riassunto "La gestione dell'impresa"

71
SERGIO SCIARELLI RIASSUNTO DI: LA GESTIONE

description

sciarelli 2014

Transcript of riassunto "La gestione dell'impresa"

Page 1: riassunto "La gestione dell'impresa"

SERGIO SCIARELLI

RIASSUNTO DI:

LA GESTIONE

Page 2: riassunto "La gestione dell'impresa"

DELL’IMPRESAOttava Edizione

CEDAMPARTE PRIMA

ELEMENTI DI ECONOMIA DELL’IMPRESA

Capitolo Primo: IL CONTESTO SOCIO-ECONOMICO

1. I CONCETTI DI <<AMBIENTE>> E <<MERCATO>>.

L’impresa vive all’interno di un ambiente più vasto con il quale scambia risorse e crea ricchezza. Questo ambiente puòscomporsi in due contesti: micro-ambiente,definito dai mercati con cui l’impresa attiva lo scambio di risorse,e un macro-ambiente da cui ne derivano le condizioni e i vincoli entro cui questo scambio può verificarsi. Il micro-ambiente può asua volta essere diviso in due gruppi: ambiente transazionale e ambiente competitivo.

AMBIENTE TRANSAZIONALE: Ogni impresa avrà bisogno di attingere certe risorse dall’esterno collegandosi nei varimercati con un insieme di transazioni o atti di scambio. Il tipo di risorse dipenderà dalle comparazioni di convenienza trail produrre all’interno i materiali o il procedere all’acquisto all’esterno. Più l’impresa si orienta nella prima soluzione piùsi renderà autonoma nei confronti del mercato. Al contrario più si farà ricorso al mercato più si amplierà l’ambientetransazionale con il quale l’impresa dovrà interagire.

AMBIENTE COMPETITIVO: Invece dipenderà dalla scelta delle porzioni di mercato a cui cedere beni e servizi prodotti.L’impresa definirà l’ambiente competitivo di riferimento. Opera in un micro-ambiente inserito nel macro-ambiente dovevi saranno più interlocutori (stakeholder) a cui dovrà rivolgersi per le risorse. Questi interlocutori si raggrupperannoformando dei mercati con il quale l’impresa dovrà attivare un sistema d’impresa.

Ogni impresa si collegherà dunque con:

Il mercato del lavoro: costituito dall’offerta del lavoro Il mercato della produzione: composto dai produttori di materie prime, semilavorati,

impianti macchinari ecc… Il mercato finanziario: composto dalle Borse Valori, dagli intermediari finanziari e da altri prestatori di capitale Il mercato di vendita: costituito dai potenziali acquirenti dei beni o servizi prodotti

2. L’AMBIENTE QUALE CONTESTO GENERALE DI RIFERIMENTO PER L’IMPRESA

L’ambiente può essere inteso come il contesto socio-economico all’interno del quale l’impresa è chiamata a svolgere lesue funzioni. Questo contesto è regolato da una serie di condizioni politiche,legislative, sociali, culturali ed economiche che

Page 3: riassunto "La gestione dell'impresa"

determinano il sistema di vincoli-opportunità entro cui dovrà trovare sviluppo l’attività aziendale. L’ambiente sul pianoteorico può essere scomposto in quattro sub-sistemi generali:

Il sistema o ambiente politico-istituzionale Il sistema culturale-tecnologico Il sistema demografico-sociale Il sistema economico

Il sistema o ambiente politico-istituzionale è rappresentato dalla forma di governo e dall’ordinamento legislativoprevalenti nel territorio considerato. Esercita delle influenze di primaria importanza sulla vita dell’impresa, il cui ruolo ele cui alternative di gestione possono essere più o meno vincolate dalle leggi, dagli interventi e dai controlli dei poteripubblici. Poi sussistono delle influenze indirette relative al rapporto tra sistema politico e sistema economico.

L’ambiente culturale-tecnologico può essere inteso, sotto il profilo culturale, come il contesto entro cui si affermanole manifestazioni tradizionali della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo. La cultura è definibile secondo unamolteplicità di aspetti,in quanto trova espressione nei vari modi di vivere e di pensare che caratterizzano una società. Sicompone di una serie di elementi ciascuno dei quali concorre ad influenzare il sistema di valori del singolo individuo edella società nel suo complesso. Influenza sia coloro che operano all’interno dell’impresa sia i gruppi esterni. Scienza etecnologia rappresentano un prodotto della cultura. La tecnologia influenza l’impiego delle risorse mentre la cultura siriflette anche sul loro consumo sotto forma di beni e servizi prodotti. La prima è considerata da molti un sottosistemadell’ambiente culturale.

L’ambiente demografico-sociale è definito dalla struttura della popolazione residente e dalle relazioni fra gli individuie i gruppi che la compongono. L’aspetto demografico è divenuto ancora più importante in un’epoca nella quale si vannoaffermando delle tendenze di profondo mutamento della struttura della popolazione. Sotto il profilo sociale ciascunindividuo, in funzione della professione svolta, delle capacità intellettive possedute, dei sentimenti,degli interessi, delleaspirazioni tende a collocarsi in una certa classe sociale e a muoversi all’interno di essa per raggiungere posizioni viavia superiori. L’ambiente sociale risente in misura determinante del modo in cui si presenta il contesto politico eculturale. La stratificazione sociale determina i modelli di riferimento per i singoli,sulle cui scelte incide non solol’aspetto psicologico ma anche quello sociologico. Il rapporto tra il singolo e il gruppo sociale finisce per esercitare unruolo determinante nelle scelte e può creare opportunità o minacce.

L’ambiente economico coinvolge la sfera di rapporti che vede l’impresa protagonista nei confronti dell’aggregatopolitico-sociale. Rappresenta il complesso delle macro-variabili che compongono l’ordinamento economico prevalente inun ambito territoriale. Si ha la distinzione fra economia di mercato, cioè un sistema a decisioni decentrate, regolatodalle leggi di mercato ,e economie di mercato, cioè un sistema in cui le decisioni sono prese solo al centro mediantel’elaborazione di piani governativi nazionali. Nell’economie di mercato prevale il principio della libera iniziativa e quellodella proprietà privata dei mezzi di produzione,quindi sono <economie liberiste> mentre nell’altro tipo di economietutto è regolato dal piano, anche l’uso dei mezzi di produzione, che sono di proprietà della collettività. Per questo motivosi adoperano economie di piano. Dunque l’impresa è un organo dello Stato, cioè una struttura con limitata autonomiadecisionale per quanto attiene alle strategie da perseguire. Oggi nel nostro Paese molti servizi pubblici sono statiprivatizzati e sono di fatto esercitati in regime di concorrenza mentre per altri si auspica da anni la privatizzazione.Questo perché si fa discendere tre benefici:il miglioramento dell’efficienza nella prestazione del servizio, l’accentuazionedella concorrenza, con conseguente riduzione delle tariffe, e l’ottenimento di risorse finanziarie per lo Stato e gli EntiLocali.

3. I RAPPORTI TRA IMPRESA,IL MICRO-AMBIENTE E IL MACRO-AMBIENTE.

Non è infrequente che l’impresa,con le sue scelte, possa influenzare il micro-ambiente e il macro-ambiente. Opera in uncontesto esterno che si specifica in funzione delle caratteristiche dei comportamenti di gestione adottati. L’impresa nonpuò scegliersi il macro-ambiente mentre può scegliersi l’ambiente transazionale e competitivo all’interno del qualeoperare. Per le aziende più grandi il macro-ambiente finisce per essere una variabile e non un vincolo da rispettare.L’ambiente determina il sistema dei vincoli-opportunità entro cui si dipana la gestione aziendale. I vincoli sono connessicon ciascun ambiente descritto prima. Non poche sono le influenze che le stesse imprese esercitano verso l’ambiente incui vivono. E’ intuibile che i maggiori centri di potere economico detengono un rilevante potere politico. Questo potereextramercato finisce per incidere su tutte le variabili ambientali secondo uno schema di interrelazioni. Tale schemaconsente di intravedere un nesso assai stretto fra evoluzione dell’ambiente e trasformazione dell’organizzazioneaziendale. Nell’interpretazione dei rapporti impresa-ambiente due sono i principali fili conduttori:il progressotecnologico e l’equilibrio politico internazionale. Il progresso tecnologico influenza in modo considerevole la struttura diun settore industriale e la posizione competitiva delle imprese. A mano a mano che si diffonde il progresso tecnologicosi modificano il tipo, il modo e l’organizzazione delle produzioni; mentre, a misura che procede lo sviluppo economico,migliora il livello di vita delle società, aumenta il reddito pro-capite, cresce in misura proporzionalmente più elevata laquota di reddito discrezionale a disposizione del consumatore e le scelte di quest’ultimo si rivolgono non tanto allaselezione di beni, quanto a quella di ampliamento dei bisogni. Il progresso tecnologico contribuisce anche ad aprire anuove classi di consumatori bisogni già avvertiti, mediante una sostanziale riduzione del prezzo del bene. I fenomenieconomici risultano influenzati in larga misura dalla stabilità politica e dalle condizioni di sicurezza dell’economiamondiale Questi fenomeni si propagano con immediatezza da un Paese all’altro, determinando situazioni di crisi, diprosperità, di incertezza nello svolgersi dei rapporti economici. Si può osservare che gli eventi di politica economicainternazionale che hanno contrassegnato l’ultimo ventennio, hanno modificato le caratteristiche dell’ambientesocioeconomico. Turbolenza, ostilità diversità, complessità e insicurezza sono i connotati ambientali che l’impresa deveimparare a fronteggiare.

4. GLI EFFETTI DELL’INTERNALIZZAZIONE E DELLA GLOBALIZZAZIONE

Page 4: riassunto "La gestione dell'impresa"

Le modifiche avvenute negli ultimi anni, avvenute a seguito della <<compressione>> del tempo e dello spazio, hannofatto si che si diffondessero mezzi di trasporto e comunicazione sempre più veloci ed efficienti, per eliminare il fatto<<distanza>>. Proprio questi mutamenti hanno fatto si che vi fosse bisogno di flessibilità ed efficienza nell’impresa. Lamaggiore complessità non è dovuta solo ai fenomeni di turbolenza, ma anche ai processi di internazionalizzazionedell’economia e di globalizzazione dei mercati. Ciò significa che anche le piccole e medie imprese hanno dovuto impararea proteggersi dalla concorrenza agguerrita delle imprese straniere, per poter concorrere su scala internazionaleall’acquisizione delle risorse e al collocamento delle produzioni realizzate, su scala internazionale. Il concetto di<<globalizzazione>> deve essere inteso come processo di convergenza, a livello mondiale, degli aspetti culturali, politicied economici e come il superamento del controllo sociale degli Stati nazionali sull’economia ( globalizzazione delcapitalismo: sottrazione della forza e delle logiche del capitale al controllo sociale degli Stati nazionali). L’oggetto dellaprotesta dei <<no global>> è quindi la possibilità di un distacco sempre più marcato tra paesi ricchi e paesi poveri. Nelcaso dell’economia di impresa il concetto deve essere approfondito sotto l’aspetto dell’interrelazione su scala mondiale dicerti mercati, che ampliano la concorrenza a livello internazionale, e sotto l’aspetto dell’omogeneità della domanda, cherende possibile la standardizzazione delle politiche aziendali nei vari Paesi serviti. In altre parole, la globalizzazione siriferisce ad un mercato senza confini geografici, piuttosto che ad un mercato mondiale omogeneo. Oggi si parla diindustria globale per intendere un settore produttivo all’interno del quale la posizione competitiva di un’impresa di uncerto Paese viene influenzata in modo rilevante dalla posizione che essa è in grado di conquistare e di mantenere in altriPaesi. Ciò rende più difficile la delimitazione dei settori industriali e impone all’impresa una maggiore mobilità.

Capitolo Secondo: L’IMPRESA COME SISTEMA

1. L’IMPRESA QUALE SISTEMA SOCIO-TECNICO

IMPRESA: organizzazione di persone e beni rivolta a uno scopo produttivo. Ogni impresa ha una struttura specifica, matutte hanno come fine quello di mettere approfitto risorse scarse creando ricchezza. Come ottiene ricchezza?

1- Bisogna soddisfare dei bisogni umani;2- Le risorse vengono trasformate;3- Con le risorse trasformate, si soddisfano i bisogni umani; 4- L’uomo paga per avere quella risorsa; 5- Attraverso lo scambio si genera un utile o reddito.

Quindi è lo SCAMBIO, il fulcro del concetto di impresa perché è per lo scambio che l’impresa prende le risorse e letrasforma. Per trasformarle l’impresa sostiene dei costi, che recupera attraverso il reddito, cioè il divario positivo tra ricavie costi. Per trasformare le risorse in modo da farle valere più del prezzo di acquisto (principio di marginalità), l’impresadeve essere organizzata in modo specifico e efficiente. Quindi l’impresa è un’ organizzazione economica che, usandodiverse risorse, svolge dei processi di acquisizione di beni e servizi per scambiarli con entità esterne per generare reddito.L’impresa può essere vista come un sistema che opera con altri sistemi in cui è inserita, l’ambiente e il mercato. Un

Page 5: riassunto "La gestione dell'impresa"

sistema è un complesso interrelato di parti, cioè le parti che lo compongono sono dipendenti tra loro. Per cui l ’impresa èun sistema ordinato, fatto da molte parti che sono interdipendenti tra loro rispetto a un obiettivo condiviso, è inserito inun macro-ambiente, dato da ambiente + mercato e per questo deve essere dinamico, cioè cambia dimensione e risorseper adattarsi all’ambiente. I sistemi possono essere più o meno complessi, Boulding ne individua nove tipi e secondo la sua classificazione si può direche l’ impresa è un sistema sociale di tipo aperto: un sistema perché è fatto da parti e ogni parte svolge una funzione matutte sono coordinate tra loro per raggiungere un unico obiettivo.Aperto perché per operare deve interagire con altri sistemi attraverso lo scambio, che può essere di input(approvvigiono), e di output (prodotti finiti). Per queste caratteristiche l’impresa è spesso avvicinata a un corpo vivente,ma questo parallelo non è corretto perché l’impresa prima di tutto, vuole perdurare nel tempo e quindi oltre la morte delfondatore, e poi l’impresa ha un fine e i suoi sforzi sono mirano a quello, mentre un corpo cresce anche senza volerlo.All’interno dell’impresa operano persone e mezzi tecnologici, ed entrambi vanno organizzati, per cui si può parlare disistema aperto di tipo socio-tecnico.

2. LA VISIONE SOCIALE DELL’IMPRESA

L’impresa non scambia solo beni e servizi, ma deve anche migliorare l’ambiente in cui opera (corporate socialresponsability) e quindi stringe con l’ambiente degli accordi su come deve o può funzionare. Dato che il continuo scambiodi risorse influenza la vita della collettività, l’impresa diventa protagonista e responsabile del contributo che produce.

3. LE MOLTEPLICI FUNZIONI DELL’IMPRESA

L’impresa rappresenta una realtà complessa intorno a cui si sviluppa una rete di rapporti di scambio, collaborazione,informazione e interessi. Essa infatti svolge diversi ruoli nei confronti di chi vi partecipa, del mercato e dell’ambientesocio-economico e costituisce, allo stesso tempo, una realtà sociale, giuridica, economica ed organizzativa.Le imprese vivono mediante i rapporti interpersonali tra le persone operanti nell’impresa. Il successo o la <<crisiaziendale>> trovano quasi sempre origine nella capacità o incapacità di creare i rapporti giusti tra i vari interlocutori o<<stakeholder<< e nel governare tali rapporti in modo favorevole allo sviluppo o producendo fenomeni involutividell’organizzazione.Ogni azienda può essere vista sotto tre diversi profili:

- Organizzazione economica: in quanto organizzazione economica il suo scopo è il soddisfacimento di bisogni umanimediante la messa a frutto di risorse trovabili in natura in misura limitata o non completamente idonee a soddisfare ibisogni umani. Mediante la funzione aziendale si genera maggiore utilità delle risorse per la collettività, che dovrebbeconcorrere al miglioramento delle condizioni dell’ambiente socio-economico, poiché l’impresa opera a beneficio dell’interasocietà;

- Sistema sociale: l’impresa, come centro di coagulazione degli sforzi di un insieme di gruppi sociali, va vista anchecome distributrice della ricchezza creata, rappresentando uno strumento per il soddisfacimento delle necessitàsoprattutto di coloro che operano al suo interno. La vita aziendale infatti si dirama intorno ad una serie di rapporti discambio. E’ evidente che la funzione primaria è quella di rappresentare una fonte di lavoro e di sostentamento per coloroche fanno parte della sua organizzazione;

- Struttura patrimoniale: l’impresa può essere vista come struttura patrimoniale, ossia il complesso di beni organizzatoe retto per lo svolgimento dei processi produttivi. Questo aspetto richiama due fattori importanti nella vita di qualsiasiorganismo aziendale: il capitale e la capacità imprenditoriale. Infatti la funzione principale dell’impresa e quella diinvestire il proprio capitale e le proprie capacità imprenditoriali, soggetti a certi coefficienti di rischio, per produrrereddito.

Ovviamente i tre profili devono coesistere, anche se a volte si tende a privilegiarne alcuni rispetto ad altri. Potrebbeesistere un ordine di importanza, ma spesso lo sviluppo aziendale sconvolge il suddetto ordine in base alle esigenzedell’impresa, poiché la funzione più importante è quella di produrre reddito.

4. L’IMPRESA QUALE SISTEMA COGNITIVO

Questa teoria si basa sul concetto che il vero patrimonio dell’impresa è dato dall’accumulo continuo delle sue conoscenze(sia quelle di chi vi lavora, sia quelle prodotte lavorando, know-how) e non da ciò che possiede a livello materiale. Leimmobilizzazioni immateriali,come i brevetti, sono qualcosa che si crea nel tempo attraverso procedure (le routine), stili dimanagement, ecc non attraverso produzioni. In questo senso l’impresa è un sistema di conoscenze che produce nuovaconoscenza.Quando l’impresa riesce ad apprendere lavorando (learning by doing), il sapere e i valori si accumulano, e questoprocesso è ancora più efficiente quando la gestione riesce a trasmettere e incorporare questi due elementi. Quindi anchese non si può dimenticare la materialità dell’impresa, si può comunque dire che è un sistema complesso in cui s’

Page 6: riassunto "La gestione dell'impresa"

intrecciano elementi tangibili e non tangibili ,immobilizzazioni materiali e non, tecnologia e intelligenza, risorse umane efinanziarie secondo un disegno che ha SEMPRE Come obiettivo la produzione di valore.

5. GLI ASPETTI TIPICI DELL’IMPRESA

I concetti fondamentali per chi deve gestire un’impresa sono:

a) L’impresa è un sistema aperto, perché vive in simbiosi con l’ambiente esterno;

b) L’impresa è allo stesso tempo un’organizzazione sia economica che sociale;

c) L’impresa deve svolgere una triplice funzione in rapporto al suo essere organizzazione economica, sistema sociale estruttura patrimoniale;

d) L’impresa, in quanto sistema cognitivo, deve produrre conoscenza per promuovere l’innovazione;

e) L’impresa, quale sistema cooperativo-conflittuale, dev’essere gestita migliorando i rapporti di collaborazione eriducendo le occasioni di conflitto con i suoi interlocutori.

Capitolo Terzo: I PROTAGONISTI DELLA VITA DELL’IMPRESA: LA TEORIA DEGLI <<STAKEHOLDER>>

Tra i soggetti che operano nell’impresa bisogna fare una distinzione tra quelli che si occupano della gestione, (organi digoverno) e quelli che sono in posizione subordinata rispetto a questi. Entrambi legati alla sopravvivenza aziendale.L’impresa non può più essere rivolta solo a finalità imprenditoriali di profitto, è diventata un sistema si economico, maanche sociale, perché coinvolge molti gruppi che ne influenzano la gestione e sono a loro volta influenzati da essa. La suaimportanza sociale è legata alle ricadute delle azioni che modificano l’ambiente in cui opera, mentre quella economica èdata dalla ricchezza che genera. Possiamo allora definire l’ impresa come un’istituzione sociale a finalità plurime, in cuiprincipi economici e sociali si mescolano fino a trovare un equilibrio che consenta all’impresa d sopravvivere nel lungotempo.

1. GLI ORGANI DI GOVERNO NELL’IMPRESA: IMPRENDITORIALITA’ E MANAGERIALITA’

Page 7: riassunto "La gestione dell'impresa"

La figura centrale nell’impresa resta l’imprenditore, perché è il soggetto economico che decide di rischiare i suoi capitali eusare le proprie capacità nell’impresa. La gestione può essere nelle mani dell’imprenditore proprietario, o in quelle delmanager. Si distinguono allora due funzioni di governo, quella imprenditoriale e quella manageriale. Schumpeter si basasulle innovazioni come focus dell’imprenditorialità, perché solo l’imprenditore può essere interessato a promuovere uncambiamento. Le caratteristiche (leadership, spirito d’iniziativa, capacità di previsione, intuito) dell’imprenditore fanno siche egli arrivi a valutare e decidere in modo diverso da chi opera con i suoi stessi obiettivi in situazioni simili, ancheperché ha acceso a informazioni particolari cui gli altri non possono accedere. Per cui imprenditorialità è l’attitudine aprendere decisioni anche rischiose per innovare i comportamenti dell’azienda, managerialità è sviluppare queste decisionie metterle in pratica razionalmente. Uno decide l’altro deve saper mettere in pratica in modo razionale. A questo sicollegano i concetti di efficienza e efficacia, che combinati fanno si che l’impresa abbia successo. L’ efficacia è tipica dell’imprenditore che deve prendere le decisioni migliori, mentre l’ efficienza è tipica del manager, che a fronte delle scelteprese, deve trovare il modo migliore per attuarle. Nell’impresa vi sono due tipi di organi, quelli che decidono e quelli che le eseguono. Facendo una classificazione degliorgani se ne individuano 3: deliberanti , esecutivi e di controllo. In realtà questi organi non sono sempre divisi in manieracosì netta nelle imprese, ma è utile fare questa distinzione a livello teorico, per capirne le diverse caratteristiche.

- Deliberanti: composti da coloro che prendono le decisioni, hanno più potere discrezionale nelprendere queste decisioni, per cui le scelte che fanno riguardano tutta l’azienda;

- Esecutivi: coloro che le eseguono hanno un margine di scelta ridotto, relativo solo alla loro area dilavoro;

- Controllo: coloro che controllano la coerenza tra esecuzione e decisione. Questi organi sonocostituiti dall’insieme di 3 organi : di proprietà (azionisti), amministrativi e di direzione, che anche secon competenze diverse, valutano insieme le decisioni da prendere. -

L’autorità da sola non è una condizione sufficiente per decidere, servono anche capacità di controllo delle operazioni,disponibilità di informazioni e abilità professionale: queste caratteristiche dovrebbero essere peculiari per una buonagovernance. Questi requisiti, al crescere della complessità ambientale e tecnologica, diventano sempre più importanti perprendere le decisioni migliori e quindi il potere non sarà più legato allo status dell’organizzazione, ma ai requisitisoggettivi necessari.

2. LA PLURALITA’ DEI SOGGETTI IN RELAZIONE CON L’IMPRESA: LA TEORIA DEGLI <<STAKEHOLDER>>

L’ impresa entra quindi in contatto con molti gruppi sociali, i quali influenzano le politiche di gestione aziendale e ne sonoa loro volta influenzati. Per questa reciproca influenza, questi gruppi diventano interlocutori dell’azienda e ognuno, nelloscambio, ha degli interessi da difendere, per cui è detto stakeholder, cioè portatore d’interesse. Prima gli stakeholdererano solo i gruppi che avevano un interesse diretto nell’azienda, per esempio i lavoratori, che firmano un contratto evogliono vederlo rispettato, ma proprio per l’ampliarsi dell’influenza aziendale sull’ambiente, oggi anche i gruppi coninteressi indiretti vengono considerati stakeholder; caso tipico è dato dai gruppi ambientalisti, i cui interessi vannoconsiderati dall’impresa al momento di decidere. Gli stakeholder possono essere divisi in primari e secondari: i primiincidono direttamente sulle scelte della gestione aziendale, i secondi incidono più sul clima sociale delle relazioniaziendali e quindi influenzano i comportamenti di lungo termine. Individuare vari tipi di stakeholder fa capire che aognuno bisogna dare una risposta specifica in base all’interesse che ha, e dato che talvolta questi gruppi hanno interessiconvergenti o contrapposti, chi decide deve tenere conto anche di questo. Dato che i diversi interessi influenzano lagestione dell’impresa, compito dell’imprenditore diventa allora gestire i rapporti con i vari stakeholder e questo significa:

1) INDIVIDUARLI;2) STABILIRE IL LORO PESO; 3) VALUTARE CHE INTERESSI HANNO; 4) ORIENTARE LA MISSIONE DELL’IMPRESA ANCHE IN BASE A LORO.

Tutto questo esalta ancora di più il ruolo dell’imprenditore, che deve farsi carico degli obiettivi da seguire e dellecondizioni di sviluppo. Secondo la teoria degli stakeholder l’ impresa si può definire come un’organizzazione economica,che, attraverso la combinazione delle risorse, produce e scambia beni e servizi con stakeholder interni e esterni. Talescambio è fatto per generare e distribuire valore tra i diversi processi di scambio.

Page 8: riassunto "La gestione dell'impresa"
Page 9: riassunto "La gestione dell'impresa"

3. L’IMPORTANZA, NEL GOVERNO DELL’IMPRESA, DELL’INDIVIDUAZIONE E CLASSIFICAZIONE DEGLI<<STAKEHOLDER>>

Capire il comportamento di chi ho di fronte aiuta a definire in che modo comportarsi, quindi gli stakeholder vengono divisiin 4 categorie a seconda del grado di collaborazione, contrasto o minaccia verso l’impresa.

Vi sono stakeholder:

-AMICHEVOLI (supportive): da cui vi è un sostegno

-AVVERSARI (non supportive): che generano difficoltà

-NON ORIENTATI (mixed blessing): a seconda delle volte possono essere d’aiuto o d’ostacolo

-MARGINALI: non hanno peso.

A seconda del tipo di stakeholder con cui ci si confronta si adotteranno:

-Strategie di collaborazione con i →supportive,-Ricerca di collaborazione con i → non orientati-Di difesa con i →non supportive,-Di monitoraggio con i →marginali

Gestire un’impresa considerando anche gli interessi degli stakeholder è più difficile che gestirla solo in funzione dellefinalità dell’imprenditore, ma è sicuramente più proficuo. Il ruolo centrale è sempre dell’imprenditore che oltre arapportarsi con gli stakeholder, deve mantenere un equilibrio generale che sia favorevole allo sviluppo aziendale. Laproprietà ha un ruolo problematico nella teoria degli stakeholder perché esiste una proprietà investitrice, l’imprenditore eil management. L’imprenditore cura il rapporto con gli stakeholder e quindi non è uno di loro. Ma nel caso in cui laproprietà è gestita da un manager, anche l’imprenditore diventa uno stakeholder. L’impresa deve remunerare i suoiinvestitori attraverso i dividendi. Questo comporta che esisteranno degli stakeholder con una retribuzione fissata dacontratto, e altri che riceveranno solo ciò che resta del profitto dopo che questo è stato distribuito tra gli altri (azionisti). Inrealtà sappiamo benissimo che questa parte non può essere residuale, perché ne andrebbe della quotazione dell’impresa.Si crea una sorta di accordo tacito per cui ciò che viene distribuito non può essere residuale, ma deve esseremassimizzato. Se ciò non accade l’impresa può decidere di licenziare il management o disinvestire. (teoria dell’agenzia)La relazione di agenzia è definita come "un contratto in base al quale una o più persone(principale) obbliga un'altrapersona (agente) a ricoprire per suo conto una data mansione,che implica una delega di potere all'agente". Il contratto diagenzia, però, presenta alcuni rischi, dovuti al comportamento opportunistico delle parti, che tendono a massimizzare lapropria utilità (tale comportamento opportunistico non è eliminabile, può essere tuttavia limitato).

In particolare vi possono essere due tipi di opportunismo:

-SELEZIONE AVVERSA (opportunismo ex ante): l'agente fornirà al principale informazioni erronee o incomplete sulleproprie capacità e competenze per farsi assumere.

- AZZARDO MORALE (opportunismo ex post): è costituito dal comportamento scorretto che l'agente mette in atto inpresenza di asimmetrie informative in quanto esso è sicuramente a conoscenza di un maggior numero di informazionirispetto al principale sul ruolo da svolgere, e può sfruttare queste asimmetrie informative tenendo comportamentiopportunistici.

La teoria dell'agenzia suppone che i comportamenti opportunistici dell'agente non siano eliminabili, e che è praticamenteimpossibile che esso operi nell'interesse del principale;questo genera dei costi detti "costi di agenzia":

• COSTI DI SORVEGLIANZA ED INCENTIVAZIONE: necessari per orientare il comportamento dell'agente;

• COSTI DI OBBLIGAZIONE: che l'agente deve sostenere per assicurare il principale che non adotterà comportamentiopportunistici che lo possano danneggiare, ed eventualmente indennizzarlo;

• PARTE RESIDUA: che è rappresentata dalla differenza tra l'utilità derivante dal comportamento effettivo dell'agente el'utilità derivante dal comportamento che avrebbe dovuto tenere l'agente.

La teoria dell'agenzia riguarda dunque in generale qualsiasi relazione principale-agente in cui vi sia una delega di poteredall'uno all'altro; ha avuto tuttavia molta influenza sullo sviluppo di sistemi retributivi di manager basati non su unaretribuzione fissa, ma su un tipo di retribuzione variabile in base ai risultati dell'impresa e su altri tipi di incentivi(partecipazione azionaria, stock option) volti a limitare i comportamenti opportunistici dei manager.

Page 10: riassunto "La gestione dell'impresa"

Capitolo Quarto: LE MOTIVAZIONI DEI PARTECIPANTI ALL’IMPRESA E LE TEORIE SULLE FINALITA’IMPRENDITORIALI

1. PREMESSA SULLE MOTIVAZIONI DEI PARTECIPANTI ALL’IMPRESA

Schematizzando, l’imprenditore punta all’ottenimento del profitto, i dirigenti e i lavoratori alla retribuzione e allaprogressione di carriera, i fornitori a trarre vantaggio dalle relazioni commerciali, i finanziatori ad intessere rapportid’affari; tutti gli elementi puntano ad un incremento del valore globale creato dalla gestione e gli elementi di contrastopossono nascere nella successiva distribuzione del valore stesso. Il governo aziendale deve essere dunque indirizzato avalorizzare gli elementi cooperativi e a contenere quelli conflittuali. Per far ciò deve saper promuovere un processo difusione tra obiettivi aziendali e individuali. Nel contesto, la figura centrale è quella dell’imprenditore, poiché le finalità dalui perseguite non possono essere condizionate da quelle di altri soggetti esterni e interni

2. LE FINALITA’ DEI COMPORTAMENTI IMPRENDITORIALI

L’azienda è l’espressione della volontà imprenditoriale. I fini non sono dettati dall’azienda, ma da coloro che la governanoe che cercano di raggiungere determinati scopi. Da un punto di vista oggettivo è un’insieme di risorse, da un punto divista soggettivo è uno strumento nelle mani dell’imprenditore. Le finalità in oggetto sono quelle del soggetto economico,cioè chi materialmente controlla l’azienda, ma questo soggetto può essere pubblico, privato, diretto o delegato, come nelcaso dei manager. A seconda del tipo di soggetto si osservano varie finalità.

