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ri-vivere il cibo tra scuola e famiglia Giorgio Ciacci Francesca Allegri, Doris Kessenich, Monica Rossi, Vittoria Senes l’Uomo, la Salute, la Terra

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ri-vivere il cibo tra scuola e famiglia

Giorgio CiacciFrancesca Allegri, Doris Kessenich, Monica Rossi, Vittoria Senes

l’Uomo, la Salute, la Terra

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ri-vivere il cibo tra scuola e famiglia

l’Uomo, la Salute, la Terra

Giorgio CiacciFrancesca Allegri, Doris Kessenich,

Monica Rossi, Vittoria Senes

Edizioni Luì

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Edizioni LuìVia Galileo Galilei 3853044 Chiusi (Siena)

Finito di stampare nel mese di settembre 2015

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È sicuramente un progetto ambizioso quello che unisce gli autori di questo volume. Non è infatti semplice conciliare, in un unico contributo, i punti di vista di discipline diverse quali l’architettura, la nutrizionistica, la psicologia e la storia dell’arte. Tuttavia è la realtà stessa che è complessa e un approccio multidisciplinare a un tema fondamentale come la nutrizione è sicuramente importante. Ciò non solo per capire le varie sfaccettature della materia, ma anche per fornire soluzioni innovative, favorite appunto dall’incontro di sensibilità diverse.

Il tema della nutrizione è di fondamentale importanza per il futuro dell’umanità, non a caso infatti è stato posto come cardine dell’Expo 2015. Dal corretto utilizzo delle risorse alimentari dipende la salute dell’umanità intera, oppressa da un lato da fame e da malnutrizione e dall’altro da alimentazione errata e obesità.

Certo aspettarsi che tutti i problemi che afferiscono alla fruizione del cibo siano risolti in poche pagine è un’utopia, ma è nostro do-vere morale impegnarsi affinché queste questioni siano affrontate nella maniera più corretta possibile. L’educazione, a questo propo-sito, rappresenta forse il passo più semplice e più foriero di risultati positivi. Partendo dalle scuole, infatti, si possono formare i futuri componenti delle famiglie che potranno avere un rapporto con la nutrizione più giusto di quello odierno, dove si privilegerà, quale fonte alimentare, il mondo vegetale, che permette un apporto nu-trizionale più sano con un minore impatto ambientale.

Questa pubblicazione rappresenta quindi una testimonianza dell’impegno che il nostro istituto, tramite la Cassa mutua “Amici per Sempre”, attua nei confronti del miglioramento delle condizioni di vita della Comunità in cui svolge la propria attività, in quanto, nello spirito della nostra banca, fin dalla sua nascita, la Persona è un riferimento fondamentale.

Il Consiglio di Amministrazionedi Banca Valdichiana

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Prefazione

Stefano Goracci, “La Tavola Italiana”

Stefano Goracci è ingegnere laureato in Ingegneria Aeronautica e in Ingegneria Aerospaziale, vive e lavora a Milano e si è sempre occupato di project management relativo ad iniziative di alto livello di sviluppo economico. Docente a convegni e master su energie rinnovabili e risparmio energetico, oggi si occupa di promozione delle PMI enogastronomiche dei differenti territori italiani. È fondatore e coordinatore scientifico dell’associazione La Tavola Italiana, costituita con finalità di promozione e sviluppo del-le imprese di produzione e di trasformazione agroalimentare, tramite l’applicazione del Disciplinare delle 5A, ideato da lui per valorizzare presso produttori, consumatori ed esperti, l’im-portanza di coniugare Agricoltura, Alimentazione, Artigianato, Ambiente e Arte. È ideatore e sceneggiatore del documentario “Ricchezza, La Tavola Italiana”, vero manifesto dell’associa-zione, che promuove il principio di riportare le singole filiere agroalimentari a tavola e le migliori filiere artigianali nella vita di tutti i giorni.

L’opportunità di scrivere la prefazione a questa opera di Giorgio non poteva andare persa! Il mio obiettivo è sempre stato quello di contribuire allo sviluppo dei settori in cui opero, ma per perseguir-lo nel settore agroalimentare ho dovuto dedicargli molte energie in quanto paradossalmente è il settore più antico delle attività uma-ne ma oggi, a mio avviso, è quello che più di molti altri ha deviato dalle proprie origini. Esso è divenuto, da settore di sostentamento e di garanzia della continuità della vita e della salute, un settore di forte orientamento, dall’alto, delle necessità dei consumi e dei gusti dei consumatori. La qualità di ogni produzione dovrebbe realizzar-si nel soddisfacimento delle esigenze dei suoi utilizzatori e dei suoi operatori, ma sempre più nell’agroalimentare questa si è allontanata dal suo ruolo primordiale. Anche nei testi evangelici si affermava il principio secondo cui si potevano dividere e moltiplicare i cibi non

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consumati dai discepoli per sfamare la collettività, come allegoria del passaggio da una società di cacciatori, allevatori e agricoltori orien-tata al solo consumo personale, ad una società di produttori per sé stessi e per il mercato, che erano quindi gli stessi primi consumatori del proprio prodotto. Oggi invece le statistiche dimostrano che solo una decina di aziende multinazionali e multisettoriali coprono fino al 90% dei prodotti alimentari distribuiti nel commercio mondiale. Recuperando lo spirito di autoproduzione e autoconsumo, tipico anche del nuovo approccio energetico che coincide con la diffusione delle energie rinnovabili, l’agroalimentare dovrebbe globalmente ga-rantire che arrivino nel mercato gli stessi prodotti di cui si alimentano i produttori, grazie alle economie di scala che le moderne tecniche di produzione, di trasformazione e di distribuzione permettono. In tal modo si garantirebbe maggiormente, a mio avviso, l’efficienza e la sicurezza alimentare, così come si migliorerebbe la qualità dei prodotti e delle produzioni nel rispetto della tradizione, pur inno-vandola grazie ai progressi umani ma senza trasformarla in un pro-dotto di un processo di massa che, necessariamente, si allontanerebbe dai campi di partenza. Promuovere quindi Agricoltura, Artigianato, Alimentazione, Ambiente e Arte significa per me valorizzare la filie-ra di produzione delle materie prime, la loro trasformazione in ali-menti, la tutela della salute dei consumatori, la tutela dell’ambiente e il rispetto della cultura dei popoli che esprimono quel patrimonio enogastronomico. Il libro di Giorgio è un’importante testimonianza di tale spirito di innovazione del paradigma alimentare.

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«Sono stato tutta la mattina per aggiungere una virgola, e nel pomeriggio l’ho tolta.»

Oscar Wilde

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Introduzione

Giorgio Ciacci

«Non c’è uomo che non possa bere o mangiare, ma sono in pochi in grado di capire che cosa abbia sapore.»

Confucio

In una società come la nostra, in cui è estremamente facile en-trare in contatto con una grande quantità di informazioni sui temi più disparati, ognuno di noi ha iniziato a sentirsi un po’ “tuttologo” e dare giudizi e consigli su qualsiasi tema.

Sappiamo tutto – o almeno crediamo di sapere tutto – riguardo a qualsiasi argomento, anche sul cibo. Siamo capaci di conoscere la quantità esatta delle calorie e la composizione di ogni alimento, pos-siamo indicare le ultime tendenze, gli abbinamenti corretti e quelli sbagliati ma ci siamo dimenticati dell’altro cibo, di quello che ogni giorno ci nutre, che ci fa compagnia, che allieta i momenti vissuti con gli altri, che ci fa provare emozioni.

