APOLIS RIDOTTO.pdf · Enzo Cordaro * A) Introduzione ... caratteristiche che favoriscono un clima...
Transcript of APOLIS RIDOTTO.pdf · Enzo Cordaro * A) Introduzione ... caratteristiche che favoriscono un clima...
1
APOLIS Associazione di Psicologia delle Organizzazioni e del Lavoro In Sicurezza
Aspetti teorici del progetto ROAQ-R e Test
2
La valutazione esistenziale del lavoro e della dimensione dei processi psicosociali nel lavoro che cambia. Enzo Cordaro
* A) Introduzione
Mi sembra significativo iniziare questo lavoro con una frase di Erich Fromm che recita: “L’autorità
razionale si fonda sulla competenza e aiuta a crescere coloro che si appoggiano a essa; l’autorità irrazionale
si basa sul potere e serve a sfruttare la persona che a essa è asservita”.
Con semplicità la frase è in grado di rappresentare le conseguenze che possono derivare dal modo con cui
s’interpreta e si attua la cultura delle relazioni. I due estremi si possono caratterizzare sia secondo un “contesto”
governato da arroganza, protervia e sopraffazione, caratteristiche che favoriscono un clima dominato da uno
stato emozionale regredito o negato, composto da elementi di disgregazione sociale, da competitività esasperata
e portatrice di una organizzazione disfunzionale, e sia da un “contesto” psicosociale caratterizzato da tolleranza,
convivenza e accoglienza, che si contraddistingue con una emozionalità considerata sia come un valore
aggiunto e sia come una componente centrale di progettazione, composta da elementi di coesione sociale, di
competitività leale e portatrice di una organizzazione funzionale.
Scegliere una delle due culture di riferimento sopra descritte o potenziarne gli effetti, non è di certo
ininfluente; quando s’intende valutare il grado di salute dei gruppi di lavoro, oltre alle fondamentali
considerazioni sulla dimensione strutturale, ambientale e alla valutazione dei danni biologici, chimici e fisici, si
deve tener conto anche del modello della vita relazionale, affettiva e comunicativa che l’azienda propone come
regola di vita dei gruppi. Queste scelte caratterizzano il processo sociale e la vita lavorativa delle persone che
animano l’organizzazione, limitando o favorendo la partecipazione, la disponibilità e il senso di appartenenza
del soggetto al gruppo, e, cosa ancora più importante, possono influenzare l’ambiente facendolo divenire un
pericoloso “brodo di coltura” che può causare un malessere psicologico che potrebbe poi trasformarsi in una
conclamata “patologia stress lavoro correlata”.
In questo senso si è espresso il D.lgs. 81 del 2008 e la successiva modifica definita dal D.lgs. 106 del 2009,
recependo nell’articolo 28 l’accordo europeo tra le parti dell’8 ottobre 2004 (accolto in Italia nel giugno del
2008), dove viene definita l’importanza di considerare, al fine della sicurezza e la salute dei luoghi di lavoro, i
danni psicologici derivati dalle condizioni psicosociali di lavoro. L’accordo europeo non solo riconosce la
presenza delle patologie stress lavoro correlate, ma ne definisce anche l’eziopatogenesi che non può prescindere
dal modello organizzativo che sostanzia la vita sociale dell’organizzazione e che può divenire un elemento
favorente il disagio da lavoro. Mi sembra per cui indubbio che per parlare di patologie stress lavoro correlate si
* Direttore dell’Unità Operativa di psicologia del lavoro e del Centro per la rilevazione del danno biologico da patologie mobbing compatibile ASL RM/D e Presidente dell’associazione APOLIS.
3
debba riuscire a rilevare un collegamento tra il disagio del lavoro evidenziato con la condizione socio
ambientale e le caratteristiche del lavoro che lo possono aver determinato. In sostanza non si può prevenire,
indagare e/o rilevare il danno, se non si evidenzia il possibile rischio. Per fare un esempio chiarificatore, per
sapere se sussiste un rischio chimico in un certo ambito aziendale, si deve prima di tutto misurarne la presenza e
valutarne il processo espressivo ed evolutivo del fattore tossico, così il medico del lavoro (medico competente)
può svolgere la sua azione di prevenzione sanitaria sulla base del rischio calcolato. Non è un caso che il D.lgs.
81 del 2008 nei punti a-b-d dell’articolo 15 da competenza al Datore di Lavoro di valutare specificatamente:
“tutti i rischi per la salute e la sicurezza”, “… l’influenza dei fattori ambientali e dell’organizzazione del
lavoro” e “il rispetto dei principi ergonomici del lavoro…, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla
salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo”; e nel punto 1 lettera A dell’articolo 28 recita “deve
riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di
lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i
contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004”. L’articolazione così definita dal D.lgs 81/2008, risponde
all’esigenza di effettuare la correlazione tra il disagio psicologico e le caratteristiche del lavoro che lo hanno
determinato.
B) Presentazione del gruppo di ricerca
Prima di addentrarmi nei ragionamenti concernenti i temi dell’analisi della dimensione psicosociale dei
processi organizzativi e della rilevazione delle patologie stress lavoro correlate, mi preme presentare i
componenti del gruppo di ricerca che dal 1998 stanno lavorando per trovare e affinare gli strumenti e le
procedure adeguate alla costruzione di una cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro, riferibile anche alle
dimensioni psicologiche ed esistenziali.
La prima a iniziare la collaborazione con il sottoscritto è stata la dr.ssa Deianira Di Nicola, psicologa clinica
con una forte propensione alla ricerca scientifica e con grandi capacità matematico-statistiche. Con la dottoressa
Di Nicola abbiamo lavorato per anni alla definizione del test ROAQ (Risk Organizzation Assessment
Questionnaire) sia nella forma lunga e sia in quella ridotta, e oggi condivide con me gli ottimi risultati. La dr.ssa
Roberta Nardella, psicologa del lavoro che ha apportato un suo originale contributo nello studio delle
dimensioni culturali delle organizzazioni. Il dr. Daniele Ranieri, che oltre ad avere un impegno sociale e
sindacale nell’ambito della sicurezza del lavoro, ha contribuito a definire le strategie formative che ci hanno
caratterizzato in questi anni. Con questi tre compagni di strada ho fondato un’associazione denominata APOLIS
(Associazione di Psicologia delle Organizzazioni e del Lavoro In Sicurezza), che è la depositaria del corredo
culturale, scientifico e professionale costruito in questi anni. Attualmente gli strumenti d’indagine di APOLIS
sono utilizzati in diciotto Aziende Sanitarie e Ospedaliere distribuite su tutto il territorio nazionale e da diverse
aziende private tra cui: EQUITALIA, UNIONCAMERE e ASTALDI. Al gruppo originario si stanno
progressivamente avvicinando molti altri colleghi psicologi, medici e tecnici della prevenzione che sono
4
interessati alle nostre tecniche di lavoro e alla nostra filosofia d’intervento. Per questo motivo spesso utilizzerò,
per descrivere il nostro lavoro un più corretto plurale.
C) I nostri riferimenti teorici per leggere e interpretare i gruppi e le organizzazioni
Il contesto
Da quanto detto sopra si definisce con grande forza, il fatto che per valutare la dimensione delle patologia
stress lavoro-correlato, si deve soprattutto comprendere il “contesto” in cui si svolge la via sociale che si deve
analizzare e interpretare. Il “contesto sociale” può favorire l’insorgenza del disagio da lavoro nei soggetti che vi
operano o prevenirlo attraverso una capacità matura di attivare comportamenti correttivi autonomi del gruppo.
I modi di esprimersi, i problemi psicologici, le difese, la struttura del carattere e della personalità, sono
elementi che quando si manifestano all’interno di un gruppo, determinano uno spazio in cui possono risuonare;
uno spazio fatto di persone, ma anche di cose, organizzate secondo criteri voluti o più spesso occasionali, che
definiscono un tenore, un clima specifico che, involontariamente, può influenzare i vissuti, le emozioni che ne
derivano, i processi comunicativi e i comportamenti umani. Uno spazio che fa riverberare le soggettività e le
trasforma in “un’altra cosa” e, come in una centrifuga, ottiene un prodotto composto dagli stessi elementi, ma
che si apprezza per essere diverso, in grado di assumere uno spazio sovrastante che riesce a condizionare le
singole identità. I fenomeni che, all’interno di sistema di relazioni, alimentano la particolarità del contesto,
diventano le componenti principali che caratterizzano le dimensioni psicosociali anche di una organizzazione di
lavoro. Il veicolo principale che articola i contatti, non è più quello che succede all’interno della singola mente,
ma come si definiscono e s’istaurano le relazioni tra gli individui e l’ambiente che li circonda. A questo punto
mi sembra importante introdurre un nuovo stimolo dato dalle teorie di Gregory Bateson1, il quali definisce il
contesto come il “luogo sociale in cui si verifica una certa relazione, e il luogo che, attraverso il processo
sociale, definisce il carattere individuale delle persone. Grazie a tale processo le emozioni individuali possono
esprimersi solo nell’ambito di un pattern sociale denominato Ethos” e ancora: “Il contesto è il luogo dove
parole, frasi, costatazioni e comportamenti assumono significato in rapporto alla situazione in cui vengono
osservati. Nell’ambito del “contesto” si definiscono due principi fondamentali: il contesto come luogo
dell’apprendimento e dove si sviluppano fenomeni e si caratterizzano comportamenti ed il contesto dove si
socializzano i significati”.
Mi sembra per cui importante saper fotografare e interpretare il “luogo in cui si evidenzia la sfera
relazionale”, dove si “sviluppano i processi comunicativi” e dove si “esprimono le emozioni”, il luogo dove si
manifestano le complessità psico-sociali del gruppo e dove si articola la vita e si definisce il clima
dell’organizzazione.
