Ripartiamo da Maria - Coromoto · 2019. 11. 13. · la vita in Dio, in cielo, di tutti coloro che...
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Carissimi,eccoci giunti nel mese di novembre. Un mese che dedichiamo al ricordo dei nostri morti anche se di fatto inizia non con la commemorazione dei fedeli defunti, ma con la gioiosa celebrazione di Tutti i Santi. Questo significa che anteponiamo la vita alla morte; la vita in Dio, in cielo, di tutti coloro che si sono aperti alla sua bontà e alla sua misericordia, vivendo nella fede, nella speranza, nella carità.In questa scia luminosa di fratelli e sorelle sappiamo che ci sono figure a noi vicine che hanno vissuto con coerenza, dandoci una bella testimonianza di vita cristiana che rimane inscritta in maniera indelebile nei nostri cuori. L’amore e il culto dei nostri cari defunti diviene, allora, un fare memoria del bene ricevuto e dei doni riversati nelle nostre esistenze attraverso la loro vita. Ricordarsi dei nostri cari, degli amici o di quanti hanno lasciato tracce profonde in noi, perché sono passati beneficandoci, è la realtà più naturale e più diffusa nel mondo.
La loro memoria ci apre alla preghiera di intercessione: essi infatti sono già in Dio il quale conosce la loro santità di vita. Noi sappiamo che essi sono nell’Amore e attendono di partecipare alla resurrezione finale attraverso la quale saremo tutti nel Signore. Guardare con affetto e memoria grata ai nostri cari defunti, però, non deve fermarci a un ricordo nostalgico del passato, ma deve animare l’oggi nella speranza, certi che la loro presenza ci accompagna e il loro esempio illumina la nostra esistenza. La loro vita diviene eredità preziosa da non sciupare, ma da accogliere e ritradurre in vita e in sapienza. “Non solo la Chiesa, ma la società tutta domanda donne e uomini santi che siano buoni cittadini, persone capaci di comunione, di dialogo, di accoglienza, che sanno vincere tutte le paure”. Con queste parole del cardinale Scola vi saluto e vi benedico.
Don Francesco
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MOTO Feriali: 8:00 - 9:00 - 18
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ALES - Feriali: 17:00 - Prefestivi: 16
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Nel numero precedente abbiamo intervistato Berenice, la quale ha affermato che la Chiesa “dovrebbe lasciare più spazio alle idee dei suoi credenti invece di indurli a camminare su un preciso tracciato” e poi si è domandata “se la Chiesa non abbia paura dei suoi credenti”, domanda che riceviamo. Per provare a dare una risposta a Berenice e a noi stessi, chiediamoci: “il pensiero che l’umanità è in grado di sviluppare può essere una minaccia alla missione di evangelizzazione della Chiesa? Nell’evangelizzare dovremmo diffidare del pensiero dell’Uomo?”. Notiamo che se la risposta fosse un sì, il libero pensiero dei suoi fedeli dovrebbe far paura alla Chiesa. Ora formuliamo l’ipotesi che chiameremo “principio di libertà” e che è condivisibile (o meno) indipendentemente dalla fede. Secondo tale principio ogni essere umano costruisce la sua libertà nella ricerca della verità, avendo la capacità potenziale e, comunque, il diritto di accedere ai mezzi (cultura, tempo, serenità…) per condurre questa ricerca; secondo questo principio, sebbene la verità non sia mai raggiungibile durante la vita che conosciamo, il desiderio e la possibilità di avvicinarsi ad essa sono caratteristiche di tutti noi. Poiché la Chiesa considera, naturalmente, il credere in Dio una condizione coerente con la verità, l’aver paura dei suoi credenti, nel senso detto, sarebbe di fatto una negazione del principio di libertà, un atto di sfiducia nei confronti dell’umanità (se non un temere che la verità che si professa possa rivelarsi