3. UN BREVE RICHIAMO ALLE TEORIE CLASSICHE SULLE FINALITA’ IMPRENDITORIALI

3.1 LA TEORIA DELLA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO

Introduzione: teorie sul profitto.

1) Classica: vede il profitto come il compenso che spetta all’imprenditore per l’organizzazione dei fattori produttivi.2) Un’ altra afferma che il profitto è un premio sull’investimento che ripaga del rischio corso nell’investire. 3) Schumpeter vede il profitto come un premio che spetta a chi crea innovazione. 4) L’ ultima vede il profitto come il risultato per chi è riuscito a ottenere posizioni di monopolio rispetto ai concorrenti,quindi deriva da condizioni esterne.

Le 4 teorie in realtà possono essere considerate complementari, cioè è possibile vedere il profitto come un insiemecomposta da: compenso che spetta all’imprenditore, il premio a fronte del rischio che corre nell’investire, il premio perl’innovazione che riesce a creare e come reddito legato alla posizione di monopolio raggiunta. Il profitto come logica non può essere negato ed è indipendente dalla natura giuridica dell’azienda: essa può essere profit,no profit, privata, pubblica, ma opererà sempre per raggiungere un profitto, anche se nelle diverse soluzioni cambia il tipodi profitto che si cerca di ottenere. Chi investe lo fa per ottenere qualcosa. (il fine della redditività si collega a qualsiasiprocesso d’investimento).Massimizzazione: il gruppo imprenditoriale fa le sue scelte in modo da cercare di ottenere sempre il maggior divariopossibile tra costi e ricavi, per massimizzare il profitto. Dal lato pratico però questa teoria è debole perché non spiegarealmente cosa vuole ottenere l’imprenditore, per dare valore alla teoria bisogna aggiungere 2 variabili: tempo (timepreference) e rischio (uncertainty conditions).Che cosa massimizza davvero l’imprenditore?Massimizza il risultato della gestione nel lungo tempo, inteso come vita dell’azienda e non vita dell’imprenditore. Riguardoal rischio un’azione potrebbe essere intrapresa per ridurre il rischio di un’altra.Contrapposizioni: l’ incertezza fa si che non si raggiunga mai davvero il massimo profitto, inoltre la massimizzazionenon dà una risposta alle esigenze di tutti i soggetti con cui l’azienda ha dei rapporti.

3.2 LA TEORIA DELLO SVILUPPO E DELLA SOPRAVVIVENZA AZIENDALE

Gli economisti hanno criticato la massimizzazione per via dei cambiamenti nella proprietà e gestione dell’impresa. Per viadi questo cambiamento chi è proprietario è interessato principalmente al profitto, ma chi gestisce l’azienda è piùinteressato alla sua sopravvivenza. La teoria della sopravvivenza afferma che il fine del gruppo imprenditoriale è lasopravvivenza aziendale. Il profitto diventa così solo un mezzo per irrobustire la struttura e farla perdurare e si cerca discegliere le attività meno rischiose per non mettere in pericolo l’azienda. Per capire se le scelte non pregiudicano lacontinuazione dell’attività, Drucker individua 5 fattori e misura quanto sono stati raggiunti. I fattori sono: 1) POSIZIONE NEL MERCATO: rapporto forza-debolezza verso la concorrenza;2) INNOVAZIONE: capacità di adeguare le tecnologie e i prodotti; 3) RISORSE UMANE: professionalità del personale;

Page 11: riassunto "La gestione dell'impresa"

4) RISORSE FINANZIARIE: disponibilità dei mezzi da usare per finanziare l’investimento; 5) REDDITIVITA’: fonte per sviluppare l’attività. Lo scopo ultimo è non pregiudicare la continuazione dell’attività e produrre un reddito costante e stabile che permetta dievitare i rischi e autofinanziarsi. Se mi autofinanzio sono più indipendente dal capitale di terzi e quindi più autonomo.

3.3 LA TEORIA DELLA <<CREAZIONE>> E <<DIFFUSIONE>> DEL VALORE

Creare valore interessa tutti i partecipanti, non solo l’imprenditore e i manager. La gestione dovrebbe preoccuparsi solo difar crescere il valore economico dell’impresa. Questa visione è orientata al futuro perché non è importante produrreadesso profitti,ma porre le basi per ottenere risultati sempre migliori. La creazione del valore però non può restare isolata,perché questo valore deve essere trasferito sul mercato, cioè diffuso. Questa diffusione implica una trasformazione, percui il valore economico viene tradotto in valore di mercato, attraverso il quale gli azionisti lo percepiranno e deciderannose acquistarne o meno le azioni. A questa teoria si collega l’idea di qualità totale, per cui tutti i processi sonoaccuratamente controllati per ottenere un miglioramento crescente che trasmette una buona immagine aziendale. Lateoria della creazione e diffusione del valore è migliore di quella della massimizzazione perché, in primis, considera tutti ipartecipanti ed è più facilmente misurabile economicamente.

3.4 LA TEORIA MANAGERIALE DELLO SVILUPPO DIMENSIONALE

Secondo questa teoria i manager sono più interessati all’ espansione dell’impresa perché espandendosi si irrobustisce, equindi è più facile che sopravviva, diventa più forte rispetto alla concorrenza, garantendo una redditività continuaaumentando le retribuzioni della direzione. Piuttosto che far crescere il profitto si mira a far crescere il volume d’affari, equindi il fatturato. Il profitto serve solo a rinforzare lo sviluppo delle vendite nel lungo periodo. Importante è trovare lacombinazione tra prezzo e quantità che massimizzi il volume d’affari. L’investitore sarà più portato a investire quandoriuscirà a guadagnare abbastanza per autofinanziarsi. Quindi cresce il profitto, mi autofinanzio e posso fare piùinvestimenti: questa è detta crescita sostenibile.

4. UNA PRIMA REVISIONE DELLE TEORIE CLASSICHE: LA TEORIA COMPORTAMENTISTICA O DEI <<LIMITISOCIALI>> ALLA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO

Ogni azienda è cooperativa perché composta da più gruppi, ma la sua vita è contrassegnata anche dai conflitti che sicreano con i gruppi esterni (fornitori,concorrenza, clienti, ecc) e i gruppi interni (dirigenti, lavoratori, sindacati,ecc). Ognigruppo è portatore di interessi specifici. Nei conflitti esterni è più facile che l’impresa sfrutti la sua forza per imporre leproprie condizioni, perché ci sono meno vincoli, mentre nei conflitti interni, in teoria l’imprenditore può licenziare la causadel problema ma in realtà la tutela sindacale limita la forza dell’imprenditore. La contrapposizione d’interessi, e i relativivincoli sociali, incide in termini di costi e ricavi sulla creazione di profitto. I gruppi sociali con cui l’impresa ha dei rapportisono:

CONSUMATORI CONCORRENTI LAVORATORI FORNITORI DISTRIBUTORI STATOSOCI

RICAVI COSTIPROFITTI

Partiamo dal presupposto che l’imprenditore vuole massimizzare il profitto e per farlo può o aumentare i ricavi o ridurre icosti. Per fare l’analisi si parte da questi punti: 1) il profitto non genera dividendi che vanno divisi,2) l’imprenditore non promuove innovazioni sui prodotti, quindi il rapporto prodotto/mercato resta stabile, 3) l’impresa tratta un solo prodotto.

Poste queste basi se l’imprenditore vuole aumentare i ricavi può cercare di influire su 2 variabili: prezzo e quantità dibeni. Se aumenta il prezzo si scontra con i consumatori che quindi potrebbero rivolgersi a un concorrente osemplicemente non acquistare e in questo modo si ottiene una riduzione dei volumi di vendita. Quindi far leva sul prezzoè limitato dall’elasticità della domanda. Se aumenta la quantità, e la domanda è sempre la stessa, vuol dire che andiamoa cercare di sottrarre quote alla concorrenza. Agire sui costi comporta dei problemi: le variabili su cui posso agire sono riduzione del costo unitario o uso menorisorse. Se si abbassa il costo unitario si dovranno ridurre gli stipendi, i prezzi pagati ai fornitori, i margini ai distributori,

Page 12: riassunto "La gestione dell'impresa"

gli interessi ai finanziatori. Non si possono cambiare le aliquote perché sono statali e su di esse non vi è potere di scelta.Se si usano meno risorse vuol dire che si dovrà licenziare, acquistare meno risorse, fare meno finanziamenti. I vari gruppi sono in opposizione all’abbassamento del costo unitario e questo sembra non permettere all’imprenditore diottenere vantaggi economici durevoli e consistenti. Si può uscire dal circolo vizioso facendo innovazione. Se si sostengono costi di ricerca e sviluppo e costi organizzativi sipotranno trovare nuove applicazioni delle tecnologie e nuovi modi per gestire l’azienda. A questi costi non corrispondenessun gruppo sociale specifico, a meno che si considerino i dipendenti che svolgeranno queste ricerche, che si ha lapossibilità di ridurre senza difficoltà, ma riducendoli significherebbe avere una redditività e produttività minore. Questicosti sono quelli che vengono tagliati più spesso, proprio perché tagliarli non comporta alcun conflitto.Davanti a costi più alti per le voci di spesa, l’unica via percorribile sembra quella di aumentare il volume di attività e perfarlo l’impresa deve trovare delle occasioni per espandersi nel suo mercato o in altri e quindi deve innovare .

Quanto detto porta a 3 conclusioni:

1) Se non si fa innovazione difficilmente si cambierà l’equilibrio costi-ricavi;2) Per innovare si sosterranno dei costi di ricerca e sviluppo, che invece normalmente sono i primi a essere tagliati;3) Il profitto è una quantità minima che risente delle crisi perché le altre grandezze economiche sono rigide e mancano iprocessi d’innovazione. Si può concludere che il reddito è il risultato degli accordi di cooperazione e dei conflitti che si generano tra impresa egruppi sociali e quindi non è determinabile unicamente dall’imprenditore.

5. LA TEORIA DEL <<SUCCESSO SOCIALE>> ED I RAPPORTI CON L’ETICA D’IMPRESA

Per analizzare questa teoria bisogna definire meglio il concetto di valore economico. Per capire cosa significa creare valoreper un imprenditore bisognerà capire le motivazioni di fondo che lo spingono a investire e a fare impresa. Secondo lapiramide dei bisogni di Maslow si soddisfano in ordine bisogni di sopravvivenza, sicurezza, socialità, affermazione eautorealizzazione. Applicando la piramide all’imprenditore si vede che questi cerca il successo e questo gli deriva dallasopravvivenza all’impresa, trovando un equilibrio tra costi e ricavi,con la quale si afferma nella classe sociale e neiconfronti dei concorrenti. La novità è la natura delle motivazioni imprenditoriali, per cui l’aspetto economico diventa soloun mezzo per raggiungere obiettivi sociali e morali proprio. Le finalità imprenditoriali sarebbero di raggiungere il mixpotere, prestigio e profitto (3P) e così attraverso il successo della sua azienda, anche l’imprenditore otterrebbe unsuccesso sociale. In quest’ottica, potere di mercato e profitto sono dei mezzi per superare la concorrenza e raggiungere ilprestigio, fine ultimo dell’imprenditore. La scalata sociale dell’imprenditore si baserebbe dunque sulla combinazione divalori etici ed. Per il manager raggiungere le 3P potrebbe essere solo un modo per spostarsi in imprese più grandi emigliori. Migliorare l’azienda non deriva da un rapporto stretto connessa, ma dall’interesse personale alla mobilità delmanager, a cui l’impresa serve come strumento per dimostrare capacità. In generale si possono distinguere 3 situazioni tipo nella moderna teoria delle finalità, a cui corrispondo diverse teorie:

1. Imprenditore “visibile” e molto integrato nell’impresa: “teoria del successo sociale”;2. Imprenditore meno visibile e integrato perché l’impresa non è il centro della sua attività: “teoria dellamassimizzazione del valore economico dell’impresa nel lungo periodo”3. Manager delegato: “teoria della mobilità”, l’impresa ha successo grazie a lui,quindi può muoversi in altre aziende equesto gli consente di affermarsi socialmente.

Page 13: riassunto "La gestione dell'impresa"

PARTE SECONDAI COMPORTAMENTI IMPRENDITORIALI E LA GESTIONE STRATEGICA

Capitolo Quinto: LA GESTIONE STRATEGICA

1. PREMESSA

La vita dell’impresa si sviluppa seguendo un complesso di decisioni. Anche il processo decisorio ha carattere sistematico perché le varie scelte si legano ad un sistema che deve rispondere alle finalità da raggiungere e che deve tenere presenti le interrelazioni tra i vari atti decisionali. E’ chiaro che all’interno del sistema sussiste un ordine gerarchico che vede le scelte di lungo tempo guidare quelle di breve tempo e inoltre le scelte di organizzazione disciplinare quelle relative a partispecifiche e sempre più limitate di essa.

2. I PROFILI DELLA GESTIONE AZIENDALE

Gestire un’impresa significa governarla, cioè fare in modo che tutte le parti che servono a farla funzionare interagiscanocome devono. Gestire significa quindi prendere delle decisioni. La gestione è pertanto l’insieme delle decisioni chepermettono all’azienda di funzionare e di raggiungere gli obiettivi dell’imprenditore, le decisioni da prendere sono diverse.All’inizio si devono prendere quelle relative a un periodo di tempo lungo, per cui devo muovere molte risorse:STRATEGICHE. Poi scelte le risorse, bisogna decidere come usarle: TATTICHE. Infine, fine fare le scelte che mipermettano di mettere in pratica le altre due: OPERATIVE.

3. LA GESTIONE STRATEGICA E OPERATIVA

Con la strategia si definisce il contesto nel quale opera l’azienda, dato dal sistema politico-istituzionale, economico,culturale e socio-demografico, ma strategia significa soprattutto scegliere in quale ambiente entrare, per capire dovecollocare il prodotto, dove approvvigionarmi ecc. Il termine strategia si applica sia all’atteggiamento dell’imprenditore chesegue una via già applicata, sia a quello dell’imprenditore che sceglie di innovare. Resta sempre vero che la gestionestrategica si occupa di fare scelte sugli obiettivi da seguire e l’impiego delle risorse.

4. LA STRATEGIA E LE POLITICHE DI GESTIONE

Anche se la gestione ottimale dovrebbe essere fatta pensando al lungo periodo, spesso in azienda si guarda al breveperiodo e si ripetono gli stessi comportamenti piuttosto che innovare. In questo modo non si guarda più all’ambiente, conla conseguenza che si rischia di rimanere sempre più tagliati fuori.

Di fronte ai cambiamenti si possono osservare 3 atteggiamenti o orientamenti strategici:

-ATTESA: ai aspetta che il mondo cambi e poi si adegua la gestione di conseguenza;-ANTICIPATORIO: si cambia, sforzandosi di prevedere i cambiamenti;-ATTIVO: ci si innova, cercando di influenzare l’ambiente con la propria gestione.

A questi 3 atteggiamenti corrispondono 3 modelli gestionali, cioè schemi di comportamento:

- ATTESA = RIPETITIVO, passivo, l’adattamento è in funzione di una variazione;-ANTICIPATORIO = DIFENSIVO, risposta anticipata ai cambiamenti;-ATTIVO = non si è vittima dell’ambiente, ma si ha una posizione di leadership nei suoi confronti.

L’atteggiamento attivo dipende dalla qualità di chi dirige, dalla posizione dell’azienda nell’ambiente e dalle suedimensioni. A livello strategico, il modello attesa probabilmente non ha una strategia di sviluppo e non innova nelle

Page 14: riassunto "La gestione dell'impresa"

politiche di gestione, mentre gli altri due hanno obiettivi di lunga durata e piani ben definiti. Strategia è quindi uncomportamento dell’imprenditore di tempo lungo per raggiungere gli obiettivi primari della gestione, considerando comesi evolve il rapporto tra impresa e ambiente. In genere comunque la strategia è volta a migliorare sempre di più l’azienda.

Si riconoscono 3 strategie:

1. Complessive, o d’impresa. Gli organi di governo scelgono i campi in cui operare seguendo una certa strategiad’impresa. (di sviluppo o mantenimento di posizioni già acquisite. Valutare come confrontarsi con la concorrenza che sipuò trovare nelle aree d’affari scelte;2. Competitive, o d’area d’affari: obiettivi e politiche da adottare in base alla concorrenza;3.Funzionali: sono fatte in base alle strategie competitive che si vuole attuare.

Capitolo Sesto: LE STRATEGIE COMPETITIVE

1. IL RAPPORTO TRA STRATEGIA COMPLESSIVA E STRATEGIA COMPETITIVA

Le scelte strategiche aziendali sono sempre guidate dalla preventiva valutazione delle possibilità di successo sul mercato. Nonostante ci sia una certa gerarchia tra strategie complessive (corporate) e competitive saranno sempre le ultime a influenzare le prime. Anche se l’imprenditore può avere preferenze di ordine differenti, la scelta ultima sarà in ogni caso legata allo studio delle aree in cui competere e alla valutazione delle risorse possedute o acquisibili per potere concorrere con successo.

2. I PARADIGMI TEORICI PER LA DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA COMPETITIVA

La produzione delle innovazioni non è il risultato delle trasformazioni aziendali, ma è soprattutto l’effetto di ricerca esfruttamento di nuove innovazioni da parte delle imprese. Va però detto che l’impresa transazionale (cioè che opera alivello mondiale) ha perso parte del suo potere sui mercati in cui opera, per effetto dell’allargamento delle aree di mercatoe del ruolo degli organismi sovranazionali nella determinazione delle regole competitive. Il rapporto di interdipendenza èsempre vivo, poiché è raro che un’impresa sia del tutto libera da condizionamenti esterni nella formulazione dei suoicomportamenti di mercato. A questo proposito vi sono dei paradigmi affermatisi in dottrina sui quali si può sostenere chesulle scelte dell’impresa pesano sia fattori esogeni che endogeni e che il rapporto sia in ogni caso di interdipendenza.L’analisi della struttura di mercato deve essere completa della conoscenza dei comportamenti della concorrenza e degliacquirenti. Quest’ultima deve aiutare la formulazione delle politiche da porre alla base della strategia competitiva. Iparadigmi sono:

1) S – C – P : PARADIGMA STRUTTURALISTA (Struttura – Condotta – Performance): la struttura del mercato incidesul comportamento delle imprese e questo, a volte, influenza il risultato (performance) della gestione aziendale;

2) C – S – P : PARADIGMA COMPORTAMENTISTA (Condotta – Struttura – Performance): è il comportamentodell’impresa che influenza la struttura del settore. Le trasformazioni ambientali si determinano (anche) per effetto deicomportamenti innovativi promossi dalle imprese;

3) R– C – P : PARADIGMA FONDATO SULLE RISORSE (Risorse – Condotta – Performance): sono le risorsespecifiche possedute dalle imprese che sostengono le condotte suscettibili di generare cambiamenti settoriali che,modificando le regole del gioco, migliorano le probabilità di successo competitivo;

4) K – C – P : PARADIGMA FONDATO SULLA CONOSCENZA (Conoscenza – Capacità – Performance): sono leconoscenze (prodotte dall’interazione sociale) che si accumulano nell’impresa a produrre capacità in grado di ispirarecondotte suscettibili di generare successo competitivo.

La conoscenza nell’impresa è quindi il prodotto dell’interazione sociale tra individui e tra gli individui e i loro contesti;l’impresa si può quindi definire sistema dinamico di risorse e capacità posto in essere per la creazione di conoscenza.

3. L’ANALISI DI SETTORE SECONDO LO SCHEMA DELLA <<CONCORENZA ALLARGATA>>

La strategia deve essere fatta per ogni area strategica d’affari (ASA) in cui si è deciso di operare e l’obiettivo è semprequello di ottenere un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti della stessa area. Un’ASA viene scelta quando dà lapossibilità di attuare una strategia vincente. Il modello della concorrenza allargata di Porter dice che un mercato vienescelto sia per il profitto che si pensa di trarne, sia per la posizione competitiva che l’azienda potrà assumere. SecondoPorter nella valutazione dell’attrattività di un’area d’affari vanno considerati 5 forze che interagiscono e determinano omeno l’attrattività.

Page 15: riassunto "La gestione dell'impresa"

Altra teoria per definire l’area strategica d’affari è definire il business, cioè la porzione di mercato in cui l’impresa vuoleoperare. Per valutare dove inserirsi, Abell suggerisce di considerare 3 varianti: le funzioni d’uso del prodotto, il gruppo diclienti a cui ci si rivolgerà e le tecnologie usate per produrre. Decidendo la funzione del prodotto, si potrà identificare untarget interessato al mio prodotto e individuare una quota di mercato.

4. LE BARRIERE ALLA CONCORRENZA

Le barriere alla concorrenza possono essere: all’entrata, all’uscita e interne. Le barriere esterne sono quelle cheimpediscono ai concorrenti di entrare in un mercato, quelle interne invece tutelano i produttori dalle azioniespansionistiche degli altri produttori nello stesso mercato. Le barriere all’entratasono legate a:

- Gestione: economie di scala, di apprendimento (accumulo esperienza, inflazione,costo storico), di scopo (sinergie) e direlazioni (reti con altre imprese);

- Possesso di brevetti o know-how;

Page 16: riassunto "La gestione dell'impresa"

- Fattori produttivi;

- Differenziazione dei prodotti.

GESTIONE Economie di scala: i costi diminuiscono al crescere dei volumi prodotti, sia fase tecnica, sia nell’ approvvigionamento.Alcuni mercati hanno volumi molto alti di produzione, perché solo con questi riescono ad abbassare i costi, e quindi perentravi (barriera all’ingresso) è necessario raggiungere almeno lo stesso volume. Le imprese riescono a fare economie discala facendo grandi volumi di acquisti (più compro più posso contrattare prezzi migliori). Solo le imprese più grandi eforti riescono a fare grandi volumi di acquisto e quindi ad abbassare i prezzi, e questo diventa una barriera all’ingresso pergli altri più piccoli. La grande impresa fa economie di scala perché ha impianti di grandi dimensioni (d’impianto), maavendo anche un’organizzazione più estesa, fa economie anche sulla commercializzazione e sull’amministrazione(d’impresa). Mano a mano che un’impresa si trova in un mercato, impara a razionalizzare i suoi comportamenti, questaesperienza, acquisita con il processo di apprendimento, è un altro ostacolo all’ingresso, perché i nuovi concorrenti nonhanno maturato la stessa esperienza. C’è poi il discorso dell’ inflazione, per cui chi ha comprato i macchinari prima, li hapagati meno rispetto ai nuovi concorrenti; questo vantaggio è detto del costo storico e con questo il produttore più“vecchio” si ritroverà sempre in vantaggio rispetto al più recente. Il vantaggio del costo storico ha senso solo quando letecnologie di produzione sono poco dinamiche.Alle imprese è richiesta sempre più flessibilità, e ciò significa avere una gamma di prodotti sempre più ampia, produrre dipiù ma con meno operazioni e quindi fare economie di scopo: risparmio attraverso lo svolgimento in comune di piùattività (sinergie). Queste sinergie avvengono sia all’interno dell’impresa, sia al’esterno, cioè creando delle reti di relazionicon altri produttori, e per questo le economie si definiscono di relazioni. Queste relazioni di fiducia s’instaurano sia confornitori sia con i clienti e questo migliora la posizione dell’impresa sia nell’ambiente transazionale, sia in quellocompetitivo.

KNOW-HOW – BREVETTI E FATTORI PRODUTTIVIFinché i brevetti e il know-how sono di proprietà di pochi produttori, i nuovi, che non li possiedono, trovano molte difficoltàa entrare in quel mercato. Lo steso avviene per i fattori produttivi.

DIFFERENZIAZIONEAltra barriera è data dal fatto che più i produttori differenziano i loro prodotti, più si creano una nicchia nella quale èdifficile entrare. Questo significa che per sottrarre quote alla concorrenza si deve far percepire al consumatore ladifferenza rispetto agli altri, pubblicizzando il prodotto e rendendolo innovativo.

BARRIERE ALL’USCITAOltre che in entrata è possibile trovare barriere all’uscita, cioè vincoli o regolamenti che rendono difficile uscire da unmercato, sia da un punto di vista sociale, per cui le imprese non possono chiudere perché dovrebbero licenziarepersonale, sia dal pdv economico, perché magari è difficile disinvestire. Questo a sua volta può diventare una barrieraall’entrata, perché i nuovi potrebbero essere fermati dal fatto che poi è difficile uscirne. Le barriere smettono di averesenso quando i produttori di altri mercati entrano in un mercato diverso dal loro sostituendo i prodotti di questo mercatocon dei prodotti tipici del loro mercato di partenza. Bisogna aggiungere che le barriere all’entrata variano in base allerisorse dell’impresa, per cui alcune barriere sembrano più alte per quell’impresa che ha meno risorse per poterlesuperare. Questa teoria è detta resource based theory per cui l’analisi competitiva va fatta partendo da ciò chel’impresa possiede: risorse, competenze e capacità, e non dalla concorrenza. Quindi più le risorse di un’impresa sonouniche e inimitabili, più quell’impresa può creare delle barriere all’entrata, sottraendosi alla concorrenza reale (cioè chi ègià presente nel mercato) e potenziale (chi potrebbe entrarci). La concorrenza risente anche delle barriere interne o dimobilità, cioè la possibilità per le imprese di spostarsi all’interno dello stesso mercato o settore, perché a seconda diquanto le imprese si muovono, sarà possibile per la concorrenza posizionarsi in una nicchia o meno.

5. IL SUPERAMENTO DELLE BARRIERE: LA CATENA DEL VALORE

Secondo Porter ciò che viene prodotto dall’impresa crea un valore per il cliente, valore cui corrisponde un prezzo ch’eglipaga o è disposto a pagare. Questo valore è dato dai costi sostenuti dall’impresa per realizzare il prodotto, progettarlo,distribuirlo e assistere la clientela, e dal margine di profitto che vuole ottenere. Un più alto valore corrisponde a unamaggiore efficienza nelle attività ed è basandosi su questo punto che è possibile capire quali sono le attività cheinfluiscono maggiormente sul vantaggio competitivo.

Page 17: riassunto "La gestione dell'impresa"

Ci sono attività primarie , come la logistica interna e esterna, il marketing, i servizi al cliente, e attività di supporto,che sono date dalla gestione delle risorse umane, lo sviluppo della tecnologia e le attività infrastrutturali, tipo lacontabilità, che servono comunque a realizzare quelle primarie.

Page 18: riassunto "La gestione dell'impresa"

6. LA FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA COMPETITIVA

Il vantaggio competitivo può essere raggiunto o perché si abbattono i costi delle attività della catena del valore o perchéci si isola dalla concorrenza differenziandosi. Nel caso in cui si abbattono i costi, questo diventa un fattore del vantaggio esi punta alla leadership di costo. Il vantaggio può anche derivare dalla differenziazione del prodotto, per cui il proprioprodotto risulta rispetto ai concorrenti, o è totalmente diverso da ciò che c’è sul mercato e allora si sta usando unafocalizzazione o specializzazione di mercato. Ogni voce ha però le sue caratteristiche, per se l’impresa è leader di costo inun mercato,significa che non vi sono altri leader di costo, ma resta il fatto che deve essere percepita come pari alle altre(concetto di parità), altrimenti il fatto di spendere meno non verrà apprezzato dagli acquirenti. Altro punto importante èche in base alle diverse strategie è che si creeranno dei sottogruppi di concorrenti all’interno della stessa quota dimercato. La resourse based theory indicava l’importanza fondamentale delle risorse per la vita dell’impresa, risorsedate dall’insieme di conoscenze, routine, esperienze, persone, processi e via dicendo che sono a disposizionedell’impresa. Un vantaggio competitivo durevole dipende anche, in larga parte, dalle risorse possedute dall’impresa, cioèquelle competenze distintive, esclusive, non possedute dai concorrenti. Per valutare l’impatto delle risorse sul valorefinale di un prodotto o servizio, è possibile applicare lo schema di Barney, la VRIO analysis, cioè l’analisi di Valore, Rarità,Inimitabilità(delle risorse) e Organizzazione, cioè come vengono sfruttate le risorse dall’azienda. A seconda di come sicombinano le risorse si può ottenere un vantaggio temporaneo, durevole, una parità o una situazione di svantaggio.Quelle che si nota è che più le risorse sono di valore, rare, inimitabili, e sfruttate dall’impresa, più l’impresa consegue unvantaggio durevole, al contrario quando le risorse non sono di valore e di conseguenza non sono sfruttate dall’impresa, siha una situazione di svantaggio. L’analisi considera i rapporti tra impresa, clientela e concorrenza, chiarendo il ruolodell’impresa nei confronti del mercato, composto da clienti e fornitori. Altro fattore importante nella strategia competitivaè dato dalle scelte di marketing sui tipi di prodotto da vendere, il loro prezzo, le campagne promozionali da attivare e icanali distributivi di cui servirsi.

Page 19: riassunto "La gestione dell'impresa"

7. LE STRATEGIE COMPETITIVE E L’EQUILIBRIO FRA LA DOMANDA E L’OFFERTA: IL <<MERCATO DELVENDITORE>> E IL <<MERCATO DEL COMPRATORE>>

Per capire come funziona un mercato e come si comportano le imprese, bisogna analizzare la domanda e l’offerta, sia inmodo separato, sia in modo congiunto, per capire chi dei due ha più forza. Ha più forza chi controlla quote importantidella domanda o dell’offerta, infatti un grande produttore o un grande acquirente possono dettare certe condizioni dimercato. Ciò che conta non è l’equilibrio tra i risultati della produzione, ma la potenzialità di produzione e la capacitàdi assorbimento. Nel caso del mercato del venditore, la domanda supera la capacità di produzione, cioè ci sono piùrichieste di prodotti di quanti sia possibile produrne. In questo caso il produttore non corre il rischio che i prodotti avanzinoe in più gode della concorrenza,perché da solo non riesce a rispondere alla domanda. Questa situazione è però rara.Quando invece si produce più di quello che viene richiesto, il mercato è detto del compratore , perché le aziendedevono contenderselo. Questa situazione dovrebbe essere diffusa, perché il progresso porta a produrre più di quantorealmente possa essere assorbito. È ovvio che a un diverso mercato corrisponde una diversa impresa, quando si ha tantadomanda, non ci si preoccupa della vendibilità dei prodotti, ma se se ne ha poca, quella è la preoccupazione principale.Oltre a capire la struttura del mercato, per avere un quadro generale bisogna analizzare anche come e quanto sisviluppano domanda e offerta perché gli imprenditori, a seconda del tipo di domanda che dovranno fronteggiare(dinamica, stazionaria o in declino) adotteranno comportamenti diversi.

Page 20: riassunto "La gestione dell'impresa"

Capitolo Settimo: LA STRATEGIA COMPLESSIVA (CORPORATE) E I PERCORSI DI SVILUPPO AZIENDALE

1. LE OPZIONI STRATEGICHE

La gestione è data da un continuo sistema di arbitraggi e opzioni. L’ arbitraggio è necessario a causa sia dell’ammontare di risorse disponibili (che, se investite in un progetto, non neconsentono la realizzazione di altri) sia dell’incompatibilità tra progetti (l’arbitraggio, in questo caso, riguarda non solo laconvenienza ad attuare il progetto in corso di valutazione, ma anche il costo della rinuncia al progetto incompatibile conquello all’esame).Le opzioni riguardano l’uso delle risorse a disposizione, per cui si deve determinare quante usarne e per quanto tempoper un certo progetto, cercando di capire i vantaggi e gli svantaggi di ognuna.L’arbitraggio di fondo dipende dall’orizzonte temporale scelto, cioè se si preferisce fare investimenti, e quindi periodilunghi di recupero, o liquidità, e quindi periodi brevi di recupero. La strategia è strettamente legata alle risorse ecompetenze specifiche dell’azienda. Le risorse più importanti per l’azienda sono, sempre più spesso, quelle immaterialiintangibili , come la fiducia, cioè l’immagine positiva che l’azienda si è creata nella comunità, o le competenze, cioè leconoscenze che ha accumulato nel corso della sua esistenza. Se l’ impresa può essere vista come un insieme di risorsemateriali e immateriali, essa deve essere valutata anche come un insieme di competenze che svolgono determinatefunzioni. La competenza è di una persona, ma passa all’azienda quando si trasforma in una routine. In questo passaggiola competenza (la conoscenza, cioè un concetto statico) viene applicata a un uso, e diventa una capacità, (qualcosa cheuso, concetto dinamico →dynamic capabilities), cioè l’abilità di combinare dei fattori in modo innovativo.

