Ripartiamo da Maria - Coromoto · 2019. 11. 13. · la vita in Dio, in cielo, di tutti coloro che...

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Carissimi, eccoci giunti nel mese di novembre. Un mese che dedichiamo al ricordo dei nostri morti anche se di fatto inizia non con la commemorazione dei fedeli defunti, ma con la gioiosa celebrazione di Tutti i Santi. Questo significa che anteponiamo la vita alla morte; la vita in Dio, in cielo, di tutti coloro che si sono aperti alla sua bontà e alla sua misericordia, vivendo nella fede, nella speranza, nella carità. In questa scia luminosa di fratelli e sorelle sappiamo che ci sono figure a noi vicine che hanno vissuto con coerenza, dandoci una bella testimonianza di vita cristiana che rimane inscritta in maniera indelebile nei nostri cuori. L’amore e il culto dei nostri cari defunti diviene, allora, un fare memoria del bene ricevuto e dei doni riversati nelle nostre esistenze attraverso la loro vita. Ricordarsi dei nostri cari, degli amici o di quanti hanno lasciato tracce profonde in noi, perché sono passati beneficandoci, è la realtà più naturale e più diffusa nel mondo. La loro memoria ci apre alla preghiera di intercessione: essi infatti sono già in Dio il quale conosce la loro santità di vita. Noi sappiamo che essi sono nell’Amore e attendono di partecipare alla resurrezione finale attraverso la quale saremo tutti nel Signore. Guardare con affetto e memoria grata ai nostri cari defunti, però, non deve fermarci a un ricordo nostalgico del passato, ma deve animare l’oggi nella speranza, certi che la loro presenza ci accompagna e il loro esempio illumina la nostra esistenza. La loro vita diviene eredità preziosa da non sciupare, ma da accogliere e ritradurre in vita e in sapienza. “Non solo la Chiesa, ma la società tutta domanda donne e uomini santi che siano buoni cittadini, persone capaci di comunione, di dialogo, di accoglienza, che sanno vincere tutte le paure”. Con queste parole del cardinale Scola vi saluto e vi benedico. Don Francesco R R i i p p a a r r t t i i a a m m o o d d a a M M a a r r i i a a Anno XXI - Numero 218 - Novembre 2018 S.S. Messe - COROMOTO Feriali: 8:00 - 9:00 - 18:00 - Prefestivi: 18:00 - Festivi: 8:30 10:00 11:00 12:15 18:00 S. FRANCESCO DI SALES - Feriali: 17:00 - Prefestivi: 16:45 - Festivi: 11:00

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Carissimi,eccoci  giunti  nel  mese  di  novembre.  Un  mese  che dedichiamo  al  ricordo  dei  nostri  morti  anche  se  di fatto  inizia  non  con  la  commemorazione  dei  fedeli defunti,  ma  con  la  gioiosa  celebrazione  di  Tutti  i Santi. Questo significa che anteponiamo  la vita alla morte; la  vita  in  Dio,  in  cielo,  di  tutti  coloro  che  si  sono aperti alla sua bontà e alla sua misericordia, vivendo nella fede, nella speranza, nella carità.In questa scia luminosa di fratelli e sorelle sappiamo che ci sono figure a noi vicine che hanno vissuto con coerenza,  dandoci  una  bella  testimonianza  di  vita cristiana  che  rimane  inscritta  in  maniera  indelebile nei  nostri  cuori.  L’amore  e  il  culto  dei  nostri  cari defunti  diviene,  allora,  un  fare  memoria  del  bene ricevuto  e  dei  doni  riversati  nelle  nostre  esistenze attraverso  la  loro  vita.  Ricordarsi  dei  nostri  cari, degli  amici  o  di  quanti  hanno  lasciato  tracce profonde in noi, perché sono passati beneficandoci, è la realtà più naturale e più diffusa nel mondo.