debole rispetto ad una ricerca ben fondata). Questo rifiuto del principio equivarrebbe a preferire che l’umanità accetti la fede senza pensare, in quanto il pensiero umano potrebbe allontanare dalla fede stessa. Vi sono stati luoghi e tempi in cui la Chiesa (o qualche sua parte) ha, di fatto, negato il principio di libertà. Consideriamo Gv 20,29: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto hanno creduto”. L’idea che si è fatta la Chiesa su questo brano può essere posta in analogia con l’atteggiamento della Chiesa stessa nei confronti del principio di libertà. Una interpretazione diffusa di questo brano ritiene che Dio rimproveri a Tommaso l’aver bisogno di vedere per credere, sarebbe meglio credere “a scatola chiusa”, senza applicare le facoltà percettive e intellettuali che usiamo quando modifichiamo il nostro sistema di credenze nelle altre questioni, differenti dalla fede. Ma, ad esempio, P. Ignace de la Potterie ha sostenuto: “Gesù vuole indicare che è ragionevole credere alla testimonianza di coloro che hanno visto dei segni, degli indizi della sua presenza viva. Non è la richiesta di una fede cieca, è la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili”. La Chiesa di oggi (non tutta,
però) lascia spazio all’intelligenza che vede, ascolta, dubita, indaga, ragiona e quindi produce un credo (l’attenzione che oggi ha la Chiesa verso la scienza e la filosofia è un segno di questo). In breve, lascia spazio al principio di libertà giustificando un unico motivo per temere la libertà di pensiero, quando il pensiero che si vuole diffondere è debole rispetto alla verità! Vi sono alla fine due strade per evangelizzare: impegnarsi in un pensiero forte o negare il principio di libertà. Quale preferiamo?Ma come è possibile che la Chiesa abbia un pensiero debole se questo pensiero viene da Dio? Non è così: il pensiero della Chiesa non è il Vangelo ma è il prodotto - umano - del Magistero della Chiesa. “L’autorita’ del Magistero non è sulla Parola, ma sulla interpretazione che gli uomini ne danno” (dal Dizionario di Teologia Fondamentale n. 655). Se il nostro non è un Dio silente ma un dio che si è “fatto vivo” allora quel dio è stato visto, ascoltato ha lasciato una tradizione storica, un canone scritto, una capacità di riconoscere certi segni. Così la dimensione nella quale si esprime la relazione con il sacro è per noi cristiani quella della vista, dell’ascolto, del ragionamento e della comprensione, associando alle tracce di Dio nella storia un’idea umana, che è l’idea della Chiesa su Dio. La fabbrica di questa idea si chiama “teologia” e costituisce un mai finito, impegnativo e meraviglioso cammino di ricerca umana verso la verità. La Chiesa, sul piano di ciò che afferma, non “ripete a memoria” la Parola così come è scritta nella Bibbia, ma produce anche la sua idea teologica (come anche ognuno di noi necessariamente fa). E’ il compito finale del Magistero della Chiesa, la cui stessa esistenza consegue dall’aver ammesso la dimensione della visione e dell’intelligenza nell’accesso al sacro. In questo impianto, l’idea prodotta dal Magistero della Chiesa non è imposta al pubblico (negando il principio di libertà), ma caratterizza l’unità della Chiesa stessa nella sua componente umana.Esiste un unico modo onesto di porsi di fronte alla bellissima domanda di Berenice: sviluppare un pensiero cristiano forte confrontandosi con il Magistero della Chiesa (o abbandonare il Cristianesimo). Se tutti quanti noi facciamo questo, Berenice, come ogni altro libero pensatore, starà al nostro gioco: assegnerà al Magistero non il ruolo di pensiero da trasferire ad ogni cristiano che accetti questa imposizione, ma quello di costruire l’inevitabile parte umana - interpretativa - del rapporto tra Dio e l’umanità.