Ci siamo dimenticati del cibo vero! Nella nostra vita frenetica di tutti i giorni, ci limitiamo spesso a

considerare l’alimentazione come una serie di ricette o suggerimenti gastronomici – che siano nostalgie familiari o novità reclamizzate alla TV – e non pensiamo mai che il cibo, prima ancora di essere recepito dal corpo, viene scelto dal cervello, divenendo sempre più una questione di testa che di pancia, in un rapporto molto più stretto e complicato di quanto appaia a prima vista. Per tali ragio-

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ni, in queste pagine non leggerete dei carboidrati, delle proteine o dei lipidi, non parleremo della vitamina C contenuta nei peperoni gialli o del licopene contenuto nel pomodoro e del suo potere an-tiossidante, non scriveremo che 100 grammi di lattuga valgono 15 calorie mentre gli stessi grammi di fontina ne valgono 343, con 82 milligrammi di colesterolo.

Si riparte da zero. Siamo consapevoli di quanto sia difficile affrontare il tema della

nutrizione, un argomento che rivela ogni volta nuove suggestioni e approcci diversi: dall’ambito economico a quello sociale, dall’antro-pologia alla religione, dalla cultura popolare alla dietetica, sempre di fronte al dilemma del dover trattare in contemporanea di ciò che si mangia, di ciò che si può mangiare, di ciò che si vuole mangiare e di ciò che si deve mangiare.

Dobbiamo imparare a farci delle domande, chiederci da dove viene il cibo che abbiamo sulle nostre tavole, domandarci perché l’abbiamo scelto e per chi l’abbiamo preparato, quali emozioni e quali ricordi ci faccia tornare in mente; interrogarci su quale rapporto abbiano i nostri figli con il cibo, comprendere perché rifiutino alcuni alimen-ti e ne prediligano altri. Soprattutto dobbiamo pensare a cosa pos-siamo fare per favorire una crescita sana dei bambini; cosa possono fare la scuola e le istituzioni per tutelare la salute dei più piccoli di oggi che saranno i grandi di domani; cosa possiamo fare tutti noi per insegnare alle nuove generazioni come tutelare l’ambiente in cui viviamo e come prendersene cura.

Nel volume In difesa del cibo Micheal Pollan afferma che: «Man-giare è un gesto ecologico e politico. Nonostante tutti i tentativi di occultare questa semplice verità, il nostro modo di alimentarci deter-mina in larga misura l’uso che noi facciamo del mondo e ciò che sarà di esso». Ciò significa che ogni volta che scegliamo un determinato cibo, non prendiamo solo una decisione per noi stessi ma anche per gli altri e per l’ambiente in cui viviamo. È incredibile scoprire che ciò che fa bene a noi, fa bene anche all’ambiente e al clima: basti pensare che le proteine vegetali sono più utili al nostro organismo di quelle animali e, nello stesso tempo, le produzioni agricole generano

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quantità di sostanze tossiche molto minori rispetto a quelle prodotte dagli allevamenti. «Nulla darà la possibilità di sopravvivenza sulla terra, quanto l’evoluzione verso una dieta vegetariana», dichiarava Einstein, anticipando concetti oggi molto discussi.

La distribuzione del cibo nel mondo non è equilibrata. Circa 800 milioni di persone soffrono di fame cronica e 2 miliardi sono malnutrite mentre più o meno la stessa cifra rappresenta al contrario la popolazione in soprappeso od obesa e, a fronte di questi numeri, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono sprecate ogni anno, nella catena dalla produzione al consumo.

Nell’attuale sistema alimentare sempre maggiore è diventata la distanza tra le persone e le fasi di produzione del cibo, sia nei luoghi che nei concetti. Il cibo rispetta sempre più l’economia globalizzata e la crisi economica, ecologica, agricola e finanziaria ha contribui-to ad estendere questo disagio che l’ha trasformato in una merce al pari di altre, fino a consentire a poche grandi industrie il controllo mondiale dell’economia del cibo.

La grande questione alimentare globale è ormai aperta: è necessa-rio garantire cibo sano, sicuro e sufficiente a una popolazione sempre più in crescita, innovare i processi produttivi, agricoli e alimentari e renderli sempre più sostenibili, salvaguardare le biodiversità, com-battere sempre meglio le grandi contraddizioni del nostro tempo, a partire dal paradosso fame/obesità e dalla lotta allo spreco alimentare. Il nostro desiderio, quindi, è quello di collaborare con insegnanti e genitori, per fare in modo che prima possibile si acquisisca un sano stile di vita, promuovendo una dieta che sia adeguata dal punto di vista nutrizionale, che usi in modo efficiente risorse umane e natu-rali e che rispetti la biodiversità e gli ecosistemi.

Pensiamo che sia necessario partire dalla scuola, dove i bambi-ni trascorrono una parte importante del loro tempo, per realizzare alcuni obiettivi: trasmettere alle nuove generazioni una vera e pro-pria “cultura del cibo”; far comprendere l’importanza del cibo nella storia e civiltà di ogni popolo, descrivendone la centralità nelle varie manifestazioni artistiche dell’uomo – nelle arti visive, nella lettera-tura, nella musica – raccontare da un punto di vista “scientifico” le

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varie fasi e le dinamiche che sono celate dietro al semplice atto di nutrirsi, spiegando le varie implicazioni che si manifestano a livello fisico, psicologico e relazionale; cercare di trovare soluzioni che siano “a misura di bambino” per quanto riguarda gli spazi dedicati ai pasti, in modo da favorire la creazione di ambienti che siano piacevoli da un punto di vista estetico, funzionali e che permettano la condivisio-ne e la cura delle relazioni; contribuire a fare crescere individui più consapevoli dell’importanza del cibo e del suo valore, per noi, per gli altri e per l’intero pianeta.

Così pensiamo che far conoscere e diffondere una dieta sostenibile sia un dovere e un compito da assumere da parte di tutti noi, dalle famiglie alle istituzioni, dalle industrie alla scuola in un processo circolare senza limitazione di impegno, convinzione e passione.

Infine un ringraziamento sincero agli Autori che hanno con-diviso con me questa avventura e alla Banca Valdichiana Credito Cooperativo Tosco Umbro che ha voluto sostenere la stampa e la diffusione del volume.

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Il cibo nelle arti

Francesca Allegri

Docente di lettere e direttrice della Biblioteca di Casa del Boccaccio dal 1984 al 2005 ha pubblicato saggi divulgativi su Certaldo e su Boccaccio.Ha ideato e coordinato  il progetto Le Case della Memoria e per la Regione Toscana ha compilato il censimento di dette Istitu-zioni culturali. Collabora con la rivista De strata francigena ed il centro Studi Romei. Da anni partecipa a trasmissioni televisive su cibo e cultura. Ha scritto l’introduzione storico-letteraria per diversi libri di cucina ad uso degli Istituti Alberghieri. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni fra le quali ricordiamo: Boc-caccio e francigena (Federighi, Certaldo 2008), Storie misteri e leggende lungo la via francigena (Le lettere, Firenze 2009), Sto-rie misteri e leggende lungo la via francigena del sud (Le Lettere, Firenze 2011), Storie e leggende del cibo (Le Lettere, Firenze 2010), Donne e pellegrine, (Jacabook, Milano, 2012). L›ultima sua pubblicazione è la traduzione integrale, per la prima vol-ta in italiano, di Asia minore e Siria di Cristina di Belgioioso (Carmignani 2014). Collabora con la rivista on line Totalità.