La  loro  memoria  ci  apre  alla  preghiera  di intercessione:  essi  infatti  sono  già  in  Dio  il  quale conosce la loro santità di vita. Noi sappiamo che essi sono  nell’Amore  e  attendono  di  partecipare  alla resurrezione  finale attraverso  la quale saremo tutti nel Signore. Guardare con affetto e memoria grata ai nostri cari defunti,  però,  non  deve  fermarci  a  un  ricordo nostalgico del passato, ma deve animare  l’oggi nella speranza, certi che la loro presenza ci accompagna e il loro esempio illumina la nostra esistenza. La loro vita diviene eredità preziosa da non sciupare, ma da accogliere e ritradurre in vita e in sapienza. “Non  solo  la  Chiesa,  ma  la  società  tutta  domanda donne  e  uomini  santi  che  siano  buoni  cittadini, persone  capaci  di  comunione,  di  dialogo,  di accoglienza, che sanno vincere tutte le paure”. Con queste  parole  del  cardinale Scola  vi  saluto  e  vi benedico.

Don Francesco

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Nel  numero  precedente  abbiamo  intervistato Berenice,  la  quale  ha  affermato  che  la  Chiesa “dovrebbe  lasciare  più  spazio  alle  idee  dei  suoi credenti invece di indurli a camminare su un preciso tracciato”  e poi  si  è domandata  “se  la Chiesa non abbia  paura  dei  suoi  credenti”,  domanda  che riceviamo.  Per  provare  a  dare  una  risposta  a Berenice e a noi stessi, chiediamoci: “il pensiero che l’umanità  è  in  grado  di  sviluppare  può  essere  una minaccia  alla  missione  di  evangelizzazione  della Chiesa?  Nell’evangelizzare  dovremmo  diffidare  del pensiero  dell’Uomo?”.  Notiamo  che  se  la  risposta fosse un sì, il libero pensiero dei suoi fedeli dovrebbe far  paura  alla  Chiesa.  Ora  formuliamo  l’ipotesi  che chiameremo  “principio  di  libertà”  e  che  è condivisibile (o meno) indipendentemente dalla fede. Secondo  tale  principio  ogni  essere  umano costruisce  la  sua  libertà  nella  ricerca  della  verità, avendo  la  capacità  potenziale  e,  comunque,  il diritto  di  accedere  ai  mezzi  (cultura,  tempo, serenità…)  per  condurre  questa  ricerca;  secondo questo  principio,  sebbene  la  verità  non  sia  mai raggiungibile  durante  la  vita  che  conosciamo,  il desiderio e la possibilità di avvicinarsi ad essa sono caratteristiche  di  tutti  noi.  Poiché  la  Chiesa considera,  naturalmente,  il  credere  in  Dio  una condizione  coerente  con  la  verità,  l’aver  paura  dei suoi credenti, nel senso detto, sarebbe di fatto una negazione del principio di libertà, un atto di sfiducia nei confronti dell’umanità (se non un temere che  la verità  che  si  professa  possa  rivelarsi  debole rispetto  ad  una  ricerca  ben  fondata).  Questo rifiuto  del  principio  equivarrebbe  a  preferire  che l’umanità accetti la fede senza pensare, in quanto il pensiero  umano  potrebbe  allontanare  dalla  fede stessa.  Vi sono stati luoghi e tempi in cui la Chiesa (o  qualche  sua  parte)  ha,  di  fatto,  negato  il principio di libertà. Consideriamo Gv 20,29: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo  visto  hanno  creduto”.  L’idea  che si  è  fatta la  Chiesa  su  questo  brano  può  essere  posta  in analogia  con    l’atteggiamento  della  Chiesa  stessa nei  confronti  del  principio  di  libertà.  Una interpretazione diffusa di questo brano  ritiene che Dio  rimproveri  a  Tommaso  l’aver  bisogno  di  vedere per  credere,  sarebbe  meglio  credere  “a  scatola chiusa”,  senza  applicare  le  facoltà  percettive  e intellettuali  che  usiamo  quando  modifichiamo  il nostro  sistema  di  credenze  nelle  altre  questioni, differenti dalla  fede.   Ma, ad esempio, P.  Ignace de la Potterie ha sostenuto:  “Gesù vuole  indicare che è  ragionevole  credere  alla  testimonianza  di  coloro che  hanno  visto  dei  segni,  degli  indizi  della  sua presenza viva. Non è la richiesta di una fede cieca, è la  beatitudine  promessa  a  coloro  che  in  umiltà riconoscono  la  sua  presenza  a  partire  da  segni anche  esigui  e  danno  credito  alla  parola  di testimoni  credibili”.  La  Chiesa  di  oggi  (non  tutta, 

