Riassunto Completo Del Manuale Di Diritto Urbanistico Di Salvia Ult Ed 1

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CAPITOLO I

PARTE PRIMA

I fondamenti

CAPITOLO I

Il difficile governo del territorio

( Concetto di URBANISTICA:

Il diritto urbanistico parte del diritto amministrativo e comprende un complesso di norme che regolano la facolt di edificare, anche attraverso la previsione di strumenti di pianificazione del territorio e di protezione dell'ambiente.

definizione metagiuridica: disciplina avente ad oggetto specifico la citt, di cui studia le modalit di sviluppo e le leggi di funzionamento e di cui progetta in tutto o in parte il rinnovamento e la crescita; concetto giuridico: pi ampio, perch fa riferimento non solo alla disciplina della citt, ma al governo dell'intero territorio comunale, sia nella parte urbana che extraurbana.Occorre distinguere tra:

urbanistica: consiste nell'attivit di programmazione e di pianificazione delle modifiche del territorio (i piani urbanistici stabiliscono se possibile costruire o meno su un determinato territorio);

edilizia: stabilisce le modalit attraverso cui pu realizzarsi la trasformazione territoriale ammessa dal piano (necessit di permesso di costruire o meno, caratteristiche dell'edificio, qualit tecniche, ).

Fino al 1942 mancata una legislazione urbanistica generale: ci ha alimentato l'idea di un disinteresse dei poteri pubblici per i problemi dell'assetto del territorio.

[ Nei secoli del medioevo era generalmente il Principe a legittimare la nascita di un nuovo agglomerato urbano attraverso apposite licentiae populandi: le norme sull'attivit costruttiva all'interno del medesimo erano poi stabilite dal feudo o dalle universit a seconda della natura dell'aggregato urbano in discussione, attraverso appositi statuti cittadini.

In tempi pi recenti, i Regolamenti edilizi comunali sono stati la fonte normativa primaria per l'attivit urbanistico-edilizia. Molti dei loro contenuti sono poi stati recepiti dalla legislazione urbanistica.]

( Lurbanistica degli antichi e dei moderni: nuovi problemi

Per molti secoli la logica prevalente della politica urbanistica stata quella di creare degli avamposti in territori non ancora urbanizzati. Questa logica rispondeva a due esigenze fondamentali: militare (creando nuovi insediamenti abitativi era possibile difendere pi agevolmente il territorio da attacchi esterni) ed economica (consentiva inoltre di procedere ad una pi adeguata utilizzazione delle risorse agricole).

Nei secoli passati l'urbanistica aveva posto problematiche differenti:

XVIII sec.: il problema dell'organizzazione del territorio assume in questi anni connotazioni diverse, in conseguenza del manifestarsi di due fenomeni concomitanti: l'accelerazione del tasso di crescita della popolazione determinato essenzialmente da un rallentamento della mortalit infantile e l'avvio del processo di industrializzazione, soprattutto in Inghilterra e Francia. Questi due fenomeni creano le premesse per una modifica radicale degli insediamenti, dei modi di vita e dei modelli culturali. L'organizzazione del lavoro ha alterato bruscamente l'antico equilibrio tra citt e campagna e ha creato il fenomeno della concentrazione della popolazione nelle grandi citt con sprechi enormi di risorse e gravissime tensioni nel tessuto sociale. Le conseguenze negative dello sviluppo industriale sul piano urbanistico non vengono percepite immediatamente ma solo nel secolo successivo;

XIX sec.: ci che rileva in questi anni soprattutto la situazione sub-umana in cui il proletariato costretto a vivere nelle periferie delle citt. E proprio in questi anni che viene collocata la data di nascita dell'urbanistica moderna, che si pone come me tentativo non riuscito di correggere i mali della citt industriale;

XX sec.: il secolo in cui viviamo e quello precedente hanno visto accentuare ulteriormente le suddette patologie. La popolazione ha continuato sempre pi a concentrarsi in poche aree urbane. Problemi nuovi sono sorti, quali quelli della carenza di servizi, traffico, inquinamento, reperimento di aree per la localizzazione di centrali elettriche, di discariche, di termovalorizzatori,.: impianti certamente essenziali alla vita collettiva, ma che creano forti resistenze dei gruppi sociali pi esposti al loro impatto. Tanti interrogativi si pongono oggi: come frenare lo sviluppo delle metropoli, come governare i flussi immigratori, come tutelare centri storici,.

[ Come sottolineava il Barman: le nostre citt si stanno trasformando rapidamente da ripari contro il pericolo a fonte principale del pericolo, in un curioso rovesciamento del loro ruolo storico e a dispetto delle intenzioni originarie dei costruttori e delle aspettative degli abitanti.]

( Lo scoglio della PROPRIETA: la difficolt di rispondere ai suddetti interrogativi inoltre aggravata dallo scoglio della propriet, e in particolare dagli effetti discriminatori determinati dagli strumenti urbanistici sulla propriet stessa. noto infatti che i piani regolatori, incidendo sulle destinazioni d'uso delle diverse aree, diffondono vantaggi svantaggi in varie direzioni, arricchendo improvvisamente determinati soggetti e impoverendone altri.

In ordine a tali fenomeni si pongono due importanti interrogativi:

come azzerare o ridurre le rendite urbanistiche (considerate appropriazioni private di un plusvalore non legato immediatamente al lavoro)?

come PEREQUARE la posizione tra i diversi proprietari destinatari delle scelte urbanistiche?

Molti di questi problemi derivano proprio dall'effetto paralizzante e distorsivo esercitato dalle enormi disparit che i piani regolatori producono tra i diversi proprietari. Per risolvere tali problemi, sono state adottate nel tempo varie misure, tendenti a:

+ alleggerimento delle spese dei comuni per le opere di urbanizzazione+ abbattimento delle rendite: il legislatore ha predisposto nel tempo varie misure per incidere sulle rendite:

contributo di miglioria: nelle due forme del contributo di miglioria generica e specifica. Si tratta del meccanismo originariamente predisposto dal legislatore;

la misura fiscale del contributo di miglioria stata sostituita nel 1963 dall'imposta sugli incrementi di valore delle aree edificabili;

quest'imposta stata poi sostituita dallINVIM, la soppressa dal decreto 504 del 1992;

finalit di contrasto delle rendite aveva anche la legge di disciplina dei suoli, cosiddetta legge Bucalossi, oggi inglobata nel t.u. dell'edilizia, che sancisce il principio dell'onerosit della concessione edilizia, alleggerendo in tal modo il costo sociale del urbanizzazione;

alcuni tentativi del passato non andati in porto: Progetto Sullo (ipotizzava l esproprio generalizzato delle aree fabbricabili a prezzo agricolo, onde pacificare la situazione dei diversi proprietari, impedire la formazione delle rendite, consentire al comune di effettuare l'urbanizzazione con costi accettabili per la finanza pubblica; tale progetto suscit per reazioni molto vivaci e rimase sulla carta); criterio del cosiddetto indice convenzionale di edificabilit (vigente in Francia e oggetto di un certo interesse anche in Italia: si tratta del rapporto tra volume dell'edificio fuori terra e la superficie edificabile del fondo);+ perequazione urbanistica: negli ultimi anni le anzidette istanze, hanno trovato corpo nella cosiddetta perequazione urbanistica. Sono previste due forme di perequazione urbanistica:

di comparto: avendo come finalit la realizzazione di quanto previsto nel piano urbanistico, permette ai proprietari di territori di accordarsi tra di loro riguardo alla concentrazione di volumetrie all'interno di una determinata area, in modo tale da non creare svantaggi per alcuno. Quindi corollario necessario di questa forma di perequazione l'unitariet di attuazione delle previsioni di piano e quindi l'accordo tra i diversi proprietari; estesa: nell'ambito della realizzazione di quanto previsto nel piano urbanistico, d la possibilit ai proprietari di determinate aree, di realizzare su alcuni lotti una concentrazione delle volumetrie e nel contempo, negli altri, la realizzazione di opere di interesse collettivo. Quindi tale forma di perequazione si basa su una serie di contratti di cubatura dei diversi proprietari in modo tale da evitare che solo alcuni proprietari debbano necessariamente sottostare ai traumi dei vincoli.Alla luce di ci e, con una certa approssimazione, si pu ritenere perequativo il piano urbanistico nel quale ricorrono questi due elementi: omogenea attribuzione dei diritti edificatori tra i proprietari (a prescindere quindi dall'eventuale edificabilit dell'area) e possibilit di trasferire i diritti edificatori da un'area ad un'altra.

( Conoscenza del territorio: la c.d. funzione conoscitiva

Il governo del territorio richiede un'adeguata conoscenza del territorio, basata su una sistematica raccolta ed elaborazione di dati e informazioni. Tale conoscenza deve riguardare non solo l'aspetto morfologico del territorio, ma anche le attivit in esse spiccate dai diversi soggetti pubblici e privati (ad esempio: gli eventuali vincoli archeologici precedentemente imposti; individuazione di zone minerarie, costiere, boschive; vincoli sui beni di interesse storico artistico; ).

Quindi, una volta redatto, il piano costituisce un importante strumento conoscitivo per quanti sono chiamati ad operare sul territorio: tale attivit di reperimento ed elaborazione dei dati dovrebbe assumere un aspetto di continuit, apparendo necessaria non solo nel momento della formazione del piano, ma anche in quello della gestione del medesimo. Infatti, nelle pi recenti leggi urbanistiche, il piano viene spesso definito come strumento conoscitivo e prescrittivo delle attivit di trasformazione del territorio. Con l'espressione strumento conoscitivo si vuol dire che il piano, in quanto mappa generale di un certo territorio, esplica unimportante funzione informativa per quanti sono interessati al medesimo. Anche se bisogna sottolineare che alcune prescrizioni di piano non sono il frutto di una libera scelta del comune, ma la conseguenza quasi obbligata di ci che si riviene in un certo territorio.