È affermazione consueta che il cibo abbia stretti rapporti con la cultura, ma spesso si usa tale termine in senso antropologico, cioè come l’insieme di usi, costumi, abitudini imposti dalle condizioni geo-climatiche in cui si trova a vivere e a svilupparsi una determina-ta popolazione. Tutto ciò è certamente vero, ma riflette una visione incompleta perché il cibo ha anche serratissimi legami con la cultu-ra, intesa invece come insieme di manifestazioni artistiche e stori-che che caratterizzano sia la vita di un popolo sia un periodo dato. Troppo di rado infatti si mette in luce la relazione fra cibo e pittura, scultura, letteratura ecc. A questo proposito è importante riflettere come in realtà gli argomenti che l’arte, nelle sue varie manifestazio-

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ni, affronta siano veramente limitati: amore e il suo contrario cioè odio in tutte le sue declinazioni, denaro, e appunto cibo, di questo e poco altro si interessano la storia e l’arte.

Innumerevoli sono, per esempio, le rappresentazioni visive in cui la tavola diventa argomento di ispirazione per i pittori. Si pensi a quanta parte abbia, solo per citare l’evidenza, la natura morta nella storia dell’arte a partire dalle splendide opere di Caravaggio.

Nella prospettiva di un’educazione alimentare coinvolgente non si dovrebbe quindi trascurare questo notevole aspetto che può prestarsi anche, in ambito più strettamente didattico, ad una serie di lavori multidisciplinari di cui in seguito si forniranno alcune schede a modo di puro esempio. Il presente capitolo fornirà quindi semplici spunti di riflessione senza la pretesa di affrontare in maniera esauriente ed esaustiva il tema del rapporto fra cibo e storia e fra cibo e cultura.

Uno degli aspetti più interessanti in ambito educativo è il rapporto fra cibo e analisi storica: ecco alcuni spunti di riflessione.

Fra i cibi più comuni sulle tavole di ogni famiglia è sicuramente il formaggio, che costituisce uno degli alimenti più antichi e più diffusi sotto ogni latitudine; raramente però si pensa all’importanza di que-

Brugel il Vecchio “Il matrimonio contadino”.

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sta vivanda per lo sviluppo della storia umana. Sarebbe opportuno riflettere sul fatto che le grandi migrazioni nel periodo di passaggio fra la preistoria e la storia, quelle che dettero origine alle fondamentali civiltà mesopotamiche, non avrebbero avuto luogo o, per lo meno, si sarebbero sviluppate con molta maggiore lentezza senza la scoperta, oppure l’invenzione, del caglio. Il latte, ovviamente, è assai facilmente deperibile, mentre il formaggio, che nacque solo quando si conobbe l’uso del caglio - non si sa appunto se scoperta casuale oppure inven-zione come del resto molte altre innovazioni della più antica storia umana - dette la possibilità di movimento individuale, senza la ne-cessità delle greggi. Il formaggio offrì una grande libertà che portò ad intensificare traffici e commerci, in una parola ad accelerare il processo di colonizzazione di nuove terre e all’acquisizione di nuovi prodotti.

Interessante risulta inoltre anche la storia del lievito, che ha così tanta parte nella fabbricazione del pane, della birra e del vino. La sto-ria del pane, del passaggio da quello azzimo a quello lievitato e delle varie valenze che le due differenti tipologie assumono in religioni e presso popoli diversi, costituisce un elemento di grande interesse e di acuto approfondimento. In alcune zone della Toscana si sono trovati resti preistorici di una elementarissima prima panificazione, anche se non con il grano, ma con la tifa, un’erba palustre che gli archeologi hanno cercato, con qualche successo, di utilizzare per farne gallette, del tutto commestibili.

La vita quotidiana degli antichi romani è, poi, strettamente legata all’evoluzione del pane e della panificazione. L’uso capillare del farro, da cui il termine farina, la presenza nella dieta quotidiana delle pappe a base di cereali, dette puls, caratterizzano la prima fase di quella ci-viltà che nel suo evolversi ha anche modificato i suoi usi alimentari. Il pane, che è rimasto l’alimento base, si è però diversificato in mille raffinatissime forme come testimoniano anche resti archeologici (si pensi alla tomba del fornaio Eurisace a Roma esternamente a Porta Maggiore). D’altra parte quanti sono i testi letterari che fanno riferi-mento a questo alimento basilare nella nostra cultura mediterranea! Sarebbe praticamente impossibile anche solo contarli. Bastino dunque pochi esempi a titolo del tutto esemplificativo. Il pane nelle fiabe:

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Pollicino che segna il cammino nel bosco con le briciole di pane o Cappuccetto Rosso che porta le pagnotte alla nonna di là dal bosco. Il pane nella letteratura: mille le sue valenze simboliche, consideria-mo come esempio il così detto pane del perdono ne I Promessi Sposi: Fra Cristoforo porterà sempre con sé il pane donatogli dal fratello dell’uomo che ha assassinato. Per risalire molto più indietro Omero nell’ Odissea, nel descrivere la sfrontatezza e l’ingordigia dei Proci, af-ferma che nella reggia di Ulisse, a banchetto, essi mangiarono anche le mense, che altro non erano se non delle specie di pani molto bassi sui quali, come su dei piatti, si posavano le vivande. Infine Dante in uno dei passi più famosi della Commedia erge il pane a emblema; Farinata nel canto X dell’Inferno gli predirà l’esilio proprio con una metafora relativa al pane: «tu saprai si come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e salir per le altrui scale». Pane amaro, dunque, quello dell’esiliato che lo riceve per carità, ma ancor più, per chi, fiorentino, è avvezzo a cibarsi di pane sciocco, il sale segna la lontananza dalla patria, l’amata odiata Firenze.

Molto importante, poi, la differenza fra l’uso del pane azzimo o di quello lievitato per la religione cattolica e per quella ortodossa. I cattolici si comunicano con pane azzimo, in quanto la lievitazione è vista quasi come un processo di corruzione, mentre gli ortodossi preferiscono il pane lievitato perché ritenuto assai più simile a quello impiegato da Gesù durante l’Ultima cena.

Gli esempi si potrebbero moltiplicare all’infinito, e come corollario è spesso assai utile risalire all’etimologia delle parole per comprendere il valore dell’oggetto che designano. Per pane abbiamo due possibili derivazioni, alcuni pensano dalla radice sanscrita pa-, da cui anche il termine bere, radice che porta in sé il significato di sostentamento, il primo nutrimento è infatti liquido cioè il latte materno; in questo caso il termine verrebbe ad assumere il significato di nutrimento essenziale, fondamentale. Altrettanto suggestiva è la seconda etimologia ancora una volta da una radice pa- ma che assume, però, il valore di proteg-gere, presente anche nel sostantivo padre, il pane è come un padre che protegge e nutre la nostra vita.