però) lascia spazio all’intelligenza che vede, ascolta, dubita,  indaga,  ragiona  e  quindi  produce  un  credo (l’attenzione che oggi ha la Chiesa verso la scienza e  la filosofia è un segno di questo).  In breve,  lascia spazio  al  principio  di  libertà  giustificando un  unico motivo  per  temere  la  libertà  di  pensiero,  quando  il pensiero  che  si  vuole  diffondere  è  debole  rispetto alla  verità!  Vi  sono  alla  fine  due  strade  per evangelizzare:  impegnarsi  in  un  pensiero  forte  o negare il principio di libertà. Quale preferiamo?Ma come è possibile che la Chiesa abbia un pensiero debole se questo pensiero viene da Dio? Non è così: il  pensiero  della  Chiesa  non  è  il  Vangelo  ma  è  il prodotto  -  umano  -  del  Magistero  della  Chiesa. “L’autorita’  del  Magistero  non  è  sulla  Parola,  ma sulla  interpretazione  che  gli  uomini  ne  danno”  (dal Dizionario  di  Teologia  Fondamentale  n.  655).  Se  il nostro  non  è  un  Dio  silente  ma  un  dio  che  si  è “fatto vivo” allora quel dio è stato visto, ascoltato ha  lasciato  una  tradizione  storica,  un  canone scritto,  una  capacità  di  riconoscere  certi  segni. Così  la  dimensione  nella  quale  si  esprime  la relazione con il sacro è per noi cristiani quella della vista,  dell’ascolto,  del  ragionamento  e  della comprensione,  associando  alle  tracce  di  Dio  nella storia  un’idea  umana,  che  è  l’idea  della  Chiesa  su Dio. La fabbrica di questa idea si chiama “teologia” e  costituisce  un  mai  finito,  impegnativo  e meraviglioso  cammino  di  ricerca  umana  verso  la verità. La Chiesa, sul piano di ciò che afferma, non “ripete  a  memoria”  la  Parola  così  come  è  scritta nella Bibbia, ma produce anche la sua idea teologica (come anche ognuno di noi necessariamente fa). E’ il  compito  finale  del Magistero  della  Chiesa,  la  cui stessa  esistenza  consegue  dall’aver  ammesso  la dimensione  della  visione  e  dell’intelligenza nell’accesso  al  sacro.  In  questo  impianto,  l’idea prodotta dal Magistero della Chiesa non è imposta al  pubblico  (negando  il  principio  di  libertà),  ma caratterizza  l’unità  della  Chiesa  stessa  nella  sua componente umana.Esiste un unico modo onesto di porsi di fronte alla bellissima  domanda  di  Berenice:  sviluppare  un pensiero  cristiano  forte  confrontandosi  con  il Magistero  della  Chiesa  (o  abbandonare  il Cristianesimo).  Se  tutti  quanti  noi  facciamo questo, Berenice, come ogni altro  libero pensatore, starà al nostro gioco: assegnerà al Magistero non il  ruolo  di  pensiero  da  trasferire  ad  ogni  cristiano che  accetti  questa  imposizione,  ma  quello  di costruire l’inevitabile parte umana - interpretativa - del rapporto tra Dio e l’umanità.

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Ricordate? Abbiamo dedicato alcuni numeri di Missione parliamone al territorio della missione e altri agli strumenti della Missione; ovvero a (rispettivamente) dove la missione interviene e cosa ne abilita l’opera. Dedicheremo due numeri ad una specie di gioco: prendere in considerazione futuro e passato e riflettere sul modo come il futuro è territorio di missione mentre il passato ne é strumento. In questo numero di novembre, che segue quello dedicato all’ottobre missionario dal tema “Insieme ai giovani, portiamo il Vangelo a tutti", ci occupiamo appunto del futuro. Ci accorgeremo subito che si tratta di una missione “ad gentes” dove la lontananza da colmare è, questa volta, il tempo e non lo spazio.

