emorragie,di perdite di sangue e lacui storia è una interru-zione o un inciso nellastoria della figlia di Giai-ro, uno dei capi dellaSinagoga. Ecco un’altra

donna dei Vangeli, senzanome anch’essa, eppure Gesù la risuscitadal suo “sonno”.

Dobbiamo qui fare una breve parentesiper poter chiarire l’importanza di questoepisodio e cominciamo con il precisare cheè difficile, per una donna di oggi, immagi-nare quali vicissitudini fossero legate aquella che essa conosce come una sua real-tà mensile. Diciamo soltanto che nella leg-ge mosaica, una donna era “impura”, oltreche “nei giorni del suo male”, anche dopoil parto che richiedeva un periodo di puri-ficazione: quaranta giorni dopo la nascitadi un bambino e ottanta dopo quella di unabambina. L’impurità comportava l’obbligodi non frequentare il Tempio, di non averealcun contatto fisico, di non poter toccarei cibi che sarebbero diventati anch’essiimpuri, come qualunque persona che fossestata avvicinata.

Immaginiamoci dunque il dramma diquella donna, citata nei Vangeli, che stava

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male da ben dodici anni e che, per effettodel suo male, non aveva potuto gustare legioie di una famiglia, di un contatto uma-no, magari di preparareun pranzo da consumarein allegria con amici ocon parenti.

Indubbiamente avevatentato tutte le strade espeso ogni sua risorsaalla ricerca di un rimedio.Ma tutto era stato inutile.

Anch’essa, come tanti,sente parlare di quest’Uo-mo che viene dalla Galilea, compiendo pro-digi e cose straordinarie e in cuor suocomincia a nutrire la speranza.

Ma come tentare di realizzare questosuo sogno, come poter parlare o avvicinar-si a quell’Uomo, ella che con la sua “impu-rità”, l’avrebbe contaminato?

Ma avvenne che Giairo, uno dei capidella Sinagoga, invocasse l’intervento diGesù per la figlia che stava per morire oche era già morta, secondo le diverse ver-sioni dei Vangeli, sicché quella donna osòl’inosabile e con il volto nascosto tra i suoistracci, avvicinatasi, senza farsi vedere,toccò il lembo della veste di Cristo, il qualeavverte che la forza “esce” da lui, cioèavverte la disperata richiesta di aiuto diquella donna.

Solo toccando l’orlo della veste di Cri-sto, il flusso si ristagna, ma Egli vuole sape-re chi l’ha toccato e i discepoli quasi sorri-dono della richiesta: Maestro la gente ti sistringe d’attorno e tu vuoi sapere chi ti ha toc -cato? (Luca 8, 45). La donna comunque siaccorge di essere stata scoperta e gettatasi

ai piedi di Gesù ne invoca il perdono,dichiarando alla presenza di tutti il motivoper il quale aveva toccato la sua veste.

Ma, ecco quella cheho chiamato “rivoluzio-ne”, ecco il mondodiverso di Cristo, il qua-le non solo perdona, male parla e la manda via“in pace” poiché la suafede l’ha salvata.

All’episodio dell’e-morroissa possiamo colle-

gare un altro incontro di Gesù con unadonna, per così dire, impura.

Questa apparteneva ad una etnia dasempre odiata dai Giudei, quella dei Sama-ritani, considerati bastardi della razzaebraica ed eterodossi. Quanto alle donnepoi, la loro impurità era addirittura pro-verbiale, dato che erano considerate“mestruate sin dalla nascita”. Né i lorocostumi potevano dirsi irreprensibili, tan-to che Gesù rivolgendosi a questa donna ledice:

Bene dicesti — non ho marito — perchéhai avuto cinque mariti e quello che haiattualmente non è tuo marito (Giovanni 4,17-18).

Ma la cosa straordinaria di questoincontro che porta un ulteriore “mattone”alla costruzione della tesi che stiamo illu-strando è il colloquio di Gesù con la Sama-ritana che si sviluppa per quasi tutto ilcapitolo 4 del Vangelo di Giovanni, nelquale Gesù pone la Samaritana al suo livel-lo e discute con lei di conoscenza, di pen-siero e di vita spirituale.

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Gesù comincia con il chiederle dell’ac-qua: dammi da bere, le dice, quasi come secon queste parole volessesottolineare ancor di più“l’esser donna” del suointerlocutore. Infatti era uncompito tipicamente fem-minile provvedere a riforni-re d’acqua la famiglia equindi soddisfare le varienecessità connesse a questaprovvista (bere, lavarsi, fareabluzioni, ecc.).

Ma immediatamente dopo mentre, percosì dire, le fa toccare con mano la limita-tezza del suo compito chi beve di quest’acquaavrà sete ancora, Gesù trasporta questo per-sonaggio disprezzato, impuro, infedele indiretto contatto con il “sacro” e con il “tra-scendente”, chi invece beve dell’acqua che iogli darò non avrà più sete (Giov. 4,13) il tuttoin un dialogo ad alto contenuto teologico edottrinale quale può essere quello che haad oggetto quell’“acqua viva” che divente-rà una sorgente di acqua zampillante nella vitaeterna (Giov. 4,14).

Se il tabù dell’impurità era grande, mol-to di più nella legge mosaica era quello delSabato, il giorno dedicato alla preghiera edal riposo.

Ora accadde che proprio un Sabato,come racconta Luca (13,10-14), una donna,ignorata da tutti a causa della sua infermi-tà che la faceva essere rattrappita tanto danon potersi raddrizzare e guardare in fac-cia i suoi interlocutori, fu vista da Gesùmentre si recava a pregare nella Sinagogadove egli stesso stava insegnando.

La pietà del Maestro fu tale che Egli vol-le liberarla dal suo male con la imposizio-

ne delle mani.Quella povera

donna, alla quale,come al solito, sareb-be toccato l’ultimoposto nella Sinagogae nessuno si sarebbeaccorto della sua pre-senza, finalmente

libera, dovette esplo-dere nella glorificazione del Signore, susci-tando le ire del capo della Sinagoga nonsolo perché era stato infranto il giorno delSabato, ma anche perché una donna si per-metteva di parlare nella Sinagoga.

Ma Gesù disse: Ipocriti, ognuno di voi nonscioglie di sabato il suo bue o l’asino dalla man -giatoia per condurli a bere? E questa figlia diAbramo, che il demonio tien legata da diciottoanni, non doveva essere sciolta da questo lega -me in giorno di sabato?

Straordinario momento questo chevede santificare il Sabato in un atto di pie-tà verso una povera disgraziata, masoprattutto quella derelitta, non è piùcome tutte le donne, fino a questo momen-to “figlia di Eva”, con quel che ne conse-gue, ma diventa “figlia di Abramo”, acqui-sta cioè una nuova dignità, fin qui negatanon solo a lei. Infatti in tutti gli scritti giu-daici, mentre è comune l’espressione“figlio di Abramo”, l’appellativo “figlia diAbramo” è assolutamente sconosciuto.

Anche questi eventi non furono certa-mente graditi ai capi della Sinagoga, cheprobabilmente ebbero un motivo in più diinimicizia verso quel Maestro.

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Se fin qui possiamo usare la parola “ini-micizia”, dovremo inventarci qualche altraespressione a proposito di un ulteriorepasso in quella “escalation rivoluzionaria”che spesso si ritrova nel-l’insegnamento e nel com-portamento di Gesù. Pro-tagonista sempre la don-na e di proposito non dico“una” donna.

È qui il caso di ricorda-re l’episodio dell’adultera(anch’essa un personaggiosolo con una storia e senzaun nome) di cui ci parlaGiovanni (8, 3 -11). L’episodioè fin troppo noto per doverlo descriverenei dettagli. Ricorderemo soltanto chequando gli venne condotta una donnaaccusata di essere stata sorpresa in fra-grante adulterio, Gesù disse: Colui che è sen -za peccato scagli la prima pietra. Posti difronte alla propria coscienza, nessuno osòscagliare quella pietra, anzi tutti si allonta-narono, sicché Gesù disse alla donna: dovesono i tuoi accusatori, nessuno ti ha condanna -ta? Rispose essa: Nessuno Signore e Gesù alei: Né io ti condanno, vai e non “voler” pecca -re più.

La rigidità e la durezza della leggemosaica che imponeva di lapidare una pec-catrice di tal fatta, subisce un colpo irrepa-rabile, in quanto non solo nessuno può far-si giudice severo e inappellabile, ma ancheperché il pentimento deve pure poter apri-re uno spiraglio nel perdono e nella reden-zione di chi ha peccato.

Ma, in tema di adulterio, vale la pena dispendere qualche altra parola, in quanto la

legge mosaica, come si è visto, era imme-diatamente diretta alla punizione dell’a-dulterio femminile, mentre diciamo pureche l’adulterio maschile, non aveva così

immediate e tragi-che conseguenze.

Infatti va preci-sato che, nell’ebrai-smo, secondo la piùortodossa visionedottrinale, l’adulte-rio può ritenersiconsumato quandola donna non è libe-ra da impegni

matrimoniali, il cheper l’uomo, comporta solo un reato controil marito, cioè una violazione della pro-prietà.

L’uomo sposato non commette adulte-rio se la donna non è maritata.

Ciò premesso, quando Gesù disse Chiun -que guarda una donna per desiderarla, ha già,in cuor suo commesso adulterio con lei (Matteo5, 28), dovette provocare un vero e propriotrauma nei suoi ascoltatori maschili. Nellostesso modo, quando Gesù insegnò che gliuomini non potevano divorziare a piacere,la cosa dovette risultare traumatica per isuoi ascoltatori, perché gli uomini avevanola libertà di consegnare ad una donna undocumento di divorzio ed essere liberi(Matteo 5, 31-32; Matteo 19, 3-9, Marco 10,2-12).

Come ultima nota relativa al riscatto diquesto universo femminile che abbiamoincontrato nei Vangeli, voglio ricordarel’episodio della vedova di Nain (Luca 7, 11-

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17), la più umile e la più indifesa compo-nente della società patriarcale.

Nella società ebraica, infatti, esserevedova costituiva piùche una disgrazia quasiuna colpa degna di bia-simo. Infatti nell’episo-dio al quale si riferisceLuca e che vede la vedo-va disperarsi per lamorte del suo bambino,in fondo la consuetudi-ne riteneva la vedovastessa, per via dei suoipeccati, la causa dellaprecoce morte del propriobambino.

Anche qui assistiamo ad un rovescia-mento di assurde posizioni e a qualcosa dinuovo che non considera più la donna,come elemento inappellabilmente e ingiu-stificatamente peccaminoso e negativo,ma al contrario come un essere umanoche, come nel caso della povera vedova,disperata per la morte dell’unico figlio,suscita la compassione di Gesù che la con-sola e l’invita a non piangere, e fa per lei ilpiù grande dei miracoli restituendole l’u-nico suo grande bene: il figlio risorto.

A conclusione di queste modeste consi-derazioni e riflessioni, non so se ho fattotorto ad altri personaggi femminili deiVangeli, non ricordando o individuandotra le righe le loro storie ed i loro eventi,ma io credo che con gli esempi che abbia-mo visto possiamo concludere, senza pos-sibilità di smentita, che Gesù ha sicura-mente valutato “l’altra parte del cielo”, il

mondo delle donne, in maniera assoluta-mente diversa da quanto era avvenuto inpassato.

All’inizio ci siamoposti il problema dicapire la funzionedell’elemento femmi-nile nei Vangeli, edora possiamo dire cheanche il riscatto o laliberazione della don-na da tutti quei tabùai quali siamo andatiinnanzi accennando,erano necessari per

superare i costumi socia-li e soprattutto per porre le condizioniottimali per tagliare i cordoni ombelicalidella nuova fede e lasciarla libera di trova-re la propria strada nel modo migliore sul-la terra.

Riflessioni e pensieriDopo questa carrellata attraverso l’uni-

verso femminile dei Vangeli, carrellataperaltro rispettosa sia della tradizione chedella ortodossia dottrinale, non mi sentocolpevole di aver invaso campi interdetti achi è sovente sconsigliata la discussione“politica” o “religiosa”.

Ritengo di aver mantenuto “separazio-ne e distacco” con momenti di fede o direligione e di non aver invaso campi“minati” di interpretazioni teologiche, madi essere rimasto su piani intellettuali eculturali.

Ciò premesso, non posso negare al mio“libero pensiero” — sempre in ricerca

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costruttiva, anche se dialettica e speculati-va — qualche ulteriore considerazione oriflessione, fatta ancora unavolta con una chiave di lettu-ra che prescinde da problemiquali la “rivelazione” o la“ispirazione divina” dei Van-geli stessi e guarda ad essicome a dei “documenti” difronte ai quali ci si può porrecome “ricercatore”, noninfluenzato da particolariimpostazioni dottrinali e inte-ressato a cogliere eventualisottostanti motivazioni, o tesi ed assuntiche questi “documenti” o i loro Autoriintendevano dimostrare.

Mentre questa proposta può esserefacilmente accettata da chi è animato daspirito di ricerca e di studio ed ha la capa-cità di separare il cuore (cioè la fede) dallamente (cioè dalla intellettualità), per tor-nare poi — se crede e se ne è in possesso —ad una fede sempre meno dubbiosa e sem-pre più profonda, matura e consapevole,mi rendo conto che esiste, invece, unamaggiore difficoltà per chi, animato esclu-sivamente dalla fede, non ritiene possibileprescindere dalla “rivelazione” o dalla“ispirazione divina” dei Vangeli.

Tuttavia anche queste ultime persone,certamente non lasceranno alle mie mode-ste considerazioni alcuna possibilità discalfire la profondità delle loro credenze,ma, con intelligenza sapranno valutare,per così dire, quella che può essere soloun’“altra” faccia della medaglia.

Ma, pur volendo restare nel tema che cisiamo prefissato, prima di arrivare a consi-

derare da un altro angolo visuale l’atteg-giamento di Gesù di fronte al femminile e

quindi trarre daesso quelle consi-derazioni a cuiabbiamo accen-nato, è necessariofare qualche pre-messa.

Cominciamocon il precisareche non ritenia-mo di essere

completamentelontani dalla realtà se proponiamo, siapure semplicemente come ipotesi di lavo-ro, che i Vangeli, come tutti gli altri testiche costituiscono il Nuovo Testamento (ecioè, oltre ai Vangeli, gli Atti degli Aposto-li, le lettere di Paolo, le cosiddette lettereCattoliche e infine anche l’Apocalisse)sostanzialmente mirano a costruire e quin-di a dimostrare tesi ed assunti in funzionedi ciò che i discepoli o gli Apostoli, o gliestensori dei Vangeli stessi ritenevano chefossero le basi di un “culto”, di una nuova“religione” o di una “chiesa” — a loromodo di vedere — voluta da Gesù, se nonproprio in sostituzione, quanto meno inforte innovazione dell’ormai antica e supe-rata concezione ebraica.

Ma, a questo punto, devo innanzituttodomandarmi: il pensiero e l’insegnamento— peraltro assolutamente degno di rispet-to e di considerazione — meditato e volutoda Gesù è stato effettivamente recepito edattuato?

Ciò premesso, da una lettura ovviamen-te “non condizionata” dei Vangeli, noi pos-

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siamo constatare che — a parte qualcheperaltro rara eccezione, che ha tutta l’ariadi essere un “aggiustamento”di certe vicende o solo una“interpolazione” di chi avevainteresse a farla comparirecome premessa di un bendeterminato disegno — inGesù non sembra affatto ine-quivocabile l’intenzione divoler “costituire” o “fondare”una nuova religione che sosti-tuisse quella più antica.

In effetti di fronte a questaGesù appare non solo come undebole o distratto seguace —infatti a parte qualche spora-dica indicazione, nei Vangeli non troviamomai Gesù impegnato nell’adempimento diqualcuno dei numerosi precetti (ben 613)della religione ebraica — ma addiritturaappare come uno che “molto sottilmente”,senza clamore, mira a distruggerne lestrutture portanti e a negare i suoi valoriessenziali, pur dando l’impressione divolerli rispettare e di farli propri.

E tutto questo, certamente, non perdistruggere le tradizioni dei padri, ma per-ché intendeva semplicemente costruire unumanesimo nuovo, scoprendo il valoredell’uomo in quanto tale, affidato esclusi-vamente a se stesso e che ha un’unica stra-da da percorrere: quella dell’AMORE.

Un tale individuo crede innanzitutto inse stesso, è uguale a tutti gli altri, li ama manon perché legato ad essi da vincoli di san-gue, ma solo per “amore per l’uomo” e sipone nei confronti di Dio nella stessa iden-

tica posizione, con lo stesso Amore, in cuisi pone di fronte agli altri uomini.

Se questa è la premessa, laconseguenza è di andare apercorrere itinerari checomunque portano unica-mente all’uomo, all’uomocome creatura singola e col-lettiva e, in ogni caso, ad unsoggetto capace di amare solocon la sua volontà e noncostretto a vivere amori chenascono da soli, magari dauna non meglio precisatamotivazione di fede o chissàda quali recondite ragioni,oppure perché così è scritto

nel codice del sangue.Se è l’uomo al centro di tutto è anche

esso stesso responsabile nel profondo del-la sua essenza individuale del “male“. Diconseguenza l’errore non è in quella fragi-le motivazione che fa trasmettere il malein tutto il creato dal cosiddetto “peccatooriginale”, ma è piuttosto in quelle chepossiamo chiamare le strutture stesse del“sacro”, quelle strutture che, facendo vio-lenza alla libertà dell’uomo e alla sueresponsabilità, pongono e ratificano la dif-ferenza tra il bene ed il male.

È evidente allora che non è possibileall’uomo vivere la pienezza della suaresponsabilità e delle sue scelte e quindianche della sua libertà. Ecco dunque lavera ragione del contrasto con la fede deipadri.

A questo punto appare con sufficientechiarezza che non occorre un Tempio este-riore, né una gerarchia che lo regga, né

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regole formali, come le tante vigenti nellareligione nella quale Gesù nasce, ma è solonecessario e sufficiente costruire il proprioTempio interiore nel qua-le far trionfare quell’uni-ca regola, quell’unica,apparentemente sempli-ce, legge che pur move ilSole e le altre stelle, comedice Dante.

Tutto questo, senzadubbio, non poteva sod-disfare le esigenze di chiintendeva affermare un “potere” sia purea carattere spirituale e che quindi avevanecessità di porre le basi di una “chiesa”,di un “culto”, e pertanto a tale scopo — siapure in buona fede — “costruiva o aggiu-stava” racconti, situazioni e circostanzeforse mai accaduti, o verificatisi con moti-vazioni affatto diverse.

Ma senza continuare a prospettare tesio ipotesi è il caso di tentare di chiarire, conqualche esempio che, volendo restare neltema di cui ci stiamo occupando, riguarde-rà in particolare il mondo delle donne, mache certamente potrebbe andare anche aldi là.

Ritorniamo dunque al rapporto di Gesùcon la Madre, così come traspare dai Van-geli stessi e che testimonia, con assolutachiarezza, quanto sia fondamentale nelmessaggio di Gesù il non attribuire alcunaimportanza al “vincolo di sangue”, vincoloassolutamente insostituibile nell’Ebraismo,al punto tale che perfino oltre la mortecontinuava a vivere.

È qui il caso di ricordare i vincoli dellalegge del levirato che imponeva di sposare

la vedova del fratello e, ove questi fossedeceduto senza figli, di ritenere il primofrutto della nuova unione come figlio del

defunto stesso, al qua-le così veniva assicu-rata la continuazionedel “suo” sangue.

Ebbene Gesù nonesita minimamentead infrangere il vin-colo di sangue. Tantoè vero che a prescin-dere da altri episodi

— come quelli in cui riconosce la sua fami-glia in un gruppo di estranei — morentesulla croce affida la Madre a Giovanni chene diventa il figlio per vincolo d’amore enon di sangue, vincolo che nasce solo conun atto di volontà.

E a quella Madre che assiste impotenteal suo patibolo non trova da dire una solaparola di consolazione e ad essa che lo hapartorito mostra solo, come frutto del vin-colo di sangue, un corpo disfatto e giàpronto per la sepoltura.

Ma tutto questo che sembra di unaincredibile durezza, in realtà serve a con-fermare ancora una volta che Gesù non hapredicato altra legge oltre quella dell’Amo-re e che per affermare questa legge nonesita a porre in discussione la “figliolanza”e la “maternità” fisica.

E che dire degli altri insegnamenti chehanno infranto secolari tabù e consuetudi-ni inveterate? Penso al sovvertimento oalla distruzione del tabù della impurità chetrova pubblica dimostrazione nell’episodiodell’emorroissa e in quello della prostituta“che ha troppo amato”.

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Ecco qui ancora una conferma della leg-ge dell’Amore che Gesù aveva tentato diimporre. La Maddalena — la donna che hamolto amato — ha avuto ilcoraggio di manifestarequella legge contro tutto econtro tutti, amando (e qui,magari tra parentesi, nonposso che dire: “amandoGesù”) tanto più di quantopotesse essere amata. Inol-tre la Maddalena è addirit-tura la prima a rompere iltabù della contaminazione enon si preoccupa affattodelle conseguenze di quelsuo comportamento chetutti avrebbero condannato, tranne Gesùche lascia compiere in silenzio quei gesti equelle azioni che manifestano all’esterno isentimenti interiori.

E perché tacere o cercare di sviare o didiversamente qualificare questo amoreche nulla chiede in cambio e che, comun-que ed in ogni caso, nessun scandaloavrebbe potuto provocare in quella socie-tà, nella quale il rapporto uomo-donna eraconsiderato del tutto naturale e che ineffetti ignorava e continuerà ancora adignorare, quell’amore spiritualizzato chenasce solo con Paolo e con la sua imposta-zione dottrinale?

L’emorroissa invece non ha la forza del-l’amore riconosciuta a Maddalena, ma soloquella della fede, ma della fede in un uomo,foss’anche straordinario, e la sua presenzaresta emblematica di situazioni delle qua-li, in fondo, non si vuole nemmeno parlaree di cui si dà per scontato il pericolo della

loro natura. Infatti in tutti i Vangeli non sidice più di tanto della impurità mestruale,eppure Gesù era stato in contatto con tan-

te donne o della sua casa o diquella di Lazzaro o di quelledei suoi seguaci, e tuttaviamai nessuno accenna alleincredibili vicissitudini chela legge dei padri legava aquella realtà femminile.

Molti sono ancora gliepisodi e le situazioni chedovremmo andare a consi-derare per dimostrare comeGesù sia stato, forse più chetradito, semplicemente noncapito.

Infatti gli episodi riferiti non sempresono stati penetrati nella loro vera essen-za, anzi, talora si ha l’impressione che sonostati riportati proprio perché non è statacapita né la ragione né il valore.

Così accade, ad esempio, quando Gesùcompie per Giairo, uno dei capi della Sina-goga, il miracolo del “risveglio” della“figlia”. Perché, sembrano chiedersi glispettatori di questo “miracolo”, tantorumore per una “figlia”? Sarebbe stato tut-to molto più comprensibile se si fosse trat-tato di un “figlio”, come nel caso dellavedova di Nain. Ma anche qui, perchéaccogliere le istanze di una vedova, unadonna che, per essere una “figlia di Eva”,per definizione peccaminosa e pericolosa,molto probabilmente, secondo la consue-tudine, era da ritenere la causa dell’imma-tura scomparsa?

E perché infine infrangere il tabù delSabato per una povera donna, alla quale

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addirittura viene riconosciuta, comeabbiamo visto, la dignità di “figlia di Abra-mo”, riconoscimento che creaa Gesù inimicizie che quasivengono “giustificate”?

Ma sempre senza usciredal tema in discussione guar-diamo ad un’altra situazioneche coinvolge le donne e inparticolare voglio attirarel’attenzione sulla loro, direi“clamorosa”, esclusione dal-le strutture e dalle gerarchiedel “sacro”, di cui Gesù nonsembra aver posto le basi, mache comunque vengono teo-rizzate e realizzate.

Gesù, in fondo, infrangendo i tabù con-nessi all’universo femminile ne aveva cer-cato il riscatto da tutte quelle condizioni diinferiorità che indubbiamente non condi-videva.

E tuttavia, ora che cosa accade: è veroche la Maddalena, preferita ai discepoli disesso maschile, vede il Maestro risorto econ Lui parla del Padre Celeste, ma perfinoGiovanni non le consente di “toccare”ulteriormente Gesù, ormai spiritualizzato,e comunque già avviato ad apparteneresolo alla comprensione del “maschile”, alquale soltanto può essere riservata la“gerarchia” e la gestione del “sacro” che loriguarda.

E che dire infine del sacrificio del “cor-po e del sangue” che potrà essere rinnova-to solo dalla capacità evocativa del maschi-le, abilitata a penetrare nella trasformazio-ne delle “specie”?

Ecco, vedete, ogni volta che riflettiamosu un pensiero o su un episodio della vita

di Gesù, così come ci èstato tramandato daiVangeli stessi, se usiamochiavi di lettura diverseda quelle prima costruitee poi tramandate persecoli, purtroppo nonsiamo proprio sicuri dipoter affermare che leidee di Gesù sono stateeffettivamente capite erecepite e forse, a questopunto, ci rendiamoanche conto di quale

potesse essere il contenutodelle sue riflessioni nell’orto di Getsemani,o i dubbi che turbavano il momento stessodella sua morte.

Io credo che qui ci troviamo di fronte almomento più alto dell’umanità di questopersonaggio straordinario che appuntoperché tale, ha il coraggio di prospettare ase stesso di aver sbagliato e di non essereriuscito a farsi capire anche da coloro cheripetevano i suoi messaggi e che non siaccorgevano di scavare un solco profondofra le loro preoccupazioni del potere, alquale Gesù non ha mai pensato, e i messag-gi stessi.

A questo punto, senza che questo suoniblasfemo, oserei dire che l’unico che forseaveva capito qualcosa, sia pure in manieradistorta, era Giuda, che “tradì”, ma soloperché era fin troppo legato alle sue “tra-dizioni” che venivano distrutte nelle lorostrutture più profonde il che, d’altra parte,significava anche porre le basi di un sov-

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vertimento globale della società ebraicache su quelle tradizioni aveva fondato tut-ta l’esistenza e non solo quella religiosa.

E se tutto questo è statointuito anche dagli Aposto-li, troveremmo la giustifica-zione alla resistenza a sosti-tuire la circoncisione con ilbattesimo, il che inevitabil-mente eliminava i legamicon le radici ebraiche. E nonbasta, perché il battesimo, adifferenza della circoncisio-ne, coinvolgeva anche il femminile, crean-do una parità indesiderata.

Ma non era in questo modo che Gesùcredeva all’eguaglianza dell’uomo. Infattiil battesimo è, in fondo, ancora una dimo-

strazione controle sue idee cheavevano esclusoqualunque ritomagico o di ini-ziazione o dip u r i f i c az i o n e,volendo porreuna netta separa-zione con tutto il

formalismo dell’Ebraismo che Gesù rifiu-tava se non condannava.

Bibliografia essenziale:

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Cinema e Massoneria

di Gianfranco BoianiUniversità di Macerata

The relationship between cinema and Freemasonry comes back to the origins of theseventh Art themselves, thanks to directors like David W. Griffith and, in Italy, Filo -teo Alberini. Anyway, symbols and initiation rites do appear the first time in Francewith a pro-Nazi and antimasonic movie, Forces occultes, during the government ofVichy. In the last decades history of the cinema, Freemasonry has been seen throughopposing stereotypes, the first bound to the glamour of mystery, of esotericism, ofunsolved enigmas, the second linked to alleged secret plots and conspiracies. Theprevailing of stereotypes has probably been increased by the wariness of Freema -sonry itself to deal with the subject of media and communication, while a differentattitude could easily avoid the spreading of prejudices. The change cinema andaudiovisual media are coping with, by our time may provide new possibilities toenlarge the knowledge of the mind, values and ideals of Freemasonry.

a recente pubblicazione, graziealla collaborazione tra il CentroSperimentale di Cinematografia e

la Biblioteca del Grande Oriente d’Italia, diun volume dedicato al rapporto tra cinemaitaliano delle origini e Risorgimento, inparticolare incentrato sulla figura di Filo-teo Alberini, un pioniere del cinema ital-iano, fondatore della Cines e regista delprimo film realizzato in Italia, ci offre lospunto per una riflessione sul rapporto traMassoneria e cinema.