Resta ora da chiedersi quali possono essere i parametri evolutivi, identitari e clinici che devono essere
presi in considerazione per rilevare il grado di salute dei gruppi di lavoro; i parametri psicosociali su cui
1 G. Bateson, (1977) Verso un'ecologia della mente, Milano, Adelphi
5
misurare il rischio dell’insorgenza delle patologie stress lavoro correlate; quali possono essere le procedure e
gli strumenti che misurano detti parametri.
I parametri evolutivi della vita del gruppo: inquadramenti motivazionali e aggregativi
Dal punto di vista clinico uno degli autori che reputiamo utile prendere come riferimento teorico è Wilfred
R. Bion2 che nel suo libro “Esperienze nei gruppi e altri saggi”, affronta il difficile problema del modello di
funzionamento dei gruppi. L’esperienza da cui scaturisce la sua teoria, fu svolta sia nel reparto di riadattamento
di un ospedale militare, effettuata in veste di Direttore del reparto durante la seconda guerra mondiale e sia nel
trattamento di piccoli gruppi che segui in qualità di terapeuta. Da queste esperienze l’autore evinse che il
comportamento dei partecipanti al gruppo era fortemente condizionato dal contesto gruppale e dal clima
emotivo che si sviluppava. La realizzazione degli obiettivi che il gruppo doveva svolgere erano direttamente
rapportati alla loro capacità di sostanziare una certa ricchezza intellettuale con un livello di giudizio critico
sviluppato. Tutte queste capacità non erano assenti nelle persone prese singolarmente, ma sparivano nella vita
sociale del gruppo. Le difficoltà erano dovute alla forte influenza determinata dalla dimensione emotiva, la
quale impediva il funzionamento del gruppo e la realizzazione degli obiettivi, senza che le singole persone se ne
rendessero conto. In questo caso un bisogno più regressivo e primario diveniva un forte ostacolo a una vita
corretta e all’espressione più accorta della componente emotiva del gruppo. Questa esperienza ha posto un punto
fermo e indelebile sul funzionamento dei gruppi, i quali, nel bene e nel male, assumono una loro specifica
mentalità che si configura come una cultura condivisa da tutti, di cui i membri non hanno coscienza, e che
condiziona il comportamento dell’intero gruppo. Il gruppo quindi diviene il recipiente dei contributi
inconsapevoli, ovvero “l’attività mentale collettiva” che si produce quando le persone si riuniscono in gruppo,
la cultura che se ne evince in questo contesto quindi, deriva dalla commistione tra la mentalità del gruppo e i
desideri individuali rappresentandone il propulsore, mentre il modello di funzionamento è caratterizzato dalle
emozioni intense e incontrollate che possono essere espresse attraverso “assunti di base”, che costituiscono il
supporto evolutivo più primitivo ed immaturo. L’adesione dei singoli al gruppo è caratterizzata dalla “valenza”, ovvero la capacità di adesione che ogni
individuo ha di adeguarsi e/o di essere coinvolto dall’attività mentale e culturale che il gruppo propone. Quindi
le modalità in cui si esprimono gli “assunti di base”, definiscono la cultura del gruppo, ne evidenziano la
valenza e ne selezionano la partecipazione. Bion definisce quali sono gli “assunti di base” che maggiormente
rappresentano modelli aggregativi degli individui e li enuclea in:
Ø Gruppo di dipendenza, fondato sull’esigenza di rappresentare il bisogno di protezione, scompaiono le
differenze tra i soggetti e nasce l’esigenza di una guida forte, di un capo carismatico che adempia la
funzione di provvedere alle necessità del gruppo. In questo caso si può determinare la perdita quasi
totale del giudizio critico e i tratti pertinenti del tipo di configurazione sono caratterizzati dalla
passività. Il meccanismo di difesa dominante che caratterizza l’assunto di base e implica il
funzionamento in questo contesto, si riferisce alla regressione e alla razionalizzazione;
2 W.R. Bion (1972) Esperienze nei gruppi e altri saggi, Roma Armando
6
Ø Gruppo attacco-fuga, fondato sull’esigenza di proiettare sul mondo esterno le proprie difficoltà, e
attraverso il conflitto con il mondo esterno riesce a trovare la coesione tra i soggetti. Il leader scelto
deve garantire la visione paranoica del gruppo e deve alimentare l’idea che esiste un nemico dentro o
fuori di esso. In questo caso il meccanismo di difesa dominante che caratterizza l’assunto di base e ne
implica il funzionamento fa riferimento alla proiezione;
Ø Gruppo di accoppiamento, fondato su una leadership connessa a una coppia dominante che svolge un
ruolo messianico, con la promessa che un’entità arriverà a salvarli da sentimenti di odio, di distruzione
o di disperazione. Il meccanismo di difesa dominante che caratterizza l’assunto di base e implica il
funzionamento del gruppo è l’identificazione.
Dall’altro versante Bion considera i gruppi maturi ed evoluti, evidenziandoli in quei gruppi che non
disconoscono la dimensione emozionale, facendola divenire un valore aggiunto, ma senza sovrapporla alle
capacità cognitive, le quali rimangono in grado di mantenere una ricchezza intellettuale e una capacità critica.
Bion chiama “gruppo di lavoro” il gruppo dove si garantisce un approccio che utilizza metodi razionali e
scientifici, dove viene tollerata la frustrazione, si consente l’evoluzione delle idee nuove e dove il leader si
dimostra capace di fornire sostegno e di garantire lo sviluppo del pensiero maturo e scientifico.
Le dinamiche evolutive e la definizione della salute psicosociale dei gruppi di lavoro
Nella nostra esperienza di lavoro con le organizzazioni, abbiamo incontrato diverse tipologie di gruppi che,
nel rispetto di quanto definito da Bion, siamo riusciti a sintetizzare nel seguente modo:
Ø Il gruppo con buona affettività che si esprime con un comune orientamento su obiettivi, regole e valori,
che agisce con competitività solidale, dove il processo comunicativo è a dominanza esplicita e le regole
sono chiare e condivise;
Ø Il gruppo con cattiva affettività, che esprime scarsa condivisione degli obiettivi, di regole e valori, dove
si caratterizza un esasperato individualismo e dove la modalità comunicativa è a dominanza implicita,
confusa e lascia spazio all’interpretazione, le regole sono ambigue, confuse e non condivise.
Nella prima tipologia si possono annoverare quei gruppi di lavoro la cui vita affettiva e sociale è supportata
da un’adeguata capacità di gestione della dimensione emozionale, dove la componente cognitiva riesce ad
esprimersi attraverso la realizzazione dei compiti istituzionali, e dove si apprezza la capacità di integrare tutti in
una azione corale. Le differenze non creano problemi e in alcuni casi sono considerate dei valori aggiunti utili
alla realizzazione dei compiti, il conflitto è espresso in modo aperto e diretto, anche perché si riesce a definire
un modello comunicativo esplicito. La relazione delle persone è sistematizzata da un corredo di regole chiare e
condivise che non permettono confuse e pericolose interpretazioni. In questi casi si rileva un’organizzazione di
tipo piramidale a base larga, dove si esprime un leader che garantisce la delega di parti delle proprie
responsabilità, una buona collaborazione caratterizzata da condivisione di obiettivi e di strategie con gli altri
responsabili del gruppo, dove le decisioni sulla vita lavorativa sono prese in modo concordato con il gruppo,
dove la presenza e l’azione del/dei dirigente/ti si manifesta con decisioni eque ed è percepita come
opportunamente prevedibile e rassicurante.
7
Per quanto possa sembrare strano, non è poi così difficile ritrovare le caratteristiche di un buon gruppo ,
anche se nella maggioranza dei casi ci siamo imbattuti in realtà di lavoro dove gli elementi che caratterizzano la
dimensione psicosociale funzionano secondo modelli meno evoluti, e dove si evidenziano complicazioni
disarmoniche che confondono la vita psicosociale. I meccanismi comunicativi si rendono intricati e la
comprensione tra i soggetti del gruppo si fa confusa e meno esplicita, mentre le regole della vita comune
divengono opinioni soggettive. La capacità di unione del gruppo e la sua forza di aggregazione viene meno e si
creano i sottogruppi, la dimensione corale si perde nei mille rivoli dei pareri soggettivi e l’affettività riesce a
esprimersi ripercorrendo le divisioni. Poiché i gruppi di lavoro devono comunque funzionare, la dimensione
psicosociale in questi casi3 genera comportamenti difensivi, i quali creano i presupposti per un depauperamento
delle energie soggettive e definiscono il rischio dell’insorgenza di patologie stress lavoro correlate. Per cui la
patologia è, non solo, la reazione individuale alla pressione subita, ma anche il frutto di quanto avviene
all’interno del contesto organizzativo, in relazione alla tipologia del lavoro svolto.
Nella nostra esperienza è evidente che le difficoltà della vita psicologica dei gruppi si rilevano quando nella
vita sociale si manifestano alcune incongruenze organizzative o esistenziali, oppure, come più di frequente
succede, si presentano in forma associata.
In genere le difficoltà organizzative da sole non hanno un forte impatto sulla vita psicologica del gruppo, i
problemi esistono ma non hanno la forza di rappresentarsi come destrutturanti né nei confronti della sfera
sociale, né di quella concernente i compiti da realizzare. Si possono generare ritardi, si può verificare anche una
certa litigiosità e si può constatare una limitata incomprensione, ma il conflitto rimane relegato nella sfera
cognitiva, le persone rimangono tra loro solidali e collaborative, la sfera emozionale si può in parte modificare,
ma non si definisce uno scenario destrutturante delle relazioni, la potenzialità comunicativa si altera nei toni ma
non subisce trasformazioni nei contenuti, permettendo ai soggetti di poter continuare a comunicare in modo
diretto ed esplicito. In questo caso si possono verificare anche reazioni di disagio soggettivo e d’incapacità a
integrare e sopportare le difficoltà che emergono dai problemi organizzativi. Il disagio, nel suo evolvere, può
anche assumere le caratteristiche di una patologia da stress, ma il gruppo ha la forza in sé di sopperire ai
problemi emersi e di mitigare i conflitti, e le persone, per quanto stanche, continuano a ricevere dal gruppo di
lavoro un ritorno di sicurezza che garantisce un forte supporto all’autostima dei soggetti.