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Ricordate? Abbiamo dedicato alcuni numeri di Missione parliamone al territorio della missione e altri agli strumenti della Missione; ovvero a (rispettivamente) dove la missione interviene e cosa ne abilita l’opera. Dedicheremo due numeri ad una specie di gioco: prendere in considerazione futuro e passato e riflettere sul modo come il futuro è territorio di missione mentre il passato ne é strumento. In questo numero di novembre, che segue quello dedicato all’ottobre missionario dal tema “Insieme ai giovani, portiamo il Vangelo a tutti", ci occupiamo appunto del futuro. Ci accorgeremo subito che si tratta di una missione “ad gentes” dove la lontananza da colmare è, questa volta, il tempo e non lo spazio.
Paolo
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(1) Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.(2) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità. (3) Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona. (5) Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.…(testo approvato dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, nella foto Eleanore Roosvelt presenta la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo)
“Poi un ramo uscirà dal tronco d’Isai, e un rampollo spunterà dalle sue radici. Lo Spirito del Signore riposerà su di lui: Spirito di saggezza e d’intelligenza, Spirito di consiglio e di forza, Spirito di conoscenza e di timore del Signore. Respirerà come profumo il timore del Signore, non giudicherà dall’apparenza, non darà sentenze stando al sentito dire, ma giudicherà i poveri con giustizia, pronuncerà sentenze eque per gli umili del paese. Colpirà il paese con la verga della sua bocca, e con il soffio delle sue labbra farà morire l’empio. La giustizia sarà la cintura delle sue reni, e la fedeltà la cintura dei suoi fianchi. Il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà. La vacca pascolerà con l’orsa, i loro piccoli si sdraieranno assieme, e il leone mangerà il foraggio come il bue. Il lattante giocherà sul nido della vipera, e il bambino divezzato stenderà la mano nella buca del serpente. Non si farà né male né danno, su tutto il mio monte santo, poiché la conoscenza del Signore riempirà la terra, come le acque coprono il fondo del mare.” (Isaia 11,1-9)Il tempo di questi versetti è il futuro: il brano è profetico. Cosa significa questo brano per noi oggi? Se il nostro presente fosse il futuro di allora (settimo secolo A.C. circa) non potremmo pensare che il brano si è reso-vero, si è avverato. Ad esempio, oggi non è vero che “il lupo abita con l’agnello”; invece è vero che il lupo continua ad abusare dell’agnello, in tutti i modi che può. Eppure noi insistiamo nel considerare Isaia un vero profeta. C’è in questa apparente contraddizione una visione matura del futuro profetico dove il gesto profetico non è una predizione, non è l’esercizio della capacità di “vedere” il futuro inteso come “presente che sarà”, ma è pronunciare sul presente una verità nel nome di Dio, di cui il profeta è - contro-voglia, forse - porta-parola (l’etimologia greca della parola “pro-feta” è “colui che parla” [da “phemi", parlare] “al posto di” [“pro”]). Il profeta non dice cosa accadrà nel futuro ma dice cosa il futuro è: il ribaltamento, ad opera di Dio, di un presente che tradisce il divino. Il futuro è “Il lupo abiterà con l’agnello”. Se il presente non è così allora il futuro è ancora da raggiungere, è territorio di missione. Possiamo anche noi, cristiani del presente, rivendicare il ruolo di profeti, annunciando, ancora una volta, “il lupo abiterà con l’agnello”? Riflettiamo su cosa significa insistere in questo annuncio quando tutto ci fa pensare che il nostro proclamare ciò che Dio farà del mondo non può riguardare ciò che vedremo personalmente, con i nostri occhi di carne. Qui c’è un passaggio rivoluzionario, un diamante incastonato nell’idea stessa di profezia: considerare come valore per ogni singola persona che ha fede, non solo il proprio “futuro personale” ma soprattutto quello dell’umanità. Nel nostro sistema di valori c’è - al primo posto, forse - l’umanesimo, il valore che ha