Paolo

IIll tteerrrriittoorriioo ddeellllaa mmiissssiioonnee:: iill ffuuttuurrooBBeennvveennuuttoo!!

IInnvviittoo aallllaa PPrreegghhiieerraa

(1) Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.(2) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità. (3) Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona. (5) Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.…(testo approvato dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, nella foto Eleanore Roosvelt presenta la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo)

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“Poi un ramo uscirà dal tronco d’Isai, e un rampollo spunterà dalle sue radici. Lo Spirito del Signore riposerà su di lui: Spirito di saggezza e d’intelligenza, Spirito di consiglio e di forza, Spirito di conoscenza e di timore del Signore. Respirerà come profumo il timore del Signore, non giudicherà dall’apparenza, non darà sentenze stando al sentito dire, ma giudicherà i poveri con giustizia, pronuncerà sentenze eque per gli umili del paese. Colpirà il paese con la verga della sua bocca, e con il soffio delle sue labbra farà morire l’empio. La giustizia sarà la cintura delle sue reni, e la fedeltà la cintura dei suoi fianchi. Il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà. La vacca pascolerà con l’orsa, i loro piccoli si sdraieranno assieme, e il leone mangerà il foraggio come il bue. Il lattante giocherà sul nido della vipera, e il bambino divezzato stenderà la mano nella buca del serpente. Non si farà né male né danno, su tutto il mio monte santo, poiché la conoscenza del Signore riempirà la terra, come le acque coprono il fondo del mare.” (Isaia 11,1-9)Il tempo di questi versetti è il futuro: il brano è profetico. Cosa significa questo brano per noi oggi? Se il nostro presente fosse il futuro di allora (settimo secolo A.C. circa) non potremmo pensare che il brano si è reso-vero, si è avverato. Ad esempio, oggi non è vero che “il lupo abita con l’agnello”; invece è vero che il lupo continua ad abusare dell’agnello, in tutti i modi che può. Eppure noi insistiamo nel considerare Isaia un vero profeta. C’è in questa apparente contraddizione una visione matura del futuro profetico dove il gesto profetico non è una predizione, non è l’esercizio della capacità di “vedere” il futuro inteso come “presente che sarà”, ma è pronunciare sul presente una verità nel nome di Dio, di cui il profeta è - contro-voglia, forse - porta-parola (l’etimologia greca della parola “pro-feta” è “colui che parla” [da “phemi", parlare] “al posto di” [“pro”]). Il profeta non dice cosa accadrà nel futuro ma dice cosa il futuro è: il ribaltamento, ad opera di Dio, di un presente che tradisce il divino. Il futuro è “Il lupo abiterà con l’agnello”. Se il presente non è così allora il futuro è ancora da raggiungere, è territorio di missione. Possiamo anche noi, cristiani del presente, rivendicare il ruolo di profeti, annunciando, ancora una volta, “il lupo abiterà con l’agnello”? Riflettiamo su cosa significa insistere in questo annuncio quando tutto ci fa pensare che il nostro proclamare ciò che Dio farà del mondo non può riguardare ciò che vedremo personalmente, con i nostri occhi di carne. Qui c’è un passaggio rivoluzionario, un diamante incastonato nell’idea stessa di profezia: considerare come valore per ogni singola persona che ha fede, non solo il proprio “futuro personale” ma soprattutto quello dell’umanità. Nel nostro sistema di valori c’è - al primo posto, forse - l’umanesimo, il valore che ha per noi l’umanità intera. Noi siamo profeti quando, ad esempio, proclamiamo i diritti di ogni essere umano, mentre cessiamo di esserlo quando ci accontentiamo di dire “se c’è poco allora è per noi: noi lo avremo, loro no”, perché quando facciamo questo i lupi che non abitano con l’agnello siamo proprio noi. Possiamo fare ancora un passo avanti in questa riflessione. Dobbiamo però organizzarci un pochino, ordinarci secondo la nostra “speranza di vita” personale. C’è chi tra noi ha “meno vita” davanti: i vecchi, gli anziani, più in generale i “non più giovani”. C’è chi tra noi ha invece “tutta la vita davanti a sé”. Per tutti, ma non allo stesso modo, il futuro è territorio di missione. Se ti consideri nel gruppo dei “non più giovani” chiediti: sono capace di vedere il mio personale futuro in questo mondo come vita vissuta dalle persone che saranno? Notiamo che il nostro vedere l’umanesimo come valore richiederebbe questa capacità. Cerchiamo di leggere la storia per trarne un piccolo insegnamento. Il diciottesimo secolo ha visto la cosiddetta “rivoluzione industriale”. Essa è in primo luogo la conseguenza dell’aumento sostanziale di