A tale proposito il primo aspetto che siè spinti ad indagare è costituito dall’appar-

tenenza di registi alla Massoneria. Fontistatunitensi riportano che già da primianni del ‘900 esponenti di rilievo del cine-ma americano furono affiliati a logge mas-soniche; è il caso di David Llewelyn WarkGriffith (1875-1948), che fu iniziato nellaSt.Cecile Lodge n. 568 di New York, diHarold C. Loyd (1893-1971), che fu iniziatonella loggia di Hollywood AlexanderHamilton n. 535, di Oliver Hardy (1892-1957) affiliato alla Salomon Lodge n. 20 diJacksonville in Florida, di Dick Powell(1904-1963) appartenente alla Ascot Lodgen. 538 di Los Angeles, di Cecile B. De Mille

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(1881-1959) della Prince of Orange Lodge n.16 di New York, per citare solo le maggiorie più note personalità.

Tali appartenenze sono almeno in par-te spiegabili con la diffusapresenza della Massonerianella società americana.Analogamente nella societàitaliana in età risorgimen-tale e nei primi del Nove-cento, almeno fino allamessa fuori legge dellaMassoneria da parte delfascismo, l’appartenenza diintellettuali alla Massoneria è un fatto dif-fuso, connesso con la nascita del nuovogiovane stato nazionale.

Questo è il caso di Filoteo Alberini, sin-golare personalità, un pioniere, come si èdetto, inventore del Kinetografo, apparec-chio per la ripresa, la stampa e la proiezio-ne dei film. Nel 1906 Alberini fondò la casadi produzione Cines, la cui attività attra-versò, tra varie vicissitudini, cinquant’an-ni del cinema italiano, fino al suo sciogli-mento nel 1958.

Il cinema è un’arte giovane che subìdelle trasformazioni profonde nel corsodei primi anni del XX secolo, sia sul pianodel linguaggio, che della tecnica. Nato pocopiù che come curiosità, tanto che Augustee Louis Lumière pensavano fosse un’inven-zione senza futuro, il cinematografo delleorigini vide diffondersi da una parte levues, vedute documentaristiche ante litte -ram che i fratelli Lumière, grazie anche adun certo numero di operatori, girarono intutta Europa, restituendoci importati testi-monianze storiche di quegli anni, dall’altra

la realizzazione delle prime forme di nar-razione cinematografica attraverso il sus-seguirsi di tableaux, di quadri con inqua-drature fisse introdotte da cartelli esplica-

tivi; tali erano i primi filmrealizzati in Italia, come Lapresa di Roma (1905) diAlberini e Il piccolo Garibal -dino (1909).

Il volume Da La presa diRoma a Il piccolo garibaldino.Risorgimento, massoneria eistituzioni: l’immagine della

nazione nel cinema muto,oltre ad affrontare nei suoi diversi aspettistorici, sociali, politici e cinematograficiuna fase così importante sia della storia delnostro paese, sia dello sviluppo del cinemaitaliano, ci permette la visione in DVD diquesti due film restaurati a cura del CentroSperimentale di Cinematografia – CinetecaNazionale: è questa un’operazione impor-tante di conservazione, se pensiamo che ilcinema delle origini ha visto spesso andarperduti proprio i film, tanto che la storio-grafia cinematografica di questo periodo èspesso una storia senza opere.

Il cinema italiano nasce con un rappor-to molto stretto con la storia, in particola-re con la storia allora recente del Risorgi-mento e della nascita del nuovo stato ita-liano, che rendeva necessario lo sviluppodi una coscienza nazionale, obiettivo versocui sono diretti i contenuti educativi deifilm. Alberini rappresenta gli eventi stori-ci attraverso delle ricostruzioni, ma intro-duce anche immagini allegoriche, ad unadelle quali è ad affidato il finale de La presadi Roma. Assolutamente straordinario è ne

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Il piccolo garibaldino, prodotto dalla Cinesdel 1909, la rappresentazione del sogno delragazzo attraverso un’innova-tiva soluzione tecnica di dop-pia esposizione dei fotogram-mi. Dopo la regolare trafila disfilate, visite reali, panorami,corse automobilistiche, — notaSergio Toffetti — il cinema ita -liano delle origini per raccontarela sua prima “storia” non scegliescenette comiche, pochades,microdrammi, ma la Storia coltapraticamente in diretta nel suointreccio con la vita politica1.

Il modo pedagogico di rac-contare la storia che caratte-rizza il film di Filoteo Alberini, se certopresenta aspetti di ingenuità, peraltrocomprensibili nell’ottica pionieristica delsuo lavoro, anticipa tuttavia tematiche digrande rilievo: l’idea di un cinema educati-vo costruirà la grande utopia di RobertoRossellini, che, conclusa la stagione neo-realista, si dedicherà a partire dagli anni’60 e fino alla sua morte, avventa nel 1977,alla realizzazione di film come La prise depouvoir par Louis XIV (1966), Socrate (1970),Pascal (1971), Agostino d’Ippona (1972), L’etàdi Cosimo (1973), Cartesius (1974). Tale valo-re educativo del cinema, inteso comemodalità di trasmissione di conoscenze edi cultura, è un aspetto tuttora non suffi-cientemente sviluppato, a causa del preva-lere a livello mediatico di logiche mercan-tili e di puro intrattenimento.

Mentre i film delle origini, tra i qualil’opera di Filoteo Alberini, erano costruiti

da quadri con inquadrature fis-se, a metà degli anni dieci pre-se finalmente forma il linguag-gio cinematografico intesocome una narrazione attraver-so diverse inquadrature e l’al-ternarsi di campi e piani diffe-renti. Un ruolo determinantenella conquista di un nuovolinguaggio venne svolto daDavid Wark Griffith.

Vera pietra miliare dellastoria del cinema è The Birth ofa Nation, realizzato nel 1915 dalregista americano; una grande

produzione nella quale Griffith introdusseil montaggio parallelo e, alternando primipiani e campi lunghissimi, raggiunsestraordinari risultati espressivi. Sul pianodei contenuti il film fu tuttavia assai con-troverso: Griffith si era ispirato a The Clan -sman, un racconto di Thomas Dixon Jr. nelquale venivano narrati gli avvenimentidalla morte di Abramo Lincoln alla costitu-zione del Ku Klux Klan, che, secondo loscrittore, avrebbe rappresentato unbaluardo della civiltà contro il pericolodell’anarchia innescata dalla politica deiradicali.

La discutibile lettura storica delle origi-ni della nazione americana e soprattutto lavisione che veniva data del Ku Klux Klansuscitò molteplici critiche ed anche clamo-rose proteste. Griffith tentò di difendersi

1 Musumeci, Tuffetti, 2007: 44.

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dalle accuse di razzismo soprattutto attra-verso la realizzazione del film successivoIntolerance (1916), nel quale ilregista sviluppa la propriaidea del mito e della storia.Nel film si intrecciano quat-tro vicende con il comunedenominatore dell’intolle-ranza: The Mother and theLaw, nel quale un operaioviene ingiustamente accu-sato di omicidio, The Passionof Christ, nel quale sono rac-contate tre parabole evan-geliche (le nozze di Cana, ifarisei al tempio e la Madda-lena), The St. Bartholomew’s Night, nel qualela cattolica Caterina de’ Medici ordina lastrage degli Ugonotti, The Fall of Babilonia,in cui, mentre i babilonesi festeggiano ilpresunto trionfo, Ciro espugna la cittàsguarnita.

Tra i più ambiziosi progetti della storiadel cinema, Intolerance, girato da Griffithgrazie agli incassi del discusso The Birth of aNation, mostra la convinzione del registache il cinema possa a pieno titolo costitui-re un efficace mezzo per raccontare la sto-ria, tanto che dal racconto epico dellanascita della nazione americana egli passaa rappresentare la storia stessa dell’uma-nità.

L’opera cinematografica di Griffithebbe un’influenza profonda sul cinemasuccessivo, in primo luogo sul cinemasovietico, in particolare su Sergei M.Ejsen?tejn, che dedicò i suoi capolavori allastoria della Russia e della rivoluzione bol-scevica.

Gli anni successivi vedono affermasinel cinema americano lo studio-system

hollywoodiano, una grandeindustria dell’entertain -ment; difficile poter pensa-re in questo ambito allaproduzione di film che tra-smettessero valori e cultu-ra massonica, nonostantela presenza di autori, regi-sti e attori appartenenti adiverse logge americane.Non stupisce allora che neifilm realizzati a Holly-wood troviamo solo vagheallusioni e riferimenti

massonici. Ricordiamo, tra questi, com-medie come Are you a Mason? (1934) in cuiil protagonista racconta alla moglie diessere massone come scusa per allonta-narsi da casa o l’esilarante Sons of theDesert (1933) in cui Stan Laurel e OliverHardy sono costretti ad inventarsi unviaggio a Honolulu per poter partecipare,di nascosto dalle mogli, alla riunioneannuale della loro associazione vagamen-te massonica dei “figli del deserto”.

Negli stessi anni i regimi totalitari, cheavevano assunto il potere in Europa, sco-prirono la straordinaria efficacia del cine-ma come mezzo di comunicazione e,quindi, di propaganda.

In Italia il regime fascista istituì nel1924 il Luce (L’Unione CinematograficaEducativa), destinato alla “diffusione dellacultura popolare e della istruzione genera-le per mezzo delle visioni cinematografi-che”; nel 1937 sorse Cinecittà, la Holly-wood sul Tevere, nell’area dove si trovava-

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no gli stabilimenti della Cines andatidistrutti in un incendio.

In Germania il nazismo pro-muove la realizzazione di gran-di film che esaltano i valori delregime, soprattutto i film diLeni Riefensthal Der Triumphdes Willens (Il tronfo della volontà,1936) e Olympia (1938). L’indivi-duazione del cinema come effi-cace strumento di propagandae di trasmissione delle ideolo-gie alle masse rappresenta unaspetto rilevante della politicadei regimi totalitari.

In Francia il governo filonazi-sta guidato dal maresciallo Pétain avviòuna politica antisemita, mettendo al bandola Massoneria. In questo clima si colloca ilfilm Forces occultes (1943), diretto da PaulRichie, pseudonimo di Jean Mamy, e sce-neggiato da Jean Marquès-Rivière, discus-sa figura di orientalista e studioso di esote-rismo, autore di pamphlet antimassonici eantisemiti.

Forces occultes, uscito con il sottotitoloLes mystères de la Franc-maçonnerie dévoiléspour la première fois à l’écran, è un operaveramente singolare in quanto mostra inmaniera dettagliata un rito di iniziazione.Il suo autore, Jean Mamy, era stato Vene-rabile della loggia Renan del Grand Orientde France e conosceva dunque perfetta-mente il rituale di iniziazione; sotto l’occu-pazione tedesca divenne un collaborazio-nista dei nazisti e, dopo la liberazione, fu

condannato a morte e giustiziato nella car-cere di Montrouge il 29 marzo del 1949.

Il protagonista del film,Pierre Avenel, giovane parla-mentare idealista, viene con-vinto ad entrare nella Masso-neria da parlamentari ebreiche pensano in tal modo dipoterlo controllare; eglidiviene così vittima dei lorocomplotti “giudaico-massoni-ci”, finalizzati all’entrata inguerra della Francia contro laGermania. Il fine propagandi-stico del film, antiparlamen-

tare e antimassonico, è evi-dentemente rivolto a giustificare le leggirazziali e la messa fuori legge della Masso-neria francese.

La recente riscoperta e il restauro diquesto film si deve all’opera coraggiosa diHarry Swerts, montatore cinematograficodelle televisione belga francofona RTBF emembro del Grand Orient de Belgique.Swerts, che attualmente si occupa dellasalvaguardia e valorizzazione degli archiviaudiovisivi, è anche autore di Franc-maçon -nerie & 7e Art, l’unico volume che affrontain modo dettagliato il tema di come il cine-ma si sia occupato della Massoneria. Nellaprefazione del volume Numa Sadoul sotto-linea come l’autore, grâce à sa double appar -tenance, professionnelle er symbolique, en tantque maçon et monteur de film, abbia dedicatoun grande impegno a riunire les pièces épar -ses d’un puzzle aussi difficile qu’exaltant2.

2 Swerts, 2005: 5.

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Il libro di Swert si apre con un capitolodedicato proprio a Forces occultes, un filmche certo costituisce un prezioso docu-mento storico; è tuttaviaparadossale che sia pro-prio un film antimassonicoa mostrare per la primavolta, con precisione edovizia di particolari, un’i-niziazione.

La presenza in un’ope-ra cinematografica di sim-boli o riti della Massonerianon significa, naturalmen-te, che vi sia un’adesioneai suoi valori e ai suoi idea-li; tuttavia, ad eccezione diun lavoro singolare come Forces occultes, ifilm che presentano la Massoneria in chia-ve negativa sono in genere opera di autoriche non sono a conoscenza del significatodella simbologia, per cui il risultato è per lopiù una rappresentazione erronea e super-ficiale di simboli e rituali.

In questa tipologia di film possiamoinserire From Hell (2001), diretto da Alberte Allan Huges, uscito in Italia con il fuor-viante titolo La vera storia di Jack lo Squarta -tore. Il film abbraccia la tesi che dietro lafigura di Jack the ripper ci sia una macchi-nazione allo scopo di proteggere l’erede altrono d’Inghilterra, il principe Edward,figlio della Regina Vittoria, frequentatoredi prostitute e malato di sifilide. Jack losquartatore altri non sarebbe che sir Wil-liam Gull, un medico che la lealtà alla Coro-na e l’appartenenza alla Massoneria avreb-bero portato a discendere la strada verso lapsicopatia e la follia.

L’analisi delle produzioni cinemato-grafiche destinate al grande pubblico nel-le quali troviamo riferimenti alla simbolo-

gia massonica rivela sostanzial-mente il prevalere di oppo-sti stereotipi. Lo stereotiponegativo, di cui Forces occul -tes può esser considerato l’i-niziatore, è quello che vedenella Massoneria l’origine ditrame occulte e di complot-ti; in questo stereotipoentrano in gioco diversi fat-tori psicologici e sociologici,la paura dell’ignoto, deldiverso, l’angoscia di frontea ciò che non si conosce, il

timore di perdere il controllo di sé.Un più recente stereotipo positivo asso-

cia invece la Massoneria al fascino delmistero, degli enigmi irrisolti, dell’esoteri-smo. Su questa linea troviamo il recenteThe Da Vinci Code (2006), diretto da RonHoward e tratto dal discusso best seller diDan Brown, ma anche National Treasure(2004) e National Treasure Two: Book ofSecrets (2007), entrambi diretti da Jon Tur-teltaub e prodotti dalla Disney; il primo,uscito in Italia con il titolo Il mistero dei tem -plari ha come protagonista Benjamin Fran-klin Gates, l’ultimo discendente di unafamiglia il cui compito per anni è statoquello di custodire il tesoro dei padri fon-datori, i quali hanno nascosto gli indizi del-la sua collocazione sul retro della Dichiara-zione d’Indipendenza.

Come nel film successivo, il cui titoloitaliano è Il mistero delle pagine perdute, sia-mo di fronte a divertenti avventure in cui

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sono messi in relazione Massoneria, cava-lieri templari e fondazione degli Stati Uni-ti d’America. I massoniappaiono come personaggidediti a lasciare enigmi darisolvere: Masons built cluesinto everything. Sarà ilnostro eroe, sul modelloavventuroso di IndianaJones, dopo avventure moz-zafiato, a svelare gli enigmie raggiungere tesori nasco-sti da secoli.

È evidente come non ci sipossa aspettare di più dal cinema commer-ciale e d’intrattenimento. Ben più interes-santi appaiono gli esiti di lavori in cuientra in gioco, per cosi dire, l’autorialitàdella regia, come accade nel film del regi-sta belga massone Andrè Delvaux L’œvre aunoir (1988), tratto dall’omonimo libro diMarguerite Yourcenar, magistralmenteinterpretato da Gian Maria Volontè nelruolo di un medico alchimista che divienevittima dell’inquisizione nella Bruges agliinizi del Cinquecento.

Ancora solo in parte esplorate sono lepotenzialità del film-saggio, del documen-tario, di opere in cui appaiono sia parti difiction che di non-fiction, come il recenteThe Scottish Key (2007), di Tristan Bourlardet François De Smet, un documentario cheattraverso l’intervento di studiosi e l’im-piego di ricostruzioni storiche, si interrogasulle origini della Massoneria e sugli even-ti che portarono alla costituzione dellaGrand Lodge of London nel 1717; oppure diopere sperimentali e di ricerca come ivideo dell’artista contemporaneo Matthew

Barney, che nella serie Cremaster attingeampiamente al simbolismo massonico ed

ermetico.Il rapporto tra cinema

e Massoneria non puòdunque limitarsi ad indi-viduare la presenza diriferimenti alla simbolo-gia e ai riti massonici neifilm. La questione è piùcomplessa e mette in cau-sa la possibilità di un rap-porto tra la dimensione

iniziatica e il cinema comearte e come mezzo di comunicazione.

A fronte di un notevole numero di pub-blicazioni in cui vengono affrontati i diver-si aspetti dei rituali e dei simboli, sembraesistere paradossalmente proprio in ambi-to massonico quasi una diffidenza verso ilmezzo audiovisivo e verso l’immagine. Ciòappare quantomeno ingiustificato se pen-siamo che la dimensione simbolica si espri-me attraverso immagini molto più cheattraverso concetti di tipo teoretico o filo-sofico; pensiamo al simbolismo del tempio,ai rituali, che sono simboli agiti; in tuttociò la dimensione visiva è assolutamenterilevante.

Il linguaggio cinematografico, laddovenon è piegato alle esigenze del mercato edell’industria dell’intrattenimento, puòessere un valido strumento per rappresen-tare contenuti simbolici che vadano al di làdel mero aspetto riproduttivo del reale,proprio grazie alla potenzialità di prestar-si a diversi livelli di lettura; una caratteri-stica questa che è propria dell’arte, portaprivilegiata verso la dimensione spirituale.

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Il prevalere di stereotipi nel cinemadestinato al grande pubblico è probabil-mente favorito anchedalla diffidenza adaffrontare il tema dellacomunicazione, mentrequest’ultima, comeosserva Antonio Panai-no, può costituire unantidoto contro disinfor -mazione e propagandaantimassonica3, contri-buendo ad evitare ladiffusione di pregiudizi. Dello stesso avvi-so è anche Harry Swert, che auspica la rea-lizzazione di film in cui la caméra pourraitêtre employée comme support pédagogique

pour montrer que les critique répétés sons sansfondements4.

Le trasformazioni cheil cinema e l’audiovisivostanno avendo nel nuo-vo millennio e il diffon-dersi, anche in relazionealle nuove tecnologiedigitali, di forme diversedi opere audiovisive, difilm-saggi in cui si inte-grano fiction e non-fiction,realtà e finzione, posso-

no quindi costituire nuove opportunità edun canale privilegiato per diffondere laconoscenza del pensiero, dei valori e degliideali massonici.

Riferimenti bibliografici

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Dalla “Sapienza totale” alla “Sapienza massonica”Le origini dell’esoterismo scientifico:

breve excursus nell’Ellade arcaica

di Giuseppe de VirgiliisUniversità degli Studi di Milano

Orpheus, the founder of poetry, was placed by tradition in Thrace, the subdanubian areathat was among the first showing the «neolithic revolution» in Europe. Homer, the founderof Greek myths and then of Greek wisdom, was said to descend from Orpheus through tengenerations. In this way, the two father of the Greece were linked together. The myth-knowl -edge relationship, that is central in Greek wisdom, was expressed in two ways: a traditionalone represented by the official religion, and a second one represented by «mysteric cults». Inthe traditional system, the access of the humans to the supernatur al sphere could be per -mitted only by the intervention of an intermediate element: Prometheus, daring to enter thedivine sphere (to steal the fire) directly, raised the terrible hybris reestablishing the cosmicorder. According to Homer (Hom. Il., I, 69-72), the intermediate element transferring theknowledge from the gods to the humans was the diviner, the only human receiving by Apol -lo «the knowledge of the presence, of the future and of the past», that is the total knowledge.Only medicine shared with divination the possibility of a total knowledge (its present or dis -ease, its future or prognosis, and its past or anamnesis) using as intermediate element Ascle -pius, Apollo's son. In the mysteric system, on the contrary, knowledge began with the par -ticular process termed as «initiation». The Orphic mysteries gave a fundamental contribu -tion to western civilization and to western science in particular. In fact, Pythagoras and thePythagorics shared the Orphic idea that the link between the soul and the body was a pun -ishment requiring purification: but as a purification tool scientific research and not cultualceremony was pursued. According to Bertrand Russell, the combination of mathematics andtheology, that began with Pythagoras, is the distinguishing element of the European theol -ogy in comparison with the Asiatic mysticism, and only Paracelsus (many centuries later)presented with a similar esoteric broad-mindedness, identify ing alchemy as the scientifickey (the chemical science) of the cosmos. In the Illuministic era, the terms esoteric and eso -terism marked the separation of non-rational from the rational concepts: freemasonry, how -ever, produced in England just at the illuminism's acme, reassigned to esoterism the mean -ing of a «special knowledge» rejecting dogmas (from docere, the «not criticizable teaching»),assuring intellectual independence after the entrance («initiation») in the human assemblybarred from profanes. Then, also the Masonic knowledge appears to be a «total knowledge»since no limits have been fixed to its two coordinates, the extension and t he deepness, t heending point being individually aimed. It is a fact that Masonic wisdom seems to be theresult of accumulations but not of exclusions (f.e., Hermes Trismegistus is still a Masonicsymbol, even if he never existed), and that some ways became useless. Two typical examplesmay be mentioned: 1) the forking opened by paracelsism: on the one hand, magic and horo -scopes, on the other chemistry and medicine; 2) the antithesis between astro-nomy (-nomos,«law») and astro-logy (-logos, «logic»), both accepted by the Church, the first as physisinvestigation and the second as physis interpretation. Probably, it was not a case that IsaacNewton pursued magic as well as science.

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Premessa

l richiamo alla sfera misterica ed eso -terica è una costante della Massone-ria. Misterico è parola che risale

all’Ellade arcaica e che, lungi dal-l’indicare alcunché di occul-to, designava certi aspettidella vita pubblica della pòlisrelativi a convincimenti reli-giosi estranei alle credenzecomuni. Esoterico è parolausata dagli Illuministieuropei per etichettare pro-prio tali aspetti, ma dopo cheessi — decontestualizzati edemarginati dal cristianesimonella tarda antichità —finirono per essere conglobaticol magismo. Questo lavoro ha intesoriconsiderare il senso degli originari con-tenuti sapienziali delle manifestazioni“misteriche”, ed evidenziare come, indefinitiva, l’esoterismo sia una forma dicontrollo della realtà mediante concettiastratti fissati dal logos. L’esplicazione delsignificato storico-logico della“iniziazione” appare centrale in questadisamina: non c’è dubbio, infatti, che l’e-

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laborazione del sapere sia elettiva e cheuna delle vie più fertili (met-odo, da odoùs“strada”) della scienza sia rappresentatadalla negazione-uscita dall’ordine di ideecomune e dall’entrata in un nuovo ordine

di idee, fino al compimento diquanto lo spirito ha ambito.

1. OrfeoSecondo Aristotele, Orfeo fu

il creatore della ellenicità per-ché trasmise agli uomini l’e-spressione musicale ed i fonda -menti dei misteri poi detti “orfi-ci” (vd. sotto). A questi fonda-menti, l’allievo di Orfeo,Museo, aggiunse l’arte di guari-

re dalle malattie. Orfeo fu poeta ecantore che visse e peregrinò in Tracia, laterra di Diòniso. L’associazione Orfeo-Tra -cia-Diòniso-poesia-ellenicità, riportata dallaleggenda mitica, è densa di significati, per-ché: a) la poesia era considerata dagli Ellè-ni “dionisiaca” per sua natura: capace cioèdi procurare una forma speciale di cono-scenza attraverso il cosiddetto “entusia-smo” (condizione designante “l’animo pie-no del dio” ovvero l’“ispirazione”); b) la

Animus ad amplitudinem Mysteriorum promodulo suo dilatetur, non Mysteria ad

angustias animi constringantur.

Bacone*

* Sia l’animo - per sua propria misura - dilatato ad accogliere l’ampiezza dei Misteri, e non i Misterisiano costretti nelle limitatezze dell’animo. Riportato in esergo nel volume di Jessie L. Weston, Indagi -ne sul Santo Graal, Sellerio Editore, Palermo, 1994. Mi scuso coi lettori per non essere riuscito a risa-lire all’opera di Bacone dalla quale questa frase è stata tratta.

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2. OmeroLa civiltà “palaziale” cretese-micenea

(palazzi di Cnosso e di Festosull’isola, e di Micene e diTirinto sul continente) si svi-luppò tra il 2200 ed il 1500a.C. La caduta di essa è datatain corrispondenza del pas-saggio dall’età del bronzo aquella del ferro, ed appareassociata con movimenti dipopolazione (l’“invasionedorica” e l’invasione dei“popoli del mare”). Il periodocompreso tra la caduta dellaciviltà cretese-micenea

(secoli XII-IX a.C.) e le primemanifestazioni della civiltà delle poleis (VII-IV sec.) è indicato comunemente come“medioevo ellenico”. Gli studiosi sono con-cordi nel ritenere (Codino 1976) che: a) ipoemi omerici furono redatti entro questoarco di tempo (sec. VIII a.C.); b) dall’Iliadenon si ricava nulla di storico circa la guer-ra di Troia, se non forse l’indicazione che,in tempi remoti, una serie di scontri cruen-ti si verificò dalle parti dell’Ellesponto; c)nella misura il cui i poemi epici sono con-frontabili tra loro, questi scontri furonopresumibilmente modesti: nell’Iliade, gliscontri intorno a Troia furono deformaticome una guerra decennale ed arretratiall’età micenea così come nella Chançon deRoland la scaramuccia di Roncisvalle fudeformata come una grande battagliaante-datata a cent’anni prima; d) i riferi-menti omerici alla passata età micenea(tipi di armi, modi di combattere, case,suppellettili, consuetudini, ecc.) sono fin-

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nascita della ellenicità fu dunque collocatalontano da Atene, nel nord della Grecia,area geografica che sarà considerata “sel-vaggia” in età “classica”. Inrealtà, l’area subdanubiana futra le prime che, nell’epocaremota più vicina a quella diorigine delle leggende, mani-festò la “rivoluzione neolitica”in Europa (le regioni a sud del-la Tracia — e cioè l’Epiro, laTessaglia ed il Peloponneso —furono abitate intorno al 3500-3000 a.C, e le prime tracce diuomini trovate a Creta, sonoancora più tardive); c) l’estre-mità orientale della Traciacostituisce il pilastro europeo dell’Elle-sponto, nodo cruciale della via di terra, laquale rappresentò uno dei due assi fonda-mentali (l’altro essendo la via di mare) lun-go il quale Oriente ed Occidente si incon-trarono e si scontrarono. Questa via attra-versava la Tracia, passava in Tessaglia equindi deviava a sud nella Focide versoDelfi. Dalla Tracia, una diramazione risali-va attraverso l’Europa orientale fino al Bal-tico (“via dell’ambra”), collegando il mitomesopotamico di Apollo con gli Iperborei,il popolo felice del Nord-Europa. La sferamitica comprendente l’associazione Orfeo-poesia-Apollo-malattia, parallela all’altraassociazione sopra indicata, rivelava quin-di importanti derivazioni mesopotamiche.Alla fine, ellenicità voleva dire — come iRomantici poi schematizzarono — realtàpervasa dallo spirito dionisiaco e dallo spiri -to apollìneo, ed Orfeo apparve agli Elleni,alle origini della loro storia, l’elementounificatore di entrambe queste anime.