( Le pi rilevanti questioni di costituzionalit: i vincoli

Tra le problematiche vanno annoverate alcune questioni di costituzionalit:

- art. 42 c. 2 Cost.: la propriet privata riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. Data tale riserva di legge, il quesito che stato posto il seguente: se affidare al piano regolatore, anzich direttamente alla legge, la conformazione del contenuto del diritto sia rispettoso o meno del disposto costituzionale. Giurisprudenza e dottrina rispondono positivamente, sostenendo il carattere relativo e non assoluto della riserva di legge in discussione. Tale impostazione rende possibile l'approvazione del piano con atto amministrativo, anzich con legge;

- art. 3 Cost.: ci si chiesti poi se le molte disparit che il piani regolatori determinano tra i diversi proprietari ledano o meno il principio di uguaglianza. La risposta a tale quesito generalmente negativa, ritenendosi coessenziale a qualsiasi regolazione del territorio, una disciplina differenziata sotto il profilo edificatorio delle diverse parti del territorio comunale. Ma ci sono dei casi pi complessi in cui la disciplina urbanistica incide in modo cos penetrante sulla propriet da azzerarla sostanzialmente: si pensi ad esempio alle previsioni di spazi per opere di pubblica utilit che, creando un vincolo di inedificabilit assoluta, la possono impedire anche per lunghi anni la possibilit di utilizzazione del bene. Uno dei problemi pi discussi negli ultimi anni stato proprio questo: se alla luce dei principi costituzionali sia possibile imporre attraverso gli strumenti urbanistici, vincoli di inedificabilit assoluta a tempo indeterminato, finalizzati ad una futura espropriazione, senza corrispondere ai proprietari delle relative aree un indennizzo per il periodo di durata del vincolo stesso;

- art. 42 c. 3 Cost.: la propriet privata pu essere, nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale. Si evince immediatamente che questo comma prevede s un obbligo di indennizzo, ma solo per le espropriazioni (cio per i trasferimenti coattivi della propriet), non per i vincoli e le limitazioni su beni che rimangono intestati ai rispettivi titolari. L'interpretazione letterale dell'articolo sembrerebbe quindi suggerire la piena costituzionalit dei vincoli anzidetti; tuttavia la corte costituzionale, nella sentenza 55 del 1968 fa un discorso sostanzialistico: interpretando essenzialmente il comma 3 dell'articolo 42, ritiene che tale norma si applichi sia alle espropriazioni vere e proprie, sia alle cosiddette espropriazioni anomale, cio a quei pesi che sebbene non comportino trasferimento del bene da un soggetto ad un altro, la determinano tuttavia il sostanziale svuotamento della situazione proprietaria. Ma, secondo la corte, non qualsiasi vincolo di inedificabilit si pone in contrasto con l'articolo 42, c. 3 Cost., ma solo quelli in cui siano compresenti le tre anzidette caratteristiche: inedificabilit assoluta del bene, tempo indeterminato diligenza del vincolo, non previsione di indennizzo. Ne consegue quindi che un vincolo di inedificabilit limitato nel tempo sarebbe invece legittimo.Inoltre, secondo la corte costituzionale, il problema dell'indennizzo si pone soltanto in presenza di un diritto di propriet conformato ab initio con l'attributo dello ius aedificandi: poich l'articolo 42 c. 2 Cost. demanda alla legge ordinaria il compito di definire il contenuto della propriet, nulla impedisce che intere categorie di beni vengano in partenza configurate dal legislatore senza l'attributo dello ius aedificandi. In questi casi, l'imposizione di vincoli di inedificabilit assoluta assenza indennizzo sarebbe possibile.

La corte costituzionale ha fatto applicazione di questi principi nella sentenza 56 del 1968 relativa ai vincoli paesistici, anchessi di inedificabilit assoluta. La decisione, emanata lo stesso giorno di quella concernente i vincoli urbanistici, perviene a conclusioni opposte, proprio in virt del anzidetto ragionamento: i vincoli paesaggistici a differenza di quelli urbanistici, anche se a tempo indeterminato non richiedono indennizzo, poich il diverso regime proprietario dei beni giustifica una diversa soluzione.

In conclusione quindi, il regime differenziato dei vincoli non discende direttamente dalla costituzione, ma dalla concreta conformazione data alla propriet dal legislatore ordinario (ne discende che se in un dato momento storico la propriet urbanistica venisse conformata ab initio nel senso della esclusione dello ius aedificandi, neppure i vincoli urbanistici andrebbero indennizzati).

[Alcuni anni fa il nostro legislatore, trasformando con legge la licenza in concessione edilizia, cerc di introdurre un nuovo regime proprietario onde sottrarre ab initio lo ius aedificandi al proprietario e poter cos ripristinare vincoli di inedificabilit assoluta sulla propriet privata a tempo indeterminato, liberando i comuni dall'obbligo di indennizzo. Ma la corte costituzionale ha bloccato questo tentativo,, rilevando che la legge in discussione non aveva modificato dal punto di vista sostanziale il regime proprietario, avendo solo reso oneroso lato permissivo dell'attivit edilizia].

Oltre ai vincoli e alle conformazioni, trovano larghe applicazioni nel campo dell'urbanistica, le espropriazioni vere e proprie: si tratta di trasferimenti coattivi della propriet, aventi la loro base costituzionale dell'articolo 42 c. 3 Cost.. Di esse in particolare i comuni si avvalgono: per la realizzazione di opere pubbliche; per l'esecuzione di opere che il privato era tenuto a realizzare e non ha realizzato; per le esigenze dell'edilizia pubblica residenziale e industriale; . Due aspetti dell'espropriazione sono qui rilevanti; quelli della:

+ misura dell'indennizzo: la corte costituzionale, partendo dalla constatazione che l'articolo 42 c. 3 Cost. non parla di giusta indennit, ma di indennizzo, ritiene che anche indennizzi al di sotto del valore venale possano ritenersi illegittimi, quando costituiscano per il proprietario espropriato un serio ristoro. Ma ha anche affermato che quello del serio ristoro un criterio storico, suscettibile di diversa valutazione nel tempo. Inoltre, al fine di stabilire oggi quale sia l'indennizzo compatibile con i principi costituzionali, bisogna considerare anche la normativa vincolante della CEDU. Per effetto di ci si assistito ad un progressivo avvicinamento dell'indennizzo al valore venale del bene. La materia oggi disciplinata dal Testo unico sullespropriazione (d.p.r. 327 del 2001), che adotta il seguente regime differenziato:

suoli edificatori: si rif con alcune varianti alla legge di Napoli del 1885. In virt di tale normativa, l'indennit di esproprio viene determinata attraverso la media tra il valore venale (giusto prezzo secondo una libera contrattazione) e il reddito dominicale. L'importo cos determinato ridotto del 40% a meno che il soggetto espropriato convenga la cessione volontaria del bene. Tale criterio, ritenuto in un primo momento conforme ai principi costituzionali, stato invece recentemente dichiarato dalla stessa corte non pi rispondente a questi principi, facendo riferimento proprio alla giurisprudenza della CEDU favorevole al criterio del valore venale. Il mutamento giurisprudenziale della corte costituzionale avvenuto con la sent. 348 del 2007 che ha dichiarato incostituzionali i commi 1 e 2 del anzidetto testo unico;

aree non edificabili: con riferimento alle aree non edificabili vige invece il criterio del valore agricolo, con una serie di maggiorazioni ad personam (cd. indennizzo personalizzato) a favore di taluni soggetti aventi un particolare rapporto col fondo espropriato: coloni, partecipanti, mezzadri, proprietari diretti coltivatori, fittavoli.+ accessione invertita: negli ultimi decenni, per effetto soprattutto della lunghezza dei procedimenti espropriativi e delle connesse patologie, accaduto in molti casi che l'opera pubblica sia stata iniziata o realizzata prima ancora che il proprietario fosse stato ritualmente espropriato.

La corte di cassazione aveva inaugurato un indirizzo giurisprudenziale in base al quale la radicale trasformazione del fondo, con l'irreversibile sua destinazione all'uso pubblico, avrebbe determinato l'estinzione del diritto di propriet del privato e la contestuale acquisizione del suolo a titolo originario in testa all'ente occupante (cd. accessione invertita). La stessa corte riconosceva che all'ex proprietario dovesse essere corrisposto il controvalore del bene, considerando l'occupazione abusiva come una sorta di illecito permanente. Successivamente per l'articolo 5-bis della legge 359 del 192 equipar il quid dovuto al proprietario all'indennizzo di una normale espropriazione effettuata legittimamente, azzerando in sostanza le conseguenze del carattere illecito dell'occupazione.

La corte di Strasburgo ha pesantemente censurato questo meccanismo, costringendo il legislatore nazionale a modificare l'istituto: in accoglimento a tale giurisprudenza, l'articolo 43 del testo unico sullespropriazione abilita ancora oggi l'autorit che utilizza abusivamente un bene immobile per scopi di interesse pubblico ad acquisirlo al proprio patrimonio indisponibile. Ma ci ad una doppia condizione: che al proprietario vadano risarciti i danni e che venga attivato un apposito nuovo procedimento per l'acquisizione del bene, tramite una nuova e autonoma ponderazione degli interessi in conflitto.

CAPITOLO II

Le fonti: il riparto delle funzioni legislative

( Concetto di urbanistica: si gi accennato che il concetto giuridico di urbanistica pi ampio di quello comune. Esse infatti non riguarda solo la citt, ma la disciplina dell'assetto dell'intero territorio, con particolare riferimento alle destinazioni e alle modalit d'uso delle diverse parti del medesimo. Bisogna per sottolineare che nel nostro ordinamento esistono altre normative, non qualificabili come urbanistiche, che hanno pure per oggetto la disciplina d'uso e i controlli su parti del territorio interessate da certe attivit, attraverso procedimenti attivati e gestiti da apparati amministrativi diversi da quelli addetti allurbanistica (si pensi ad esempio alla legge mineraria che regola lo sfruttamento delle miniere, al codice della navigazione che disciplina le modalit d'uso del demanio marittimo, alla legislazione paesistica che impone vincoli su parti del territorio). Alla luce di ci, occorre quindi chiedersi quale sia il quid che distingue l'urbanistica dalle altre discipline. La risposta pi appropriata quella data da Paolo Stella Richter, secondo cui bisogna guardare all'elemento teologico: la finalit dell'urbanistica non quella di soddisfare questo o quel determinato interesse, che incida sul territorio. Essa ha invece ad oggetto tutti gli interessi che sul territorio devono trovare soddisfacimento, poich la sua finalit quella di ottimizzazione dell'uso del territorio globalmente considerato. Ma cosa significa ottimizzazione dell'uso del territorio?