Anche la birra costituisce un elemento presente nella storia dell’uo-

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mo fin dalle epoche più antiche e molto interessante è il rapporto con il suo parente più nobile, il vino. La birra è democratica e fu, in quanto tale, appannaggio anche delle classi più umili fin dai tempi dell’antico Egitto. Non doveva essere del tutto simile alla bevanda che conosciamo adesso, ma derivava comunque dalla fermentazione di un cereale, in genere orzo. La birra si diffuse dal Medio Oriente in gran parte dell’Europa, quasi per niente in Grecia e poi a Roma; per la loro stessa collocazione geografica greci e romani erano consumatori di vino, che specialmente a Roma non si negava a nessuno, nemmeno agli schiavi, se pure quello di infima qualità. E proprio i romani guar-davano con grande stupore a quelle popolazioni, soprattutto nordiche, che non lo consumavano. Non mancarono tuttavia estimatori della birra, ancorché rari come il suocero di Tacito, Agricola, che pare fa-cesse venire dalla Gallia dei birrificatori a suo stretto uso e consumo. Il vino, molto diverso da quello che consumiamo noi, dalla consistenza quasi sciropposa era, allora come ora, un vero e proprio status simbol: elegante consumarne di ottima qualità, si conoscevano i vitigni e le annate migliori che acquistavano grande pregio, anche economico. Poi, con il medioevo, bere birra o vino, a seconda delle latitudini, divenne una vera e propria necessità: quasi sempre, nonostante le maggiori cure, l’acqua era infetta. La pur rigorosa regola benedettina non negava né l’uno né l’altra ai monaci e ad essi si deve molto nella produzione di queste due bevande. Sono loro, nell’imminenza delle alluvioni barbariche, a salvaguardare la produzione vinicola, non fosse altro che per l’uso liturgico; a loro si deve la conservazione o la selezio-ne di numerosi vitigni; a uno di loro si deve anche la fermentazione in bottiglia e quindi lo champagne, e via dicendo. Anche nella pro-duzione della birra non furono secondi a nessuno, basti solo ricordare quella straordinaria figura che fu Ildegarda di Bingen (1098-1179); questa badessa, donna di alta cultura, medico, erborista, grande mi-stica, corrispondente di re e principi, è, infatti, la prima a descrivere il procedimento della luppolazione.

Come il pane anche il vino compare in numerosissime opere d’arte; una delle più poetiche similitudini omeriche riguarda il mare: il mare aveva il colore del vino e, del resto, pare che i greci considerassero una

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vera squisitezza mischiare il vino con acqua di mare.Insieme al vino e alla birra sono stati i monaci a conservare le col-

tivazioni dell’olivo e l’uso dell’olio. Dobbiamo a loro se, ancora oggi, possiamo definire con Jacques Le Goff il Mediterraneo come il mare degli olivi. Per la liturgia, ma anche per attenersi alla loro rigida die-ta di magro, i monaci dovettero continuare a coltivare questa pianta così difficile, ma così preziosa e carica di significati allegorici. Fin dai tempi dell’antica Atene l’olivo campeggiava sulla moneta, la dracma, con un potente valore simbolico; infatti la storia narra di un ramo di olivo che riuscì, quasi miracolosamente, a ricoprirsi di foglie nell’A-cropoli devastata dalle truppe persiane e divenne, quindi, il simbolo della resistenza e della lotta contro i persiani invasori, l’olivo dono della dea Atena preferito dagli ateniesi al cavallo, dono di Poseidone.

Formaggio, pane, vino e olio: si può quasi ripercorrere la storia dell’uomo e della civiltà attraverso questi alimenti così carichi di va-lenze e simboli e così universalmente noti, tanto che sono presenti su tutte le tavole. Le arti figurative ne hanno fatto i loro temi favo-riti, abbiamo citato per esempio il genere della natura morta che si offre agli occhi spesso con l’abbondanza di frutta, di verdura, ma anche qualche volta con pane e vino. Certo, però, che la mensa su cui campeggiano appunto pane e vino è il tema più rappresentato nella storia dell’arte poiché è il soggetto dell’Ultima cena, affrontato fin dai secoli più antichi della tradizione cristiana.

Accanto, però, a questi elementi fondamentali ed essenziali della nostra alimentazione ce ne sono molti altri che, se pure assai più particolari, hanno rivestito un’importanza decisiva nella storia della cultura. Alcuni di questi sono sostanze ritenute voluttuarie: caffè, tè e cioccolata, su questi tre elementi, certo non indispensabili ma assai diffusi, si basa tutta la differenza fra l’alimentazione del Seicento, secolo del barocco e il Settecento, secolo dei lumi.

Due film hanno ben esemplificato questa differenza: Vattel e Maria Antonietta. Il primo narra le vicende, romanzate, di François Vattel, cuoco del principe di Condé che, volendo rientrare nelle grazie del Re Sole, organizza per lui nel suo castello di Chantilly uno splendido ricevimento di più giorni. Su Vattel, cuoco e maggiordomo, ricade

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la maggiore responsabilità dell’organizzazione; e così la macchina da presa ci porta attraverso le cucine, le cantine, il dietro le quinte della splendida festa; poi la tragica ed eroica fine del grande cuoco con il suicidio quando, dopo aver programmato un ultimo splendi-do banchetto a base di pesce, questo non sembra dover arrivare in tempo; Vattel si uccide proprio mentre stanno giungendo al castello le prime ceste di pescato. L’attrattiva maggiore del film è tuttavia la possibilità di ammirare, ricreata in tutta la sua magnificenza e me-raviglia, la grande festa barocca, al di là dell’interesse che riveste la trama in sé stessa. In Maria Antonietta di Sofia Coppola, invece, si ricrea il salotto illuminista con la sua fragile leggiadria e con il suo cibo raffinato. Piatti di dolcezze, di piccoli pasticcini, dalle forme invitanti e dai colori delicati fanno da ricercato sfondo alle vicende che si susseguono alla corte di Versailles.

Il barocco, inteso non solo come movimento artistico ma come il gusto che informò di sé tutto un secolo, ebbe importantissime riper-cussioni anche sulla tavola e sul cibo. Se l’unione, o per meglio dire la mescolanza fra generi diversi fu, insieme alla meraviglia, la caratte-ristica fondamentale del secolo XVII, la grande festa di cui il cibo era parte integrante ne fu lo sfolgorante esempio. Musica, ballo, giochi d’acqua, artistiche ed effimere costruzioni di fiori, splendidi fondali dipinti: di questo si nutriva la scenografia barocca e il cibo non era da meno. Ogni piatto una meraviglia, ogni portata un travestimento: pe-sci finti fatti di carne di maiale, torte che all’apertura lasciavano uscire uccellini in volo e chi più ne ha più ne metta; inoltre abbondanza e opulenza, lunghi pranzi in cui si susseguivano portate su portate. Alla grande festa barocca si contrappone, nel secolo successivo, la civile conversazione salottiera del secolo dei lumi. Non più saloni sfavillanti di luci, arredi e colori, ma il salotto, emblema non della sfarzosa no-biltà, ma della sobria, solida e ricca borghesia. Anche il cibo cambia: non lo smisurato banchetto, ma la degustazione, ed ecco che entrano così in gioco i piaceri del gusto raffinato, in cui caffè, tè e cioccolato la fanno da padroni. Nasce per esempio, proprio per accompagnar-si a queste esotiche bevande, la piccola pasticceria, gli stessi piatti da portata si fanno più piccoli e fini, i tavoli si restringono per divenire

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il centro della civile conversazione, sfoggio di ogni buon salotto. L’ar-te rappresenta fedelmente questa nuova e raffinata realtà. Pensiamo per esempio ai quadri del veneziano Longhi: le stesse loro dimensioni mostrano come possano essere agevolmente appesi alle pareti di una casa borghese e i soggetti rappresentano proprio quella società che li commissiona e li acquista. Mentre Longhi dipinge i suoi interni, con signore che fanno toeletta o che dolcemente sorbiscono una tazza di cioccolato accanto al loro cicisbeo, Goldoni nel suo realistico e vita-le teatro racconta proprio quella stessa società: la bottega del caffè, il gioco al ridotto del teatro, una locanda con la padrona - Mirandoli-na - che cucina gli intingoli, le smanie della villeggiatura in collina e via dicendo. Ancora una volta cibo e bevande diventano soggetto e oggetto dell’opera d’arte sia essa scritta o dipinta. E del resto l’altro grande autore realista della nostra letteratura Boccaccio, uno dei pochi insieme a Goldoni ma a questi assai precedente, fa del cibo uno degli argomenti della sua opera e non certo nelle novelle di minore impegno.