La seconda ipotesi relativa ai problemi riferibili alle incongruenze esistenziali si articolano in modo più
pesante nell’ambito della sfera delle emozioni. Possono essere presi a pretesto problemi di ordine organizzativo,
ma il conflitto assume i toni di uno scontro “di potere”, dove l’unico scopo è soprattutto quello di esprimere la
forza sopraffattrice. La comunicazione diviene trasversale, il senso non è più chiaro e definito, si complica nei
suoi contenuti divenendo implicito e interpretativo. La dimensione associativa del gruppo si altera, si perde la
spinta supportiva e collaborativa, scompare la tolleranza tra le persone. Il gruppo comincia a definire un modello
di funzionamento caratterizzato da meccanismi difensivi meno evoluti e da atteggiamenti e comportamenti più
regrediti. La risposta difensiva in genere è confinata nell’area individuale e il gruppo si viene a configurare
come una costellazione di piccoli sottogruppi spesso in guerra tra loro. La vita sociale non riesce più a sostenere
la dimensione esistenziale degli individui, il fallimento della vita associativa rischia di alterare anche l’autostima 3 A complicare la vita del gruppo ci sono fattori come: la tipologia e la complicazione emotiva dell’attività lavorativa da svolgere; la totale insufficienza delle risorse umane impegnate in quel certo lavoro; la condizione strutturale degli ambienti in cui l’attività si svolge.
8
e la sicurezza in sé stessi. In questo secondo scenario i danni che le persone possono subire sono sicuramente
più gravi, così come le possibili patologie che ne derivano. Alla stanchezza si associano le conseguenze di
un’esistenzialità negata e frustrata. Con queste premesse si possono definire patologie stress lavoro correlato,
ma la complessità delle relazioni è talmente alta e conflittuale che può generare le condizioni adatte ad attivare
anche comportamenti vessatori e aggressivi, annoverabili in atteggiamenti definiti come mobbing, implicando,
quindi, anche il rischio dell’insorgenza di patologie mobbing compatibili.
Uno degli scenari che ci troviamo più spesso ad affrontare si riferisce alla difficoltà che alcuni dirigenti
hanno di delegare parti delle loro competenze ai collaboratori. Per lo più questa caratteristica può essere inclusa
tra i problemi di tipo organizzativo, ma se a queste difficoltà si aggiungono le complicazioni relazionali e, le
incapacità di delega sono spinte da un esasperato bisogno di concentrare il potere nella persona del direttore del
servizio, il problema della difficoltà organizzativa si trasferisce nell’ambito delle difficoltà esistenziali ed
emozionali. L’atmosfera di sospetto e di non fiducia complica la comunicazione che si opacizza perdendo la
necessaria trasparenza, caratterizzandosi con una certa forma di censura e di parzialità. La spinta centralistica
della direzione impedisce lo sviluppo di competenze e istaura un modello formalistico e burocratico. Le persone
si sentono escluse e passivizzate nei loro ruoli, perdendo così il naturale entusiasmo e sentendosi umiliati nelle
loro competenze professionali.
Saper leggere le organizzazioni non è un’attività che si può improvvisare, ma è una pratica che ha bisogno di
attenzioni professionali e di riferimenti teorico-clinici che sappiano costruire i presupposti di valutazione e di
discriminazione tra il senso di una struttura sana e quello di una struttura complicata da assunti di base
patologici. Da quanto sopra descritto, per l’analisi e la valutazione delle organizzazioni, non si possono
scegliere scorciatoie. La comprensione del clima e della salute dei gruppi non può essere fatta attraverso il mero
conteggio di fenomeni falsamente considerati oggettivi, come le assenze o il turnover del personale, questi dati
non rendono ragione della varietà con cui si esprimono i disagi della comunità umana che anima il lavoro. Nella
realtà delle aziende sanitarie e nella totalità dei casi, abbiamo verificato che le assenze non sono assolutamente
legate al disagio da lavoro: infatti, in alcuni pronto soccorso dove si esprime una forte presenza di disagio
psicologico diffuso, il personale non si permette giorni di assenza non motivati, gli operatori arrivano addirittura
a essere presenti anche con conclamati impedimenti di salute; mentre in altri casi, in servizi dove non si
evidenzia un disagio psicosociale, le assenze sono maggiormente frequenti. La spiegazione del fenomeno si
riferisce soprattutto alla maggiore motivazione che può derivare dal senso di utilità relativa all’impegno
umanitario espresso dal tipo di lavoro svolto.
L’attività dello psicologo del lavoro che sviluppa la sua azione nell’ambito della sicurezza, e che a noi piace
chiamare “psicologo prevenzionale”, non s’improvvisa, perché deve saper coordinare le proprie competenze
teoriche e professionali, con le competenze dettate dal D.lgs. 81 del 2008 e D.lgs. 106 del 2009, ovvero deve
aver maturato competenze specifiche relative al fare sicurezza sui luoghi di lavoro e nel contempo acquisire
un’armonia di linguaggio e di intenti con tutte le figure professionali che fanno prevenzione e sicurezza nel
mondo del lavoro.
La cultura dell’organizzazione
9
Le dominanti utili a configurare la struttura psicologica dei gruppi e i modelli di funzionamento definiti da
Bion, sono in assonanza con le affermazioni di Edgar Schein4, nel momento in cui descrive e definisce la
dimensione culturale di un’organizzazione: “La cultura organizzativa è un insieme di assunti basilari (notare
che Bion li chiama BASICI) che un certo gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato quando è riuscito a far
fronte ai suoi problemi di adattamento esterno o di integrazione interna, e che si sono rivelati validi e, quindi,
vengono acquisiti e trasmessi ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare, sentire quei
problemi”. La componente riferita agli assunti di base come elementi basici è descritta in modo adeguato anche
in questa seconda frase: “La cultura è l’elemento sostanziale che sostiene e vivifica il comportamento
organizzativo. Essa trova espressione attraverso miti, ritualità, convenzioni, presentando caratteristiche
altamente generali e insieme, altamente specifiche, in riferimento alla ricerca di risposte peculiari rispetto ai
problemi e alle angosce mobilitate negli individui dal particolare contesto lavorativo”. Quindi la cultura
incorpora profonde strutture dense di significati, credenze, aspettative, che guidano le interazioni fra gli
individui, risulta per questo un aspetto implicito della vita sociale, non facilmente osservabile e interpretabile da
una persona esterna al gruppo. La cultura è composta da vari elementi (spazio fisico, regole comportamentali,
valori fondamentali) che riflettono una certa filosofia di azioni, le quali permettono alle persone di comunicare
tra di loro quotidianamente, ed è visibile dai comportamento dei dipendenti in ogni funzione che svolgono.
Conoscere la cultura di un’organizzazione è fondamentale per la comprensione dei meccanismi, degli
atteggiamenti e degli scambi tra i membri, nonché per la comprensione della formazione del clima stesso. Va
sottolineato per cui che il clima e la cultura organizzativa sono due costrutti concettualmente distinti ma legati
tra loro a causa dell’influenza che la cultura esercita sul clima. Il clima è permeato dalle più stabili e profonde
forme della cultura, anche se poi rimane sensibile alle fluttuazioni a breve termine o alle variazioni
dell’ambiente interno ed esterno. Conoscere la cultura può rappresentare l’armonica ridondanza della sinfonia suonata dall’organizzazione, la
cartina di tornasole che riesce a far quadrare i conti dell’interpretazione dei fenomeni osservati, e infine, ci
permette di conoscere le cellule staminali che sono in grado di orientare e costruire la struttura prioritaria della
cultura, del sapere e dell’agire di una organizzazione. La coltura riesce a impostare il clima organizzativo,
coagula l’operato dei responsabili, viene trasmessa attraverso gli eventi e gli accadimenti e orienta il processo di
socializzazione dei giovani o dei nuovi membri.
Le assonanze con il pensiero di Bion continuano nel momento in cui Schein definisce i livelli dinamici che
rappresentano l’insieme delle componenti che agiscono nella definizione della cultura di una organizzazione. I
livelli si differenziano secondo il grado di consapevolezza e di coscienza che vengono descritti, ovvero della
giustapposizione e della predominanza dei dati cognitivi e di quelli emotivi. L’autore riconosce tre diversi
livelli:
Ø Gli artefatti sono rappresentati dallo spazio sociale, dalla produzione tecnologica, dal linguaggio (scritto
e parlato) e dal comportamento dei componenti;
Ø I valori sono le convenzioni e le opzioni preferibili nella vita di un organizzazione. Le opzioni originarie
4 E.H. Shein (2000) Cultura d’impresa Milano Raffaello Cortina
10
del gruppo dirigente sulla natura delle cose e sul modo di affrontarle, quando si dimostrano valide,
efficaci e in grado di ridurre l’incertezza e l’ansia, tendono a tradursi in convenzioni, divenendo
credenza, assunti, idee alle quali si fa riferimento in maniera automatica;
Ø Gli assunti di base corrispondono agli assunti impliciti i quali sono gli elementi più significativi nel
determinare i comportamenti dei soggetti. Essi indicano al gruppo come interpretare la realtà percepita,
pensata e sentita. Sono risposte apprese che derivano da valori accettati e che si sono rivelati adeguati
nel risolvere i problemi. La coerenza sugli assunti è basilare per ottenere accordo tra i diversi membri,
coordinare le diverse unità, garantire il medesimo obiettivo, condividere gli stessi valori e impedire
spaccature interne.