Significa che una delle pi importanti attitudini dell'urbanistica quella di creare delle sinergie in vista del miglior soddisfacimento dei diversi interessi presenti nel territorio (ad esempio l'interesse alla salute, giuridicamente distinto da quello urbanistico, pu essere potenziato da una razionale pianificazione urbanistica attenta allo snellimento del traffico, tale da abbattere significativamente l'inquinamento atmosferico).

Altra attitudine dell'urbanistica quella di guardare ai problemi del territorio in una logica di lungo periodo e conseguentemente di erigersi a presidio di tutti quei beni collettivi che il mercato tende invece a sacrificare in nome dell'immediatezza del risultato.

( La normativa comunitaria

Anche il normativa della comunit europea sembra avallare l'impostazione predetta e quindi valorizzare il profilo protezionistico dell'urbanistica. Tra le diverse indicazioni protezionistiche contenute nei testi comunitari, quella probabilmente pi attinente all'urbanistica, la previsione della v.a.s. (valutazione ambientale strategica), sancita nella direttiva Cee 42 del 2001, con riferimento a tutta una serie di strumenti pianificatori aventi potenzialmente un elevato impatto ambientale. Il codice dell'ambiente definisce la v.a.s.come una valutazione strategica preordinata a garantire che gli effetti sull'ambiente derivanti dall'attuazione di piani e programmi di intervento sul territorio siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione. Scopo fondamentale di tale procedura quello di garantire un elevato livello di protezione ambientale, nel quadro del cosiddetto sviluppo sostenibile. Quindi la v.a.s. costituisce, per una serie di strumenti pianificatori aventi effetti significativi sull'ambiente, parte integrante del procedimento ordinario di adozione e approvazione, a pena di nullit dei provvedimenti di approvazione assunti in carenza della medesima. In particolare, la legge impone la redazione di un rapporto ambientale, nel quale devono essere individuati, descritti e valutati gli effetti significativi che l'attuazione del piano proposto potrebbe avere sull'ambiente e sul patrimonio culturale, nonch le ragionevoli alternative che possono adottarsi in considerazione degli obiettivi e dell'ambito territoriale del piano. Prima che venga espresso definitivamente un giudizio di compatibilit/incompatibilit ambientale prevista una fase di consultazione.

( Le norme costituzionali di riferimento: il riparto della materia tra Stato e regioni

Il nuovo testo dell'articolo 117 Cost. (risultante dalle modifiche apportate dalla legge cost. 3 del 2001), annovera il governo del territorio nell'elenco delle materia competenza concorrente tra lo Stato e le regioni; rimane quindi riservata allo Stato la sola determinazione, per mezzo di leggi quadro o cornice, dei principi fondamentali cui la normativa regionale deve ispirarsi. Il testo originario dell'articolo parlava invece di urbanistica. Va innanzitutto ricordato che nelle materie a competenza concorrente, la potest legislativa regionale incontra sempre il limite dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Principi che dovrebbero essere stabiliti espressamente da apposite leggi cornice, ma che in mancanza di esse possono che essere desunti in via interpretativa dalla legislazione statale emanata secondo i canoni tradizionali. Nel nostro paese manca tuttora un'organica legge cornice che abbracci l'intera materia governo del territorio. Tuttavia vari tentativi in tal senso possono leggersi nei numerosi testi di riforma dell'urbanistica, nei quali vengono generalmente individuati come principi fondamentali della materia quelli della:

pianificazione, che obbliga tutti i comuni ad avere uno strumento urbanistico di base

sostenibilit, che impone limiti allo sviluppo per la conservazione dei beni collettivi

tutela e prevenzione dai rischi naturali

sussidiariet, la adeguatezza, equit e legalit del territorio

Sinora una codificazione organica dei principi avvenuta solo per la sub-materia edilizia, in virt del testo unico per l'edilizia. L'articolo 1 del medesimo precisa infatti che nel testo sono contenuti i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell'attivit edilizia, che vincolano la futura legislazione regionale.

Quanto si detto sinora riguarda prevalentemente le regioni ordinarie; per quelle a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Val d'Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia) e le due province di Trento e di Bolzano, valgono principi parzialmente diversi, essendo dotate di potest legislativa primaria. Ci significa che queste ultime possono anche dettare legittimamente normative che si distaccano dai principi fondamentali della legislazione statale in materia, pur che non ledano norme e principi di maggiore pregnanza.

La nuova espressione governo del territorio: dopo la riforma del 2001, si discusso se la nuova espressione governo del territorio di cui all'articolo 117 Cost. fosse equivalente o meno a quella originaria di urbanistica.

In un primo momento si era pensato che il legislatore costituzionale, con tale nuova denominazione, avesse voluto spezzare l'originaria materia urbanistica in due sub-materie: governo del territorio (di carattere concorrente) e urbanistica (di competenza esclusiva regionale, in quanto non espressamente enumerata).

Questa tesi non prevalsa, sicch oggi si ritiene che l'espressione governo del territorio alluda ad un'unica materia concorrente, avente al suo interno diversi oggetti:

urbanistica propriamente detta (che attiene alla disciplina dei piani regolatori)

edilizia (che riguarda essenzialmente il controllo dell'attivit edilizia attraverso la disciplina dei permessi edilizi) edilizia pubblica residenziale (gli interventi per realizzare il cd. diritto alla casa) espropriazione, limitatamente ai suoi profili strumentali al governo del territorio (ad es. espropriazioni finalizzate all'urbanizzazione, all'attuazione di determinate previsioni dei piani regolatori, )Limiti alla potest legislativa regionale: la potest legislativa regionale, oltre a sottostare ai principi fondamentali della legislazione statale in materia, tenuta anche al rispetto di altri limiti desumibili in via implicita dal sistema costituzionale, quali quelli:

delle norme penali: la corte costituzionale ha pi volte chiarito che le regioni, oltre a non poter incidere direttamente sul regime sanzionatorio penale, non possono neppure modificarlo indirettamente, liberalizzando ad esempio attivit edilizie, il cui esercizio venga configurato dalla legge dello Stato come reato. In tal modo caduta sotto la scure della corte costituzionale tutta la legislazione regionale in tema di sanatoria edilizia;

del principio autonomistico: questo limite desumibile dall'articolo 118 Cost.. Ma ci in via indiretta, perch l'articolo in discussione in realt non si occupa dei problemi del riparto della potest legislativa, ma dell'esercizio delle funzioni amministrative: la regola posta da quest'ultimo articolo quella della attribuzione ai comuni delle funzioni amministrative, salve le esigenze della sussidiariet, della differenziazione e dell'adeguatezza amministrativa. Da tale disposto si evince implicitamente che il legislatore regionale non potrebbe allocare le funzioni amministrative in campo urbanistico, senza osservare questo principio autonomistico.( Materie limitrofe: tutela dell'ambiente, dell'ecosistema, dei beni culturali

La salvaguardia dei beni di interesse collettivo (quali il paesaggio, i Beni Culturali e l'ambiente) costituisce oggi prerogativa propria dell'urbanistica. In realt per il ruolo protezionistico assunto da quest'ultima nei confronti dei beni in discussione non esaustivo. Esistono infatti nel nostro sistema apposite e pi mirate discipline che affidano ad altre amministrazioni e a procedimenti diversi da quelli urbanistici la cura di questi interessi. Alcune di queste normative precedono addirittura la legislazione urbanistica. Anche il titolo V della Costituzione accredita tale distinzione: infatti, mentre il governo del territorio materia di competenza concorrente, non pu cos dirsi per le altre materie sopra menzionate. Per esse il nuovo testo costituzionale opera delle distinzioni: nella nuova formulazione dell'articolo 117 tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali sono materie di competenza esclusiva dello Stato. Lo stesso articolo include invece nel catalogo delle materie a competenza concorrente la valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

In sostanza, il legislatore costituzionale accogliendo la distinzione tutela/valorizzazione ha ritenuto di dover pervenire ad una sorta di compromesso.

Occorre per chiarire i delicati rapporti che si pongono tra governo del territorio (materia di competenza concorrente) e tutela dell'ambiente (paesaggio), dell'ecosistema (ambiente-inquinamenti) e dei beni culturali (materie di competenza esclusiva statale).

La funzione dell'esclusivit non quella di precludere in assoluto alle regioni qualsiasi attivit legislativa rivolta alla tutela dei valori suddetti; ma di creare una cintura di sicurezza in favore della legislazione statale specificamente protezionistica, per evitare e che essa possa essere travolta da eventuali interventi legislativi abrogativi o modificativi provenienti dalle regioni (sarebbe illegittima una legge regionale che alterasse gli strumenti di tutela previsti dalla normativa statale in materia quali ad esempio i procedimenti per l'imposizione di vincoli, il regime giuridico di questi ultimi, ..; non sarebbe invece censurabile una legislazione regionale che senza intaccare quei meccanismi, prevedesse ad esempio degli interventi finanziari per incentivare il restauro di beni culturali o estendesse forme di tutela a beni culturali di interesse locale, non contemplati dalla legislazione dello Stato). Questi interventi, oltre che dalle norme costituzionali sul riparto delle funzioni, sarebbero anche legittimati dall'articolo 9 Cost. che impone a tutti i soggetti della Repubblica, comprese ovviamente le regioni, di concorrere alla tutela del patrimonio culturale e paesaggistico.

La corte costituzionale negli ultimi anni ha espresso sostanzialmente gli stessi concetti ma con altra terminologia: ha qualificato le materie contemplate nell'articolo 117 di cui si detto, come materie trasversali, per sottolineare appunto che lesclusivit della potest legislativa statale nelle medesime non poi cos esclusiva da impedire alle regioni di partecipare con proprie leggi alla tutela degli anzidetti beni.

Precisazioni terminologiche: il caso inoltre di specificare che le espressioni beni culturali, ambiente ed ecostistemi, contenute nell'articolo 117 lett. s Cost., non trovano nel linguaggio legislativo, dottrinario e giurisprudenziale riscontri univoci. Ci vale in particolare per l'espressione ambiente, rispetto alla quale il Giannini ritenne di poter rinvenire tre diversi significati giuridici: ambiente come insieme di Beni Culturali localizzati in un certo spazio; ambiente come paesaggio; ambiente come ecosistema aggredito dall'inquinamento, al quale si pone rimedio attraverso le normative antinquinamento.La tripartizione di Giannini rimane tuttora valida, ma con un'aggiunta: esistono anche casi in cui l'ambiente assume un valore unitario (si pensi ad esempio al danno ambientale).