2. UNA TIPOLOGIA SEMPLIFICATA DELLE STRATEGIE COMPLESSIVE

La strategia complessiva dipende dagli obiettivi che l’impresa ha deciso di raggiungere considerando l’ambiente, e leopzioni strategiche a disposizione (risorse). É ovvio, allora,che la scelta della strategia non dipende dal mercatoesterno, ma dalle risorse interne.È possibile prevedere delle strategie in base al rapporto tra l’andamento del mercato e le condizioni dell’azienda.Un’azienda sana può permettersi di crescere anche se il mercato è in crisi, perché sfrutta le opportunità ancora rimaste ecerca nuovi campi d’affari. Un’azienda che invece va male dovrà pensare solo a restare in vita. Ci sono quindi 3 possibili percorsi:-PERCORSO DI SVILUPPO DIMENSIONALE, dovrebbe essere attuato da tutte le imprese, ma solo le sane ci riesconodavvero;-PERCORSO DEL RISANAMENTO: impresa con squilibri;-PERCORSO DEL RAFFORZAMENTO O ASSESTAMENTO: difesa delle posizioni occupate. Prudenza nel gestire le risorse.Questo percorso può essere inserito negli altri due.

3. IL PROCESSO DI SVILUPPO DIMENSIONALE

Il concetto di sviluppo (qualità) è diverso da quello di crescita (quantità), infatti lo sviluppo consiste in un “tendere verso ilmeglio”, è cioè un processo di evoluzione nel rapporto impresa-ambiente, a cui spesso segue una crescita dimensionale.Ecco perché l’impresa tende allo sviluppo, ma non è detto che tenda anche alla crescita, che spesso porta l’azienda adover modificare organizzazione e gestione. Le economie di scala riducono il rapporto costi-ricavi spalmando su piùprodotti i costi. Si possono raggiungere mercati più lontani, quindi più clienti e fare economie di scala anche sulle venditee le operazioni distributive. Altro vantaggio è la cosiddetta curva di apprendimento: più si aumentano le vendite, più sidiventa esperto nel farlo; questa esperienza fasi che la produzione sia sempre più efficiente e porta a ridurre i costi unitaridel prodotto. Gli obiettivi dello sviluppo sono: miglior uso delle risorse e acquisizione di forza nei confronti di concorrenti,consumatori, distributori, fornitori e tutti quelli che potrebbero portare vantaggio. Il processo di espansione è graduale,perché ci sono dei limiti che si superano solo con il tempo. I limiti sono più che altro fisici, cioè legati all’impianto, mentrel’impresa è generalmente più elastica (va male in un posto, ci si sposta in un altro). Un impianto deve sottostare a limitiorganizzativi, perché non è ancora possibile entrare in possesso di tutte le risorse utili, a limiti urbanistici, nei confronti delterritorio, a limiti tecnici, perché i cicli di lavorazione sono solo nella fase iniziale.Quando ci si sviluppa ci sono sia dei vantaggi sia degli svantaggi, che vanno considerati in fase di scelte strategiche.La spinta all’espansione deriva dalla necessità di usare meglio l’insieme di risorse a disposizione.

VANTAGGI EFFETTI SVANTAGGIAumento dei ricavi:- Maggiori volumi- Prezzi più elevatiRiduzione dei costi:- Economie di scala- Economie di apprendimento

Diseconomia di scalaRigidità organizzativaPerdita di controlloVisibilità di mercato ( per cui le azioni dell’azienda sono più incisive e possonogenerare controreazioni forti da partedei concorrenti

INTERNI LIMITI ESTERNI

Page 21: riassunto "La gestione dell'impresa"

Risorse managerialiPotenzialità organizzativaCapacità finanziarie

Sviluppo della domandaPressione della concorrenza

INTERNE CAUSE ESTERNERisorse aziendali sfruttate solo in modoparzieale

Occasioni favorevoli di business

4. I PERCORSI DI SVILUPPO: LA FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA COMPLESSIVA

Per analizzare le diverse strategie di espansione si analizza il rapporto prodotto/mercato. La direzione dello sviluppodipende da cosa vuole raggiungere l’azienda. In generale la scelta fondamentale è tra uno sviluppo di: 1) Business che esiste già (CONCENTRAZIONE) 2) Diversificazione verso nuovi business (DIVERSIFICAZIONE).Nel primo caso (CONCENTRAZIONE) si aumenta il peso dell’attività già esercitata e si sfrutta la propria esperienza ecapacità. (strategia monosettoriale)Nel secondo caso (DIVERSIFICAZIONE) si estende il portafoglio clienti e mercati, e si valorizzano le relazioni tra le variearee del business (diversificazione correlata) o si cerca di ridurre il rischio globale di gestione (diversificazioneconglomerale). (strategia polisettoriale)Altra possibilità è data dall’aumento dei mercati con cui si fanno affari. (strategia internazionale)

5. LA STRATEGIA DI SVILUPPO MONOSETTORIALE

Si rafforza la posizione già esistente dell’impresa in due direzioni: da una parte si cerca di posizionare meglio il prodottofinale (integrazione orizzontale, si amplia il volume d’affari alla fine del processo) e dall’altra si cerca di migliorarel’approvvigionamento delle risorse (integrazione verticale, si agisce a monte o a valle dl processo).

5.1. LO SVILUPPO ORIZZONTALE

Esso può avvenire attraverso un’ espansione interna, per cui vengono potenziati gli impianti o create nuove unitàproduttive, oppure con un’ espansione esterna, acquisendo imprese simili (che funzionano in maniera simile, hannostesso know-how, stessa tecnologia) e che operano nello stesso mercato. Quando ci si sviluppa orizzontalmente spesso si cerca di completare la gamma di prodotti offerti, entrare in areegeografiche dove ancora non si è presenti, soddisfare più tipi di clienti. La risposta a queste necessità si trova spesso neiconcorrenti, che per questo vengono annessi. La crescita orizzontale richiede tempi più brevi di attuazione, un migliorsfruttamento delle risorse disponibili, rischi più facilmente valutabili dall’imprenditore.Il vantaggio è dato dalle economie di dimensione, o scala e dalle economie di espansione che è possibile attuare. Leeconomie di scala sono un risultato dell’espansione aziendale, il rischio invece è pressoché non modificato, perchérestano uguali sia il mercato, sia le tecnologie produttive.Cosa serve per uno sviluppo orizzontale? Capacità di marketing , per spingersi nel mercato, e finanziarie per recuperare lerisorse necessarie all’espansione.

5.2. L’INTEGRAZIONE VERTICALE E LA TEORIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE

Lo sviluppo verticale avviene quando un’impresa assume il controllo di uno stadio di produzione o di distribuzione diversoma immediatamente collegato a quello in cui già opera. Esso può indirizzarsi “a monte” dello stadio occupato(integrazione verticale ascendente) o “a valle” (integrazione verticale discendente).

OBIETTIVI: 1- AMPLIAMENTO GAMMA DI PRODUZIONI INTERMEDIE COMPRESE NELLO STESSO CICLO TECNICOECONOMICOSUBOBIETTIVI: 1- AUMENTO DEL VALORE AGGIUNTO (Il valore aggiunto si calcola sottraendo dal valore del prodotto finito (ricavi) tutti icosti di acquisizione di beni e servizi);2- AUMENTO DEL CONTROLLO SUI COSTI DI PRODUZIONE; 3- MINORI RISCHI: - Integrazione a monte: continuità dei processi di approvvigionamento; - Integrazione a valle: controllo dei mercati di sbocco.MODALITA’ DI ATTUAZIONE: Più spesso esterna.

VANTAGGI:SVANTAGGI: 1 - RIDUZIONE COSTI DI TRANSAZIONE; 1- INNALZAMENTO DI BARRIEREALL’USCITA. 2- MAGGIORE FORZA CONTRATTUALE; 3- INNALZAMENTO DI BARRIERE ALL’ENTRATA.

Page 22: riassunto "La gestione dell'impresa"

Nel tentativo di spiegare i fattori che inducono l’impresa a orientarsi verso l’internalizzazione (make) o l’esternalizzazione(buy) di determinate attività, la dottrina economica ha sviluppato la teoria dei costi di transazione. Il costo del benescambiato è uguale non soltanto al prezzo pagato per il suo acquisto, ma anche allo sforzo sostenuto dall’acquirente edallo stesso venditore per ricercare le informazioni utili a perfezionare la contrattazione. I costi di transazionecomprendono, quindi, tutti i costi necessari per progettare, negoziare e tutelare un accordo di scambio. Rappresentano,dunque, i costi d’uso del mercato. La definizione del “confine efficiente” dell’organizzazione, ossia delle attività dasvolgere all’interno per ottenere il massimo livello di efficienza operativa, dipende da due tipologie di valutazioni:ECONOMICITA’: si ottiene comparando i costi d’uso del mercato con quelli da sostenere all’interno dell’organizzazione diimpresa (e svolgendo all’interno le attività che sarebbero più costose se delegate all’esterno);RISCHIOSITA’ DELLA TRANSAZIONE:Il controllo delle condizioni d’acquisizione di beni o servizi è maggiore nell’ipotesi di produzione interna rispetto a quelle diun rapporto contrattuale di scambio.5.3. ALTRI TIPI DI INTEGRAZIONE

Laterale e diagonale.Laterale: avviene quando si inserisce nella produzione dei beni legati al proprio o dal punto di vista tecnologico o alproprio mercato di sbocco.Diagonale: si introduce nell’organizzazione delle produzioni ausiliarie (faccio conserve, assorbo uno scatolificio).

6. LA STRATEGIA DI DIVERSIFICAZIONE PRODUTTIVA

In base al rapporto tra attività di marketing e profilo tecnologico si distinguono 4 casi, in cui si osservano due tipi didiversificazione: laterale quando c’è un collegamento tra la produzione vecchia e nuova, e conglomerale quando nonesiste nessun legame:- Prodotti simili per profilo tecnologico e di marketing (sviluppo orizzontale integrato);- Prodotti simili per marketing, ma diversi per tecnologia: faccio prodotti per la casa e prodotti alimentari (diversificazionelaterale);- Prodotti simili per tecnologia, ma diversi per marketing: faccio carta da imballaggio e carta da parati (diversificazionelaterale);- Prodotti senza alcune legame: faccio prodotti dolciari e materie plastiche (diversificazione conglomerale).Va poi aggiunto che alla diversificazione della produzione segue la diversificazione del rischio su più mercati, che puòattenuare un andamento più o meno favorevole. Per quanto riguarda la strategia, va detto che a seconda del tipo didiversificazione scelta,ci sarà una strategia adeguata, per cui ad una diversificazione laterale corrisponderà la creazionedi nuovi impianti e un’espansione interna, mentre alla diversificazione conglomerale corrisponderà un’espansioneesterna.

7. LA STRATEGIA DI ESPANSIONE INTERNAZIONALE

Il vantaggio dell’espansione internazionale è che spesso delocalizzando la produzione, o solo alcune fasi di essa, se neabbattono i costi (perché ci sono costi del lavoro più bassi). L’espansione internazionale può essere vista come laprosecuzione logica della diversificazione ma le differenze ci sono: la diversificazione porta a una diminuzione dellaspecializzazione dell’attività di un’impresa, nel senso che lo sforzo tecnologico e commerciale si estende su più prodotti.Se si desidera crescere in maniera equilibrata è necessario cercare di compensare i risultati con la diversificazione delleattività, e sia con l’esportazione, sia con la diversificazione posso ottenere profitti in grado di assicurarmi un buonsviluppo dimensionale.

Diversificazione = produzioni diverse Esportazione = paesi diversiEsportazione: quando si entra in un nuovo mercato estero si seguono alcune tappe.1.Esportazione: i prodotti vengono fabbricati in patria e poi esportati;2.Produzione indiretta: si fanno accordi con imprese straniere a cui vengono ceduti brevetti e know-how (cessione dilicenze di fabbricazione);3.Vendita diretta: si fanno investimenti in loco per creare nuove reti di vendita;4.Produzione e vendita diretta: si costruiscono in loco impianti che seguono tutta la produzione, ma la direzione restain patria;5.Costituzione di un’impresa all’estero: costruito l’impianto, viene spostata anche la direzione e creata un’impresaall’estero autosufficiente, con centri di direzione e di ricerca;6.Organizzazione multinazionale: coordinamento della gestione a livello multinazionale. L’impresa che si sposta all’estero deve essere gestita da un management adeguato e di qualità, il quale non è solo unfattore da sfruttare, ma è probabilmente l’elemento che fa si che l’internazionalizzazione avvenga. Certo, oltre almanagement, ci deve essere una buona disponibilità di capitali, senza la quale sarebbe impossibile operare.

8. LE MODALITA’ DI REALIZZAZIONE DELLE STRATEGIE DI SVILUPPO: IL RUOLO DEGLI ACCORDI STRATEGICITRA IMPRESE

Page 23: riassunto "La gestione dell'impresa"

Spesso la decisione di integrazione verticale o sviluppo orizzontale è solo una fase del processo di crescita, per cuiun’azienda prima si rafforzerà nel suo mercato (sviluppo orizzontale) e poi penserà di andare a svilupparsi o verticalmenteo con la diversificazione. In generale la crescita si divide in 2 passaggi:1. Dalla produzione unica alla produzione multipla;2. Dal raggiungimento di obiettivi d’integrazione verticale alla diversificazione oltre alla logica interna eesterna di crescita troviamo ora la crescita interrelata di tipo interaziendale. La crescita interna avviene in fasedi start up e intende rispondere a coprire interamente la domanda, quella esterna punta invece a stringere più rapportiprodotto/mercato. Questo tipo di crescita crea una sorta di effetto-leva nel senso che a parità d’impiego di risorse di altri tipi di crescita, dueaziende che si uniscono possono svilupparsi di più. Questa fase si sostituisce allo sviluppo orizzontale e all’integrazioneverticale, per cui attraverso la collaborazione si riescono lo stesso a raggiungere gli obiettivi di aumento della quota dimercato e del valore aggiunto.

9. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

La scelta di un particolare modello di crescita si collega o dovrebbe collegarsi all’opportunità di realizzare strategiecompetitive di successo. Solo avendo adeguate risorse specifiche si potrà assicurare una crescita equilibrata e durevolenel tempo. Se il processo di formulazione dei comportamenti strategici segue un iter di programmazione che vede alcentro la definizione della strategie complessiva vi sarà un collegamento stretto anche tra strategia complessiva estrategia funzionale. I processi operativi di commercializzazione dei prodotti, di realizzazione dei prodotti da porre sulmercato, di logistica, di ricerca tecnologica e di approvvigionamento finanziario saranno alla base del tipo di strategiacompetitiva prescelta nelle aree di affari in cui l’impresa risulterà operante o vorrà inserirsi.

PARTE TERZALA DIREZIONE DELL’IMPRESA

Capitolo Ottavo: IL CICLO DI DIREZIONE DELL’IMPRESA E IL PROCESSO ORGANIZZATIVO

1. IL RUOLO DEL MANAGEMENT

La gestione dell’impresa si svolgerà in conformità delle strategie complessiva e funzionali definite dal verticeimprenditoriale. Per far si che le scelte assunte possano tradursi in risultati è necessaria un’attività di direzione sia sulpiano direzionale che sul piano operativo, soprattutto per disciplinare l’uso delle risorse disponibili. A chi dirige compete,infatti, la responsabilità dell’efficienza nell’impiego del fattore umano, dei mezzi finanziari, delle competenze tecnologichee commerciali. Tra il momento strategico e quello dell’esecuzione s’interpone il processo direzionale. Organizzare le forzein campo, programmare il ciclo operativo e controllarne gli esiti configura la responsabilità specifica di chi riveste carichedirezionali all’interno del sistema aziendale.

2. IL PROCESSO DI DIREZIONE AZIENDALE

L’azienda diventa più grande, il rapporto con il mercato più difficile e la tecnologia si è diffusa anche nei processi digestione. Questo fa si che la direzione aziendale deve preoccuparsi, oltre che a dare ordini e farli eseguire, anche dipartecipare attivamente alla formulazione di strategie e politiche di gestione. In che modo? Con un ciclo, detto ciclo di direzione, che consiste in una serie di azioni strettamente legate tra loro, chesono programmazione (stabilisco obiettivi e modo in cui raggiungerli), organizzazione (decidere chi esegue ledecisioni), conduzione (dico come vanno fatte le cose e motivo a farle) e controllo (valutazione) della gestione. Aquesto ciclo di direzione corrisponde un ciclo informativo, perché per passare da una fase all’altra deve avvenire unpassaggio d’informazioni. Dato che il ciclo termina con il controllo è proprio il passaggio d’informazioni dalla fase dicontrollo a quella nuova di programmazione che permette di ricominciare un nuovo ciclo.

CICLO DIREZIONALE CORRISPONDE CICLO INFORMATIVO PER LADIREZIONE

PROGRAMMAZIONE (atti di decisione) INFORMAZIONI SULL’AMBIENTEORGANIZZAZIONE (atti di disposizione) DIRETTIVE PER L’ESECUZIONECONDUZIONE (atti di guida) RISULTATI DELL’ESECUZIONECONTROLLO (atti di valutazione) DATI INTERNI DI CONTROLLO

3. LA FUNZIONE ORGANIZZATIVA

L’ Impresa è una struttura composta da persone e macchine e le sue parti (organi) devono essere organizzate perconseguire un fine comune.

Page 24: riassunto "La gestione dell'impresa"

Organizzare vuol dire appunto ordinare un sistema in varie parti correlate e interdipendenti. Esistono 2 concetti teorici cheparlano di organizzazione: 1) Marshalliano: vede la funzione organizzativa come un’ azione ordinata di tutti i fattoriproduttivi, materiali e immateriali dell’impresa:2) Ristretto: immagina che questa funzione si occupi solo di ordinare il fattore umano.Lo scopo della funzione organizzativa è raggiungere l’efficienza dividendo,specializzando e organizzando le attività in unsistema. Facendo questo si attiva un processo sinergico per cui ogni elemento rende di più in rapporto agli altri di quantonon renderebbe da solo. Altro scopo è soddisfare le esigenze di coloro che lavorano nell’impresa, impiegandoli nel modogiusto e migliorando così il rendimento globale. Lo studio dell’organizzazione può essere fatto dal punto di vista di unprofilo strutturale, cioè analizzo compiti,scelti dalla strategia e responsabilità, dei lavoratori, o da quello di un profilocomportamentale, cioè i rapporti interpersonali di equilibrio e conflitto a fronte del funzionamento.

4. LE SCELTE ORGANIZZATIVE

Progettare significa:1) Fissare degli obiettivi da raggiungere in base ai quali fare scelte diverse;2) Fissati gli obiettivi la prima scelta da fare è definire il confine efficiente, cioè la convenienza tra produrre all’interno oesternalizzare.

A seconda che si debba svolgere questo processo in un’azienda di nuova nascita o già esistente cambiano i vincoli a cui siè sottoposti. In una già esistente il vincolo è dato dal personale già presente, in una nuova il vincolo principale è laquantità di fondi a disposizione. Se si organizza una nuova impresa i fattori che devo considerare sono:

1) Che obiettivi si hanno e che strategia perseguire in un certo settore;2) Quanti soldi si hanno a disposizione per organizzarsi;3) Che risorse umane offre il mercato e quante se ne possono assumere.

Altri vincoli da considerare sono:

- Capacità professionali presenti sul mercato che si possono acquisire;- Investimento che si possono sostenere;- Costi fissi di lavoro che influiscono sulla propria rigidità.5. I MODELLI DI STRUTTURA ORGANIZZATIVA

Strutture molto piccole: forme di organizzazione molto semplici, l’imprenditore è la figura centrale, poca formalità,divisione del lavoro fatta in aree funzionali e i rapporti interpersonali sono forti e non codificati. Quando il numero deilavoratori in azienda cresce, la struttura tende a modificarsi, perché bisogna coordinare più persone e le funzioni, ledivisioni e i poteri devono essere chiare a tutti, perciò si stabilisce il vertice e si segmentano i processi di gestione, dandoa ognuno il suo compito.Per suddividere i compiti esistono 2 mezzi:- Per funzione, i compiti si aggregano e si affidano a un solo responsabile;- Per divisione, i compiti si dividono per segmenti di gestione modello funzionale: divisione per funzioni, cioè compiticomplementari e interdipendenti rispetto a un fine. Per prima cosa bisogna definire le funzioni di vertice, che hanno carattere di:- UNIVERSALITA’, perché sono presenti in tutti i tipi di azienda simili; -- ESSENZIALITA’, perché il loro compito è quello principale dell’impresa; - SUDDIVISIBILTA’, perché si possono dividere in linee generiche; - IMPOSSIBILITA’ DI AGGREGAZIONE CON ALTRI FATTORI. Si avrà per esempio la direzione marketing e all’interno altre sottofunzioni, ognuna con un responsabile. I compiti sonodivisi in base alla loro natura e ogni area operativa ne svolge uno. Questa struttura risulta poco propensa all’ innovazione,ha bisogno di meno coordinamento, è tipica di aziende poco diversificate. Quando le aziende diventano più dinamiche sipasserà al modello divisionale, in cui ogni divisione si occupa di un prodotto e all’interno della divisione ci si divide poi perfunzioni. In questa struttura ogni divisione può essere percepita come un’azienda a sé e, quindi, come un centro diprofitto nelle mani di un responsabile. Da questa struttura è possibile arrivare alla cosiddetta multifunzionale, in cuialcune divisioni vengono staccate dalle altre diventando comuni, come la divisione finanza o gestione del personale, maquesto avviene solo se centralizzandole si ottengono maggiori benefici dalla loro specializzazione e un miglioramentogenerale per l’organizzazione. La multi divisionale pone l’attenzione ai risultati più che ai compiti e porta addirittura ledivisioni a competere tra loro, con il rischio che configgano. Se le divisioni si staccassero, ottenendo più autonomia,arriveremmo all’organizzazione di gruppo, cioè una struttura holding, utile per governare attività molto differenziate, maanche per dividere gli utile, pagando meno tasse, diversificare i rischi e avere più possibilità di ottenere finanziamenti,perché ognuna ha diritto di farlo.

6. LE STRUTTURE ORGANIZZATIVE INNOVATIVE: L’ORGANIZZAZIONE PER PROCESSI A RETE

Più l’ambiente diventa complesso, più l’azienda deve adattarsi, per cui l’ organizzazione verrà sempre più destrutturatapiuttosto che strutturata, e alcune funzioni vengono esternalizzate. Il nuovo tipo di organizzazione che emerge è quello

Page 25: riassunto "La gestione dell'impresa"

per processi, in cui tutte le attività sono coordinate secondo obiettivi globali a cui tutte tendono. Altro tipo diorganizzazione è quella a rete, che porta a instaurare collaborazioni con i fornitori e i clienti. Importante in questastruttura sono i rapporti, cioè il modo in cui si decide di regolare alcune procedure, non si creano unità organizzative; inquesto modo si lavoro più velocemente, con flessibilità e efficienza. Ovviamente perché questo sia possibile occorre che leinformazioni circolino in fretta all’interno della rete. Le strutture più flessibili sono quelle a progetto e a matrice. Quella aprogetto è simile a quella funzionale, con la differenza che i gruppi si creano temporaneamente per portare a termine unprogetto e poi si sciolgono. Quella a matrice è solo l’ istituzionalizzazione di quella a progetto. In quella a matrice ogniresponsabile sottosta a un direttore di linea e a quello di prodotto nello stesso momento. Altro fattore importante è lasuddivisione dei poteri, più decentralizzo i poteri, più livelli gerarchici creo. Per consentire velocità e creatività molteimprese usano le strutture corte o appiattite, in cui i canali di comunicazione tra direttori e esecutori sono più corti e“parlano” meglio. L’ampiezza del controllo consiste invece nel definire quanto può essere grande un gruppo sotto unostesso leader, per esempio se i compiti da svolgere sono facili, i subordinati sono maturi ed è facile comunicare, allora sipotrà ampliare il controllo, al contrario viene ridotto.

7. LA DEFINIZIONE DELLE PROCEDURE DECISIONALI ED OPERATIVE

Per far funzionare il sistema bisogna definire le routine organizzative, cioè le procedure da svolgere; queste possonoessere di 4 tipi:- Operative;- Di controllo;- D’informazione;- Decisionali. Le procedure dicono anche come ci si deve comportare per svolgere un certo compito o risolvere un dato problema,diventando così delle regole da seguire. Regole che possono essere rappresentate in un “flow chart”, diagramma diflusso, che fa vedere l’ iter dell’ operazione e mostra i vari step da portare a termine, gli organi che sono interessati nellaprocedura e come s’integrano gli uni con gli altri. Quando le operazioni diventano molto più complesse il flow chart nonbasta più e si descrivono analiticamente le procedure.

8. LO SVILUPPO ORGANIZZATIVO E L’EFFICIENZA AZIENDALE

L’efficienza dell’organizzazione è alla base dell’efficienza gestionale dell’azienda, ed è indipendente dalla dimensione,perché in qualunque caso è uno strumento per aumentare la produttività e usare meglio le risorse a disposizione. Questoè importante soprattutto quando la concorrenza diventa agguerrita e se non si riesce a combatterla sul fronte prezzi opubblicità; bisognerà trovare altri modi per differenziarsi e far si che il proprio modo di organizzarsi non diventi d’intralcioall’azienda, per costi troppo alti, ma possa anzi essere un punto di vantaggio.

Page 26: riassunto "La gestione dell'impresa"

Capitolo Nono: LA PROGRAMMAZIONE DELLA GESTIONE

1. LA FUNZIONE DI PROGRAMMAZIONE AZIENDALE

La programmazione aziendale assume un ruolo centrale nel processo di direzione aziendale perché si propone diregolare, sulla base dell’organizzazione creata, il corso futuro della gestione. La programmazione deve essere concepitaquale processo di predeterminazione degli obiettivi, delle politiche e delle attività da compiere entro un determinatoperiodo di tempo. Il processo di programmazione si deve tradurre in un sistema di piani distinto secondo:

a) I contenuti (piani strategici e operativi)

b) L’ambiente gestionale (piani globali, piani di aree di affari e piani di funzioni)

c) L’orizzonte temporale (piani di lungo, medio, breve e brevissimo termine)

d) Il grado di analisi (piani-progetto e piani esecutivi)

I piani fondamentali sono quello strategico e quello operativo. Il primo rappresenta l’elemento di riferimento di tutto ilsistema, in quanto sia il piano operativo sia i singoli piani d’esercizio dovranno essere elaborati in funzione delperseguimento degli obiettivi di lungo termine. Il conseguimento di questi ultimi richiederà la formulazione di un pianodi sviluppo strategico, la predisposizione di un piano di investimento da compiere per realizzare la strategia prescelta edinfine la messa a punto di un piano organizzativo per definire le strutture più idonee a dare attuazione alla strategia disviluppo.

2. IL PROCESSO DI COSTRUZIONE DEI PIANI AZIENDALI

Un piano si sostanzia, nell’indicazione delle sequenza di decisioni e di operazioni da porre in essere per perseguire gliobiettivi stabiliti. Esso è costituito da 4 elementi: obiettivi, politiche, attività e risorse. Gli obiettivi rappresentano i traguardi cui dovrà tendere l’organizzazione, le politiche costituiscono le linee generali diazione, le attività configurano i flussi di operazioni da attuare durante la gestione e le risorse disponibili si pongono qualiopportunità-vincoli da rispettare nello svolgimento di tali operazioni. L’impresa è protesa a massimizzare i risultati digestione entro i limiti posti dall’ambiente esterno e dalla struttura interna. Per fare ciò stabilisce un insieme di politicheche, tenuto conto dei vincoli predetti, consentano di ottenere gli obiettivi di periodo. Le politiche rappresentanol’elemento di traduzione di un sistema di vincoli in un sistema di obiettivi. Costituiscono la struttura portante delprocesso di gestione. Il budget economico o bilancio preventivo è un documento contabile che traduce, in terminidi costi e ricavi, le scelte e le operazioni stabilite nel piano. E’ definito come un conto profitti e perdite anticipato perchétende a predeterminare il risultato della futura gestione, con esso si riescono a valorizzare economicamente le decisioniprogrammate e a valutare l’opportunità di attuarle o di modificarle prima di tradurle in operazioni di gestione. Inoltrepermette di esercitare un valido controllo sugli obiettivi raggiunti all’interno dell’organizzazione. Al budget economico sicollega un budget finanziario che considera gli usi e le fonti di capitale, in modo da predeterminare il saldo finanziariodell’esercizio. Nell’impresa si elabora anche un budget di cassa per governare il flusso monetario di entrate e diuscite. Si può avere una diversa impostazione della programmazione che si basa sull’analisi del divario e parte dallafissazione degli obiettivi che l’azienda intende raggiungere. Il procedimento di sviluppa nel valutare i modi dieliminazione dell’eventuale divario rispetto agli obiettivi normalmente conseguibili nel mercato. I punti fondamentalisono:

a) La fissazione degli obiettivi collegati con i traguardi di sviluppo stabiliti nel piano di lungo termine;

b) La previsione degli obiettivi raggiungibili nell’ipotesi di una persecuzione delle tendenze di mercato e della ripetizionedelle azioni di gestione attuate in passato;

c) La determinazione del divario tra obiettivi desiderati e obiettivi realizzabili in assenza di innovazioni nella gestione;

d) L’individuazione delle modalità di eliminazioni del divario, cioè delle nuove politiche necessarie per rendere

Page 27: riassunto "La gestione dell'impresa"

compatibili le aspirazioni imprenditoriali con i previsti andamenti di mercato.

Con questa impostazione l’azienda tende ad imporre i suoi obiettivi al mercato, sfruttando le opportunità di mutamentodelle sue politiche di gestione. Gli obiettivi dei programmi rappresentano sempre il risultato di un compromesso tra leaspirazioni del gruppo imprenditoriale e le realtà da fronteggiare e che la caratteristica fondamentale del processo diprogrammazione è l’iteratività.

3. LE PREMESSE PREVISIONALI E LA FLESSIBILITÀ DEI PIANI

I programmi sono definiti in un rapporto ad un insieme di premesse, legate alla previsione dell’andamento dei fenomeniinteressanti la vita dell’impresa; premesse che possono o no trovare verificazioni nel corso della gestione. Le premesserappresentano degli assunti circa il futuro svolgimento dell’attività aziendale.

Sono distinguibili in tre tipi: - Premesse non controllabili, che l’azienda non può influenzare in nessun modo; - Premesse semicontrollabili, che non può tenere sotto controllo, ma su cui si può influire in misura più o meno rilevanti; - Premesse controllabili, di cui conserva invece il controllo perché esse dipendono pressoché esclusivamente dal suocomportamento.