L’organizzazione
Nella definizione di Henry L. Tosi5-6, l’organizzazione è intesa come comportamento organizzativo ed “è
caratterizzata da un gruppo di individui, che svolgono attività interindipendenti, per il raggiungimento di
obiettivi e che sviluppano modelli e comportamenti relativamente stabili e prevedibili, anche se gli individui
nell’organizzazione possono cambiare”. Lo stesso autore inoltre indica anche tre dimensioni che
contribuiscono a formare i modelli di comportamento delle organizzazioni:
Ø La complessità si riferisce al numero di attività svolte, alle funzioni, ai compiti, al grado di
eterogeneità e dal tipo d’interdipendenza tra queste. La complessità è per cui data dal numero di
attività e dall’elevata interdipendenza, le quali creano l’esigenza di attivare un numero maggiore di
relazioni interpersonali;
Ø formalizzazione si riferisce all’intensità d’impiego di politiche, procedure, routine, regole formali e
scritte, che vincolano le scelte dei membri dell’organizzazione. In questo caso il numero di norme e
di atti burocratici limita la discrezionalità e la libertà d’azione dei membri dell’organizzazione;
Ø La centralizzazione fa riferimento alla distribuzione del potere e dell’autorità all’interno
dell’organizzazione, maggiore è il grado di decentramento delle decisioni in merito alle politiche e
alle procedure e maggiore è la capacità di delega, e contestualmente diminuisce la burocrazia e
formalità di cui l’azienda ha bisogno per operare.
Il modo d’integrarsi di queste tre dimensioni, unitamente alla mission, alle politiche strategiche, alle risorse e
ai vincoli presenti all’interno e all’esterno dell’organizzazione, contribuisce a determinare la cultura
dell’organizzazione, riuscendo a influenzare gli assunti di base, i valori e gli artefatti, che a loro volta,
rispettando la logica sistemica della circolarità e della retroazione, ne sono a loro volta influenzate.
Più semplicemente l’organizzazione è un artificio strutturale di cui si dota l’uomo per facilitare la
realizzazione di progetti, più questo risulta complesso maggiore è l’esigenza di collaborazioni e di divisioni
5 H.L. Tosi (1992) The Environment Organization Person Contigency Model: a Meso Approach to the of Organizations, Greenwich Jai Press 6 H.F. Tosi (1982) Organizational Behavior and Management: a Contingency Approach, New York John Wiley & Son
11
dell’attività lavorativa. La complessità è data soprattutto dall’articolazione del progetto, dagli elementi di
supporto utili alla sua realizzazione, dagli ausili sociali e amministrativi di cui ha bisogno per favorire l’attività
lavorativa e la vita interna, dalle condizioni sociali e ambientali in cui il gruppo opera, dalle infrastrutture utili a
definire una rete di collegamento con l’esterno del gruppo, dalla scelta delle regole utili alla convivenza delle
persone favorendone la comunicazione interna.
Un altro interessante autore da cui abbiamo desunto analogie con le nostre osservazioni, è Daniele Callini7, il
quale, nell’analisi delle organizzazioni, introduce una nuova e interessante definizione di organizzazione, infatti,
utilizzando una terminologia presa in prestito dall’informatica, definisce l’organizzazione divisa in due parti tra
loro fortemente connesse, che chiama parte hard e parte soft.
Fanno parte della componente hard dell’organizzazione tutte quelle componenti che hanno a che fare con “i
sistemi operativi”, ovvero l’insieme delle strutture materiali dell’azienda e dei principi che disciplinano
l’organizzazione e ne rappresentano le norme conosciute per l’azione (componente razionale); mentre nella
parte che chiama soft cataloga “i mondi vitali”, ovvero tutto quello che non può essere progettato o pensato, ma
solo sentito e vissuto, cioè l’insieme delle regole non codificate, palesi o intrinseche, che condizionano i
comportamenti dei soggetti che vivono l’organizzazione; in ultima istanza ciò che va a rappresentare gli assunti
di base della cultura organizzativa (componente emozionale).
Vorrei rilevare come anche questo autore, come già evidenziato in Bion e Schein, consideri l’organizzazione
suddivisa nella componente cognitiva, dominata dalla logica e dalla razionalità, e una dominata dall’aspetto
emotivo.
Le costrittività organizzative
Un ultimo aspetto concernente l’organizzazione si riferisce a quanto definito da Bruno Maggi8 che ha
contribuito non poco a rilevarne i problemi psicosociali. Nei suoi studi sulle congruenze organizzative, Maggi
dice: “ Sulla base degli interessi convergenti della conoscenza biomedica e della conoscenza organizzativa,
un metodo per l’analisi e l’interpretazione di realtà organizzative, denominato Metodo delle Congruenze
Organizzative, è stato esteso, con poliennale lavoro interdisciplinare presso l’Istituto di Medicina del lavoro
“L.Devoto” dell’Università di Milano, allo studio dei rapporti tra lavoro organizzato e salute (Maggi, Grieco,
1986). La peculiarità del Metodo è insita nella capacità di comprendere nell’analisi, gli aspetti di costrittività
organizzativa dai quali è possibile evincere in modo esauriente le condizioni di rischio per la salute delle
persone coinvolte nella situazione di lavoro”. In un altro passo descrive le costrittività organizzative come la
“riduzione degli spazi di decisione individuale inevitabilmente indotta dalle scelte organizzative, e sul
7 D. Callini (2001) Leggere le organizzazioni, Milano Franco, Angeli 8 B. Maggi (1991) Lavoro Organizzazione e Salute, Torino, Tirrenia Stampatori
12
versante biomedico esprime le condizioni che possono intaccare il benessere fisico, mentale, sociale"
(MAGGI, 1991)”.
Le “costrittività organizzative” quindi sono una presenza inevitabile e necessaria di un’organizzazione,
esistono perché esiste la necessità di dare delle regole sociali di convivenza a un gruppo di persone, con lo
scopo di realizzare il progetto per cui si sono associate. Determinano sicuramente una riduzione di spazi di
libertà individuale, ma questo ha una logica che è quella della finalità del lavoro. Il problema può presentarsi se
il peso delle regole organizzative divengono fortemente incombenti sulla vita lavorativa e sociale dell’individuo
e/o del gruppo. In questo caso le reazioni possono essere inevitabilmente diverse, rispondendo alle capacità che
ogni soggetto ha di reagire agli insulti psicologici e far fronte alla dimensione stressante del lavoro.
Misurare la qualità e la quantità della presenza delle “costrittività organizzative”, ci fornisce la “temperatura
organizzativa”, ci definisce il clima sociale del gruppo, ma soprattutto ci indica il rischio che possano insorgere
patologie stress lavoro correlate, permettendo di attuare, sia una prevenzione primaria attraverso la sorveglianza
sanitaria, e sia di definire un’attività di “bonifica” dei problemi psicosociali relativi all’organizzazione.
Il modello sistemico e la teoria della relazione e della comunicazione
I modelli teorici a cui ci rifacciamo in merito alla dimensione dei processi comunicativi e relazionali, si
riferiscono a quanto definito da Norbert Wiener sulla teoria dei sistemi, dal citato Gregory Bateson e da quanto
approfondito nella scuola di Palo Alto (California USA).
Da quanto detto dagli autori sopra citati, e da quanto approfondito dalla scuola di Palo Alto si può definire il
sistema come un’unità intera e unica, che consiste di parti in relazione tra loro, tale che l’intero risulti diverso
dalla semplice somma delle parti e che qualsiasi cambiamento in una di queste, influenzi la globalità del
sistema.
Norbert Wiener9-10 trovò che l’autoregolazione attraverso la comunicazione, è un requisito essenziale per
l’operatività dei sistemi. L’informazione riguardante i risultati delle attività passate è riportata nel sistema,
andando così a influenzare il comportamento futuro del sistema stesso. Questo ha permesso all’autore di
contribuire alla definizione della seconda teoria della cibernetica o della teoria dei sistemi viventi. Gregory
Bateson11 intese applicare il pensiero cibernetico per tracciare le interazioni umane. Descrisse per cui i sistemi
come gestiti da regole che hanno lo scopo di mantenere un livello dinamico in equilibrio, nella ricerca costante
di un’omeostasi. Il sistema riesce a trovare il suo equilibrio attraverso l’autogoverno, ovvero attraverso il
meccanismo della retroazione (feedback). L’informazione che giunge da una data azione è ricorsivamente
reintegrata nel sistema e gli consente di regolare l’attività successiva modificandola. La retroazione può
assumere un segno positivo, per cui l’informazione aumenta la deviazione del sistema dal proprio stato iniziale,
oppure assumere un segno negativo, per cui l’informazione riporta il sistema allo stato iniziale facendole
diminuire la deviazione.
9 N. Wiener (1996) Introduzione alla cibernetica, Torino, Bollati Boringhieri 10 N. Wiener (1994) L'invenzione: Come nascono e si sviluppano le idee, Torino, Bollati Boringhieri 11 G. Bateson (1984) Mente e natura, un'unità necessaria, Milano, Adelphi
13
La Scuola di Palo Alto (California USA)12-13-14 prosegui gli studi e apportò diverse novità alle intuizioni di
Bateson, spostando gli interessi sui comportamenti umani ed avendo come riferimento i processi e i pattern,
anziché i contenuti della comunicazione. Il gruppo di ricerca della scuola di P.A. puntò per la prima volta
l’attenzione sul sistema famiglia (oggi possiamo dire anche di ogni organizzazione e/o gruppo che si caratterizza
come sistema vivente), come totalità anziché come agglomerato d’individui, ciò consentì di elaborare un nuovo
linguaggio che descriveva fenomeni sovraidividuali invece che processi interiori quali affetti e motivazioni.