Pensiamo a quello che è ritenuto uno dei suoi massimi capola-vori e cioè la novella di Chichibìo e alla coscia di gru sulla quale ruota tutta la storia. Ma ce ne sono anche molte altre. La novella di Ghino di Tacco, racconto che fa del rustico e sano cibo del brigante proprio il mezzo di risoluzione della trama. La novella di Primasso, poi, in cui si descrivono gli splendidi pranzi dell’Abate di Cluny o quella della marchesana di Monferrato che, con il suo apologhetto sulle galline, riesce a rintuzzare addirittura le mire di un re. E poi il mitico paese di Bengodi, che viene descritto a vividi colori da Maso del Saggio davanti agli occhi sbalorditi dello sciocco Calandrino: una montagna di parmigiano dalla quale vengono fatti rotolare i ravioli, vigne legate con salsicce, fontane di squisita vernaccia; cibo motore immobile di molti racconti solo per fermarci alle notissime novelle del narratore certaldese.

Il popolo fa del cibo e della tavola l’argomento dei suoi sogni più sfrenati; al contrario in questa ultima parte del Medioevo i grandi no-bili hanno una visione ben più raffinata della tavola. Nei primi secoli dell’era media, con l’arrivo dei popoli barbari, il cibo, anche smoda-to, era divenuto simbolo di forza e anche di nobiltà. I grandi signori

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mangiavano molto e alimentarsi, soprattutto con carne, era simbolo di forza e nobiltà: pare che Carlo Magno ritenesse più fidati, come suoi luogotenenti, i grandi mangiatori. La regola benedettina impo-ne moderazione ai monaci anche per segnare il distacco dalla loro vita precedente; molti novizi provenivano, infatti, da grandi famiglie nobiliari in una società che segna la nobiltà anche con abbondanti sfarzosi banchetti. Ma quando si diffonde l’ideale cavalleresco, fra il dodicesimo e tredicesimo secolo, si impone una maggiore raffinatez-za di costumi, basti come esempio la lettura dei sonetti dei mesi e dei giorni della settimana di Folgore da San Gimignano, cantore di una società gaudente, ma raffinata, lontana quindi da ogni eccesso, anche alimentare. L’abbuffata passa da simbolo di nobiltà ad appannaggio dei poveri che la sognano proprio perché la possono realizzare solo in poche festive occasioni. E con la raffinatezza dei cibi si diffondo-no anche, presso le classi più alte, le buone maniere, prima del tutto ignorate, solo appannaggio dei monaci benedettini, anche in questo antesignani di un modo nuovo di concepire la tavola.

In questo autunno del medioevo si inserisce naturalmente la figura dominante di Dante Alighieri, che raramente parla di cibo, soprattutto nell’Inferno; valga per tutti il VI canto, cerchio dei golosi dove, nella sozza pioggia mista a neve, Dante è interpellato dal fiorentino Ciacco, oppure le bocche fameliche di Pluto fiera crudele e diversa, per arrivare nelle più profonde gole della Caina all’orrido pasto del Conte Ugolino della Gherardesca che rosicchia la testa dell’arcivescovo Ruggeri, e del resto proprio con la privazione del cibo è cominciata l’ultima tortura che i pisani hanno riservato a lui ed ai suoi figli.

Nel Purgatorio Forese e Giunta sono sottoposti al supplizio di Tan-talo e ormai ridotti a pelle e ossa.

Ma c’è una metafora del cibo che Dante usa e che spesso non è ben rilevata: il Convivio, quel banchetto di sapienza che egli intende condividere con le persone che, non per loro colpa, non hanno potuto studiare le briciole del sapere che tutti meritano di provare. Il cibo dunque sia come valore positivo sia come valore negativo: gustato con parsimonia il cibo nutre il corpo dell’uomo come la sapienza ne nutre lo spirito, ma trasmodare è un peccato

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che trasforma gli uomini in bestie.Per tornare a Bengodi, il mito del paese dove si mangia a volontà

percorre tutto il Medioevo, soprattutto evocato in certe particolari ricorrenze come il carnevale, quando, sotto la maschera, il folle di-venta re, il povero diventa ricco e può saziarsi senza ritegno.

In una civiltà che era sostanzialmente contadina cibo e proverbi segnavano il passare delle stagioni:

Fino a Natale né freddo né fame,Sotto la neve pane, Acqua di giugno rovina il mugnaio, Quando ottobre scroscia e tuona l’invernata sarà buona, Freddo a gennaio fa ricco il granaio / e così via.E il cibo continua a percorrere la nostra storia letteraria: è, per

esempio, un Petrarca meno paludato del solito quello che con ele-gante semplicità parla dei suoi gusti alimentari in alcune sue lettere: «Uva, fichi, noci, mandorle sono per me vere delizie, e mi piacciono i pesciolini dei quali questo fiume è ricco».

In un altro passo delle Familiari: «Vieni, e ti offrirò i succosi grap-poli di questi colli pieni di viti, e fichi dolcissimi e acqua fresca appena

Gustave Doré, illustrazione del XXXIII canto dell’Inferno dantesco “Conte Ugolino”.

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attinta dal cuore della sorgente». Altrove poi, parlando di sé, dirà che preferisce i cibi semplici alle più raffinate ricette di Apicio, gli ali-menti diventano metafora e simbolo dello stile di vita che il Poeta vorrebbe per sé, caratterizzato da sobrietà, eleganza, raffinatezza, lontananza da ogni eccesso.

Ancora una volta un richiamo alla tradizione oraziana della mo-derazione, della via di mezzo necessaria al buon vivere. Potremo così continuare con una disamina attenta degli autori della nostra letteratura: Ariosto che prosegue la tradizione classica della sobrietà, la semplice rapa consumata davanti al camino della propria casa è preferibile ai lauti banchetti che i cortigiani con mille affanni si de-vono guadagnare alla corte del Signore; ancora con Orazio potrem-mo dire che il «parva sed apta mihi» può riferirsi non solo alla casa, ma anche alla simbolica rapa delle Satire ariostesche.

Machiavelli ci conduce poi all’osteria, alla sua partita a tric trac con l’oste e il beccaio nel suo esilio di San Casciano, mentre sta meditando sulla storia antica e ha appena concluso la stesura del Principe. Perfino nelle Accademie, che dal Cinquecento affiancano e poi sostituiranno la corte come luogo internazionale di cultura, il simbolismo del cibo è usato con grande frequenza.