La previsione dovrà perciò riguardare non solo il mercato,ma estendersi anche ai più ampi mutamenti che si riflettonosul tessuto sociale nel quale l’azienda stessa è inserita. I piani non possono assumere un carattere assolutamentevincolante per lo sviluppo della gestione ma devono poter essere tempestivamente modificati in funzione del variaredegli assunti in base ai quali furono costruiti.

4. LA PROGRAMMAZIONE STRATEGICA ED OPERATIVA

Nell’affrontare la programmazione aziendale il management può dunque privilegiare una visione di tempo lungodell’attività di gestione e procedere a formulare i piani secondo un’ottica di non breve periodo oppure può orientareprevisioni e programmi nel tempo breve. Ogni impresa opera entro un sistema di vincoli, che ineriscono alla strutturainterna dell’organizzazione e all’ambiente socio-economico. Fra i primi si possono richiamare i limiti posti dallapotenzialità produttiva, organizzativa, finanziaria ed economico-strutturale e fra i quelli connessi con il mercato, con ilprogresso tecnologico e con la regolamentazione pubblica. Dalla programmazione di lungo termine si differenzia inmodo netto la programmazione di breve termine. Mentre la prima ha l’obiettivo fondamentale di modificare il sistemadi vincoli entro cui opera l’impresa, la seconda ha lo scopo di adattare l’attività corrente ai vincoli interni (potenzialitàproduttiva, potenzialità organizzativa, potenzialità finanziaria, potenzialità economico-strutturale) ed esterni allagestione aziendale ( crescita della domanda, pressione della concorrenza, progresso tecnologico, regolamentazionepubblica). La programmazione a breve consiste nel preordinare le operazioni di gestione secondo gli obiettivi fissati perl’esercizio annuale. Questo tipo di programmazione viene definito di adattamento perché la modificazione di certi vincolicomporta tempi non brevi e fa si che il patrimonio di risorse dell’impresa appaia quale vincolo di partenza per larealizzazione delle operazioni di gestioni. Bisogna tenere presente che qualsiasi piano è sempre il risultato di unasommatoria di nuove iniziative e di attività correnti.

Capitolo Decimo: IL CONTROLLO DIREZIONALE

1. LA FUNZIONE DI CONTROLLO DIREZIONALE.

La funzione di controllo conclude il ciclo di direzione e contemporaneamente crea le premesse per l’avvio con laprogrammazione di un nuovo ciclo di attività. Esso è necessario per garantire l’ordinato svolgimento dell’attivitàaziendale a qualsiasi livello e a qualsiasi posizione organizzativa. Il processo di controllo può avvenire in 4 momenti:

In via antecedente rispetto all’azione (mediante i vari tipi di analisi di mercato); In via concomitante allo svolgimento dell’azione (mediante l’analisi degli scostamenti tra le

prestazioni realizzate e gli obiettivi fissati in sede di programmazione); In via susseguente per mezzo della determinazione di valori e indici di efficienza aziendale; In via prospettica mediante il controllo strategico;

Il controllo antecedente serve a valutare preventivamente la bontà di certe scelte e trova sostanza nello stessoprocesso di programmazione, visto come forma di controllo delle future linnee di gestione. Il controllo concomitante silega alla programmazione poiché ha lo scopo di guidare a tutti i livelli dell’organizzazione l’attuazione dei pianiformulati. Il controllo susseguente va inteso come valutazione dell’efficienza e dell’efficacia della gestione, cioè comestrumento d’indirizzo per la formulazione delle decisioni future. Quello prospettico deve essere inquadrato quale mezzoper verificare la bontà delle scelte strategiche e organizzative i essere.

Page 28: riassunto "La gestione dell'impresa"

2. IL CONTROLLO CONCOMITANTE E SUSSEGUENTE.

L’attuazione di una gestione programmata consente l’esplicazione di una funzione concomitante di controllo operativo,definito come la procedura attuata, durante lo svolgimento delle operazioni aziendali, allo scopo di seguire lo sviluppodella gestione e di garantire il rispetto degli obiettivi fissati in sede di costruzione dei piani. Ogni schema di controllo sicompone di 4 elementi:

- La fissazione di obiettivi o standard da raggiungere;- La misurazione dei risultati via via ottenuti;- L’analisi delle cause di eventuali scostamenti;- L’assunzione di interventi di correzione per riportare i risultati in linea con il piano.

Per ogni attività da compiere si stabiliscono degli obiettivi. Gli obiettivi possono essere desunti dalla programmazioneformulata o essere fissati in fase di attuazione di specifiche politiche o azioni operative. In ogni azienda è buona normastabilire un sistema di reporting in grado di far giungere con regolarità i dati sui risultati di gestione ai dirigentiinteressati. L’analisi casuale è momento di grande importanza perché deve fornire elementi preziosi sulla genesi delledeviazioni. Un’analisi non corretta può orientare in modo sbagliato gli interventi di gestione. Il controllo operativodeve assicurare il mantenimento dell’equilibrio tra obiettivi e risorse impiegate nell’attività di gestione. Gli interventi dicorrezione possono avere per oggetto il livello delle prestazioni ottenibili prefissati, tendono a riportare l’attività in lineacon la programmazione; i secondi hanno invece per scopo il riadeguamento di quest’ultima alle mutate condizioniinterne ed esterne di svolgimento della gestione. L’attuazione della programmazione e del controllo operativo consentedi realizzare il tipo più moderno di conduzione dell’attività aziendale: la direzione per obiettivi e il controllo per risultati.Il controllo concomitante trova la sua sintesi ideale nel raffronto tra i risultati economici di gestione raggiunti e quellipresi a base del budget aziendali. La costruzione di conti economici mensili consente di sorvegliare costantemente gliesiti dell’attività aziendale e di valutare le difformità rispetto a quanto programmato. Questo richiede che sia il budgeteconomico che quello finanziario siano articolati per periodi infrannuali in modo da poter determinare gli scostamenti dimaggiore rilievo, individuare le cause degli stessi e intervenire rapidamente con le opportune misure di gestione. Lafunzione di controllo della gestione si completa con l’attuazione delle valutazione di efficienza sulla gestioneaziendale. Queste rappresentano dei controlli a posteriori del rendimento dei vari fattori impegnati nella combinazioneproduttiva. L’efficienza è misurata dal rapporto tra i risultati conseguiti e le risorse impegnate, mentre l’efficacia èmisurata dal rapporto tra gli obiettivi ottenuti e quelli che si sarebbero dovuti conseguire.

3. IL CONTROLLO STRATEGICO O PROSPETTICO.

Il controllo di gestione non è sufficiente per fornire alla direzione aziendale gli elementi di guida dell’organizzazioneperché soffre di due limiti, il primo è connesso con il rapporto di interdipendenza nei confronti del sistema diprogrammazione adottato nell’impresa; il secondo è rappresentato dalla difficoltà di ampliare le analisi sul pianodell’intera struttura organizzativa aziendale. Il controllo porta ad individuare certe aree specifiche di scarsa efficienza,ma non si spinge a valutare la rispondenza del modello base dell’organizzazione o il corretto impiego degli uomini che inquesta organizzazione si trovano ad operare. I limiti nel controllo di gestione fanno convincere della necessità di un altrotipo di controllo strategico. I suoi obiettivi peculiari sono:

a) Congruenza esterna del comportamento strategico dell’azienda che discende dalla rispondenza del comportamentoaziendale, proiettato nel medio-lungo periodo, all’evoluzione dell’ambiente in cui l’impresa già opera e intenderà operare infuturo.

b) Congruenza organizzativa tra strategia e struttura dell’azienda in quanto intende verificare se in rapporto allastrategia in essere e alle sue eventuali modificazioni, rimane valida l’organizzazione prescelta;

c) Efficienza del sistema e dei responsabili di direzione; nell’impresa assume un rilievo a se stante il sistema di direzioneossia il meccanismo procedurale mediante il quale strategia e struttura si legano durante la vita dell’impresa.

L’efficacia delle procedure di organizzazione, programmazione e controllo della gestione condizionerà sia laformulazione e l’aggiornamento delle strategie,sia le scelte di fondo e le successive revisioni in materia diorganizzazione. L’inserimento di questo obiettivo richiede non solo un ampliamento delle analisi da condurre, ma ancheuna modificazione del controllo strategico da procedura interna attuata dalla stessa dirigenza aziendale a proceduraesterna realizzata da organizzazioni di consulenza. Il controllo strategico si amplia e diviene un tipo di controlloeccezionale ed esterno. In questo senso esso comporta un vero e proprio check-up aziendale che si caratterizza per ilmaggior grado di approfondimento e per l’estensione all’intero sistema dell’indagine diagnostica, per il suo carattere diverifica, che prescinde dall’emergere di particolari fatti patologici. Nell’impresa il check-up assume un’importanzarilevante, proprio a cagione delle possibilità del sistema aziendale di regolare e programmare il suo sviluppo. Deveconsentire anche di valutare le potenzialità non sfruttate o sfruttate soltanto parzialmente, in modo da orientare ilsistema stesso verso condizioni di equilibrio superiori a quelle primigenie.

4. L’ORGANIZZAZIONE DELLA FUNZIONE DIREZIONALE DI CONTROLLO

Il controllo è legato alla programmazione per 2 motivi : controllare se i piani formulati sono rispettati e orientare le sceltefuture di programmazione. Solo con un buon controllo si può iniziare a usare forme più avanzate di governo aziendale.Primo problema: nell’impresa moderna ogni scostamento dai piani significa non sfruttare appieno le risorse, ma oltre acercare di evitare questa situazione, bisogna anche valorizzare le capacità d’iniziativa delle persone, così che restino

Page 29: riassunto "La gestione dell'impresa"

sempre motivate e rendano. Per questo una soluzione positiva è lasciare ai responsabili di gestione un po’ più diautonomia e potere nelle decisioni da prendere. Nella direzione per obiettivi e in quella del controllo dei risultati ilcontrollare e il controllato vengono così a coincidere.Secondo problema: eccesso di controlli, che in questo modo diventano costosi e fanno perdere tempo. I controllidovrebbero essere funzionali, cioè relativi solo agli aspetti più importanti della gestione per identificare in frettainefficienze e problemi. L’efficacia del controllo si basa sulle fasi che lo precedono nel senso che, essendo un ciclo, ilcontrollo prevede che prima ci sia stata un’organizzazione e una programmazione, mentre la programmazione prevedeche ci sia stata prima un organizzazione e poi un controllo.Ultimo problema è l’uso di tecniche e strumenti adeguati alle esigenze dell’azienda, così da evitare sprechi di risorse.Non sempre le tecniche e gli strumenti migliori rispondono in maniera adeguata alle necessità dell’azienda, magariperché danno più di quello che serve.

Capitolo Undicesimo: LA CONDUZIONE DEL PERSONALE E LA <<LEADERSHIP>>

1. LA CONDUZIONE DEL FATTORE UMANO ED I PROBLEMI DELLA MOTIVAZIONE

Saper gestire il personale è molto importante per chi dirige l’impresa. Bisogna capire chi serve davvero all’azienda, maancora non ne fa parte, e motivare le persone già presenti. È ovvio che tra imprenditore e lavoratori ci sono interessidiversi, a volte contrapposti: l’imprenditore vuole ottenere il massimo rendimento rispetto ai costi che sostiene (salari estipendi), e il lavoratore vuole ottenere il massimo dal suo lavoro (reddito da lavoro). Il conflitto avviene nel momentodella stipula del contratto, regolato più da enti nazionali e esterni che da imprenditore e lavoratore, e durante la faseoperativa, cioè quando s’inizia a lavorare insieme. Condurre significa ottenere il massimo del rendimento, dirigere invecevuol dire far sì che altri realizzino. L’ abilità di chi dirige sta nel raggiungere certi risultati operativi, ma soprattutto nell’

Page 30: riassunto "La gestione dell'impresa"

instaurare un clima favorevole al raggiungimento degli stessi. A seconda di come viene considerata la persona adotteròuno stile direzionale adeguato, quindi ci sarà il passaggio da una direzione autoritaria, con forte controllo, gerarchia deiruoli definita, a una direzione partecipativa, basata sul consenso, in cui è il lavoratore stesso che si autocontrolla, c’èmeno gerarchia e si cerca di creare motivazione. Il lavoratore renderà di più se i suoi obiettivi coincidono con quelliaziendali, e questo principio, d’identificazione, è alla base della motivazione.Motivazione che può essere di due tipi: a partecipare , e quindi a far parte dell’organizzazione, e a produrre e quindi adassicurare la produzione richiesta.

Dai bisogni si può capire come variare il comportamento di una persona, che si possono classificare attraverso la piramidedei bisogni di Maslow:

1) Bisogni primari di sussistenza: cibo, casa, vestiti;

2) Bisogni di sicurezza: avere un posto di lavoro, avere protezione;

3) Bisogni di socialità: affetto;

4) Bisogni di stima: reputazione;

5) Bisogni di autorealizzazione: ottenere il meglio da sé stessi.

I bisogni sono in ordine d’importanza. In un’azienda si vede che i primi devono essere soddisfatti attraverso stimolieconomici, mentre via via che si scende nella piramide, si preferirà avere stimoli psicologici , cioè gratificazioni morali. Ci sono però alcune critiche che vanno fatte: 1) Non è detto che per passare al bisogno successivo si debba soddisfare al 100% quello precedente;2) Il soddisfacimento di uno o dell’altro varia in base alla persona; 3) E’ possibile che attraverso le scelte di una persona si soddisfino contemporaneamente più bisogni.

Herzberg costruisce un modello teorico adatto all’impresa, individuando quei bisogni che sono tipici dei lavoratori:bisogni soddisfattivi, che una volta appagati, conducono all’azione, e bisogni insoddisfattivi , che se non soddisfatti,portano alla frustrazione e quindi all’inazione. Oggi un metodo molto usato per incentivare le persone è dato dallapartecipazione economica ai risultati d’impresa, per cui si lega una parte dello stipendio al raggiungimento di specificirisultati. Per fare questa scelta bisogna però capire qual è la parte di rendimento che è influenzata da questicomportamenti. Perciò si è pensato di distinguere l’incentivazione in base al tipo di performance, se individuale o digruppo, e in base al periodo, se breve o lungo. Da questi fattori scaturisce una matrice:

BREVE PERIODO LUNGO PERIODOPERFORMANCE INDIVIDUALE AUMENTI SALARIALI PIANO DI INCENTIVIPERFORMANCE DI GRUPPO GRATIFICHE STOCK OPTION

La stock option consiste nella possibilità di fissare un prezzo per l’acquisto futuro di un’azione dell’azienda per cui silavora. In questo modo anche i lavoratori sono collegati al rischio d’impresa. La motivazione a partecipare è influenzataanche dal tipo di struttura aziendale, come accade in strutture snelle, o corte, che avvicinano i luoghi delle decisioni efavoriscono la comunicazione, così come in strutture che prevedono gruppi di lavoro integrati (a progetto).

2. GLI <<STILI>> DI DIREZIONE

Lo stile di direzione è il modello di governo dei rapporti di lavoro nell’organizzazione. Questo stile passa dall’essereautoritario a collaborativo. La scelta tra l’uno e l’altro è data:- Dal sistema dei valori di chi dirige;- Dalle capacità dei subordinati;- Dalle caratteristiche della situazione in cui si esercita la direzione.

Lo stile di direzione è sempre il risultato dell’interazione di questi 3 fattori.

Page 31: riassunto "La gestione dell'impresa"

Stile autoritario: le decisioni sono nelle mani di uno o di pochi e si attuano attraverso il comando ed il controllo. Ilrapporto è gerarchico: chi sta sopra comanda ed eventualmente punisce chi sta sotto.

Stile partecipativo: le decisioni vengono prese in modo comune, o almeno coinvolgendo i subordinati, i quali siautocontrollano e si assumono responsabilità precise. Il “capo” non è più colui che ordina ma colui che coordina e guida,diventando così un leader.

Secondo alcuni, esistono 2 teorie alla base di ciascuno di questi concetti:

1) Si parte dall’idea che l’uomo detesta il lavoro e quindi lo fa ma non vuole prendere responsabilità in merito, quindil’unico modo per farlo lavorare è il controllo e la minaccia.

2) L’uomo accetta il lavoro come un fatto naturale della propria vita e accetta delle responsabilità se queste glipermettono di soddisfare ulteriori bisogni. In questo secondo caso, l’uomo non solo va motivato, ma è va valorizzato ecoinvolto. Questo concetto è quello che sta alla base del principio del clan, per cui se in un gruppo si affermano dei valoricondivisi verso gli obiettivi aziendali, non è più necessario un rapporto gerarchico. Inoltre il solo rapporto gerarchico non èpiù pensabile in un’impresa che fonda il suo successo sul soddisfacimento degli interessi di tutti gli stakeholder che nefanno parte.

Altro punto importante è la coerenza tra sistema premiante e premi effettivi, perché se restano solo teorici hanno uneffetto negativo sulla motivazione e sulla presa di responsabilità. Affinché lo stile partecipativo abbia successo occorreche il leader sia riconosciuto e seguito, così che i subalterni modifichino il loro comportamento in base a quello del leader.Il leader deve avere autorevolezza e creare motivazione, così da mantenere sempre al top la performance dei lavoratori,anche perché più il lavoro diventa un lavoro di cervello, più la leadership partecipa in modo essenziale, perché non ci sonocose da costruire, ma cose da pensare. Il leader deve essere in grado di creare spirito di gruppo, essere d’esempio, farcapire e interiorizzare i valori dell’azienda. Il leader quindi non chiede solo di risolvere dei problemi, ma lancia sfide, vogliadi competere e tensione ai risultati, tenendo sempre un occhio all’operatività, per cui sarà tanto più abile, quanto piùriuscirà a realizzare velocemente le scelte e mantenere coeso il gruppo.

3. LA MOTIVAZIONE DEL PERSONALE MEDIANTE L’ANALISI E L’ARRICCHIMENTO DELLE MANSIONI

La motivazione diventa sempre più centrale e si pone al centro del contratto psicologico, cioè il legame tra il lavoratore el’azienda. Questo legame diventa produttivo quando ciò che il lavoratore è disposta a dare all’azienda, coincide conquanto l’azienda è disposta a ottenere. Per far sì che i due obiettivi coincidano, si deve agire anche sulle mansioni,analizzandole e valutandole. (job analysis). Attraverso la job analysis è possibile Identificare le caratteristiche specifichedi ogni mansione, quindi ciò che si deve fare, conoscere e saper fare. Una volta definite le mansioni sarà possibileampliarle, attraverso la possibilità di rotazione, job rotation, per cui il lavoratore lavora a più mansioni e in questo modoevita la monotonia e acquisisce competenze nuove; job enlargement, cioè l’estensione della mansione a una mansionecon più responsabilità; infine job enrichment, per cui il lavoratore viene coinvolto anche nella fase decisionale e non soloin quella operativa, quest’ultimo rientra nella teoria partecipativa di cui si parlava. La direzione partecipativa, chetrasmette conoscenze, è più attenta ai problemi del lavoro e a smorzare i conflitti, sembra essere la più adatta alle nuoveesigenze di gestione del personale. Per fare questo occorrono dirigenti capaci che sappiano conciliare le necessitàdell’impresa, sopravvivere nel tempo, con quelle degli uomini impiegati, che desiderano crescere professionalmente edessere valorizzati.

Capitolo Dodicesimo: IL SISTEMA INFORMATIVO AZIENDALE E I PROCESSI DI <<KNOWLEDGEMANAGEMENT>>

1. IL SISTEMA INFORMATIVO NELL’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

Page 32: riassunto "La gestione dell'impresa"

Le informazioni sono fondamentali per far funzionare correttamente un’azienda: per pianificare le attività, coordinarle,documentarle e valutarne le performance, prendere decisioni.

2. SISTEMA DIREZIONALE E OPERATIVO

Il vertice aziendale ha bisogno di informazioni diverse da quelle che servono alla base, uno avrà bisogno di informazionidi sintesi, aggregate, che gli permettano di avere un quadro generale, l’altro d’ informazioni più dettagliate e analitiche. Ilvertice sfrutta il S.I.D. sistema informativo direzionale, la base usa il sistema operativo. Il sistema informativodirezionale elabora le info che sostengono il management aziendale nell’assunzione di decisone complesse. Il sistemooperativo identifica una serie di sottosistemi eterogenei, di produzione di marketing ecc.. che forniscono supportoinformativo per programmare lo svolgimento delle attività esecutive e per il loro controllo operativo.

3. GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DI UN SISTEMA INFORMATIVO

Un sistema informativo è composto da 4 elementi:

1) DATI: i dati sono la materia prima , cioè la rappresentazione di un fenomeno e prendono forma in una informazione, acui è associato un significato utile per il soggetto. I dati sono l’ input per produrre le informazioni. I dati interni all’aziendadevono essere integrati con dati esterni, del sistema competitivo per costruire una buona base di dati;

2) PROCEDURE: le procedure sono l’insieme di norme da seguire per ottenere, elaborare e diffondere i dati. Perrealizzare un processo, bisogna identificare le fonti da cui prendere i dati e definire chi e come dovrà occuparsi di questaraccolta, del caricamento e dell’elaborazione. Questa fase è caratterizzata anche dalla possibilità di produrre informazionidiverse a seconda dell’utente che le richiede. Fondamentale è poi capire i tempi in cui questa informazione è necessariaper realizzare un sistema informativo appropriato;

3) MEZZI TECNICI: l’uso di tecnologie informatiche ha dato un forte contributo alla creazione dei sistemi informativi,permettendo di velocizzare, razionalizzare e automatizzare le varie attività;

4) PERSONE: il sistema informativo è trasversale a tutta l’impresa e coinvolge tutti gli utenti del sistema informativo, siain modo attivo, perché produce informazioni, sia passivo, perché le raccoglie. Prima i dati venivano raccolti e elaboratisolo da alcuni reparti specializzati, gli EPD, electronic data processing, oggi invece tutti sono coinvolti nel processo

4. SISTEMA INFORMATIVO DIREZIONALE E BUSINESS INTELLIGENCE

Il sistema informativo aziendale può essere diviso in S.I.D. e in sistema operativo. I due sistemi interdipendenti datoche il S.I.D elabora informazioni che servono al processo decisionale e a fissare gli obiettivi, per cui si decide, si comunicala decisione, la si attua, dalla fase di esecuzione, ritrasmettendo i dati, si passa al controllo e da qui a una nuova fase diprocesso decisionale. Quindi il SID sta sopra gli altri sistemi operativi e da loro riceve periodicamente dei dati. Il SID permette di produrre informazioni da le conoscenze necessarie a supportare le attività di management di qualunquelivello. Questo fa capire che il SID è utile a tutti i livelli in cui vengono prese decisioni dà informazioni sia su richiestadell’utente, pull, per specifiche esigenze, ondemand, sia non richieste, push, cioè offerte con frequenza predeterminata. Alla base del SID ci sono sistemi che contengono dati elementari, sistemi alimentanti. Le informazioni che interessano siottengono elaborando i dati, interni o esterni. Quelli interni si ottengono con dei sistemi operativi integrati, detti Erp(enterpriseresuorce planing) , o sistemi dedicati alla gestione della relazione con il cliente, CRM, o altre applicazioni delweb. Questi dati elementari entrano nel Data warehouse , una specie di magazzino di dati di interesse direzionale, dovepossono poi essere trattati usando software e applicazioni. Questo processo può essere favorito dai sistemi di businessintelligence che aiutano il management a ricercare le informazioni utili per capire cosa influisce sui fenomeni aziendali.

5. LA PROGETTAZIONE DEL SISTEMA INFORMATIVO: OBIETTIVI E CRITICITA’

Per progettare il sistema informativo direzionale bisogna individuare:- I macro obiettivi che il SID deve conseguire;- I vincoli interni e esterni che devo rispettare (di legge, personale ecc); - Le diverse soluzioni organizzative.

Per prima cosa si deve quindi capire chi prende le decisioni e di che informazioni ha bisogno per decidere. Per valutarequesto aspetto si cerca di capire le specificità del processo di decisione e il comportamento degli utenti nel loro ambientedi lavoro. Bisogna quindi evitare di accettare qualunque richiesta senza considerare i vincoli di costo. Per fare questo sidovrà capire da dove si prendono i dati, le fonti, per capire se sono accessibili, di qualità, e esaustive per il mio interesse.Fatto questo si deve definire come si struttura il data warehouse.

Page 33: riassunto "La gestione dell'impresa"

Le persone dovranno poi essere motivate a usare questo strumento, capendone l’utilità e quindi è importante capire:

- Che interventi fare per coinvolgere gli utenti chiave, key users. Per esempio se sono coinvolte nella suadefinizione, ottengono un prodotto adatto a loro, lo usano e lo consigliano;

- Il potenziale di setup dell’utente, cioè il tempo che impiegherà per cambiare il proprio lavoro in base al nuovosistema e per appropriarsi delle sue potenzialità.

6. DALL’ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI ALLA GESTIONE DELLE CONOSCENZE: IL KNOWLEDGEMANAGEMENT

Il diffondersi di strumenti web based ha fatto capire sempre di più l’importanza di sistemi informativi per la gestione dellaconoscenza organizzativa, knowledge management.Dall’informazione alla conoscenza

L’ informazione deriva dall’ interpretazioni dei dati in base a ciò che interessa a un soggetto. La conoscenza invecederiva dall’ integrazione tra diverse informazioni. In poche parole la conoscenza è un sistema di informazioni organizzate,organizzate da una persona che realizza uno sforza cognitivo, pensa, mette a frutto le esperienze e ne rielabora il senso.Le risorse immateriali diventano sempre più importanti per ottenere un vantaggio competitivo e quindi diventafondamentale riuscire a far circolare le conoscenze che sono racchiuse nei singoli lavoratori e all’interno dell’impresa. Èvero che l’impresa apprende (cioè modifica, aumenta le sue conoscenze) solo se gli individui apprendono a loro volta(learning orgnisation), ma questa conoscenza in più deve essere resa accessibile a coloro che non l’hanno generatadistribuendola in base alle specifiche necessità. I processi aziendali potrebbero infatti migliorare se si riuscisse acapitalizzare la conoscenza che producono. La conoscenza deriva dal mix di conoscenze esplicita, che può esserecodificata, e conoscenza tacita, che risiede nella mente delle persone. Quest’ultimo tipo di conoscenza è quello piùdifficile da raggiungere e da far emergere. I sistemi informativi tendono a recuperare tutte queste conoscenze, e a farleparlare tra loro, così che dal confronto si generi altra conoscenza. Il knowledge management è un approccio strategicoche identifica nel capitale intellettuale la risorsa da gestire per migliorare le capacità d’azione di una persona edell’impresa, così, gestendo correttamente la conoscenza, è possibile coglierne tutto il patrimonio informativo, non soloquello contenuto nei database, nei documenti e nelle procedure (conoscenze esplicita), ma anche quello presente nellamente di ciascun lavoratore, come somma di esperienze e competenze (conoscenza tacita).

Molti investono in KM secondo linee di sviluppo:

- Realizzando knowledge map che fanno un censimento di chi sa cosa e lo mettono a disposizione;

- Creando corporate knowledge base, cioè insieme di archivi che memorizzano documenti di ogni tipo;

- Creando reti intranet e portali che permettono a tutti gli utenti di accedere a informazioni e conoscenze, epermettendo anche di comunicare;

- Creando strumenti che favoriscono le comunità di pratica e il lavoro di gruppo, groupware.

L’ostacolo maggiore allo sviluppo del KM è di tipo culturale, è inutile investire in tecnologia se nell’organizzazione non sene promuove l’uso attraverso una cultura partecipativa, volta al knowledge sharing. A volte poi il possesso di unaconoscenza è considerato sinonimo di potere, perché chi lo possiede lo considera un vantaggio sugli altri e sull’ambienteed è poco disposto a condividerlo, ma così non condivide neanche gli errori commessi, rischiando che altri liricommettano. Per ovviare a questo problema, l’impresa deve valorizzare il KM, valorizzando prima i comportamentipartecipativi e creando un clima di rispetto e stima tra i lavoratori.

PARTE QUARTA

Page 34: riassunto "La gestione dell'impresa"

LA GESTIONE OPERATIVA

Capitolo Tredicesimo: LE GESTIONE OPERATIVA E IL MARKETING

1. IL RAPPORTO TRA LA STRATEGIA COMPETITIVA E LE STRATEGIE FUNZIONALI

Nelle imprese ben amministrate viene definito un quadro strategico (corporate) composto da una strategia complessiva,strategie competitive e strategie funzionali. Ogni impresa infatti dovrà produrre un bene o servizio, dovrà curarne ladistribuzione e la vendita, avrà bisogno di approvvigionarsi dei materiali, dovrà governare la finanza, attuare la ricerca,ecc… In realtà sussiste uno stretto legame tra strategia competitiva e tutte le strategie funzionai, dato che ogni sceltaaziendale dovrà inserirsi in un sistema di scelte che ricomprenderà i molteplici aspetti della gestione.

STRATEGIA COMPETITIVA

STRATEGIA DI PRODUZIONE STRATEGIA DI MARKETING STRATEGIA FINANZIARIA STRATEGIADI RICERCA E SVILUPPO

2. LE CARATTERISTICHE DELLA GESTIONE OPERATIVA

Le funzioni operative di gestione si svolge con caratteristiche e problematiche diverse da azienda ad azienda. Esse sonoinquadrabili in 3 gruppi distinti:

a) Funzioni primarie o organiche (produzione, vendita, finanza);

b) Funzioni di supporto ( logistica, personale, ricerca e sviluppo, contabilità);

c) Funzioni ausiliarie ( trasporti, distribuzione, manutenzione, pubblicità).

3. L’ORIENTAMENTO DELL’IMPRESA NEI CONFRONTI DEL MERCATO

In passato si potevano distinguere due orientamenti diversi nei confronti del mercato da parte dell’impresa: uno verso ilprodotto, situazione molto più facile dove bastava produrre a prezzi competitivi per poter ottenere dei profitti;l’altroverso il mercato, dove necessitava l’analisi della domanda globale. Oggi l’impresa è orientata al business, ciò vuol direricercare nuove occasioni di affare da aggiungere a quelle già sfruttate nell’ambito del mix dei settori in cui opera. Ladifferenza tra “orientamento al mercato” e business è data dal fatto che nel primo caso si ricerca esclusivamente nelmercato in cui si opera,nel secondo caso la ricerca si estende a tutt’i mercati in cui le risorse aziendali possono essereimpiegate con successo. L’orientamento al business è fondato sul concetto di marketing che indica il processomediante cui l’azienda studia il mercato o i mercati che ritiene interessanti,analizza le tendenze della domanda e lasituazione della concorrenza, individua l’esistenza di opportunità di business, orienta la produzione in funzione deipotenziali acquirenti da conquistare, crea la domanda per i nuovi prodotti e provvede a collocare questi ultimi presso glisbocchi prescelti. (analisi del mercato, programmazione dei prodotti, promozione della domanda e esecuzione dellavendita.)