Alla luce di queste precisazioni occorre evidenziare qual il significato che le anzidette espressioni assumono in concreto nell'articolo 117 lett. s Cost.:

ambiente: sembra alludere essenzialmente ai beni paesaggistici, denominati infatti da altre normative come beni ambientali. Negli ultimi decenni si molto discusso del rapporto urbanistica-paesaggio: in un primo momento si era parlato di un paesaggio come sub-materia dell'urbanistica o, al contrario, del paesaggio come materia regina attinente alla regolazione conformativa globale del territorio, dalla quale discenderebbe come sub-materia l'urbanistica. Si tratta di un dibattito di grande interesse, ma non estremamente rilevante in tale sede poich nell'attuale diritto positivo, come risulta anche dalle norme costituzionali, il paesaggio rimane una materia distinta dall'urbanistica, salvo come si vedr quella sorta di zona grigia costituita dai piani paesaggistici e a valenza paesaggistica

ecosistemi: sembra alludere alla difesa dell'habitat dagli inquinamenti e alle aree naturali (parchi e riserve); beni culturali: allude a tutte quelle cose costituenti testimonianza materiale di civilt oggi disciplinati dal titolo II del codice dei beni culturali sotto la diversa denominazione di cose di interesse artistico-storico.( Le fonti ordinarie

Dopo aver delineato il quadro costituzionale di riferimento, si passa all'esame delle principali tappe di svolgimento della disciplina urbanistica del nostro paese:

+ sino agli inizi del XX secolo le norme legislative in materia erano scarse e frammentarie: l'attivit edilizia era disciplinata prevalentemente dai regolamenti edilizi comunali e dagli annessi piani di espansione, nonch dalle convenzioni urbanistiche tra comuni e proprietari. Strumenti di tipo contrattuale nati dalla prassi, che resero possibile per lungo tempo la realizzazione di importanti urbanizzazioni con l'apporto finanziario dei privati;

+ il primo testo legislativo post unitario che interessa la legge 2359 del 1865 sull'espropriazione, che dedica alcune disposizioni al piano regolatore comunale, visto come strumento facoltativo al quale potevano accedere soltanto i comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti. Il piano costituiva essenzialmente una sorta di programma delle espropriazioni da porre in atto per il miglioramento viario e igienico dei maggiori centri abitati;

+ a questo testo normativo si vanno pian piano affiancando varie leggi speciali, nate dall'esigenza di risolvere situazioni specifiche di singole citt: si ricordi la legge di Napoli del 1885, nata in seguito allo scoppio del colera, che prevede un piano di risanamento, basato sul criterio delle espropriazioni a tappeto;

+ nel periodo fra le due guerre si sviluppa invece una legislazione speciale che estende il piano regolatore ai comuni pi importanti. In questa fase si assiste ai piani approvati con legge.

+ lo sbocco conclusivo di questo lungo processo normativo la legge 1150 del 17 agosto 1942, cosiddetta legge urbanistica, che rappresenta ancora oggi il testo fondamentale di disciplina della materia.

+ nel 1967, in seguito alla frana di Agrigento, viene emanata la legge 765 del 1967, che apporta alcuni ritocchi alla legge del 1942, nell'intento soprattutto di accelerare i tempi di formazione dei piani di limitare l'attivit costruttiva in assenza di strumenti urbanistici fondamentali;

+ l'anno successivo, in seguito alla sentenza della corte costituzionale 55 del 1968, il piano regolatore subisce una sorta di metamorfosi: vengono infatti temporalizzati i cosiddetti vincoli di localizzazione. Ci avviene per effetto della legge tampone 1187 del 1968;

+ altra tappa fondamentale la legge 10 del 1977, nota anche come legge Bucalossi, che trasforma la licenza edilizia in concessione onerosa;

+ per tentare di riordinare la materia urbanistica, la legge 50 del 1999 dispose che il governo procedesse con l'emanazione di testi unici al riordino delle norme in materia di ambiente e tutela del territorio, di urbanistica ed espropriazione. In ottemperanza a ci sono stati emanati:

Testo unico dei Beni Culturali e ambientali (abrogato nel 2004);

Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilit (d.p.r. 327 del 2001);

Testo unico delle edilizia (d.p.r. 380 del 2001): detta i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell'attivit edilizia. Si tratta, come si gi detto, di una legge-cornice, che riguarda non l'intera materia dell'urbanistica, ma una parte di essa: la sub-materia dell'edilizia, attinente essenzialmente al controllo preventivo dell'attivit edilizia nonch alla vigilanza e alle sanzioni contro gli abusi edilizi. Il testo unico ha inoltre abrogato molti degli articoli della legge urbanistica del 1942; molti articoli della legge Bucalossi.

+ l'articolo 7 della legge 50 del 1999 (la disposizione che appunto prevedeva che il riordino normativo avvenisse mediante l'emanazione di testi unici, stato in seguito abrogato dalla cd. legge di semplificazione 2001 unto la nuova normativa prevede ora che il riassetto normativo si attui mediante la codificazione della normativa primaria.Proposte di riforma organica della materia: nel corso delle legislature che si sono susseguite negli ultimi trent'anni, sono stati effettuati tentativi di una riforma urbanistica senza alcun esito. Carattere costante delle diverse iniziative legislative quella della definizione dei principi fondamentali della materia, la configurazione di una nuova pianificazione urbanistica a carattere strutturale, nonch la previsione della perequazione urbanistica. Tra le diverse proposte di legge della legislatura XV si ricordano: la proposta Lupi, che riproduce un testo gi prodotto nella precedente legislatura; la proposta Mantini, Iannuzzi; la proposta Mariani, Fassino su principi fondamentali e fiscalit urbanistica immobiliare.

Le principali leggi regionali: tutte le regioni, sia ordinaria che speciali, hanno ormai legiferato ampiamente in materia urbanistica. Ma in realt parte cospicua del contenzioso urbanistico ha tuttora alla base di norme statali o di derivazione statale. Tale circostanza trova giustificazione nel fatto che non sempre i legislatori locali disciplinano in modo esaustivo la materia: in molti casi essi operano ad incastro, modificando o integrando la normativa statale, senza abrogarla totalmente. Tra le regioni che hanno emanato leggi urbanistiche organiche dai contenuti pi innovativi: Toscana, Umbria, Lazio, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia.

CAPITOLO III

Il sistema della pianificazione urbanistica: modello teorico e assetto reale. I soggetti di governo e di gestione

( Il modello teorico: la pianificazione urbanistica disciplina la distribuzione spaziale degli interventi nel territorio e organizza i relativi strumenti strutturali per un ordinato sviluppo del territorio che si dimostri compatibile con lo sviluppo economico. Gli strumenti operativi della pianificazione urbanistica sono i cosiddetti strumenti urbanistici, distinguibili per livello gerarchico, tipologia e funzionalit. In particolare, il sistema tradizionale della pianificazione urbanistica prevede una sequenza gradualistica di piani sempre pi specifici, con due elementi di chiusura costituiti dal permesso edilizio (onde attestare la conformit della singola opera al piano) e da un insieme di sanzioni per reprimere ogni ipotesi di abuso edilizio. Quindi i piani urbanistici costituiscono strumenti di controllo e di indirizzo dello sviluppo urbanistico. Secondo la legge del 1942 la pianificazione urbanistica gerarchicamente ordinata su tre livelli:

1) piani territoriali di coordinamento (regionali e provinciali): si trovano al livello pi alto. I piani territoriali di coordinamento (p.t.c.) sono strumenti urbanistici di direttive generali (che non obbligano immediatamente i soggetti privati), nei quali avrebbero dovuto trovare organica sistemazione le grandi infrastrutture e le pi importanti destinazioni d'uso del territorio da immettere nei piani regolatori;

2) piani comunali: piano regolatore generale comunale (p.r.g.: traduce le direttive generali in prescrizioni pi precise con riferimento alla totalit del territorio di un comune), programma di fabbricazione (possono definirsi come elementari piani regolatori dei comuni minori), piano intercomunale (coordinano le direttive riguardanti l'assetto urbanistico di due o pi comuni limitrofi). Sono redatti dal comune e approvati da organi statali;

3) piani attuativi: piani particolareggiati di esecuzione e piani di lottizzazione (presentano strumenti di attuazione dei piani regolatori generali); piani speciali di zona (piani per l'edilizia economica e popolare, piani di recupero, piani degli insediamenti produttivi: appartengono al genere dei piani particolareggiati, ma se ne distinguono per essere finalizzati all'espropriazione dell'intero territorio da essi considerato); programmi pluriennali di attuazione (perseguono finalit sia di predeterminazione dell'assetto del territorio, sia di esecuzione del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione, indicando, nell'ambito del territorio comunale, le zone in cui lo sviluppo edilizio dovr indirizzarsi per un arco di tempo prefissato, compreso tra i 3 e i 5 anni). I piani attuativi si trovano alla base della piramide e traducono in prescrizioni pi dettagliate le previsioni dei piani regolatori comunali.

Elementi fondamentali del modello sono:

atemporalit del sistema (tutti i piani tranne quelli attuativi hanno valore a tempo indeterminato)

vincolo gerarchico che lega tra loro gli strumenti urbanistici dei diversi livelli (il piano sottordinato pu sviluppare previsioni contenute nel piano pi elevato ma non pu apportare a questo deroghe o correzioni). In particolare la dottrina classifica i piani urbanistici secondo un rapporto di gerarchia a piramide rovesciata: nel senso che vi sono strumenti dotati di valore prescrittivo (pianificazione di direttive) nei confronti dei piani di livello inferiore (pianificazione esecutiva).

( Il modello reale: se alla luce di ci si considera la vicenda dell'urbanistica dell'ultimo quarantennio, non difficile cogliere una contraddizione di fondo. Un esame approfondito dimostra che il e ma non ha retto: e ci non solo perch alcuni tipi di piano (p.t.c.) non hanno avuto pratica attuazione o solo sporadiche applicazioni, ma anche perch una legislazione settoriale sempre pi cospicua e invadente ha snaturato il modello fino a renderlo irriconoscibile.

