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3 1 9 5 7 / 1 REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SESTA SEZIONE PENALE Composta da Antonio Stefano Agrò Carlo Citterio Giorgio Fidelbo Emanuele Di Salvo Gaetano De Amicis - . Presidente - - Relatore Sent. n. sez. 174 PU- 25/1/2013 R.G.N. 2504/12 ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1) Diego Cordaro, nato a Roma il 9.9.1947; 2) Italo Cefaro, nato ad Albano Laziale (RM) il 28.9.1935; 3) Carlo Contino, nato Napoli il 4.10.1957; 4) Vittorio Ferretti, nato a Roma il 28.8.1952; avverso la sentenza del 27 maggio 2011 emessa dalla Corte d'appello di Roma; visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo; udito il Sostituto Procuratore generale, Giuseppe Volpe, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza in relazione al reato di cui al capo I, qualificato ai sensi dell'art. 319-quater c.p., per prescrizione e in relazione alla confisca disposta nei confronti di Contino, nonché l'inammissibilità del ricorso di Cordaro e li rigetto nel resto; Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | [email protected] Editore Luca Santa Maria | Direttore Responsabile Francesco Viganò | 2010-2014 Diritto Penale Contemporaneo

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REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE PENALE

Composta da

Antonio Stefano Agrò

Carlo Citterio

Giorgio Fidelbo

Emanuele Di Salvo

Gaetano De Amicis

- . Presidente -

- Relatore

Sent. n. sez. 174

PU- 25/1/2013

R.G.N. 2504/12

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

1) Diego Cordaro, nato a Roma il 9.9.1947;

2) Italo Cefaro, nato ad Albano Laziale (RM) il 28.9.1935;

3) Carlo Contino, nato Napoli il 4.10.1957;

4) Vittorio Ferretti, nato a Roma il 28.8.1952;

avverso la sentenza del 27 maggio 2011 emessa dalla Corte d'appello di

Roma;

visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;

udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;

udito il Sostituto Procuratore generale, Giuseppe Volpe, che ha chiesto

l'annullamento senza rinvio della sentenza in relazione al reato di cui al capo

I, qualificato ai sensi dell'art. 319-quater c.p., per prescrizione e in relazione

alla confisca disposta nei confronti di Contino, nonché l'inammissibilità del

ricorso di Cordaro e li rigetto nel resto;

Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | [email protected] Editore Luca Santa Maria | Direttore Responsabile Francesco Viganò | 2010-2014 Diritto Penale Contemporaneo

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uditi i difensori delle parti civili, avvocati Claudio Staderini e Giovanni Malara,

che hanno chiesto il rigetto dei ricorsi degli imputati e la conferma delle

rispettive statuizioni civili;

uditi i difensori degli imputati, avvocati Roberto Rampioni, Rosario Tarantola,

Patrizio Alecce e Angelo Francesco Macrì, che hanno insistito per

l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.

O O 0 0 O

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21 ottobre 2008 il Tribunale di Roma dichiarava

Diego Cordaro e Italo Cefaro, entrambi ispettori della sede INPS di Pomezia,

responsabili del reato di associazione per delinquere finalizzata alla

commissione di delitti contro la pubblica amministrazione (capo A),

condannandoli alla pena di quattro anni di reclusione, con applicazione della

pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque; inoltre,

dichiarava Vittorio Ferretti, ispettore del lavoro presso la Direzione provinciale

del lavoro di Roma, responsabile dei reati di concussione e abuso d'ufficio

(capi I, L) e lo condannava a tre anni e sei mesi di reclusione, con

l'interdizione perpetua dai pubblici uffici; riconosceva Carlo Contino,

cancelliere in servizio presso la Procura di Roma, responsabile dei reati di

rivelazione dei segreti d'ufficio e di favoreggiamento personale (capo N),

nonché di corruzione propria (capo O), condannandolo a tre anni e sei mesi

di reclusione, con l'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni; dichiarava

l'estinzione per intervenuta prescrizione dei reati di corruzione e abuso

d'ufficio contestati a Cordaro e Cefaro (capi B e F), nonché del reato di tentata

concussione contestata a Cefaro (capo G) e dei reati di falsità materiale

contestati a Contini (capi P e Q); condannava Cordaro e Cefaro al risarcimento

dei danni in favore dell' INPS e Ferretti al risarcimento dei danni in favore

della SOFTLAB, stabilendo a favore di quest'ultima parte civile la provvisionale

di euro 10.000,00; ordinava la confisca delle somme di denaro sequestrate a

Cordaro, Cefaro e Contino e, con riferimento a quest'ultimo, anche dei buoni

di benzina; assolveva con formula piena Cefaro dai reati di concussione e

corruzione di cui ai capi D), E) e M), Contino dai reati di associazione per

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delinquere e favoreggiamento reale di cui ai capi A) e N), Ferretti dal reato di

concussione di cui ai capo D).

2. Sulle impugnazioni degli imputati la Corte d'appello di Roma, con la

decisione in epigrafe indicata, ha parzialmente riformato la sentenza di primo

grado:

- ha dichiarate la estinzione per intervenuta prescrizione del reato

associativo contestato a Cordaro e Cefaro al capo A), nonché dei reati di

rivelazione dei segreti d'ufficio, di favoreggiamento e di corruzione contestati

a Contino ai capi N) e O) e del reato di abuso d'ufficio contestato a Ferretti al

capo L);

- ha qualificato come abuso d'ufficio il reato contestato al capo B), così

qualificata la condotta originariamente contestata a Cefaro e Cordaro come

corruzione e già dichiarata prescritta dal primo giudice;

- ha assolto nel merito Cefaro dal reato di tentata concussione di cui al

capo G);

- ha revocato le pene accessorie applicate nei confronti di Cordaro, Cefaro

e Contino;

- ha confermato la responsabilità di Ferretti per il reato di concussione di

cui al capo I), rideterminando la pena in tre anni di reclusione;

- ha confermato la confisca delle somme di denaro e dei buoni di benzina,

nonché le statuizioni civili a favore dell'INPS e della SOFTLAB, condannando

Cordaro, Cefaro e Ferretti alla rifusione delle spese processuali sostenute

dalle parti civili;

- ha dichiarato inammissibili gli appelli proposti da Cefaro e Ferretti sulle

pronunce assolutorie dei capi D) e E).

Nel resto è stata confermata la prima sentenza.