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zione poetica1. Ciononostante, Omero fu,per i Greci, l’autore dei libri depositari delmito e quindi della sapienza, e la tradizionefece discendere Omero, attra-verso dieci generazioni, daOrfeo, collegando così i duepadri della patria comunechiamata Ellade. Consideria-mo prima il significato del mitoellenico in generale, e quindila speciale relazione mito-sapienza.

3. Significato del mito ellenico Il politeismo ellenico non meriterebbe

affatto, in senso stretto, la qualifica di“religione” (da re-ligo, sistema di “legami”tra l’uomo e la divinità): piuttosto, essosembra avere rappresentato una sfera dellarealtà cosmica differente e separata da quelladegli umani. Per gli Elleni, arrivare a rico-noscere questa sfera sovrannaturale vole-

va dire essere pervenuti al più alto gradodi civiltà possibile. Odìsseo, approdando inpaesi sconosciuti, si chiedeva se avrebbe

trovato abitanti “violen-ti, selvaggi, senza giusti-zia” o invece “ospitali epieni di timore verso glidei” (Hom., Od. VI, 120sg.; IX, 175 sg.; XIII, 201sgg.). Gli dèi ellenici noncrearono né il mondo négli uomini: il succo delleloro varie cosmogonie èche gli dèi ebbero unanascita collocata in un

tempo indefinito, coincidente con l’originedel mondo, dopo la quale essi sempre esi-stettero e sempre sarebbero esistiti. Se glidèi avessero creato gli uomini, il legamegenerazionale avrebbe imposto doveri egaranzie (come accadde nella religione cri-stiana). Il legame di un uomo ad un dio non eramai così stretto da poterlo esprimere con un

1 La guerra di Troia. Tra chi e chi, e con quale sequenza gli scontri avvennero, non si riescead immaginare, e gli elementi accertati non sembrano componibili in un quadro coerente. Docu-menti ittiti suggeriscono che gli antenati degli Elleni furono presenti e combatterono in Asia Mino-re. Traggo le osservazioni che seguono dal testo del Musti (1995) e dai preziosi volumetti di MartaSordi (1971) e di F. Codino (1976). Non si è mai trovata traccia dei Troiani, mentre i loro alleati (ades. i Carii) sono stati identificati (Sordi 1971). La duplicità delle denominazioni appare enigmatica.Troia era menzionata anche come Ilio e Paride (nome non greco) anche come Alessandro (nomegreco). La leggenda della “tomba di Ettore” (nome greco) situata presso la fonte di Edipo, dove leossa dell’eroe erano state portate da Troia per volere dell’oracolo di Delfi, sembra adombrare l’e-sistenza di un mito tebano preomerico di questo eroe. La Troia di Schliemann è risultata nient’af-fatto coincidente con quella di Omero. Un’unica “guerra di Troia” decennale è inverosimile, nonfoss’altro che per i problemi logistici (sostituzione dei guerrieri morti, rotazione delle unità com-battenti, ecc.). Le armi bronzee descritte da Omero sono diverse da quelle micenee; in particolare,Omero doveva aver sentito parlare dei carri da guerra, ma non sapeva come venivano usati: i suoieroi partivano dalla tenda col carro, poi, dopo circa un chilometro, lo abbandonavano e combat-tevano a piedi.

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pronome possessivo: il greco non poteva, comeebrei o ittiti, pregare Mio Dio! e l’assenza pertheòs, al singolare, di un normale vocativo rap -presenta più di una meracuriosità grammaticale(Burkert, 2003: 494 e490). Diffidenza e rasse-gnazione sembrano ave-re contrassegnato lacoesistenza forzata del-l’uomo con la divinità, laquale comunque eraespressa dai miti, storiesacre i cui protagonistierano gli dèi, finalizzate astabilire le relazioni primordiali degli uomini colsoprannaturale (Russell 1991).

L’anima greca fu naturaliter mitopoieti-ca, così come quella europea è stata (ed èancora) naturaliter cristiana. La mancanzadi un libro sacro di riferimento, nonché diun profeta fondatore, consentì — presumi-bilmente — lo sviluppo delle molteplici edeterogenee forme della mitopoiesi. La clas-se sacerdotale ellenica, non disponendo diun ubi consistam dogmatico, lasciò il patri-monio delle leggende aperto ad interpre-tazioni, accrescimenti o riduzioni, riser-vandosi soltanto la gestione dei culti. I

sempre forti legami tra classe sacerdotalee classe governante, l’accettazione di per-sonaggi stranieri, la rielaborazione delle

tradizioni (con finalitàvuoi di nobilitazionedelle pòleis, vuoi di cap -tatio benevolentiae deiprìncipi), ed infine lacredulità della popola-zione che portava isuoi ex-voto e si esalta-va alle feste, possonoessere state le forzeinteragenti che hannotenuto in piedi l’im-

menso palco progressivamente caricato dicomplicazioni storiche, etiche o allegori-che. In questo “sistema aperto” (Burkert,2003: 343), la mitologia tenne il posto occu-pato dalla teologia nei “sistemi chiusi”monoteistici, presentando però — a diffe-renza di questi — un elevato grado di liber-tà. Si pensi alla figura di Apollo, divinitàoriginariamente ittita, esportata in areacretese e qui definitasi come pàredro dellaGrande Dea mediterranea, quindi svilup-patasi nell’area insulare e continentalefino a diventare emblematica della spiri-tualità ellenica2.

2 Apollo. Il mito di Apollo è un mito mesopotamico (Musti, 1995: 118). Ragionevolmente, sipuò ipotizzare che il mito di Apollo sia stato introdotto nella Grecia continentale dai cretesi, i qua-li ne portarono il culto oracolare a Delfi (località della Focide, ai piedi del Parnaso) (Glotz, 1953: 69).Verso la fine dell’Ottocento si formò invece l’idea che Apollo fosse una divinità nordica correlatacon gli Iperborei (“coloro che vivono al di là del vento del nord”), e cioè come una divinità dellepopolazioni settentrionali dalle quali si facevano discendere anche gli Elleni. In questa fase stori-ca, il collegamento tra i “luminosi” ed “apollinei” Elleni e le popolazioni nordiche dai capelli bion-di e gli occhi azzurri apparve plausibile.

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I miti, in quanto storie sacre finalizzatea stabilire le relazioni primordiali degli uomi -ni col soprannaturale (vd.sopra), ebbero un ruolo cen -trale nel controllare la pulsionedi conoscenza degli uomini.Con grossolano schemati-smo si può dire che la mito-poiesi ellenica espresse larelazione mito-sapienzasecondo due correnti fonda-mentali: una tradizionalista(rappresentata dalla religio-ne ufficiale), ed una conte -statrice (o eretica, organiz-zatasi nei “culti misterici”).Entrambe queste correnti,rappresentate da organizzazioni sacerdo-tali ufficiali, elaborarono e strumentalizza-rono a modo loro i racconti mitici. È peròimportante sottolineare che i culti mistericinon erano meno pubblici e meno riconosciutidegli altri e non avevano nulla della cospirazio -ne e della illegalità, ma dagli altri si differen -ziavano non soltanto per la loro propria elabo -razione dei miti ma anche per avere fatto usodella prassi iniziatica.

4. A) Mitopoièsi tradizionalista: la “sapien -za totale”

La mitopoiesi tradizionalista, che fu

l’asse portante della religione ufficale del-le pòleis elleniche, espresse la rigida sepa-

razione tra la sfera della physis ela sfera del soprannaturale, e lesue organizzazioni sacerdotalimantennero l’esclusiva delleoperazioni cultuali necessarieper invocare ora il benevolointervento del dio ora la desi-stenza del dio da opere funestemesse in atto vuoi per capric-cio vuoi per ineludibile appli-cazione della hybris. Questa erala “giusta vendetta-punizione”,che si scatenava obbligatoria-mente ogni qual volta il limiteseparante la sfera della physis

dalla sfera del soprannaturale era travali-cato. All’interno della sfera della physis, gliuomini potevano vantare le loro capacitàesplorative secondo l’orgogliosa poesia diSofocle3. Al di fuori della physis, ovvero alsovrannaturale, invece, gli uomini poteva-no accedere soltanto se il dio stabiliva unaparticolare relazione con loro, conceden-dogli di uscire dall’umanità comune e dientrare a far parte di una categoria specia-le, partecipe di potenzialità differenti esuperiori. Prometeo, che volle travalicarela sua sfera umana ed entrare in quelladivina portandone via il fuoco, sconvolsel’ordine cosmico e scatenò la hybris. Il Cal-

3 Sofocle Antigone (in Cantarella, 1977: 302-303): Molte sono le cose mirabili, ma nessuna / è piùmirabile dell’uomo: / egli attraverso il canuto mare / […] avanza […] / e l’eccelsa fra gli dèi, la Terra / eter -na, infaticabile travaglia, / […] E la razza spensierata degli uccelli / e delle fiere selvatiche le stirpi / e le mari -ne creature dei flutti / nei lacci delle sue reti / avviluppa e fa preda / […] E parola e pensiero / celere comevento e impulsi / a civili ordinamenti da solo apprese / [….] Possedendo, di là da ogni speranza / l’inventivadell’arte, che è saggezza, / talora verso il male, talora verso il bene muove / […]».

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4 Initium sapientiae timor Dei (Ps. 110, 9).5 Arte del guarire. La parola iatròs, che designa il medico e la sua arte è presumibilmente nonindoeuropea. La parola medicina, comune a tutte le lingue europee, è invece indoeuropea, dal lati-no (ars) medicina, che ha la radice med- di “meditare”, “riflettere”. La iatriké téchne fu considerataancora come un’“arte” speciale da Platone (quasi contemporaneo di Ippocrate) (Cambiano 1991)e soltanto più tardi fu considerata alla stregua della nautica, dell’edilizia ecc. Nell’età di Pericle, ilmedico fu incluso nella classe dei demiurgi, operai dei demi, svolgenti servizi di pubblica utilità. 6 Sapienza: predisposizione e limiti. Il meccanismo della trasmissione dal dio all’uomo facevaperno sulla predisposizione a ricevere il dono del dio, la quale era manifestata soltanto da certiuomini, per loro propria natura. Si considerino, al riguardo, i versi di Pindaro (V sec. a.C.): tengo mol -ti dardi veloci dentro la faretra / che parlano a coloro che comprendono; ma rispetto al tutto / hanno bisognodi interpreti. Sapiente è colui che sa molte cose / per natura (Ol., II, 83-87). La sapienza del dio consiste inun’occhiata, quella attraverso la parola è un’altra sapienza (Colli, 1977: 23 e 27). Ad Apollo, a Chirone, adAsclepio (e più in generale, come si dice ancora oggi, a persona brava) basta — per capire e curare— lo sguardo: invece chi non “sa per natura” avrà bisogno della freccia della parola per andare abersaglio.

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cante omerico e la Pizia di Delfi, che inve-ce avevano ricevuto la conoscenza delleloro arti da Apollo, il diosapiente per eccellenza, pote-vano senza danno offrire agliuomini la loro arte. In terminimoderni, si potrebbe parlaredi duplicità della scienza:“divina” se assecondava laphysis, e “perversa” se invecedisarticolava l’ordine cosmi-co. Insomma, dalla notte deitempi fino ai nostri giorni,nell’Ellade arcaica come nellaTerra d’Israele4, il rapporto con la divinitàè sempre stato regolato dal “limite dellaconoscenza” — che vuol dire limite dellaumana operatività — accettato, imposto,violato o superato per “grazia”.

Secondo Omero, Apollo aveva concessoa Calcante l’arte mantica, la quale com-prendeva la conoscenza del presente, del futu -

ro e del passato (Hom., Il., I, 69-72), cioè laconoscenza totale (differente dalla cono-

scenza pratica e parziale dichi era esperto nell’una onell’altra delle singole ték -nai (“arti”). Una sola tékne,e cioè la iatriké tékne (“artedel guarire”), condividevacon la mantica l’adesionealla conoscenza totale, per-ché anche lo iatròs conosce-va il presente della malat-tia, il futuro (prognosi) ed il

passato (anamnesi) di essa5. Latrasmissione agli uomini dell’arte manticae dell’“arte del guarire” fu dunque il mec-canismo che la “corrente tradizionalista”adottò in parallelo a quello dell’“iniziazio-ne”, proprio invece della “corrente conte-statrice” rappresentata dai “culti misteri-ci”6. Per la iatriké tékne (l’“arte del guari-re”), il mediatore fra il dio e gli uomini fu

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Asclepio7, il figlio stesso del dio dellaSapienza totale (noi massoni potremmodire — forzando la simi-glianza tra la trasmissio-ne del sapere per media-zione e l’iniziazione —che Asclepio fu l’esperto,il quale introdusse gliuomini alla conoscenzaspeciale). La qualifica diasclepìade data da Omeroallo iatròs allude appuntoa questa originaria tra-smissione per mediazione8. Ancora Galeno

(De usu partium III p. 576, 4-8 Kuehn) scris-se: considera che questa iniziazione (ai misteri

della natura) non è inferiorea quella (dei misteri diEleusi (p. xxvi), ed anco-ra oggi, la medicina —basandosi sulla trasmis-sione diretta da maestroad allievo — ha mante-nuto l’originale base ini-ziatica9.

Il prodotto più impo-nente della strumenta-

lizzazione delle credenze mitico-religiose

7 Asclepio. L’ambivalenza di positività e di negatività (di giovare o di nuocere, di comporta-menti di virtù o di bassezza) contraddistingue tutto il mito di Asclepio (e quindi — dai tempi deitempi — tutta la medicina). Secondo Pindaro (Pyth. III), Apollo amò Coronide (figlia di Flegias, redei Lapiti, popolazione selvaggia del nord della Grecia) e la mise incinta. Coronide, durante la gra-vidanza, si concesse all’arcade Ischi. Apollo si offese e fece uccidere i due amanti da Artemide conle frecce. Quando il corpo di Coronide fu sulla pira per essere bruciato, Apollo estrasse dal cada-vere il bimbo ancora vivo (un vero e proprio taglio cesareo post mortem). Questo bimbo, chiamatoAsclepio, fu considerato semidio ed eroe in quanto nato da un dio e da un essere umano. Asclepiofu cresciuto dal centauro Chirone (figlio di Zeus, dimorante sul Pelio, monte della Tessaglia, altraregione settentrionale della Grecia), e da questo istruito nell’arte di impiegare i phàrmaka, “medi-camenti” o “veleni” (Hom., Il., XI 832, 514-15, 638-40). Asclepio ricevette in dono da Atena due fia-le contenenti il sangue della Gorgone Medusa: una fiala conteneva il sangue estratto dal lato sini-stro, capace di risuscitare i morti; l’altra, invece, conteneva il sangue estratto dal lato destro, capa-ce di dare la morte. Asclepio acquistò sì grandi meriti con la sua arte, ma alla fine, per denaro,restituì la vita a due uomini (Pindaro Pyth III). Conseguentemente, Ade, il dio degli Inferi, affinchéla cosa non si ripetesse e sempre meno morti gli arrivassero, chiese a Zeus di uccidere Asclepio. 8 Podalirio e Macaòne. Della sapienza medica, trasmessa per mediazione di Asclepio, sonodepositari i due fratelli Podalirio e Macàone (Hom. Il., II, 731-32), indicati col massimo rispettocome “pari agli dei” (Hom. Il. IV, 211-19), e del resto, in Omero, il medico era un uomo che valeva piùdi molti altri (Od. XVI 283; Il. XI, 514-15). Nel mondo omerico la cura praticata dal medico […] è sempre riso -lutiva, efficace. L’unica alternativa alla morte è la perfetta guarigione: in un mondo di eroi c’è posto soltantoper la morte o per la salute piena. Gli invalidi non hanno spazio, diversamente che nell’antico Egitto (Cosma-cini, 2000: 18).9 Excusatio. Osservazioni ed espressioni non mie: non ricordando più dove le ho lette, miscuso con l’autore e con i lettori per la mancata citazione.

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operata dalla corrente tradizionalista fu lacreazione degli asclepièi. I sacerdoti diAsclepio strumentaliz-zarono al massimo ilmeccanismo della tra-smissione per media-zione, mettendo inpiedi un’organizzazio-ne assistenziale di tut-to rispetto, sia sotto ilprofilo economico siasotto il profilo socialedella pubblica utilità.Essi adibirono un cer-to numero dei loro tem-pli (che si prestavano bene, perché dotatidi larghi portici, situati in luoghi salubri,con boschi e fonti, ecc.) alla cura dei mala-ti. I malati — dopo un periodo di prepara-zione (pratiche igieniche e dietetiche) —erano ammessi a passare la notte nel tem-pio (incubatio), per attendere il sogno nelquale il dio avrebbe loro trasmesso le indi-cazioni terapeutiche; se il sogno mancava,il messaggio del dio sarebbe stato ricevutodai sacerdoti che si recavano al mattinonel bosco sacro, e da questi trasmesso alpaziente. Il guadagno procurato dalleofferte, dalla vendita degli oggettini e dagliex-voto, era cospicuo. Una specie di inter-net collegava tutte le confraternite sacer-dotali sparse nei Paesi allora conosciuti,tesaurizzando le risposte del dio (malattiaper malattia o caso per caso) ed archivian-dole per iscritto su tavolette immagazzina-te in apposite dipendenze del tempio. Gliasclepièi rimasero attivi per secoli: quellodi Epidauro (città dell’Argolide, nel conti-nente), che fungeva da sede centrale del-

l’organizzazione, fu ampliato all’epoca diAntonino Pio. Le collezioni delle tavolette

che noi conosciamo comeSentenze di Cnido e Senten -ze di Coo possono essereconsiderate come i primitesti medico-empiricidell’Occidente (Cosmaci-ni, 1999: 51-54).

5. B) Mitopoièsi contesta -trice: i misteri e la sapien -za speciale

La corrente teologicacontestatrice si organizzò nei culti misterici(tà mystéria), manifestazioni religiose col-laterali a quelle tradizionali e come questepubblicamente calendarizzate. Alcuni“misteri” (elettivamente gli orfici, vd.oltre) perseguirono finalità speculativeastratte, altri (elettivamente i dionisiaci)perseguirono (anche) finalità, per cosìdire, demagogiche e trasgressive. In gene-rale, il sapere misterico, in quanto diffe-rente interpretazione del mito, configura-va conoscenze che si distaccavano dallacomune cultura del volgo, che presuppo-nevano una “iniziazione”, e che venivanoriservate e rinserrate perché chi ambivapossederle non poteva consentire che ilvolgo lo ricontaminasse. Gli iniziati,insomma, dovevano partecipare del tripli-ce segreto sulle cose deiknymena, dròmena elegòmena (le “cose mostrate”, le “cose fat-te” e le “cose dette” (Scarpi, 2003: vol. I,xviii). L’adesione a conoscenze specialipoteva determinare stili di vita speciali equindi la formazione di sette. Eresia reli-giosa, spiritualità dottrinaria e legami di

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solidarietà fra gli adepti rappresentaronodunque le componenti ideologiche dei cul-ti misterici, i quali ebbero una forte presapolitica.

Un limitato spettro termi-nologico — sostanzialmenteorgia, teleté e myesis — qualifi-cava la pratica rituale. L’òrgiaera sostanzialmente il “cli-ma” festivo. La teleté (Aristot.Rhet II 24, 2, 1401a 15) era ilcompimento “conseguibile sol-tanto alla fine di un itinerarioe dunque un punto d’arrivoespresso anche dal nesso eti-mologico di teleté e di teléocon télos (“fine”) e con teleuté(“fine della vita”), mentre ilsuo corrispondente latinoera, con una paradossalità ossi-morica, initia (pp. xvi-xvii), donde la initia -tio (“iniziazione”) con cui Svetonio (Ner.34) designò espressamente la cerimoniarituale che permetteva di accedere aimisteri di Eleusi (p. xvi-xvii). La parolamyesis , “pare riconducibile al verbo myòche in Omero (Il. XXIV 420; 637) designa ilrimarginarsi delle ferite o il chiudersi degliocchi” (p. xvii). Il significato è esplicitatoda Giovanni Tzetzes: Sono […] detti misteriperché si stringono le labbra, cioè gli iniziatichiudono la bocca e non ne parlano con nessu -no dei non iniziati (Scarpi, 2003: vol. I, xvii)10.

6. Misteri particolari: orfismoLe documentazioni relative all’orfismo

sono: a) le poesie orfiche (Abel 1885); b) letestimonianze di Procloe dei neoplatonici (Vsec. d.C.); c) le laminet-te d’oro (risalenti al IV-III sec. a.C.) rinvenutein sepolcri dell’Italiameridionale (Compa-retti 1910); d) il papirodi Derveni (Scarpi2003). Rispetto aglialtri culti misterici,l’orfismo — che avevale radici più antiche —presentò quattro gros-se differenze: 1) siappellava ad un fonda-

tore; 2) fu l’unica espressione religiosa del-l’antichità greca che utilizzò libri scritti(dei quali ci sono rimasti quasi soltanto deititoli, oltre ai pochi frammenti teogoniciriportati dal papiro di Derveni); 3) non siidentificò con alcuna città (al contrario, ades., dei “misteri” di Demetra detti appunto“eleusini”, dalla città prossima ad Atene);4) non si espresse con un culto pubblico edufficiale, ma si sviluppò in una direzioneprevalentemente élitaria e filosofica. Comel’orfismo abbia potuto organizzarsi e radi-carsi nell’area ellenica non si sa: certo èche esso appare consolidato in epoca post-

10 Misteri. Questa esplicitazione non è condivisa dal Semerano (2005: 66), il quale correla laradice di mys-teria col babilonese mys- di musu (= “notte”), essendo mystes il sacerdote che cele-brava il mistero notturno (il “tacere” sostenuto dai vecchi critici è antistorico; Orazio cantava: Fra -vete linguis, “dite parole di bene, pregate”, Odi III, 1, 2).

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esiodèa (dal VI sec. a.C. in avanti): si ritie-ne che, in origine, esso abbia configuratosoltanto un settore del dionisismo, e checol tempo abbia occupatosempre più spazio nell’ambitodi questo culto, venendoquindi ad interferire anchecon gli altri culti misterici(Sabbatucci, 1991: 45, 50, 355).

Lo stile di vita orfico (orfi -kòs bìos, Plat. Leg. VI 782 c-d)era basato sui seguenti princi-pi (Scarpi, 2003: vol. I, 351). A)Nessuna uccisione era lecita(donde il regime vegetariano,laddove gli altri culti culmina-vano nel sacrificio animale enel consumo delle carni; Scar-pi, 2003: 352). B) La materiaformante l’uomo aveva originedivina (Dunque non ci dobbiamo suicidare […]in quanto il nostro corpo è dionisiaco; Olimpio-doro, commento a Plat. Fed. I, 3, 3-14). C)Gli uomini dovevano aspirare ad essere“divini e giusti” (theiòi te kai dìkàioi, Apollo-nio di Tiana in Filostrato Epistulae, 16, cheè precetto assai più pesante del nostro“libero e di buoni costumi”). D) Le animeumane avevano origine e destino speciali.E) Distinti elementi originari divini aveva-no operato nella cosmogonia dell’universo.Soffermiamoci su questi ultimi due punti.

Le anime umane. La dottrina orficasosteneva che nell’uomo alberga un prin-cipio divino (dàimon) caduto in un corpo acausa di una colpa originaria, e che questoprincipio è immortale e capace di metem-psicosi. La purificazione era l’unico mezzo

capace di porre fine alle reincarnazioni(premio per gli iniziati; i non iniziatiavrebbero avuto punizioni). La straordina-

ria novità culturaledell’orfismo consi-stette dunque nel-l’affermazione chel’uomo era un’entitàduale di anima e cor -po; che non tutta lasua natura erabuona; che la veravirtù (areté) non eraatletico-sportiva(come la tradizione“classica” voleva),bensì spirituale edascetica. BertrandRussell (1991) ha

rilevato la sorpren-dente analogia tra le credenze orfiche equelle affermatesi in India nella stessa epo-ca, ha osservato acutamente che la spiri-tualità orfica ricorda alquanto gli spiritualsnegri (Voglio raccontare a Dio tutti i miei guai/ Quando arrivo a casa), ed ha suggerito ilconfronto tra l’adesione degli Elleni del VIsecolo all’orfismo e l’adesione degli inglesidel XVIII secolo al metodismo.

Cosmogonia orfica. Le più antiche con-cezioni sull’origine dell’universo, delledivinità, dei viventi e della materia chequesti circonda sono dette “cosmogonìe”.La corrente teologica tradizionalista pro-pose un certo numero di varianti cosmo-goniche aventi come protagonisti una con-gerie di figure: Urano, Gea, il Caos, i Titani,i Giganti ecc. La cosmogonia orfica presen-

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tata nelle cosiddette Rapsodie può esserecosì riassunta (Gomperz, 1950: 128 sgg.)11.Cronos, il principio del tempo,esisteva da sempre; ad uncerto punto, anche l’Etere(termine indicante la materiadella luce e/o del fuoco) ed ilCaos (presentato come una“immensa voragine” piena di“tenebrosa nebbia”) venneroad esistere. Quindi Cronosplasmò (appunto dall’Etere edal Caos) un uovo d’argento,dal quale uscì il primo natodegli dei, chiamato Phanes (“ilLucente”) oppure Eros (“l’A-more”) o Metis (“l’Intelligen-za”) o Erikapaios (termine disignificato oscuro). Questo primo natodegli dèi (Phanes-Eros-Metis-Erikapaios),essendo insieme maschio e femmina,generò da solo la Notte, ed unendosi conquesta produsse Urano (“il Cielo”) e Rea-Gea (“la Terra”), antenati della razza media -na degli dei. La teogonia orfica parla quindidi Titani, Giganti, Parche ecc. più o menocome quella esiodèa. Successivamente,

Cronos e Rea generarono Zeus “capo e cen-tro nello stesso tempo, dal quale tutto ha

avuto origine”. Zeus quin-di inghiottì Phanes, in talmodo accogliendo in sé igermi di tutte le cose, epoi lo emise dando luogoalla terza generazione didèi ed alla totalità delmondo visibile. Insom-ma, nei termini chiarifi-cati dal Gomperz (1950:142-144 e 149-150): a) ilmondo si formò dall’o-scura materia fluttuantenello spazio, sotto l’azio-ne della luce e del calore

(la volta del cielo potevaricordare la convessità dell’uovo, il cuimito era comune a Persiani, Indiani, Feni-ci, Babilonesi, Egizi, ecc.); b) la formazioneavvenne per opera di un essere luminosodivino, il quale aveva natura ermafrodita(come molte divinità del panteon babilo-nese). Sulla base della cosmogonia orfica sicomprendono meglio sia “il carattereschiettamente panteistico delle più anti-

11 Cosmogonia orfica. Quattro versioni della cosmogonia orfica sono state riconosciute (Gom-perz 1950). Nella versione di Eudemo (discepolo di Aristotele e storico), la Notte era presentata comeil principio primordiale supremo. Se teniamo presente che già in Omero (Il. XIV 259 sgg) Zeustemeva di compiere qualcosa che potesse dispiacere alla Notte (la quale quindi doveva essergli inqualche modo superiore) possiamo immaginare questa versione come assai antica, e fatta propriadal conservatorismo religioso. Nella versione di Apollonio Rodio (nelle Argonautiche), Orfeo enunciail principio della “discordia” (fatto proprio da Empedocle), la quale separa i quattro elementi fon-damentali, e presenta un combattimento tra gli dei in linea con quello descritto da Ferecide. Nel-la versione di Hieronymos e di Hellanikos (personaggi poco conosciuti e di incerta datazione), l’acquaed il fango sono indicati come principi primordiali. La versione delle Rapsodie è concordemente con-siderata la più interessante di tutte.