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efficienza dell’agricoltura: ci voleva molto meno lavoro per coltivare (o allevare) il cibo. Come abbiamo visto nel numero 54 di “Missione. Parliamone…”, per produrre una tonnellata di grano grezzo prima della rivoluzione industriale occorrevano poco meno di 2000 ore di lavoro; intorno al 1840 meno di 100 ore; nel 1990 2 ore. Vediamola allora in questo modo: noi siamo fortunati, prima era assai difficile essere profeti: i figli erano braccia che ci procuravano il cibo, ci voleva tanto lavoro per coltivare la terra che i figli servivano a questo… erano lo strumento che dava valore alla terra, erano quindi il presente non il futuro! Oggi i nostri figli possono molto più facilmente essere visti come “nostro futuro”, destinatari della ricchezza che possiamo conferire loro in eredità: la ricchezza materiale, la cultura… la tradizione. Noi dobbiamo elargire ricchezza a loro non il contrario! La rivoluzione industriale contiene un enorme potenziale profetico: la possibilità di guardare con occhi sereni ciò che Dio promette all’uomo come futuro per l’umanità. Sta solo a noi, ormai, esprimere questo potenziale. Se ti consideri nel gruppo di chi “ha la vita davanti” chiediti: sono capace di guardare al mio futuro e non solo al mio presente? C’è una cosa qui da raccontare, una sorta di parabola moderna: il famoso “esperimento marshmallow”. L’esperimento, condotto nel 1972 dallo psicologo Walter Mischel dell’università di Stanford, ha avuto luogo in una scuola materna presso l’università, coinvolgendo diverse centinaia di bambini, persone “con tutta la vita davanti”. I bambini sono stati portati in una stanza semi-vuota, dove è stato posto un marshmallow (una golosità per i bambini dei paesi anglosassoni) su un tavolino. Ai bambini è stato detto che potevano mangiare il dolcetto, ma se fossero riusciti - una volta lasciati soli - ad aspettare un quarto d’ora senza cedere alla tentazione, sarebbero stati premiati con un secondo marshmallow; in questo quarto d’ora i bambini sono stati osservati di nascosto: alcuni si coprivano gli occhi con le mani o si giravano per non guardare il dolcetto, altri prendevano a calci il tavolino, oppure si tiravano i capelli, o cose del genere; altri infine hanno deciso di mangiarlo subito, senza troppe storie. Degli oltre 600 bambini che hanno partecipato all’esperimento, un terzo è riuscito a rimandare la gratificazione abbastanza a lungo da ottenere il secondo marshmallow. La cosa più interessante è il risultato del follow-up eseguito 18 anni dopo. I bambini premiati con il secondo marshmallow sono, con sconcertante precisione, quelli meglio realizzati nello studio, nella famiglia e nel lavoro. Sono coloro che per un quarto d’ora del loro presente hanno profetizzato una cosa banale - due marshmallow al posto di uno - dimostrando però a loro stessi di avere la capacità di profetizzare. Loro hanno investito il presente a favore del futuro e nel futuro si sono ben realizzati, come Dio vuole.

Nella figura. Natività tra i profeti Isaia e Giobbe - Duccio di Buoninsegna (1255-1319)