Accademia degli Umidi si definisce un’accademia letteraria fioren-tina nata nel 1540 ad opera di letterati per diletto che assumono tutti nomi legati all’acqua, e il Grazzini, uno degli accademici più illustri, prende per esempio il nome di Lasca, un pesce particolarmente velo-ce e guizzante. Poi l’Accademia forse più illustre, quella della Crusca, anche questa nata a Firenze nel 1570 che ha come suo simbolo il frul-lone, quell’apparecchio che serve a dividere la crusca appunto dalla farina bianca, così come gli accademici si propongono di distinguere la buona dalla cattiva lingua. Nella pittura poi la tavola come abbiamo visto, è uno dei temi maggiormente frequentati dalle nature morte del già citato e imprescindibile Caravaggio, alle infinite Ultime Cene, dai fiamminghi con Brugel con il suo Nozze di contadini del 1568 all’estro di Arcimboldo, ma anche nomi meno noti e tuttavia degni di esse-re annoverati. Pensiamo per esempio a Vincenzo Campi, cremonese nato nel 1536, alle sue nature morte sovrabbondanti di particolari,

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ai suoi interni di cucina con belle vivandiere dalle forme generose. Il suo interesse, tuttavia, era rivolto anche alla povera gente come ne I mangiatori di ricotta, dove tre uomini e una donna, chiaramente di classe assai umile, si riempiono ingordamente la bocca di quello che fra i latticini era ritenuto di basso pregio, cioè proprio la ricotta. Gli esempi sono infiniti e non riguardano solo l’arte dei secoli passati: un grandissimo pittore contemporaneo, Salvator Dalì fece spesso del pane il soggetto delle sue tele, sia in opere più tradizionali sia secondo la sua vena surrealista; tanto lo amava che, nella sua stravaganza, soleva svuotare una pagnotta e portarla in testa come un cappello da torero. Interessante è anche il simbolismo di dipinti che sembrano apparen-temente di facile interpretazione; pensiamo alla friggitrice di uova di Diego Velasquez del 1618, adesso ad Edimburgo, in cui una vecchia sta friggendo due uova davanti ad un tavolo con alcuni oggetti e so-

Vincenzo Campi “I mangiatori di ricotta”.

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prattutto una cipolla. Le uova simbolo di resurrezione e la cipolla, agra ed aspra, simbolo di peccato. Infine, in questa brevissima carrellata fra antico e moderno, come non pensare alla pop art e alle lattine di zuppa Campbell di Andy Warhol?

Infine una parola sul teatro dove, specialmente nel dramma dell’Ottocento e della prima parte del Novecento molte scene sono ambientate durante un pranzo. Infatti è molto semplice per un autore riunire e far interagire in questo modo i vari personaggi e del resto è esperienza comune che in una famiglia le liti più furiose e gli screzi più insanabili si manifestino davanti al desco familiare, soprattutto nelle ricorrenze quali il Natale. Un autore teatrale che è molto legato alla cucina è, per esempio, Eduardo De Filippo in Sabato domenica e lunedì: tutto il dramma scaturisce proprio dalla preparazione del-la portata principale del pranzo domenicale, il mitico e succulento ragù. L’Autore ne fa una descrizione che si potrebbe quasi definire romantica e al contempo molto realistica: riusciamo a sentire il ru-more della pignatta che pipia secondo l’onomatopea gustosissima che riproduce il suono di una lenta e costante lieve bollitura e, magia dell’arte, gli spettatori quasi percepiscono l’odore della vivanda certo sopraffina ma anche catalizzatrice di tante incomprensioni coniugali.

Per concludere si può addirittura definire sublime una scena di Questi fantasmi nella quale Eduardo, seduto al balcone di casa, parla con un immaginario professore e, sorbendo la sua tazzina di caffè, gli spiega gli arcani segreti della sua preparazione.

Per la musica non si può tacere dell’opera lirica, nella quale più che mangiare si beve e molto: il vino è generoso e si liba nei lieti calici solo per fermarci a Mascagni e Verdi.

Musica, poesia, letteratura, pittura insegnano, dunque, che ci-barsi non è solo una necessità fisica, ma una delle azioni ispiratrici delle più alte manifestazioni umane.

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SCELGO DUNQUE SONO? sono quello che scelgo di mangiare

Giorgio Ciacci

«Se avete una coscienza delle dimensioni di una pallina da golf, quando leggete un libro avrete una comprensione delle dimensioni di una pallina da golf. Quando guardate all’esterno avrete una consapevolezza di una pallina da golf. E quando vi svegliate al mattino avrete uno stato di vigilanza dalle di-mensioni di una pallina da golf. Ma se potete espandere que-sta coscienza e poi leggete il libro, avrete più comprensione. Se guardate all’esterno avrete più consapevolezza e quando vi svegliate sarete più vigili. È Coscienza. E c’è un oceano di Coscienza pura e vibrante all’interno di ognuno di noi. E si trova proprio alla fonte e alla base della mente, proprio alla fonte del pensiero ed anche alla fonte di tutta la materia.»

David Lynch

Io scelgo, tu scegli, egli sceglie…Le nostre libere decisioni sul cibo e le nostre abitudini alimentari

– apparentemente banali e automatiche – sono determinate da molti fattori di natura diversa, frutto di esperienza e scelta continua, per-sonale, familiare, sociale, di identità territoriale, religiosa, economica e non ultime di linguaggio e comunicazione. Analizzando come si è sviluppato il modo di mangiare degli esseri umani, possiamo notare enormi cambiamenti sociali che sono avvenuti sia a livello temporale che a livello territoriale, e che oggi costituiscono uno dei fattori che differenziano maggiormente una cultura dall’altra. In poche parole cosa mangiamo e come lo mangiamo definiscono ciò che siamo e

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a quale cultura apparteniamo. Da sempre le varie popolazioni han-no avuto prodotti e alimenti tipici di cui cibarsi, oltre a un proprio modo di cucinarli e consumarli.

I Fattori determinanti nella scelta del cibo

ABITUDINI ALIMENTARI

FATTORI BIOLOGICIdi regolazione

endocrina come il senso di fame o sazietà, proprietà sensoriale dei cibi

FATTORI SOCIALI

abitudini personali, familiari, del

territorio, tempo a disposizione per

il cibo, grado di istruzione

FATTORI ECONOMICI

reddito personale, accessibilità,

rapporto qualità/prezzo; mercati

vs supermercati. agricoltura locale

FATTORI PSICOLOGICI

disturbi del comportamento

alimentare. fobie, comportamenti

estranei nei confronti del cibo

ALTRIFATTORIprescrizioni

religiose, significati simbolici, tradizioni,

ricorrenze ed eventi personali

Gli impulsi fondamentali che ci spingono a mangiare o meno sono naturalmente la fame e la sazietà, ma il cibo che scegliamo di man-giare non è determinato unicamente da bisogni fisiologici o nutrizio-nali. L’attenzione per le scelte degli alimenti che possono avere effetti negativi sulla salute è attualmente uno dei temi di maggior interesse della società e delle istituzioni, ma questa moltitudine di fattori illustra come “il mangiare sano”, che è l’obiettivo delle campagne di salute pubblica, sia soltanto una delle molte considerazioni inerenti alla scelta.

Lo stile di vita dell’uomo occidentale è molto cambiato: per esigen-ze di vario genere – anche lavorative – siamo diventati eccessivamen-te pigri e sedentari, sempre con uno schermo luminoso di fronte ai nostri occhi, che sia il PC sulla scrivania del lavoro, la TV a casa o lo smartphone di ultima generazione sempre nelle nostre mani. Mangia-mo connessi al mondo, senza concentrarci sull’atto di nutrirsi; è facile in questo modo esagerare con la quantità, non facendo nemmeno più caso al senso di sazietà ed è anche facile non solo mangiare cose sbagliate, ma anche mangiarle in modo sbagliato. La dieta occiden-tale, oltre ad aver cambiato fisicamente la nostra società, ne ha anche

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cambiato il modo di pensare. Tutti facciamo attenzione a quanto costa un cibo e non pensiamo al suo reale significato; «Scambiare il prez-zo del cibo con il suo valore, ci ha distrutto l’anima. Se il cibo è una merce, non importa se lo sprechiamo. In una società consumistica tutto si butta e tutto si può sostituire, anzi si deve sostituire. Ma il cibo non funziona così», scrive Carlo Petrini.