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che dottrine dei filosofi naturalisti” (VIsecolo a.C.)12 sia i versi che Eschilo (affilia-to non all’orfismo ma ai misteri eleusini)faceva recitare in teatro adAtene (nella prima metàdel V secolo): Zeus è il Cielo,Zeus è la Terra, Zeus l’Aria,Zeus è il tutto, e ancora ciòche esiste in più di questo[fr.70 Nauck].

Orfismo e pitagorismo.Pitagora, nativo di Samo,“uno degli uomini piùnotevoli che siano mai esi-stiti” (Russell 1991), visse intorno al 530

a.C. Nella Scuola che egli fondò in Italia, aCrotone, lo stile di vita era rigidamenteregolamentato (Reale 2001). I novizi, nel

primo periodo di ammis-sione, dovevano sol-tanto tacere ed ascol-tare. Il maestro parlavada dietro una tenda,affinché fossse chiaroche il sapere aveva unasua propria vita, indi-pendentemente dallapersona, pur importan-

te, che lo dispensava(autòs èpha: ipse dixit)13. Ferma restando la

12 Orfismo e Ferecìde di Siro. La connessione tra l’orfismo e la filosofia naturalista può esseretrovata nella “teologia” (in realtà una cosmogonia) delineata nel Pentemychos (= “l’antro dei cin-que recessi”, n.d.t. di Gomperz p. 131) di Ferecìde di Siro (VI sec. a.C.), alcuni frammenti del qualeappaiono confrontabili con un importante passo di Sant’Agostino (Confessiones III, 6, 14). SecondoFerecìde, tre furono le entità primordiali: Crono (principio del tempo), Zas (cioè Zeus [o zen], prin-cipio intelligente fondamentale della vita), e Chthonìe (la quale mutò nome in Ghé “dopo che Zeusl’ebbe onorata affidandole la Terra”). Crono generò i tre elementi fondamentali (“il fuoco, il soffiod’aria e l’acqua”, cui una tradizione più tarda aggiunse “il fumo” e “la tenebra”), dai quali moltegenerazioni di dei originarono. Un combattimento di dei, con eliminazione di una parte di essi, ful’evento chiave che instaurò l’ordine cosmico: le divinità seguaci del dio-serpente Ophioneus lot-tarono contro quelle seguaci di Crono, ma ebbero la peggio e furono scaraventate negli abissi delmare Oghenos (parola correlata col greco okéanos e col sumerico ughinna, “cerchio”, “totalità”). Inconseguenza di questa lotta, Zeus si tramutò in Eros creatore dell’universo. I punti interessanti diquesta concezione sono i seguenti (Gomperz, 1950: 135, 137, 150): 1) L’ascendenza babilonese (ocomunque medio-orientale) della componente mitologica; 2) Zas e Crono appaiono piuttosto come del -le entità spirituali, e Chthonìe viene espressamente distinta dalla ‘Terra’ […]. È come se il ‘teologo’ volesse dire:lo spirito della terra esiste prima della terra e non viene congiunto a questo se non in un secondo tempo, comel’anima al corpo. Si annuncia qui un modo di vedere che è molto importante per comprendere come gli orfici(in stretto senso) e Ferecide stesso concepissero i rapporti fra spirito e corpo in generale (Gomperz, 1950:135); 3) La dottrina delle tre materie fondamentali, una delle quali — l’Etere, trasfigurato da Fere-cide in Zas — assunse la valenza di principio della vita, opposto alla massa inanimata.13 Sapere e persona. Mi viene in mente Emily Dickinson: A word is dead / when it is said, / somesay. / I say it just / begins to live / that day (Una parola è morta / quando è detta, / c’è chi dice così. / Io dicoinvece / ch’essa comincia a vivere / proprio quel giorno).

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grande difficoltà di ricostruire i rapportitra orfismo e pitagorismo, “sipotrebbe insinuare” che ilpitagorismo abbia aderito acerti aspetti spirituali, se nonproprio mitico-rituali dell’or-fismo (Scarpi, 2003: vol. I;xxvii, 355), tant’è che — comenume tutelare — il pitagori-smo sostituì Dioniso, il dio del-l’orgia entusiastica degli Orfi-ci, con Apollo, il dio del logos edella scienza. Entrambi, pita-gorici ed orfici, aspiravano adivenire “divini e giusti”, equindi a perseguire il quadrinomio di virtùesprimente le quattro angolature (fisica,estetica, morale ed intellettuale) dalle qua-li i greci consideravano gli uomini. Coeren-

temente con queste quattro angolature,secondo i medici greci, quattro

umori governavano il corpo edesprimevano i temperamenti fon-damentali dell’uomo14. E come l’ec-cesso di una virtù poteva creareproblemi individuali e sociali, cosìl’eccesso di un umore sugli altricreava la malattia — prevaricazio-ne di un elemento fisico parallela aquella di un elemento virtuoso — epiù in generale condizionava lavita dell’uomo (il carattere è il desti -no, era scritto in un testo orfico, fr.

119 DK, e la tragedia espresse i con-trasti tra libertà e destino in maniera impa-reggiabile). Nell’Ellade arcaica, insomma, lasimbiosi tra scienza, esoterimo ed etica eracompleta.

14 I quattro umori corporei. La dottrina dei quattro umori era già basilare nell’“arte medica”prima di Ippocrate. Il più grande predecessore di Ippocrate, Alcmeone di Crotone (la città su cuiPitagora esercitò, sia pure per breve tempo, il dominio anche politico) indicò con isonomìa unalegge di armonia o di equilibrio organico fra le quattro “qualità” (umido, caldo, freddo, acerbo edolce) fondamentali responsabili della salute corporea e con monarchia il predominio di una diesse. La dottrina dell’isonomìa è apparsa analoga a quella pitagorea delle “enanziosi” (equilibriodi dieci coppie di contrari: finito e infinito, diretto e indiretto, unità e pluralità, destro e sinistro,maschile e femminile, quieto e mosso, rettilineo e curvo, luce e tenebre, buono e cattivo, qua-drato e quadrangolo). Empedocle di Agrigento riprese la concezione crotoniate di quattro ele-menti fondamentali (il fuoco, la terra, l’aria e l’acqua), ma ne organizzò la dinamica secondo duecoppie di contrari (caldo-freddo ed il secco-umido) animati da due sole opposte forze (l’amore,grazie al quale il simile attrae il simile; e l’odio, per effetto del quale il contrario respinge il con-trario), preludendo per tal via all’eraclitismo. Ippocrate canonizzò la teoria dei quattro umori,rimasta — nella memoria dei posteri — caratteristica della sua concezione “biologica”, che misembra quindi non particolarmente originale ed illuminata per via riflessa dalla eccezionalitàdell’indagine clinico-scientifica condotta more humano. Aforismi quali “tutto è divino e tutto èumano” e “dove c’è l’amore per l’umanità, c’è anche l’amore per la scienza” (Precetti, 6) mi fan-no presumere che la sua originaria formazione asclepiadea possa essere stata perfezionata daimmissioni orfico-pitagoriche.

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La vita pitagorica era bìos theorikòs,“vita contemplativa”15. I Pitagorici man-tennero la credenza orfica nellametempsicosi, e l’unione del-l’anima al corpo fu ancora con-siderata una punizione meri-tante purificazione: ma il mez-zo di purificazione non fu più ilrito cultuale, bensì la ricercascientifica. Scrisse BertrandRussell (1991), all’inizio dellasua Storia della filosofia occiden -tale: La combinazione di matema -tica e teologia, che cominciò conPitagora, caratterizzò la filosofiareligiosa in Grecia, nel Medioevo enell’era moderna fino a Kant. L’or -fismo precedente a Pitagora era analogo allemisteriose religioni asiatiche. Ma in Platone,Sant’Agostino, Tommaso d’Aquino, Cartesio,Spinoza e Leibniz vi è un intimo intrecciarsi direligione e di ragionamento, di aspirazionemorale e di apprezzamento logico per quanto èeterno, il quale viene da Pitagora e distingue lateologia intellettualizzata dell’Europa dal piùdiretto misticismo asiatico. È solo in tempi mol -to recenti che è stato possibile dire chiaramen -te in che cosa Pitagora avesse torto. Non so dinessun altro uomo che abbia avuto altrettantainfluenza nella sfera del pensiero. Lo dico, per -

ché ciò che appare come platonismo, si trovagià, se analizzato, nell’essenza del pitagorismo.

L’intera concezione di un mondoeterno rivelato all’intelletto, manon ai sensi, deriva da lui. Se nonfosse per lui, i cristiani non avreb -bero pensato a Cristo come al Ver -bo; se non fosse per lui i teologi nonavrebbero cercato prove logiche diDio e dell’immortalità. Ma in luitutto ciò è ancora implicito. Comedivenne esplicito apparirà via viache andremo avanti, e cioè per-correndo l’intera storia dellafilosofia occidentale. Si dovràarrivare a Paracelso per trova-re un’apertura intellettiva

paragonabile a quella operata da Pitagora,ovvero una seconda apertura sempre inchiave esoterica, rappresentata dall’iden-tificazione dell’alchimia come scienza chi-mica e chiave dell’universo ordinato.

Orfismo ed eraclitismo. Eraclito (594-501 a.C.), nativo di Efeso nella Ionia e coevodi Pitagora, fu personalità parimentistraordinaria, tanto da avere condizionatola riflessione filosofica fino ai nostri giorni.La sostanza della dottrina di Eraclito è sin-tetizzata da due parole: pànta rèi (“tuttofluisce”). A chi discende nello stesso fiume

15 Il quadrinomio delle virtù. La definizione del quadrinomio delle virtù è attribuita a Pitago-ra, ma io credo che il concetto della completezza dell’uomo “quadrato” avesse radici molto piùantiche (ad es., i re mesopotamici, come Sargon e tanti dopo di lui, si proclamavano “signori dellequattro parti del mondo”). Lo sviluppo della filosofia (nel V e IV sec. a.C.) da una parte tentò digerarchizzare le quattro virtù cardinali e dall’altra ricercò un principio ad esse comune. CosìDemocrito ritenne che il vero uomo coraggioso dovesse conoscere la giustizia (fr. 181 D-K), Socra-te concluse che il coraggio era una forma di conoscenza (Plat. Lachete 198 d sgg.) e Platone consi-derò come elemento unificatore la giustizia.

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sopraggiungono acque sempre nuove (22 B 12),e poiché noi stessi mutiamo, già un istantedopo esserci bagnati siamo diversi daquando avevamo postopiede nell’acqua. Eraclitoriconobbe questo diveni-re come armonia di con -trari ovvero unità degliopposti, generatrice dellarealtà. Per tal via, e perla prima volta nella sto-ria del pensiero occiden-tale, egli espresse la dot-trina del logos come sostanza ovvero leggefisica che governa il mondo, dotata di sue spe -ciali consequenzialità (Abbagnano 1964, s.v.Logos). Logos, quindi, in Eraclito, ha che farecon la nostra ragione soltanto indiretta-mente, in quanto legge fisica governanteanche la nostra ragione (Tutte le leggi uma -ne si alimentano di una sola legge divina: per -ché questa domina tutto ciò che vuole e basta atutto e prevale su tutto; fr. 114 B). Tale leggefisica, emblematizzata dal fuoco (mai simi-le a se stesso e trasformante gli elementi)è: 1) universale; 2) l’unico principio fisso e fer -mo del divenire, quindi divino e quindi eti -co. La concatenazione di universale-divino-etico appare connaturata col pensiero elle-nico, e credo che discuterla non abbia mol-to senso. È invece importante rilevare cheEraclito riconobbe il logos come operanteanche nella sfera dell’anima quale era presen -tata dall’orfismo: e cioè malvagia, suscettibi-le di giudizio e passibile di espiazione. Diqui alcuni famosi e splendidi frammentiescatologici: I confini dell’anima non li potraimai trovare, per quanto tu percorra le sue vie;così profondo è il suo logos (22 B 45 DK). Il fuo -

co sopraggiungendo giudicherà e condanneràtutte le cose (22 B 66 DK).

Difficile è la lotta contro il desiderio, poichéciò che esso vuole lo comperaa prezzo dell’anima. Ma iocredo che, alla fine, perEraclito si trattasse diindividuare le regolemeglio capaci di governarela physis corporea mante -nendone l’armonia col suoopposto naturale, che eral’anima (sebbene questa

fosse identificabile soltanto per via diimmaginazione).

7. Epilogo

La concezione eraclitea del logos fu fat-ta propria dagli Stoici. Zenone, un feniciodi Cipro che filosofò ad Atene tre secolidopo Eraclito, rifiutò l’indagine platonicaed aristotelica e sostenne materialistica-mente che qualsiasi prodotto “spirituale”(compreso dio, inteso come principioimmanente alla materia) era di natura cor-porea e fisica, ovvero che nessuna realtàpoteva esistere al di fuori della legge fisicadesignabile come logos. Tutto l’esistente,essendo come il logos imponeva che fosse,era quindi fatto nel migliore dei modi pos-sibile, e quindi ubbidiva ad una prònoia(“provvidenza”, che quindi non era altroche il finalismo fisico universale, necessitàche diventava fato e destino, heimarméne).Per Zenone (che aveva mantenuto la tri-partizione della filosofia canonizzata dal-l’Accademia platoniana e diventata di rife-rimento comune), l’etica (la creazione del

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16 Il paragone col frutteto, secondo gli stoici. Il significato di questa tripartizione è esplicitato dalfamoso paragone col frutteto: la logica corrisponde al muro di cinta (cioè: non può esserci realtàfuori di essa, né accesso al sapere se non attraverso di essa); la fisica corrisponde agli alberi ovve-ro alla struttura operante (cioè: il mondo fisico è la realtà che viene investigata per conoscerne lafinalità); l’etica corrisponde ai frutti (cioè: al fine verso il quale la realtà fisica è protesa). Zenoneperò, in maniera originale, subordinò le tre parti ad un unico principio di spiritualità immanente indica-to col termine eracliteo di lògos: questo era concepito come principio di verità in logica (con le sueleggi del pensare, del conoscere e del parlare); principio creatore del cosmo in fisica; principio nor-mativo in etica. Logos, si noti bene, e non nous, perché logos indicava un’unica legge comune sia alleattività “spirituali” degli uomini sia al divenire della physis (e quindi anche dei corpi degli uomi-ni), mentre nous poteva indicare il meccanismo mentale percipiente il mondo esterno. 17 Esoterico ed esoterismo. Si vedano i dizionari di Battisti e Alessio (1950-57) e di Cortelazzo eZolli (1980). In quest’ultima opera si avverte di non confondere “esoterico” con “essoterico”, que-st’ultima voce significante esattamente il contrario, e cioè “dottrina o insegnamento destinati alpubblico” (usata per indicare gli scritti di Aristotele destinati al pubblico). “Escatologia” è la “par-te della teologia che ha per oggetto l’indagine sugli stadi finali dell’uomo e dell’universo” (Garol-lo 1892-95). In altri termini, l’escatologia è la riflessione in un’area intermedia tra le immagina-zioni cosmogoniche, le astrazioni della fisica, e le teorie metafisiche. La “qualità” dell'esoterismoappare evidentemente correlata con la qualità dei concetti astratti utilizzati, i quali possono con-sentire di produrre costruzioni scientifiche (capaci di governare effettivamente la physis) oppureideazioni differenti nelle direzioni metafisiche, teistiche o magiche: la genesi di questo secondofilone di ideazioni esula dal presente lavoro.

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bene) era il fine ultimo di una realtà fisicaidentificata dal logos16. Da Zenone, attra-verso Filone e Plotino, l’esoterismo orficorifluì nel paolinesimo cristiano:ma questa è un’altra storia.

8. La sapienza massonicaLo slittamento semantico

del termine misterico dal signi-ficato originario di conoscenzacultuale speciale a quello di cre -denze magico-occulte, oscure allalogica cominciò già con Plato-ne (Burkert, 1991: 81-82, 175 n.18), probabilmente a causadella difficoltà — che gli Ellenistessi avevano — a districarsi nella plurali-tà delle interpretazioni mitopoietiche

accumulate dalle età più remote, e fu cano-nizzato dall’eclettismo cultuale dell’elleni-smo. Per tal via, il termine misterico si è tra-

sformato da contesto rituale conteni -tore di conoscenze in contenutospeciale ed oscuro, come si puòriconoscere almeno a partire dalpaolinesimo cristiano (Scarpi,2003: xii). Nella lingua italiana, iltermine esoterico col significatofinale di “insegnamento intimo esegreto” fu usato dal Buonafedenel 178517. In sostanza, i terminiesoterico ed esoterismo entrarononell’uso in epoca illuministica, edesignarono il distacco definitivo

del pensiero illuminato e razionale dalleconcezioni non-illuminate e non-razionali

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che si erano accumulate nel corso dei seco-li, con forte revival nel Rinascimento, edopo la forte spinta esercitata dal paracel-sismo. La Massoneria, che siconfigurò proprio all’acmedell’illuminismo, recuperòall’esoterismo il significato disapienza speciale indispensabi-le all’umano progresso, affin-ché fosse possibile l’esplora-zione dell’inconosciuto e for-se dell’inconoscibile dopo unanecesssaria iniziazione.

In che cosa dunque consi-ste la sapienza speciale masso-nica? La risposta è inequivo-ca, coerente coi fenomeni sto-rici che, in Inghilterra, pro-dussero la Massoneria moderna: nell’e-straneità ai dogmi (da docére, l’“insegna -mento obbligato”), nell’acquisizione dellalibertà intellettuale previa l’uscita dallacongrega che tale libertà non capisce equindi l’entrata (iniziazione) in un consessoumano recintato sacro (come il témenos deitempli greci) e quindi escluso ai profani. Laspeciale sapienza massonica appare quindianch’essa come una sapienza totale, perchénessun limite è fissato alle due coordinatedel sapere, l’estensione e la profondità,bensì soltanto il termine al quale ogni indi-viduo è capace di arrivare. In tale ottica,ed in maniera affascinante, il termine rap-presenta l’iniziazione (in greco teleté) com -piuta, ovvero la initiatio arrivata alla fine(télos = “fine”).

Per sua stessa natura, dunque, la“sapienza speciale” massonica presentauna storia di accumuli, non di esclusioni, conalcuni inevitabili scivolamenti nell’assurdo

scientifico. Così, ad esempio, noi conti-nuiamo ad emblematizzare il Trismegisto,che non è mai esistito, ed illuministica-

mente tendiamo ad escludere ledonne dai consessi dediti allariflessione ordinata, in quanto leriteniamo pertinenti alla sferalunare, ovvero — in termini biolo-gici moderni — perché la ciclicitàdei loro organismi rappresenta unelemento di disordine, laddove, peruno scienziato, anche il disordinepartecipa del cosmo (kosmos, “ordi-ne”). Ogni massone perviene alla“sapienza totale” a suo modo.

Rimane il fatto che ogni intui-zione scientifica si colloca al difuori del dogma: il perseguirlo può

essere pagato caro, ma, in Massoneria, chiha giocato se stesso nella strada della liber-tà potrà sempre contare sulla solidarietàdei Fratelli. È evidente che — per unoscienziato — certe strade, col passare deltempo e l’avanzare del progresso, possonodiventare meno percorribili di altre perl’accumulo di detriti, e certe altre invece siallargano. Un esempio caratteristico è rap-presentato dal bivio aperto dal paracelsi-smo: da un lato la magia e gli oroscopi, dal -l’altro lato la scienza ramificantesi in unsuccessivo bivio di chimica da una parte emedicina dall’altra. Un altro esempio puòessere rappresentato dall’antitesi creatasitra due branche quali l’astro-nomia e l’a-stro-logia, entrambe prodotte da ordina-menti mentali (-nomos, “legge” e -logos,“ragionamento”), entrambe — fino all’e-poca galileiana — parimenti accettate dal-la Chiesa sul piano intellettuale, essendol’astronomia l’esplorazione della physis e

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• 59 •La città dell’Uomo, G. Raffi

l’astrologia l’interpretazione di essa. Ciònon tolse che il grande ed antipaticissimoIsaac Newton cercasse nell’esoterismomagico un ampliamento ai suoi straordi-nari orizzonti logici. Altre strade, edemblematicamente quelle della scienza,hanno assunto larghezza incommensura-bile, ma percorribilità sempre più ardua.La via della medicina, dilatata dal paracel-

sismo, è diventata infatti selettiva dellahumanitas per certi aspetti, anti-selettivaper certi altri. Adoriamo Omero comepoeta, ma alla sua sfera eroica, nella qua-le gli uomini potevano soltanto guarire omorire, preferiamo la sfera di Orfeo, nellaquale qualsiasi uccisione era vietata agliuomini, e quella egizia, nella quale anche gliinvalidi avevano posto.

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La catastrofe dell’essere

di Bent Parodi di BelsitoSaggista

The Author proposes a deep investigation about some philosophical and theological cat -egories of ontologic implication, showing a number of problems in the “reduction” of theidea of God to the limited image of a supreme Ens.

ono trascorsi ormai più di sei lus-tri dalla morte di Julius Evola,oltre mezzo secolo dalla scom-

parsa di René Guénon, ma il loro insegna-mento tradizionale e, soprattutto, la lorocritica radicale al mondo moderno sonopiù attuali che mai. E, d’altronde, le“anomalie” della società contemporaneasono sotto gli occhi di tutti e taluni esitinefasti e dal rischio mortale.

Le simpatie per i due grandi alfieri del-l’esoterismo si sono divise nel tempo, conuna certa preferenza per il maestro fran-cese, giacché molti hanno manifestato per-

plessità ideologica nei confronti di Evola aragione delle sue posizioni politiche. Nonsi discutono, tuttavia, il complesso dellasua opera, la profondità del suo pensiero.L’esoterismo-è bene precisarlo con forza,non è di destra né di sinistra: esso sempli-cemente è, al di sopra delle parti : il suospazio privilegiato è quello della metafisi-ca, la sua essenza equivale alla nozione diTradizione.

Non è qui possibile analizzare e discu-tere tutti gli aspetti delle critiche serratemosse da Evola e Guénon al mondo moder-no, essi peraltro saranno certo oggetto di

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altri, qualificati, interventi. Esamineremoperciò il fatale fraintendimento dell’Essereoperato dalla cosiddetta civiltà occidenta-le. Ma prima saràopportuno chiarirea chi ci ascolta (olegge) il sensoautentico della Tra-dizione. La parolaallude e rinvia allasfera della metafisi-ca più che all’etica(cont rar iament eall’opinione correnteche ne ha fatto un sinonimo di <consuetu-dine>). Perché? E’ presto detto: la “tradi-zione” (latino traditio, da tràdere, <conse-gnare>) è letteralmente una <trasmissio-ne>, ma –si domanda-di che?

La risposta è stata esemplarmente illu-strata in tutta l’opera di René Guénon: latradizione corrisponde alla metafisica del-le origini, essa è apaurusheya, <non umana>e costituisce propriamente il retaggio divi-no dell’uomo, la sophìa perennis o-per dirlacon gli Indù-il sanatana dharma, religio o lexperennis. La tradizione, insomma, costitui-rebbe il bagaglio comune delle metafisichearcaiche, simbolicamente adombrate nellenarrazioni mitiche delle culture preclassi-che, dette –perciò- “tradizionali”. Dellatradizione farebbe parte integrante tuttoquel che suggerisce l’unità profonda, lecostanti dello spirito umano (un sostratosapienziale). In quanto apaurusheya, <non-umana> la Tradizione (è preferibile, inquesto caso, utilizzare la t maiuscola), deveprovenire necessariamente dall’alto, dalmondo divino.

Perciò non stupisca se sophìa, la<sapienza greca>, significa letteralmente<illuminazione> (sophia da sa- e phàos, cioè

<molta luce). E illumina -zione presuppone, infatti,una <trasmissione dall’al-to>, conformemente alvalore etimologico di Tra -dizione, tradizione perdu-ta se la sophìa si è involu-ta nella sapientia latina(sapientia da sàpere, verboche ha il doppio significa-

to di <sapere> e/o <aversapore>): come dire che la metafisica si èridotta ad un problema di gusto…!

La Tradizione è perduta, ovvero la Parolaè smarrita, la Parola originaria che si identi-ficava con il Mythos (V˝c, la <voce>, il <suo-no creatore> dei Veda indiani) e che fuadombrata nel Verbo e nel Logos, sua ultimafrontiera.

La Tradizione-se ci si perdona il bisticciodi parole- è stata tradìta, esattamente comeGesù fu tradito da Giuda (ciò che ha fatto sìche tradimento, <consegna>, abbia assuntoil valore negativo che gli è rimasto fissatonel tempo). Ma, per fortuna, almeno nelricordo il tradimento è rimasto semantica-mente distinto dalla tradizione, la Tradìtio,che ha mantenuto in qualche modo il suosenso originario (sia pure celato), malgra-do il tentativo corrente e maldestro di far-ne un sinonimo di <consuetudine>, insie-me di abitudini e opinioni invalse nell’uso.Questa involuzione è possibile solo a pattodi fare tutt’uno di tradizione e tradiziona-lismo, che è-questo sì- ben altra cosa dalvero spirito tradizionale.

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Tràdere è, letteralmente, un trans dare,dunque un <dare oltre>. Implica, anche alivello semantico, un<passaggio di possesso>(sottolineato dal radica-le DO), passaggio che-comunque lo si vogliagiudicare- è pur sempre<atto d’amore>, trasmis-sione della sapienzadivina dall’Assolutoall’uomo, formato a suaimmagine e somiglian-za. In tal senso la Tradi -zione corrisponde perfet-tamente alla nozione tardoantica occiden-tale di haghìa Sophìa, la <Santa Sapienza>. Epoiché si è manifestata all’inizio del Tem-po come <amorosa consegna>, essaammette tutti gli aspetti genuini dellaVerità, non opponendosi ad alcun adatta-mento legittimo.

Esaminiamo adesso la questione cen-trale del fraintendimento ontologico di cuiè responsabile vittima l’Occidente moder-no. Occorre riandare indietro nel tempo aSan Tommaso d’Aquino, che nella elabora-zione della sua metafisica, distingue traessere ed essenza ed afferma, molto discuti-bilmente, il primato dell’Essere sull’Essen-za. Anzi, egli giunge ad asserire che <l’Es-sere è ciò per cui una essenza esiste real-mente> (De ente et essentia, V). E aggiunge, ascanso di equivoci, che <fra tutte le cosel’essere è la più perfetta> (Summa theolo -giae, 1,4, 10). Col che, malgrado le oscilla-zioni evidenti nel pensiero dell’illustrefilosofo cristiano, è avviata e sancita ladrammatica confusione concettuale fra

essere ed esistere, che-in realtà-è <l’emerge-re dall’Essere> (dal latino ex- e –sistere, <far

venire da>, ovveroEsse sistit ex?), ciòche presupponeuna successionelogica e non cro-nologica che fadell’Essere, inquanto tale, unprecedente del-l’esistere. <Ciòche è> non equi-vale affatto a <ciò

che esiste>, le dueaffermazioni nel linguaggio possono coin-cidere ma anche non coincidere. Ma tant’è:San Tommaso afferma che solo se l’essen-za è pensata con il suo essere (o l’atto di esse -re, preferendo questi termini a quello diesistenza) si avrà infatti l’ente realmenteesistente.