+ Il piano regolatore generale rimane ancora oggi lo strumento fondamentale di disciplina del territorio, ma le sue previsioni possono essere derogate o tra volte e sempre pi frequentemente sia dagli strumenti attuativi sia da procedimenti urbanistici atipici di variante: ci avviene in particolare per le opere pubbliche che, pur costituendo l'oggetto pi qualificante del contenuto dei piani vengono oggi quasi sempre decise fuori dal contesto pianificatorio sulla base della disponibilit del finanziamento immesse ex post in quest'ultimo attraverso procedimenti urbanistici atipici che attribuiscono all'approvazione del progetto valore di variante del piano. In altri termini, nell'attuale panorama normativo, coesistono procedimenti urbanistici in senso proprio (finalizzate cio direttamente allordinato assetto del territorio) e procedimenti a valenza urbanistica che, pur tendendo al soddisfacimento di specifici interessi pubblici (opere pubbliche, centrali elettriche, impianti di depurazione, ) producono tuttavia effetti urbanistici potendo modificare i piani esistenti.

+ Altro importante fenomeno, anchesso collegato ai singoli interventi, quello della proliferazione della cosiddetta urbanistica concordata, nel tentativo di sfruttare nei diversi campi le sinergie tra il pubblico e privato, la affievolisce la reale efficacia della pianificazione urbanistica, riavvicinando paradossalmente il sistema al periodo anteriore al 1942: quando cio i grandi proprietari terrieri erano legittimati a proporre attraverso le convenzioni urbanistiche, allora possibili in assenza di piano regolatore, nuovi insediamenti edilizi e nuove destinazioni urbanistiche di determinate parti del territorio comunale.

Alla luce di quanto detto diventa estremamente difficile descrivere e valutare l'attuale vicenda dell'urbanistica, cambiando radicalmente lo scenario a seconda dell'angolo visuale in cui ci si colloca:

se indagine viene circoscritta alla legislazione generale (legge del 1942 ma anche leggi urbanistiche regionali) l'assetto del territorio ci si presenta come la risultante di un sistema pianificatorio ordinato che partendo da un impulso centralistico (le direttive dei piani territoriali di coordinamento, gli atti di indirizzo e coordinamento statali, gli schemi di assetto territoriale delle regioni), va concretizzandosi progressivamente in un processo che responsabilizza sempre pi i comuni;

se, viceversa, l'indagine si allarga alla prassi effettiva e alle innovazioni introdotte dalla legislazione speciale, l'assetto del territorio appare piuttosto la risultante di una serie di spinte e controspinte orizzontali provenienti da una pluralit di centri di potere pubblici, semi pubblici e privati che, pur con fruendo sempre nel piano regolatore generale, fanno perdere allo stesso quel carattere di organicit e di definitivit che sembrerebbe avere. Viene anche ridimensionato il ruolo dei soggetti preposti al governo del territorio: questi ultimi non appaiono pi come veri pianificatori, arbitri assoluti delle sorti di un certo territorio, ma piuttosto come mediatori o coordinatori dei diversi interessi coinvolti dal piano.

( Il territorio come terminale necessario di tutte le attivit umaneOccorre tenere presente che la pianificazione urbanistica, dovendo considerare la totalit del territorio comunale sia nella sua parte urbana che extra urbana, finisce inevitabilmente per incidere non solo sulla propriet, ma anche su altri diritti fondamentali del cittadino (in primis sul diritto di iniziativa economica privata ex art. 41 Cost.). Esso inoltre interferisce con una serie di funzioni e servizi riservati ad altri apparati pubblici per la cura di interessi di rilevanza regionale e nazionale. I soggetti intestatari di siffatti diritti o poteri, riconducibili direttamente o indirettamente alla costituzione, sembrano portatori di una sorta di pretesa all'utilizzazione del territorio, senza la quale le anzidette posizioni giuridiche di diritto o di potere non potrebbero trovare concreta esplicazione. Ci fa intendere subito che la pianificazione urbanistica non espressione di un potere totalmente libero: essa non pu svolgersi in assenza di vincoli e senza il coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati toccati dal piano. Se cos non fosse si correrebbe il rischio di vedere pregiudicati irrimediabilmente interessi fondamentali per la vita della collettivit. In sostanza, costituendo il territorio il terminale necessario della gran parte delle attivit umane, ne consegue che le autorit addette allurbanistica non possono non fare i conti con tutti quegli altri soggetti titolari di diritti o di poteri il cui esercizio implichi necessariamente delle trasformazioni del territorio: si che la pianificazione urbanistica, da un lato, condiziona l'esercizio di diritti e poteri altrui, dall'altro, condizionata dal peso di questi ultimi.

Nasce quindi l'esigenza di incanalare i diversi interessi coinvolti nei processi pianificatori. La legislazione urbanistica sembra fornire al riguardo le seguenti soluzioni:

soggetti privati: prevede moduli di partecipazione ai diversi procedimenti di piano, talvolta sotto forma di osservazioni talaltra sotto forma di opposizione. Il meccanismo delle osservazioni e delle opposizioni soggetto a numerose critiche: si osserva innanzitutto che lo stesso sovraccarica i procedimenti, senza riuscire a dare effettiva evidenza pubblica alle scelte dell'amministrazione, cio senza chiarire i perch e i vantaggi di determinate opzioni rispetto ad altre possibili. Si invoca da pi parti una riforma di tali procedimenti: ma le proposte in tal senso non vanno oltre l'introduzione delle cosiddette istruttorie pubbliche o l'estensione della partecipazione a momenti antecedenti all'adozione del piano; soggetti pubblici: contempla forme di coordinamento orizzontale (intese o concerti), tutte le volte in cui il piano tocca attivit o interessi di altre amministrazioni statali. La pi recente legislazione prevede talvolta conferenze di servizio. Quanto al coinvolgimento di altri rami di amministrazione nei procedimenti urbanistici, occorre innanzitutto mettere in rilievo che tale esigenza nasce dal fatto che anche i soggetti pubblici al pari di quelli privati devono normalmente sottostare alle scelte urbanistiche. Uno dei problemi pi rilevanti se l'esistenza di un regime speciale inibisca il potere pianificatorio urbanistico, creando una sorta di zona franca per quel dato territorio o quella certa attivit o se viceversa le autorit urbanistiche mantengono i loro poteri pianificatori e di controllo da coordinare per con quelli degli altri soggetti titolari di quell'altro interesse pubblico. La giurisprudenza costituzionale negli ultimi anni stata pi volte chiamata a pronunciarsi su vicende del genere: l'orientamento della medesima sembra confermare la prevalenza delle discipline speciali ma anche il carattere totalizzante della pianificazione urbanistica. Ci comporta che porzioni di territorio o categorie di beni assoggettati ad una disciplina speciale devono essere incluse ugualmente nel piano regolatore, il quale per non pu disporre una normativa contrastante con quella posta in essere dalle autorit che reggono quelle aree. Quindi la disciplina speciale non annulla i poteri dell'autorit urbanistica ma li limita drasticamente: non si tratta per di un recepimento passivo da parte dell'autorit urbanistica di regole poste da altri apparati pubblici, ma di un intervento dialettico al fine della razionale collocazione dei diversi interessi pubblici nel pi vasto quadro dell'assetto del territorio. La giurisprudenza ha tratto da tutto ci un importante corollario: che quando la pianificazione urbanistica incontra nel suo cammino beni soggetti al regime differenziato, le relative prescrizioni devono nascere con l'apporto dell'autorit addetta a quel dato interesse pubblico di settore. Questo criterio generale di coordinamento vale anche tra organi statali e regionali, ai quali la corte costituzionale ha imposto pi volte l'obbligo dell'intesa e della leale cooperazione.Lanalisi appena svolta consente di formulare alcune conclusioni in ordine al potere urbanistico:

+ evidente innanzitutto l'intrinseca debolezza del potere urbanistico: sebbene il piano regolatore generale sia abilitato a disporre in ordine all'intero territorio comunale, esso incontra una serie di limiti riconducibili fondamentalmente all'esigenza di rendere possibile l'esercizio di tutti quei diritti e poteri radicati sul territorio che non potrebbero essere azzerati o non considerati dalle scelte urbanistiche. Recentemente la corte costituzionale ha fatto applicazione di tale principio in una vicenda relativa agli impianti di telefonia mobile, sottolineando che il potere urbanistico del comune, pur non azzerato dalla normativa specifica della materia, non pu esplicarsi attraverso l'inibizione assoluta su tutto il territorio comunale delle predette apparecchiature, ma attraverso pi flessibili modalit tali da conciliare al meglio i diversi interessi. Si tratta di un'ulteriore conferma dell'esistenza di limiti impliciti alla pianificazione urbanistica, definibili secondo i consueti criteri della ragionevolezza e della proporzionalit;

+ la seconda riflessione mira ad evidenziare il retroterra contrattuale della pianificazione urbanistica (talvolta visibile, talaltra invisibile). Tale profilo immediatamente evidente in tutti quei casi in cui lo strumento urbanistico, coinvolgendo interessi di altre amministrazioni, viene approvato previo concerto o intesa con queste ultime. Ma la vicenda riguarda anche i soggetti privati: la legislazione degli ultimi anni ha trasformato la gran parte della pianificazione urbanistica speciale in urbanistica contrattata (programmi di trasformazione urbana, di recupero urbano,). L'aspetto consensuale non invece visibile in tutti quei casi in cui la scelta urbanistica, formalmente unilaterale, in realt frutto di accordi taciti con interessi forti. Il fenomeno della consensualit sarebbe segno della recessivit del carattere autoritativo dell'azione amministrativa e di un'evoluzione in senso democratico dell'amministrazione con un rafforzamento della cittadinanza. Tale interpretazione non appare sempre realistica, perch nella stragrande maggioranza dei casi gli interessi che riescono realmente ad affermarsi attraverso la consensualit non sono quelli nobili protese ad elevare la qualit della vita, ma quelli di tipo economico speculativo intrecciati in vario modo al sottobosco politico. Un recente studio a campione sui piani regolatori dei comuni piccoli e medi ha messo in evidenza che la maggior parte delle destinazioni a verde pubblico, a verde attrezzato o ad infrastrutture ricade su terreni di proprietari incapaci di relazionarsi con gli amministratori locali perch non residenti nel comune interessato, perch appartenenti a fazioni politiche avverse, Ci conferma che la consensualit serve pi che altro a fare affari, piuttosto che a far crescere la democrazia e rendere pi accogliente la casa comune.

( I soggetti preposti al governo del territorio e alle funzioni di controlloPassiamo ora ai soggetti preposti alle funzioni amministrative e tecniche inerenti al governo del territorio.