Il modo in cui viene consumato il pasto è un fattore estremamente legato alla cultura: noi occidentali mangiamo con le posate e abbia-mo creato una serie di norme – quelle del Bon Ton e del Galateo, per esempio – che regolano il nostro stare a tavola; in India si mangia con le mani, privilegiando un rapporto tattile con il cibo che permet-te di sentirne meglio la temperatura e la consistenza; in Giappone uomini e donne mangiano con bacchette di legno, usandole in un modo che pare quasi artistico ai nostri occhi. Se la maggior parte delle persone sceglie o acquista alimenti in base alla qualità e alla freschezza, ci sono molte altre che agiscono in base ad altri fattori: gli uomini di solito si lasciano guidare dal gusto e dall’abitudine, i pensionati e i disoccupati compiono la loro scelta in base al prezzo e alla convenienza, mentre normalmente le donne e gli anziani pre-diligono l’equilibrio e la varietà di una dieta sana e mediterranea. Tuttavia, la discussione e la stessa comprensione delle informazioni nutrizionali non porta necessariamente alla modifica delle proprie scorrette abitudini alimentari. Molti individui, infatti, ritengono che la propria dieta sia adeguata alle proprie necessità e alle proprie caratteristiche fisiche e psicologiche, trovandola gratificante e giu-sta. Altri numerosi fattori prendono maggiore o minore importanza nella scelta di un alimento, e variano a seconda della praticità, del cambio dei gusti, delle mode, della pubblicità. Quest’ultima rico-pre un ruolo fondamentale nella nostra società ed è in grado di in-fluenzarci in ogni tipo di scelta, dall’isola sperduta in cui trascorrere le vacanze, alla banca in cui investire i nostri soldi, e ci guida – più o meno inconsciamente – anche nella scelta di ciò che mangiamo.

Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una crescita senza pre-cedenti del consumo di cibo, non solo a livello materiale, ma anche mediatico e culturale, tanto che molti studiosi parlano di una vera

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e propria “food explosion”, trasversale a numerosi ambiti. Sembra che il cibo, e i discorsi che lo riguardano, siano davvero dappertut-to. La cucina ha avuto un posto di rilievo nella televisione italiana fin dalla sua nascita: fra i programmi della RAI si cita ancora oggi “Viaggio nella Valle del Po. Alla ricerca dei cibi genuini”, del 1957 con lo scrittore Mario Soldati che si aggirava nelle campagne del-la pianura padana per ritrovare i sapori e le tradizioni di una volta. Con il passare del tempo, lo sguardo sui piatti è diventato sempre meno culturale e sempre più commerciale. Ogni canale TV degno di rispetto ha il suo programma di cucina, dalle sfide culinarie alle ricette da eseguire in tempi record, agli show di famosi chef, ormai equiparati ai divi del cinema più famosi. Il 26% circa degli spot che giornalmente sono trasmessi da tutte le reti, riguardano prodotti alimentari: in media, chi guarda la TV tre ore al giorno, assisterà ad una pubblicità che parla di cibo ogni cinque minuti. Ci sono pub-blicità dedicate a un pubblico adulto e trasmesse in prima serata, come quelle dei surgelati, dei cibi pronti o semi lavorati; e altre, come quelle dei biscotti, delle merendine, della cioccolata, delle patatine, delle bevande dolci e delle caramelle, che vedono come protagonisti i bambini e che vengono trasmesse durante i cartoni animati. Que-sta forte esposizione televisiva del bambino, comporta un rischio di sovrappeso e di obesità pari al 10-25% per coloro che trascorrono davanti alla TV da una a tre ore al giorno; ed è un rischio che sale fino al 45% nelle adolescenti. Per non parlare poi del “packaging”, della confezione dei prodotti alimentari, che non ha più la sola funzione di proteggere l’integrità di un alimento e di identificare il contenuto ma diventa un vero e proprio mezzo per fare ulteriore pubblicità, sia in modo diretto, dagli scaffali del supermercato, che in modo indi-retto, attraverso le immagini che ci appaiono in televisione. Colori positivi, tematiche allettanti e immagini seducenti ci permettono di immaginare l’aroma e il gusto di un alimento soltanto attraverso la vista, osservandone la confezione, senza poter avere un’idea concreta e realistica del cibo contenuto al suo interno. È facile così scegliere di nutrirci con quello che “ci piace” a prima vista, non curandoci di quanto un alimento possa essere naturale e salutare.

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I cibi prediletti sono quelli che hanno un sapore gradevole, che per molte persone corrisponde al dolce, e sono quelli che costano meno; per questo è utile investire in educazione e tornare a inse-gnare, a grandi e piccoli, come fare la spesa e come cucinare. Fare la spesa con i bambini può essere faticoso ma istruttivo: scrivere in-sieme la lista, leggere le etichette, scegliere i prodotti e prendersi il tempo necessario darà al bambino la sensazione di compiere un atto importante e significativo.

In un tale contesto abbiamo il dovere di conquistare l’attenzione dei ragazzi e di riportarla su diversi argomenti che riguardano l’ali-mentazione, guidandoli a conoscere i rischi per la salute derivanti da un’alimentazione scorretta, ma soprattutto avviandoli al piacere di conoscere cibi, gusti e sapori nuovi, cogliendo così il lato edoni-stico del mangiare. Possiamo e dobbiamo dare loro l’opportunità di studiare meglio il territorio in cui vivono, di sapere cosa si col-tiva nella regione in cui abitano e che non si sono mai soffermati a osservare davvero, di apprezzarne i prodotti tipici e di cercare le tradizioni alle quali si rifanno.

Questa è la cultura del cibo.Come scriveva Raymond Williams «Il cibo si identifica come uno

degli elementi culturali quotidiani che formano il nucleo significa-tivo della nostra esistenza».

Il cibo, in verità, è ricco di cultura lungo tutto il suo percorso: quando si produce, quando si prepara, quando si consuma; ed è proprio durante ciascuna di queste fasi (produzione, preparazione, e consumo) che ogni uomo comunica la sua decisione e le motiva-zioni che l’hanno guidato nella scelta.

Attraverso le abitudini alimentari, ogni società, ogni gruppo e singolo individuo dichiara il proprio stato culturale e la propria identità. «Io sono vegetariano», «Io sono vegano», sono espressioni alle quali spesso non facciamo caso, ma definiscono l’essenza dell’io, identificano l’io con quello di cui si nutre, tanto da permetterci di affermare: «L’uomo è ciò che mangia».

Linguaggio, comunicazione e identità sono espressioni di uno stesso individuo che, anche attraverso il cibo e le abitudini alimen-

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tari, esprime il proprio stato culturale. Attraverso il cibo si «raccon-ta una storia», sia essa antica o recente, con implicazioni emotive, personali, sentimentali, di amicizia, di amore, di felicità, di dolore e morte; il cibo ha un ruolo centrale in occasione di nascite, comple-anni, matrimoni e persino funerali, in molte culture «Per persuade-re una persona è necessario allineare la propria personalità alla sua, attraverso l’uso del linguaggio». In quanto codice, il cibo rispetta le stesse pratiche del linguaggio e può essere utilizzato per esprimere modelli di relazioni.