La suprema perfezione dell’Essere,distinto dall’Essenza, è il segno del degra-do metafisico dell’Occidente, che a seguitodelle invasioni barbariche aveva ormaiperso ogni contatto col più genuino pen-siero greco. Essenza, nella filosofia platoni-ca, non corrisponde alla nozione latina, piùtarda, di essentia (quid est in esse), <quel chev’è nell’essere>, e cioè una sua parte, sep-pure nobile, attinente al nocciolo e nonalla scorza (dell’Essere): l’essenza greca èousìa, ovvero to òntos on, <ciò che realmen-te è>. La ousìa, dunque è ben chiaro, è pre-minente sull’èinai, l’essere come <presen-zialità>, propriamente l’<esserci> come<trovarsi>. Eppure essa non è affatto lasuprema perfezione, sognata nell’esse da

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San Tommaso: oltre l’ousìa si staglia l’infi-nito orizzonte dell’epékeina (tés ousìas),l’<oltre>, <l’al-di-là> dell’essenza. Ed è pro-prio nell’epékeina che Platone e i suoi eredilegittimi (Plotino, in primo luogo) pongo-no il <divino>(to théion), l’ideasomma delBene al verticedell’Iperuranio.

Quanto poiall’esistere, ipadri greci delpensiero laiconon feceroalcuna confu-sione: una cosaè l’ousìa, una cosaè l’èinai e altra cosa è la génesis (radice GEN,<generazione>). La génesis implica la phto -rà, ovvero la <dissoluzione>, poiché tuttociò che diviene (ghighnetai) è soggetto allacorruzione; la génesis è, in realtà, un kyklostòn genéseon, un <ciclo delle nascite>, una<ruota> (trochòs) dell’esistenza. L’esisten-za, in quanto <emergenza> è invero feno -meno (da phainoùmenon, <ciò che viene allaluce>): non attiene, quindi, né all’ousìa néall’èinai, è semplicemente génesis, moltepli-cità generativa. E ciò che viene alla lucepresuppone, in modo evidente, un divenireche non può, perciò, corrispondere neppu-re col modesto essere. Quando ci si vuolriferire alla sfera divina (e non ancoraall’Assoluto, in senso proprio) bisogna rife-rirsi alla categoria dell’ousìa e non dell’esse,infelice termine latino che ha condiziona-to tutta la storia del pensiero occidentale.La suprema perfezione agognata da Tom-

maso andrà poi cercata nell’epékeina,nell’<oltre>: tale è il kérygma (<bando>,<proclamazione>) della sapienza greca enon è più possibile oggi prescinderne se,con onestà, si vuole recuperare il cammino

perduto dalla meta-fisica occidentale.Non occorre cerca-re nel prestigiosoOriente, anche ilMediterraneo ha lasua Tradizionevenerabile, unachiave corretta del-l’arché.

E, ancora, non sipossono sottacere

le responsabilità delmonoteismo giudaico-cristiano in tema dimetafisica. Esso ha dapprima confuso Diocon l’Essere (a partire dall’ontologia delroveto ardente: <Io sono colui che è>, opiuttosto <L’essere è l’essere>, ehjeh aserehjeh), poi ha finito con il fare tutt’uno del-l’Essere e dell’Ente, trasformando la divini-tà in Ens supremum, cioè il soggetto nel pre-dicato. Ora, sul piano metafisico, è eviden-te che l’Essere non può essere un ente, ben-sì la sua radice: l’unità semplice dell’Essereprecede logicamente l’unità molteplicedegli enti, è l’Essere che porta-ad-essereogni esistente, e non viceversa. All’Essereunico non può corrispondere un Ente uni-co, bensì una molteplicità indefinita di entiportati all’esistenza dal processo di mani-festazione dell’Essere.Yahvé, apparendo aMosé, volle definirsi come Essere (Coluiche è), ovvero come la fonte della manife-stazione, unico modo per rendersi perce-

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pibile alla natura umana, sia pure con ungrado di astrazione. La rivelazione delSinai, che ha condizionato tutta la storiadel Cristianesimo, fu l’e-splicitarsi della divinitànella modalità dell’Es-sere, e non dell’Essenzaimperscrutabile per lepossibilità conoscitivedell’uomo storico d’I-sraele.

Ma se Dio è l’Assolu-to (absolutus in latino invuol dire <sciolto davincoli>, <incondiziona-to>), Egli non può-pro-priamente-relegarsinella sfera, seppure sublime, dell’Essere,che ne costituisce una seppur significativamodalità: Egli è, per dirla piuttosto conRené Guénon, la Possibilità Universale,radice dell’Essere, ma anche del Non-Esse-re, che-va sottolineato-non è il <nulla>occidentale, bensì l’al-di-là dell’Essere (l’e -pékeina tes ousìas di Platone e dei suoi piùtardi interpreti, i neoplatonici). Perciò Dioè anche (e soprattutto) Non-Essere, cioèl’Essere nella fase di non-manifestazione(cfr. René Guénon, specialmente in Gli statimolteplici dell’Essere, passim).

Sulla visione monoteistica occidentaleè oggettivamente preminente la concezio-ne della metafisica orientale: gli Indùdistinguono nettamente fra Brahman (L’as-soluto Essere) e Parabrahman (l’Oltre-Brah-man) e, ancora, fra Brahman saguna, <l’As-soluto dotato di qualificazioni>, e Brahmannirguna, <l’Assoluto depurato da qualsivo-glia qualificazione>).

Ora se il kòsmos è la materia dell’Essere,il càos sarà la <materia del Non-Essere>,quindi né il <nulla> né il male (nozione,

questa, che attieneall’etica conven-zionale del mon-do del divenire).

Il càos è statobandito dal pen-siero cristianoperché del Non-Essere si è fatta<privazione del-l’Essere> (aphài -resis tes ousìas),con errata inter-pretazione tipica

del procedere mentale dell’uomo occiden-tale post-classico. La metafisica occidenta-le, sciaguratamente influenzata in mododeterminante dalla rivelazione sinaitica, ènata monca e si è storicamente sviluppatacome <metafisica dell’Essere>, precluden-dosi spazi davvero infiniti. E neppure ungenio filosofico come San Tommaso d’A-quino poté sfuggire a questo fatale condi-zionamento ideologico: il Non-Essere fuescluso dalla sfera metafisica. Se ne fecepoi un Non-Esistente, dal momento cheanche l’Essere era stato travisato e confu-so con l’ente, l’esistente.

E poiché l’esistente fu identificato colbene, il non-esistente divenne male e lo 0metafisico si trasformò in assoluta negati-vità.

Dunque l’autentico paradosso, la con-traddizione intima del monoteismo giudai-co-cristiano è consistito, come si è detto,nell’aver confuso l’Essere con l’Ente, facen-

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do dell’unico Dio l’Ens supremum. Ora solol’Essere può essere Uno mentre gli Enti(anche quello supremo) non possono cheprocedere per molteplicità: l’unità dell’Es-sere, come ci ricordaHenry Corbin ( Il para -dosso del monoteismo,Marietti, Casal Monfer-rato, 1986), si esprimeanalogicamente nellam o l t i p l i c a z i o n e1x1x1x1x1x1x1, ecc.,,che dà sempre uno,mentre l’unità molte-plice degli enti è cosaben diversa e corri-sponde in matematicaa 1+1+1+1+1+1+1, ecc.,che dà valori progressi-vi ben diversi dall’unità.

Si è trattato, storicamente, di unaautentica <catastrofe metafisica>, ciò cheha fatto sì che l’Essere che porta-ad-essereogni esistente, dunque al di là di ogni ente,sia divenuto tutt’uno con l’Esistente, qualevalore assoluto.

Già la definizione ontologica è di per sémonca. Il monoteismo religioso ha dimen-ticato i grandi mistici, l’insegnamento diPlatone e di Plotino secondo i quali l’Asso-luto è <a di là dell’Essere> (epékeina tésousìas). La divinità, infatti, è tale solo sesupera le frontiere dell’Essere, se essa-insomma- è anche Non-Essere, la <Virtua-lità>, la <Possibilità universale> (nozio-ne,questa, familiare alla metafisica orien-tale, ma quasi sconosciuta all’Occidenteche ha saputo elaborare solo una metafisi-ca dell’Essere, relegando il non-essere a

sinonimo di <nulla>, un’aberrazione delpensiero europeo).

A partire dal primo monoteismo stori-co, quello ebraico, dio è stato fatto coinci-

dere solo conl’Essere: Yahvé,manifestandosia Mosé sulSinai, avrebbedetto <Io sonocolui che è>, o-p i u t t o s t o -rispettando iltesto israelitico<L’Essere è l’Es-sere> (ehyehaser ehjeh). Afar data dal-l’ontologia del

roveto ardente, si è andata stabilendo l’e-quazione Dio-Essere, una formulazione chesuccessivamente ha influenzato in mododeterminante anche il pensiero filosoficooccidentale.

Diverso il caso del politeismo classico epreclassico: nelle sue forme più pure lapresenza di vari dèi non escludeva il prin-cipio della divinità unica; una cosa era inGrecia la theòtes (<divinità>), altra cosa era-no i theòi (<gli dèi>).

Nell’antico Egitto era familiare la nozio-ne di nether Ua, il <Dio uno>, l<Unico che siè fatto milioni> (come affermano diversitesti sapienziali). Al di là delle tante figuredivine si cominciò a parlare nel mondoellenistico e post-ellenistico di un theòsàgnostos, un <Dio sconosciuto>, <senzanome>, prefigurazione simbolica dellatheòtes universale: gli è che per i Greci tut-

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ta la natura era sentita come divinità, vita,spirito. Per reazione il pri-mo cristianesimo, erededel giudaismo, riformato,demonizzò il mondo dellanatura: i démoni furonosviliti al rango di demòni.Ma il paradosso del Dio-Essere fattosi Ente supre-mo non ha potuto elimi-nare di fatto l’esigenzaprofonda delle varie teo-fanie perché l’unità dellatheòtes comporta, neces-sariamente, la pluralitàdei theòi, così come l’uni-tà dell’Essere presupponela pluralità degli enti.

Da qui l’istituzione comeesigenza inconscia dei numerosissimi san-ti della Chiesa cattolica, ciascuno dei qualipatrono di un’attività. E con tutto il rispet-to dovuto alla santità in genere è difficilenon stabilire un rapporto analogico con icosiddetti <dèi funzionali> (sonder gotter).Così a stretto rigore il cristianesimo, chedal punto di vista della metafisica più puraè piuttosto un monotriteismo o una tri-

unità modalista (Padre, Figlio, Spirito San-to) , ha ereditato suo malgrado

la visione del mondo pagana.A conferma ulteriore di que-sto assunto si potrebbe ( edovrebbe) aggiungere ilmarianesimo tanto caro allacattolicità. E, diciamolo confranchezza, come non vederenella Madonna cristiana lasublimazione e la trasfigura-zione della Grande Madremediterranea, simbolo dell’e-terno femminino, archètipodella physis, correttamenteintesa come <processo gene-rativo dell’Essere> (WernerJaeger, La teologia dei primi

pensatori greci, La Nuova Italia,Firenze, 1961 )?.

Volendo concludere in sintonia conl’ultimo Guénon si potrebbe affermare chel’unico e vero monoteismo rigido ci appa-re, a stretto rigore, l’islamismo, che vietaperaltro ogni raffigurazione del Divino eche si caratterizza per la puntigliosa esolenne sottolineatura del tawid (l’unità) diAllah.

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Medicina curativa, Medicina palliativa

di Pietro F. BayeliUniversità di Siena

The curative medicine and the palliative medicine stand as two phases of a unique med -ical science that we can identify in the life of every human being, from his birth till hisdeath. The functions of the medical science are to facilitate a good childbirth, to securegood perspectives to come, to maintain the best quality of life, to obtain a death withoutany suffering. This last will could be expressed by the self-determination of the biolog -ical testament, in order to reach a death that is respectable, serene and painless.From the ethical and legislative point of view the palliative medicine stands as the lastand actual answer to the abandonment or to the therapeutic obstinacy.

a vita di un uomo si può rappre-sentare come un arco vitale cheprocede, in salita, dalla nascita

alla giovinezza fino al culmine della matu-rità, dopo di che inizia la discesa verso lasenilità fino al compimento della morte. Lamorte quindi, come la nascita, è una com-ponente essenziale, inalienabile della vitadi ogni individuo: non la si può rifiutare,negare, mascherare, ignorare, la si puòsolo accettare e, nella accettazione, la sipuò solo mitigare, attenuare, ammor-

bidire, oppure anticipare. Della mortepenoso è soprattutto il sentimento dellaperdita di noi stessi, dell’annullamentodella nostra persona. Quello che ci assale èuna sconfinata tristezza ed una profondamestizia e pietà per la nostra scomparsadalla scena della vita. Ecco allora, qualerifugio per la nostra psiche, la speranza inun futuro ricordo: si spera di aver lasciatouna impronta, un segno nella mente di col-oro che rimangono e che perpetuano ilgenere umano. È una memoria di noi stes-

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si che secondo il valore delle nostre azionipotrà avere durata storica, oppure piùsemplicemente, generalmente e modesta-mente sarà limitata nello spazio e nel tem-po dell’arco vitale di par-enti ed amici, cioè dicoloro che ci hannoconosciuto e memoriz-zato. È così che, para-dossalmente, cerchiamodi non morire, conti-nuando a vivere nelpensiero dei vivi. Maquesto è un problemapost-mortem le cui radici,le cui origini, i cui meri-ti di sopravvivenzarisalgono al periodo dellasalute, delle azioni, dell’efficienza, dellaquotidianità della vita.

Se la vita di un uomo è composta di varimomenti durante i quali la medicina uffi-ciale è sostanzialmente rivolta alla preven-zione, alla cura, alla guarigione, alla stabi-lizzazione delle malattie che possono col-pirlo, non dobbiamo mai scordare che pri-ma o poi questo uomo, questo pazientemuore e che questa nostra straordinariamedicina curativa non è adatta ad assiste-re il paziente che muore. Le vittorie medi-co-chirurgiche di cui oggi andiamo fieri inquesto nostro Occidente, sviluppato e tec-nologico, le guarigioni o le stabilizzazionidi tante malattie, fatali in un passato nonremoto, non devono e non possono farcidimenticare che non si può sempre guari-re, ma che ci sarà sempre un malato chenon guarisce, cronicizza, e che ineluttabil-mente viene avviato alla morte.

C’è stato, ed è tuttora presente, un con-flitto culturale teso alla rimozione dellamorte quale brutto momento, inevitabileed obbligato, della vicenda umana: il non

volersi arren-dere al natu-rale destino diciascuno dinoi ha defla-grato nell’ac-c a n i m e n t oterapeutico,nell’abbando-no terapeuti-co, nel testa-mento biolo-gico, nell’eu-

tanasia e nellaspasmodica ricerca di una legislazione ine-rente. Il dolore ha poi acuito e reso ancorapiù odiosa la morte per le sofferenze cheapportava, per l’abbruttimento fisico e losconvolgimento psichico cui l’essere uma-no, ormai privato di ogni dignità, dovevasottostare. Ecco che da una medicina cura-tiva, capace, quando possibile, di rimuove-re le cause di molte malattie e quindi diguarirle, oppure capace di stabilizzarne isintomi, attenuandoli od escludendoli, mainadatta ad assistere il paziente che muo-re, si avverte la necessità di passare daquesta medicina alla medicina palliativa:un rimedio medico e psicologico che atte-nui il male, soprattutto il dolore e il tristeabbandono di sé, nella consapevolezza tut-tavia di non poterlo guarire. Le cure pallia-tive sono una importante disciplina medi-ca, una specialità che concretamente erazionalmente prende atto della inelutta-

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bilità del momento letale dell’individuo ene cura dolore fisico e psichico, sociale espirituale, al fine di rendere, con un lascitoaffettivo, culturale edamoroso, sopporta-bile o addiritturapartecipata la pro-pria morte a paren-ti ed amici più cari.La cura palliativadeve fare tutto que-sto: abbattere egoi-smi, donare affettoe partecipazione daentrambe le parti,ma soprattuttodagli astanti, dalpersonale medicoed infermieristico,più che dal morentespesso psicologicamente inabilitato. Solocosì può essere possibile attenuare il legit-timo desiderio di morte, di una morte anti-cipata, di una buona morte qualora fossepossibile autogestirla. L’etica del medicodeve essere rivolta deontologicamente elegalmente alle cure palliative, non allaeutanasia attiva, che rimane comunque unomicidio, seppure di consenziente.

Sedare il dolore, tranquillizzare, rasse-renare il paziente implica l’uso di oppiaceie psicofarmaci che talora accelerano l’in-sufficienza degli organi vitali già compro-messi dalla malattia di base. Favorire ildecorso della malattia, permettere la mor-te, riducendo una assistenza intensiva,diventata accanimento terapeutico, inuti-le e futile esercizio di disumana periziatecnologica, e d’altra parte non votarsi

all’abbandono terapeutico ma applicare iprincipi psico-terapeutici della palliazionerappresentano un momento di gestione

qualitativa, dolce edumana sulla residuaquantità di vita di unmalato terminale.

Ecco la grandefunzione scientificaed istituzionale dellaMedicina Palliativache assolutamentenon va contrappostaa quella Curativa conla quale anzi si fondenella Grande Medici-na nella Medicina diSempre, nella Medi-cina Tout Court che

prende in considera-zione le varie fasi della vita, i vari momen-ti terapeutici, con soluzioni contingenti,appropriate, utili. Il vero professionistamedico, per essere perfetto non può esse-re istruito e conscio della sola ars curandima deve completarsi nella ars moriendi,ritenuta purtroppo ancora residuale emarginale dalla nostra organizzazionesanitaria. La cultura del sollievo dalla sof-ferenza deve diventare parte integrante diuna moderna concezione del diritto allasalute, deve diventare un messaggio pro-positivo sulla possibilità di dare e riceveresollievo anche nelle malattie più gravi einvalidanti, anche quando non è più possi-bile la guarigione.

Se l’empatia, cioè il buon rapportomedico-paziente, è sempre necessaria inogni momento terapeutico dell’arco vitale,

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nel malato terminale risulta addiritturafondamentale alla terapia psicologica espirituale, sostanziale al risultato farmaco-logico lenitivo del dolore, determinantealla serenità di un uomoche rimane un viventefino alla morte, anzianche oltre nella relativi-tà della memoria deiviventi ed ancor più nellaeternità di un credo con-solatorio e fideistico diuna vita extraterrena.

Ecco allora la fusionedi due importanti funzio-ni nella gestione dellamorte: la scienza medicae la religione, per gliaspetti neuropsichici,terapeutici, anti-dolorifi-ci, empatici dell’una, perl’offerta di amore, di carità, di spiritualità,di fede esaltante e consolatoria dell’altra.Cardine del credente è infatti la prepara-zione religiosa alla morte quale semplicecerniera tra la vita terrena e quella celeste.

Anche dal lato sociale, organizzativo,laico, oltre che medico e religioso, si deveperseguire l’obiettivo di ospedali senzadolore, cioè di strutture dedicate ai biso-gni, fisici, psichici, spirituali, dei pazienti: icosiddetti “Hospice” dove l’umanizzazionedelle cure è recepita ed attuata con forza,dove i malati possano vedere rispettato illoro diritto-bisogno a vivere la patologiasenza dolore, o con il minor dolore possi-bile, e soprattutto essere compresi, ascol-tati, consolati in un’aura di serenità e nel-la passività eutanasica di una morte dolce

seppure ineluttabile. Questa fusione, com-penetrata e perfetta se attuata a domiciliodove il malato terminale si sente “a casasua”, ma valida, quando richiesto dalle cir-

costanze, anche all’in-terno della strutturapubblica, allontana idrammatici momentidell’accanimento o del-l’abbandono terapeuti-co, modifica i contenu-ti del testamento biolo-gico in nome di unaumanizzazione dellamorte, riduce sensibil-mente il desiderio dieutanasia quale inalie-nabile diritto dell’indi-viduo a rivendicare unamorte degna.

Già in passato, suqueste pagine, avevamo affrontato il pro-blema della eutanasia e lo avevamo espo-sto secondo le varie ottiche interpretativedel laico, del religioso, del medico e delmagistrato. Non abbiamo certo dimentica-to la figura base del problema eutanasicocioè il paziente in fin di vita, in fase termi-nale, cosciente od incosciente, conscio esereno della propria fine, ovvero abbrutti-to dal dolore, depravato dalla disperazionedi una vita impossibile, indegna di esserevissuta. Avevamo lasciato il problema irri-solto perché avevamo ritenuto che nonesistesse un’unica soluzione eutanasicaperché l’eutanasia è un problema umanoche inevitabilmente subisce le molteplicivarianti del pensiero dell’uomo e delle pos-sibili evoluzioni scientifiche. Oggi, a

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distanza di anni, il problema non è certorisolto, ma si è approfondito e, forse,meglio chiarito alla nostra ignoranza edincompetenza.

Porre fine allapropria vita conun atto di eutana-sia attiva autoge-stita corrispondené più né menoche ad un suicidio.È un atto di fortecoraggio che afronte di una inti-ma, naturale, pro-rompente spintavitale, afferma ildiritto alla propriamorte, consacra lalibertà di togliersila vita. È una sublime, negativa, irripetibi-le, affermazione di carattere e di possessodel proprio Io: “Io vivo, io mi distruggo”.

Aiutare, coadiuvare, favorire, praticarel’eutanasia attiva è un omicidio seppurecon l’attenuante del consenso, della solle-citazione. Chi lo compie è fuori legge, eticae deontologica.

L’eutanasia omissiva, sostanziata nel-l’abbandono terapeutico, è un confinenebuloso, incerto e labile tra legalità edillegalità, tra rinuncia professionale e tra-vaglio deontologico, tra resa incondizio-nata e scelta di qualità e di pace per unultimo barlume di vita. L’abbandono tera-peutico è un ponte di passaggio, seppurenegativo e rinunciatario, ma talora neces-sario, posto tra l’omissione e la passivitàeutanasica.

L’eutanasia passiva è positivamentebasata sulle cure palliative mediche, psi-chiatriche, religiose, laiche: sedazione deldolore fisico, antidepressivi, tranquillanti,

oppiacei, psicote-rapia, caritasreligiosa e lai-ca. È un insie-me di fattoricurativi, speci-fici all’inelutta-bile momentodel trapassodalla vita allamorte, neces-sari, utili ecapaci di faraccettare atti-vamente congrande forza

d’animo la morte, così come a suo tempoaccettammo passivamente la vita.

La scelta di specifiche cure palliativeapplicate con perizia e coscienza, può con-siderarsi, senza ipocrisie, una eutanasiapassiva che riduce la durata della vita, mamigliora la qualità della morte nella sere-nità e nel compianto di una comune parte-cipazione. Nella applicazione delle curepalliative il medico è costretto a fare unascelta tra la riduzione, anche minima, del-la durata di una vita ormai terminale e l’at-tenuazione, il dissolvimento di sofferenzefisiche e psichiche per una buona morte,ormai certa.

Lo stato di incoscienza o di coscienza, levariabilità caratteriali individuali, i condi-zionamenti da sofferenza o sollievo, crea-no delle sfasature temporali, tecnologiche

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e psicologiche, che pongono in dubbio oaddirittura sovvertono le affermazioni diuna iniziale autodeterminazione del testa-mento biologico. Questa complessità disituazioni e di rapporti rende pressochéimpossibile una visione omnicomprensivae conseguentemente una legislazione com-

pleta, totale, perfetta. Pragmaticamentedovremo accontentarci di una legiferazio-ne sicuramente condivisa, ma incompleta,parziale e certamente mutevole.

Sarà un bello sforzo conciliare il singo-lo diritto di morire con il collettivo doveredi vivere.

BIBLIOGRAFIA:

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* Il presente articolo anticipa la pubblicazione di un mio saggio dal titolo:Memorie di Giuseppe Mazzoni (1808-1880), Volume I, L’uomo, il Politico, il Massone (1808-1861). Pubblica-zione prevista per il 20 settembre 2008. Il volume, con la presentazione del Gran Maestro avv.Gustavo Raffi e la prefazione di Aldo A. Mola sarà presentato ufficialmente il 4 ottobre al CollegioCicognini di Prato alla presenza delle Autorità cittadine.

Memorie del Gran Maestro Giuseppe Mazzoni nel duecentesimo dalla nascita (1808-1880)*

di Guglielmo AdilardiSaggista

Giuseppe Mazzoni (Prato, 1808 – Prato, 1880) was an Italian politician and a Tuscantriumvir.He gratuated in Law Studies at the University of Pisa. Since he was young he adheredto the democratic ideals, in particular to those of Giuseppe Mazzini. He took part to theRisorgimento’s revolution of 1848, and in 1849, after the escape of the grand duke,together with G. Montanelli and F.D. Guerrazzi was in the triumvirate which governedTuscany temporarily. After the restoration, he had to go overseas for a decade: first inMarseille, then in Paris and finally in Madrid. He came back to Italy in 1859, when hedeclared his opposition to the annexation of Tuscany into Piedmont. He became GrandMaster of Freemasonry on April 1879, and he remained in this role till his death.

a giovinezza del Mazzoni fu tur-bolenta quanto la sua carrierapolitica da adulto.

Da ritrovamenti inediti, nell’Archivio diStato di Firenze è emerso che, già sedicen-ne, si associò alla setta degli Illuminati. Finoad ora era nota la sua espulsione dal Colle-gio Santa Caterina di Pisa all’età di tredicianni, motivata dall’aver professato massi-me politiche liberali.

Oggi abbiamo recuperato per intero ilprocesso che vide coinvolti in una societàsegreta patriottica oltre una decina di stu-denti e alcuni sacerdoti. Il processo econo-mico durò circa un anno con cointeressa-menti del Presidente del Buon Governo edello stesso Granduca di Toscana. La settasi prefiggeva di rovesciare il trono di Leo-poldo II, minando alle basi le istituzioni cuiavevano accesso i giovani studenti: dal col-

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legio Ferdinando di Pisa (e non Santa Cate-rina), ove studiava il Mazzoni, all’Universi-tà della stessa città, ove inse-gnavano molti professori uni-versitari retrivi, invisi agli stu-denti, fino alla polizia grandu-cale ecc. Numerosi, in quelperiodo, furono gli scontri conla forza pubblica e gli arrestidegli studenti dai sentimenti“italiani”.

Dante, per Mazzoni e con-sorti, era da leggersi a modoloro, come il giudice istruttoreriferiva al Presidente del BuonGoverno. La modalità di letturaparticolare consisteva nell’interpretarlocome un vangelo dell’Unità d’Italia e comeun modello da imitare per il trattamentoche il sommo poeta elargiva con i suoi ver-si, ai potenti di turno e soprattutto, alpapato. Alcuni dei giovani colleghi di Maz-zoni li ritroveremo nelle epiche giornatedel 1848 a combattere per l’Unità italiana.

Dai manoscritti e documenti familiariche gentilmente mi sono stati messi a dis-posizione dalla signora Ofelia Cipriani Ber-ti, pronipote di Giuseppe Mazzoni, ho inol-tre potuto ricostruire la storia inedita del-l’uomo e del politico del primo periodo,quello del Triumvirato toscano, guidatoassieme a Francesco Domenico Guerrazzi eGiuseppe Montanelli.

Posizionato da storici frettolosi tra lefigure di secondo ordine del nostro Risor-gimento, dalle carte egli emerge piuttostoquale lucido artefice di quel primo esperi-mento democratico. Fu infatti proprio ilMazzoni ad intessere nell’ombra, attraver-

si i Circoli, la catena d’amicizie popolariche resero possibile la riuscita del Governo

provvisorio. Ebbe tuttavia lasventura di avere al suo fian-co un Guerrazzi doppiogio-chista e un Montanelli sem-pre insicuro sulle scelte daprendere. L’unico che tenneil timone al centro fu pro-prio lui, com’è evidenziatonell’ultimo suo discorso alleCamere del 3 aprile 1849.