Questo enunciava un cambiamento di paradigma: l’individuo e ogni gruppo sociale, in ordine di complessità
crescente, erano visti in relazione reciproca, come sottosistemi all’interno di svariati sistemi contestuali different
La misurazione della dimensione psicosociale dell’organizzazione
Nei paragrafi precedenti ho descritto i contributi teorici cui il gruppo di ricerca di APOLIS si è ispirato,
contributi che hanno trovato un’assonanza con le nostre idee, e che ci hanno stimolato a interpretare i messaggi
che provenivano dagli interventi effettuati. Questo ci ha permesso di crescere e di aggiornare i nostri strumenti e
le nostre procedure con metodi innovativi.
La prima innovazione si riferisce al metodo di lavoro da noi definito e diffuso. La psicologia del lavoro in
passato si è limitata a rappresentare il suo corredo professionale solo come supporto al mondo aziendale; il
professionista entrava con il suo sapere e i suoi strumenti nei sistemi in cui era chiamato, e lì svolgeva la sua
indagine e faceva le sue valutazioni, rimanendo però sostanzialmente esterno al sistema. Questo comportamento
spesso generava il conflitto tra i diversi attori che animavano il “pianeta” azienda: il datore di lavoro e il
sindacato. Il nostro intervento ha teso invece a definire una collaborazione costante e perdurante con le altre
figure che si occupano di sicurezza dei luoghi di lavoro. In questi quindici anni d’impegno abbiamo potuto
confrontato le nostre conoscenze e il nostro sapere con quelli di altri professionisti, in una logica
“d’integrazione ergonomica” che pretendeva la collaborazione professionale con l’area medica e con quella
tecnico-impiantistica. La scommessa è stata, e rimane, quella di costruire un “sistema di gestione integrato di
management sulla sicurezza”, che sappia agire favorendo l’estendersi di una cultura della prevenzione.
Una seconda novità è stata quella di contribuire a introdurre un nuovo metodo di lettura dei fenomeni clinici,
sapendo affiancare alla valutazione individuale indirizzata al soggetto, anche una lettura clinica diretta alle
organizzazioni. Lo scopo principale è stato quello di definire delle chiavi di lettura in grado di permettere, anche
per le problematiche riferibili allo stress lavoro correlato, un confronto tra la sofferenza individuale e il contesto
in cui questa si è definita.
Un’altra innovazione fa riferimento a specifici strumenti e procedure15 che abbiamo costruito in tutti questi
anni, e che sono, non solo in grado di poter leggere la dimensione psicologica delle organizzazioni, ma di saper
12 P. Watzlawick, (1971) Pragmatica della comunicazione umana, Roma, Astrolabio 13 J. Hley, (1987) Conversazioni con Milton Erickson: cambiare gli individui, Roma, Asrolabio 14 S. Minuchin (1976) Famiglie e terapia della famiglia, Roma, Astrolabio 15 E. Cordaro, D. Ranieri (2006) Il mito di Sisifo e il disagio del lavoro moderno, Roma, Ediesse
14
definire anche il grado di rischio, che, nel rispetto delle normative del settore, contribuisca a rendere
indispensabile la visione collettiva dei gruppi da cui desumere il modo di procedere della vita sociale.
L’impegno nel portare competenze psicologiche all’interno dell’attività della sicurezza dei luoghi di lavoro è
iniziato dal 1997, data in cui è stata evidenziata dalla Direzione dalla’Azienda Sanitaria Roma/D, un’Unità
Operativa di psicologia del lavoro inserita nel servizio di prevenzione e protezione. Da allora il gruppo
originario si è arricchito di molti professionisti, che hanno espanso l’attività interna all’Azienda, con impegni in
altri comparti delle amministrazioni pubbliche e private, avvalendosi dell’ausilio della già citata associazione
APOLIS.
Sin dal 1997 il nostro impegno si è subito rivolto verso la definizione di procedure e strumenti d’indagine
della dimensione sociale delle organizzazioni, nel rispetto dei principi sopra ricordati, e abbiamo concentrato le
nostre energie verso la definizione di un test in grado di poter attribuire un codice di rischio psicosociale alle
sotto-organizzazioni, utile anche a comporre il documento dei rischi aziendali, proponendoci come un valido
incremento della cultura della sicurezza dei luoghi di lavoro.
Nella definizione di uno strumento di rilevazione delle dimensioni psico-sociali delle organizzazioni del
lavoro abbiamo sempre tenuto in grande considerazione un decalogo composto dalle seguenti regole:
1. Garantire un’adeguata teoria scientifica di riferimento che sia indicativa dell’ambito di analisi;
2. Garantire la validità dello strumento con misurazioni e test statistici adeguati;
3. Garantire un’affidabilità statistica;
4. Limitare i bias16 tipici delle ricerche sociali.
La teoria scientifica
Nel 2000 ha cominciato a prendere corpo il ROAQ (Risk Organizzation Assessment Questionnaire),
strumento creato dallo scrivente e dalla dr.ssa Deianira Di Nicola, il quale partiva da alcuni propositi teorici
divenuti la teoria scientifica fondante del test.
Il test doveva contenere quattro regole di fondo:
Ø Il riferimento alla TEORIA DEI SISTEMI;
Ø L’analisi funzionale dell’organizzazione riguardo le capacità di attivare connessioni di sistema.
Ø L’analisi delle caratteristiche del sistema, e delle sue potenzialità di apertura e chiusura
comunicazionale;
Ø La valutazione della quantità e qualità delle costrittività organizzative.
La teoria scientifica cui ci siamo riferiti è la “Cibernetica di secondo ordine o dei sistemi viventi”, ovvero
dei sistemi capaci di guardare se stessi e di osservare le proprie osservazioni, causare perturbazioni che
ridefiniscono metaforicamente ciò che è osservato; ovvero sistemi in grado di caratterizzare rappresentazioni
che dipendono dall’esito delle precedenti interazioni con il mondo esterno e questo da il segno della vivacità del
sistema. Un sistema vivente è un sistema plastico e dinamico, contraddistinto da una molteplicità di
comportamenti non prevedibili e non predeterminabile, si auto-organizza per mantenere la propria integrità
(autopoiesi), manifesta comportamenti dinamici, imprevedibili, creativi ed evolutivi, non risponde alle regole
16 Forma di distorsione causata dal pregiudizio verso un punto di vista o un'ideologia.
15
del “programma e del controllo”, si spiega secondo il paradigma “dell’autonomia” (le sue azioni cadono nel
sistema stesso), l’organizzazione del sistema determina il funzionamento dei suoi elementi e definisce i modelli
conversazionali che si rappresentano secondo una rete di comunicazionale. Il soggetto e l’oggetto della
conoscenza non sono più considerati come due entità indipendenti e separate ma complementari e analizzate
secondo una prospettiva costruttivista, per cui la realtà non si pone all’esterno rispetto al soggetto che la
osserva e la rappresenta, ma è frutto della sua costruzione e interazione dell’ambiente che influenza il
soggetto e ne è a sua volta influenzata. La metafora che cerchiamo di cogliere nelle nostre analisi al fine di
interpretare i processi organizzativi fa riferimento alla visione cibernetica della “rete conversazionale”. Ogni
ricorrente condivisione di uno spazio anche immateriale, esistenziale, o psicologico, orientato a uno o più
obiettivi, genera una rete d’interazioni e d’intersoggettività definita “rete di conversazione”. La reiterazione
delle interazioni diviene lo stimolo alla determinazione della “conversazione”, la coordinazione delle azioni
(fattori cognitivi) ed emozioni (fattori emozionali) costituiscono il sistema sociale del gruppo.
Il nostro intento è di conoscere “la struttura d’interazione emotivo-cognitiva”, attraverso l’analisi delle rete
conversazionale, definita da come si sviluppano e si strutturano i processi comunicativi, delle ragioni che ne
definiscono i limiti e ne caratterizzano l’eventuale blocco. Questo tipo d’indagine ci permette di comprendere
quanto la rete conversazionale sia in grado di rappresentarsi come dinamica, dialettica, in grado di supportare il
conflitto e il possibile cambiamento, ovvero si rappresenti come “una rete conversazionale vivente”; oppure
bloccata, disfunzionale, isolata, chiusa nel suo ambito aggregativo, fragile di fronte alle reazioni conflittuali,
rigida e sostenuta da meccanismi di difesa primitivi, per cui identificabile come “una rete conversazionale
morente”. Il fatto che il sistemasi si rappresenti come viventi o morenti, è determinato dal modello
organizzativo sensibile soprattutto alla quantità e alla complessità di come si articolano le “costrittività
organizzative” (già sopra descritte).
La conclusione dell’indagine ci fa rilevare, sia la vitalità del modello conversazionale impostato nell’intera
azienda, e sia la vitalità presente nelle caratteristiche dei sottosistemi aziendali.
Una delle regole importanti da rispettare nella ricerca sociale, si riferisce al limitare al massimo la
soggettività, nel tentativo di garantire l’oggettività e la generalizzazione dei risultati. Il sistema che
maggiormente assicura il contenimento di questo rischio, si ottiene riuscendo ad avere i pareri di tutti gli attori
impegnati nel gruppo oggetto d’indagine. Risulta quindi fondamentale che la ricerca effettuata con il test
ROAQ, si svolga su tutta l’organizzazione, nel rispetto dell’organigramma aziendale e quindi della
giustapposizione data dalla Direzione ai gruppi e ai sottogruppi che rappresentano l’ossatura dell’intero sistema.