3. In conclusione, l'unica condanna residua è quella per la concussione

attribuita a Ferretti ritenuto responsabile di avere abusato della sua qualità di

pubblico ufficiale perché, nel corso di una ispezione condotta nei confronti

della SOFTLAB s.p.a., induceva i responsabili della società a promettere e,

successivamente, a consegnargli, per il tramite dell'avvocato Marco Vilone, la

somma in contanti di 15 milioni di lire, prospettando un approfondimento

dell'ispezione con conseguente possibile maggiorazione delle sanzioni per un

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importo quantificato in circa 400-500 milioni di lire rispetto alle violazioni fino

a quel momento riscontrate e relative alla violazione della legge n.

1369/1960 sull'interposizione fittizia di manodopera e ad alcune irregolarità

fiscali. I giudici di secondo grado hanno considerato provata la condotta

concussiva dell'imputato sulla base delle dichiarazioni rese da Vilone, legale

della società, nonché dai riscontri bancari e dai servizi di osservazione

compiuti dalla polizia giudiziaria che ha seguito l'incontro tra Ferretti e Viloni,

in cui vi sarebbe stata la consegna del denaro.

4. Tutti gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione.

4.1. L'avvocato Rosario Tarantola, nell'interesse di Cordaro, in relazione

ai reati di cui ai capi A) e B) deduce la nullità della sentenza per genericità

della motivazione in ordine alla richiesta di assoluzione nel merito da tutti i

reati e alla richiesta di revoca del provvedimento di confisca della somma di

50 milioni di lire oggetto di sequestro.

4.2. Per la posizione di Cefaro ha proposto ricorso per cassazione

l'avvocato Patrizio Alecce, che con il primo motivo, con riferimento al reato di

cui al capo B), ribadisce l'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni per

violazione dell'art. 270 c.p.p., in quanto le captazioni sono state disposte in

diverso procedimento, avente ad oggetto fatti di corruzione di funzionari

dell'Agenzia delle entrate per i rimborsi IVA, tra soggetti diversi e con

riferimento al reato di cui all'art. 319 c.p che non consente l'arresto

obbligatorio in flagrpriza. Si assume che il collegamento probatorio non può

scaturire dal fatto che dalle intercettazioni in corso emergano elementi di

prova anche per un diverso reato, in quanto deve trattarsi di un collegamento

che deve sussistere a monte e fondarsi su di una fonte diversa e autonoma

dalle intercettazioni che si vogliono utilizzare oltre i limiti dell'art. 270 c.p.p.

In conclusione, il ricorrente chiede l'annullamento senza rinvio della sentenza

o, in subordine, la rimessione della questione alle Sezioni unite, in presenza di

orientamenti discordanti sulla questione.

Con il secondo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 129 e 578

c.p.p. e il vizio di motivazione per avere la Corte d'appello omesso di

pronunciare sentenza di assoluzione nel merito nonostante l'innocenza

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dell'imputato emergesse ictu °cuti dall'esame del compendio probatorio

acquisito ed evidenziato nello stesso atto di impugnazione, i cui motivi non

sono stati affatto presi in considerazione dal momento che i giudici hanno

dichiarato l'estinzione per prescrizione senza verificare la possibilità di una

assoluzione con formula piena.

Si rileva che sono state confermate le statuizioni civili ai sensi dell'art.

578 c.p.p. senza fornire al riguardo alcuna motivazione e inoltre si contesta la

legittimazione dell'INPS a costituirsi parte civile, non essendo emerso alcun

danno immediato e diretto derivante dal reato di cui all'art. 416 c.p.

Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 192, 194 e 546

c.p.p. nonché il vizio di motivazione in relazione al capo B) dell'imputazione,

rilevando che la Corte di secondo grado ha omesso ogni esame e valutazione

delle tesi difensive proposte con l'atto di impugnazione.

Con il quarto motivo viene denunciata la violazione degli artt. 323 c.p.,

192 e 546 c.p.p., nonché il vizio di motivazione in ordine al reato di cui al

capo F).

Con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 416 c.p., 192 e 546

c.p.p., nonché il vizio di motivazione con riferimento al reato associativo di cui

al capo A).

Con il sesto motivo il ricorrente censura la sentenza per avere disposto la

confisca della somma di 300 milioni di lire nonostante la dichiarazione di

estinzione dei reati e l'assoluzione da alcuni reati.

4.3. Nell'interesse di Contino l'avvocato Roberto Rampioni denuncia la

nullità della sentenza per mancanza e illogicità della motivazione con

riferimento ai reati di cui ai capi N) e O) per i quali è intervenuta dichiarazione

di estinzione per prescrizione.

Con un successivo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 240 c.p.

in quanto la Corte territoriale ha confermato il provvedimento di confisca delle

somme di denaro e dei buoni di benzina in sequestro nonostante l'avvenuta

estinzione dei reati.

4.4. Nell'interesse di Vittorio Ferretti il difensore di fiducia, con il primo

motivo, ha dedotto il difetto assoluto di motivazione, in quanto la sentenza

d'appello è costituita dall'intera decisione di primo grado, riportata in

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fotocopia, nonché da una sintetica riproduzione dei motivi di gravame e,

infine, dalla motivazione vera e propria che altro non fa se non richiamare le

argomentazioni del Tribunale, senza alcun esame e valutazione delle articolate

considerazioni contenute nell'atto di appello. In sostanza, si sostiene che il

giudice di secondo grado ha operato un rinvio per relationem alla motivazione

della prima decisione, senza tenere in alcun conto le specifiche censure

contenute nell'impugnazione, tra cui: a) la contestazione dell'attendibilità del

teste Viloni, per la carenza di riscontri delle sue dichiarazioni, smentite da

quelle di Palmisani, Appignanesi e Meloni, che avrebbero negato di avere

avanzato l'idea di offrire al Ferretti la somma di 15 milioni di lire; secondo la

tesi difensiva, la Corte territoriale avrebbe dovuto spiegare le ragioni per cui

ha ritenuto attendibile Viloni nonostante la mancanza dei riscontri, tenuto

conto che in presenza di un'unica fonte testimoniale le sue dichiarazioni vanno

riscontrate ab externo; b) le argomentazioni in ordine alla mancanza di

riscontri nelle intercettazioni e da parte della polizia giudiziaria (Placida e

Parisi), che non avrebbe mai visto alcuno scambio di denaro tra Vilone e

Ferretti; c) le critiche sui rilievi dell'accertamento bancario svolto da Valentini;

d) le dichiarazioni del teste della difesa Massa, capo settore dell'Ispettorato

del lavoro, e i risultati dell'accertamento della condotta dell'imputato da cui è

emersa la regolarità della sua ispezione conclusasi con una serie di sanzioni

per somme di oltre due miliardi di lire, cifra di molto superiore a quella che,

secondo Vilone, avrebbe indicato Feretti.