4. LA GESTIONE COMMERCIALE: FUNZIONI DI MARKETING E FUNZIONI DI VENDITA

Il marketing si pone come una filosofia di gestione incentrata sul mercato e protesta a trovare il miglior rapporto traofferta aziendale e domanda. La realizzazione di questo obiettivo comporta lo svolgimento di attività di previsione,programmazione, promozione e distribuzione dei prodotti per cui il marketing costituisce anche una funzionefondamentale nell’ambito dell’organizzazione aziendale. Questa funzione richiede la creazione di strutture idonee e ladisponibilità di competenze professionali adeguate, con un allargamento ed arricchimento sostanziale della tradizionalearea di vendita. Nell’ambito della funzione commerciale si possono individuare due gruppi di compiti che per la loroimportanza tendono ad originare delle distinte sub-funzioni. Vi è infatti un complesso di attività operative legate almomento della vendita e un complesso di attività di programmazione necessarie per l’orientamento non solo dellagestione commerciale ma anche della gestione produttiva e finanziaria. Fra i due tipi di compiti sussistono dellediversità di attuazione che inducono appunto a specializzarli sotto il profilo organizzativo. Le responsabilità di marketingrichiedono competenze di studio e una centralizzazione degli organi a cui essere debbono essere confidate mentrequelle di vendita comportano prevalentemente delle azioni da svolgere in diretto contatto con il mercato. Un modelloorganizzativo dell’area commerciale è un modello ideale, ma non applicabile a qualsiasi genere di impresa.

5 .IL MARKETING IN FUNZIONE DEL SERVIZIO AL CONSUMATORE (CUSTOMER SATISFACTION) E DELLACONCORRENZA BASATA SUL TEMPO(TIME-BASED COMPETITION)

Le politiche di marketing compongo l’insieme degli strumenti rivolti all’ottenimento degli obiettivi di mercato fissati diperiodo in periodo. In questa combinazione sono anche comprese delle scelte inerenti ai prodotti, ai prezzi, allepromozioni e ai canali, il cui fine è quello di avvicinare l’offerta dell’azienda alla domanda presente nel mercatomediante un processo di adattamento che coinvolge le variabili essenziali dello scambio che sono: bene offerto,prezzo

Page 35: riassunto "La gestione dell'impresa"

di vendita, informazione del prodotto e disponibilità del bene nei punti vendita. Le difficoltà e i costi promozionalinecessari per acquisire nuovi clienti fanno si che la customer satisfaction (qualità) e la customer retention(fidelizzazione) diventino obiettivi principali dell’azione del marketing.

6. IL COMPORTAMENTO DEL CONSUMATORE E LA SEGMENTAZIONE DEL MERCATO

Le scelte del consumatore dipendono dalla disponibilità del reddito che si può frazionare in due parti: impegnarlo per ilsoddisfacimento di bisogni essenziali (REDDITO IMPEGNATO) o per il risparmio o per l’appagamento di bisogni nonessenziali (REDDITO DISCREZIONALE). Poi per la destinazione del reddito discrezionale il consumatore attua un processodi scelta a tre stadi (bisogni, beni e marca), e di conseguenza il consumatore si trova a dover fronteggiare unaconcorrenza indiretta o tra bisogni (scelta del bisogno non di prima necessità), una concorrenza allargata o tra benialternativi (scelta del bene per soddisfare il bisogno non di prima necessità) ed una concorrenza diretta o tra marche(selezionare una particolare offerta). Le motivazioni di acquisto si dividono in tre gruppi:

a) Motivazioni razionali; incentrate sul calcolo economico e orientate sulla valutazione del rapporto prezzo-qualità del bene da acquistare;

b) Motivazioni emotive; sfera dei sentimenti e fattori di gusto, estetica, personalità del consumatore;

c) Motivazioni di patrocinio; fiducia nel produttore e nel distributore e creazione di un rapporto d’integrazione tra ilconsumatore e la marca.

Il rapporto tra prezzo del bene e reddito disponibile influenza le modalità e le motivazioni dell’acquisto, più questorapporto è alto più prevalgono i motivi ragionali e di patrocinio rispetto a quelli emotivi. Ogni mercato si può frazionarein più sub-mercati e <segmenti> di mercato, ciascuno comprendente una particolare categoria di acquirenti. Lasegmentazione può essere più o meno spinta a seconda della variabilità di tali comportamenti di acquisto e anche dallaconsistenza dei segmenti così individuabili. Il compito più difficile nell’attuazione del processo di segmentazioneconsiste nell’individuare le caratteristiche o fattori principali che distinguono strati differenti di mercato e nello sceglierequello o quelli che meglio si prestano a definire le classi di acquirenti. I parametri più utilizzati per effettuare lasegmentazione sono:

1. Parametri demografici

2. Parametri socio-economici

3. Parametri ubicazionali

4. Parametri psicografici

5. Parametri comportamentali

7. LA STRATEGIA COMPETITIVA E LE ATTIVITA’ DI MARKETING

Non avrebbe nessun senso frammentare il mercato in parti tali che nessuna di essa possa poi essere conveniente einteressante per l’azienda. Quindi l’impresa può adottare tre atteggiamenti:

1. Rivolgersi al mercato come se fosse omogeneo sulla base di un programma standard di marketing

2. Con diversi programmi di marketing può indirizzarsi ad un gran numero di segmenti di mercato

3. Mirare ad uno solo o al massimo a pochi segmenti di mercato con un unico programma di marketing.

Da qui si ha la distinzione di marketing indifferenziato, differenziato e concentrato.

MARKETING INDIFFERENZIATO: Considera il mercato come se fosse omogeneo dato che presenta sul mercato uno opochi modelli di prodotto con modalità promozionali o contrattuali simili. VANTAGGI: Realizza economie di costo.LIMITE: è limitato nella quota di mercato e presenta dei rischi in quanto tutti gli sforzi aziendali sono concentrati su ununico modello di prodotto.

MARKETING DIFFERENZIATO: Tende a soddisfare le esigenze e le aspettative di più segmenti di mercato effettuandouna diversificazione dei modelli. VANTAGGI: Conquista larghe fette di mercato, LIMITE: Maggiori costi di produzione,diamministrazione e di promozione.

MARKETING CONCENTRATO: Si fonda sulla scelta di un segmento di mercato su cui concentrare gli sforzi aziendali.VANTAGGI: Maggiore specializzazione e in certi casi elevato tasso di redditività del segmento prescelto, LIMITE:Limitazione al volume di affari ed elevati rischi, legandosi ad uno specifico sub-mercato dipenderà dalle vicende diquest’ultimo. Questo comportamento è più adatto alle aziende che non intendono raggiungere posizioni di leadershipassoluta nel mercato. La condotta vincente sotto il profilo del marketing è quello di andare ad occupare delle porzioni dimercato in cui si dispone di un vantaggio competitivo conservabile nei confronti della concorrenza. Il concetto disegmentazione e l’orientamento della strategia di marketing vanno intesi in senso dinamico perché l’impresa mediantele politiche di prodotto, di prezzo, di promozione e di distribuzione può anche concorrere a modificare la segmentazionepreesistente con la creazione di nuovi segmenti o con il passaggio di gruppi di consumatori da un segmento ad un altro.

Page 36: riassunto "La gestione dell'impresa"

8. LA POLITICA DI PRODOTTO E DELLA MARCA

Il successo di un impresa dipende dal favore che riscuote la sua offerta commerciale e dal grado di accettazione deibeni che pone sul mercato. Nell’impresa il legame tra competenze distintive e gamma di prodotti da collocare è diretto.La politica del prodotto ha un alto tasso di strategicità perché richiede delle decisioni che vincolano l’impresa per tempimolto lunghi e che determinano:

a) L’ampiezza dell’offerta

b) La differenziazione degli assortimenti

c) L’ innovatività delle produzioni

d) La visibilità dei prodotti

8.1 AMPIEZZA DELLA GAMMA DI VENDITA

La gamma di vendita si può caratterizzare in ampiezza (tipologia produttiva), profondità (assortimento), e coerenza(affinità dei tipi di prodotti). All’interno della gamma si può avere la distinzione tra prodotti da reddito, che generano imaggiori flussi di cassa per l’impresa, e prodotti strategici, essenziali per collocare i primi. Ipotesi più frequente a livellodistributivo è quello dell’inserimento nella gamma dei prodotti da richiamo, cioè i beni che possono richiamarel’attenzione dell’acquirente sull’intera gamma e contribuire alla vendita dei prodotti da reddito.

8.2 LA PROFONDITA’ DEGLI ASSORTIMENTI

Ogni tipo di prodotto viene portato sul mercato in una varietà di modelli per varie ragioni:

a) Le caratteristiche intrinseche del tipo di prodotto;

b) Le segmentazione della domanda e il posizionamento dell’offerta, da differenziare in funzione dei gruppi diconsumatori da servire;

c) L’invecchiamento dei modelli e la differente capacità di contribuire al reddito d’impresa.

8.2.1 DIFFERENZIAZIONE DEI MODELLI E POSIZIONAMENTO DI MERCATO

Le ragioni di marketing degli assortimenti si legano alla strategia di differenziazione con la quale l’impresa intendeservire più segmenti e nicchie di mercato. La decisione fondamentale concerne il posizionamento, cioè l’insieme diiniziative volte a definire le caratteristiche del prodotto dell’impresa e ad impostare il marketing-mix più adatto perattribuire una certa posizione al prodotto nella mente del consumatore. Il problema del posizionamento si collegadirettamente a quello della segmentazione, cioè alla differenziazione verticale dei prodotti perché completa ladefinizione del rapporto impresa-domanda-concorrenza.

Come vediamo nel grafico l’impresa ha adottato 4 decisioni diverse per quanto riguarda il posizionamento: l’impresa Aha scelto una politica di qualità e di prezzo alto, l’impresa C si è orientata per i prezzi più contenuti e standard qualitativi

Page 37: riassunto "La gestione dell'impresa"

meno elevati, mentre le aziende B e D si sono attestate su posizioni intermedie di qualità e di prezzo del prodotto. Lescelte del posizionamento derivano dalla considerazione congiunta dei fattori di produzione e di mercato e che essepossono essere attuate facendo leva anche su altre caratteristiche dell’azione di marketing. La cosi detta conquistadella nicchia di mercato è legata all’opportunità di offrire ad un certo gruppo di acquirenti un valore unico nellecondizioni di offerta,che assicuri all’impresa il successo durevole nei confronti della concorrenza operante nello stessosegmento. La gamma di vendita è la risultante di tre tipi di scelte:

1. Scelta dei settori di attività;

2. Scelta delle linee produttive;

3. Scelte dei modelli da produrre.

8.2.2 CICLO DI VITA DEL PRODOTTO E NECESSITA’ DEL RINNOVAMENTO DELLA GAMMA

Ciascun prodotto ha un suo ciclo di vita, che si svolge dalla nascita, all’affermazione allo sviluppo e poi al declino. Diconseguenza per l’impresa è importante decidere al ringiovanimento dei prodotti obsoleti e all’inserimento dei prodottinuovi nella gamma di vendita. Ogni prodotto attraversa 4 fasi:

1. Introduzione nella quale inizia ad affermarsi con una crescita molto lenta della vendita;

2. Sviluppo nella quale l’espansione delle vendite ha luogo ad un ritmo molto rapido;

3. Maturità nella quale le vendite continuano a svilupparsi;

4. Declino,fase nella quale il volume di vendita comincia a ridursi per l’obsolescenza del prodotto.

Il ciclo del prodotto può riferirsi alla categoria del prodotto,alla versione del prodotto e alla marca. In generale la curvadel ciclo di vita viene rappresentata con una funzione logistica. Questa curva ha un andamento diverso in relazione allanatura del prodotto e alle politiche di mercato. Nella fase di introduzione del prodotto si generano perdite dovute allalimitatezza della quantità collocata sul mercato;durante lo sviluppo si ottengono dei margini crescenti ;nella fase dellamaturità il prodotto continua a generare profitti elevati;nella fase del declino si perde interesse per il prodotto e imargini di profilo si comprimono tanto da decidere di radiare il prodotto dalla gamma. Questa partecipazione al redditoaziendale è alla base della “matrice del portafoglio prodotti”.In questa matrice per ciascun prodotto la situazionesfavorevole o favorevole dipende dalla quota di mercato detenuta dall’impresa e dal tasso di variazione della domandaglobale. All’interno di questa matrice figurano 4 quadranti:

Prodotti con bassa quota di mercato e lento sviluppo della domanda (prodotto marginale);

Prodotti con bassa quota e rapido sviluppo della domanda (prodotto rischioso);

Prodotti con alta quota e rapido sviluppo della domanda (prodotto di successo);

Page 38: riassunto "La gestione dell'impresa"

Prodotti con alta quota e lento sviluppo della domanda (prodotto da reddito).

Vengono classificati in base al concetto del cash-flow di prodotto.

PRODOTTO MARGINALE: ha un flusso di cassa insoddisfacente, costo elevato, mercato che non cresce dove l’aziendadetiene una quota di mercato modesta;

PRODOTTO RISCHIOSO: ha il cash-flow peggiore, elevati investimenti per fronteggiare un mercato in rapidosviluppo,la quota detenuta è limitata così come i ricavi;

PRODOTTO DI SUCCESSO: cash-flow positivo, anche se deve continuare ad investire risorse per battere laconcorrenza;

PRODOTTO DA REDDITO: l’azienda sfrutta la sua posizione di forza in un mercato poco soddisfacente per laconcorrenza.

Anche se con dei limiti la matrice del portafoglio prodotti può aiutare la direzione aziendale a valutare la potenzialitàeconomico-finanziaria dei prodotti compresi nella gamma di vendita per far si che si determinano le quantità di risorseda investire nelle azioni di marketing.

8.2.3 LA POLITICA DELLA MARCA E LE ALTRE SCELTE CHE RIENTRANO NELLA POLITICA DI PRODOTTO

La politica della marca, insieme a quella del confezionamento del prodotto e dell’assistenza post-vendita, finisce perrappresentare un aspetto della politica del prodotto importante. L’impresa può scegliere tra l’adozione di una marcaindustriale o commerciale e fra quelle di una marca unica per l’intera famiglia di prodotti o di marche distinte perciascun prodotto venduto. La rinuncia ad una politica della marca è frequente da parte delle piccole unità industriali chenon hanno i mezzi finanziari. Il produttore può porsi la scelta fra l’adozione di una o più marche all’interno della gammadi vendita; nel primo caso dove di solito la marca è associata al nome dell’azienda viene sfruttato nel caso di prodotti dilargo consumo,di certi beni durevoli e di quasi tutti i beni strumentali. In altri casi invece può essere necessariospecializzare le marche in modo da ottenere una differenziazione dei prodotti,che può servire per rivolgersi a piùsegmenti del mercato. Quindi è la marca che rappresenta l’unico veicolo di marketing in quanto garantisce la qualità,l’aggiornamento e l’immagine dei prodotti. Successivamente per certi tipi di beni assume importanza sotto il profilopromozionale il tipo di confezionamento. L’industrial packaging per molti prodotti alimentari è divenuto un fattorecompetitivo fondamentale. Nell’ambito della politica del prodotto c’è il problema delle garanzie da fornire ai compratori,comune nella maggior parte dei prodotti, e può essere implicita nel nome del produttore oppure nell’applicazione dimarchi di qualità, e dell’assistenza post-vendita, assicurare assistenza gratuita da parte del produttore di solito entro unlasso di tempo dalla data di acquisto del bene. La garanzia di uso è uno strumento promozionale importante in alcunisettori produttivi.

9. LA POLITICA DI PREZZO

La fissazione del prezzo assume un ruolo importante nell’elaborazione del programma di marketing e assume un rilievoimportante a seconda del mercato servito e del grado di concorrenza tra i produttori. Per certe produzioni è lo Stato afissare i prezzi massimi di offerta e in certe circostanze lo stesso committente stabilisce il prezzo di acquisto del bene oservizio. E’ più importante se l’impresa vende direttamente al consumatore o all’utilizzatore perché determina il prezzofinale di vendita del bene o servizio,obiettivo difficile da raggiungere se vende al distributore. La formazione del prezzofinisce per essere più o meno regolamentata all’interno di mercati oligopolistici soprattutto quando pochi produttoridetengono il controllo del mercato.

9.1 LA DETERMINAZIONE DEI PREZZI DI VENDITA

La determinazione del prezzo di vendita avviene sulla base di alcune premesse:

a) Funzione del prezzo in relazione alla segmentazione del mercato e al posizionamento della marca;

b) Equilibrio volumi-margini da conseguire;

c) Ruolo del particolare prodotto all’interno della gamma di vendita;

d) Peso della politica del prezzo nel marketing-mix.

Il prezzo può essere lo strumento migliore per posizionare il prodotto nell’ambito del segmento di mercato prescelto. Lafissazione del prezzo avviene in due fasi: prima a livello di specifico articolo,poi in funzione dell’intera gamma trattata.La determinazione dei prezzi richiede un processo di approssimazioni successive dove elementi di conoscenza,esperienza e politica generale dell’impresa contribuiscono a definire le soluzioni da adottare. Bisogna definire il marginedi manovra del prezzo che risulta definita da tre elementi:il costo del prodotto,l’elasticità della domanda e la pressionedella concorrenza. Il metodo più usato è quello di aggiungere al costo un margine di profitto;metodo più semplice manon considera le condizioni prevalenti del mercato. Per fare ciò bisogna tener conto dell’elasticità della domanda e deiprezzi praticati dalla concorrenza,poi rispetto a questi l’impresa potrà adottare una politica di imitazione o didifferenziazione. La predeterminazione del costo è collegata alla previsione del volume di vendita e di produzione che asua volta correlata al prezzo cui dovrà essere collocato il particolare prodotto. I dati di costo servono per valutare

Page 39: riassunto "La gestione dell'impresa"

l’opportunità di praticare certe quotazioni. Il ragionamento però è stato semplificato e impostato in un rapporto a piùipotesi di costi-volumi-prezzi. Sulla base degli elementi interni (costi) ed esterni (domanda e concorrenza) si dovrebberodeterminare i limiti di manovra del prezzo, anche se in certi casi questi limiti potrebbero non essere rispettati. Nelleattuali condizioni di mercato si sostiene addirittura che i costi si fanno sui prezzi, cioè il produttore, nel momento in cuisi accerta del possibile prezzo del bene nel mercato, dovrebbe gestire i costi in modo da ottenere un margine positivoper l’impresa. La determinazione del prezzo dovrebbe essere fondata sul valore attribuito al prodotto da parte delconsumatore.

La possibile escursione del prezzo dipende da:

a) La concorrenza reale, cioè la presenza nel mercato di prodotti con caratteristiche più o meno similari a quelle delprodotto considerati;

b) La concorrenza potenziale, ossia la possibile entrata di altri produttori, una volta superate certe soglie di prezzo;

c) La concorrenza indiretta, cioè la minaccia di prodotti sostitutivi;

d) Il grado di differenziazione del prodotto rispetto alla concorrenza;

e) Le qualità del servizio fornito insieme al prodotto.

Il concetto della politica di prezzo è la differenziazione del prodotto. E’ il grado di differenziazione che permette diricavare un premium-price, cioè un differenziale favorevole di prezzo nella vendita del prodotto. La fissazione dei prezzidi vendita è orientata dagli obiettivi e dalle politiche che l’azienda intende perseguire nel tempo breve e nel lungotermine. L’impresa può prefiggersi di conquistare la quota più elevata di mercato nel minor tempo possibile, cercando diraggiungere il numero più ampio di acquirenti fissando un prezzo minimo che gli consente di acquisire una fascia largadi clientela e di recuperare in termini di profitto globali un minor margine unitario (PENETRATURA), oppure di sfruttare almeglio la differente capacità di spesa del consumatore con lo scopo di conquistare segmenti di mercato sempre menoricchi o classi di consumatori disposte a spendere sempre meno per acquistare il particolare prodotto (SCREMATURA), ilcui fine è quello di massimizzare il prezzo unitario come via per massimizzare il profitto globale. La politica dipenetrazione è consigliata quando è possibile ottenere significative economie di scala e la differenziazione del prodottoè annullabile in tempi brevi. La minaccia della concorrenza reale e potenziale e l’opportunità di sfruttare delle economiedi costo fanno scegliere al produttore la conquista rapida della più ampia quota di mercato. La politica di scrematurainvece si preferisce quando il prodotto ha una protezione diffusa nel tempo, non viene accolto subito da larghe fasce diclientela e consente di segmentare redditiziamente il mercato. Una politica di penetratura e di scrematura può essereadottata in fasi successive del ciclo di vita del prodotto e per fasce diverse di clientela. Per determinazione del prezzo divendita non si deve intendere come la scelta di quotazioni articoli per articoli, ma come la fissazione di scarti odifferenziali di prezzo fra i vari articoli compresi in listino. Le decisioni sui prezzi si collegano ad altre scelte di marketingin quanto il livello dei prezzi è un elemento determinante delle politiche di segmentazione del mercato e diposizionamento della marca.

9.2 L’AMMINISTRAZIONE DEI PREZZI DI VENDITA

L’impresa trova conveniente determinare, per il medesimo prodotto, una scala di prezzi, che contribuisca a renderel’offerta più elastica ed omogenea alle modalità secondo cui si manifesta la domanda, oppure si orienta a sfruttare unapolitica di prezzi differenziati in funzione delle marche con cui il prodotto viene proposto al mercato. Un primo problemaè quello della definizione dei margini commerciali, cioè delle detrazioni sul prezzo finale di vendite da praticare agliintermediari mercantili, in quanto l’impresa ha interesse a fissare un prezzo al pubblico e scontarlo in funzione del livellocommerciale dell’intermediario. Una discriminazione dei prezzi finali può essere compiuta anche in rapporto a particolariclienti nell’ambito di margini di discrezionalità attribuiti agli organi di vendita. I prezzi base possono variare poi secondole condizioni contrattuali, i più importanti: i volumi d’acquisto, le modalità di pagamento e il tempo di consegna. Altroelemento rilevante di questa politica è rappresentato dal modo di fissazione del prezzo. I prezzi possono essere:IMPOSTI, quelli da praticare senza sconti ai compratori finali, SUGGERITI, quelli per cui è consentito un certo margine dimanovra, e LIBERI, stabiliti dal produttore, che non vincolano il distributore. L’imposizione del prezzo, realizzata tramitel’indicazione del prezzo sulla confezione, tramite la pubblicizzazione e con il controllo dei rivenditori, ha lo scopo dicreare una migliore immagine della marca e di sorvegliare l’azione distributiva. Politica applicata soprattutto dallegrandi imprese.

10. LA POLITICA DI PROMOZIONE E SVILUPPO DELLE VENDITE

La politica promozionale stabilisce gli obiettivi, le modalità e i mezzi di comunicazione con i vari pubblici e ad essa èconfidato il compito d’inviare informazioni agli interlocutori con cui l’impresa è a contatto. La promozione può esseredefinita in generale come il complesso di azioni poste in essere per indurre, preservare o modificare i modelli dicomportamento degli operari di mercato (consumatori, intermediari, finanziatori, altri produttori, ecc..)allo scopo diritrarre un vantaggio competitivo. Lo scopo è quello di indurre all’acquisto sfruttando le motivazioni che determinano ilcomportamento del consumatore. Sono stati elaborati dei modelli che individuano tre momenti nel processo mentale delconsumatore nel momento in cui decide di spendere parte del suo reddito per l’acquisto di un bene di cui a bisogno:

1. Il momento cognitivo dove si ha la consapevolezza del bisogno da soddisfare e si inizia a porre l’attenzione suiprodotti idonei a tale scopo;

2. Il momento emotivo quando l’attenzione si trasforma prima in interesse e poi nel desiderio di disporre del prodotto;

Page 40: riassunto "La gestione dell'impresa"

3. Il momento attivo in cui si passa alla fase materiale dell’acquisto mediante una comparazione delle varie offerte dimercato.

Le scelte del consumatore sono effettuate soltanto fra le marche che egli conosce o ricorda al momentodell’acquisto,quindi lo scopo della promozione è proprio quello di far conoscere e ricordare il nome del prodotto in mododa ottenere il suo inserimento fra le alternative di acquisto. La politica promozionale può essere realizzata mediante:

a) L’attività di relazioni pubbliche;

b) La pubblicità;

c) La promozione in senso stretto;

d) L’attività persuasiva dei venditori.

Queste attività si collocano in posizioni nell’imbuto promozionale. Si definisce imbuto per sottolineare l’immissionenell’attività promozionale di risorse, diverse per modalità d’impiego e effetti prodotti, allo scopo di sviluppare le vendite.S’intende per pubblicità qualsiasi forma di messaggio impersonale inviato a pagamento da un promotore individuato acoloro che sono o possono essere interessati al prodotto. Viene realizzata dai media ed è di solito attuata medianteapposite campagne necessarie per propagandare un nuovo prodotto, per rivitalizzare un prodotto in declino, perrafforzare l’affermazione della marca e per sottolineare la continuità di presenza del prodotto nel mercato.Un’innovazione importante potrebbe essere l’utilizzo di internet come mezzo d’informazione. Accanto alla pubblicitàpossono, le imprese, rafforzare l’effetto di richiamo con azioni dette di promozione in senso stretto, cioè creare, di solitoper periodi limitati di tempo, particolari incentivi per l’acquisto dei prodotti aziendali. La promozione commerciale si puòrivolgere agli intermediari mercantili (trade marketing) con la concessione di particolari sconti o con l’assenza sul puntodi vendita. Nell’ambito di una combinazione di marketing s’inserisce una “combinazione promozionale”, che deveessere orientata dall’individuazioni dei target-group. I problemi di composizione quali-quantitativa della miscelapromozionale fanno parte della formulazione del “budget pubblicitario”. Il primo problema da risolvere concernel’ammontare dei mezzi da destinare alla promozione delle vendite.

11. LA POLITICA DI DISTRIBUZIONE COMMERCIALE

La distribuzione dei prodotti comporta scelte relative:

1. Alla determinazione del livello di contatto con il mercato;

2. All’intensità della distribuzione;

3. Al tipo degli operatori cui affidare il collegamento del o dei prodotti aziendali;

Le scelte distributive riguardano la tipologia degli sbocchi attraverso cui far defluire i beni posti in vendita, il loronumero e il modo di collegamento. Per conoscere le vie di deflusso delle produzioni, è necessario conoscere la strutturadella distribuzione prevalente nel mercato. Successivamente la scelta del numero di sbocchi attraverso cui avviare iprodotti sul mercato. Ciò riguarda la decisione fra una vendita estensiva, con la massima copertura dei punti finali divendita, o selettiva, attraverso un numero limitato e selezionato di sbocchi. La determinazione qualitativa del tipo disbocchi attraverso cui far defluire il prodotto al consumatore e la definizione del loro numero rappresentano lefondamenta sulle quali poggia la decisione circa il modo di collegamento tra l’azienda e gli sbocchi prescelti. Il primoaspetto concerne il grado di controllo che si desidera conservare sulla domanda finale, mentre il secondo si collega algrado di copertura del mercato, che è funzione del numero dei punti vendita e sul loro peso relativo, per cui la coperturadistributiva va misurata sulla base di due indici molto importanti per valutare il grado di presenza dell’impresa nelmercato servito:la quota numerica dei punti vendita (rapporto tra punti di vendita aziendali e punti di vendita totali) e laquota ponderata (rapporto tra il volume di affari realizzato dai punti vendita toccati dall’azienda e quello ottenuto datutti i punti di vendita). Per quando riguarda gli stadi per cui passa il prodotto per arrivare al mercato ultimo di deflussobisogna scegliere tra canali diretti,canali brevi o canali lunghi. Per quanto riguarda il canale diretto è molto raro nei benidi consumo nel ruolo di canale principale di vendita, tranne nel caso di prodotti d’uso durevoli. Nel comparto delbusiness to consumer l’uso di questo canale viene ostacolato da fattori tecnologici, economici, culturali e giuridici-legali.Le alternative per il produttore di beni di consumo sono quelle della distribuzione all’ingrosso, collegandosi con igrossisti attraverso filiali oppure mediante rappresentanti dislocati nelle diverse zone, e al dettaglio, ricorrendo adagenti di commercio. Se l’impresa intende attuare una strategia di marketing di spinta deve far ricorso a formedistributive particolarmente incisive e penetranti nei confronti del mercato ultimo da raggiungere, se invece vuoleadottare una strategia di marketing di attrazione deve sfruttare lo strumento pubblicitario a cui si aggiungerà lo sforzodistributivo. Nell’ambito della politica stabilita bisogna poi valutare la convenienza del ricorso a certi sbocchi e a certioperatori commerciali e per fare ciò bisogna considerare una serie di elementi quantitativi e qualitativi relativi alledifferenti vie di distribuzione. Tra i principali fattori quantitativi ci sono il costo e l’investimento. Il costo è un vincolofondamentale per l’adozione di determinate alternative di distribuzione e l’elemento segnalatore della convenienzaeconomica di ciascuna soluzione. Il produttore, per lucrare una quota di profitto remunerativo per lo sforzo aziendale,deve dimensionare le sue spese di distribuzione e gli sconti massimi da concedere ai diversi tipi d’intermediari, per farsi che nel complesso i ricarichi di vendita si mantengano entro i limiti stabiliti.

Page 41: riassunto "La gestione dell'impresa"

12. LA QUALITA’ DEL MARKETING: IL “CUSTOMER RELATIONSHIP MANAGEMENT”

Il customer relationship management deve consentire di mantenere un elevato grado di fedeltà dei clienti, in modo daconferire stabilità al portafoglio detenuto. L’incremento della customer retention genera effetti sulla profittabilitàdell’impresa perché:

1. Acquisire un nuovo cliente è un’attività che ha un costo che potrebbe non essere ammortizzato sulla singolatransazione per cui i profitti derivanti dal singolo cliente aumentano dopo che i costi di acquisizione sono statitotalmente coperti;

2. Se i clienti restano fedeli all’azienda e continuano a comprare i suoi prodotti,il relativo flusso di ricavi aumenta nelcorso del tempo,mentre i costi correlati possono ridursi;

3. I consumatori fidelizzati attivano un processo di passa-parola che può raggiungere nuovi potenziali clienti attirandoliverso l’azienda;

4. I consumatori fidelizzati diventano meno sensibili nei confronti di offerte alternative, anche se economicamente piùvantaggiose.

L’obiettivo finale del marketing relazionale è il miglioramento della profittabilità della clientela nel lungo termine e lamassimizzazione del customer lifetime value. Definisce il valore che un cliente può generare per una determinataimpresa. In termini di ricavi può essere calcolato moltiplicando il valore medio delle transazioni per la frequenza annuadi acquisto e per il ciclo di vita atteso del cliente. Le radici concettuali del CRM sono impiantate nel relationshipmarketing dal quale trae alcuni principi fondamentali: i clienti sono asse dell’impresa, che devono essere gestiti inun’ottica di lungo termine; la profittabilità dei clienti varia e non tutti i clienti sono ugualmente desiderabili; conoscendosempre meglio i bisogni, le preferenze, i comportamenti di acquisto dei consumatori, le imprese possono costruireun’offerta a misura di ciascun cliente, così da allungare l’orizzonte temporale della relazione, massimizzando il valorecomplessivo del portafoglio-clienti. In questo modo la strategia di marketing riuscirà a proiettarsi nel lungo termine.