L’indagine rileva dati sulla rete conversazionale attraverso la misurazione del potenziale e del gradiente di
vitalità; rilevando la qualità della composizione e della complessità, e considerando il giudizio delle persone
sulla loro vita psicosociale attraverso la valutazione riferita sui seguenti fattori:
Ø Fattore 1, variabile di azione: “Adeguatezza dei flussi d’azioni comunicazionali”. Quanto il
rapporto fra il dipendente e il servizio/azienda è flessibile e corretto, grazie alla definizione di
regole chiare, trasparenti e coerenti;
Ø Fattore 2, variabile emozionale: “Coinvolgimento con l’oggetto di lavoro”. Quanto il lavoro svolto
gratifica gli aspetti reali, ideali e relazionali del SE’;
16
Ø Fattore 3, variabile di azione: “Rispetto del rapporto tra vita privata e vita lavorativa”. Quanto
l’organizzazione dei processi lavorativi rispetta l’equilibrio fra l’orario di lavoro e la vita privata,
considerando tale equilibrio una variabile che incide sulla struttura organizzativa;
Ø Fattore 4, variabile emozionale: “Clima relazionale”. Quanto l’organizzazione favorisce un clima
relazionale adeguato, riconosce e stimola le potenzialità del dipendente, ne favorisce
l’autonomia, lo sostiene nel suo lavoro, attua coerenza di comportamenti, garantendo procedure
chiare, precise, trasparenti;
Ø Fattore 5, variabile di azione: non si attuano comportamenti tendenti a creare disagio.
Il test ROAQ è stato costruito semanticamente con l’obiettivo di far esprimere la visione che le persone
hanno della realtà in cui operano. Questo criterio d’indagine si riferisce alla scelta di fondo che abbiamo preso
per garantire il più possibile una valutazione della realtà osservata, piuttosto che il vissuto di malessere
soggettivo. Questa impostazione non permette, a chi ha la responsabilità della direzione, di poter rispondere agli
items, perché si correrebbe il rischio di avere informazioni falsate dal senso di autoreferenzialità. Per sopperire a
questo limite si è costruita un’intervista semistrutturata con domande aperte e chiuse, da somministrare a tutti i
dirigenti che hanno responsabilità di gestione del personale e che sonda aree sovrapponibili e per cui
confrontabili a quelle determinate dal ROAQ.
Le procedure per la raccolta dei dati
Nella definizione delle procedure, abbiamo adottato un modello che favorisce al massimo
l’autoconsapevolezza dei singoli, prendendo in prestito la filosofia che si evince dalla teoria “andragogica” di
M. Knowles17 riferita alla formazione degli adulti e delle organizzazioni. Questo modello evidenzia, tra le altre
cose, l’importanza degli spazi di elaborazione, dove le persone trovano la possibilità di confrontarsi e di poter
trovare delle risposte, con lo scopo di incrementare la conoscenza, di stimolare la consapevolezza e rinforzare le
proprie capacità di reazione. Anche se la cogenza di legge è di definire i codici di rischio delle dimensioni
psicosociali delle organizzazioni, l’intento prioritario è proteso a evitare la passività, favorire la motivazione e
creare spazi di pensiero, che spronino gli “attori del sistema organizzazione” a divenire protagonisti dei possibili
processi di cambiamento e di miglioramento del clima del gruppo. In ultima analisi, il sistema da noi adottato si
esprime all’interno di una filosofia che mira a favorire la partecipazione di tutti i soggetti, con lo scopo di farli
divenire attori protagonisti del loro cambiamento. Per questo motivo tutti i sistemi d’indagine che basano la
raccolta dei dati solo attraverso supporti informatici, a mio avviso, nel caso specifico, non sono adeguati.
La procedura ha lo scopo di promuovere un’adeguata trasparenza e una altrettanto adeguata informazione.
Questo implica la previa conoscenza delle finalità delle indagini, dei ruoli istituzionali dell’azienda implicati,
compresi i sindacati del comparto e dell’area della dirigenza. Abbiamo per cui sperimentato degli step
procedurali che nell’esperienza si sono ritenuti validi nella trasposizione delle informazioni.
1. L’indagine inizia con l’evidenziare il committente, in genere è il direttore di servizio o di presidio.
Al committente è fatto un primo colloquio/intervista con lo scopo è di:
17 M. Knowles, (1997) “Quando l'adulto impara. Pedagogia e andragogia”, Milano, Franco Angeli
17
• Informare sulle finalità del lavoro, sul metodo e sugli strumenti che verranno utilizzati;
• Prendere tutte le informazioni riguardanti la struttura e l’organigramma del presidio, la
dislocazione nel territorio etc.;
• Presentazione del lavoro effettuata ai dirigenti presenti in quel presidio, e ad una
rappresentanza dei lavoratori e/o ei sindacali presenti nell’azienda. Questa procedura è
importante perché ha lo scopo d’informare e di sensibilizzare tutti gli “attori”
dell’indagine per ottenere il loro massimo coinvolgimento.
2. Si eseguono le interviste a tutti i dirigenti che hanno responsabilità di budget e di personale
(direttori di strutture semplici o complesse, dirigenti del comparto capotecnici, etc.);
3. Si raccolgono le risposte utilizzando il questionario ROAQ. La somministrazione è fatta da un
rappresentante del nostro gruppo di ricerca, in genere la raccolta dei protocolli dei test è
programmata per piccoli gruppi, facilitando così la possibilità di spiegare ulteriormente lo scopo
dell’indagine e rassicurando le persone della totale riservatezza dell’indagine;
4. Si elaborano i dati con l’ausilio di programmi statistici informatizzati;
5. Si presentano i risultati al committente;
6. Si presentano i risultati ai dirigenti delle strutture presenti nel presidio e a una delegazione di
lavoratori;
7. Si trasmettono i codici di rischio psicosociali rilevati al Responsabile dei Servizi di Prevenzione e
Protezione con lo scopo di aggiornare il documento di valutazione dei rischi;
8. Si evidenziano, in un documento conclusivo, sulla base dei problemi emersi, le possibili azioni
d’intervento al fine di attivare le bonifiche del sistema psicosociale.
I codici di rischio psico-sociale e l’incidenza di questi sulla salute organizzativa.
L’introduzione dei codici di rischio ha reso possibile misurare l’incidenza che le costrittività hanno sulla
dimensione psico-sociale del gruppo, e di segnalarne la “sopportabilità”. Ad esempio, laddove le costrittività
organizzative si configurano come “codice rosso”, ci troviamo di fronte ad un ambiente lavorativo che
sottopone i lavoratori ad intenso stress psicosociale, il quale, eccedendo le possibilità di adattamento, favorisce
un aumento del rischio di sviluppare psicopatologie stress compatibili.
Nell’utilizzare l’assessment organizzativo al fine di elaborare una valutazione del rischio organizzativo e
psicosociale ci si riferisce a un’originale metodica utile che garantire il rilievo dei codici di ischio dei fattori del
quarto gruppo, come richiesto dall’articolo 15 del citato D.lgs 81/2008.
Una volta raccolti ed elaborati i dati del questionario con un programma statistico, sulla base dei numeri emersi,
si attribuiscono a ogni reparto e/o servizio e/o gruppo di lavoro i “codici di rischio”.
Detti codici sono assegnati sulla base della tipologia e della presenza quantitativa delle costrittività
organizzative rilevate dal questionario ROAQ. E sulla base delle scelte guidate da un albero decisionale
18
appositamente costruito. Le operazione successive effettuate dai dati così ricavati si integrano con un intervento
finalizzato a lavorare congiuntamente ai responsabili di settore per comprendere i comportamenti disfunzionali.
L’attribuzione dei codici di rischio ha lo scopo di mettere in relazione le dinamiche sociali con le
difficoltà di gestione organizzative. Qualora le difficoltà siano particolarmente complesse, superando le
capacità di reazione spontanea del gruppo, si stabiliscono le basi per la rilevazione di una situazione a
rischio di patologie stress correlate. La definizione dei codici rende possibile rilevare il grado di rischio
che si può generare in quel gruppo di lavoro, e si possono evidenziare possibili danni di natura
psicopatologica e psicosomatica a carico dei lavoratori, danni che sono correlabili alle “costrittività” e che
definiscono una cattiva “salute organizzativa”.
Il test del ROAQ ha subito una validazione effettuata con oltre cinquemila protocolli, una validazione
continuamente riverificata fino all’attuale versione, della quale abbiamo potuto controllare l’attendibilità,
escludendo i rischi d’interferenze indesiderate (misura quello che deve misurare), e dimostrare, nella rilevazione
dei dati, la sua fedeltà e stabilità nel tempo. Sono queste caratteristiche di serietà statistica, congiuntamente alla
validità delle teorie di fondo che hanno costituito il pensiero forte del test, che ha portato il network
dell’ISPESL a segnalare, nel suo documento conclusivo18, il ROAQ come un test valido a misurare le
caratteristiche dei processi organizzativi.
Il lavoro che cambia
L’organizzazione diventa per cui un “nuovo soggetto”, che riesce a integrare le individualità adottando un
originale corredo di regole sociali, di processi operativi, di comportamenti collettivi, da cui si possono desumere
i nuovi elementi culturali, le dimensioni sociali e le componenti vitali e psicologiche. L’organizzazione assume
per cui le caratteristiche di uno spazio vivo, dove si articolano le relazioni e da dove è possibile desumerne le
complessità; uno spazio che ha l’esigenza di “rapportare il proprio comportamento” con la realtà dell’ambiente
sociale in cui agisce. Risulta per cui importante riuscire ad impostare strategie e modelli organizzativi che siano
in armonia con la dimensione della società in cui si opera.