Nello stesso motivo si censura anche il difetto di motivazione in ordine al

reato di cui al capo L), per il quale la Corte territoriale ha dichiarato

l'estinzione per intervenuta prescrizione.

Con il secondo motivo viene denunciato un ulteriore difetto di

motivazione, costituito dalla omessa considerazione della dichiarazione resa

dal teste Zaccardi il quale ha riferito che la mattina del 9.8.2001, giorno in cui

secondo Viloni vi sarebbe stata la consegna del denaro, sarebbe stato per

l'intera giornata in compagnia del Ferretti, recandosi prima ad un ufficio di

collocamento e poi a Fiumicino, negando di avere incontrato altre persone.

Con il terzo motivo si deduce ancora il difetto di motivazione, per avere

ritenuto attendibile la testimonianza di Vilone, nonostante la sua posizione di

parte interessata a screditare, in accordo con i vertici della SOFTLAB, Ferretti

e farlo mettere sotto accusa per acquisire benefici.

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Con il quarto motivo viene rappresentato il difetto assoluto di motivazione

in ordine alla eccezione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per

violazione degli artt. 268, 270 e 271 c.p.p.

Con il quinto motivo il difetto di motivazione dedotto attiene alla mancata

verifica della legittimità del diniego della richiesta di abbreviato, prima

condizionato e poi senza alcuna condizione, da parte dei giudici di primo e

secondo grado.

Con il sesto motivo, relativo al reato di cui al capo L), viene fatto valere il

vizio di motivazione in ordine ad una ipotesi di nullità della sentenza di primo

grado che ha condannato l'imputato alla pena detentiva sebbene sul punto il

pubblico ministero non aveva concluso.

Nello stesso motivo si contesta la mancata assoluzione nel merito

dell'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p.

Con il settimo motivo si deduce il travisamento della prova con

riferimento alle testimonianze di Palmisano, Appignanesi e Massa nonché ad

alcuni documenti da cui sarebbe emerso che non vi era alcuna soggezione da

parte dei vertici della società rispetto al Ferretti, situazione questa che

avrebbe giustificato quanto meno la qualificazione giuridica dei fatti

nell'ambito del reato di cui all'art. 319 c.p., con conseguente dichiarazione di

prescrizione dello stesso.

In data 10 gennaio 2013 il difensore del Ferretti ha depositato motivi

nuovi, in cui ha sostenuto che a seguito della riforma dei delitti contro la

pubblica amministrazione, di cui all'art. 1 comma 75 legge n. 190 del 2012,

entrata in vigore il 28.11.2012, la condotta dell'imputato contestata al capo I)

dovrebbe oggi essere qualificata ai sensi del nuovo art. 319-quater c.p. che

punisce "il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando

della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere

indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità". Infatti, il Ferretti è

accusato di avere indotto i vertici della società SOFTLAB a corrispondere del

denaro per evitare l'ampliamento dell'ispezione, sicché la condotta non può

essere ricompresa nell'art. 317 c.p. come oggi riformulato, in quanto la norma

si riferisce ad una condotta di costrizione, ma nella nuova ipotesi di cui al

citato art. 319-quater c.p. Ciò comporta, secondo la difesa, la estinzione per

prescrizione anche di questo reato, punito con una pena inferiore.

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5. L'avvocato Claudio Staderini ha depositato una memoria nell'interesse

della SOFTLAB s.p.a., costituita parte civile nei confronti di Ferretti per il reato

di concussione (capo I), chiedendo la conferma della sentenza impugnata

anche in relazione alle statuizioni civili e alla provvisionale

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. I ricorsi presentati da Cordaro, Cefaro e Contino sono infondati.

6.1. Cordaro si limita a denunciare la genericità della motivazione per la

mancata assoluzione nel merito, ma non indica alcun elemento di valutazione

da cui poter desumere l'evidenza della prova della sua "innocenza", che

consentirebbe di superare la dichiarazione di estinzione dei reati a seguito di

prescrizione. Al contrario, la sentenza impugnata, con riferimento ai reati di

cui ai capi A) e B), ha indicato una serie di elementi che consentono di

escludere la prova evidente dell'insussistenza del fatto, sia sotto il profilo

oggettivo che soggettivo: in particolare, i giudici di appello hanno ampiamente

motivato in ordine alla valenza probatoria sia delle intercettazioni telefoniche,

da cui risulta lo stesso "modus operandi" dell'associazione criminosa composta

da Cordaro, Cefaro e Blasi, sia degli accertamenti bancari che hanno

consentito di verificare le grandi disponibilità economiche degli imputati

incompatibili con i redditi dell'attività lavorativa svolta, circostanza che opera

da riscontro oggettivo alle conversazioni intercettate.

6.2. Discorso analogo può essere fatto in relazione al ricorso di Contino,

in quanto anche in questo caso si deduce il vizio di motivazione in ordine ai

reati di cui ai capi N) e O) dichiarati estinti per prescrizione.

Come è noto, in presenza di una causa di estinzione del reato non sono

rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata dal

momento che il rinvio, da un lato, determinerebbe comunque per il giudice

l'obbligo di dichiarare immediatamente l'estinzione, in questo caso per

prescrizione, dall'altro, sarebbe incompatibile con l'obbligo dell'immediata

declaratoria di proscioglimento (Sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490,

Tettamanti).

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D'altra parte, dagli atti così come rappresentati in sentenza non

emergono elementi da cui desumere l'evidenza dell'estraneità dell'imputato

rispetto ai reati contestatigli.

6.3. Passando ad esaminare il ricorso del Cefaro, si rileva innanzitutto

l'infondatezza dell'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni.

L'art. 270 comma 1 c.p.p. dispone che "i risultati delle intercettazioni non

possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati

disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i

quali è obbligatorio l'arresto in flagranza".