In passato tali soggetti erano:

comuni: compito fondamentale dei comuni era quello di deliberare gli strumenti urbanistici e di esercitare il controllo sull'attivit edilizia, attraverso le licenze edilizie e l'applicazione delle sanzioni amministrative per i casi di abusivismo edilizio;

Stato: compito fondamentale dello Stato era quello di approvare gli anzidetti strumenti e di vigilare sull'osservanza della normativa urbanistica.

Dopo l'istituzione delle regioni, il problema organizzativo diventato pi complesso: in un primo momento i compiti originariamente intestati allo stato sono stati trasferiti ai nuovi enti, rimanendo per intestate a quest'ultimo talune funzioni residue riassunte nell'espressione linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, in funzione della tutela del territorio e della realizzazione delle reti infrastrutturali di interesse nazionale. Ci risulta dai testi normativi che hanno attuato i trasferimenti delle funzioni amministrative dallo Stato alle regioni e ai minori enti locali.

Dopo l'attribuzione di funzioni urbanistiche alle province e alle citt metropolitane il sistema divenuto ancora pi complesso. Pu essere descritto in questo modo:

Stato: l'apparato statale originariamente preposto all'urbanistica era il ministero dei Lavori Pubblici e le sue articolazioni periferiche. Relative funzioni consultive tecniche erano affidate al consiglio superiore dei lavori pubblici e ai comitati tecnici amministrativi. Il pi recente testo normativo di riordino dei ministeri del 1999 ha ritenuto invece di dover ripartire le residue funzioni statali in materia tra due diverse strutture ministeriali: il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio (cui sono affidate le funzioni conservative, relative alla identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio con riferimento ai valori naturali e ambientali) e il ministero delle infrastrutture (cui sono affidate le funzioni di trasformazione relative in particolare all'identificazione dell'assetto del territorio con riferimento alle reti infrastrutturali e al sistema delle citt e delle aree metropolitane, reti infrastrutturali e opere di competenza statale, trasporti e viabilit, opere marittime e infrastrutture idrauliche). Ciascuno dei quali dotato di una propria agenzia tecnica.

Regioni: l'organizzazione regionale relativa all'urbanistica si presenta in maniera diversificata da regione a regione. In quelle a statuto speciale prevalente il modello monocratico di stampo ministeriale con attribuzione delle relative funzioni al presidente della giunta regionale o all'assessore preposto all'urbanistica. Nelle regioni di diritto comune prevale invece il modello dipartimentale allo scopo di coordinare meglio le diverse funzioni aventi incidenza sul territorio. Al consiglio regionale vengono generalmente attribuite funzioni di indirizzo e programmazione generale, mentre alla giunta funzioni pi specifiche di pianificazione con approvazione dei piani comunali. Comuni: nell'ambito comunale le funzioni in materia urbanistica sono ripartite tra il Consiglio comunale (ha competenza in materia di strumenti urbanistici: adozione e talvolta anche approvazione dei piani) e il dirigente (un tempo sindaco: ha competenza in ordine ai permessi edilizi, alla vigilanza e alla repressione degli abusi edilizi) assistito dalla commissione edilizia comunale.

Province, citt metropolitane, comunit montane, comprensori: negli ultimi anni si sono affermati nuovi soggetti pianificatori che rendono ancora pi complesso e articolato il quadro organizzativo. Negli anni 70 e 80 avevano avuto una certa diffusione i comprensori, aventi nelle intenzioni il compito di disciplinare l'assetto del territorio in funzione di interessi sovra-comunali (sono figure ormai recessive). Con la legge 142 del 1990 sono state infine attribuite funzioni urbanistiche rilevanti alle province e alle citt metropolitane. Tra i soggetti muniti di funzioni pianificatorie nel campo urbanistico bisogna annoverare anche le comunit montane: istituite nel 1971 come enti di secondo grado, a differenza dei comprensori, sono state rivitalizzate.Il quadro organizzativo risulta molto complicato poich tutti gli enti territoriali esistenti sono oggi chiamati a svolgere funzioni o frammenti di funzioni a vario titolo nel campo urbanistico.

CAPITOLO IV

Standard e altri limiti al potere urbanistico

( Limiti al potere pianificatorio imposti espressamente dalla leggeOltre ai limiti impliciti descritti nel capitolo precedente, le autorit urbanistiche sono anche tenute ad osservare, nell'esercizio delle loro funzioni, una serie di parametri e criteri previsti espressamente dalla legge. Si tratta di una vicenda che andata sempre pi consolidandosi a partire dagli anni 60. I parametri previsti direttamente o indirettamente dal legislatore sono di due tipi, potendo riguardare:

il contenuto degli strumenti urbanistici nella fase della loro formazione: in questo caso destinatario immediato della norma il soggetto pianificatore. Ne consegue che le relative prescrizioni saranno operative nei confronti dei privati solo dopo l'approvazione del piano e la loro ricezione da parte di quest'ultimo;

l'attivit edilizia nel momento del suo concreto svolgimento: in questo caso destinatario immediato della norma l'autorit preposta al rilascio del permesso edilizio. Ne consegue che le relative prescrizioni hanno efficacia immediata nei confronti dei soggetti privati.STANDARD (nozione): gli standard urbanistici sono diretti a garantire la conservazione del paesaggio urbano tradizionale, per assicurare ad ogni cittadino un minimo livello di civilt urbana per migliorarne sempre pi le condizioni di insediamento. Esprimono, mediante un rapporto, le dotazioni di un insediamento in termini di attrezzature. In altri termini lo standard un modello, un tipo. Nel campo della pianificazione territoriale, l'espressione usata con il significato di riferimento normativo. Gli standard urbanistici costituiscono parametri di relazione tra una condizione da perseguire necessariamente e il modo per perseguirla. In senso pi generale si intende l'insieme delle grandezze fisiche e dei fattori di qualit che caratterizzano un insediamento.

Pi precisamente, la definizione di standard comprende: (*)

limiti inderogabili di densit edilizia, di altezza e di distanza fra fabbricati;

rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali o produttivi e spazi destinati ad attivit collettive, verde pubblico e parcheggi;

rapporti tra popolazione del territorio servito e attrezzature per l'istruzione superiore, attrezzature sanitarie ed ospedaliere, parchi pubblici urbani e territoriali.

( STANDARD per la formazione degli strumenti urbanistici (standard ad operativit differita): gli standard per la formazione degli strumenti urbanistici sono stati previsti per la prima volta dalla legge 765 del 1967, ma strutturati concretamente da un successivo atto dell'esecutivo: il decreto 3519 del 1968. La funzione di tali standard, come precisato dallo stesso decreto, quella di fissare i limiti inderogabili di densit edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivit collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti. Ci al fine di garantire un migliore equilibrio tra uomo e ambiente, nonch la conservazione e il godimento del paesaggio urbano tradizionale. Si tratta quindi di limiti minimi inderogabili, da osservare nella formazione degli strumenti urbanistici, relativi a quanto sottolineato in precedenza (*)Questi gli standard sono stabiliti con decreto ministeriale, che introduce disposizioni distinte per zone e rivolte agli organi comunali di pianificazione, i quali sono obbligati ad introdurli nei propri strumenti urbanistici. Essi pertanto non hanno operativit immediata, ma differita al momento in cui vengono recepiti dagli strumenti urbanistici.

Questi limiti non operano in modo uniforme su tutto il territorio comunale, ma secondo zone territoriali omogenee individuate dallo stesso decreto, cio porzioni di territorio ritenute idonee ad una specifica destinazione per le loro caratteristiche intrinseche (ad esempio gli indici di sfruttamento edilizio previsti per il verde agricolo saranno di gran lunga inferiori a quelli delle zone di espansione). Le zone territoriali omogenee previste dal decreto sono le seguenti:

zone A: parti del territorio interessate ad agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale (centro storico);

zone B: parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A; zone C: parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultano inedificate; zone D: parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati; zone E: parti del territorio destinate ad usi agricoli; zone F: parti del territorio destinate ad attrezzature e impianti di interesse generale.Per ciascuna di queste zone sono stabiliti differenti limiti di cubatura e di altezze, spazi minimi di verde e di servizi da riservare nelle medesime, differenti limiti di densit fondiaria e territoriale. Si tratta di valori minimi che le autorit dette alla formazione dei piani, possono elevare in funzione di una migliore qualit della vita, purch ricorrano esigenze di interesse pubblico corrispondenti a dati reali di fatto che giustifichino un maggior sacrificio delle posizioni proprietarie. La tendenza delle pi recenti leggi regionali quella di un certo ammorbidimento degli standard nel tentativo di adeguarli meglio alle diverse realt territoriali.

( STANDARD per i comuni sprovvisti di strumento urbanistico (standard ad operativit immediata): si tratta di un insieme di normative edilizie di tipo fortemente restrittivo dettate direttamente dalla legge e rivolte ai comuni ancora sprovvisti di strumento urbanistico (piano regolatore generale, programma di fabbricazione). Sono stabiliti per legge e quindi validi su tutto il territorio nazionale. Hanno operativit immediata, in quanto vincolano immediatamente i privati che richiedono il permesso di costruire. La loro finalit duplice:

di vietare indici di sfruttamento edilizio elevati in territori non pianificati, che potrebbero compromettere sul nascere le future scelte urbanistiche (questa finalit ha quindi carattere precauzionale);

di indurre le amministrazioni comunali a dotarsi prontamente di strumento urbanistico, in modo da superare la situazione di stallo nel settore edilizio, derivante dalla carenza di piano.Quanto alla tecnica e al funzionamento di questi standard:

+ innanzitutto sono individuate tre diverse parti del territorio comunale in relazione alla situazione in atto: centro storico, centro abitato, zona esterna al perimetro del centro abitato. Per la concreta individuazione delle medesime sono previste due apposite perimetrazioni a cura del consiglio comunale che riguardano il centro storico e il centro abitato;

+ l'aggregato urbano da qualificare come centro storico deve rispondere ad appositi criteri. In esso devono essere inserite:

strutture in cui la maggioranza degli isolati contengono edifici costruiti in epoca anteriore al 1860, anche in assenza di monumenti o di edifici di particolare valore artistico;

strutture urbane si usa da antiche mura in tutto o in parte conservate, comprese le eventuali propaggini esterne che rientrino nella definizione del punto a); strutture urbane realizzate anche dopo il 1860 che nel loro complesso costituiscono documenti di un costume edilizio altamente qualificato.+ le normative previste per le diverse parti del territorio come sopra individuate si sostanziano essenzialmente nel divieto di procedere a lottizzazione prima dell'approvazione dello strumento urbanistico generale, nonch in una serie di limiti volumetrici all'attivit edilizia in relazione alle diverse zone e alla funzione residenziale o produttiva degli edifici. Pi particolare, la nuova disciplina, risultante oggi dall'articolo 9 del t.u.ed. , statuisce i seguenti limiti:

fuori del perimetro dei centri abitati l'edificazione a scopo residenziale non pu superare l'indice di metri cubi 0,03 per metro quadro di area edificabile. Le superfici coperte dagli edifici o dei complessi produttivi non possono infine superare 1/10 dell'area di propriet;

nell'ambito dei centri abitati e dei centri storici sono consentiti invece interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria e di restauro e risanamento conservativo, con esclusione di altri interventi pi pesanti. Rimane naturalmente confermato l'assoluto divieto di lottizzazione.