Capitolo Quattordicesimo: LA GESTIONE DELLA PRODUZIONE

1. IL RUOLO DELLA FUNZIONE DI PRODUZIONE NELLA GESTIONE AZIENDALE: IL SISTEMA OPERATIVO

La funzione di produzione riguarda il processo di trasformazione dei beni, ossia l’insieme di operazioni mediante il qualele risorse acquistate dall’impresa sono tramutate in prodotti finiti da collocare nel mercato. Il ciclo produttivo si pone alcentro del processo di gestione, dovendo essere preceduto dalla fase degli approvvigionamenti e seguito da quelle dellevendite, intervallato con scelte di marketing, con la funzione finanziaria, con la gestione del personale e con le strategiedi ricerca e sviluppo di un’impresa. La funzione di produzione è collegata alle altre funzioni aziendali. Le scelte diproduzione si collocano al centro delle strategie aziendali perché impegnano, per tempi non brevi e in misura rilevante,le risorse finanziarie e umane disponibili. La produzione si svolge secondo cicli che debbono essere coordinati nelle fasidi predisposizione degli input, di trasformazione e di ottenimento degli output. La logica in entrata, riguardantel’approvvigionamento e la gestione delle scorte di materiali; il processo di lavorazione; e la logistica in uscita si leganoin un sistema operativo che diviene il sistema centrale di gestione. Il punto cardine dell’efficienza è rappresentato dalcoordinamento tra i processi d’approvvigionamento, di produzione e di vendita(SLIDE N°26 ORGANIZZAZIONE DIIMPRESA.). Questo coordinamento si complica a causa della varietà del mix produttivo. La necessità di offrire unagamma di prodotti al consumatore o utilizzatore richiede che siano coordinati non solo i tempi dei tre processi, maanche gli assortimenti e le quote di produzione dei vari beni. Il coordinamento assume aspetti quali-quantitativi,concretandosi nel disciplinare i flussi di approvvigionamento e di lavorazione in funzione prevalentemente delleesigenze di mercato. Tenere raccordati nel tempo e nelle quantità questi flussi significa ridurre i tempi e i costi difunzionamento dell’intero sistema operativo: il risultato è quello di migliorare il time-to-market, di ridurre gli immobilizziin scorte, di comprimere i tempi d’ozio dei fattori produttivi. La FILIERA PRODUTTIVA è il complesso delle imprese chepartecipano alla trasformazione di una serie di materiali in prodotti finiti, contribuendo così alla realizzazione di un beneda destinare al mercato di consumo o ad utilizzatori industriali. L’organizzazione della produzione porta a relazioni edaccordi interaziendali perché nessuna azienda è in grado di compiere da sola l’intero ciclo di trasformazione dellerisorse originarie. Il fenomeno del DECENTRAMENTO PRODUTTIVO ha un carattere strategico. La grande impresatende ad organizzare i suoi cicli di produzione sfruttando le economie di sistema ed ha finito per dedicarsi alla cura delmercato e al coordinamento generale delle risorse produttive esterne. Le scelte che ricadono nell’area della produzionepossono essere distinte in tre gruppi:

a) Scelte strategiche, il cui obiettivo è di concorrere alla creazione del vantaggio competitivo;

b) Scelte strutturali, il cui scopo è di costruire il sistema operativo,coordinando le risorse disponibili;

Page 42: riassunto "La gestione dell'impresa"

c) Scelte di gestione operativa, la cui finalità è di razionalizzare l’operatività del processo produttivo mediante laprogrammazione e il controllo della produzione.

2. I RAPPORTI TRA STRATEGIA DI PRODUZIONE E STRATEGIA COMPETITIVA: LE SCELTE DI LUNGO PERIODO

La funzione di produzione è direttamente correlata con la strategia competitiva perché o consente di perseguirel’obiettivo dei bassi costi necessari per una strategia di price-competition o a concorrere a garantire la qualitàessenziale per una strategia di differenziazione. La strategia di produzione deve assicurare il migliore contributo allacreazione del vantaggio competitivo. Le priorità strategiche possono essere rappresentate dalla qualità dellatrasformazione, dalla flessibilità del ciclo produttivo, dal basso costo di produzione e dal servizio reso alla clientela. Allaproduzione può essere confidato un ruolo di neutralità rispetto alla concorrenza, ovvero deve allinearsi al progresso deicompetitori per non generare effetti sfavorevoli sotto il profilo della formulazione aziendale; oppure può esserleattribuito un vero e proprio ruolo attivo nel senso che, proprio tramite essa, l’impresa deve conseguire un vantaggiorispetto alle altre aziende. La tecnologia non può essere più considerata come il tradizionale know-how, rappresentatodalla procedura e dalle modalità di attuazione del ciclo di trasformazione di determinati input ma deve essere piuttostointesa come l’abilità a rinnovare le caratteristiche qualitative e quantitative della funzione di produzione. Sul pianostrategico le principali scelte riguardano:

a) La determinazione del mix e delle quantità di produzione;

b) La progettazione dell’impianto;

c) La logistica.

3. L’ORGANIZZAZIONE DEL PROCESSO DI PRODUZIONE: LA TIPOLOGIA DEI SISTEMI PRODUTTIVI

Per individuazione delle differenti tipologie di processo di lavorazione. Si identificano 4 tipi fondamentali di lavorazione:

a) Produzione di beni per unità distinte;

Page 43: riassunto "La gestione dell'impresa"

b) Produzione di massa differenziata;

c) Produzione di massa standardizzata;

d) Produzione omogenea continua.

Questi tipi di produzione si ordinano secondo il grado di ripetitività e di uniformità dei prodotti. Il primo caso è quello diproduzioni che si differenziano per caratteristiche sostanziali in rapporto ad indicazioni specifiche del committente. Laproduzione su commessa comporta un’elevata capacità di adattamento alle richieste della clientela,attrezzature menospecializzate e personale più versatile. Ogni commessa richiede l’apposita programmazione dell’intero ciclo di lavoro edil costante controllo del suo avanzamento. Una commessa può essere singola (progetto) o ripetitiva (job); nel primocaso l’output di processo è unico e spesso caratterizzato da tempi lunghi di realizzazione o da dimensioni considerevoli.Nel secondo caso l’output ha dimensioni inferiori e può essere rappresentato da più unità, simili tra di loro, e comunqueprodotte in numero limitato. All’altro estremo si colloca la produzione continua, caratterizzata dalla continuità edall’indifferenziazione dei prodotti posti in essere; è il modello tipico delle lavorazioni petrolchimiche, del cemento edell’acciaio. L’output presenta una varietà pressoché nulla e viene realizzato in quantità elevate e commercializzato apeso o con altra opportuna unità di misura. In posizione intermedia si situa la produzione di massa. L’organizzazione diuna produzione di massa standardizzata (ripetitiva) è comune nelle situazioni in cui è possibile sfruttare a fondo ilprincipio delle economie di scala. La produzione assume il carattere delle parti componenti e sulla creazione delladifferenziazione in fase di montaggio finale. Si definisce per lotti in quanto si sviluppa nell’allestimento di particolariserie di prodotti, caratterizzate da alcune differenze. Richiede una programmazione più flessibile del ciclo produttivopoiché bisogna predisporre le operazioni in funzione delle caratteristiche dei lotti da allestire. Si può riconoscere unadistinzione fondamentale tra OUTSOURCING e DEINTEGRAZIONE. L’outsourcing è il principio in base al quale leaziende acquistano all’esterno funzioni logistiche, produttive ed eventualmente accessorie, al fine di ottenere vantaggiin termini di maggiore flessibilità nei costi (da fissi a variabili), riduzione fabbisogni finanziari e rischi, concentrazioneknow how, economie di scala e di rete per gli operatori specializzati, innovazioni e investimenti, focalizzazione sul corebusiness. La deintegrazione è una scelta organizzativa che rappresenta una tendenza diffusa nell’attuale economiaglobale, rinunciando a certe fasi di lavorazione, prima svolte all’interno dell’organizzazione. Un prodotto è finito quandoesce dal ciclo di lavorazione di un’azienda (impresa produttrice), mentre diventa finale quando non richiede ulterioritrasformazioni per essere destinato ad un particolare uso (utilizzo diretto per il consumo o per produrre altri beni).Mentre è finale quando non richiede ulteriori trasformazioni per essere destinato ad un particolare uso. Le impresepossono suddividere la loro produzione tra più stabilimenti. In queste aziende multiplant l’organizzazione dei cicliproduttivi si amplia fino a comprendere un modello di rete di impianti differentemente articolato da caso a caso. Quandoun’azienda dispone di più unità produttive, oltre al problema del dimensionamento di ciascuna di esse, si presental’esigenza di scegliere un determinato modello di suddivisione dei cicli o delle linee di produzione. Le soluzioni adottabilisono:

a) Un modello di ripetizione degli impianti quando ogni centro operativo lavora fondamentalmente gli stessiprodotti;

b) Un modello di parcellizzazione del ciclo di produzione allorché ciascun impianto svolge una certa parte delprocesso di fabbricazione,producendo parti o semilavorati da avviare ad alcuni stabilimenti centrali di montaggi;

c) Un modello di specializzazione,quando ogni impianto produce un particolare tipo di prodotto inserito nellagamma aziendale.

4. LA PROGETTAZIONE DELL’IMPIANTO

La disposizione fisica delle strutture tecnico-produttive costituisce il LAY-OUT, disposizione delle strutture edilizie, dellemacchine,delle attrezzature e dei posti di lavoro all’interno della fabbrica che deve contribuire all’ottimazione delle 4“M” (men, materials, machines, money) rendendo più rapido e diretto il movimento dei materiali in corso di lavorazionee riducendo i tempi di ozio. La progettazione del LAY-OUT è elemento fondamentale dell’allestimento dell’impianto perchéincide sull’ampiezza e sull’utilizzazione degli spazi coperti degli stabilimenti. Con la scelta del lay-out si definiscono lacollocazione dei posti di lavoro nella sequenza ottimale richiesta dal tipo e dalle condizioni di produzione e sidisciplinano i flussi di materiali e l’ubicazione dei servizi di fabbrica. La concezione del lay-out è legata allaprogrammazione del ciclo di produzione. La sistemazione dei macchinari all’interno dello stabilimento può seguire duecriteri: i macchinari possono essere posizionati in sequenza secondo le lavorazioni successive necessarie per giungerealla realizzazione di un certo prodotto finito (LAYOUT PER PRODOTTO) oppure per essere accorpati per tipo dioperazioni/attività svolta (LAYOUT FUNZIONALE). L’impresa a volte però è costretta a decidere di adottare una particolareforma di organizzazione legata alla tecnologia utilizzata che può imporre processi di lavorazione a ciclo:

Continuo, la lavorazione si svolge ininterrottamente dall’ingresso in ciclo dei materiali fino all’uscita del prodottofinito. Si attua questo processo su produzione per processi o per convenienza economica.

Intermittente, suddividendo il processo in fasi ed assegnando ciascuna di queste ad un particolare reparto ocentro operativo. Viene preferito nei cicli di produzione meno facilmente automatizzabili e richiedenti prestazioni

Page 44: riassunto "La gestione dell'impresa"

di lavoro differenziate.

Misto, organizzato in parte in modo continuo e in parte in modo intermittente. Si attua perché alcune fasipossono essere totalmente automatizzate mentre altre richiedono operazioni complesse ed affidate ad altrireparti.

Le scelte qualitative nella progettazione dell’impianto riguardano la determinazione del layout, il livello di tecnologia el’organizzazione del lavoro in fabbrica e gli obiettivi di queste scelte sono quelli di disporre di strutture tecnicamenteefficienti e in grado di minimizzare i costi di produzione e i rischi di mercato. L’esigenza di fondo diviene quella diassicurare flessibilità al sistema di produzione e a questo proposito bisogna distinguere tra:

Il grado di elasticità o FLESSIBILITÀ ECONOMICA, ovvero la capacità dell’impianto di rimanere competitivo anche incondizioni di parziale utilizzazione;

Il grado di FLESSIBILITÀ TECNICA, ossia la capacità dell’impianto di adattarsi a produrre beni differenti senza incorrerein costi non facilmente sopportabili sotto il profilo competitivo.

I progressi in fabbrica sono stati straordinari sotto due profili: L’AUTOMAZIONE, che ha raggiunto un suo puntoottimale mediante l’informatica, che consente il governo dell’intero ciclo mediante computer, coordinano le singole fasidel processo e di produrre a ciclo continuo su “commessa”e la robotica che ha permesso di sottrarre all’uomo i lavoripiù faticosi, che vengono svolti da robot sempre più sofisticati. Per la flessibilità, il governo computerizzato del processoha reso possibili variazioni nelle fasi di lavorazione con tempi di preparazione ed attrezzaggio (setup) nell’ordine dipochi minuti. Oggi, nell’allestimento dell’impianto,è frequente l’applicazione di sistemi computerizzati per laprogettazione, per la trasformazione industriale e per la gestione dei fabbisogni dei materiali. Le imprese hanno ancheinteresse nel conferire maggiore flessibilità alle strutture di produzione per poter disporre di capacità di adattamento aimutamenti dell’ambiente e del mercato. Il problema è quello di ottenere la flessibilità senza rinunciare ai vantaggidell’automazione, dati i riflessi positivi da questi generati sull’economicità del processo produttivo.

5. IL DIMENSIONAMENTO DELLA PRODUZIONE E DELL’IMPIANTO

L’obiettivo del DIMENSIONAMENTO dell’impianto di produzione è quello d’individuare la dimensione ottimale,definibile teoricamente come quella idonea a minimizzare il sosto unitario di prodotto, collegandosi al concetto dicapacità produttiva massima, non sempre misurabile, e al concetto di rischiosità che implica la stima del grado disfruttamento dell’impianto in rapporto al suo punto di pareggio. E’ opportuno tenere distinte due scelte: ladeterminazione della capacità produttiva massima dell’impresa e quella della potenzialità ottimale degli impianti. Ladecisione circa il volume globale di produzione deriva dalla considerazione dei fattori di mercato, cioè dalla previsionedelle quote di vendita ottenibili nei mercati in cui opera l’impresa. Questa previsione dovrà essere proiettata ad un certoperiodo di tempo. L’attività di produzione deve adattarsi al ciclo di vendita di solito contraddistinto da un’accentuatavariabilità nel tempo e nello spazio. Il dimensionamento del processo produttivo può avvenire, a parità di volume annuodi affari, su livelli più o meno elevati in rapporto all’esigenza di soddisfare in qualsiasi momento la domanda di punta

Page 45: riassunto "La gestione dell'impresa"

oppure quella media. Quindi gli impianti saranno caratterizzati da un grado di utilizzazione che andrà via viadiminuendo all’aumentare della variabilità del ciclo di vendita. In pratica ciò non accade perché nell’ipotesi diproduzione di beni e non di servizi, l’equilibrio temporale rispetto alle vendite è ottenuto mediante la creazione di scortedi prodotti utilizzabile per rispondere al variare dell’andamento delle richieste del mercato. Nel caso del ricorso allescorte, il problema si concreta nel dimensionare la capacità di produzione intorno al livello medio della domanda perpoter soddisfare le esigenze attuali e prospettiche del mercato producendo un quantitativo costante di output. Il regimedi produzione andrebbe regolato in funzione dell’entità e del periodo in cui potrebbero verificarsi le maggiori richiesteda parte del mercato. Per ottenere il bilanciamento tra quote di produzione e richieste del mercato l’impresa puòricorrere ad altri strumenti, quali l’aumento dei turni di lavoro, il lavoro straordinario, il lavoro interinale e l’acquisto diprodotti da terzi. L’impresa è del tipo mono-plant quando l’attività produttiva si realizza in un solo stabilimento. Lascelta dell’ampiezza di un impianto deriva dall’effetto sui costi unitari di produzione di una diversa potenzialità dilavorazione. La potenzialità di un impianto è definita dalla potenzialità della fase terminale del processo. Un impianto èun sistema complesso, ciascuna macchina rappresenta un fattore quanto il cui costo prevalente è in funzione del fluiredel tempo più che della sua effettiva utilizzazione. L’impresa tende allo sfruttamento integrale dei fattori per ridurre alminimo il costo unitario di produzione. Il problema sorge per il fatto che non tutte le macchine hanno una capacitàproduttiva uguagliabile in ordine al numero delle operazioni da realizzare nella stessa quantità di tempo. Questocomporta l’acquisto di una seconda macchina con un salto verso l’alto dei costi fissi. Questi sbalzi di costi fanno variarel’altezza del costo unitario in rapporto al grado di utilizzazione dell’impianto. Ogni azienda opera con una certa strutturadi costi e di ricavi con una differente “leva operativa”. La condizione di leva operativa si traduce nell’opportunità didiminuzione dei costi globali unitari di produzione all’aumentare del volume prodotto, in funzione del miglioresfruttamento dei costi fissi. Più gioca la leva operativa,più aumenta il rischio, più cresce il vantaggio generatodell’espansione dell’attività produttiva. La scelta del livello di leva operativa s’inquadra all’interno della strategiaaziendale, poiché l’imprenditore deve decidere fino a che punto sfruttare questo vantaggio potenziale. E’ semprenecessario comunque raggiungere un volume minimo di attività per recuperare integralmente i costi fissi e variabili, ilcosiddetto punto di pareggio o break-even point, poiché in quella condizione per l’impresa dovrebbe essere indifferenteprodurre o rimanere inattiva. Il punto di pareggio si ricava graficamente con la costruzione del diagramma di redditivitàche con un sistema di assi cartesiani riproduce l’andamento dei costi fissi, dei costi variabili e dei ricavi al variare dellequantità prodotta. A questo concetto si lega quello del MARGINE DI SICUREZZA rappresentato dalla differenza tra ilprevisto volume di utilizzo dell’impianto e quello a cui corrisponde il punto di pareggio.

6. LA PROGRAMMAZIONE DELLE OPERAZIONI DI PRODUZIONE

Nella programmazione della produzione occorre distinguere l’ottica del lungo termine da quella di breve termine.Definire il programma di produzione significa ricercare la soluzione più economica di impiego delle risorse perraggiungere il livello e la composizione del mix produttivo fissato nel programma annuale di gestione. Questa soluzioneva comunque tenuta sotto controllo e ridefinita durante l’esercizio. Un’efficace programmazione della produzione devearticolarsi:

a) Nel medio-lungo termine per precostruire la capacità produttiva necessaria in rapporto agli obiettivi strategicidell’impresa;

b) Nel breve termine per allocare le risorse disponibili, in modo da raggiungere i traguardi di produzione posti dalprogramma annuale di vendita;

c) Nel brevissimo termine per organizzare il lavoro dei centri di produzione in funzione delle quote settimanali,quindicinali o mensili da realizzare.

La programmazione della gestione produttiva richiede una particolare attenzione perché si traduce in scelte cheimpegnano l’azienda per tempi non brevi e che esigono l’investimento di cospicue risorse finanziarie. La complessitàdella programmazione della produzione è funzione del sistema di fabbricazione adottato nell’azienda e della suaregolarità nel tempo. Nell’ipotesi di produzione di serie, organizzate con cicli continui, la programmazione assume uncarattere standard e si attua mediante procedure che possono essere agevolmente automatizzate; nell’ipotesi diproduzione di beni per unità distinte per le quali bisogna programmare la commessa di lavorazione, il problema assumeaspetti sempre nuovi e richiede procedure particolari. Nei casi di produzione “make to stock” (per il magazzino ovverosu previsione), l’oggetto della programmazione, vale a dire quello che i programmi considerano come output, sarà ilprodotto finito,mentre nel caso di “assemble to order”(produzione di componenti per il magazzino e assemblaggio deglistessi solo dopo la ricezione dell’ordine) l’oggetto della programmazione saranno proprio i componenti.

7. IL CONTROLLO DI EFFICIENZA DELLA PRODUZIONE: FATTORI STATICI E DINAMICI

Il controllo di produzione riguarda sia il ciclo di svolgimento delle operazioni produttive sia per le qualità dei prodottifiniti da destinare al mercato. Il suo obiettivo è quello di prevenire anomalie nel ciclo e nei prodotti, al duplice scopo dievitare di sopportare costi a vuoto e di garantire la qualità al consumatore. Nell’area della produzione il controllodovrebbe articolarsi nel:

1) Controllo dei risultati di produzione; questo tipo di controllo si estrinseca nel calcolo e nell’analisi di indici diproduttività;

2) Controllo di qualità di prodotti; si tratta di un controllo operato su campioni di materiali, utilizzando tecniche di tipostatistico;

3) Controllo economico o di valore (value analysis), per individuare le aree di risparmio di costi nella funzione produttiva.

Page 46: riassunto "La gestione dell'impresa"

Il concetto base è che è possibile comparare alternative o singole fasi di produzione al fine di individuare quella piùeconomica. In questo modo si punta ad ottimizzare l’impiego delle risorse ed evitare operazioni superflue. L’importanzadell’analisi del valore è comprovata dal consistente risparmio di costi conseguente alla sua applicazione in azienda.

I principali fattori di efficienza nel processo produttivo sono rappresentati:

a) Dallo sfruttamento ottimale dell’impianto;

b) Dalla razionalizzazione dei consumi di materie prime e ausiliarie mediante riduzione di sfridi, perdite e cali dilavorazione;

c) Dalla produttività dei gruppi di lavori mediante il miglioramento dell’organizzazione e la formazione del personale;

d) Dall’idoneità dei servizi di supporto alla produzione.

All’interno degli elementi richiamati si combinano fattori statici o strutturali di efficienza e fattori dinamici od operativi,con la conseguenza che l’ottimizzazione del processo è sempre la risultante di una struttura tecnologicamente avanzatae di un’organizzazione altamente coordinata. Ad essa contribuiscono gli investimenti di ammodernamento dellestrutture impiantistiche e gli investimenti organizzativi. Un indice sintetico per valutare il grado di sfruttamentocomplessivo delle risorse disponibili è dato dal rapporto tra le ore produttive (impegnate) e quelle teoricamenteimpegnabili. Un altro obiettivo di fondo dell’organizzazione della produzione è costituito dalla riduzione degli scarti,dovuti a difetti dei materiali o di lavorazione. Questi possono essere relativi sia a materie prime e semilavorati sia aprodotti finiti. Nel caso di materie prime e semilavorati il danno consiste nello spreco di materiali e ore di lavoro conconseguente riduzione dell’output produttivo; nell’ipotesi di prodotti finiti, se la difettosità viene accertata in house, cioèprima che il prodotto lascia la fabbrica, essa può essere associata ai costi di rilavorazione. Se la difettosità vieneaccertata dopo l’invio del prodotto al cliente, oltre ai danni economici, si subiscono danni d’immagine. Il problema dellaresa di prodotti difettosi o ritenuti tali dal clienti comporta degli oneri di amministrazione collegati alla gestione delfenomeno. Da ciò l’assoluta importanza del controllo di qualità che si pone come uno strumento essenziale di efficienzadella gestione produttiva nel suo complesso. Il total quality management riguarda la garanzia del servizio ottimale alcliente, non solo per quanto concerne la validità del prodotto ma anche per le modalità e i tempi di consegna,l’assistenza prima, durante e dopo l’acquisto, la gestione corretta di tutti i termini contrattuali. Si tratta di un approccioorientato al miglioramento continuo ed alla responsabilizzazione dei vari livelli gerarchici presenti nell’organizzazioneaziendale. Il TMQ richiede la costruzione di valori aziendali condivisi congruenti con le finalità da raggiungere el’applicazione di procedure molto rigorose e precise. L’impresa deve impegnare considerevoli sforzi e mezzi finanziariper curare la formazione del personale e per procedere alla corretta progettazione di sistemi, che debbono risultareefficaci ed economicamente sostenibili. Il controllo comporta costi rilevanti e deve rendere in misura più cheproporzionale rispetto ai costi sostenuti.

Page 47: riassunto "La gestione dell'impresa"

Capitolo Quindicesimo: LA GESTIONE DELLA FINANZA: INVESTIMENTI E FINANZIAMENTI

1. LA GESTIONE FINANZIARIA

La gestione finanziaria deve permettere la gestione caratteristica. Oltre a trovare i fondi per finanziare il fabbisognodell’impresa, la gestione finanziaria è responsabile anche di come vengono usati i capitali. Questa gestione si occupaquindi di scegliere le decisioni e operazioni per reperire e usare le fonti. Per essere ottimale la gestione deve cercare dimantenere l’equilibrio tra le fonti e gli impieghi nel lungo, breve e brevissimo periodo. In particolare deve mantenere 3equilibri:

- ECONOMICO: tra costi e ricavi, per cui dalla differenza tra i due deve generarsi un profitto;

- FINANZIARIO: tra impieghi e fonti di capitale

- MONETARIO: tra entrate e uscite di cassa per mantenere la liquidità.

In teoria nel lungo periodo entrate e uscite corrispondono, ma nella gestione corrente è normale che non sia così, a causadei costi e ricavi “differiti” o “anticipati”.I responsabili della finanza devono curare, insieme ai responsabili delle altre funzioni, i rapporti con la clientela, fissare lecondizioni di pagamento, gestire il patrimonio mobiliare e immobiliare e verificare la fattibilità dei progetti I compitifondamentali di questa funzione sono dunque 3:

- Programmazione finanziaria a lungo, breve e brevissimo termine;

- Gestione del piano finanziario- governo della liquidità.

2. LA SCELTA DEI PROGETTI DI INVESTIMENTO

I problemi di fondo della gestione sono la programmazione degli investimenti e delle fonti di copertura. Nel scegliere gliinvestimenti le risorse finanziarie possono essere un vincolo assoluto o relativo. Assoluto quando non è possibiletrovare altri mezzi per attuare l’investimento. Relativo quando il costo dell’investimento è più della redditività cheporterebbe al capitale. Gli investimenti possono essere sia di tipo strategico, e guidano allora lo sviluppo industriale, sialegati a progetti specifici su singole operazioni di immobilizzo. Quelli strategici sono quegli investimenti che potrebberomodificare la posizione competitiva dell’impresa, mentre quelli operativi sono legati solamente a decisioni alternativeche non influenzano le scelte strategiche. La scelta degli investimenti rientra in fase di formulazione di strategie aziendali,e si basa su una procedura detta capital budgeting, fondata su tecniche decisionali avanzate. Ingenerale un investimento,oltre ai fattori etici più o meno presenti, è sempre valutato in base al rischio e al profitto, per cui in situazione di parità sisceglierà quello che porterà a margini più alti di profitto a fronte di un rischio più basso.

3. PREVISIONE DEL FABBISOGNO FINANZIARIO L’impresa ha bisogno di capitali per finanziare gli investimenti e per la gestione corrente. In generale il fabbisognofinanziario è dato dal capitale fisso, cioè quello che serve a finanziare le immobilizzazioni, e da capitale corrente, chefinanzia il ciclo acquisti-produzione-vendite.

FABBISOGNO FINANZIARIO = CAPITALE FISSO + CAPITALE CORRENTE

Il fabbisogno varia a seconda del momento in cui si trova l’impresa, per cui in fase di startup ha bisogno di un tot perpartire, mentre in altre fasi ha necessità legate alla gestione corrente. Quando si ha bisogno di avere molti impianti, equindi molte immobilizzazioni, è necessario avere più capitale fisso, mentre il capitale corrente è più legato a necessità dibreve periodo (entro l’anno). Di solito il ciclo di produzione dura meno di quello economico, perché il primo parte soloquando riceve i mezzi per farlo dal ciclo economico. Inoltre finita la produzione ci vuole del tempo prima che si reintegrinoi ricavi. Invece tra ciclo economico e finanziario è diverso, perché sono in funzione delle dilazioni concesse ai cliente oottenute dai fornitori. Quando acquisti e vendite sono regolati in contanti, i 2 cicli coincidono e si sovrappongono, mentrenel caso di dilazioni o anticipi anche se i due cicli restano uguali uno dei due sarà posticipato o anticipato rispetto all’altro.Il capitale circolante è costituito da:

- Scorte necessarie ad alimentare le vendite;- Crediti verso clienti;- Debiti verso fornitori;- Attività finanziarie che possano assicurare liquidità;- Altre attività o passività correnti.

Page 48: riassunto "La gestione dell'impresa"

Nell’impresa è quindi importante avere sott’occhio costantemente il fabbisogno finanziario netto, per capire come usare lefonti in esubero, quando ce ne sono, o trovare nuove fonti di finanziamento, qualora sia necessario. Gli strumenti adisposizione per capire questa dinamica sono l’analisi dei flussi di capitale circolante e l’analisi dei flussi monetari. Lagestione finanziaria deve garantire la solvibilità (equilibrio finanziario) e la liquidità (equilibrio monetario), ecco perchéserve fare 2 analisi.

4. LE SCELTE DI STRUTTURA FINANZIARIA: MINIMIZZAZIONE DEGLI ONERI E DEL RISCHIO FINANZIARIO

La struttura finanziaria è data dall’insieme delle fonti di copertura aziendale ed è legata al tipo di assetto proprietariodell’impresa. Il finanziamento con capitale proprio, leasing, capitale di terzi ecc, dipende dal grado di controllo che vuoleavere il proprietario, infatti aumentare il capitale potrebbe voler dire fare entrare altri soci, e quindi avere meno potere,oppure diventare più dipendente dalle banche. Alcuni fattori incidono sul fabbisogno di capitale fisso, altri sul fabbisognodi capitale circolante, ma in generale il fabbisogno può essere coperto:

- Dalla dotazione di mezzi propri;- Dal risultato economico;- Dal finanziamento interno dei soci;- Dal finanziamento esterno.

La gestione finanziaria ha l’obiettivo di assicurare: omogeneità, flessibilità, elasticità e economicità alla strutturafinanziaria.Omogeneità: uso di capitali omogenei al fabbisogno da coprire. Se finanzio immobilizzazioni lo faccio con mezzi finanziaridi lungo termine e viceversa;Flessibilità: possibilità di modificare la struttura finanziaria in base al fabbisogno, per cui libero o attraggo fondi a secondadelle prospettive di ritorno economico che ho, migliorando così il risultato finanziario. La flessibilità dipende dallacombinazione delle fonti di finanziamento. Si cerca l’equilibrio tra fonti e impieghi. Flessibile: si modella in base alleesigenze della gestione;Elasticità: una struttura è tanto più elastica quanto più è possibile trovare soluzioni di espansione. Questo significa che chisceglie le fonti di finanziamento, ha più possibilità tra cui scegliere. Si cerca di ampliare il processo di scelta delle fonti difinanziamento. Elastica: può essere espansa.Economicità: si deve massimizzare la differenza tra il rendimento dell’investimento e la costosità del capitale. La gestionefinanziaria è orientata alla minimizzazione degli oneri e del rischio. Il rischio è legato allo squilibrio che può verificarsi trafonti e impieghi, rischio di insolvenza, e a carenze occasionali di cassa, rischio di illiquidità.

Page 49: riassunto "La gestione dell'impresa"

L’illiquidità è comunque sinonimo di incapacità a gestire i flussi correnti e se non viene analizzata in manieraapprofondita, può portare all’insolvenza.

5. LA LEVA FINANZIARIA

Ogni impresa ha bisogno di un fondo che le permetta di coprire le esigenze di avviamento e di mantenimento e questofondo è destinato a crescere in base alla crescita delle dimensioni aziendali. Il fabbisogno è dato da 4 esigenze:

- Strutturali: permane nel tempo ed è legato alle caratteristiche della struttura;- Corrente: permane nel tempo ed è legato al volume di attività della gestione corrente;- Straordinario: legato a esigenze di lungo periodo che cessano in un ampio arco di tempo;- Occasionale: legato a fenomeni imprevedibili che si risolvono in poco tempo.

A seconda del fabbisogno che deve coprire, l’azienda cercherà capitali a diversa scadenza e con diverse modalità divincolo. Una delle scelte fondamentali riguarda proprio il livello di indebitamento da scegliere per l’impresa. Oltre aconsiderare la rischiosità e la rigidità legate all’aumento della situazione di debito, sarà opportuno valutare l’effetto delfattore leva finanziaria. Questo fattore può migliorare o peggiorare la redditività: la migliore se il reddito sarà superiore alcosto dell’indebitamento. La peggiora se invece costa più indebitarsi di quanto se ne ricavi. Si parla di leva persottolineare la capacità dell’indebitamento di ampliare la redditività aziendale. Da cosa dipende l’effetto leva? Dalladistanza tra il rendimento netto del capitale investito e il costo reale del capitale preso a prestito: caricando gli onerifinanziari a conto economico capisco la cifra che risparmierei, a questo punto sottraggo tale cifra agli interessi da dare alfinanziatore. Il risultato, cioè il costo reale del capitale, servirà anche per capire se preferisco finanziare l’investimento concapitale proprio o con capitale di terzi. Altro aspetto fondamentale, in questa scelta, è la congiuntura del mercato, per cuiin caso di congiuntura favorevole l’effetto leva è di solito positivo, perché i ritorni sono superiori al costo del capitale presoa prestito, ma se il segno cambia, cambia anche l’effetto leva.