Tuttavia, questo Corte ha avuto modo di rilevare che il concetto di

diverso procedimento, di cui all'art. 270 cit., non si estende fino ad escludere

la possibilità di utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti concernenti

indagini strettamente connesse e collegate, sotto il profilo oggettivo,

probatorio e finalistico al reato in ordine al quale il mezzo di ricerca della

prova è stato disposto (Sez. II, 19 gennaio 2004, n. 9579, Rv. 228384; Sez.

III, 13 novembre 2007, n. 348, Rv. 238779). Infatti, il concetto di "diverso

procedimento" non equivale a diverso reato e va collegato al dato della

alterità o non uguagiianza del procedimento, in quanto instaurato in relazione

ad una notitia criminis che derivi da un fatto storicamente diverso da quello

oggetto di indagine nell'ambito di altro, differente, anche se connesso

procedimento (Sez. IV, 11 dicembre 2008, n. 4169, Rv. 242836).

Nel caso in esame, i giudici di merito hanno ritenuto che le indagini

relative ai due procedimenti fossero strettamente connesse e collegate sotto il

profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato in ordine al quale il mezzo di

ricerca della prova è stato disposto, per cui, tenuto conto dei limiti del

sindacato di legittimità, deve ritenersi corretta, sulla base degli atti a

disposizione, la valutazione della Corte d'appello che ha ribadito l'utilizzabilità

delle intercettazioni, Del resto, la stessa difesa del ricorrente riconosce

l'esistenza di un "coNegamento" tra i due procedimenti in questione, solo che

esclude che tale "collegamento" possa operare ai sensi dell'art. 270 cit. in

quanto non rientrante tra i casi previsti dagli artt. 12 e 371 c.p.p., laddove

secondo la sentenza impugnata si tratterebbe, in sostanza, di un'ipotesi di

collegamento probatorio e teleologico.

6.3.1. Del tutto infondato è pure il secondo motivo.

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La Corte d'appello, prima di dichiarare l'estinzione dei reati per

prescrizione, ha esaminato gli elementi di prova a carico ritenendo accertata

la responsabilità dell'imputato, così da escludere la possibilità di un

proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p.; allo stesso modo, sulla base di

tale accertamento ha escluso ogni possibile decisione diversa dalla conferma

delle statuizioni civili ai sensi dell'art. 578 c.p.p.

Inoltre, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, deve ritenersi la

legittimazione dell'INPS, ente pubblico di cui Cefaro era dipendente, tenuto

conto che l'associazione a delinquere contestata all'imputato era funzionale a

commettere reati contro la pubblica amministrazione.

6.3.2. In relazione ai motivi 3, 4 e 5, con cui si deducono sostanzialmente

vizi di motivazione, deve ribadirsi, anche in questo caso, l'orientamento

secondo cui in presenza di una causa di estinzione del reato non sono

rilevabili in sede di legittimità vizi attinenti alla motivazione della sentenza

impugnata (Sez. un, maggio 2009, n. 35490, Tettamanti).

7. Infine, i ricorSi di Cordaro, Cefaro e Contino censurano, seppure sotto

aspetti differenti, l'avvenuta conferma dei provvedimenti di confisca disposti

nei loro confronti.

7.1. In particolare, il difensore di Cordaro lamenta la mancanza di

motivazione in ordine alla confisca della somma di 50 milioni di lire,

ribadendo l'origine lecita della somma in sequestro.

Al riguardo deve escludersi la sussistenza del vizio dedotto, in quanto la

giustificazione della disposta confisca è contenuta, attraverso una motivazione

per relationem, nella sentenza del Tribunale, riportata integralmente nella

decisione oggetto di impugnazione, in cui si afferma che la somma di denaro

costituisce il provento dei reati posti in essere dall'imputato. Nella stessa

sentenza, nel punto in cui vengono prese in esame le situazioni di Cordaro e

Cefaro, cioè dei due ispettori dell'INPS accusati di associazione per delinquere

e di reati contro la pubblica amministrazione, si evidenzia come dagli

accertamenti bancari siano emerse grandi disponibilità economiche ritenute

incompatibili con i redditi derivanti dalla loro attività lavorativa e con il

patrimonio dei loro familiari; inoltre, viene sottolineata una circostanza che

assume un grande rilievo nella motivazione della decisione, costituita dal fatto

che i due imputati, non legati da alcun vincolo di parentela, avevano due

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conti correnti bancari cointestati, sui quali sono stati prima versati

complessivamente 80 milioni di lire in contanti e, successivamente, sottoscritti

titoli obbligazionari. Si tratta di elementi dai quali i giudici di merito hanno

desunto, ragionevolmente, che si trattasse di somme costituenti il "provento"

(rectius "prezzo") derivante dalla commissione dei reati loro contestati, non

avendo ritenuto credibili le giustificazioni offerte dagli imputati.

7.2. Diversamente, nei ricorsi di Cefaro e Contino si censura la sentenza

per avere confermato la confisca disposta nei loro confronti nonostante la

dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione, richiamando la decisione

delle Sezioni unite n, 38834 del 10 luglio 2008, De Maio.

Sul punto il Collegio ritiene di aderire a quell'orientamento interpretativo

secondo cui l'estinzione del reato non preclude la confisca delle cose che ne

costituiscono il prezzo, nei casi in cui vi sia comunque stato un accertamento

incidentale, equivalente rispetto all'accertamento definitivo del reato, della

responsabilità e del nesso pertinenziale tra oggetto della confisca e reato.

Invero, le Sezioni unite richiamate dai ricorrenti hanno affermato il

principio secondo il quale l'estinzione del reato preclude la confisca delle cose

che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall'art. 240 c.p.,

comma 2, n. 1, sostenendo, tra l'altro, che la disposizione dell'art. 236 c.p.

che rende inapplicabili alla confisca le disposizioni di cui all'art. 210 c.p.,

secondo il quale "l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di

sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione", si limita ad enunciare un principio di

carattere generale che lascia il legislatore libero di stabilire in quali casi tale

effetto preclusivo si realizzi anche con riferimento alla confisca.