( Parcheggi: l'esistenza di un'efficiente rete di parcheggi costituisce oggi una delle condizioni fondamentali perch si possa parlare di un ordinato razionale assetto del territorio. Le principali fonti normative in materia si rinvengono nella legge 765 del 1967, nella legge 47 del 1985 nella legge 122 del 1999. A ci bisogna poi aggiungere una cospicua legislazione regionale che sembra tuttavia muoversi secondo le coordinate della normativa statale.

In materia innanzitutto basilare la distinzione tra:

parcheggi pubblici: costituendo parte integrante degli standard ad operativit differita (sotto il profilo dei limiti inderogabili delle aree da riservare ad esso nella formazione dei nuovi strumenti urbanistici o nella revisione di quelli esistenti) di cui si detto, non meritano una particolare attenzione. Essi devono essere inseriti obbligatoriamente nei nuovi strumenti urbanistici. Inoltre, trattandosi di standard ad operativit differita, il presupposto per la loro concreta operativit nei confronti dei soggetti privati, il previo inserimento dei medesimi negli strumenti pianificatori;

parcheggi privati: prescindono, al contrario di quelli pubblici, da una loro specifica previsione dello strumento urbanistico, costituendo condicio sine qua non per il rilascio del titolo abilitativo. stato infatti statuito che ogni nuova costruzione deve dotarsi di spazi per il parcheggio in misura non inferiore ad 1 m di parcheggio per ogni 10 m di costruito. Oltre a questi parcheggi che potremmo definire a regime ordinario, esiste poi una seconda categoria di parcheggi privati, disciplinati dalla legge 122 del 1989 (cd.legge Tognoli) ed aventi un regime speciale. Si tratta in questo secondo caso della possibilit attribuita ai proprietari di immobili esistenti di realizzare nel sottosuolo o nei locali siti al piano terreno parcheggi a servizio della propria abitazione, legati da uno speciale vincolo pertinenziale, che rende nulli gli eventuali atti di cessione separata dei medesimi dall'immobile principale. Questi parcheggi sono soggetti a particolari regole sostanziali e procedimentali di favore: innanzitutto possono essere realizzati anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi, purch nel rispetto dei vincoli paesaggistici e ambientali. Agli stessi poi applicabile il meccanismo semplificato della d.i.a., sempre che il fabbricato oggetto dell'intervento non sia soggetto dagli strumenti urbanistici a vincoli paesaggistici, storico-culturali, e non sia compreso in zona omogenea A o oggetto di altre specifiche prescrizioni di vigenti strumenti di pianificazione. A proposito dei parcheggi privati nelle due forme predette sia posto da tempo il problema se i medesimi potessero essere ceduti separatamente dall'unit immobiliare alla quale accedevano. La giurisprudenza ha sin dall'inizio ha seguito un indirizzo binario: ha risposto negativamente per i parcheggi speciali, posto che la legge Tognoli dispone espressamente la loro inseparabilit a pena di nullit. Ha risposto invece positivamente per i parcheggi ordinari posto che per essi la legge non dispone espressamente linseparabilit (la corte di cassazione ha affermato che la violazione del vincolo pertinenziale non determina mai la nullit del contratto di trasferimento dell'immobile principale, ma l'instaurazione comunque del vincolo pertinenziale sugli spazi destinati a parcheggio. Recentemente il legislatore con la legge del 2005 n. 246, andato oltre gli anzidetti indirizzi giurisprudenziali, sancendo che gli spazi per parcheggi realizzati in forza della legge del 1967 non sono gravati da vincoli pertinenziali n da diritti d'uso a favore dei proprietari di altre unit immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse. ( Altri limiti: per la conservazione dei boschi, per il rispetto dell'esistente, per la protezione del nastro stradale, ecc.

Innumerevoli altri limiti e vincoli sono previsti da leggi speciali sia statali che regionali:

decreto 1404 del 1968: fa obbligo di osservare nel edificazione al di fuori del perimetro dei centri abitati distanze minime a protezione del nastro stradale, misurato a partire dal ciglio della strada;

legge 353 del 2000 (legge quadro in materia di incendi boschivi): prescrive che le zone boscate e i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio per almeno 15 anni; che in tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro 15 anni dai predetti eventi, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui sopra pena la nullit dell'atto; infine che vietata per 10 anni sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici, di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili e attivit produttive. Sono inoltre vietati per 10 anni il pascolo e la caccia, limitatamente ai sopra suoli delle zone boscate percorsi dal fuoco; sempre nell'ottica della tutela urbanistica dell'ambiente merita un cenno il cosiddetto limite dell'esistente: si tratta di quelle ipotesi in cui il legislatore impone il rispetto o il mantenimento di un certo habitat. Ad esempio le leggi regionali hanno previsto fasce di rispetto per le zone costiere, l'obbligo di non assoggettare ai terreni agricoli destinati a colture pregiate all'edificazione, l'obbligo del rispetto dell'ambiente.PARTE SECONDA

Gli strumenti urbanistici

CAPITOLO I

Piani urbanistici di area vasta

crisi e riproposizione

( Il deficit di effettivit: la pianificazione di area vasta quella che registra il maggior tasso di ineffettivit. Per questa ragione essa assume di regola un ruolo marginale nelle trattazioni di diritto urbanistico: ma una tale scorciatoia non sembra consentita anche perch questa pianificazione oltre ad avere una base nella legge urbanistica del 1942, viene riproposta continuamente dalla legislazione pi recente. La legislazione recente assegna ai piani urbanistici di area vasta una funzione ulteriore a quella esclusivamente urbanistica di un tempo: quella di essere cio allo stesso tempo piano urbanistico e piano paesaggistico.

Occorre procedere con ordine:

+ pianificazione di vasta area nella legge del 1942: la pianificazione di area vasta nella legge del 1942 affidata essenzialmente al piano territoriale di coordinamento. Esser concepito come piano facoltativo e non obbligatorio, sovraordinato agli strumenti urbanistici comunali. La sua funzione quella di condizionare i contenuti dei singoli strumenti urbanistici comunali (compresi nel perimetro del p.t.c.) in modo da poter orientare e coordinare gli insediamenti, secondo le esigenze economiche, tecniche e sociali considerate unitariamente al di sopra del particolarismo comunale. Il piano avrebbe dovuto individuare: le zone da riservare a speciali destinazioni (cd. zonizzazione funzionale), quelle soggette a speciali vincoli o limitazioni di legge (vincoli paesistici, monumentali, ..), le localit da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi o impianti di particolare natura ed importanza (aeroporti, grandi complessi ospedalieri, sportivi, ..), la rete delle principali linee di comunicazione stradali, ferroviarie, elettriche, navigabili esistenti e in programma. Il piano era concepito come strumento urbanistico di semplici direttive: avente cio come destinatari i comuni e le altre amministrazioni (non anche i privati): i primi traducendo le direttive del piano, la lesse con de adottando tutti quei provvedimenti necessari per l'attuazione del piano nelle materie di propria competenza. Tutto il procedimento era concentrato a livello ministeriale, con esclusione dei comuni e dei privati da ogni forma di partecipazione. Tale esclusione era giustificata dal carattere nazionale degli interessi coinvolti.

+ pianificazione di area vasta OGGI: la pianificazione di area vasta, dopo una serie di esperienze fallimentari degli anni 70 e 80, sembra oggi affidata a due strumenti urbanistici generali (ai quali bisogna aggiungere due figure speciali destinate ad operare in certi territori: il piano metropolitano per le cosiddette aree metropolitane e il piano della comunit montana per i territori montani) su due distinti livelli:

livello regionale: quasi tutte le regioni prevedono uno strumento urbanistico di livello regionale, variamente denominato schema di assetto territoriale, piano urbanistico regionale, piano territoriale di coordinamento regionale, ... La funzione fondamentale di tali piani quella di cercare di operare una saldatura tra l'assetto territoriale e le politiche pi generali, con riferimento specifico sia alle pi importanti destinazioni d'uso del territorio (zone industriali, insediamenti turistici, zone da preservare) sia alle grandi infrastrutture (aeroporti, autostrade, ..). Del resto le nuove normative regionali sembrano divergere in pi punti da quella originaria: un primo aspetto di differenziazione il carattere misto dei nuovi piani (si tratta di piani di direttive, ma non solo di direttive: talune prescrizioni hanno infatti la capacit di incidere direttamente nella sfera giuridica dei soggetti privati); inoltre mentre i p.t.c. venivano approvati con un procedimento tutto concentrato nell'ambito ministeriale, i piani di corso prevedono il coinvolgimento dei comuni e anche dei privati; ma l'aspetto pi significativo che essi aspirano ad una reductio ad unum (tendono cio ad unificare la pianificazione urbanistica e quella paesaggistico-ambientale: ci sulla scia di un lungo processo evolutivo, il cui momento iniziale pu farsi risalire alla legge Galasso. Quest'ultima, oltre a rendere obbligatorio per le aree previamente vincolate il piano paesaggistico, prima solo facoltativo, ha previsto anche una nuova tipologia di piano, che unifica in un solo documento e le prescrizioni urbanistiche e quelle paesaggistiche: il piano urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali);