Seguirono, come sappia-mo, i circa dieci anni d’esilioa Parigi, in cui il Mazzoniintesserà rapporti d’amicizia

con esuli politici di mezza Europa. Da talidocumenti famigliari emerge anche la sto-ria di un Risorgimento italiano nell’esilio,portato avanti con mille difficoltà. Bastidire che, alla fine della vicenda di proscri-zione, il Mazzoni si troverà per tutta la vitain ristrettezze economiche, tali da doverrinunciare, nonostante l’esortazione diGaribaldi, a recarsi in Grecia per stringerela mano a quel popolo, per il quale alcuninostri patrioti avevano lottato per maggio-ri libertà politiche. Scriveva a GiuseppeDolfi, il famoso fornaio, patriota fiorenti-no, all’inizio dell’anno 1862: Mi converrebberimontarmi di vestiti dal capo alle piante per -ché non ho né giubba, né pantaloni neri, nécappotto e per procurarmi questi capi ci voglio -no quattrini che non ho. Alcuni storici dubi-tarono dell’indigenza del Nostro. Possiamoinvece certificare, dai documenti in nostropossesso, la tragedia economica della fami-glia Mazzoni a causa dell’esilio, talché unadelle primarie famiglie pratesi, degne per

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censo di essere insignite del titolo nobilia-re, nel 1828, si era ridotta alla mera soprav-vivenza.

Ciò che occorre met-tere bene in luce è l’im-portanza di Mazzoniall’interno del Triumvi-rato toscano del 1849. Lostorico e statista Giovan-ni Spadolini nel suo sag-gio Gli uomini che fecerol’Italia, pur parlando diMontanelli, di Guerrazzie del Triumvirato, nonaccenna al nome di Mazzoni, il quale, seb-bene avesse l’abitudine di celarsi, fu ilprincipale protagonista del Governo prov-visorio toscano, come dimostra la causa diLesa Maestà, celebrata dal 1850 al 1852,con sorprendente velocità giudiziaria. Ciòsi evince dalla raccolta di testimonianze eprove contenute nella citata procedura, incui emerge il lavoro discreto del Mazzonipresso i Circoli politici, dei quali era il prin-cipale referente, nonostante fosse pure unMinistro di Leopoldo II. A differenza deipiù famosi Guerrazzi e Montanelli, il Maz-zoni era uomo di poche parole, ma dalgrande attivismo politico presso il popoloe, soprattutto, dotato di grande luciditàintellettuale.

Repubblicano convinto e mai pentito,ebbe una visuale più lungimirante rispettoai suoi due sodali di governo, la quale glipermise un’attività politica lunga quantola sua vita. Va ricordato che sin dal 10 feb-braio 1872, mentre già ricopriva la caricadi Gran Maestro, indirizzandosi ai Venera-bilissimi e Stimatissimi Fratelli nell’Ordine

della Gran Loggia di New York, aveva affer-mato: Si vorrà dire che chiunque è insignito del

carattere massonico nondebba mai mescolarsi incose che abbiano rapportocolla politica e colla religio -ne? Ciò non può essere per -ché condurrebbe al piùmostruoso assurdo sociale,condurrebbe alla negazio -ne della libertà umana neimassoni, e farebbe dell’Or -dine una specie di Societàmonastica indegna di esi -

stere. Un massone non potrebbe essere deputa -to, non prefetto, non Ministro, non potrebbeappartenere all’amministrazione pubblica néalla gerarchia militare […].

Menzioniamo, per inciso, che egli fu nel1877 il fondatore della Loggia Propaganda,della quale tutt’oggi si disconoscono lamaggior parte degli associati di allora.

Non aveva per abitudine di scriveremolto e si è rinvenuto nell’archivio difamiglia una griglia per decrittare lettere edocumenti. Per la prima volta, da tali ine-diti ritrovamenti, si potranno conoscere lenumerose personalità con cui il Mazzoni fuin contatto a Parigi e a Madrid, i nomi del-le famiglie altolocate, che gli avevano affi-dato i figli, non soltanto quale insegnantedi lingua italiana, ma come precettore toutcourt.

Sono state inoltre localizzate le quattroabitazioni in cui il Nostro dimorò a Parigi,l’ultima delle quali, in Rue des Dames, con-servata da lui fino al 1862 per timore che siripetesse la restaurazione, come già acca-duto nel 1849.

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Dalle lettere emerge la sua angoscia,appena sbarcato nella Francia repubblica-na, nell’assistere all’involuzione verso unimpero retto da un masnadiero di pochiscrupoli, Napoleone III.Proprio a Parigi ebbe asubire un processo politi-co per cospirazione segre-ta, fortunatamente finitosenza luogo a procedere,che avrebbe significatoespulsione dalla Francia.Per un fortuito scherzodel destino e un mero dis-guido si ritrovarono nellapratica giudiziaria dei volantini inneggian-ti a Luigi Bonaparte, da lui esecrato, i qualigli valsero l’assoluzione. È con ironia cheegli narra quegli eventi agli amici rimastiin Patria.

Non fu mai un mazziniano, ma amòMazzini e lo appoggiò sempre, anchequando molte delle sue imprese furonomal dirette e peggio condotte. Amico diGaribaldi e del Dolfi rimase sempre unrepubblicano integerrimo, tanto che prefi-gurò nel 1874, in casa del Fratello CorradoTommasi Crudeli, in Roma, il pentalfa mas-sonico, o stellone a cinque punte, qualevaticinio della futura repubblica italiana.

Nel 1849 fuggì da Prato per la stessa viache qualche mese dopo percorrerà ancheGaribaldi, aiutato in questo dagli amici diMazzoni: i mazziniani Antonio Martini eFrancesco Franceschini.

Il rientro in patria nel 1859 ebbe un epi-logo nel 1861 con il suicidio del figlio Anto-nio. Mazzoni ebbe sempre con sé l’unicofiglio maschio, che aveva fatto studiare a

Parigi nel Collegio Charlemagne, dove bril-lava negli studi: ma forse anche lo sradica-mento loci produsse non poche ripercus-sioni sulla sua giovane psiche.

Fin dal suo primoapparire politico Mazzo-ni fu uomo scomodo, acausa della sua rigidaideologia democratica edella sua onestà integer-rima. Fu repubblicanoanche quando il momen-to politico sconsigliò allostesso Mazzini l’intransi-

genza abituale. Ciò che emerge dal numeroso carteggio

è il ritratto completo di un uomo amantedella famiglia e della vita semplice, unafigura politica sempre accorta e decisa nelperseguire i propri fini, con lucida intui-zione della situazione internazionale, a cuisempre guardava. Quella che gli permette-rà, al ritorno in Toscana, di fondare La Nuo -va Europa, di cui curò quasi tutti i testi dipolitica estera, grazie alle corrispondenzeche si era procurato in un decennio d’esilioa Parigi e successivamente a Madrid.

Deputato per tre legislature, nel Colle-gio pratese, in fine, Senatore del Regno, sispense l’11 maggio 1880, sembra da confi-denze familiari, con l’estremo Viatico,aggirando il Gran Maestro Aggiunto Giu-seppe Petroni, presente negli ultimi giorninella sua casa.

Il testo attua una revisione storica dellafigura del Mazzoni alla luce dei rinveni-menti archivistici e dall’esame dell’archi-vio familiare, per la prima volta, inventa-riato dall’autore.

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Fratelli,per diverse terra le vostre ossa

per l’Italia tutta il nomeMa la religione di voi è qui

E passaDi generazione in generazione

AmmonendoChe scienza è libertà

Carducci “conservatore sovversivo”

di Marco VegliaUniversità di Bologna

Carducci, as we usually know, was a poet, a teacher, but his way of writing and teach -ing was absolutely free: as a free spirit, as a free-mason. In this article we stress, aboveall, the idea of freedom (liberty, as Skinner said, before liberalism), wich results in his“Ça ira”, dedicated to the French Revolution. Between monarchy and republic,between knowledge of history and passion for the spirit of reformation we finally havethe real image of Carducci "girondino", or, as Giosue said about himself, “conserva -tore sovversivo”.

ochi versi di Carducci, come lacorona di sonetti dedicati allaFrancia del 1792, o come le parole

che abbiamo appena ascoltato (incise nel-l’atrio dell’Università di Bologna nel 1870,a fronte dell’epigrafe che rammemora legesta e il retaggio di Luigi Zamboni e G.B.De Rolandis) si prestano a cogliere forse,di là dal permanere di radicati luoghi

comuni, l’unità libertaria del pensiero edell’opera del maestro di Bologna. Sin dal-l’apparizione per i tipi di Sommaruga, nel1883 (poi, associati alla prosa omonima,pubblicati da Zanichelli nel 1908), i com-ponimenti del Ça ira consentono, se nonaltro per una semplice loro inserzione neltessuto vivo dell’opera di Carducci e dellastoria italiana dell’epoca, di intendere il

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progetto politico del poeta, quel progetto –vorrei dire subito – che è tutt’uno con lasua etica della libertà e col suo ritorno atti-vo, di lì a poco, nel-la Massoneria gui-data allora dal-l’amico, primaancora che dalfratello, AdrianoLemmi. Ma ritor-niamo col pen-siero al 1882, che,se vedeva Carduc-ci raccogliersi nelricordo entro latrama suggestiva, di inattacabile fascino,delle Risorse di San Miniato al Tedesco, testi-moniava per ciò stesso un’inclinazione diGiosue, in quei tempi, a cercare e a fissareun’immagine di sé, un ritratto ne varieturda sottrarre, con tenacia, alla faziosità del-la polemica politica, impigliata nelle sec-che del suo “cabotaggio di piccolo corso”.

È pur vero, a ben vedere, che il 1882significava altresì l’Italia della Triplice, l’I-talia della morte di Giuseppe Garibaldi, l’I-talia di Oberdan, un Italia insomma cherischiava di affossare drammaticamentetutto ciò che aveva retto e informato di séil Risorgimento italiano. Dalla morte diMazzini a quella di Garibaldi, ovvero dal1870 al 1882, si sfaldava e come sfibrava,per ragioni storiche e dottrinarie, la ten-sione ideale che aveva governato l’unifica-zione nazionale. Quale compito imponevaal poeta un tale scenario?

Ebbene, su nessun evento cruciale diquell’annus terribilis Giosue Carducci lasciòmancare la propria testimonianza. E,

quando si pensi alla sua già avvenuta con-versione alla monarchia (sua, come di lar-ga parte della sinistra garibaldina), quando

si pensi al tanto proclama-to “tradimento” di quel-la svolta politica rispettoagli antefatti repubblica-ni del cantore di Satana,si dovrebbe pur ricorda-re che questo presuntotraditore, nello stessomomento, talvolta neglistessi giorni, inneggiavaalle chiome di Margheri-

ta e al capo ghigliottinatodella regina di Francia; che questo profes-sore di prestigio internazionale si schiera-va per Oberdan, venendone processato;che si ristorava lo spirito rievocando la lot-ta, il sangue versato per la libertà nei gran-di fatti del 1792. “La Gironda è finita, persempre finita…”.

Come fece Garibaldi, già vecchio edeformato dall’artrite, quando prestòancora il proprio braccio per combattereper la Francia (quella medesima che, diconcerto con la monarchia sabauda e con ilPapa, aveva sparato su di lui e sui suoi gio-vani a Mentana), Carducci non dimentica-va il debito contratto con la terra vicina,con la culla storica della libertà, dell’amo-re e della lotta per gli ordinamenti civili,per l’indipendenza del pensiero, dellascienza, della politica, da qualsivogliatirannide. Dieci anni prima dei sonetti set-tembrini, in effetti, un tale amore s’eraincuneato nella rievocazione del secondocentenario di Ludovico Antonio Muratori:Carducci, allora, sentiva tanto più crescere

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l’amore per la Francia “quanto più i mieicompatrioti” – scriveva - “affèttano”, dopoil 1870, “di spregiarla od’inventariarne leimmoralità le vanità lefutilità, le leggerezze lefrivolezze le sciocchez-ze, i disonori i furori egli errori”. Così, egli siabbandonava a un innodi lode per la terra vici-na, per la civiltà cheessa aveva insegnato aipopoli tutti della terra:

O letteratura di Vol -taire e di Rosseau, di Dide -rot e di Condorcet, liberatrice del genere uma -no, rivoluzionatrice del mondo, sciagurato chiti rinnega, infelice chi ti sconosce! Solo la infa -me reazione del quindici, e la sua criticaabbietta che s’inginocchiava al medio evo eall’inquisizione, solo quelle due streghe nefan -de […] dovevano oltraggiarti, o amazzone bel -la! E tu ne vendicasti producendo tutt’insiemeVittore Hugo, la Sand, Michelet, Sainte-Beuve,Proudhon. Dove è oggi un poeta che arrivi alginocchio del vecchio Vittore? o quanti ne hadati l’Europa, dopo il quindici, che gli giunga -no alla spalla? E dove ha la Germania un pro -satore uomo che valga la prosatrice francese?E dove ha l’Europa un’altra fantasia storicacome quella del Michelet, e una critica artisti -ca e psicologica come quella del Sainte-Beuve,e un’analisi di genio, anche dove polemica -mente paradossale, come quella del Proud -hon?

A monte del Ça ira, dieci anni dopo, ilettori più avveduti, in ciò seguendo leaperte dichiarazioni del Carducci, avreb-

bero infatti puntualmente riscontrato pas-si, squarci, intere sequenze dei lavori stori-

ci di Carlyle e diMichelet. Nella prosapolemica di autodi-fesa dal chiacchieric-cio dei critici male-voli lo stesso poetanon avrebbe esitatoad allegare le vocifraterne del grandestorico francese e diquello inglese (amicoe ammiratore, inInghilterra, di Giu-seppe Mazzini: sua

moglie Jane disse, del-l’Apostolo dell’Unità, che non aveva maiconosciuto nessuno che si fosse volonta-riamente fatto, come lui, “carne tritata perl’universo”).

Il lettore di oggi, dunque, prima di sfo-gliare i sonetti settembrini, prima di risil-labarne la fremente, tirtaica passione e diriviverne il furore libertario, non puòdimenticare che Carducci, per la morte diGaribaldi, si rammaricava della pochezzadegli italiani, i quali, tutti presi da meschi-ne contese, non erano più in grado ormai,nel 1882, di cogliere il “gran fondamentod’idealità” necessario a comprendere, nel-la sua eroica pienezza, l’avventura delGenerale. Allo stesso modo, di fronte aimestatori, ai trafficanti, ai nani e ai cobol-di, non poteva che elogiare in Garibaldi ilpolitico “senza ostentazione di furberie”(già avulso nei fatti, come sempre in idea,dalle occulte manovre che portavano alladefinizione della Triplice, già dimenticato

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e rinnegato nell’assassinio del giovaneOberdan…).

Dunque, dunque… Ça ira. Il ritornellodella Rivoluzionediveniva per Carduc-ci la chiave per riaf-fermare la propriaserena, franca, bat-tagliera fedeltà aun’orizzonte liberta-rio che non potevain alcun modo essererinnegato. Un oriz-zonte, si dica subito,che era quello dellaGironda, del riformi-smo moderato e nonestremo di chi sapeva “innovare conser-vando”, con un occhio al passato della tra-dizione e uno fisso, noi diremmo, all’O-riente, al futuro (come Petrarca, Carduccifu simul ante retroque prospiciens). Per il pro-fessor Carducci, impiegato del regno, poe-ta e storico, la fedeltà alla Gironda era unascelta precisa: “Bastonatemi un po’, sepotete, lettori maligni. Io séguito”. E senzaveli d’ambiguità così confessava:

Vorrei (e questo con implacabile e impla -cata ambizione) essere il signor tal de’ taliasciutto asciutto, senza epiteti né aggettivi eco ’l men possibile di relativi. Non potendoconcedermi tanto, mi contento a esser profes -sore di lettere italiane al servizio dello Stato,fin che piaccia alla maggioranza di tollerarmi:quando non più, l’onorevole Bonghi e i suoiamici sanno che io non fo richiami né querele,né gàgnolo né abbaio, né lecco le mani némordo le zampe per di dietro…

Chi, ora, riprenda a mano l’edizionedelle Rime nuove del 1887, dove l’interolibro settimo è costituito dal Ça ira, non

può che avvedersi dicome l’indispensabi-le introduzione aquel mondo sia data,in sede contigua, dallibro VI della mede-sima raccolta, dovefigurano alcune trale più note e celebra-te liriche carduccia-ne di rievocazionestorica. Non tutte,s’intende, precedo-

no, rispetto all’83 deidodici sonetti, la “rappresentazione epica”delle gesta del 1792, ma, rispetto al 1887 diRime nuove, tutte giovano invece a entrareinformati, avveduti, in quei quadri storicimartellanti di rivoluzioni e gagliardamen-te virati al rosso (rosso di sangue, s’inten-de, non di bandiere politiche…). Il dialogofra I due titani, a titolo d’esempio, che risa-le al 1873 e quindi alla gestazione e alla ste-sura delle prime “barbare”, inscena un col-loquio, dall’uno all’altro polo della terra, diPrometeo e di Atlante. Incalzante, il dialo-go tra i “fratelli” (figli entrambi di Giàpetoe della ninfa Asia) deprecava con insisten-te ricorrenza la tirannide di Giove, del Dio-tiranno dei chierici (Maledetto sia Giove, Gio -ve sia maledetto, Il re d’Olimpo stolto, Il vigliac -co del cielo, Il ghiottone celeste): “Te il forte aduna voce ed il sapïente / Maledicono, o Giove”,chiosava infine il Carducci. Dalla rievoca-zione della Leggenda di Teodorico, comepure dal Comune rustico (che è dell’85, e

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quindi riprende ed echeggia strutture dipensiero presenti anche nella prosa, piùche nei sonetti, del Ça ira) sentiamo affio-rare “il sereno e pie-no e soddisfattopossesso della vitaterrestre”, comescrisse AlbertoMario, sposato alla“contentezza chederiva dal posses-so della chiave de’suoi secreti e dellesue leggi”, con una“lietezza scientifi-ca” che innerva di séla coscienza di una “umanità nuova”. NelComune rustico, non senza l’eco di cantimedievali (Fortis iuventus, virtus audax belli -ca, / Vestra per muros audiantur carmina), dei“rustica corda” di Properzio, del Virgilio diEvandro e Pallante, ritorna poi il senso qui-ritario di una morale storica e stoica, fru-gale, magnanima, evocata già nel furoregiambico dei versi indirizzati agli amicidella Valle Tiberina (E pensai quando i tuoiclivi Tarconte / Coronato pontefice salì, / E, fer -mo l’occhio nero a l’orizzonte, / Di leggi e d’ar -mi il popol suo partì). Coloro insomma che siadornavano di tali virtù, aggiungeva scher-zando Carducci, rifuggivano le “sbornieacquatiche” e si nutrivano, al pari deigrandi poeti, di “bistecche crude”. Di làdalla celia, va da sé che il Carducci girondi-no profilava al lettore un’umanità ferrigna:

E voi, se l’unno o se lo slavo invade,Eccovi, o figli, l’aste, ecco le spade,Morrete per la nostra libertà.

Eguale discorso si potrebbe fare per Su icampi di Marengo, dove la resurrezione pas-quale è resurrezione di libertà dallo stra-

niero (Diman Cristorisorge. De la romanaprole / Quanta novel -la gloria vedrai dima -ni, o sole!), per Faidadi Comune (la primadel 1872, la secondascritta e correttafra il 1875 e l’87),per la Ninna nannadi Carlo V (dove,come già nell’Inno a

Satana, il “nuovo tem-po che libero nasce” ha il carattere prote-stante di Lutero, il quale “pasce” il motoche porterà all’Illuminismo e alla Rivolu-zione di “midolla di pensier”, e dove Car-ducci manifesta il proprio disdegno per unItalia capace di partorire la Triplice), infi-ne per l’omaggio a Vittore Hugo, scrittonel febbraio del 1881, chiuso con inno bendegno della Gironda: “Canta a la nuova pro -le, o vegliardo divino, / Il carme secolare delpopolo latino; / Canta al mondo aspettante,Giustizia e Libertà”.

A questo punto, a me pare, s’intendemeglio il polittico dei sonetti settembrini,quel loro far scaturire dalla terra, dai segnidella natura, quindi da una morale natura-le che non accetta di essere conculcata, larivolta (Stride l’aratro in solchi aspri: la terra /Fuma: l’aria oscurata è di montanti / Fantasimiche cercano la guerra: I 12-14). Ancora dallaterra, anzi, per dirla nuovamente conAlberto Mario, dalla “rivendicazione della

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terra sul cielo”, simbolo della rivendicazio-ne di libertà del popolo sulla tirannide deire e dei pontefici, nascono,come Prometeo e Atlante,gli eroi feriali, indomiti,tetragoni, della Rivoluzio-ne, i giovani ardenti ches’immolavano per la liber-tà con la gioia nuziale diconsacrarsi a un’idea supe-riore al tornaconto perso-nale (II 1-6, 12-14):

Son de la terra faticosa i figliChe armati salgon le ideali

cime,Gli azzurri cavalier bianchi e

vermigliChe dal suolo plebeo la

Patria esprime.E tu, Kleber, da gli arruffati cigli,Leon ruggente ne linee prime.[…]E Marceau che a la morte radïosaPuro i suoi ventisette anni abbandonaCome a le braccia d’arridente sposa.

I fatti della Rivoluzione vengono evoca-ti di scorcio, attraverso episodi e figure dipotente incisiva efficacia. Il ritmo coraledei sonetti è incalzante (IV 12-14):

Grande in ciel l’ora del periglio passa,Batte con l’ala a stormo le campane.O popolo di Francia, aiuta, aiuta.

Non meno delle “ree Tuglierì di Cateri-na”, del proclama di Brunswick del 25luglio 1792, causato e come insufflato dauna monarchia fedele ai nemici dellaPatria (Brunswick appressa, e in fronte a le sue

schiere / La forca; e ad impiccar questa ribelle /Genìa di Francia ci vuol corda assai: III 12-14),

i fatti salienti di quella sta-gione d’eroismo e di san-gue, di utopia e di barbarieomicida, vengono ricordatidal poeta attraverso i nomidei principali protagonisti:Danton, Marat, Robespier-re…. Luoghi e personaggi,non di rado in quella formanecessariamente ellitticache è propria della rievoca-zione poetica, vengono cosìrappresentati con una pre-gnanza, con un’evidenzadescrittiva e memoriale chene accresce il rilievo. Il tra-dimento di Verdun (Udite,

udite, o cittadini. Ieri / Verdun a l’inimico aprìle porte: V 1-2), il disprezzo per le sue fan-ciulle che ballarono con gli invasori, costa-rono al Carducci polemiche cui egli rispo-se con baldanzosa e irriverente fermezza:

Per le donne che abbracciano e salutano inemici della patria io non ho tenerezze. Acoteste puttanelle di Verdun la mannaia cre -do anch’io che fu troppo, ma oh che santo sco -parle a dorso d’asino per le strade! Così pensaifin da ragazzo, quando vidi le “sfacciate don -ne fiorentine” – ed erano gran dame e titolate– far festa al maresciallo Radetzky.

Così, ancora, il delirio di sangue vieneinteso da Carducci come tragica e tardivaconseguenza di antichi orrori, come lastrage di San Bartolomeo, come, primaancora, il genocidio degli Albigesi e l’ecci-dio dei Templari. I fatti non sono colti nel-

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la loro nudità, ma ripensati e rievocaticome in un sogno, con l’evidenza allucina-ta e straniante delle visioni profetiche (VI12-14):

Marat vede ne l’ariaoscure torme

D’uomini conpugnali erti passando,

E piove sangue don -de son passati.

E ancora (VII 1-4):

Una bieca druidicavisione

Su gli spiriti cala egli tormenta:

Da le torri papali d’AvignoneTurbine di furor torbido venta.

Il passato remoto della cattività avigno-nese s’intreccia alle stragi dell’autunno del1791, quando la cittadina fu annessa allaFrancia (nel settembre) e, in ottobre, il 16 eil 17, i controrivoluzionari compironodelitti efferati. Dalla profondità dei secoli,tra le spire della “druidica visione”, ascen-de una torva ebrietà di violenza (VII 5-8):

O passïon degli Albigesi, o lentaDe gli Ugonotti nobil passïone,Il vostro sangue bulica e fermentaE i cuori inebria di perdizione.

Si scandalizzarono alcuni per l’icasticascena dello strazio del corpo della princi-pessa di Lamballe (VIII 5-8):

E giacque, tra i capelli aurei fluenti,

Ignudo corpo in mezzo de la via;E un parrucchier le membra anco tepentiCon sanguinose mani allarga e spia.

Per questo episodio, come per altre sce-ne truci rappre-sentate neisonetti, Carduccisi dovette difen-dere da censureche non inten-devano affatto lapienezza com-posita del polit-tico francese:l’inno alla liber-tà, alla Rivolu-

zione, la condan-na della ferocia, ma insieme la serenità neldistinguere, anche nella ferocia, ciò chediscendeva da una degenerazione dellagiusta causa da ciò che discendeva, di con-tro, dalla cupa, torva violenza dei tiranni.

Non possiamo, in conclusione, fermarcia lungo sulla prosa di autodifesa che Car-ducci scrisse per la propria corona disonetti. Intendeva bene, del resto, che lecensure a lui rivolte nascevano da un dif-fondersi di mediocrità, che non tolleraval’ingombro, la ‘scomodità’ dei grandi idea-li:

Intanto positivismo e americanismo lavo -rano di buzzo buono a macinare tutto il mon -do de’ vecchi iddei, tutto l’ideale e tutto il fan -tastico. Nulla ha da rimanere in piedi, se nonil vero materiale, il vero che si tocca, che sibrancica, che si compra e vende, che siammazza.

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Questa rivendicazione di un’idealità dadifendere, di un progetto di società liberada custodire e promuovere,da impiantare e diffonderein un’Italia che andavafacendosi scettica e cinica,furono senz’altro alcune frale cause del rientro operosodi Carducci in Massoneria.L’uomo fedele alla Girondanon poteva non assumereun posto di battaglia. Ilriformismo illuminato diLemmi, come poi di Nathan,vide infatti in Carducci unostrenuo sostenitore, maidimentico che, per lavorareal bene e al progresso dell’u-manità, bisogna scenderefra gli uomini, rimboccarsile maniche, operare fra loro econ loro. L’animo era, come sempre, pron-to al cimento:

Tutte le mattine io mi sveglio con unamaledetta voglia di fare ai pugni: […] il primosentimento onde mi si annunzia la vita sana èil bisogno della lotta per l’esistenza.

Come “uomo di libertà” – così egli defi-niva Garibaldi – non dimenticava inoltreche i fatti di Francia avevano rivelato unastretta parentela con il cristianesimo liber-tario, popolare, comunale, anticlericale,quello dei Comuni, di Arnaldo da Brescia,di Dante, e, in anni vicini, di Ugo Bassi. Iversi che spaventavano l’onorevole Bonghinell’inno francese (Celui qui s’élève on l’a -baissera / Et qui s’abaisse on l’élèvera) veniva-no subito ricondotti, dal poeta, a Luca 14, 2,

e al “sociale rinnovamento predicato daGesù”, più avanti definito “internazionali-

sta giustiziato”:

Oh no, questi due versisono il verbo della missionedi Gesù: Chiunque s’innalzasarà abbassato, e chi s’ab -bassa sarà innalzato. Che sevogliamo discutere dellaciviltà di quella missione,discutiamo pure, ma altro -ve; per ora stia fermo che larivoluzione francese fu unmoto storico altamente cri -stiano, che la canaglia san -culotta strillando il ça iracantava le massime delNazareno, il quale afferma -va essere venuto in questomondo a portare non la pacema la spada.