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Che cosa è un secchio della spazzatura? E’ un luogo nascosto della nostra casa dove riponiamo ciò che per noi non ha più valore, ciò con cui non vogliamo più avere a che fare. Avendo convenuto questo, riflettiamo: il 26 aprile 1986 a Černobyl’ in Ucraina è avvenuto il più grave incidente mai verificatosi in una centrale nucleare. Una fortissima esplosione provocò lo scoperchiamento del reattore. Una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore e ricadde su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole pesantemente e rendendo necessaria l'evacuazione e il reinsediamento in altre zone di circa 336.000 persone. Nubi radioattive raggiunsero anche l'Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia con livelli di contaminazione via via minori, toccando anche l'Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l'Austria e i Balcani, fino a porzioni della costa orientale del Nord America. Il costo in vite umane è valutato nell’ordine delle migliaia se non decine di migliaia di persone (di cui solo 65 nell’immediatezza del disastro). I detriti radioattivi sono tenuti separati dall’ambiente esterno da un sarcofago opaco alle radiazioni. Finora sono stati costruiti due sarcofagi: il primo è stato costruito a tempo di record pochi mesi dopo il disastro. Poiché ha cominciato presto a cedere c’è stato bisogno del secondo sarcofago, progettato in modo tale da durare 100 anni. La costruzione di quest’ultimo è terminata nel 2016. I detriti della centrale dovranno essere protetti da un sarcofago per centinaia di anni ancora, procurando una bella gatta da pelare ai nostri figli, ai nostri nipoti e ai nostri pronipoti. Qualcuno ha detto “il progresso genera delle conseguenze non risolvibili dai contemporanei; sarà compito delle generazioni future risolvere questi problemi”. Il sarcofago è un vero e proprio secchio della spazzatura: nasconde i detriti della centrale al presente. Con queste premesse possiamo formulare ora, in termini generali, la domanda del mese: “può il futuro essere usato come secchio della spazzatura del presente?”

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Invito alla partecipazione

Per contattare "Missione: parliamone..."telefonare a Paolo (3357602034)

mandare una e-mail ([email protected])

può il futuro essere usato come secchio della spazzatura del presente?

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Quando  oltrepassiamo  la  soglia  del  portale  che, come  abbiamo  visto  nel  precedente  numero  del Notiziario,  simboleggia  Cristo  stesso,  porta  che  ci conduce al Padre,  ci addentriamo nella chiesa che, in  quanto  “domus  Ecclesiae”  è  costituita  come spazio  per  il  popolo  di  Dio,  che  si  raduna  per  la celebrazione della liturgia. L’aula  liturgica  non  è  quindi  una  platea  per accogliere  degli  spettatori,  ma  uno  spazio  per  i fedeli  che,  ciascuno  secondo  il  proprio  ruolo ministeriale,  sono  veri  e  propri  protagonisti dell’azione liturgica.  L’assemblea liturgica è infatti il popolo sacerdotale che, nella sua totalità, nella varietà dei ministeri, in forza del Battesimo e della Cresima, è parte attiva della celebrazione.É  molto  importante  ricordare  ciò  che  scrive  il Concilio  Vaticano  II  e  cioè  che  ogni  celebrazione liturgica  è  «opera  di  Cristo  sacerdote  e  del  suo corpo,  che  è  la  Chiesa»  (Sacrosanctum  Concilium n.  7). In altri termini, il soggetto del culto liturgico non è costituito solo dalla componente ecclesiale, e quindi  umana,  ma  prima  di  tutto  è  un  soggetto divino,  Cristo  sommo  sacerdote,  che  associa  a  sé la Chiesa nella lode che nello Spirito eleva al Padre. L’assemblea  liturgica,    in quanto  inserita  in Cristo, agisce  a  pieno  titolo  nella  celebrazione  liturgica cristiana.  Di  conseguenza,  il  luogo  di  culto  è  la “domus Ecclesiae”,  lo  spazio  per  il  popolo  di Dio  in preghiera,  inteso  come  uno  spazio  aperto  dove  la Trinità è protagonista qualificante.Come  sottolinea  al  n.  13  la  Nota  pastorale  della Conferenza  episcopale  Italiana  del  1996,  relativa all’Adeguamento  delle  chiese  secondo  la  riforma liturgica,  «la  chiesa-edificio si  può considerare una "icona  ecclesiologica":  di  volta  in  volta  essa  è sentita  come  luogo  della  Chiesa  in  festa,  come luogo  della  Chiesa  in  raccoglimento  e  in  preghiera, come  luogo  in  cui  la  Chiesa  esprime  la  propria natura intensamente corale e comunitaria».In  essa  è  il  Signore  che  ci  chiama  a  radunarci attorno  al  suo  altare;  per  questo,  «lungo  il  corso dell'anno  liturgico,  l'assemblea  locale  si  raduna nell'edificio  di  culto,  in  comunione  con  tutta  la Chiesa,  per  fare  memoria  del  mistero  pasquale  di Cristo,  nell'ascolto  delle  Scritture,  nella celebrazione  dell'Eucarestia,  degli  altri  sacramenti e sacramentali e del sacrificio di lode» (idem n. 11).Accanto all’assemblea  liturgica del  popolo  di Dio  è da  considerare  il  ruolo  di  coloro  che  svolgono  un ministero  specifico:  quello  di  presidente dell’assemblea,  ordinariamente  il  vescovo  o  il presbitero,  i  diaconi,  i  lettori,  gli  accoliti,  i ministranti.Lo  spazio  a  loro  riservato  è  il  presbiterio,  cioè  il luogo  dei  presbiteri,  di  solito  rialzato  rispetto  alla parte  occupata  dai  fedeli,  non  per  indicare  una 