livello provinciale: con la legge 142 del 1990, la provincia viene investita per la prima volta di funzioni urbanistiche. previsto il piano territoriale di coordinamento della provincia, recepito ora dal codice degli enti locali. Spetta a tale piano il compito di determinare, ferme restando le competenze dei comuni: a) le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti; b) la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione; c) le linee di intervento per la sistemazione idrica, in geologica ed idraulico forestale e in genere per il consolidamento del suolo e la regimentazione delle acque; d) le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali. Lintento della reductio ad unum qui rafforzato: infatti previsto che il piano possa assumere il valore e gli effetti de i piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali, sempre che la definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma di intesa fra la provincia le amministrazioni, anche statali, competenti. La disciplina del procedimento di formazione e approvazione del piano demandata alla legge regionale, con il solo limite della previsione della partecipazione dei comuni al procedimento stesso. Spetta anche alla legge regionale di indicare le modalit di intervento della provincia nei procedimenti di formazione degli strumenti urbanistici comunali, onde soddisfare le esigenze del coordinamento. Ci si chiesti se il piano possa incidere immediatamente nella sfera dei privati: a tale quesito sembra dare risposta negativa l'articolo 20 t.u.enti locali, il quale, mentre specifica che gli enti e le amministrazioni pubbliche nell'esercizio delle rispettive competenze, si conformano ai piani territoriali di coordinamento delle province, non pu n uguale dovere di conformazione a carico dei privati. La tesi prevalente cataloga pertanto lo strumento urbanistico in discorso tra i piani di direttive o di indirizzo, essendo lo stesso preordinato a condizionare la pianificazione comunale e gli interventi delle altre amministrazioni pubbliche, non anche i privati; aree metropolitane: la 142 del 1990, oltre ad attribuire poteri urbanistici alle province, ha affrontato per la prima volta il problema delle aree metropolitane, prevedendo un regime giuridico differenziato per alcune grandi citt e i territori circostanti. Le aree contemplate sono quelle di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli. Anche questa normativa stata recepita dal codice degli enti locali. Per questi territori vengono previsti due livelli di governo: la citt metropolitana, come autorit di area vasta preposta al governo dell'intera area metropolitana e i comuni siti all'interno della medesima. Ai fini della distribuzione delle funzioni urbanistiche tra i due livelli di governo, legge si limita a denunciare alcuni criteri, demandando al legislatore regionale il compito di disciplinare in dettaglio la materia. L'elemento caratterizzante della normativa sembra comunque essere il seguente: che alcune funzioni normalmente affidate ai comuni possono essere attribuite all'autorit di area vasta quando le medesime abbiano precipuo carattere sovracomunale e debbano, per ragioni di economicit e di efficienza, essere svolte in forma coordinata nell'area metropolitana. Ci significa che la citt metropolitana, oltre ad esercitare le competenze proprie della provincia (formazione del piano territoriale di coordinamento) potr anche svolgere funzioni di pianificazione operativa, espletate normalmente dai comuni attraverso i piani regolatori generali. da supporre che in questi casi i poteri urbanistici dei comuni compresi nell'area metropolitana degradino ad una funzione pi circoscritta di carattere attuativo;

comunit montane: istituite con legge 1102 del 1971, con il compito di promuovere lo sviluppo socio-economico delle zone montane, esse originariamente si configurano come enti locali con funzioni essenzialmente di programmazione: redazione di piani di sviluppo socio-economico e di piani urbanistici di direttive per indirizzare i p.r.g.dei singoli comuni inclusi nelle zone montane. L'esperienza di tali enti non stata esaltante, tant' che negli anni 80 se ne era talvolta auspicata la soppressione. Viceversa il legislatore statale, con la legge di riforma delle autonomie locali, con la legge per le zone montane poi e da ultimo col testo unico degli enti locali, ha rivitalizzato l'istituto, potenziando i compiti di tipo gestionale-attuativo e affievolendo quelli programmatori. Questi ultimi si sono stanziano ora essenzialmente nell'adozione di un piano pluriennale di sviluppo che viene approvato dalla provincia secondo le modalit previste dalla legge regionale. Le indicazioni urbanistiche di tale piano concorrono alla formazione del piano territoriale di coordinamento della provincia. La comunit montana pi che pianificare autonomamente il proprio territorio, si limita quindi a partecipare con le direttive del programma pluriennale di sviluppo alla formazione di uno strumento urbanistico di direttive di un altro ente: la provincia;

comunit isolane e di arcipelago: valgono principi analoghi a quelli dettati per le comunit montane;

unificazione comprensoriale: maturata negli anni 70 e 80 in diverse regioni e ormai recessiva. La vicenda dei comprensori si collega alla problematica della ricerca di un livello intermedio di governo locale tra la regione e il comune, nel tentativo di poter effettuare opzioni urbanistiche pi razionali sotto il profilo della scelta degli insediamenti e sotto quello delle infrastrutture e dei servizi. Nascono cos nella legislazione regionale degli anni 70 i comprensori configurati dalle varie regioni con caratteri diversi. Le esperienze sono state fallimentari.Conclusioni: dopo aver tentato di ricostruire le principali tipologie di piani di area vasta, offerte dall'esperienza degli ultimi anni, si rendono necessarie alcune riflessioni conclusive per individuare le tendenze dell'ordinamento oggi:

il primo dato che emerge che nonostante i ripetuti fallimenti riscontrati sul campo, la pianificazione di area vasta non ha subito momenti di arresto, risultando addirittura potenziata. Loriginario e unico livello di pianificazione sovracomunale della legge del 1942 (costituito dal p.t.c.) si infatti sdoppiato in due livelli: uno regionale, l'altro provinciale. L'attribuzione di compiti urbanistici alla provincia sembra il frutto di un'operazione rivolta essenzialmente a dare un da fare ad un ente alla continua ricerca di un ruolo e soggetto a tensioni contrapposte. Il risultato che il sistema della pianificazione urbanistica si ulteriormente complicato, sino a contare ben 4 gradi di pianificazione: piano urbanistico regionale / piano territoriale di coordinamento della provincia / piano regolatore generale comunale / piani attuativi;

il secondo dato da registrare il tentativo di attribuire al p.t.c. della provincia non solo valore di piano urbanistico-paesaggistico (come avviene per il livello regionale), ma anche di inglobare in esso tutte le pianificazione di settore nel campo dell'ambiente e della bonifica;

un ultimo aspetto da segnalare l'innesto nei procedimenti di pianificazione territoriale in esame della procedura di valutazione ambientale strategica (v.a.s.), oggi imposta dal diritto comunitario ed all'articolo 7 c.amb. per tutti gli strumenti pianificatori, compresi quelli urbanistici, a 21 impatto rilevante sull'ambiente.

CAPITOLO II

La PIANIFICAZIONE COMUNALE di base

Si descriveranno due modelli di pianificazione urbanistica comunale: quello tradizionale (concepito dalla legge urbanistica del 1942 e tuttora operante in alcune regioni con qualche modifica e integrazione) e quello nuovo (vigente o in fase di realizzazione in altre regioni).

Il sistema di pianificazione concepito nel 1942 espressione di un modello che ha la pretesa di affrontare di petto tutti i problemi dell'assetto del territorio.

I nuovi modelli pianificatori sembrano invece adottare la strategia di affrontare questi problemi separatamente. Il piano dovrebbe stabilire le invarianti, le regole per l'esistente e le strategie per le zone di espansione; appositi strumenti urbanistici di attuazione e di settore elaborati in tempo successivo dovrebbero fare tutto il resto, attraverso un metodo basato prevalentemente sulla consensualit.

A) Modello tradizionale( Indicazioni della legge del 1942: occorre esaminare gli strumenti urbanistici comunali di carattere generale coniati dalla legge del 1942. Essi sono:

a) PIANO REGOLATORE GENERALE: concepito come piano obbligatorio per i comuni pi importanti, inclusi in appositi elenchi formulati dal ministero (era anche prevista la possibilit di redigere un unico piano intercomunale al posto di singoli piani regolatori, quando per le caratteristiche di sviluppo dei rispettivi aggregati edilizi si rendeva opportuno il coordinamento delle direttive dell'assetto urbanistico. Tale piano, adottato da ciascun comune per le parti di rispettiva pertinenza e approvato con un unico decreto ministeriale, ha trovato limitatissime applicazioni). Tutti gli altri comuni hanno comunque la facolt di formare il piano regolatore generale del proprio territorio.

Il piano regolatore generale lo strumento urbanistico che fissa le direttive generali di sistemazione della totalit del territorio di un comune, anche con imposizione di limiti e condizioni d'uso alla propriet privata dei suoli.Contenuti: il piano deve innanzitutto considerare la totalit del territorio comunale, sia nella parte urbana che extra urbana. Il suo contenuto, originariamente circoscritto alle localizzazioni e alle zonizzazioni, ha subito negli anni una progressiva dilatazione, con l'introduzione ad esempio di prescrizioni per la tutela del paesaggio, dell'ambiente, dei beni culturali e di normative a valenza economica. Ci avvenuto prevalentemente in virt della legislazione regionale e delle normative di settore sia statali che regionali. La complessit dei contenuti dell'odierna pianificazione urbanistica a s o poi per influenzare profondamente le tecniche di redazione degli strumenti urbanistici e l'efficacia degli stessi: ad esempio pu accadere che in certi casi il piano fornisca immediatamente una disciplina con pi tardi certe parti del territorio tale da imporsi immediatamente ai privati e da essere anche attuata direttamente senza la mediazione di una pianificazione ulteriore a carattere attuativo; in certi altri casi invece pu accadere che le previsioni di piano siano improntate a una certa genericit che richiede successive specificazioni. La tecnica di redazione dei piani finisce cos per condizionare a sua volta il complesso rapporto: pianificazione generale - pianificazione attuativa - singoli interventi edilizi.

Tenendo conto di ci, il contenuto-base del piano regolatore generale pu essere cos ricostruito:

a) localizzazioni: sono le aree destinate a sede di opere o impianti pubblici e come tali e preordinate all'espropriazione. Tra queste aree sono da considerare non solo quelle necessarie per la realizzazione di opere di interesse comunale, ma anche quelle finalizzate a infrastrutture di pi generale interesse (quali opere statali, regionali, ..). Tali previsioni determinano vincoli di inedificabilit assoluta sulla propriet privata, che possono avere l'effetto pratico di rendere impossibile per anni qualsiasi utilizzazione della medesima, trasformando di fatto quello che formalmente un diritto in un peso insopportabile. Si tratta di una delle problematiche pi delicate dell'intero diritto urbanis