Uno degli esempi più pertinenti per spiegare i processi di cambiamento dei modelli organizzativi fa
riferimento alla trasformazione dei processi industriali avvenuta negli anni trenta/cinquanta. Vale rilevare come
le modificazioni sociali ed economiche abbiano imposto un modello di produzione diverso che ha permesso il
passaggio dalla ormai vetusta “catena di montaggio”, adeguata nel periodo dominato dall’economia di scala,
ma non più corrispondente all’esigenza della diversificazione degli investimenti e del rischio, al modello
denominato “isola di montaggio”. La produzione non doveva essere pensata per l’invasione di un mercato
pronto ad accogliere grandi quantitativi di prodotto, ma a raccogliere il gusto e le esigenze di una clientela più
evoluta, matura e selettiva. Il modello produttivo fu trasformato, e invece di caratterizzarsi con una serie di atti
parcellizzati, si ricompose già nella fase di montaggio del prodotto, attivando zone integrate di produzione, dove
la qualità era curata a discapito della quantità. Se nella catena di montaggio all’operaio erano richieste
18 Documento del Network ISPESL marzo 2010 “La valutazione dello stress-correlato, proposta metodologica"
19
esclusivamente la forza e l’abilità di compiere un movimento semplice e ripetitivo per un numero elevato di ore,
oggi al tecnico che lavora nell’isola gli viene richiesta una maggiore competenza professionale e una capacità di
coordinare la propria professionalità con quella di altri tecnici. Il lavoro individuale, ricomposto solo dallo
scorrere della fascia trasportatrice, diviene collettivo, con lo scopo di saper integrare saperi e competenze
diverse. Questo nuovo scenario, come già detto, è determinato da un diverso concetto del produrre, ma
contemporaneamente rinforza e articola il cambiamento dell’impianto soft dell’organizzazione19. Le persone
devono lavorare in team e ciò fa divenire importante l’impatto che hanno l’interazione comunicativa e
relazionale nel lavoro e l’attenzione si rivolge, non più solo alla capacità fisica “dell’operaio massa”, i cui
problemi psicologici divengono epifenomeni di un disagio più fisico, ma direttamente sul problema della
convivenza, del confronto e dell’esigenza di costruire un codice comunicazionale adeguato.
Le trasformazioni sopra citate non sono che l’ultimo anello di una catena di cambiamenti strutturali che
investono, non solo la parte hard, ma anche quella soft dell’organizzazione, modificando le componenti
relazionali del vivere sociale e il valore esistenziale ed emotivo del significato stesso del lavoro. Si ha bisogno
di una maggiore capacità di delega nei compiti e nelle funzioni, queste sono divise per aree che si caratterizzano
con direzioni che ne assumono il controllo, con attribuzione di specifici obiettivi di cui sono responsabili. Non
esiste più un unico cruscotto di comando, ma si articolano diverse direzioni che ne possiedono parti delegate di
cui devono rispondere. La complessità dei processi organizzativi implica la necessità di articolare una rete
comunicazionale utile a garantire una funzionalità omogenea. Assume per cui maggiore importanza la parte
relazionale, e la comunicazione diviene un elemento fondante il processo operativo. Si ha l’esigenza di
sviluppare le conoscenze sulla complessità dei collegamenti e di attivare i processi comunicativi in modo da
rendere chiaro il livello di responsabilità e il trasporto delle informazioni.
Anche la considerazione dell’uomo che lavora cambia e nel processo produttivo sembrerebbe acquisire una
maggiore importanza e una maggiore contrattualità, egli non è più visto come l’operaio massa, ma come un
tecnico spesso specializzato in grado di attribuire qualità al prodotto. Muta anche il modo di rapportarsi del
lavoratore all’azienda e la modalità di strutturare le relazioni con i colleghi. Se nella condizione precedente il
lavoratore era maggiormente portato a identificarsi con l’azienda intesa come spazio fisico e con i suoi strumenti
di lavoro; nella nuova situazione il processo identificativo si attua con la dimensione più astratta riferita
genericamente al lavoro, al logo e al management aziendale. Anche il senso delle relazioni subisce un
cambiamento, mentre nel periodo riferito alla catena di montaggio l’adesione con il gruppo dei colleghi si
caratterizzava con valori basati maggiormente sulla cultura solidale della collettività, nella fase successiva è
garantita primariamente da una visione individuale, dove l’espressione delle proprie competenze può diviene
l’elemento di sviluppo della propria carriera. Il lavoratore non è più definito come “forza lavoro”, ma si coniano
termini che hanno la capacità di evocare immagine più dignitose e preziose come risorse umane, capitale
umano, e il cambiamento così definito farebbe pensare a una maggiore apparente libertà d’azione.
19 D. Callini (2001) Leggere le organizzazioni, Milano, Franco Angeli
20
A quest’immagine si contrappone l’attenta analisi effettuata dalla professoressa Michela Marzano20, che nel
libro “Estensione del dominio…”, descrive il valore politico e morale e le conseguenze umane e sociali che
sono definite dall’intervento del moderno management nell’ambito dell’organizzazione e nella gestione delle
aziende. Ad una più attenta analisi le cose non appaiono poi così scontate, i contorni si sfumano e, dietro ad
un’apparente armonia di facciata, si percepisce il tradimento e la ricerca di un diverso modo d’imporre il
dominio. Un dominio non più ricercato con la forza e con l’arroganza, ma preteso attraverso un patto di
solidarietà che aumenta la dipendenza del più debole nei confronti del più forte, dove è richiesta la
partecipazione appassionata del proprio coinvolgimento all’atto del lavorare e dove la partecipazione deve
arrivare a coinvolgere anche la vita privata dei soggetti. Si potenzia lo stimolo individualista interpretato come
un valore aggiunto. Il cambiamento così definito si compone di un’apparente maggiore libertà d’azione ed è
descritto dall’autrice come un vero “cambiamento di paradigma”. Si propone di trasformare il vecchio mondo
paternalistico, dominato dall’autorità incontrastata del capo padre-padrone e influenzata dall’intrusione della
cultura cattolica e del moralismo politico, eliminando il legame del posto di lavoro, inteso come vero e proprio
spazio psichico e fisico, per garantire una più confusa adesione al concetto di lavoro e di chi lo organizza,
utilizzando il culto “dell’autenticità, del volontarismo e dell’autonomia”. Il lavoro diviene una parte
consistente della vita dei soggetti, che devono espletarlo garantendo tutta la passionalità e la dedizione possibile,
non potendo però permettersi la minima espressione del dubbio al modello e alle identificazioni proposte. Alla
fine per la realizzazione di una falsa promessa il lavoratore è costretto a pagare un prezzo durissimo, che
consiste nel vendere l’anima al feticcio rappresentato dal finto bene collettivo, rivelando così il raggiro
esistenziale che ne deriva, in altre parole: l’indiscriminato aumento del livello di dipendenza e la perdita del
diritto al proprio spazio privato.
Il processo di separazione del lavoratore dal posto di lavoro oggi, è ulteriormente rafforzato da scelte
organizzative che si avvalgono della delocalizzazione delle fabbriche e dell’utilizzano di contratti di lavoro che
incrementano la precarizzazione e l’intermediazione, mentre le scelte degli investimenti economici spostano
sempre di più i capitali verso la sfera finanziaria a discapito della sfera industriale. Questo processo non rende
precario solo la sicurezza del posto di lavoro, ma rende contestualmente evanescente e impalpabile lo stesso
spazio fisico del posto di lavoro, incrementa ulteriormente la separazione del lavoratore dalla fabbrica e la fuga
nella soggettività e nell’individualismo. In questo scenario il lavoro perde per molti quella rappresentatività
emotiva e sociale che ha sempre garantito e può continuare a garantire una maggiore forza al senso d’identità e
un adeguato rinforzo alla stima di sé, rischiando di rendere particolarmente fragile i soggetti di fronte alle
situazioni stressanti che il lavoro e la vita sociale possono determinare.
Le trasformazioni che ho per sommi capi tracciato, hanno interessato i cambiamenti che sono stati apportati
ad alcuni aspetti fondamentali dell’organizzazione e che riguardano: il modo di caratterizzarsi della relazione tra
il lavoratore e l’azienda; il modello e/o la rete relazionale che definisce il passaggio delle informazioni e la
modalità espressiva della comunicazione; le regole utilizzate per garantire la realizzazione degli obiettivi e lo
svolgimento della vita sociale; la modalità espressiva della dimensione affettiva. Sono tutti quegli elementi che
20 M. Marzano (2009) Estensione del dominio della manipolazione dall’azienda alla vita privata, Milano, Mondatori
21
definiscono la vita psicosociale e che danno il segno della dimensione vitale dell’organizzazione. La condizione
di salute psichica non è riferita solo alle capacità di reazione della soggettività del lavoratore, ma è direttamente
condizionata da come si definiscono i fondamentali sopra descritti e alla possibilità che il soggetto ha di potersi
rapportare con la struttura, con le persone che la abitano e con le regole organizzative che sono state definite.
Per concludere, mi sembra evidente, anche grazie a quanto descritto dalla professoressa Michela Marzano,
che i modelli dell’organizzazione sono artifici creati dall’uomo per realizzare in modo collettivo quanto da solo
non avrebbe la possibilità di ottenere, ma nel contempo sono lontani dalla stessa natura dell’uomo,
costringendolo a faticosi adattamenti che spesso generano disagio e patologia.
In chiusura vorrei utilizzare un’altra frase che reputo molto significativa:
“Voi potete comperare il lavoro di un uomo, la sua presenza fisica in un determinato luogo, potete comperare
anche un determinato numero di abili movimenti muscolari per un’ ora o per un giorno, ma non potete
comperare l’entusiasmo, la lealtà, la devozione del cuore, della mente e dell’animo. Queste cose ve le dovete
meritare”. Clarence Francis Il senso della frase rappresenta in modo forte e lirico lo spirito culturale che ha guidato il nostro impegno in
questi ultimi dieci anni di lavoro nell’ambito della ricerca sociale.
Oggi non si può prescindere dalla convinzione che l’uomo sia da considerare nella sua unicità e nella sua
integrità psico-fisica, portando un profondo rispetto alla sua dignità di persona, che deve affrancarsi dalla
visione parziale e offensiva evocata dal concetto di uomo economico. Termini come forza lavoro, risorsa
umana, capitale umano, sono desueti e non fanno che rinforzare la visione di un uomo parziale e deprivato della
sua complessità; un uomo che è considerato solo nell’ambito della porzione di tempo lavoro avulso e scisso
dalla sua vita privata. L’essere umano che lavora porta con sé i suoi valori e gli stessi e abituali elementi
esistenziali di quando trascorre le altre porzioni tempo della sua vita privata. La dimensione economicistica
dell’uomo riesce a soddisfare solo l’esigenza di quantificare i costi e i ricavi dell’uso del lavoro umano, ma ciò
può far perdere la vera ricchezza che è rappresentata dalla potenzialità creativa che l’uomo può esprimere con
l’entusiasmo, la lealtà, la devozione.