per noi l’umanità intera. Noi siamo profeti quando, ad esempio, proclamiamo i diritti di ogni essere umano, mentre cessiamo di esserlo quando ci accontentiamo di dire “se c’è poco allora è per noi: noi lo avremo, loro no”, perché quando facciamo questo i lupi che non abitano con l’agnello siamo proprio noi. Possiamo fare ancora un passo avanti in questa riflessione. Dobbiamo però organizzarci un pochino, ordinarci secondo la nostra “speranza di vita” personale. C’è chi tra noi ha “meno vita” davanti: i vecchi, gli anziani, più in generale i “non più giovani”. C’è chi tra noi ha invece “tutta la vita davanti a sé”. Per tutti, ma non allo stesso modo, il futuro è territorio di missione. Se ti consideri nel gruppo dei “non più giovani” chiediti: sono capace di vedere il mio personale futuro in questo mondo come vita vissuta dalle persone che saranno? Notiamo che il nostro vedere l’umanesimo come valore richiederebbe questa capacità. Cerchiamo di leggere la storia per trarne un piccolo insegnamento. Il diciottesimo secolo ha visto la cosiddetta “rivoluzione industriale”. Essa è in primo luogo la conseguenza dell’aumento sostanziale di
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efficienza dell’agricoltura: ci voleva molto meno lavoro per coltivare (o allevare) il cibo. Come abbiamo visto nel numero 54 di “Missione. Parliamone…”, per produrre una tonnellata di grano grezzo prima della rivoluzione industriale occorrevano poco meno di 2000 ore di lavoro; intorno al 1840 meno di 100 ore; nel 1990 2 ore. Vediamola allora in questo modo: noi siamo fortunati, prima era assai difficile essere profeti: i figli erano braccia che ci procuravano il cibo, ci voleva tanto lavoro per coltivare la terra che i figli servivano a questo… erano lo strumento che dava valore alla terra, erano quindi il presente non il futuro! Oggi i nostri figli possono molto più facilmente essere visti come “nostro futuro”, destinatari della ricchezza che possiamo conferire loro in eredità: la ricchezza materiale, la cultura… la tradizione. Noi dobbiamo elargire ricchezza a loro non il contrario! La rivoluzione industriale contiene un enorme potenziale profetico: la possibilità di guardare con occhi sereni ciò che Dio promette all’uomo come futuro per l’umanità. Sta solo a noi, ormai, esprimere questo potenziale. Se ti consideri nel gruppo di chi “ha la vita davanti” chiediti: sono capace di guardare al mio futuro e non solo al mio presente? C’è una cosa qui da raccontare, una sorta di parabola moderna: il famoso “esperimento marshmallow”. L’esperimento, condotto nel 1972 dallo psicologo Walter Mischel dell’università di Stanford, ha avuto luogo in una scuola materna presso l’università, coinvolgendo diverse centinaia di bambini, persone “con tutta la vita davanti”. I bambini sono stati portati in una stanza semi-vuota, dove è stato posto un marshmallow (una golosità per i bambini dei paesi anglosassoni) su un tavolino. Ai bambini è stato detto che potevano mangiare il dolcetto, ma se fossero riusciti - una volta lasciati soli - ad aspettare un quarto d’ora senza cedere alla tentazione, sarebbero stati premiati con un secondo marshmallow; in questo quarto d’ora i bambini sono stati osservati di nascosto: alcuni si coprivano gli occhi con le mani o si giravano per non guardare il dolcetto, altri prendevano a calci il tavolino, oppure si tiravano i capelli, o cose del genere; altri infine hanno deciso di mangiarlo subito, senza troppe storie. Degli oltre 600 bambini che hanno partecipato all’esperimento, un terzo è riuscito a rimandare la gratificazione abbastanza a lungo da ottenere il secondo marshmallow. La cosa più interessante è il risultato del follow-up eseguito 18 anni dopo. I bambini premiati con il secondo marshmallow sono, con sconcertante precisione, quelli meglio realizzati nello studio, nella famiglia e nel lavoro. Sono coloro che per un quarto d’ora del loro presente hanno profetizzato una cosa banale - due marshmallow al posto di uno - dimostrando però a loro stessi di avere la capacità di profetizzare. Loro hanno investito il presente a favore del futuro e nel futuro si sono ben realizzati, come Dio vuole.