6. LE PRINCIPALI FONTI DI FINANZIAMENTO

Le scelte di finanziamento interessano periodi lunghi e sono legate ai diversi tassi di redditività che ci saranno inquest’arco di tempo e a condizioni vincolanti di partenza. Il capitale proprio è di solito una forma di finanziamentodurevole, mentre l’indebitamente può essere a breve o brevissimo termine. Il finanziamento interno può essere di 3tipi:- L’ autofinanziamento è il reinvestimento in azienda dei profitti. In qualunque impresa che si consideri equilibrata, unaparte degli investimenti dovrebbe derivare dall’autofinanziamento, così da immobilizzare parte dei profitti lucrati;

Page 50: riassunto "La gestione dell'impresa"

- Se invece ci fosse bisogno di un finanziamento occasionale, i soci potrebbero fare dei finanziamenti diretti,anticipazioni o prestito obbligazionario;

- Quotazioni in borsa, cioè mercato mobiliare, con cui si colloca parte del capitale sociale tra i risparmiatori. In questomodo è possibile ampliare la struttura facendo aumenti di capitale e successivo collocamento azionario. Altro tipo è lapartecipazione di venture-capitalist, in veste di investitori istituzionali.

Oltre a queste modalità, c’è poi il ricorso alle fonti esterne, tra cui la più diffusa è il credito bancario, oltre airisparmiatori, gl’investitoti, i dipendenti e i fornitori. Finanziamento da fonti esterne:

- Credito bancario: il finanziamento è di lungo periodo se si fa un mutuo, oppure di breve in altri casi. Proprio perchécosì diffuso a livello di finanziamento d’imprese, il credito si è specializzato proponendo operazioni autoliquidantesi e nonautoliquidantesi. Le autoliquidantesi sono anticipi concessi alle imprese che vantano crediti su terzi e che quindi siestinguono al momento dell’incasso. Le non autoliquidantesi sono fidi allo scoperto, per cui la banca chiede garanziepersonali o reali. A livello bancario ci sono poi altri strumenti disponibili, come i crediti di firma, per esempio lefidejussioni. Per ricevere qualunque tipo di prestito l’imprese deve dare delle garanzie alle banche, che ne valutano ilmerito creditizio e attribuiscono un rating in base alla solidità patrimoniale e reddituale di impresa e imprenditore. Oltre aqueste formule di finanziamento esterno, esistono il leasing, il factoring e il forfaiting;

- Leasing: l’impresa ottiene il bene di cui ha bisogno senza sostenerne l’investimento, perché paga un canone dilocazione per un certo periodo, alla fine del quale ha diritto a riscattare il bene, o lasciarlo all’agenzia. Gli oneri finanziarisono i canoni, che tra l’altro sono costi deducibili dal reddito quando il contratto ha durata superiore alla metà del periododi ammortamento fiscale previsto;

- Formula particolare è il lease-back, per cui si vende un bene a una società di leasing e lo si richiede contestualmente inlocazione. In questo modo si ottiene un finanziamento immediato, ma si mantiene anche il bene, che può essereriscattato alla fine del periodo;

- Altra opzione è il factoring, avviene per fatture o titoli imperfetti, di cui si cede il credito a un factor. La norma piùcomune per la cessione del credito è pro-solvendo, in cui il rischio di insolvenza è ripartito tra debitore e cedente, oppure,se il rischio non è condiviso, si chiama pro-soluto. Si affida la gestione del portafoglio clienti a un factor, di solito unistituto specializzato, che dovrà occuparsi di riscuotere il credito, ricevendo una commissione;

- L’altra forma di finanziamento a breve è il forfaiting, una tecnica finanziaria che permette lo smobilizzo dei creditiderivanti da operazioni di esportazione con pagamento dilazionato a medio termine. L’impresa vende pro-soluto questicrediti a un tasso detto forfait.

Anche il credito commerciale, cioè i crediti verso i fornitori o gli anticipi dei clienti, viene a volte considerato una formadi finanziamento esterno, anche se è più parte del capitale circolante. Questo credito comporta comunque sempre uncosto, esplicito o nascosto: esplicito perché si devono pagare degli interessi sui pagamenti dilazionati ai fornitori, nascostose a causa della dilazione perdo lo sconto di cassa.

Page 51: riassunto "La gestione dell'impresa"

7. GLI STRUMENTI PER LA PROGRAMMAZIONE E IL CONTROLLO FINANZIARIO (RINVIO)

La finanza è influenzata dalla gestione e dall’andamento del mercato finanziario. Per salvaguardare la liquidità (cioèdisponibilità immediata di mezzi di pagamento in contanti), rispettando la situazione di solvibilità (cioè il poter pagare undebito o un tasso d’interesse) dell’impresa, occorre controllare costantemente i flussi monetari e verificare sempre, neltempo, il bilanciamento tra impieghi e relative fonti di copertura.

Capitolo Sedicesimo: LA LOGISTICA INDUSTRIALE E LA GESTIONE DEGLI APPROVVIGIONAMENTI

1. LA LOGISTICA QUALE PROCESSO

La logistica è sempre più importante per l’organizzazione a rete della produzione e per l’ampliamento geografico deimercati di acquisto e di vendita. Il processo logistico si attua mediante due flussi: un flusso fisico dei materiali, cheha inizio dal momento dell’evasione dell’ordine da parte del fornitore e si conclude con il ricevimento della merce daparte del cliente; e un flusso di informazioni che attraversa in senso bidirezionale l’intero processo. L’obiettivo daraggiungere è rappresentato dal migliore equilibrio tra costo della logistica e standard di servizio reso ai clienti internied esterni. Praticamente minimizzare i livelli delle scorte e massimizzare il livello dei servizi alla clientela. Questosignifica ricercare e mantenere un trade-off positivo tra aspetti in naturale contrapposizione. Le funzioni diacquisto,magazzinaggio, trasporto e distribuzione fisica generano un ammontare rilevante di oneri e consentono,mediante il miglioramento del livello di efficienza,di conseguire vantaggi significativi in termini di costi di produzione. Lalogistica si pone quale elemento fondamentale della strategia competitiva sia perché riesce a contenere i costi siaperché contribuisce ad elevare la qualità del servizio. All’interno del processo logistico i due sotto-processi di maggiorerilievo sono quelli di approvvigionamento e di distribuzione.

2. LA FUNZIONE DI APPROVVIGIONAMENTO: ASPETTI STRATEGICI E TATTICI

La funzione di approvvigionamento ha l’obiettivo di assicurare il rifornimento delle materie prime, ausiliarie, parti,componenti ed accessori da utilizzare nell’attività di gestione. Questa funzione operativa si lega al processo diproduzione e all’acquisto di materiali. Per funzione di approvvigionamento s’intende far riferimento al processo diacquisto e di gestione delle scorte dei materiali diretti all’alimentazione dei cicli di lavorazione. Il suo obiettivo è quellodi assicurare l’economicità della gestione degli acquisti e di preservare la continuità dei cicli di lavorazione. Ilrifornimento di materiali deve garantire l’ininterrotto svolgimento della produzione, al fine di evitare tempi d’ozio perl’impianto e conseguenti costi sprecati per l’azienda. Nell’organizzazione della funzione di approvvigionamentodev’essere operata una distinzione tra aspetti strategici e tattici o operativi. La decisione sul make or buy, cioè il gradod’integrazione verticale, costituisce la base su cui si definiranno i contenuti della funzione. Sulle decisioni da assumerepeseranno le caratteristiche dell’impresa e quelle del mercato di fornitura. Il ruolo della funzione di approvvigionamentoassume in realtà contenuti strategici sia per l’incidenza sul conto economico aziendale (per il peso dei costi d’acquistosul costo globale del prodotto) sia per i riflessi generati sulla qualità e sul volume dei prodotti venduti. L’impostazionedel processo di approvvigionamento è in effetti legata a due elementi:

a) La criticità dei materiali da acquistare: l’impresa dovrà operare con un’assoluta garanzia di rifornimento per queimateriali, componenti o parti o accessori che possono creare delle strozzature nel ciclo di lavorazione, bloccando fasiimportanti o impedendo il processo terminale di allestimento del prodotto finito;

b) L’impatto economico sul costo del prodotto: se l’azienda lavora con un basso valore aggiunto, l’economicitàdegli approvvigionamenti riveste un carattere fondamentale ai fini della competitività aziendale. Cresce il rischioeconomico che si massimizza se l’impresa dovesse adottare o operare secondo una strategia di price-competition.

Incrociando questi due elementi si costruisce una matrice, MATRICE DI KRALIJIC (matrice degli acquisti) che consentedi distinguere i vari tipi di acquisti e suggerisce i modelli organizzativi per gestire il relativo processo diapprovvigionamento. I prodotti si possono suddividere in:

a) Prodotti leva o chiave, il cui peso economico,dati gli elevati costi di acquisto e di magazzinaggio, incidesignificativamente sul profitto finale dell’impresa, ma che presentano un basso rischio di fornitura;

b) Prodotti strategici, il cui ruolo, nell’allestimento del bene oggetto di produzione da parte dell’impresa, è critico perchésono di difficili reperimento e di elevato impatto sulla redditività;

c) Prodotti colli di bottiglia, caratterizzati dalla difficile reperibilità, ma da un peso economico modesto;

d)Prodotti non critici o di routine, facilmente reperibili nel mercato e di incidenza modesta in rapporto al valore del beneda produrre.

Page 52: riassunto "La gestione dell'impresa"

Questa classificazione ci fa comprendere la difficile gestione delle varie tipologie di prodotti, per alcune delle quali(prodotti leva e critici) sarà opportuno stringere accordi durevoli con i fornitori assicurandosi le migliori condizioni diacquisto; per altre (colli di bottiglia) sarà necessario garantirsi la tempestività e la precisione dell’esecuzione degli ordiniselezionando più fornitori ad alta affidabilità;per altre (prodotti non critici) converrà disporre di un ampio albo deifornitori, in modo da poter usufruire di una pluralità di offerte tra cui operare le scelte più vantaggiose.

3. L’ORGANIZZAZIONE DELLA FUNZIONE “ACQUISTI”

Al vertice della funzione ci devono essere uno o più approvvigionatori (buyer), che conoscono i mercati d’acquisto e chesiano in grado di prendere le decisioni più convenienti e nel momento più opportuno. Sul marketing d’acquisto poggial’economicità e l’efficienza della funzione e che l’abilità previsionale sull’andamento dei prezzi gioca un ruolo di granderilievo nell’economia complessiva dell’azienda produttrice. Ciascun approvvigionatore deve essere in grado di crearsiuna rete ampia e differenziata di fornitori, prevedere l’andamento congiunturale del mercato per quanto attiene lequantità disponibili e ai relativi prezzi di acquisto, ricorrere a formule contrattuali che riducono i rischi d’acquisto, sapereapplicare l’analisi del valore per tutti i materiali da acquistare, partecipare alla gestione attiva degli stock. Inoltre deveagire con i responsabili di altre funzioni aziendali quali: il direttore di produzione (per garantire la continuità dei processidi rifornimento e per concordare le caratteristiche di affidabilità tecnica dei materiali); il direttore del marketing (pervalutare i riflessi dell’approvvigionamento sulla politica del prodotto e del prezzo); il direttore finanziario (perdeterminare il fabbisogno di capitale circolante potendo influire sulle quantità e sulle dilazioni di pagamento); il direttoredella ricerca e dello sviluppo (per valutare le possibilità d’impiego di nuovi materiali utilizzabili in luogo di materialidifficilmente approvvigionabili). I criteri oggettivi di scelta dei fornitori sono rappresentati dal costo, dalla qualità e dallapuntualità del fornitore. In materia di acquisti un aspetto di rilievo è rappresentato dal business to business ovvero dalricorso ad internet per gli acquisti industriali. La possibilità di visionare i prodotti disponibili in tempo reale e spiccarel’ordine in modo più o meno autonomo rappresenta il vero punto di forza del business to business. Più l’immediatezzadel rifornimento è percepita come importante da parte dell’acquirente più rileva la brevità del lead time di rifornimento,che solo un ciclo logistico specificamente disegnato può garantire. L’avvento di internet ha consentito la nascita diborse elettroniche per la fornitura all’ingrosso di B2B.

4. LA GESTIONE DELLE SCORTE

Le scorte sono indispensabili per bilanciare i diversi momenti di attività e stallo di richiesta e sono quindi importanti nellagestione dell’operatività del sistema. A livello gestionale bisognerà conciliare le esigenze logistiche e quelle commerciali,per realizzare le miglior condizioni di acquisto. La gestione delle scorte s’inserisce negli approvvigionamenti, in relazioneai materiali che vanno acquistati, e nelle vendite, per i prodotti all’interno dell’impresa. Alcune soluzioni nella gestionedelle scorte sono attuabili solo se è facile o meno reperire un prodotto, se ci sono specifiche condizioni d’acquisto ecc.Programmare e controllare le scorte diventa allora un altro modo per migliorare l’efficienza dell’impresa.

Page 53: riassunto "La gestione dell'impresa"

Capitolo Diciassettesimo: LA GESTIONE DEL PROCESSO INNOVATIVO

1. ELEMENTI DI ECONOMIA DELL’INNOVAZIONE

L’ innovazione e sempre più importante nella creazione di un vantaggio competitivo con le more imprese. Essa è infattitra i primi fattori strategici per la nascita e lo sviluppo delle imprese. L'Innovazione e il risultato di un processo dinamico esistemico, il che coinvolge più attori, si sviluppa in sistemi di diversificazione di risorse, dall'imprenditoria agli ambientitecnico-scientifici,sociali e economici. E’ necessario stimolare o ricevere innovazione. Quindi di fianco al fattore chiavedell'energia per i cambiamenti e tecnici economici, oggi si trova la conoscenza, il che accumula applicazioni e le condivideper la possibilità di creare il patrimonio distintivo dell'impresa.

2. LA CLASSIFICAZIONE DELLE INNOVAZIONI DELL’IMPRESA

L'Innovazione non e più solo quella tecnologica, ma tutto il cambiamento culturale che verifica le procedure e i prodottiper valutare possibili modifiche alla base dell' andamento del mercato, delle tendenze organizzative o delle tecnicheproduttive. Limitando l'innovazione alla sola produzione, per tecnologia s'intende un processo o insieme di processi chepermettono di applicare determinate conoscenze alla produzione, ma il concetto di tecnologia può essere esteso,intendendolo come l'applicazione di conoscenze per l’ unità di risoluzione di PROBLEMI. In questo modo la tecnologia nonsi applica più solo alla produzione, ma a tutte le attività dell'impresa. Se l'innovazione applicata va a tutta l'impresa, essadeve diventare un fatto continuo e diffuso a tutti i livelli e a tutte le posizioni gerarchiche, non più limitato solo uno deisettori. Per sviluppare l'iniziativa e la creatività individuale, occorre creare la possibilità di un clima favorevole in azienda,cioè rendere l'organizzazione snella o appiattita, in grado di far divenire veloce lo scambio di Informazioni e laprogrammazione della gestione, cercando di coinvolgere tutte le competenze presenti in azienda. Anche se l'Innovazionee un concetto alla base alla dell'Impresa, e la sua produzione può avvenire in maniera spontanea, sarà comunquenecessario organizzare appositi centri per la produzione di innovazione, nei quali si lavora in gruppo per creare ideeoriginali, rielaborare idee di terzi e osservare e raccogliere Informazioni. Innovare quindi non è solo un'idea da seguire, maun fattore da sviluppare, e per farlo servono uomini e mezzi ed è necessario investire.Le innovazioni possono essere:

- OFFENSIVE: dirette ad acquisire un nuovo vantaggio competitivo; mirano ad erodere le posizioni di mercato dellaconcorrenza;

- NEUTRALI: si portano sullo stesso livello dei competitori eliminando le inefficienze;

- DIFENSIVE : Riduzione del gap tecnologico per evitare gli svantaggi competitivi insostenibili.

Aspetto collegato all'economicità del processo d'innovazione e dato dalla proteggibilità delle innovazioni, per cui sitrovano innovazioni PROTETTE, per cui ci sono degli strumenti giuridici di difesa (es. brevetti), innovazioniPROTEGGIBILI, che possono essere protette solo facendo degli investimenti per scoraggiare il processo imitativo, einnovazioni NON PROTETTE, cioè facilmente copiabili da tutti. Questa distinzione si riferisce alla vita utile

Page 54: riassunto "La gestione dell'impresa"

dell'innovazione che incide sull'economicità, ciò vuol dire che bisogna cercare di rientrare velocemente nell'investimentoprima che l'innovazione possa essere copiata e non rappresenti più un vantaggio nell’ambiente competitivo.Le innovazioni tecnologiche possono essere:

- DI PRODOTTO: Apportano cambiamenti alla gamma - DI PROCESSO: Migliorano l'Efficienza del ciclo di Lavorazione - D’IMPIANTO: Progettano impianti con ONU Più alto Coefficiente di rendimento. E’ ancora possibile distinguere innovazioni autonome, che possono essere portate avanti in maniera indipendente daaltre innovazioni, e sistemiche, che invece possono essere realizzate solo se inserite in un sistema di innovazioni, poichépossono produrre vantaggi solo se accompagnate da altre innovazioni complementari e accessorie.

PROFILO STRATEGICO PROFILO OPERATIVO GRADO DI IMPATTOSULL’ORGANIZZAZIONE

GRADO DI PROTEZIONEPROFILO ECONOMICO

OFFENSIVE MANAGERIALI AUTONOME PROTETTE REDDITIVITA’IMMEDIATA

NEUTRALI TECNOLOGICHE: -Prodotto-Processo-Impianto

SISTEMATICHE PROTEGGIBILI REDDITIVITA’DIFFUSA

DIFENSIVE COMMERCIALI NON PROTETTE REDDITIVITA’ FUTURA

3. IL PROCESSO INNOVATIVO

L'Innovazione deve essere vista come il risultato di un processo continuo, che integra il technology-push, cioè l’attivazionedelle opportunità tecnologiche, e il demand-pull, cioè il percorso stimolato dalle opportunità di mercato. La diffusionedell'innovazione nell'impresa è solo il punto finale del processo innovativo, chesiI articola in vari stadi: Invenzione, cioègenerazione delle idee, Selezione, cioè valutazione della fattibilità delle idee e infine, Diffusione. Tra tutti gli step cisono continue risposte, ecco perché ogni innovazione è influenzata o influenzabile da ogni passaggio di apprendimento. Ilmomento più critico del processo è forse quello in cui il gestione fa partire tutte le attività con cui può valutare eselezionare i progetti di innovazione, poiché si mettono in gioco tutte le risorse tecnico-scientifiche e finanziarie di cuidispone l’azienda.

4. IL PROCESSO DI PRODUZIONE DELLE INNOVAZIONE E IL <<KNOWLEDGE MANAGEMENT>>

I cambiamenti oggi sono all'ordine del giorno, e l'unico modo, per l'impresa, di restare in vita, è creare novità nel prodotto,nel modo di produrre, nel modo di distribuire, nelle tecniche direzionali ed operative, in modo da combattere laconcorrenza.Il knowledge management è la capacità dell'impresa di organizzare l'apprendimento, in modo da produrre conoscenzeutili nella gestione dell'Impresa. Per svilupparlo è necessario: 1) Finalizzare la gestione della conoscenza rappresentata dalla creazione di valore;2) Definire una strategia in linea con gli obiettivi competitivi basandosi sul capitale intellettuale; 3) Adottare sistemi operativi in grado di riconoscere le competenze distintive, l’acquisizione e lo sviluppo delleconoscenze critiche, la condivisione delle informazioni ed il monitoraggio del patrimonio di conoscenzenell’organizzazione;4) Attivare processi di valutazione, si problem solving, di decisione, che permettano all'impresa di accrescere leconoscenze nel tempo.

Page 55: riassunto "La gestione dell'impresa"

L'impresa si trova all’interno di un ambiente da cui deve imparare. Esistono poi vari processi di apprendimento, internied esterni:

5. IL RUOLO FONDAMENTALE DELLA RICERCA NELLO SVILUPPO AZIENDALE

L’impresa deve trovare nuove occasioni di business, nuove gamme da produrre e nuove tecnologie per produrre.Importante è quindi la funzione di ricerca e sperimentazione, che diventa un altro strumento per aumentare leopportunità e le fonti d’innovazione dei processi operativi e dei prodotti. Ovviamente il peso all’interno dell’impresadipende dal settore in cui l’impresa si trova, e dalla posizione che vuole occupare in dal punto di vista tecnologico. Più èorientata alla leadership tecnologica, o più produce prodotti o usa processi tecnologici, più la funzione R&S (ricerca esviluppo) ha peso nell’impresa. In realtà però mantenere questa funzione costa parecchio, e solo le imprese di grandidimensioni riescono a permettersela, ottenendone, a volte, anche un ricavo, quando cedono know-how o licenze difabbricazione.

I diversi tipi di progetti di R&S dipendono da:

- Lo stadio delle conoscenze da cui prende avvio il progetto;- L’obiettivo dell’indagine;- La distanza dai ritorni economici e finanziari.

In base a questi diversi fattori, è possibile distinguere 3 tipi di progetto:

Page 56: riassunto "La gestione dell'impresa"

- Di ricerca pura o di base: c’è molta incertezza tecnica perché ci sono poche conoscenze sull’oggetto d’indagine.Questa fase è come una sorta di incubazione tecnologica;

-Ricerca applicata: si cerca di consolidare le conoscenze acquisite durante la ricerca pura, per capire se le si puòapplicare al prodotto o al processo. In questa fase tutte le funzioni organizzative collaborano tra loro e da qui si parte perdiffondere l’innovazione;

-Ricerca di sviluppo: è molto vicina al momento dei ritorni economici perché gli ostacoli tecnici e scientifici sono statisuperati. Questi progetti hanno l’obiettivo di sfruttare economicamente l’innovazione, impegnando l’impresa intrasformazione che ne permettano l’utilizzo.

6. IL FINANZIAMENTO DELL’INNOVAZIONE

Punto delicato nel gestire l’innovazione è il reperimento dei fondi, sia per tipologia, sia per quantità necessarie. Perchéè così difficile trovare fondi? Perché di solito ne servono molti per innovare, e la redditività avviene in archi di tempopiuttosto lunghi e per più aspetti e inoltre l’investimento è immateriale e non permette di dare adeguate garanzie agliinvestitori.

Quando si deve finanziare si valuta:

- Il rischio intrinseco, cioè il grado d’incertezza dei ritorni economici previsti dai processi innovativi;

- Tempo di recupero: prima di rientrare dell’investimento occorre molto tempo, e di solito le risorse impegnate non sonopoche;

- La struttura finanziaria, cioè l’entità e il tipo di risorse da investire. Il rischio legato a questo tipo d’investimento non èsempre controbilanciato da garanzie reali e questo rende difficile chiedere debiti.

Capitolo Diciottesimo: LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE

1. LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE

Gestire le risorse umane è al centro del processo amministrativo. Lo scopo è cercare di instaurare il miglior clima tra ilavoratori e i loro rappresentanti da una parte, e il management dall’altro, per motivare i lavoratori a partecipare allaproduzione. Ma gestire le risorse umane è diventato ancora più importante nel momento in cui l’impresa è passatadall’essere produttrice di beni a produttrice di conoscenza.

2. GLI ASPETTI STRATEGICI E AMMINISTRATIVI

La particolarità della funzione deriva non solo dalla varietà di compiti in essa compresi, ma anche dal quadruplice profilodelle scelte mediante le quali trova attenzione.

Page 57: riassunto "La gestione dell'impresa"

Al riguardo è possibile individuare:

- Un profilo strategico, che riguarda la formazione dell’organico necessario per il raggiungimento delle finalitàimprenditoriali e la sua valorizzazione nel tempo;

- Un profilo organizzativo, relativo alla definizione di mansioni (job description) allo scopo di coordinare compiti, poteri eresponsabilità nella struttura aziendale;

- Un profilo direzionale o di conduzione, correlato ai problemi della motivazione dei dipendenti e dello sviluppo dellecarriere;

- Un profilo amministrativo, comprendente la definizione contrattuale del rapporto di lavoro.

3. IL RECLUTAMENTO E LA SELEZIONE DEL PERSONALE

Prima di assumere il personale, le persone vanno reclutate, selezionate e eventualmente formate. I costi di queste attivitàsono spesso elevati e perciò si esternalizzano ad agenzie specializzate in grado di fare economie di costo. Il momentodella ricerca e di selezione è importante sia per l’impresa sia per il lavoratore, perché è il primo momento di contatto traofferta e domanda. L’obiettivo è di individuare i soggetti con le caratteristiche più vicine a quelle cercate, e per farlo sianalizzerà il lavoratore dal punto di vista delle capacità, conoscenze, comportamento e potenzialità. A questo punto unfattore molto importante è la formazione, che ha costi molto elevati e che per questo ha visto il moltiplicarsi di centrispecializzati a supporto delle imprese. La formazione è in questo senso un investimento sul capitale umano e non unonere digestione. Le aziende che intendono formare persone, hanno in genere un tasso di turn over molto basso, perchéla fuoriuscita di personale comporta la perdita di valore, a favore della concorrenza, e la necessità di trovare altre risorsecon i costi che questo comporta. Importante allora dovrebbe essere la valorizzazione del personale, e delle capacitàacquisite in fase di formazione, durante i periodi di crisi, in cui risulta più necessario mettere in pratica tutte le capacitàmigliori.4. LA VALUTAZIONE E RETRIBUZIONE DEL LAVORO

La retribuzione resta tra i principali fattori governati dall’impresa per attrarre, trattenere e motivare il personale. Laretribuzione monetaria può essere fissa o variabile, quella fissa è determinata dagli accordi contrattuali, quella variabileè legata a accordi tra le parti e dipende dal raggiungimento di specifici risultati. Un tipo di retribuzione variabile è il profitsharing, in cui una quota degli utili realizzati viene destinata ai lavoratori, rendendoli anche partecipi delle attivitàdecisionali (gain sarin).

La politica retributiva ai articola in:

Page 58: riassunto "La gestione dell'impresa"

- Livello della retribuzione, in base a quanto viene dato normalmente sul mercato e tramite la contrattazione collettiva ealle possibilità dell’impresa;

- Struttura della retribuzione, cioè quanto prende ogni lavoratore in base alla posizione;

- Dinamica della retribuzione, cioè le variazioni salariali in base al tempo.

La rigidità del fattore lavoro, come tutte le rigidità, è fonte di costi per l’impresa e può quindi condizionarne le potenzialitàeconomico-strutturali. La flessibilità nasce dalla combinazione di condizioni esterne e interne che variano in base a :

- Modalità temporali della domanda;

- Tipologia produttiva della domanda;

- Grado di utilizzo della capacità produttiva.

Altre forme di lavoro atipico sono quelle del part time, del lavoro interinale, del lavoro a tempo determinato e iljob sharing, il lavoro intermittente o lo staff leasing.

Job sharing: lo stesso posto di lavoro è condiviso da due lavoratori, e ne sono entrambi responsabili. In questo modopossono organizzarsi e ridurre l’assenteismo.

Lavoro intermittente, a chiamata: c’è un picco di lavoro ed è necessario avere più personale.

Staff leasing: un’impresa esterna affitta un gruppo di lavoratori a un’altra per svolgere alcune attività esterne.

Part time: occupazione regolare e volontaria in cui si lavora a orario ridotto rispetto al normale.

Lavoro interinale: si svolge un lavoro temporaneo attraverso la mediazione di un’agenzia che è l’unica titolare delcontratto di lavoro. (Il rapporto è quindi a 3). Una forma di lavoro temporaneo esiste anche per i manager, cioè i cosiddettitemporary manager, che gestiscono un’impresa solo per determinati periodi, per esempio nel caso del lancio di unnuovo prodotto, o l’entrata in un nuovo mercato. In questo modo la disponibilità è immediata e l’intervento è rapido, èfacile misurare i risultati e il rapporto è solo temporaneo.

5. L’AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE

Oltre a gestire i rapporti con il personale, è necessario poi amministrarli, e questo è ciò di cui si occupa la parteamministrativa dell’impresa. Il compito principale dell’amministrazione del personale, che poi spesso è inserito in quellacontabile, è l’elaborazione delle paghe, il versamento dei contributi previdenziali e assicurativi, la tenuta dei libriobbligatori e in generale le pratiche di ferie, permessi,malattie ecc.

6. UN’ AREA FONDAMENTALE DI <<SUPPORTO>> NELLA GESTIONE AZIENDALE: LA FUNZIONEAMMINISTRATIVO-CONTABILE

La funzione amministrativa deve tenere la contabilità generale e ciò la mette in stretto rapporto con la funzionefinanziaria. L’aspetto contabile è dato dal volume di operazioni da fare in modo ricorrente in base a procedure fissate,mentre quello finanziario è dato dalla programmazione e controllo della provvista e dell’impiego delle fonti nella gestione.Attraverso i compiti di natura amministrativa è possibile curare i rapporti finanziari tra l’organizzazione e i gruppi esternicon cui l’impresa entra in contatto. Le informazioni sulla gestione passata fanno parte della contabilità generale, dei costi,industriale, l’IVA e la redazione del bilancio. Ma accanto a questa è necessario anche portare avanti il recupero dei crediti,senza però perdere i clienti, mantenere i rapporti con il fisco, amministrare i beni immobili, le partecipazioni azionarie, leproprietà industriali, ecc. É quindi importante per la direzione avere in mano i dati contabili per poter fare le scelte giustenel corso della gestione, per poter controllare l’andamento dell’impresa e eventualmente correggerlo e riprogrammarlo.

PARTE QUINTASTRUMENTI E TECNICHE DI GESTIONE

Capitolo Diciannovesimo: LE TECNICHE DI PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO

1. LE TECNICHE DI PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO

Page 59: riassunto "La gestione dell'impresa"

La programmazione e il controllo della gestione finanziaria servono per preservare le condizioni di solvibilità e liquiditàdell’impresa.