Si è tuttavia messo in evidenza, attraverso un attento esame della stessa

ratio decidendi di tale pronuncia, avuto riguardo anche agli apporti successivi

della giurisprudenza di legittimità sul tema controverso, come la "condanna"

cui si riferisce l'art. 240 c.p. "funge da presupposto quale termine evocativo

proprio di quell'accertamento che ontologicamente giustifica, sul piano

normativo, la sottrazione definitiva del bene, in quanto proveniente dal reato"

(Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39756, Ciancimino; nello stesso senso, Sez. V, 23

ottobre 2012, n. 48680, Abdelkhalki; Sez. I, 4 dicembre 2008, n. 2453,

Squillante). Da ciò si è desunto che "ciò che viene posto a fulcro della

disciplina codicistica, non è il rinvio ad un concetto di condanna evocativo

della categoria del giudicato formale, ma - più concretamente - il richiamo ad

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un termine che intende esprimere un valore di equivalenza rispetto

all'accertamento definitivo del reato, della responsabilità e del nesso di

pertinenzialità che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al

reato stesso: a prescindere, evidentemente, dalla formula con la quale il

giudizio viene ad essere formalmente definito".

In altri termini, può esservi un ambito in cui residui la possibilità di

disporre la confisca in relazione ad un reato prescritto, purché vi sia

l'effettività di un accertamento dei profili di responsabilità; mentre deve

ritenersi preclusa la misura di sicurezza nei casi in cui la estinzione del reato

per prescrizione maturi prima del promovimento dell'azione penale, ovvero

quando l'estinzione sia dichiarata nell'udienza preliminare o con sentenza

emessa ai sensi dell'art. 129 c.p.p., ipotesi in cui difetta ogni tipo di

accertamento in ordine alla responsabilità dell'imputato.

Nel caso in esame, la causa estintiva è intervenuta, almeno per alcuni

reati, dopo la pronuncia di condanna di primo grado, in un contesto in cui le

statuizioni adottate dai giudici del merito hanno potuto accertare sia i fatti-

reato, che le responsabilità degli imputati e la stessa illecita provenienza dei

beni sottoposti a confisca: in questo modo deve ritenersi soddisfatto il fine di

garanzia di accertamento pieno, che il termine "condanna", richiamato dal

citato art. 240 c.p., è volto ad assicurare nel quadro della confisca, quale

necessario presupposto del provvedimento ablatorio.

8. Nel ricorso proposto nell'interesse di Ferretti con il primo motivo si

deduce il difetto assoluto di motivazione, in quanto la sentenza d'appello

riporta integralmente - in copia - la motivazione della decisione di primo

grado, seguita da una sintetica riproduzione dei motivi di gravame e, infine,

dalla motivazione vera e propria che altro non fa se non richiamare le

argomentazioni del Tribunale, senza alcun esame e valutazione delle articolate

considerazioni contenute nell'atto di appello.

Si osserva che, sebbene la sentenza d'appello abbia utilizzato una

tecnica di motivazione alquanto insolita, avendo riportato integralmente il

contenuto della decisione di primo grado, senza sintetizzarne il contenuto, non

per questo deve ritenersi che sia carente di motivazione. Infatti, la Corte

d'appello di Roma non si è limitata ad un recepimento acritico delle

conclusioni della prima sentenza ma, dopo averla integralmente riprodotta ha

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preso in esame i motivi di appello, li ha confrontati con le conclusioni del

Tribunale e, infine, li ha valutati criticamente, pervenendo alla decisione.

Peraltro, con riferimento al reato di abuso d'ufficio di cui al capo L),

dichiarato estinto per prescrizione, non può che confermarsi la giurisprudenza

di questa Corte, già richiamata esaminando le posizioni degli altri ricorrenti,

secondo cui dinanzi ad una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in

sede di legittimità i vizi di motivazione della sentenza impugnata, "in quanto il

giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente

alla declaratoria della causa estintiva" (Sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490,

Tettamanti).

Sempre con riferimento al capo L) il ricorrente ha denunciato il vizio di

motivazione in ordine ad una ipotesi di nullità della sentenza di primo grado,

che avrebbe condannato l'imputato alla pena detentiva sebbene sul punto il

pubblico ministero non avesse concluso: anche in questo caso deve ribadirsi

che in presenza di una causa estintiva non rilevano le nullità (Sez. un., 28

novembre 2001, n. 1021, Cremonese).

9. Passando all'esame dei motivi attinenti, specificamente, al reato di

concussione (capo I), si osserva, preliminarmente, che l'eccezione di

inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per violazione dell'art. 270

c.p.p. (motivo n. 4) è del tutto infondata perché generica, in quanto la

sentenza non basa il giudizio di colpevolezza sulle intercettazioni, tanto è vero

che il ricorrente non ha neppure specificato la rilevanza che le captazioni

avrebbero avuto sull'affermazione della sua responsabilità, omissione

giustificata dal fatto che la colpevolezza del Ferretti è basata in sentenza sulle

dichiarazioni di Vilone, nonché sugli accertamenti bancari che quelle

dichiarazioni hanno riscontrato, non certo sulle intercettazioni.

9.1. Pregiudiziale rispetto agli altri è il nuovo motivo proposto il 10

gennaio 2013, con il quale il ricorrente ritiene che il reato di cui al capo I)

debba essere qualificato come induzione indebita, delitto previsto dall'art.

319-quater c.p., introdotto dall'art. 1. comma 75 lett. i) della legge 6

novembre 2012, n. 190 e punito meno gravemente rispetto all'originaria

concussione di cui all'art. 317 c.p.; peraltro, tale riqualificazione

comporterebbe la dichiarazione di estinzione per intervenuta prescrizione.

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9.2. Come è noto la citata legge n. 190/2012 ha operato uno sdoppiamento

dell'originario art. 317 c.p. prevedendo due distinti reati: la concussione c.d.

per costrizione (art. 317 c.p.) e l'induzione indebita (art. 319-quater c.p.).

Nella concussione precedente la riforma, le condotte prese in considerazione

dalla norma incriminatrice, attraverso cui il pubblico ufficiale (o l'incaricato di

pubblico servizio), abusando della sua qualità o dei suoi poteri, riusciva a farsi

dare o promettere indebitamente denaro o altra utilità potevano essere,

indifferentemente, condotte di "costrizione" o di "induzione"; con la novella

del 2012 la costrizione è divenuta la condotta che caratterizza il reato di

concussione, punito più gravemente (da sei a dodici anni di reclusione),

mentre l'induzione costituisce il comportamento oggetto del distinto reato

previsto dal nuovo art. 319-quater c.p., punito con la pena della reclusione da

tre a otto anni. Ne deriva che oggi, ai fini della qualificazione giuridica,

diventa rilevante accertare se la condotta posta in essere dal pubblico

ufficiale, abusando della sua qualità (o dei suoi poteri), sia consistita in una

costrizione ovvero in una induzione.