separazione  dal  resto  dell’assemblea,  ma  per sottolineare  il  compito  specifico  che  da  essi  viene esercitato.I pochi gradini che rendono il presbiterio più elevato rispetto  agli  altri  ambienti  della  chiesa  ricordano metaforicamente il luogo teologico del “monte”, che nella  S.  Scrittura  è  il  luogo  dell’incontro  dell’uomo con  Dio.  Nell’Antico  Testamento  sull’Oreb,  dal roveto ardente, Dio manifesta a Mosè il suo nome e lo  invia  a  liberare  il  suo  popolo,  sul  Sinai  gli consegna  le  tavole  della  legge;  sull’Oreb  il  profeta Elia  incontra  la Gloria  di Dio  e  sul monte Carmelo sconfigge i 450 profeti di Baal, ristabilendo la fede del popolo nel Dio d’Israele. Nel Vangelo il monte è il luogo  sul  quale  Gesù  spesso  si  ritira  di  notte  in preghiera,  in  intimità  col  Padre,  è  il  luogo  da  dove proclama  le  beatitudini,  Magna  Charta  della  vita cristiana;  sul  Tabor  si  trasfigura,  anticipando  la gloria della risurrezione, sul monte Calvario offre se stesso  morendo  in  croce,  sacrificio  che  si  rinnova ad  ogni  celebrazione  eucaristica  sull’altare,  centro di questo metaforico monte che è il presbiterio.

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— giovedì  1:  solennità  di  tutti  i  Santi,  festa  di precetto. Le S. Messe seguiranno l’orario festivovenerdì  2:  commemorazione  dei  defunti  e  1 venerdì  del  mese.  Adorazione  eucaristica  dalle 9.30 alle 18.00. A San Francesco di  Sales dalle 15.30 alle 17.00;

—  alle  ore  18:  celebrazione  in  suffragio  di  tutti  i defunti  della  parrocchiaore  21:  Lectio  Divina  in  criptadomenica  11  e  18:  alle  ore  16  celebrazione  delle Cresime 

—  venerdì    16  ore  21:  Lectio  Divina  in  criptasabato 17 ore 19: ha inizio il 1^ corso di fidanzati che si preparano al matrimonio domenica 18 ore 17: proiezione del film “Coco” con cineforum 

— martedì 20: premiazione alla scuola Girolami per l’iniziativa del Chicco di senape: “Disegni d’amore”sabato  24  e  domenica  25: mostra  degli  artisti del  quartiere  nel  salone  M.  Teresa  Carlonivenerdì  30  ore  21:  lectio  divina  in  cripta— A decorrere dalla stagione 2018/19 il Gruppo Teatrale parrocchiale assumerà il nome delle due persone  che  egregiamente  lo  dirigono  da  circa 20 anni;  per  cui  il Gruppo  Teatrale  a Coromoto “Susanna  Lupo  e  Attilio  Tacconelli”  torna  in scena  con  la  divertente  commedia  di  F. Fiorentini    "Pensione  Pomodoro"  sabato  10 novembre e domenica 11 novembre alle ore 17.30.  Per  info  e  prenotazioni  3289568622  -   0665743355