Su questo fondamento, su questa sacra-lità laica e libera, tutta massonica, Carduc-ci evocava il pregio, il lascito della Rivolu-zione e dell’esperienza napoleonica: purcon tutti gli errori compiuti, pur con lestorture che la storia ha registrato, i fran-cesi infatti “ci spazzolarono, poniamo con lagranata, dalla polvere delle anticamere e daltanfo di sagrestia: essi ci armarono, ci discipli -narono…”. Contro la “inoculazione italicadel comunismo parigino”, insomma controil materialismo storico che per il poetainfestava il pensiero italiano sullo scorciodel XIX secolo, Carducci auspicava, dauomo del Risorgimento, il “sentimentofondamentale d’una esistenza vigorosa etranquilla”, che, in un’Italia dove “mancadel tutto l’idealità”, si doveva ripristinare

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unicamente con “la religione delle tradi-zioni patrie e la serena e non timida con-scienza della missione propria nella storiae nella civiltà”.

Di qui, per lasua parte, unavita integral-mente massoni-ca, lontana da“affocamenti dipiccole passioni,urti di piccoliinteressi, barba-gli di piccoli van-taggi”; di qui l’a-scesa alla Came-ra Alta, la tessitura di un discorso pacifica-tore sul Risorgimento, affidato non meno aRime e ritmi che alle Letture del Risorgimentoitaliano. In un paese di nani panciuti e pro-tervi il progetto massonico di Carduccirestava invariato:

L’idealità di una nazione, la religione cioèdella patria, ha per fondamento, per focolarealimentatore, una o più realità: ciò sono unagraduale trasformazione e ascensione delleclassi inferiori verso il meglio; un ordinato esano svolgimento delle forze economiche nelleclassi mezzane; un’aristocrazia almeno delpensiero, della scienza, dell’arte, in una coltu -ra superiore di genio altamente nazionale.

Purtroppo, la domanda che Carducci siponeva è ancora la nostra: “Ora che fecero diquesto e per questo i governanti italiani?”. Ilproblema da risolvere, il nemico da com-battere, in nome della triade libertaria diFrancia, era ed è tuttora quello di una“scuola senza pensieri”, di un “governo” e

di una “politica senza idee”, di una “vitasenza convinzioni”.

Il polittico dei sonetti, come la prosache li difende e accompagna, sono perciò

uno dei più altidocumenti dellavita massonica diGiosue Carducci.Essere, come eglifu, un “conserva-tore sovversivo”,guardare cioè allatradizione per sca-vare oscure e pro-fonde prigioni alvizio, per operare

coi lumi della Forza, della Saggezza, dellaBellezza, significava restare fedeli a quelriformismo che si era inverato nella Giron-da. Intorno a lui, ormai, Giosue non vedevache scetticismo, che pochezza di idee. Unalunga fedeltà alla libertà tra gli eguali e trai “fratelli”, del resto, si poteva pagare conla vita e, soprattutto, richiedeva il cimentodi una milizia quotidiana.

A quest’ultima, in effetti, strenuamentesi votarono, se ripenso in chiusura allelapidi che adornano l’ingresso nella nostraUniversità, già ricordate al principio diquesta lettura, i giovani italiani morti dal1794 al 1867. Degli ideali di Francia i primia offrire testimonianza con la vita, a Bolo-gna, furono Luigi Zamboni e Giovanni Bat-tista De Rolandis. Il testo dell’epigrafe chesi legge in via Zamboni 33 ricorda che essitrassero dalla tradizione italiana “l’amoreoperoso / per gli ordini liberi e civili / e laeroica virtù del sacrificio / per cui / primiassertori dei diritti e della libertà d’Italia /

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morirono vittime della tirannide pontifi-cia. / 1795-1796 / Esempio e monito a chistudia / Ed a chi inse-gna”. Di quellaGironda, di quellarivoluzione che nonabbatteva se non peredificare, Carducci futestimone infaticabi-le, nell’aula di lezio-ne, nell’opera lette-raria, nella vita pub-blica e privata.

Così egli scrivevaall’amico Alberto Mario in una pagina(Ritratto a tocchi), uscita prima sul “DonChisciotte” di Bologna il 2 dicembre 1881,ripubblicata poi in Confessioni e battaglie del1883, che appartiene quindi agli anni, alclima culturale del Ça ira. Con queste paro-le vorrei concludere:

Odi, Alberto Mario. Io ho ancora un ideale.Ed è quello di morire su la ghigliottina, con -dannato dal popolo vincitore.

Il popolo, corrotto e accanato dai governi,pasciuto di frasi e aizzato al vento dai demo -

cratici, quando romperà la sbarra ci scannerà;cioè ci giudicherà.

Ci giudicherà, perchénoi vorremo ancora lalibertà e la giustizia:due parole che son perdivenire di cattivafama: l’una sbatac -chiata in faccia allagente che non puòusarne, perché hafame e miseria e igno -ranza: l’altra masche -rante le mutazionidegl’interessi nelle

classi dirigenti. Noi veramente non pensavamo così. Ma…

ma allora sarà quello che sarà [quindi, çaira…].

Alberto Mario, ti do ritrovo alla ghigliotti -na.

Ma vedi, né meno ci ghigliottineranno.C’impiccheranno, come servi feudali: ci lapi -deranno, come ebrei.

La Gironda è finita, per sempre finita.

Eppure, Giosue Carducci continuò sinoalla fine a conformare la propria esistenzaal culto della libertà e della giustizia.

Ça ira.

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Templarismo e Massoneria

di Bent Parodi di BelsitoSaggista

Every myth tells about a primordial era when Heaven and Earth were united, then afatal division came and forced men to fight in order to bring the terrestrial plane nearto the celestial one. For this reason temples were built, before into mountains and openplaces, then with a real solid architecture. This is the same meaning of the greatmedieval constructions (Gothic and Romanic churches), which were strongly support -ed by the corporations of Freemasons.

ell’immaginario collettivo ilmartirio dei Templari ha assun-to negli ultimi secoli una dimen-

sione autenticamente mitica, soprattuttoal livello delle coscienze laiche. In partico-lare, la Rivoluzione francese e la condannaa morte di Luigi XVI e di Maria Antoniettafurono considerate una vendetta postuma,frutto della maledizione scagliata in puntodi morte dall’ultimo Gran Maestro dell’Or-dine del Tempio, Jacques de Molay, arsovivo per ordine del re Filippo il Bello. E,ancora negli ultimi cento anni, sul merca-

to editoriale internazionale, è proliferatoun incredibile numero di libri, più o menofantasiosi, dedicati ai Templari.

In realtà non v’è alcuna certezza stori-ca che il Tempio abbia avuto autenticisegreti esoterici custoditi al suo interno. Etuttavia sull’esistenza di misteri dell’Ordi-ne si è stabilito un consenso pressochéuniversale.

Anche la Massoneria storica ha subito ilfascino del templarismo. Sicché al sacrifi-cio di Jacques de Molay e dei suoi cavalieriè dedicato uno dei principali gradi del Rito

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Scozzese Antico ed Accettato, il 30°, deno-minato dei cavalieri grand’eletti Kadoscho, anche, dei cavalieri dell’Aquila bianca enera. Il termineKadosch, di origineebraica, significal e t t e r a l m e n t e<santo>, <consa-crato>, <purifica-to>. In che senso?Lo spiega un note-vole studioso dellaM a s s o n e r i a ,Umberto GorelPorciatti (Simbolo -gia massonica deigradi scozzesi, Edi-trice Atanòr, Roma, 1947, p. 263): <Ciò nonvuol dire che i Cavalieri dell’Aquila Biancae Nera debbano avere pretesa di santità nelsenso canonico di considerarsi degli elettida Dio nel numero dei Beati, bensì che deb-bano rappresentare degli eletti e perfettiMassoni. Come tali devono essere, purifi-cati da qualsiasi pregiudizio, consacratiallo studio ed alla pratica di tutto ciò chepuò portare beneficio al proprio simile econtributo al progresso sociale>.

Assieme al 19° e al 20°, entrambi di ispi-razione templare, il grado di cavaliereKadosch è pervenuto al Rito Scozzese daquello preesistente di Hérédom. Il nomeverosimilmente deriva da heredem, here -dum (<erede>) che, per ragioni di segretez-za, si scriveva alla maniera rosacrucianaHRDM. Ma eredi di che cosa? Bene, lo dicela leggenda o storia massonica che siaaffermando che dopo l’eccidio dei capiTemplari, avvenuto a Parigi nel 1314, i

pochi superstiti si rifugiarono in Scoziaove si posero sotto la protezione e agliordini di Robert Bruce che ne era il re, e

questi, o per ricom-pensa dei serviziricevuti o permeglio proteggerlili fuse nella preesi-stente Loggia diKilvinning che, inloro onore, elevòdi grado chiaman-dola Grande LoggiaReale di Hérédom.

Su questo rifu-giarsi in Scozia deisuperstiti Templa-

ri- ricorda ancora il Porciatti-sono concor-di varie versioni. Ve ne è una che fa ilnome di Pierre d’Aumont che sarebbe sta-to poco dopo eletto Gran Maestro dell’Or-dine, successore del giustiziato de Molay;un’altra parla di Templari che sarebberoentrati a fare parte di alcune corporazionimuratorie scozzesi nelle quali le loro capa-cità tecniche e manuali potevano essereutilizzate.

Ad integrazione della leggenda cosìcome testé descritta v’è da registrare unavariante. Un altro importante studioso del-la Massoneria, Salvatore Farina, scrive(Rituali dei Lavori del Rito Scozzese Antico edAccettato, Edizioni Bolla, Milano, 1961):<Secondo la leggenda del 30° grado, l’Ordi-ne dei cavalieri del Tempio avrebbe com-preso pure un Collegio di Santi (in ebraicoKadosch) che avrebbero professato unadottrina segreta, appresa in Oriente.

Dopo la dispersione dell’Ordine, questo

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Collegio si sarebbe perpetuato, per via ini-ziatica, sia fra i Cavalieri di Sant’Andrea diScozia, sia come organismoindipendente. Aggiunse allo-ra al suo insegnamento filo-sofico il compito di comme-morare il ricordo e di vendi-care idealmente il suppliziodi Jacques de Molay.

La dottrina segreta deiTemplari- aggiunge il Farina -si sarebbe perpetuata sottouna forma indipendente edautonoma. I suoi affiliati nonavrebbero assunto formemassoniche che al tempo incui la Libera Muratoria avevagià preso un indirizzo specu-lativo. E’ in una Loggia di Lio-ne, fra il 1741 e il 1743, che sitrova per la prima volta il gradodi Kadosch o di Piccolo Eletto. Si è ancheaffermato, ma senza prove, che tale gradosarebbe stato introdotto da cavalieri diMalta, espulsi dal loro Ordine verso il 1740,perché appartenenti alla Libera Muratoria.Ciò che si conosce del suo rituale è che essisi imponevano il fine di vendicare la mor-te di un personaggio chiamato Giacomo.Questo grado venne posteriormente unitonei vari sistemi di origine scozzese: il Capi -tolo di Clermont, i Cavalieri d’Oriente, gli Impe -ratori d’Oriente e d’Occidente, i Principi delReal Segreto, il Rito Scozzese primitivo ed infi-ne il Rito Scozzese Antico e Accettato.

Un passo del rituale Kadosch aggiungeun altro tassello alla leggenda della diaspo-ra templare, così come è riportato nel Fari-na. L’Ordine- vi è detto- non fu annientato

per intero, come speravano i suoi persecu-tori. Alcuni cavalieri decisero di ritirarsi in

Portogallo ove, sottola protezione del reDionigi, fondaronol’Ordine del Cristo.Sembra tuttaviache, nel corso deisecoli, la dottrinasegreta dei Tem-plari sia cessatanella terra iberica eche essa sia statasacrificata al desi-derio di disarmarel’ostilità della Chie-sa romana. Invecela Scozia aprì il suoasilo ai proscrittiche vi fondarono

l’Ordine di Sant’Andreadi Scozia.

Fin qui la <mitologia> massonica suicavalieri del Tempio. Quanto alla loro sup-posta dottrina esoterica è giusto sottoli-neare che gli storici più seri e documenta-ti non sono stati finora in grado di offrirealcuna certezza al riguardo. Non è provatoche esistesse altro statuto al di fuori dellaRegola ufficiale: essa era perfettamenteortodossa perché di carattere monastico.Gli sforzi riuniti di Clemente V e di Filippoil Bello non ebbero il potere di condurre ilConcilio a pronunciare la condanna del-l’Ordine. Si sarebbe avuto un tale esito sefosse stato possibile stabilire la sua conni-venza con le dottrine degli eretici, come iCatari, o dei Mussulmani?

Infine, per quanto riguarda il richiamo

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massonico alla vendetta non v’è miglioreconclusione di quella illustrata da Salvato-re Farina, nel volume già citato: <…Non sitratta di vane ed assurderappresaglie contro gli ere-di degli uomini e delle isti-tuzioni che inviarono alrogo de Molay e tanti altrimartiri; e neppure quandoparliamo di dottrine segretepuò esser questione diriprodurre le dottrine deiManichei, degli Averroisti odegli Gnostici, che furono onon furono quelle dei Tem-plari. La miglior vendettache noi possiamo trarre innome dei tanti perseguitatidi ogni epoca è quella dilavorare per il raggiungimen-to di uno stato morale che renda impossi-bile il ritorno agli attentati alla libertà dicoscienza e alla indipendenza della ragio-

ne. Anche il nostro Templismo, se si puòusare questo termine, non è che un mododi dire, il simbolo di un’Idea, come del

resto è per la resur-rezione di quanto,religioni o filosofie,il Rito ScozzeseAntico e Accettatosi sforza di rianima-re per ricavarnequanto essi rac-chiudono di miglio-re. E’ l’insieme, opiuttosto la sintesiragionata di questaricostruzione, chedà l’ultima parolaalla Libera Murato-ria nel suo sviluppo

attuale, il fondamen-to del Tempio che si innalzerà più altoancora sotto l’utensile nostro e dei nostrisuccessori…>.

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Educazione e formazione dei giovani sono state terreno diconfronto continuo tra la Chiesa cattolica e la Massoneria, cheha rappresentato la punta avanzata della cultura laica in etàliberale. Secondo gli Autori un nodo cruciale e ancora nonrisolto nel difficile confronto tra laici e cattolici, dall’Unità d’I-talia a oggi, è stato quello dell’insegnamento della religionenelle scuole. Con l’avvento del fascismo si ricompone la frat-tura tra lo Stato e la Chiesa che raggiunge i suoi obiettivi aspese della Massoneria italiana messa fuori legge, mentre il pensiero laico-masson-ico cessa di esercitare la sua influenza. Attraverso la lettura di questo saggio è pos-sibile comprendere quanto sia stato rilevante il ruolo della Massoneria nel-l’evoluzione del sistema scolastico italiano in età liberale e come il quadro generalevenga stravolto negli anni del regime da un’alleanza ideologica, prima ancora chepolitica, destinata a lasciare un’impronta di cui ancora oggi si sente il peso.

Segnalazioni editoriali

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ANNA MARIA ISASTIA E ALESSANDRO VISANI

L’idea laica tra Chiesa e MassoneriaEd. Atanòr, Roma, 2008. pp. 177 € 14,00

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SEGNALAZIONI EDITORIALI• 94 •

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[...] Con l’interpretazione della leggenda del Terzo Grado misono proposto di offrire l’occasione di verificare (con chi vor-rà) se gli strumenti muratori - e per prima la leggenda - sianomezzi idonei come metodo per indirizzare, correggere se c’è dacorreggere, produrre idee, opinioni, propositi nostri e nuovi,manifestabili tra i profani. Pertanto, indico alcuni temi e argo-menti di interesse immediato e altri di portata vasta e politica

sui quali siamo stati - e potremo essere - chiamati a esprimerci: a) massoni si nasce;b) bioetica: ricerca su materiali biologici, accanimento terapeutico ed eutanasia, don-azione di organi, testamento biologico; c) libertà religiosa e concordati, integralismoe fondamentalismo; d) tolleranza e suoi limiti; e) diritti della persona e loro tutela; f)scuola pubblica e privata, ricerca scientifica e sua applicazione alla formazione pro-fessionale; g) immigrazione clandestina e immigrati; h) ecologia, giovani e future gen-erazioni; i) universalismo muratorio e globalizzazione; l) le guerre e la guerra giusta;m) il terrorismo e la violenza sulla popolazione come mezzi di lotta politica; n) noi ela politica; o) se la tecnica e la tecnologia hanno mutato il loro essere mezzo in fine. [...]

GIUSEPPE CACOPARDI

Il terzo grado della Massoneria e la sua leggendaBrenner Editore, Cosenza, 2008. pp. 139 € 12,90

Che cosa accomuna personaggi così lontani quali Cagliostro eAllende, Casanova e Gelli, Robespierre e Garibaldi, De Sade eCarducci? E che dire del fosco Dumini, che uccise Matteotti? Odi Aleister Crowley, “il più disgustoso e malvagio individuo ditutto il Regno Unito” (parole di W. Churchill)? O ancora:celebrità quali il conte De Maistre, Franklin e il librettistamozartiano Da Ponte che cosa hanno da spartire con il mistifi-

catore Leo Taxil o con Jean-Marie Gallot, oscuro prete di campagna ghigliottinatodurante il terrore? E poi, è mai possibile mettere insieme la sventurata Maria Antoni-etta e la “plebea” e anarchica Louise Michel?

LINO SACCHI

Storie sorprendenti di Liberi Muratori (certi e presunti)Edizioni L’Età dell’Acquario, Torino, 2008. pp. 122 € 13,00

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Este generoso tratado de derecho masónico, constituye laherramienta sistémica que nos permitirá proyectar futurosderroteros, con el pleno conocimiento de nuestras estruc-turas jurídicas, porque hasta hoy divagábamos entre lasinterpretaciones del derecho, conjugando la fuerza de laspalabras, con el único fin, de apuntalar ideas, estructurarconceptos y, por qué no, para hacer hermenéutica de la nor-ma y de la conducta. Por eso, a partir de este fecundo esfuerzo, podremos apre-hender en cada página, las hondas diferencias que median entre un principiogeneral, una norma superior escrita o no y una norma inferior de codificación ode la tradición milenaria; igualmente, entenderemos, el origen, la evolución, ladependencia o interdependencia y el fin de cada conducta, principio o costum-bre normada. En esta perspectiva, de los masones de Santander dependerá queen poco tiempo, tengamos dominio específico y puntual sobre temas desconoci-dos en nuestro medio, como las Fuentes del Derecho Masónico, las cuales nospermitirán enriquecerlo sin desbordar los principios que le dan causa y susten-to a la Orden. En realidad, al disiparse las tinieblas sobre lo que jurídicamenterepresenta para nosotros un Landmark o Antiguo Uso; una Constitución, unEstatuto, un Reglamento o una Norma Consuetudinaria; un Costumbre, un Dere-cho Potencial o Interpotencial y sus categorías, hablaremos el mismo idioma,manejaremos la misma ciencia, tendremos el mismo norte conceptual y porsobretodo, sabremos a conciencia...

RODOLFO MANTILLA JÁCOME

Manual de Derecho MasónicoEditorial Solidaridad, Colombia, 2007. pp. 217

I 40 personaggi raccontati in questo volume hanno tutti avuto esistenze straordinariee sorprendenti, chi più chi meno hanno lasciato una traccia nella storia, hannoinfranto le regole condivise, il buon senso, la morale, a volte la legge, quasi sempre iprecetti religiosi. E tutti (probabilmente) sono stati massoni. Atipici, originali, anchebizzarri alcuni, di diseguale rispettabilità, ci aiutano a capire quel fenomeno miste-rioso che è la Massoneria.

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In genere, pensando a forze armate e a beni culturali, si ritienedi parlare di due ambienti fra loro assai lontani, opposti, in lot-ta. Militari, forze armate, guerre - si dice - possono solo dis-truggere e sono irriducibili nemici dell’arte e della cultura.Senza negare l’evidenza, però, e guardando più da vicino, èpossibile osservare che nella storia le vie delle forze armate e

quelle dei beni culturali si sono incrociate in modi più complessi e contraddittori. Cer-to, storicamente, lo scopo delle guerre era di vincere il nemico ad ogni costo, ancherovinandone il patrimonio artistico o impadronendosene. Ma di recente, assieme aguerre dichiarate alle identità culturali dei popoli e delle nazioni, nelle operazionimilitari è possibile intravedere segni concreti del diffondersi - grazie ad un nuovodiritto internazionale - di un rispetto nuovo per i beni culturali dell’avversario, final-mente sentiti come patrimonio comune dell’umanità.Analogamente, nella loro storia le forze armate non hanno solo distrutto beni e pat-rimoni culturali: li hanno anche creati. Città e paesi sono affollati da lapidi, monu-menti, segni di memoria relativi alle guerre: molti fra essi sono stati eretti per inizia-tiva di forze armate, di reparti militari, di associazioni di reduci.Infine, ancora oggi, una parte non secondaria del patrimonio culturale - monumenti,opere d’arte, biblioteche, archivi, beni culturali in genere - si trova gestita dalleamministrazioni militari. Si tratta di un patrimonio complesso che deve essere oggistudiato, conservato, valorizzato.Parlare di forze armate e beni culturali, insomma, significa affrontare questioniimportanti e diverse, non facilmente schematizzabili, che impongono sfide culturali,tecniche e politiche tanto alle amministrazioni militari quanto agli studiosi.Questo volume - con saggi sull’Italia contemporanea di giuristi, storici, tecnici deibeni culturali - rappresenta il primo contributo nazionale a una riflessione sul tema.

A CURA DI NICOLA LABLANCA E LUIGI TOMASSINI

Forze armate e Beni culturali. Distruggere, costruire, valorizzare.Edizioni Unicopli, Collana del Centro Interuniversitario di Stu-di e Ricerche Storico-Militari, Milano, 2007. pp. 299 € 16,00

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La realtà dell’induismo è rimasta per molti secoli legata alsubcontinente indiano, alla conoscenza fra gli studiosi o all’al-ta cultura; oggi acquista sempre maggiore risonanza inter-nazionale non solo per la diffusione dei fedeli in tutti i conti-nenti, ma soprattutto per l’interesse sollevato nel mondo damolti suoi aspetti, come la dottrina delle rinascite, la testi-monianza di Gandhi e la nonviolenza, lo yoga e la medi-tazione, la medicina tradizionale. Da parecchi punti di vista, l’induismo sfugge aquasi tutti i requisiti che a occhi occidentali caratterizzano una religione: non van-ta nessun fondatore, non è retto da una gerarchia ecclesiastica centrale, privilegiail comportamento quotidiano rispetto all’adesione a un “credo”, manca perciò difatto di una definizione dell’ortodossia. Anche i grande testi sacri sono per lo piùanonimi e soggetti nel corso della tradizione secolare a un lavoro incessante diinterpretazione e commento. Così, si può essere un autentico hindu, impeccabilesostanzialmente e formalmente, pregando come Dio supremo Shiva, oppure rivol-gendosi a Vishnu, ma anche essendo ateo. Usi determinati, che per un fedele sonosanti e spiritualmente fecondi, possono apparire perfino disgustosi a un altro, sen-za però che nessuno dei due gridi all’eresia.Gli obblighi formali sono ridottissimi, ma la vita intera è concepita come una suc-cessione significativa di momenti sacri, tutti scanditi da rituali appropriati. Perfi-no i nomi “hindu” e “induismo” sono un’invenzione in origine estranea alla realtàche designano: derivato dal nome del fiume Indo, infatti, l’aggettivo è di coniomusulmano e indicava coloro che non si erano convertiti all’islam e non erano bud-dhisti. Una denominazione in negativo, quindi, che si è riempita gradualmente dicontenuto, è stata poi adottata dai dominatori inglesi e inevitabilmente un po’deformata dall’idea di religione abituale per i cristiani. Certo oggi l’aggettivo hin -du e il derivato hinduism, con gli adattamenti nelle diverse lingue europee, sonodiventati di uso corrente in tutto il mondo. Gli hindu, però, chiamano la loro reli-gione sanatana dharma, l’“eterno dharma”; il termine è di fatto intraducibile inquanto mantiene uniti gli aspetti che l’Occidente ha suddiviso in legge religiosa,diritto sia pubblico sia privato, legge naturale. [...]

GIULIANO BOCCALI E CINZIA PIERUCCINI

InduismoElecta, Dizionari delle Religioni, Milano, 2008. pp. 336, € 20,00

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Oggi le religioni sono tornate sulla scena pubblica e siamoimmersi nel pluralismo religioso. A fronte di simili cambiamen-ti, spesso ci mancano il linguaggio e le informazioni per poteraffrontare il dialogo e per capire quanto sta accadendo intornoa noi, anche se cominciamo ad intuirne l’importanza. Così, nelconfronto quotidiano con l’altro, anche le parole stanno cam-biando di significato: e in primo luogo le parole religiose...

Su tale sfondo, la collana “Parole delle fedi” si propone di fornire qualche inizialechiave di lettura del mutamento religioso in atto, redigendo le voci di un sempre piùnecessario vocabolario interreligioso, scegliendo fra le parole-chiave del tradizionaleuniverso del sacro. Perché l’odierno processo di interculturalità non può non fare iconti col caso serio delle religioni.

GIULIO SORAVIA

ParolaEditrice Missionaria Italiana, Bologna, 2007. pp. 63 € 4,50

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Da sempre, nella storia, i popoli hanno cercato di parlare deigrandi misteri della vita, come la sua origine e le forze che go-vernano il mondo, inventando delle storie e creando di con-seguenza delle immagini. Questo libro propone uno studio pit-torico condotto su più di 1500 illustrazioni di scene mito-logiche. Compaiono gli spiriti, gli dei, gli idoli e tutti i generi dicreature accompagnati da brevi descrizioni. L’insieme di

queste immagini costituisce un catalogo unico riguardo uno degli elementi piùaffascinanti della cultura umana.

In queste pagine è proposta una selezione eccezionale di raffigurazioni mitologicheda tutto il mondo, e si tratta quindi di un catalogo unico nel suo genere per quantoriguarda l’immaginazione umana. Esistono molti buoni libri sulla mitologia, maquesto è il primo a concentrarsi esclusivamente sulle immagini visivamente rilevan-ti. Nel corso delle ricerche, abbiamo messo l’accento sull’originalità, sull’impatto visi-vo e la qualità artistica, e anche sulla utilità per i creativi di ogni genere e tendenza.

Mythology PicturesPepin Press & Agile Rabbit Editions, Amsterdam, 2006. pp. 488$ 19,99

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[...] Che, infatti, Zarathushtra sia esistito o meno, e che sia vis-suto nel X o nel VII secolo, non cambia nulla nella mia per-sonale visione del mondo o nella mia interpretazione delDasein, giacché non ho alcun investimento di ordine teologico,religioso o identitario nella tradizione zoroastriana, che restaper me solo un oggetto scientifico e non una fede alla qualeaderire. Se emergessero dati differenti, che portassero a falsi-ficare quanto da me sottolineato, non esiterei a modificare loschema interpretativo, la cronologia e tutte le ipotesi di lavoro che sino ad ora hoavanzato, così come si deve fare nelle scienze, siano esse “esatte” o “storiche”, mapur sempre scienze.

ANTONIO PANAINO E VELIZAR SADOVSKI

Disputationes Iranologicae Vindobonenses, I.ÖAW, Vienna, 2007. pp. 108 € 14,00

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Il Circolo Cooperatori Ravennati, da quando è stato costituitol’8 aprile 1993, si attiene a due criteri: svolgere le proprieattività in autonomia, ricercando sempre la collaborazionedelle cooperative e delle loro organizzazioni provinciali,AGCI, Confcooperative e Legacoop, delle Istituzioni Pubblichedel nostro territorio e di altre associazioni di volontariato edella società civile.Con il proprio impegno culturale per la ricerca storica, la divulgazione dei principie dei valori della cooperazione e dell’economia sociale ha cercato di favorire ilsuperamento della separazione fra i tre grandi filoni della cooperazione ravennatee italiana. [...]Oggi la cooperazione, in particolare a livello nazionale ed europeo, si sta con-frontando con un processo di trasformazione e di evidente transizione economica,sociale e politica i cui scenari ancorché incerti appaiono comunque irreversibili,con “costi umani” probabilmente drammatici.Una nuova sfida che la Cooperazione italiana sta affrontando con grande impegno,partecipazione sociale e alto livello culturale per acquisire una “nuova modernità”imprenditoriale e sociale che le consenta di essere protagonista anche nella nuovarealtà con la quale deve misurarsi.