Un tale problema di qualificazione giuridica interessa anche la fattispecie in

esame, dal momento che il riconoscimento di una condotta induttiva posta in

essere dal Ferretti avrebbe come conseguenza l'applicazione, ai sensi dell'art.

2 comma 4 c.p., dell'ipotesi disciplinata dal nuovo art. 319-quater c.p., norma

più favorevole rispetto all'originario reato di concussione di cui all'art. 317 c.p.

che prevedeva una pena da quattro a dodici anni di reclusione.

Ciò presuppone, ovviamente, che tra la vecchia disposizione e le nuove vi

sia continuità normativa. Sulla questione sono intervenute numerose decisioni

di questa stessa Sezione, che hanno escluso che le nuove norme introdotte

dalla novella del 2012 abbiano abrogato la precedente fattispecie di

concussione, affermando l'esistenza di un rapporto di continuità fra la

disposizione da ultimo menzionata e l'attuale reato disciplinato nell'art. 319-

quater c.p. (Sez. VI, 3 dicembre 2012, n. 3251, Roscia; Sez. VI, 4 dicembre

2012, n. 8695, Nardi; Sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 12388, Sarno; Sez. VI, 11

febbraio 2013, n. 11792, Castelluzzo; Sez. VI, 11 gennaio 2013, n. 17285,

Vaccaro; Sez. VI, 8 gebbraio 2013, n. 23954, Breccia; Sez. VI, 25 gennaio

2013, n. 6578, Piacentini; Sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 11794, Melfi).

Secondo questo orientamento, che il Collegio condivide, anche la punibilità del

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v

soggetto indotto prevista 319-quater c.p. e che rappresenta una

indubbia novità rispetto alla "vecchia" ipotesi di concussione, non è elemento

che possa portare a negare la continuità normativa tra le disposizioni, in

quanto la condotta del soggetto attivo, che viene punita come attività di

"induzione" era già punita dall'originario art. 317 c.p.

In altri termini, deve ritenersi che l'operazione di svincolo della condotta

induttiva dalla "vecchia" concussione alla nuova fattispecie incriminatrice dì

cui all'art. 319-quater c.p. non ha realizzato una aboliti° criminis, ma una

successione modificativa di leggi.

9.3. Nel caso di specie, al Ferretti è stata contestata la concussione - con

riferimento all'originario art. 317 c.p. - realizzata attraverso una condotta che

è stata qualificata espressamente come di "induzione": infatti, secondo

l'imputazione il Ferretti "in qualità di ispettore del lavoro (...), nel corso di

un'ispezione condotta nei confronti della SOFTLAB s.p.a., dietro sua esplicita

richiesta e prospettando altrimenti la possibilità di un ampliamento della

predetta ispezione e quantificando in 400-500 milioni l'importo complessivo di

eventuali maggiori sanzioni conseguenti a tale ampliamento, induceva i

responsabili della suddetta società a promettere indebitamente e

successivamente a consegnargli tramite l'avvocato Marco Vilone la somma in

contanti di 15 milioni di lire".

D'altra parte, le sentenze di merito hanno ricostruito le modalità della

vicenda concussiva facendo riferimento alla condotta induttiva posta in essere

dall'imputato, il quale dopo avere riscontrato alcune irregolarità nella gestione

della società oggetto dell'ispezione (violazione della normativa

sull'interposizione fittizia e irregolare tenuta della contabilità) prospettava un

ampliamento della verifica ispettiva con il rischio di dover pagare una grossa

sanzione pecuniaria, così "inducendo" i vertici della società a corrispondergli

una somma di denaro.

In un caso analogo, questa stessa Sezione ha ritenuto che l'espresso

inquadramento, ad opera del giudice di merito, della condotta costitutiva del

reato di concussione, previsto dall'art. 317 c.p. prima delle modifiche

apportate dalla legge n. 190 del 2012, sotto il profilo della induzione, a fronte

di una non illogica motivazione, non è questione attinente alla qualificazione

giuridica del fatto, ma è questione di merito sottratta alla cognizione della

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Corte di cessazione, fuori dal caso di carenza o di manifesta illogicità della

motivazione costituente oggetto di specifica deduzione (in questi termini, Sez.

VI, 8 febbraio 2013, n. 23954, Breccia).

In ogni caso, la qualificazione della condotta come induzione appare

giustificata, anche tenendo conto della giurisprudenza formatasi sull'originario

art. 317 c.p., che ha in più occasioni sottolineato come la condotta induttiva

possa consistere in comportamenti molteplici, quali l'esortazione, la

sollecitazione, la persuasione, gli impliciti messaggi comportamentali, i silenzi,

comunque in grado di esercitare una pressione psicologica sulla vittima,

convincendola della necessità di dare o promettere denaro o altra utilità, per

evitare conseguenze dannose (tra le tante, Sez. VI, 1 ottobre 2003, n. 49538,

P.G. in proc. Bertolotti).

Nel caso in esame si è trattato di una condotta consistita nel prospettare

un'applicazione della legge "dannosa" onde si aderisse alle condizioni poste

dal Ferretti e si evitasse la prospettata sanzione pecuniaria; in altri termini, un

comportamento che si è caratterizzato per un uso strumentale e abusivo dei

poteri attraverso cui è stata esercitata una pressione psicologica sui soggetti

passivi che si sono convinti della opportunità di dare il denaro per evitare le

paventate conseguenze dannose, seppur non illegittime.

Ne deriva che al riconoscimento del carattere induttivo della condotta

consegue l'applicazione della nuova ipotesi di reato prevista dall'art. 319-

quater c.p., più favorevole rispetto all'originaria fattispecie contestata.

Il reato, così diversamente qualificato, risulta commesso nell'agosto del

2001 per cui, considerando il termine massimo di prescrizione, pari a dieci

anni ex art. 157 e seg. c.p., comprensivo dell'aumento di un quarto

determinato dalla intervenute interruzioni, esso risulta estinto per

prescrizione, successivamente alla pronuncia della sentenza di appello.

9.4. La dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione comporta, in

presenza della condanna generica al risarcimento dei danni in favore della

costituita parte civile (SOFTLAB s.p.a.) la necessità che questa Corte decida il

ricorso proposto dall'imputato ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della

sentenza che concernono gli interessi civili, ai sensi dell'art. 578 c.p.p.