Presentazione dell’autore
Il dottor Enzo Cordaro è laureato in psicologia, specializzato in psicoterapia, ed ha seguito due diversi
indirizzi formativi: quello psicoanalitico e quello relazionale. Ha lavorato dal 1979 al 1997 nell’ambito della
salute mentale. Nel 1997, dopo aver svolto specifici studi di approfondimento, ha rivolto le sue attenzioni
professionali nell’ambito della psicologia del lavoro, avendo come obiettivo principale di travasare il sapere
psicologico nell’ambito delle competenze concernenti la sicurezza dei luoghi di lavoro e mettendolo a
confrontare con gli altri saperi quali la medicina del lavoro e la sicurezza tecnica e impiantistica, in un tentativo
di ricomposizione ergonomica d’intervento sulla sicurezza. Nel 2005 ha conseguito il titolo di Responsabile dei
Servizi di Prevenzione e Protezione, come previsto dal D.lgs. 195/2003, attuando tutti gli aggiornamenti previsti
per legge. Ha competenze specifiche nell’ambito della formazione. Attualmente dirige l’Unità Operativa di
22
Psicologia del Lavoro ed è Direttore del “Centro per la rilevazione del danno biologico da patologia mobbing
compatibile” e del “Centro per la rilevazione delle patologie stress lavoro correlate” dell’Azienda Sanitaria
della USL RM/D. E’ presidente di APOLIS (associazione di psicologia delle organizzazioni e del lavoro in
sicurezza) e autore di un libro e di altri saggi che trattano i problemi inerenti il suo lavoro in materia di
psicologia del lavoro. Insieme alla dr.ssa Deianira Di Nicola ha costruito un sistema originale per la rilevazione
dei codici di rischio psicosociale e strumenti per la rilevazione delle patologie stress lavoro correlate.
Bibliografia
G. Bateson, (1977) Verso un'ecologia della mente, Milano, Adelphi
W.R. Bion (1972) Esperienze nei gruppi e altri saggi, Roma Armando
E.H. Shein (2000) Cultura d’impresa Milano Raffaello Cortina
H.L. Tosi (1992) The Environment Organization Person Contigency Model: a Meso Approach to the of
Organizations, Greenwich Jai Press
H.F. Tosi (1982) Organizational Behavior and Management: a Contingency Approach, New York John Wiley &
Son
D. Callini (2001) Leggere le organizzazioni, Milano Franco, Angeli
B. Maggi (1991) Lavoro Organizzazione e Salute, Torino, Tirrenia Stampatori
N. Wiener (1996) Introduzione alla cibernetica, Torino, Bollati Boringhieri
N. Wiener (1994) L'invenzione: Come nascono e si sviluppano le idee, Torino, Bollati Boringhieri
G. Bateson (1984) Mente e natura, un'unità necessaria, Milano, Adelphi
P. Watzlawick, (1971) Pragmatica della comunicazione umana, Roma, Astrolabio
J. Hley, (1987) Conversazioni con Milton Erickson: cambiare gli individui, Roma, Asrolabio
S. Minuchin (1976) Famiglie e terapia della famiglia, Roma, Astrolabio
E. Cordaro, D. Ranieri (2006) Il mito di Sisifo e il disagio del lavoro moderno, Roma, Ediesse
M. Knowles, (1997) “Quando l'adulto impara. Pedagogia e andragogia”, Milano, Franco Angeli
Documento del Network ISPESL marzo 2010 “La valutazione dello stress-correlato, proposta metodologica"
M. Marzano (2009) Estensione del dominio della manipolazione dall’azienda alla vita privata, Milano,
Mondatori
23
APOLIS Associazione di Psicologia delle Organizzazioni e del Lavoro In Sicurezza
QUESTIONARIO SULLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA STRESS LAVORATIVO
ROAQ - Risk Organization Assessment Questionnaire21
Dott. Enzo Cordaro e Dott.ssa Deianira Di Nicola
21 Proprietà intellettuale di Enzo Cordaro e Deianira Di Nicola
24
Gentile collega,
il presente questionario è anonimo nel rispetto del diritto alla privacy, Dlgs. 675/96, ha
lo scopo di raccogliere dei dati per la valutazione dei rischi stress correlati nell’Azienda
in cui lei lavora. L’attribuzione dei relativi codici di rischio viene fatta in ottemperanza
del Dlgs. 81/2008, nell’ottica della prevenzione e tutela della salute e sicurezza in
ambienti lavorativi.
La ricerca coinvolgerà tutti i dipendenti dell’Azienda e i dati raccolti verranno trattati
statisticamente dall’U.O.S. Psicologia del lavoro.
Il questionario è composto da 28 domande con quattro possibili livelli di risposta (Per
nulla, Poco, Abbastanza, Molto) a cui lei potrà rispondere segnando con una croce la
modalità maggiormente in accordo col suo giudizio.
Non esistono risposte giuste o sbagliate, la migliore è quella che maggiormente si
avvicina alla percezione della realtà e della sua esperienza.
Qualora si debba correggere una risposta si dovrà cerchiare quella errata ed apporre una
nuova scelta.
Ricordiamo che la validità della ricerca dipende dalla sincerità delle risposte.
Nel ringraziarVi preventivamente per la collaborazione si augura buon lavoro.
25
Sesso:
q M
q F
Titolo di studio:
q Licenza scuola elementare
q Licenza scuola media inferiore
q Diploma scuola media superiore (specificare)_________________________________
q Diploma di istituto professionale
q Diploma di infermiere professionale
q Diploma universitario(specificare)__________________________________________
q Laurea(specificare)______________________________________________________
q Specializzazione post-lauream (specificare)___________________________________
Unità operativa o servizio o ufficio di appartenenza (definire quale)
_________________________________________________________________________________
Numero di persone che lavorano stabilmente nel suo servizio o unità operativa: n°___________
Attuale livello:
q Dirigenza
q Comparto
Tipo di lavoro svolto:
q Ruolo amministrativo (specificare la qualifica)_______________________________
q Ruolo sanitario (specificare la qualifica) ____________________________________
q Ruolo tecnico (specificare la qualifica) ____________________________________
Anni di lavoro nella /e A.S.L.:
0-5 anni
5-10 anni
10-15 anni
Oltre 20 anni
26
Anni di lavoro totali nell’attuale posto, servizio, unità operativa:________anni Il suo orario di lavoro è a :
q Solo mattina
q Solo pomeriggio
q Turno che si esplica nelle dodici ore (mattina e
pomeriggio)
q Turno che si esplica nelle ventiquattro ore (mattina e
pomeriggio e notte)
q Altro
27
Per nulla Poco Abbastanza Molto
1.
Chi avanza una ragionevole richiesta, personale o professionale, viene ascoltato dal responsabile del mio servizio/ufficio.
q q q q
2. Si consultano i diretti interessati per le
modifiche organizzative od operative.
q q q q
3. Se si presenta un problema o una necessità è
possibile discuterne con il responsabile del mio servizio/ufficio per trovare una soluzione.
q q q q
4. Il mio responsabile del mio servizio/ufficio è di
aiuto e di supporto quando è necessario.
q q q q
5. Esiste uno scambio d’informazioni tra
responsabile del mio servizio/ufficio e dipendenti.
q q q q
6. Il responsabile del mio servizio/ufficio desidera
essere informato sui problemi e le difficoltà che si incontrano nel lavoro.
q q q q
7. Nel mio servizio ognuno esprime liberamente la
sua opinione sui problemi relativi al suo lavoro.
q q q q
8. Esiste cooperazione con il responsabile del mio
servizio/ufficio. q q q q 9. C’è trasparenza nelle assegnazioni delle
responsabilità.
q q q q
10.
Nel mio Servizio l’impegno lavorativo è valutato con equità per tutti i dipendenti.
q q q q
11. Sono orgoglioso di svolgere il mio attuale
lavoro.
q q q q
12. Il clima relazionale del mio posto di lavoro è
sopportabile.
q q q q
13. L’attività che svolgo mi fa sentire una persona q q q q
28
18. I turni di lavoro si conciliano con la mia vita privata.
q q q q
19. I carichi lavorativi sono elevati.
q q q q
20. Le direttive per la realizzazione dei programmi
aziendali vengono esplicitate.
q q q q
21.
La direzione del servizio mostra interesse rispetto a quello che faccio.
q q q q
22.
Nel mio Servizio ci sono pari opportunità di avanzamento professionale. q q q q
23. Il responsabile del mio servizio/ufficio crea le
condizioni per conseguire gli obiettivi.
q q q q
24. Le iniziative personali sono incoraggiate dal mio
responsabile del mio servizio/ufficio.
q q q q
utile.
14.
Sono contento di lavorare in questo servizio
Per nulla
q
Poco
q
Abbastanza
q
Molto
q 15. Esiste collaborazione con i colleghi con cui
lavoro.
q q q q
16. Penso che gli utenti siano soddisfatti dei tempi
di prestazione dei Servizi. Se non avete utenti la domanda è: Penso che i tempi di produzione siano soddisfacenti.
q q q q
17. Quando finisco di lavorare sono stremato. q q q q
29
Per nulla Poco Abbastanza Molto
25. Nel mio posto di lavoro si emarginano le persone.
q q q q
26. Nel mio posto di lavoro si attuano prepotenze.
q q q q
27. Se c’è un problema importante si gioca a fare lo “scaricabarile”. q q q q
28. Nel mio posto di lavoro si subiscono violenze psicologiche.
q q q q