Nella figura. Natività tra i profeti Isaia e Giobbe - Duccio di Buoninsegna (1255-1319)
Che cosa è un secchio della spazzatura? E’ un luogo nascosto della nostra casa dove riponiamo ciò che per noi non ha più valore, ciò con cui non vogliamo più avere a che fare. Avendo convenuto questo, riflettiamo: il 26 aprile 1986 a Černobyl’ in Ucraina è avvenuto il più grave incidente mai verificatosi in una centrale nucleare. Una fortissima esplosione provocò lo scoperchiamento del reattore. Una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore e ricadde su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole pesantemente e rendendo necessaria l'evacuazione e il reinsediamento in altre zone di circa 336.000 persone. Nubi radioattive raggiunsero anche l'Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia con livelli di contaminazione via via minori, toccando anche l'Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l'Austria e i Balcani, fino a porzioni della costa orientale del Nord America. Il costo in vite umane è valutato nell’ordine delle migliaia se non decine di migliaia di persone (di cui solo 65 nell’immediatezza del disastro). I detriti radioattivi sono tenuti separati dall’ambiente esterno da un sarcofago opaco alle radiazioni. Finora sono stati costruiti due sarcofagi: il primo è stato costruito a tempo di record pochi mesi dopo il disastro. Poiché ha cominciato presto a cedere c’è stato bisogno del secondo sarcofago, progettato in modo tale da durare 100 anni. La costruzione di quest’ultimo è terminata nel 2016. I detriti della centrale dovranno essere protetti da un sarcofago per centinaia di anni ancora, procurando una bella gatta da pelare ai nostri figli, ai nostri nipoti e ai nostri pronipoti. Qualcuno ha detto “il progresso genera delle conseguenze non risolvibili dai contemporanei; sarà compito delle generazioni future risolvere questi problemi”. Il sarcofago è un vero e proprio secchio della spazzatura: nasconde i detriti della centrale al presente. Con queste premesse possiamo formulare ora, in termini generali, la domanda del mese: “può il futuro essere usato come secchio della spazzatura del presente?”
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Invito alla partecipazione
Per contattare "Missione: parliamone..."telefonare a Paolo (3357602034)
mandare una e-mail ([email protected])
può il futuro essere usato come secchio della spazzatura del presente?
Quando oltrepassiamo la soglia del portale che, come abbiamo visto nel precedente numero del Notiziario, simboleggia Cristo stesso, porta che ci conduce al Padre, ci addentriamo nella chiesa che, in quanto “domus Ecclesiae” è costituita come spazio per il popolo di Dio, che si raduna per la celebrazione della liturgia. L’aula liturgica non è quindi una platea per accogliere degli spettatori, ma uno spazio per i fedeli che, ciascuno secondo il proprio ruolo ministeriale, sono veri e propri protagonisti dell’azione liturgica. L’assemblea liturgica è infatti il popolo sacerdotale che, nella sua totalità, nella varietà dei ministeri, in forza del Battesimo e della Cresima, è parte attiva della celebrazione.É molto importante ricordare ciò che scrive il Concilio Vaticano II e cioè che ogni celebrazione liturgica è «opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa» (Sacrosanctum Concilium n. 7). In altri termini, il soggetto del culto liturgico non è costituito solo dalla componente ecclesiale, e quindi umana, ma prima di tutto è un soggetto divino, Cristo sommo sacerdote, che associa a sé la Chiesa nella lode che nello Spirito eleva al Padre. L’assemblea liturgica, in quanto inserita in Cristo, agisce a pieno titolo nella celebrazione liturgica cristiana. Di conseguenza, il luogo di culto è la “domus Ecclesiae”, lo spazio per