Tuttavia, si pone preliminarmente un ulteriore problema di diritto

intertemporale, in quanto si tratta di stabilire se, a seguito della

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riqualificazione del delitto di concussione nel nuovo reato di induzione

indebita, previsto dall'art. 319-quater c.p., la società SOFTLAB, regolarmente

costituitasi come parte civile nel processo per l'originario reato, conservi il suo

"status" e mantenga il diritto alle restituzioni e al risarcimento del danno.

Come si è già detto una delle maggiori novità del reato previsto dall'art.

319-quater c.p. è costituita dal fatto che ad essere punito non è solo il

pubblico agente autore dell'induzione, ma anche il privato che subisce

l'attività induttiva, seppure con una sanzione più mite. Si è trattato di una

scelta che è stata giustificata con la necessità di recepire una serie di inviti e

di raccomandazioni rivolti al nostro Paese da organismi internazionali, per i

quali l'originaria fattispecie di concussione costituiva una "via di fuga" per il

privato che si rendeva responsabile di fatti corruttivi.

In ogni caso, quale che sia la ratio della nuova norma introdotta, nella

presente fattispecie bisogna stabilire se la previsione della "punibilità

bilaterale" possa avere conseguenze in ordine alla condanna al risarcimento

dei danni in favore della costituita parte civile pronunciata dalla sentenza di

merito con riferimento all'originaria ipotesi di concussione per induzione, in cui

il soggetto "concusso" non era punibile. In altri termini, occorre verificare se

la qualificazione del fatto contestato all'imputato nella nuova ipotesi di cui

all'art. 319-quater c.p. produce ripercussioni anche sul fronte del risarcimento

dei danni civili a favore del soggetto indotto, che nella nuova fattispecie

"concorre" nel reato, dal momento che l'affermazione della responsabilità

risarcitoria dell'imputato risulta pronunciata nei confronti del privato con

riferimento ad un illecito che questi avrebbe contribuito a realizzare.

Una serie di ragioni conducono a ritenere che la parte civile conservi il

diritto al risarcimento dei danni subiti e che, quindi, possa essere mantenuta

la statuizione sugli interessi civili in suo favore, anche solo considerando che

la condotta del soggetto attivo dell'induzione, da cui può derivare un danno al

soggetto indotto, era penalmente rilevante prima della riforma del 2012 e

continua ad essere punita anche oggi, seppure con una pena meno severa.

Nella specie deve essere riaffermato il principio secondo cui quando un

fatto costituisce illedto civile nei momento in cui è stato commesso, su di esso

non influiscono le successive vicende riguardanti la punibilità del reato ovvero

la rilevanza penale di quel fatto.

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Questo principio è stato affermato con riferimento a casi in cui era

intervenuta una aboliti° criminis, sostenendo che l'abrogazione della norma

penale in presenza di una condanna irrevocabile comporta la revoca della

sentenza da parte del giudice dell'esecuzione, ma limitatamente ai capi penali

non anche a quelli civili, la cui esecuzione ha comunque luogo secondo le

norme del codice di procedura civile: sicché se vi è stata costituzione di parte

civile, con conseguente condanna al risarcimento dei danni a carico

dell'imputato, questa statuizione resta ferma (cfr., Corte cost., ord. n. 57 del

2001 e n. 273 del 2002, in cui si sottolinea come la formula assolutoria

adottata a seguito della sopravvenuta abrogazione della norma incriminatrice

"non è fra quelle alle quali l'art. 652 c.p.p. attribuisce efficacia nel giudizio

civile). Infatti, se l'art. 2 c.p. disciplina espressamente la sola cessazione

dell'esecuzione e degli effetti penali della condanna, ne deriva, attraverso

un'argomentazione a contrario, che le obbligazioni civili derivanti dal reato

abrogato non cessano, in quanto per il diritto del danneggiato al risarcimento

dei danni trovano applicazione i principi generali sulla successione delle leggi

stabiliti dall'art. 11 preleggi, non quelli contenuti nel citato art. 2 c.p. (v., Sez.

VI, 21 gennaio 1992, n. 2520, Dalla Bona; Sez. V, 20 dicembre 2005, n.

4266, Colacito; Sez. V, 24 maggio 2005, n. 28701, Romiti, che ha affermato

la permanenza del diritto al risarcimento dei danni nel caso della avvenuta

depenalizzazione del reato di falso in bilancio ex art. 2621 c.c.).

Il principio della "indifferenza" dei capi civili della sentenza rispetto alla

sorte della regiudicanda penale può trovare applicazione anche nel caso in

esame, con le necessarie distinzioni.

In particolare, la qualificazione del fatto originariamente contestato nel

nuovo reato di cui all'art. 319-quater c.p. avviene sulla base del principio

fissato dall'art. 2 comma 4 c.p., in quanto si tratta di norma penale più

favorevole all'imputato; ma lo stesso principio non può trovare applicazione

anche per la parte civile e ritenere che la riqualificazione del fatto nel nuovo

reato di induzione, che assoggetta a sanzione penale anche colui che è stato

indotto, condizioni il diritto di quest'ultimo al risarcimento per i danni derivati

dall'originario reato di concussione.

Infatti, occorre considerare che la nuova fattispecie di induzione può

trovare applicazione, per i fatti pregressi, solo per l'imputato, perché norma

più favorevole, non per il "concusso" per il quale la disposizione prevista

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319 -quater comma 2 c.p. non è certo applicabile retroattivamente ex

art. 2 comma 1 c.p.

D'altra parte, richiamando la citata giurisprudenza formatasi in materia di

aboliti° criminis, deve riconoscersi che la legge sopraggiunta non determina

alcun effetto sul capo della sentenza che ha accertato il diritto al risarcimento

del danno, trovando applicazione i principi generali di cui all'art. 11 preleggi,

che pongono il divieto di effetti retroattivi, prevedendo che la legge, anche

quella penale, per quanto riguarda gli effetti civili dispone solo per l'avvenire.

Una volta riconosciuta la natura prettamente civilistica del diritto al

risarcimento del danno, deve conseguentemente escludersi l'applicabilità ad

esso del principio penalistico della successione delle leggi di cui all'art. 2 c.p.,

trovando applicazione, come si è detto, l'art. 11 preleggi.