GIOVANNI BERSANI, LORENZO COTTIGNOLI, SAURO MATTERELLI

La cooperazione ravennateCircolo Cooperatori Ravennati, Ravenna, 2008. pp. 78, € 3,00

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Index of contents:Introduction1. Poet and Poesy — 2. Phrase and Figure — 3. Gods and Goddesses— 4. Sky and Earth — 5. Sun and Daughter — 6. Storm and Stream— 7. Nymphs and Gnomes — 8. Hymns and Spells — 9. Cosmos andCanon — 10. Mortality and Fame — 11. King and Hero — 12. Armsand the Man — 13. Elegy on an Indo-European Hero.

MARTIN L. WEST

Indo-European Poetry and MythOxford University Press, Oxford, 2007. $ 148.00

Il volume raccoglie le relazioni al Convegno ravennate del set-tembre 2006, su “Dante e la fabbrica della Commedia”, tenu-tosi in occasione del VII Centenario dell’ideazione del poema,e ne rispecchia, anche nel ricco corredo iconografico, il carat-tere eminentemente interdisciplinare: all’italianistica si sono,infatti, avvicendate, con la partecipazione di noti specialisti,

la filologia classica e la biblistica, l’iranistica e la musicologia medievale, la bizanti-nistica e la storia del Cristianesimo, l’antropologia fisica e la storia dell’arte.

Introduzione E. Pasquini, Riflessioni sulla genesi della CommediaG.M. Anselmi, Dante e l’interpretazione della storiaP. Vecchi Galli, La fabbrica della terzinaA.M. Orselli, Fonti dell’antica sapienza monastica in DanteG. Ravasi, Dante esegeta del SalterioF.A. Gallo, Dalla terzina dantesca al madrigale trecentesco. L’Ave Maria di Marchetto daPadovaG. Ledda, La Commedia e il bestiario dell’aldilà: osservazioni sugli animali del Purgatorio

A CURA DI ALFREDO COTTIGNOLI - DONATINO DOMINI - GIORGIO GRUPPIONI

Dante e la fabbrica della CommediaLongo Editore, Interventi classensi n. 22, Ravenna, 2008. pp. 400€ 30,00

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M. Ciccuto, Fonti, intertesti e strategie retoriche della cultura figurativa dantesca nellaCommediaA. Panaino, L’aldilà zoroastriano e quello dantesco. Appunti per una riflessione comparati -va e tipologica su forme e motivi ricorrenti nei viaggi ultraterreniG. Chiarini, Dante e la simbologia classica dei sette pianetiA. Oldcorn, In margine al «canto» di GiustinianoA. Carile, Dante e l’orizzonte bizantinoL. Pasquini, Riflessi dell’arte ravennate nella Commedia: nuovi contributiL. Battaglia Ricci, La tradizione iconografica della CommediaG. Gruppioni, Dantis Ossa: una ricognizione delle ricognizioni dei resti di DanteF. De Crescenzio, Tecnologie digitali per la ricostruzione geometrica del cranio di DanteF. Mallegni, La ricostruzione fisiognomica del volto di Dante tramite tecniche manuali A. Battistini, Miti, leggende e personaggi di Romagna nei primi commentatori della Com -mediaA. Cottignoli, «Auctor» e « lector» in Benvenuto lettore di DanteD. Domini, Il culto di Dante a Ravenna. Tra memoria e identitàA. Bruni, Il pellegrinaggio ai luoghi del poeta: il Voyage dantesque di Jean-Jacques Ampère M.M. Donato, Il primo ritratto documentato di Dante e il problema dell’iconografia trecen -tesca. Conferme, novità e anticipazioni dopo due restauri.

I quindici contributi di questo libro, molti dei quali basatisu materiali inediti o comunque su fonti qui esaminate inmaniera originale e innovativa, abbracciano tre grandiscansioni cronologiche: tarda Antichità, alto Medioevo,basso Medioevo-prima Età moderna. È una struttura chevuole offrire, tra l’altro, un’idea della lunga diacronia deitemi avviati e suggeriti dalle ricerche di Alba Maria Orselli, e che investonofruttuosamente sulle dialettiche spaziali e culturali che innervarono l’articola-ta unitarietà delle società cristiane e le relazioni tra i due imperi a partire dalTardoantico; sulla pluralità e la reciproca integrazione delle più varie tipologiedi fonti (letterarie, iconografiche, archeologiche, liturgiche, canonistiche, ecc.)

A CURA DI LUIGI CANETTI - MARTINA CAROLI - ENRICO MORINI - RAFFAELE

SAVIGNI

Studi di storia del cristianesimo. Per Alba Maria Orselli.Longo Editore, Le Tessere n. 16, Ravenna, 2008. pp. 368 € 30,00

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e perciò su una varietà di temi e figure di studio mai circoscritti da qualche astrat-ta rubrica disciplinare; e infine, sulla ricchezza dei miti e dei riti che hanno plas-mato e modificato l’immaginario religioso in oltre un millennio di storia dellaciviltà europea.

Prefazione dei CuratoriI. TARDA ANTICHITÀ: A.M. Mazzanti, Il rapporto dell’uomo con Dio. Significative definizioni di eusebeia in Filonedi AlessandriaL. Lugaresi, Cipriano e il problema degli spettacoli. Per una rilettura dell’Ad DonatumS. Acerbi, Eresia, ideologia e politica nel V secolo. Dioscoro di Alessandria e il monofisismoL. Canetti, «Suxerunt oleum de firma petra». Unzione dei simulacri e immagini mira -colose tra Antichità e Medioevo.

II. ALTO MEDIOEVO: S. Cosentino, L’assedio arabo di Costantinopoli del 654 in una pseudo-Apocalisse del profe -ta Daniele poco nota E. Morini, “Oltre i limiti dell’ecumene”. La tipologia degli eremiti assoluti nell’agiografiagreca M. Caroli, Riscrivere la storia: Wandalberto di Prüm e la Vita Goaris R. Savigni, Israele, la Chiesa e le genti nei due commenti di Beda agli Atti degli ApostoliM. Maresca, Angelo terrestre o uomo celeste. Aspetto degli incorporei e isoangelicità deisanti tra VI e IX secolo.

III. BASSO MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA: A. Nanetti, L’originale del privilegio «Religiosam vitam» di papa Gregorio X per il MonteSinai (1274). Edizione e commento A. Parmeggiani, L’iconografia della nascita della Vergine: un modello di femminilità (Gliaffreschi di Mistrà, XIV-XV secolo)A. Foscati, «Antonius maximus monachorum». Testi e immagini di Antonio eremita nelBasso MedioevoM. Perani, Morte e rinascita dei manoscritti ebraici: il loro riuso come legature e la lororecente riscopertaG. Vespignani, Santi militari, guerra santa e aquile bicipiti a Bisanzio e dopo Bisanzio (secc.XIV-XV). Considerazioni attorno alla icona di san Demetrio del Museo Civico di Sassoferra -to (AN) E. Marchetti, Un missionario del XVIII secolo: Bartolomeo Maria Dal Monte. Nuovi materi -ali e linee di ricerca.

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Questo volume raccoglie il ciclo di conferenze dantescheche hanno avuto luogo nel corso del 2007 a Ravenna, nel-la Biblioteca Classense. La scelta delle tematiche trattate èopera di Michelangelo Picone dell’Università di Zurigo cheha dato, a diverso titolo, un apporto fondamentale allarealizzazione del ciclo e alla cura editoriale degli scrittiche ora qui si presentano. [...]Un viaggio affascinante nella cultura del tempo di Dante, mediolatina e volgare.Anzitutto la florida produzione delle visioni e dei viaggi nell’aldilà (dalla Navi -gatio Sancti Brandani alla Visio Tungdali); o la prestigiosa tradizione del Roman dela Rose; o l’esame dei veri modelli di poema sacro che Dante stesso indicaall’inizio del II canto dell’Inferno, quando riceve da Virgilio la conferma del-l’investitura divina a compiere da vivo il viaggio nell’oltretomba. [...]L’Opera di Dante e l’Istituzione Biblioteca Classense, profondamente grati aMichelangelo Picone e agli autori che con lui hanno voluto condividere l’im-presa, rinnovano con questo ciclo l’alta tradizione di studi specialistici che hacostituito fin dall’esordio il tratto distintivo delle letture dantesche ravennati,nell’auspicio di un sempre nuovo e stimolante sodalizio con le eccellenze deglistudi critici attorno alla figura e all’opera del Poeta in Italia e nel mondo.

I. Le tre Corone: M. Picone, Le tre CoroneS. Bellomo, Dante letto da BoccaccioP. Kuon, Petrarca lettore di Dante.

II. Modelli e antimodelli della Commedia: M. Picone, Gli ipotesti classici (Virgilio e Ovidio)S. Cristaldi, L’ipotesto biblico: l’ApocalisseG. Ledda, Dante e la tradizione delle visioni medievaliL. Rossi, La tradizione allegorica: da Alain de Lille al Tesoretto, al Roman de la Rose.

A CURA DI MICHELANGELO PICONE

Le tre Corone - Modelli e antimodelli della “Commedia”Longo Editore, Letture Classensi n. 37, Ravenna, 2008. pp. 184 €20,00

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Molti scrittori medievali pensavano che il canto degli uccellifosse una sorta di linguaggio la cui sonorità era paragonabilea quella degli strumenti musicali. Il poeta dei CarminaCantabrigensia dice dell’usignolo: “La voce della lira nonriesce a imitare i tuoi suoni. [...] La musica del monocordovien dietro alla tua armonia. [...] A te cede il suonatore di tim-pano e la tromba sonora”. Anche in The Owl and the Nightin-

gale, la voce dell’usignolo è descritta con rimandi a sonorità strumentali: “La melo-dia sembrava quella di un’arpa o di un flauto, ma non lo era; sembrava uscita più daun’arpa o da un flauto che da una gola. [...] Cantò così acuto e forte come se sisuonasse squillante arpa”. E l’allodola di Alano da Lilla addirittura: “Come un nobilecitaredo, non per artificio di studio, ma per insegnamento di natura, dottissima nel-la scienza musicale, presenta una cetra in bocca”.

L’interesse per le voci degli uccelli attraversa tutto il Medioevo, non solo europeo.Enciclopedisti, poeti, filosofi, narratori, musicisti, miniatori se ne occupano se-condo le diverse prospettive del linguaggio in cui si esprimono: latino, lingueromanze, suoni, immagini. Il libro coglie alcuni aspetti di questo complessopanorama attraverso una stretta concatenazione di citazioni testuali opportuna-mente scelte e ordinate.

FRANCO ALBERTO GALLO

“Oci”. Voci d’uccelli in testi medievaliLongo Editore, Le Tessere n. 14, Ravenna, 2007. pp. 88 € 10,00

In quell’angolo di Sud America dove oggi si incrocianoParaguay, Argentina e Brasile, la Compagnia di Gesù real-izzò tra ’600 e ’700 un geniale, inedito esperimento di civi-lizzazione e di evangelizzazione di una popolazione indi-gena primitiva che colpì la fantasia di tutta la cultura euro-pea del tempo: le Riduzioni dei Guaranì. Abbandonate e la-

GIANPAOLO ROMANATO

Gesuiti, guaranì ed emigranti nelle Riduzioni del ParaguayLongo Editore, Ravenna, 2008.

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sciate decadere in seguito alle vicende che portarono alla soppressione della Com-pagnia, le Riduzioni, di cui oggi rimangono imponenti rovine – incluse dall’Unescofra i siti dichiarati patrimonio dell’intera umanità – divennero un mito per viag-giatori, esploratori e missionari dell’800. Oggi sono considerate l’unico elementostoricamente unificante dei paesi del Merco Sur e presentano un intreccio di pro-blemi – antropologici, economici, linguistici, architettonici, artistici, demografici,culturali, archeologici – che ne fanno uno dei soggetti più appassionatamente ri-visitati dalla storiografia latino-americana. Questo libro, frutto di lunghi soggiorni nelle biblioteche e di indimenticabili espe-rienze di viaggio negli spazi sterminati dell’America meridionale – dal Perù, dovesorse la prima Riduzione, al Paraguay, all’Argentina, al Brasile – presenta unarassegna moderna e completa sull’argomento, aggiornata con gli ultimi studiapparsi in lingua spagnola e portoghese e originalmente collegata con l’emi-grazione italiana ottocentesca e primo novecentesca, che andò a stabilirsi proprioa ridosso del territorio delle antiche missioni. Le straordinarie realizzazioni dei no-stri connazionali si sono intrecciate infatti con l’eredità della “Repubblica guarani-tica” costruita dai gesuiti e costituiscono oggi il vero fattore storico-identitario delRio Grande do Sul, lo Stato brasiliano più dinamico ed evoluto.

Editoriali e commentiUna minoranza che sa di esserlo e non ne ha paura, P. CarusoL’oro e loro di Napoli, G. Zannelli

Saggi e interventiPRIMO RISORGIMENTO

Mazzini e l’Ungheria: idee, azioni e libertà, R. PancaldiGiuseppe Mazzini. Aspetti del suo pensiero democratico. Una teo -ria delle forme di governo, C. CariniMazzini, Roma, Democrazia, L. GualtieriImmagine e mito di G. Garibaldi nella recente storiografia, F. TorchianiMazzini e Tocqueville: un rapporto dialettico, S. Pozzani

IL PENSIERO MAZZINIANO. DEMOCRAZIA IN AZIONE.Anno LXIII, numero 1, Gennaio-Aprile 2008.

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SECONDO RISORGIMENTO

In memoria dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, L. BagatinIl dilemma del battesimo, C.L. Farkas

TERZO RISORGIMENTO

Una possibile interpretazione dei risultati elettorali, D. MirriI partiti politici e la loro funzione, G.F. FontanaDa Anfuso a Fini: una parabola che inquieta, G. Properzj

STUDI REPUBBLICANI

Les banlieues francesi: prospettiva di analisi, J. RuffilliLa rincorsa alla scuola di massa, A. Buda

LIBRI, CULTURA, SOCIETÀ

Tra bamboccioni e bulli: giovani, colti e perdenti, F. MilandriL’impronta storica della privacy tra eredità anglosassone e principi cattolici, A. BudaLa conversione di Magdi Allam, A. Chiti-Batelli

Scelta ragionata, A. ProtasoniL’opzione, M. BarducciSegnalazioni, a cura di A. Sfienti

RILETTURE

I baffi di Radetzky, F. Serantini

Pubblicazioni A.M.I.Statuto A.M.I.

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Ulisse, il più discusso e probabilmente il più affascinante fra i personaggi-persona della cultura occidentale di tutti i tempi, è sempre presente come unprotagonista della plurimillenaria avventura cosiddetta spirituale dell’uomo inun contrasto di valutazioni spesso esageratamente unilaterali, giudicato ora inmodo soltanto positivo per le sue virtù, ora in modo soltanto negativo per i suoivizi. Ci si è chiesti per quale motivo l’astro di Ulisse non sia mai tramontato nelcorso dei secoli, e la convincente risposta che è stata data è questa: Ulisse è unafigura che ha acquisito le caratteristiche di un individuo dai molteplici aspettiumani, in uno o in alcuni dei quali è possibile identificarsi. Ulisse è ognuno di noiperché consuma in sé ogni umana esperienza. François Hartog ha definito l’U-lisse dell’Odissea, che con l’Ulisse di Dante costituisce la coppia paradigmaticaprimaria dell’uomo alla ricerca di se stesso, “il viaggiatore” esistenziale che insé “ha visto” e “sa” perché “ha visto”.

La poliedricità e l’ambiguità di Ulisse hanno attirato la mente e la vena dipoeti, romanzieri, filosofi, critici letterari, drammaturghi, musicisti e altri esper-ti in differenti materie, appartenenti alle culture di molti paesi: sono nord-ame-

Recensioni

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LIONELLO LEONI

Il Libero Muratore: un Ulisside del terzo millennio?Prefazione di Bent Parodi di BelsitoSeconda edizione, Edizioni Krypton, 2008. pp. 245 € 12,00

di Morris L. Ghezzi

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ricani e latino-americani, europei (italiani, greci, spagnoli, francesi, tedeschi, porto-ghesi, russi e altri), africani, indiani, caraibici. Ogni autore ha còlto l’aspetto o gliaspetti più congeniali alla sua creatività.

La prima parte del saggio di Lionello Leoni è una rassegna delle rappresentazio-ni figurative di Ulisse nella cultura occidentale, dal 3500 a.C., da Ulisse divinità caria,sino ai giorni nostri.

Sull’Ulisside (Ulisside, come è noto, è un patronimico; il patronimico è tipico delmondo greco antico), sul figlio ideale di Ulisse, su un epigono dell’eroe quale l’auto-re del libro auspica possa diventare l’uomo del terzo millennio, è incentrata la secon-da sezione del saggio.

L’Ulisside come è concepito da Leoni è un uomo vero, “mangiatore di pane”, il cuispazio vitale è la terra, è un uomo concreto, operativo, un uomo “a misura d’uomo”intelligentemente immerso nella quotidianità esistenziale, che, appropriatosi dialcune qualità positive del “padre” ideale, lancia una sfida sull’esempio dell’Ulissedantesco, ma la lancia a se stesso (non è quindi prometeico), conscio della propriafinitudine, e aspira a superare le proprie Colonne d’Ercole sapendo però di appro-dare a una “nuova terra” interiore feconda. I “voli” dell’Ulisside (non si tratta di ununico “volo”) non sono dunque “folli”, insensati, temerari, come è invece il “volo”dell’Ulisse dantesco perché irraggiungibile è l’eccelso traguardo a cui ambisce ed egliè per conseguenza destinato a soccombere; i “voli” dell’Ulisside sono per contro“voli” razionali, siano pure avventurosi, sono “voli” circolari (il cerchio è sempre piùampio), sono nostoi, ritorni dell’uomo a se stesso la cui meta è la sua coscienza.

Matrice di questi voli è la “conoscenza”, il cui concetto, attribuibile all’Ulissidedel terzo millennio, Leoni ha desunto, con opportuni adattamenti, da religioni anti-che e primitive; è un concetto incentrato sulla pronuncia del “nome”, della “parola-nome” come fonte di energia creatrice di realtà. Penetrare in uno stato creativo,pronunciando la “parola-nome”, significa “conoscere”.

Per l’Ulisside “conoscere” mediante la “parola-nome”, che ad avviso di Leoni nonpuò essere altra che “uomo”, equivale ad acquisire volitivamente, attingendo leenergie necessarie dal proprio misterioso centro intimo, dalla propria arcana sor-gente unificatrice e propulsiva interiore — la si chiami “io” o altrimenti — la poten-za creatrice e ordinatrice di se stessi, cioè la capacità di dare a se stessi una struttu-ra etica unitaria solida, assestata, compatta ed euritmica, che è la condizione per agi-re in modo costruttivo nella quotidianità del consorzio civile al fine di migliorare il“mondo” in cui vivere. È dunque la “parola” dell’uomo che crea l’uomo. L’Ulissidedel terzo milllenio dev’essere pertanto un uomo essenzialmente etico.

Leoni si chiede perché il Libero Muratore si identificherebbe con l’Ulisside delterzo millennio. La risposta che dà è semplice: perché lontano dal frastuono mon-dano, in seno a quella “società separata” (come l’ha definita il massone Fichte), che

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non è quindi segreta, qual è la Libera Muratoria, può più agevolmente e compiuta-mente venire foggiato quell’uomo della cui presenza operativa si avverte l’improro-gabile necessità nel consorzio umano. La scuola massonica è infatti una scuola emi-nentemente etica, ed etico è, conseguentemente, il contenuto “culturale” del suoinsegnamento, confluendo nell’ampio concetto di “cultura” quelli di educazione, diformazione, di affinamento dell’uomo affinché giunga al possesso della sua autenti-ca natura umana. La cultura massonica è un processo formativo evolutivo, un viag-gio dall’individuale all’universale, che, dopo una preliminare fase catartica, prose-gue con la formazione della coscienza universalistica del Massone in virtù della qua-le egli è in grado di operare nel mondo “per il bene e il progresso dell’Umanità”: per-ché questo è lo scopo finale del “viaggio” culturale massonico. Di fronte all’Ulissidemuratorio, all’inizio del terzo millennio, si raduna e si agita una folla di problemi, lapresenza di alcuni dei quali fa tremare le vene e i polsi, che esigono soluzioni urgen-ti ed efficaci per salvare l’umanità attuale dal fallimento materiale, morale e spiri-tuale che incombe su di essa. La Libera Muratoria, come istituzione, ha la capacità diessere, nonostante gli ostacoli che vengono frapposti dall’esterno in alcuni paesi delmondo, il centro di diffusione nella vita civile di un neoumanesimo essenzialmentepratico imperniato sull’etica, più specificamente il centro di raccolta, di vaglio, dielaborazione, di sintesi, di armonizzazione di idee e di programmi operativi (alcunipuò realizzarli direttamente), tutti mirati a risolvere i problemi, quelli impellenti equelli meno urgenti, che investono e in alcuni casi travagliano l’umanità. L’impulsoe la volontà della Libera Muratoria di salire alla ribalta della vita civile per compie-re questa nobile funzione, come è avvenuto proficuamente in passato — durante l’I-talia liberale, ad esempio — non mancano sicuramente; e non manca neppure ilcoraggio, quel coraggio che era una prerogativa dell’indomito eroe odisseico, di per-seguire incessantemente questo scopo sublime.

L’etica è dunque, secondo Leoni, la “virtù” che l’Ulisside muratorio deve porresul gradino più alto della sua scala assiologia, cioè dei valori in cui crede e ai qualitende a conformare la sua condotta, affinché all’etica — all’etica massonica, che èun’etica laica universalistica della solidarietà — impronti il suo quotidiano agire nelmondo.

In questo particolare periodo storico — scrive Bent Parodi nella prefazione al libro —raccontare di Ulisse e focalizzare l’attenzione sul senso dell’etica e della responsabilità del -l’uomo risulta fertile in quanto oggi se ne avverte enormemente la necessità per sfuggire aglipseudomoralismi e ai valori virtuali che in maniera effimera compaiono e scompaiono sulloscenario presente.

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Secondo una recente, fortunata, ma inquietante scuola di pensiero di origineanglosassone, la storia prenovecentesca sarebbe solo un’ineludibile introduzioneallo studio di quella contemporanea, la sola di una certa utilità perché rideclinabilein scienza politologica.

A questo bizzarro assunto ha risposto con efficacia, fra gli altri, Luciano Canfora,uno dei nostri massimi studiosi della civiltà e della storia greca; la sua produzione datempo ben dimostra come ogni categoria sociale e politica risulti comprensibile soloda una prospettiva di lunghissimo periodo.

È in tale ottica che Canfora, alternando lo studio del dialogo dei Melii in Tucidi-de all’analisi del significato della “riscoperta” della Biblioteca del Patriarca bizanti-no Fozio in seno allo scontro tra cattolici e riformati o a quella circa il dibattito sul-l’Antico. Da Robespierre a Napoleone (passando per Volney) risponde con puntuali-tà alle più scottanti e importanti domande del tempo nostro, infrangendone lecomode certezze e i più consolidati miti utopici o distopici.

Gli interrogativi con cui Canfora si è confrontato non sono certo marginalità eru-dite: ad esempio, gli si è chiesto, l’idea di democrazia è anch’essa un’ideologia, cioèè un segmento del lessico politico di un momento dato, fisso nel tempo e nello spa-zio, in ontologia pura, sempiterna e autoreferenziale?

E ancora, lo studio della classicità è materia estranea alla politica o invece dialo-ga con essa in modo ambiguo e talvolta perverso (si pensi ai saggi su Rosemberg esul “Papiro di Dongo” o ancora sulla “sentenza” di Gentile)?

La libertà può essere “asportata” o meglio quanto di essa rimane dopo che leistanze universalistiche dei liberatori l’hanno imposta con le armi in altri paesi?

È perciò quasi con sollievo che, a fronte di questi scenari inquietanti, con questosuo ultimo saggio Canfora conduca il lettore verso l’approdo sicuro di una metodo-logia capace di difenderlo dai miti del potere; già il sottotitolo, collegando i concet-ti di filologia ed eversione si propone una sicura chiave interpretativa: in estremasintesi si può affermare che il valore virtuosamente perturbante della filologia risie-da nella sua stessa deontologia, in quel suo dovere di sezionare, decostruire e rico-struire qualsiasi testo senza mai arrestarsi dinanzi ai veti dell’Autorità.

È questo un obbligo a volte doloroso, così come quando il filologo si trova dilace-rato tra la fedeltà al suo credo religioso e quella al rigore del suo sapere. Canfora ciricorda così che ogni verità assoluta, ancorchè laica, finisce per trasformarsi in “reli-

LUCIANO CANFORA

Filologia e libertàEditore Mondadori, Milano, 2008. pp. 149, € 13,00

di Fabio Martelli

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gione del libro”, sacralizzando qualche testo che per tal sua natura non dovesse esse-re sottoposto a esegesi.

Il caso più evidente è rappresentato dalle resistenze della Chiesa cattolica all’in-dagine filologica della Bibbia. Eppure anche le gerarchie protestanti, nate da uno sci-sma che riaffermava il diritto alla lettura individuale della scrittura, accettarono disuperare questa impostazione dogmatica; anzi, fu solo sfruttando il conflitto tra que-ste due confessioni che alcuni filologi gesuiti ebbero il pretesto per superare questagranitica muraglia. Sarà poi l’Illuminismo a smantellare ogni tradizionale censuraalla lettura storicizzata della Bibbia.

Eppure anche i lumi, portando a conclusione il lungo processo di secolarizzazio-ne della cultura, introdussero, sillogizzando, una nuova “rivelazione”: se tutti i teo-logi avevano per secoli mentito circa l’esegesi biblica, doveva conseguirne che lereligioni tutte e persino l’esistenza stessa di Dio erano falsità sancite dall’AncienRegime, creando così nuovi dogmi in nome della Ragione quale nuova divinità. Delresto gli studi di Canfora mostrano assai bene come ogni nuovo sistema totalitarioha avuto premura di affidare all’acribia dei filologi uno spazio di riflessione autono-ma sui loro nuovi “libri sacri”: pertanto i censori sovietici o nazisti si mostraronoben felici di scoprire tra i miti studiosi del sapere classico inediti eretici da inviare aroghi di sapore antico.

Una lezione, questa, particolarmente inquietante per la nostra epoca in cui il con-cetto stesso di Democrazia si è trasformato in un altro dogma laico: dietro questonobile nome, secondo Canfora, vi è ormai solo un’icona priva di contenuti, indispo-nibile a ripensarsi fuori dalle astrattezze e in funzione, invece, delle concretissimeesigenze di milioni di individui calati nella realtà.

Un’ultima avvertenza circa la menzione di Fozio e della sua biblioteca, una mate-ria cui Canfora ha dedicato studi brillanti e innovativi che il lettore potrebbe peròignorare, rischiando di pensare a Bisanzio come a un deserto culturale, dominato dafanatici avversari della classifica (un po’ come la descrive la propaganda araba nel-l’opera “Sogno” di All-Massun). Bisanzio fu invece la forma “romea” in cui si tra-sformò il modello imperiale ecumenico ellenistico e poi romano. Circa la Bibliotecail conflitto tra censura del potere ed eversione filologica si inverò nell’oblio in cuiprecipitarono i teologi cattolici nella resistenza alla sua edizione critica elevata tan-to da Roma quanto dalle gerarchie protestanti.

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