il popolo di Dio in preghiera, inteso come uno spazio aperto dove la Trinità è protagonista qualificante.Come sottolinea al n. 13 la Nota pastorale della Conferenza episcopale Italiana del 1996, relativa all’Adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, «la chiesa-edificio si può considerare una "icona ecclesiologica": di volta in volta essa è sentita come luogo della Chiesa in festa, come luogo della Chiesa in raccoglimento e in preghiera, come luogo in cui la Chiesa esprime la propria natura intensamente corale e comunitaria».In essa è il Signore che ci chiama a radunarci attorno al suo altare; per questo, «lungo il corso dell'anno liturgico, l'assemblea locale si raduna nell'edificio di culto, in comunione con tutta la Chiesa, per fare memoria del mistero pasquale di Cristo, nell'ascolto delle Scritture, nella celebrazione dell'Eucarestia, degli altri sacramenti e sacramentali e del sacrificio di lode» (idem n. 11).Accanto all’assemblea liturgica del popolo di Dio è da considerare il ruolo di coloro che svolgono un ministero specifico: quello di presidente dell’assemblea, ordinariamente il vescovo o il presbitero, i diaconi, i lettori, gli accoliti, i ministranti.Lo spazio a loro riservato è il presbiterio, cioè il luogo dei presbiteri, di solito rialzato rispetto alla parte occupata dai fedeli, non per indicare una
separazione dal resto dell’assemblea, ma per sottolineare il compito specifico che da essi viene esercitato.I pochi gradini che rendono il presbiterio più elevato rispetto agli altri ambienti della chiesa ricordano metaforicamente il luogo teologico del “monte”, che nella S. Scrittura è il luogo dell’incontro dell’uomo con Dio. Nell’Antico Testamento sull’Oreb, dal roveto ardente, Dio manifesta a Mosè il suo nome e lo invia a liberare il suo popolo, sul Sinai gli consegna le tavole della legge; sull’Oreb il profeta Elia incontra la Gloria di Dio e sul monte Carmelo sconfigge i 450 profeti di Baal, ristabilendo la fede del popolo nel Dio d’Israele. Nel Vangelo il monte è il luogo sul quale Gesù spesso si ritira di notte in preghiera, in intimità col Padre, è il luogo da dove proclama le beatitudini, Magna Charta della vita cristiana; sul Tabor si trasfigura, anticipando la gloria della risurrezione, sul monte Calvario offre se stesso morendo in croce, sacrificio che si rinnova ad ogni celebrazione eucaristica sull’altare, centro di questo metaforico monte che è il presbiterio.
II lluuoogghhii ddeellllaa cceelleebbrraazziioonnee lliittuurrggiiccaaIIll ppoorrttaallee
— giovedì 1: solennità di tutti i Santi, festa di precetto. Le S. Messe seguiranno l’orario festivovenerdì 2: commemorazione dei defunti e 1 venerdì del mese. Adorazione eucaristica dalle 9.30 alle 18.00. A San Francesco di Sales dalle 15.30 alle 17.00;
— alle ore 18: celebrazione in suffragio di tutti i defunti della parrocchiaore 21: Lectio Divina in criptadomenica 11 e 18: alle ore 16 celebrazione delle Cresime
— venerdì 16 ore 21: Lectio Divina in criptasabato 17 ore 19: ha inizio il 1^ corso di fidanzati che si preparano al matrimonio domenica 18 ore 17: proiezione del film “Coco” con cineforum
— martedì 20: premiazione alla scuola Girolami per l’iniziativa del Chicco di senape: “Disegni d’amore”sabato 24 e domenica 25: mostra degli artisti del quartiere nel salone M. Teresa Carlonivenerdì 30 ore 21: lectio divina in cripta— A decorrere dalla stagione 2018/19 il Gruppo Teatrale parrocchiale assumerà il nome delle due persone che egregiamente lo dirigono da circa 20 anni; per cui il Gruppo Teatrale a Coromoto “Susanna Lupo e Attilio Tacconelli” torna in scena con la divertente commedia di F. Fiorentini "Pensione Pomodoro" sabato 10 novembre e domenica 11 novembre alle ore 17.30. Per info e prenotazioni 3289568622 - 0665743355