In altri termini, in presenza di un fatto ingiusto che ha cagionato un danno,

il diritto del danneggiato al risarcimento permane, a nulla rilevando le

successive modifiche legislative. D'altra parte, se questi principi trovano

applicazione nei caso in cui la modifica legislativa "trasforma" in condotte

lecite fatti che erano penalmente rilevanti, a maggior ragione possono trovare

una giustificazione nella fattispecie in esame, in cui il reato permane, ma

coinvolge anche uno dei soggetti che prima della modifica non era punibile e

che rivestiva la posizione di persona offesa.

95. Sotto un altro profilo sarebbe ingiustificato operare una valutazione

complessiva dell'art. 319 -quater c.p., come legge più favorevole per

l'imputato, in ragione del fatto che in essa il concusso non riveste più il ruolo

di persona offesa e, per l'effetto, escludere il diritto al risarcimento del danno

provocato all'epoca dal reato.

Infatti, il richiamo alle norme più favorevoli - rispetto all'imputato -,

contenuto nell'art. 2 comma 4 c.p., si intende riferito alle disposizioni penali,

con esclusione dei possibili effetti civili da queste indirettamente derivanti.

Come è noto la giurisprudenza nell'individuare la legge più favorevole ritiene

che si debba procedere ad una valutazione in concreto, anche con riferimento

alle conseguenze giuridiche meno gravose, ma in ogni caso tale valutazione

ha ad oggetto gli elementi costitutivi del reato, le circostanze, il tipo e la

durata della pena, l'applicabilità delle pene accessorie o delle misure di

sicurezza, le cause di non punibilità ovvero di estinzione e, anche se

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all'espressione "legge penale", contenuta nell'art. 2 comma 4 c.p., si associa

una nozione allargata - che cioè ricomprenda non solo le leggi extrapenali

espressamente richiamate dalla norma penale e integranti il precetto, ma

anche quelle leggi che ne costituiscono l'indispensabile presupposto o che

concorrono a determinarne, anche parzialmente e implicitamente, il

sostanziale contenuto - non si è mai sostenuto che vi possano rientrare anche

le conseguenza civili derivanti dal reato.

In altri termini, nella nozione di legge più favorevole si è sempre fatto

riferimento esclusivamente agli elementi ed effetti penali, seppure valutati

non in astratto ma in concreto.

9.6. In conclusione, rispetto al caso in esame deve affermarsi il principio

secondo cui "se Medi-o penale ha prodotto conseguenze di rilevanza

civilistica, da cui sono derivati obblighi di restituzione o di risarcimento del

danno, in base alla normativa vigente all'epoca del commesso reato, non

viene meno la natura di illecito civile".

9.7. Passando all'esame dei motivi di ricorso ai soli effetti civili, si rileva

che sono tutti infondati, sicché devono confermarsi integralmente le

statuizioni civili sul risarcimento.

Fermo restando quanto detto in precedenza con riferimento ai motivi già

esaminati, si deve sottolineare che le ulteriori doglianze riguardano tutte,

prevalentemente, vizi di motivazione con cui il ricorrente formula una lettura

alternativa delle risultanze processuali così come interpretate dai giudici di

merito, sulla base di una motivazione che appare del tutto immune da vizi

logici. In alcuni casi, come nel motivo in cui si sostiene che sia stata omessa

la valutazione della dichiarazione resa dal teste Zaccardi, si cerca di inserire

considerazioni di fatto che non possono avere ingresso nel giudizio di

legittimità; con un altro motivo si censura la sentenza per avere ritenuto

attendibile la testimonianza di Vilone, nonostante la sua posizione di parte

interessata, ma sul punto la sentenza impugnata ha ribadito la piena

credibilità del teste d'accusa; con un altro ancora si denuncia un travisamento

della prova con riferimento alle testimonianze di Palmisano, Appignanesi e

Massa nonché di alcuni documenti da cui sarebbe emerso che non vi era

alcuna soggezione da parte dei vertici della società rispetto al Ferretti,

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travisamento che non si ravvisa in quanto sul punto vi è ampia motivazione

nella sentenza di primo grado, richiamata da quella di appello.

Inammissibile è infine il motivo con cui si lamenta la mancanza di

motivazione sul rigetto della richiesta di giudizio abbreviato, avanzata nel

corso dell'udienza preliminare, da parte dei giudici di primo e secondo grado,

in quanto il ricorrente non ha adempiuto all'onere di allegazione dimostrando

di avere riproposto prima dell'apertura del dibattimento la richiesta di giudizio

abbreviato, presupposto dell'attivazione, all'esito del dibattimento di primo

grado e a fortiori di quello d'appello, del meccanismo del sindacato e del

riconoscimento del diritto alla riduzione della pena: in difetto della sussistenza

di tale presupposto appare del tutto irrilevante il tema della motivazione in

ordine al diniego sulla domanda del giudizio speciale.

10. In conclusione, devono essere rigettati i ricorsi di Cordaro, Cefaro e

Contino che vanno condannati al pagamento delle spese processuali; Cordaro

e Cefaro devono essere condannati anche a rifondere le spese sostenute dalla

parte civile I.N.P.S., liquidate in complessivi euro tremila, oltre I.V.A. e C.P.A.

Nei confronti di Ferretti, a seguito della qualificazione del reato di cui al

capo I) nella nuova fattispecie di induzione ai sensi dell'art. 319 -quater c.p.,

deve disporsi l'annullamento della sentenza senza rinvio per estinzione del

reato per intervenuta prescrizione, con la conferma delle statuizioni civili e il

rigetto del ricorso nel resto; Io stesso ricorrente non va condannato né alle

spese processuali, roé alla rifusione delle spese in favore della parte civile

perché non è soccombente.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Vittorio

Ferretti perché, qualificato il reato di cui al capo I) ex art. 319 -quater c.p., lo

stesso è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.

Rigetta nel resto il ricorso del Ferretti.

Rigetta gli altri ricorsi e condanna i relativi ricorrenti al pagamento delle

spese processuali, nonché Diego Cordaro e Italo Cefara a rifondere le spese

sostenute dalla parte civile I.N.P.S. che liquida in complessivi euro tremila,

oltre I.V.A. e C.P.A.

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DEPOSITATO IN CANCELLERIA

IL 23 LUG 2013

À. 4 •

Così deciso il 25 gennaio 2013

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