2. LA PROGRAMMAZIONE E IL CONTROLLO DELLA GESTIONE FINANZIARIA

Ai fini del controllo vi sono da redigere dei documenti fondamentali, che sono IL PROPETTO DELLE FONTI E DEGLIIMPIEGHI, IL PROSPETTO GENERALE DEi FLUSSI MONETARI DELLE OPERAZIONI DI ESERCIZIO, IL QUADRO GENERALE DEIMOVIMENTO MONETARI E IL PIANO DI CASSA O BUDGET DI TESORIERA.Il prospetto delle fonti e degli impieghi serve per valutare l’equilibrio tra il fabbisogno finanziario e le possibilità di fonti difinanziamento per un periodo pluriennale e serve anche a controllare che tale equilibrio sia raggiunto e mantenuto nelrispetto del principio dell’ omogeneità. Il prospetto è suddiviso in due parti: la parte superiore si riferisce alla valutazionetra equilibrio e omogeneità tra le FONTI E GLI USI NON CONCORRENTI ( ossia quelli che si riferiscono a periodi pluriennali)e la parte inferiore è destinata a stimare le stesse caratteristiche per le FONTI CONCORRENTI (ovvero quelle che sonorelativi all’esercizio). Le fonti sono distinte in tre gruppi: FONTI DELLA GESTIONE, che nel loro complesso rappresentano ilCASH-FLOW aziendale (risultato d’esercizio + ammortamenti + accantonamenti); FONTI CONCORRENTI, in cui si farientrare l’aumento dei debiti a breve; e FONTI NON CONCORRENTI, in cui si comprendono dati relativi a periodipluriennali (capitale, alienazioni patrimoniali, debiti a medio-lungo termine, ecc..). Anche gli usi sono divisi in due gruppi,quelli CONCORRENTI, relativi al finanziamento dell’esercizio, e quelli NON CONCORRENTI, inerenti ad esempio a processidi investimento, di rimborso dei debiti a medio – lungo termine e di distribuzione dei dividendi. Il prospetto consente ladeterminazione di tre saldi: il SALDO FINANZIARI, derivato dalla contrapposizione di usi e fonti non concorrenti e cheriguarda la modificazione della struttura finanziaria dell’azienda, il SALDO CONCORRENTE, che riviene dallacontrapposizione di fonti e usi concorrenti ed attiene ai tre cicli economico, di produzione e finanziario, e il SALDOCOMPLESSIVO (saldo concorrente + saldo non concorrente). Con questo prospetto è dunque possibile verificareanticipatamente le alternative per la copertura dei flussi finanziari determinati dagli usi al fine di preservarecostantemente l’equilibrio finanziario nel rispetto del principio dell’omogeneità. Se i saldi tendono a 0, la situazione èottimale perché c’è equilibrio tra fonti e usi correnti e non e quindi l’omogeneità è rispettata. Se il saldo è molto positivobisogna ricercare un’ opportunità di investimento per evitare di tenere della liquidità infruttifera. Se è negativo si deveprovvedere anticipatamente alla sua copertura o al ridimensionamento degli impieghi. Il prospetto dei flussi monetari delle operazioni di esercizio analizza per ogni partita l’entrata o l’uscita effettiva,ed il saldo è dato dalla somma algebrica tra l’ammontare dei debiti e crediti all’inizio dell’esercizio, gli incassi e le uscitedurante l’esercizio e l’ammontare dei debiti/crediti alla fine dell’esercizio. Questo prospetto permette di determinare ilsaldo positivo o negativo derivante dalle operazioni connesse con l'esercizio. Nel primo caso il prospetto indica lapresenza di una disponibilità netta derivante dalle partite “correnti” di carattere commerciale-finanziario, nell'altro indicail sopravvenire di un fabbisogno netto. Questo saldo viene poi riportato nel quadro generale dei movimenti monetariin cui si spiega da cosa sono composte entrate e uscite. Il piano di cassa è il cosiddetto budget, analizza i 2 documentiprecedenti mese per mese, guardando il flusso delle entrate e delle uscite. Con questa operazione si può determinare unsaldo monetario, capire se è possibile coprire i saldi negativi che si hanno o usare meglio le risorse. La situazione di cassae banca è il collegamento tra i due esercizi. Quando si considerano entrate e uscite bisogna tener conto che le entratepossono essere certe, molto probabili e probabili, mentre le uscite possono essere fisse mensili, per esempio glistipendi, periodiche, come l’IVA, o straordinarie, per esempio il licenziamento di dipendenti. La situazione monetariadiventa difficile quando alla fine del periodo il saldo banche è maggiore di quanto si è ricevuto all’inizio. La gestionefinanziaria sarà quindi controllata con il piano di cassa e il prospetto delle fonti e degli impieghi. Se si compila il pianofinanziario, il prospetto e i preventivi di cassa, sarà più facile capire che tipi d’investimento fare, e quanto capitale lasciarecorrente, in modo da avere sempre liquidità. Per questo la pianificazione finanziaria, anche se è specifica di una funzionedella gestione, viene di solito presa come una dimensione generale della stessa.

3. LA VALUTAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA E STRATEGICA DEI PROGETTI DI INVESTIMENTO

Nell’ambito della programmazione finanziaria, centrale è il problema della valutazione dei progetti di investimento. Percondurre queste valutazioni si possono utilizzare apposite tecniche di carattere economico-finanziario atte a: a) STABILIRE L’ACCETTABILITA’ DI UN PROGETTO RISPETTO A VALORI STANDARD PREFISSATI;b) COMPARARE PROGETTI ALTERNATIVI.Gli elementi da valutare sono il ritorno economico (rendimento diretto), il vantaggio economico prodotto in altre areedell’organizzazione (rendimento indiretto) e i ritorni non economici o di qualità, in grado di accrescere le risorseintangibili, mentre le difficoltà di valutazione comprendono le attendibilità delle previsioni formulate (flussi e costo delcapitale) e la complessità della stima dei risultati di carattere non quantitativo. Le principali tecniche di valutazione sonotre: il PAY-BACK PERIOD, IL VAN E IL TIR.Pay back period: periodo di recupero. Questo metodo fa capire quanto è rischioso un investimento perché indica quantotempo passa tra il momento in cui inizia l’investimento e il momento in cui rientra dell capitale investito (inflow).Analizzando i tempi dei vari progetti si può definire una graduatoria di priorità degli impieghi. Questo fa capire chel’elemento determinante è il tempo di esposizione al rischio piuttosto che il rischio in sé ed è importante capire lavelocità con cui si riesce a rientrare e quanto ci vorrà per ottenerne un reddito accettabile.Tasso di redditività attualizzato: il denaro ha un valore che è stabilito in modo oggettivo dal mercato, attraverso iltasso d’interesse, e in modo soggettivo dall’investitore in base alla preferenza per disponibilità liquide. Questo valore

tenderà a diminuire più la possibilità di averlo liquido si allontanerà nel tempo. (CUTOFF PERIOD: tempo prefissato per il

Page 60: riassunto "La gestione dell'impresa"

recupero di un progetto, soglia di accettazione o rinuncia del progetto). Perché allora attualizzare? Per comparare piùfacilmente i progetti, perché si compara in un unico momento storico. Questo permette di vedere se la redditivitàattualizzata è superiore al costo che si sta sostenendo per realizzarla. Per fare questa operazione si ha bisogno didue metodi: TIR e VAN.TIR tasso interno di rendimentoPer prima cosa si deve ottenere il tasso di attualizzazione che rende uguali i flussi di entrate e uscite. Trovato questo tassosi potrà compararlo con quello che bisogna pagare per reperire i fondi e se il divario è positivo, allora è convenienteinvestire. TIR 9%, costo per acquisire i fondi 6%, si investe, perché è più conveniente usare le proprie risorse piuttosto cheindebitarsi.VAN valore attuale nettoSi immagini che il tasso di attualizzazione sia uguale al costo del capitale, così si capisce se il proprio investimento attualeè conveniente. Un VAN più alto fa capire che l’investimento è conveniente. Con questi metodi matematici non si ha unarisposta per capire se è giusto fare l’investimento, ma piuttosto un’indicazione della priorità; infatti anche se si ottengonorisposte certe, non si riesce a dire quale incidenza può avere quell’investimento su altre aree dell’azienda, per cuiquell’investimento potrebbe essere utilissimo. Ogni investimento deve poi essere valutato anche in base al suo grado diflessibilità strategica, cioè mentre si investe potrebbero presentarsi altre opportunità e queste saranno di più o dimeno a seconda che si riesca a smobilitare il proprio investimento. Questa teoria è detta delle opzioni e ne individua 4:- Di sviluppo: possibilità di crescita legate allo sviluppo dell’investimento;- Di abbandono: possibilità di interrompere l’investimento se ci si rende conto che non è conveniente;- Di differimento: possibilità di scegliere il tempo dell’investimento, senza che gli effetti siano influenzati dallaconcorrenza (per esempio si sfrutta un brevetto);- Di flessibilità: possibilità di poter cambiare l’investimento in base ai cambiamenti dell’ambiente.

4. LA MISURAZIONE DELLA POTENZIALITA’ ECONOMICO-STRUTTURALE MEDIANTE IL DIAGRAMMA DIREDDITIVITA’

La capacità di produrre reddito non deriva solo dai comportamenti attuati dall’impresa, ma anche dai vincoli esterni aiquali è sottoposta. I vincoli interni sono dati da:- Capacità di produzione;- Capacità finanziaria (quanto si ha a disposizione);- Potenzialità economico-strutturale (rapporto tra costi fissi, costi variabili e ricavi).

Il diagramma di redditività è quello che misura la potenzialità economico-strutturale e valuta come le scelte aziendaliabbiano impatto sul rapporto costi-volumi-risultati. Per costruire il grafico si deve rilevare (per fare un’analisi consuntiva)o ipotizzare (per un’analisi preventiva) i costi fissi (costi ilcui ammontare non risulta significativamente correlato al volume produttivo), variabili (costi il cui ammontare risultasignificativamente correlato alvolume produttivo) e i ricavi. I ricavi si trovano con la contabilità, mentre i costi si devono calcolare analizzando periodi ditempo di 5-10 anni, prima si troveranno i costi fissi, poi quelli variabili. Per costruire il grafico si deve inserire poi uncoefficiente di variabilità e un’unità di misura (per esempio quanto venduto), per capire se l’incidenza dei costi è rimastauguale negli anni in base all’unità di misura scelta. Quindi la potenzialità economico-strutturale si basa sulla variabilità deicosti piuttosto che su quanto venduto. Quando si sono individuo costi e ricavi si passa al grafico, in cui individuare il

Page 61: riassunto "La gestione dell'impresa"

punto di pareggio, o break even point, cioè il punto in cui i costi e ricavi si eguagliano. Oltre questo punto si avrà unricavo, prima una perdita. La differenza tra quanto prodotto e quanto venduto serve per ottenere il pareggio; è dettomargine di sicurezza, se positivo e di deficit, se negativo. Grazie a questo punto si riuscirà a dire, a seconda didov’è posizionato, qual è la potenzialità economico-strutturale dell’impresa. Dato che divide la zona di perdita e quella diricavo se si hanno più costi o meno ricavi si sposta verso destra, l’area delle perdite aumenta e diminuisce quella deiprofitti e viceversa. Se l’area dei profitti aumenta si ha una maggiore potenzialità economico-strutturale.

.

Questo grafico, anche se molto utile, si basa su 4 linee semplificatrici, che vanno considerate per ridimensionare il valoredello strumento:- Costanza dei ricavi unitari di vendita;- Invariabilità della composizione quali-quantitativa della gamma;- Proporzionalità dei costi variabili;- Staticità dell’ambiente di riferimento.

Al punto di pareggio si collega il concetto di leva operativa, intesa come il rapporto tra la variazione percentuale delreddito operativo e quella delle unità vendute; può essere intesa anche come il grado di sfruttamento dei costi fissi.

Leva Operativa = Variazione percentuale del reddito operativo

Variazione percentuale delle vendite

Un’azienda con alti costi fissi in rapporti a quelli totali e ai ricavi ha una leva operativa alta, perchè all’aumentare dellaproduzione il suo reddito cresce più in fretta rispetto a una con leva operativa più bassa. D’altra parte in questo modo lastruttura è meno flessibile e più rischiosa. Più costi fissi si hanno e più bisogna produrre perché questi incidano meno sullesingole unità prodotte. Il punto di pareggio può essere calcolato, per produzioni omogenee, partendo dall’equazione delprofitto. Il punto di pareggio prevede che il profitto sia pari a 0 e quindi R x Q = Cf + ( Cv x Q ) da cui ottenere Q= Cf / R –Cv. R sono i ricavi, Cf i costi fissi, Cv i costi variabili, Q la quantità di vendita. In Q determinata così si ha il punto dipareggio. Se invece si avesse il coefficiente della linea dei costi (a), il costo complessivo x e i costi fissi k, partendodall’equazione x=y, si avrà questa formula: x=ay + k da cui deriva y=k/1-a.

5. LE TECNICHE DI PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO DELLE SCORTE

Altra area della gestione su cui soffermarsi è quella della logistica, cioè relativa alle scorte e al magazzino. Le scortepossono essere di materie, cioè quelle che servono per produrre, o di prodotti finiti, semilavorati o in corso di produzioneda vendere. Il problema è capire quando e quanto ordinare le materie che servono nella produzione. Due diverseimpostazioni di gestione della quantità di giacenze da tenere in magazzino:1) Dipende dai tempi di assorbimento dei materiali e dai tempi di riapprovigionamneto degli stessi:- Stock Control: cioè controllo il livello delle scorte senza considerare come cambiano i processi di produzione e vendita(scorte separate e ciclo di ordinazione).2) Dipende dall’andamento della domanda:- Flow Control: cioè le scorte vengono determinate in base agli ordini di vendita da evadere.Da ciò derivano il Material Requirements Planning (MRP), cioè si cerca di far coincidere le scorte con il fabbisogno dibreve periodo, in modo da ridurre le giacenze accumulate. Per farlo si parte dall’ordine di vendita e si acquistano imateriali in base ai tempi di produzione dei prodotti ordinati,e il Just-in-time per cui si cerca di ridurre a zero le giacenzaper generare vantaggi economici e eliminare i rischi d’immobilizzo. Per farlo bisogna creare una rete molto efficiente con ifornitori e questo è possibile se si ha potere per imporsi sui fornitori. Il justin time rende fragile la lean production, mapermette di risparmiare sulle scorte, che altrimenti incidono molto sul prezzo

Page 62: riassunto "La gestione dell'impresa"

5.1 LE TECNICHE DELLE SCORTE SEPARATE E DEL CICLO DI ORDINAZIONE

Esistono due tipi di Tecniche Stock Control: Tecnica delle scorte separate (two byn system): tecnica a quantità fissa, determina quanto ordinare e il quando segue.Quando la scorta raggiunge un valore minimo, la si riordina. Tecnica del ciclo di ordinazione (ordering cycle system): tecnica a tempo fisso, determina quando ordinare e il quantosegue. Decide quanto comprare alla fine di ogni ciclo produttivo in base alle scorte che si hanno via.Scorte separate: definire il livello di riordino, cioè la quantità che fa scattare il riordino. Questo livello dipende dal tempoguida, dato dalla somma del tempo che ci vuole per ordinare, ricevere la merce e distribuirla. Determinato il livello diriordino, devo vedere quanto ordinare, cercando di definire una quantità ottimale, cioè il lotto con cui il costo digestione complessivo è minimizzato. Questo costo deriva dal costo di mantenimento e dal costo di ordinazione, cioètutte le spese che sostengo per ordinare, tranne il costo reale dell’oggetto richiesto.

Attraverso una serie di calcoli si può dire che i due costi variano al variare della quantità: all’aumentare della quantitàordinata, scende il costo di ordinazione e sale il costo di mantenimento. In realtà questa soluzione è un po’ semplificataperché parte dal presupposto che i costi per la conservazione cambino solo al cambiare della quantità di scorte. È ancheda considerare che più acquisto più potrei avere costi di trasporto e di acquisto più bassi e questi fattori possono portare afare scelte diverse.

Ciclo di ordinazione: si parla di scorta ottimale perché la quantità cambia di volta involta, mentre resta ferma la quantitàdi stock da avere all’ inizio di ogni periodo. Dato che i prodotti da stoccare sono molti e diversi, alcuni hanno più valore dialtri e quindi andranno stoccati in modo diverso. L gestione delle giacenze è fatta in modo selettivo e questo metodo èdetto ABC, cioè i prodotti sono divisi in prodotti A che hanno più valore per l’impresa, prodotti B che hanno valore, mameno rispetto agli A e prodotti C che sono meno necessari. A e B di solito vengono gestiti con il metodo delle scorteseparate, mentre per C si usa il ciclo di ordinazione.Altri criteri per distinguere i prodotti e le scorte è la valutazione dell’ essenzialità dei materiali, la difficoltà direperirli e la variabilità dell’offerta nel tempo.

Page 63: riassunto "La gestione dell'impresa"

5.2 LA GESTIONE DELLE SCORTE DI PRODOTTI FINITI

Il rischio di avere in magazzino prodotti e non materie è diverso ma lo stesso importante. Avere pochi prodotti può volerdire perdere una vendita se il cliente non è disposto ad accettare e la disponibilità all’attesa è fortemente condizionatadalla brand loyalty del cliente. I rischi legati ai prodotti possono essere legati alla deperibilità del prodotto stesso, siafisica, sia tecnica (un computer), per cui il prodotto diventa inutilizzabile e dal fatto che una materia ha un valore piùbasso di un prodotto finito e quindi è meno rischioso stoccarla e costa di meno in termini di oneri di custodia. Si cercheràquindi di lavorare molto su commessa e usando un network telematico si cercherà di far partire la produzione appena siriceve l’ordine, facendo attenzione a mantenere il tempo d’attesa molto basso, così che il cliente decida di aspettare.

5.3 LA MISURAZIONE DELL’EFFICIENZA DELLA GESTIONE DELLE SCORTE E DEL MAGAZZINO

Avere un magazzino significa avere una parte del capitale immobilizzato e quindi una situazione finanziaria meno elastica.Si fanno delle misurazioni proprio per capire come migliorare il rendimento di questi investimenti e per trovare metodo digestione più efficienti, cioè riducendo i costi. L’indice con cui valuto l’efficienza sulle scorte è il tasso di rotazione, datodal rapporto tra materiale uscito dal magazzino in un certo lasso di tempo e giacenza media nello stesso periodo.

Si ottiene un risultato che mi dice in media dopo quanto si è rinnovato il magazzino. Più questo indice è elevato meglio èstato gestito il magazzino perché vuol dire o che sono usciti più materiali o che è diminuita la giacenza media. Calcolare iltasso di rotazione permette di capire la velocità di assorbimento dei prodotti immessi sul mercato e quindi l’andamentodella domanda e se la rotazione è in linea con gli anni precedenti o con la concorrenza si può pensare a scelte alternativedi produzione o vendita. Vista la difficoltà nel calcolare l’indice considerando i prezzi, sarà meglio usare solo quantitàfisiche, che dicono comunque quante volte si rinnova il magazzino in un lasso di tempo. Può essere infine utile capire:1) Quanto incide il magazzino sul costo di produzione, rapportando il costo del magazzino con il costo di produzione e2) Quanto incide lo stesso costo su ogni singola unità prodotta rapportando il costo di magazzino con la giacenza media.

Altri due indici significativi sono: a) costi di magazzino b)costi di magazzino

Page 64: riassunto "La gestione dell'impresa"

costo di produzionegiacenza media

6. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE SULLA VALUTAZIONE DEI RISCHI D’IMPRESA

APPENDICE: LA COSTRUZIONE DEL BUSINESS PLAN

Il Business Plan e’ il documento che presenta in ottica prospettica un’iniziativa imprenditoriale allo scopo di:1) Valutarne anticipatamente la fattibilità (sia in relazione alla struttura aziendale che al contesto nel quale l’impresaandrà ad operare);2) Stimare le risorse (economico-finanziarie, umane e tecnologiche) da investire per implementare il progettoimprenditoriale, valutando anticipatamente l’impatto che tale progetto potrà produrre sul mercato e i risultati economico-finanziari che potranno derivarne.- E’ uno strumento di pianificazione e controllo, che definisce in maniera esplicita i contenuti strategici cui devono riferirsii diversi attor aziendali, fornendo un’utile base di raffronto per valutare la bontà dei risultati conseguiti;- Rappresenta un’occasione di riflessione per l’imprenditore, che è chiamato ad analizzare criticamente (e, dunque,affinare) le proprie intuizioni relative all’opportunità imprenditoriale intravista;- E’ uno strumento di comunicazione esterna, con cui l’imprenditore può presentare la sua idea imprenditoriale a diversecategorie di interlocutori (potenziali finanziatori, come le banche, potenziali investitori, come società di venture capital,business angel, ecc. o, ancora, potenziali partner) e persuaderli della bontà del progetto per ottenerne il coinvolgimento ele risorse.Il piano di impresa dovrebbe prima di tutto presentare i connotati distintivi della business idea e valutarneanticipatamente la validità e la fattibilità, operativa e finanziaria.Una business idea è composta da tre elementi:1) Il sistema di prodotto, che identifica l’offerta rivolta al mercato;2) Il segmento di mercato, ossia la tipologia di clienti cui l’impresa si rivolge;3) Le risorse interne attraverso le quali si confida di poter realizzare l’idea imprenditoriale.Il cuore del piano di impresa è dunque rappresentato dalle scelte strategiche assunte dalla compagineimprenditoriale.Executive summary - un documento di riepilogo, in cui si presentano brevemente natura e finalità del progetto,evidenziando la mission aziendale e l’essenza della business idea. Si indicano i prodotti/servizi che si intendono offrire,sottolineando i vantaggi per la clientela ed i punti di forza rispetto ai concorrenti; le opportunità di mercato che si ritienedi poter cogliere; si valuta la dimensione del mercato, indicando le strategie da adottare, nonché i risultati economico-finanziari attesi. Andrà qui evidenziato anche il contributo richiesto al destinatario del business plan.- Idea imprenditoriale e compagine aziendale - Analisi dell’ambiente esterno - I mercati di sbocco - Prodotti/servizi darealizzare - Risorse umane necessarie e modello di struttura organizzativa.

Page 65: riassunto "La gestione dell'impresa"

L’errata formulazione della previsione dei volumi di vendita, può inficiare l’attendibilità e l’utilità del complessivo businessplan.Il Business Plan risulterà coerente quando siano presi nella giusta considerazione i collegamenti fra strategie, scelteoperative, ipotesi di partenza e dati economico-finanziari e venga parallelamente garantito il rispetto delle connessionilogiche (nessi di causalità o interdipendenza) che sussistono tra insiemi di scelte diverse e tra i differenti prospettieconomico-finanziari.

Capitolo Ventesimo: LE TECNICHE DI VALUTAZIONE DELL’EFFICIENZA AZIENDALE

1. LE TECNICHE DI VALUTAZIONE DELL’EFFICIENZA AZIENDALE

La valutazione dell’efficienza consente di apprezzare lo stato di salute dell’impresa nel suo complesso o in relazione a sueparti significative. È un classico controllo di tipo susseguente. Generalmente viene realizzato sui dati annuali, ma puòriguardare anche periodi infra-annuali (in tal caso si avvicina alla logica del controllo concomitante). Alcune delle tecnichee degli strumenti utilizzati per la valutazione dell’efficienza aziendale possono essere impiegati anche per il controlloantecedente, concomitante e susseguente. Il reddito di esercizio, in linea teorica, misura il successo delle operazioni svolte nell’anno. E’ un valore residuale, funzionedelle politiche di bilancio, condizionato dalle scelte passate e dalle prospettive di gestione. RICAVI DI ESERCIZIO – COSTIDI ESERCIZIOPer questo motivo, se riferito al singolo esercizio, non può essere considerato un valido indicatore dell’efficienza globaledella gestione.

2. IL CASH-FLOW E IL MARGINE OPERATIVO QUALI VALORI INDICATIVI DELL’EFFICIENZA AZIENDALE

A questo scopo, si adoperano altri indicatori, come il cash flow e il margine (o reddito) operativo, lordo e netto. IlCash-flow rappresenta la misura dell’autofinanziamento aziendale. Esso può essere FINANZIARIO (risultato di esercizio +ammortamenti netti + accantonamenti netti) o reddituale (risultato di esercizio + accantonamenti netti). Il margine oreddito operativo rappresenta il risultato della sola gestione caratteristica. RICAVI OPERATIVI – COSTI OPERATIVIIn ogni impresa si possono separare quattro tipi di attività o fenomeni di differente matrice gestionale:

Page 66: riassunto "La gestione dell'impresa"

1) La gestione tipica o caratteristica, costituita da tutte le operazioni destinate a raggiungere l’obiettivofondamentale per cui l’impresa stessa è stata creata;2) La gestione finanziaria, rappresentata dalle operazioni di reperimento e d’impiego dei fondi occorrenti o prodottidall’attività aziendale;3) La gestione patrimoniale, o accessoria, costituita dall’amministrazione dei beni non strumentali per l’esercizio dellagestione tipica (p.e. un immobile dato in locazione a terzi);4) La gestione straordinaria, che è composta dagli eventi imprevedibili, nel loro verificarsi o nella misura degli effettiprodotti (es. sopravvenienze, insussistenze, plusvalenze, minusvalenze).

Il valore più significativo è il risultato collegato alla gestione operativa, cioè quello relativo all’attività tipica o propriadell’impresa. È quindi molto importante determinare quanta parte del risultato di esercizio scaturisca dalla gestionecaratteristica e quant’altra da quella finanziaria, straordinaria e accessoria.

Il cash-flow o flusso di cassa rappresenta la quantità di risorse finanziarie generate nell’esercizio. È pari all’utile nettoprodotto dalla gestione più ilcomplesso di costi, caricati sempre all’esercizio, ma non seguiti da uscite di cassa. È dato dalla sommatoria dell’utilenetto di esercizio e delle quote diammortamento e di accantonamento al netto degli usi (cash-flow finanziario) oppure dalla sommatoria all’utile netto diesercizio delle sole quote di ammortamento al netto degli usi (cash-flow reddituale). La maggiore significatività del cash-flow rispetto al reddito deriva dal fatto che spesso, proprio mediante la dilatazione o la compressione delle politiche diammortamento e di accantonamento, si determina il risultato di esercizio.

3. LA VALUTAZIONE DELL’EFFICIENZA ORGANIZZATIVA E COMMERCIALE

La valutazione dell’efficienza organizzativa e commerciale riguarda le risorse umane, la struttura e le procedure. Lavalutazione di questo tipo di efficienza va dunque condotta sia mediante la misurazione del rendimento del personale, siaper mezzo di appropriate analisi organizzative. Il primo è generalmente valutato sulla base di indici quantitativi equalitativi, di cui il più importante è senza dubbio l’indice di produttività, che si costruisce ponendo a raffronto ilrisultato conseguito e lo sforzo sostenuto e che serve a misurare l’efficienza del lavoro sia umano sia meccanico.Per quanto riguarda l’altro aspetto dell’efficienza organizzativa, cioè quello relativo alla struttura e alle procedure dilavoro, non è possibile costruire degli indici quantitativi o qualitativi, ma bisogna condurre delle analisi piuttostocomplesse mediante interviste ai responsabili dei servizi o delle divisioni amministrative, valutazione delle mansioni, ecc..Queste analisi richiedono l’impiego di specialisti in organizzazione aziendale, in grado di valutare l’adeguatezza dellastruttura alle strategia che l’imprese intende attuare, con particolare riguardo al corretto impiego delle capacità personalipresenti nell’azienda.L’ efficienza economica può invece essere misurata con riferimento a tre parametri: costi, ricavi e reddito.Due sono i tipi di indici quantitativi più utilizzati:1) INDICI DI ECONOMICITA’: costi di singole funzioni (o costi totali) / ricavi;

Page 67: riassunto "La gestione dell'impresa"

2) INDICI DI REDDITIVITA’: misure del reddito aziendale / misure del capitale.

Passando poi a considerare l’ efficienza esterna l’indice che meglio rappresenta le valutazioni sintetiche è la quota dimercato, cioè il rapporto tra vendite aziendali e vendite complessivamente effettuate nel particolare mercato.

QUOTA DI MERCATO = VENDITE AZIENDALI VENDITE COMPLESSIVE E DEL MERCATO SERVITO

LIMITI- Definizione del mercato dell’impresa- Dimensione dell’impresa e concentrazione del mercato- Difficoltà di reperimento del dato sulle vendite del mercato- Effetto dell’inflazione nell’interpretazione dei dati

Indicatori prevalentemente interni sono il tasso di sviluppo del fatturato, gli indici di penetrazione distributiva,gli indici di ampliamento della clientela.

4. GLI INDICI DI REDDITIVITA’ E DI ECONOMICITA’ (RATIO)

Gli indici (ratio) sono uno strumento per l’interpretazione del bilancio di esercizio e costituiscono una base per levalutazioni prospettiche della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica di un’azienda. Gli aspetti rilevanti sono: - Consapevolezza dei limiti informativi legati alla fonte dei dati (bilancio);- Riclassificazione delle poste di bilancio;- Analisi temporale e spaziale.

Page 68: riassunto "La gestione dell'impresa"

5. GLI INDICI DI VALUTAZIONE DELLA SITUAZIONE FINANZIARIA

Vi è un altro gruppo di valori e indici che consentono di valutare la situazione finanziaria dell’impresa. Gli aspettida misurare riguardano la solvibilità, la solidarietà patrimoniale e la liquidità. Un indicatore di particolare valore,che non è un ratio, è il cosiddetto margine di struttura.

6. L’ANALISI DEI COSTI DI DISTRIBUZIONE

Serve a stimare i margini di contribuzione o i tassi di redditività di prodotti, zone di vendita, canali di distribuzione, gruppidi clienti.Il costo di distribuzione è inteso come il complesso degli oneri che l’impresa sostiene per far defluire le sue produzioni almercato di sbocco.L’analisi può essere sviluppata secondo tre procedure:a) FUNZIONALE: per attività specifiche di vendita (promozione, magazzino, trasporto);b) OGGETTIVA: per oggetto di spesa (fitti, stipendi, oneri finanziari,ecc…);c) SOGGETTIVA: per segmenti di vendita (prodotti, zone, canali).

Page 69: riassunto "La gestione dell'impresa"

A seconda dell’oggetto dell’analisi (specifica attività, oggetto di spesa o segmento di vendita), i costi distributivi possonoessere distinti in diretti, indiretti e semidiretti.a) DIRETTI: specificamente attribuibili all’elemento per cui si conduce l’analisi;b) INDIRETTI: non imputabili direttamente all’oggetto dell’analisi;c) SEMIDIRETTI: costi indiretti che, sulla base di criteri razionali, possono essere attribuiti in modo appropriatoall’elemento dell’analisi.

La tecnica del costo pieno (full costing) considera tutti i costi sostenuti per la distribuzione (diretti, indiretti esemidiretti). La tecnica del direct costing prende in considerazione solo i costi diretti. Questa impostazione è tanto piùsignificativa quanto meno rilevante è l’incidenza dei costi indiretti sul totale dei costi di distribuzione.7. L’ANALISI DEI RENDIMENTI DELLA RETE DI VENDITA

Serve a misurare l’efficienza della rete di vendita mediante la costruzione di una serie di indicatori volti ad analizzarespecifici aspetti.

8. L’ANALISI QUALI-QUANTITATIVA DELL’EFFICIENZA: LA <<BALANCED SCORECARD>>

E’ un sistema di rilevazione dell’efficienza aziendale alternativo ai tradizionali strumenti esclusivamente quantitativi,grazie all’allargamento dello spettro di “prospettive” da monitorare per una valutazione complessiva della performanceaziendale:4 PROSPETTIVE:1. Economico finanziaria2. Soddisfazione del cliente3. Processi aziendali4. ApprendimentoLe 4 prospettive, strettamente integrate, consentono una valutazione della performance che combini, ponderandole,misure di breve termine e misure di medio lungo termine.La balanced scorecard si caratterizza per la grande flessibilità di utilizzo: il modello va adattato alle peculiarità dellaspecifica realtà aziendale.

Page 70: riassunto "La gestione dell'impresa"

L’UTILITA’ DEL CONFRONTO COMPETITIVO (BENCHMARKING)

Page 71: riassunto "La gestione dell'impresa"

Attività sistematica di controllo della concorrenza mediante il confronto delle performance realizzate. Lo scopo è diindividuare le cause del vantaggio competitivo soprattutto delle imprese eccellenti per poter ridurre lo svantaggio. Peruna valida attività di benchmarking, di fondamentale importanza è la corretta scelta delle imprese da utilizzare comeparametro di raffronto e di riferimento.