I continui cambiamenti della società stanno modificando ve-locemente culture e identità diverse così «il confronto con l’altro consente non solo di misurare, ma di creare la propria diversità» e «il cibo è anche strumentale nel sottolineare le differenze, tra grup-pi, culture, strati sociali, e serve a rafforzare l’identità di gruppo, a separare e distinguere il noi dagli altri». Avvicinarsi, distinguersi o allontanarsi dagli altri può essere fatto non solo con le parole ma – molto più efficacemente – con il cibo.

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Bibliografia e Sitografia

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Burke K., A rhetoric of Motives University of California Press,1969

Puddu P., La conoscenza del cibo, ed. CLUEB, 2002

Montanari M., Il mondo in cucina. Storia, identità, scambi, Roma Bari, Ed. Laterza, 2002

Fatati G., La dieta e i sensi, Il pensiero scientifico Editore, 2008

Montanari M., La fame e l’abbondanza, Ed. Laterza, 2003

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Carrara L., Intorno alla tavola, Codice edizioni, 2013

Fischler C., L’homnivore, Odile Jacob, 1990

Bordieu P., Critica sociale del gusto, Il Mulino, 1983

Sorcinelli P., Gli italiani e il cibo, Ed. Bruno Mondadori, Milano 1999

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http://www.fondazionefeltrinelli.it

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Cibo e cervello

Giorgio Ciacci

La studio della nutrizione e la dietetica è necessario poiché per-mette di capire come funziona il corpo umano e qual è l’importanza dei principi nutrizionali per la salute ma non è sufficiente a definire il ruolo complessivo del cibo nella nostra esistenza.

Mentre si sta mangiando un cibo o si beve un vino si attivano dei circuiti sensoriali e l’effetto finale che nasce dal profumo e dal gusto è l’elaborazione di una fantastica creazione del cervello.

Il cervello è la vera sede della regolazione della nostra alimen-tazione, attraverso una serie di segnali chimici, integrati da segnali personali, ambientali, sociali.

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È in queste zone cerebrali che nascono le percezioni della ta-vola, è qui che il gusto, insieme agli altri sensi, crea quelle dina-miche di soddisfacimento sensoriale che determinano il piacere e la memoria di un buon pasto. Il tutto in un turbinio di messaggi nervosi che corrono lungo l’intero perimetro del sistema nervoso centrale, coinvolgendo sia la corteccia cerebrale che i centri ner-vosi sottostanti, correlati proprio ai sensi, al piacere, al ricordo.

In sintesi quello che comunemente chiamiamo gusto, cioè l’ef-fetto finale dell’incontro con un cibo, non va visto da solo ma piuttosto come una serie di segnali che vengono decodificati dai neuroni, in un vai e vieni di messaggi che coinvolgono un’ampia parte delle strutture cerebrali. Allora mentre l’aroma è la combi-nazione di odore e sapore di un cibo, dato da specifiche sostanze chimiche naturalmente presenti in esso, il sapore è formato dal gu-sto in senso stretto, aggiunto ad altre sensazioni percepite nel cavo orale, come la consistenza, la temperatura, il piccante, il fresco, il metallico ed altre, risultato di una componente olfattiva retrona-sale. Anche se comunemente “gusto” è usato come sinonimo di “sapore”, in senso stretto questo termine descrive la caratteristica del cibo percepita dal gusto e arricchita nella sua identità da espe-rienze comuni riferite anche ad altri.

L’olfatto aggiunge caratteristiche nella definizione di un cibo e nel ricordo dello stesso; una sua diminuzione determina al con-trario una minore efficacia del gusto.

I recettori del gusto sono le gemme presenti nelle papille gusta-tive della lingua e, nonostante siano in grado di percepire un’ampia gamma di entità chimiche come la concentrazione ionica, i pro-toni, le molecole di zuccheri e specifici aminoacidi, qualitativa-mente esse suscitano un numero limitato di sensazioni gustative, attivando recettori specifici: amaro, acido, dolce, salato, umami o glutammato; alcune ricerche suggeriscono poi l’esistenza di un sesto e un settimo gusto, associati al fritto e al grasso. I segnali conseguenti vengono inviati al cervello ed è là che i circuiti neurali creano la percezione, ad esempio di salato, acido o dolce. Il gusto, nella evoluzione filogenetica, ha anche la funzione di analizzare il

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contenuto di un certo alimento, riconoscendo le sostanze chimi-che di cui è costituito, permettendoci di distinguere i cibi ricchi di nutrienti indispensabili per il nostro sostentamento (e quindi ingoiati), da quelli potenzialmente tossici o avariati (e quindi ri-fiutati). La storia mostra infatti che il genere umano ha imparato fin da subito a riconoscere l’effetto dei diversi alimenti sull’organi-smo e, di conseguenza, mediante l’applicazione dei criteri di scelta e selezione sul cibo cacciato o raccolto, a evitare l’assunzione di cibi nocivi e tossici.

Un buon onnivoro infatti deve sapersi adattare a mangiare cose diverse a seconda dell’habitat e delle situazioni; perciò l’uomo non è molto legato alla componente genetica delle scelte alimentari, ma è in grado di associare un alimento alle conseguenze dell’a-verlo ingerito, quindi ad imparare cosa può mangiare e cosa no. Dunque le sensazioni che si provano assaggiando un alimento non sono contenute al suo interno ma create dal cervello, in base ai messaggi che vengono inviati dai recettori delle papille gustative. Anche se tutto viene riferito al palato, il gusto è solo una parte del mosaico percettivo che si crea quando mangiamo; in realtà mettia-mo insieme tutta una serie di componenti che vanno ben oltre la semplice sensazione che si determina di fronte ad un certo piatto. Tutti i sensi principali contribuiscono a definire “quel cibo” duran-te i processi di scelta e consumo, attivando contemporaneamente anche meccanismi diversi come la memoria, le emozioni, le mo-tivazioni, il senso di ricompensa, fino al linguaggio per descrivere ciò che si prova o si è provato.

Le interazioni tra cibo intestino e cervello sono il risultato di complesse attività che vedono protagonisti diversi centri cerebrali, ormoni e neuro mediatori: dall’ipotalamo, all’amigdala ai lobi frontali, dall’insulina al glucagone, dalla dopamina alla serotoni-na, ciascuno con proprie competenze al fine di garantire una cor-retta assunzione quantitativa e qualitativa degli alimenti, proprio attraverso l’utilizzo di funzioni periferiche. Per questo, alla fine, il cervello si trova a gestire una serie di stimoli e un incrocio di messaggi che lo coinvolgono nelle sue diverse aree.

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La relazione tra cibo e cervello è bidirezionale poiché da una parte l’assunzione del cibo è sotto il controllo del sistema nervoso centrale, dall’altra sostanze assunte con gli alimenti possono modificare l’attività di reti nervose e quindi il comportamento alimentare.

Nel caso del cibo il piacere sta nelle complesse sensazioni ge-nerate dal “buon sapore” di un certo alimento che ci piace e che quindi introduciamo nell’organismo, mentre l’avversione si ma-nifesta nel “cattivo sapore” di un altro alimento che, una volta assaggiato, non ci piace e che quindi rifiutiamo. Questa compo-nente è così importante al punto che, in fondo, mangiamo solo quello che ci piace e se questo è vero per un adulto, lo è a maggior ragione per i bambini.

Tutti questi fenomeni si sviluppano precocemente e le preferenze alimentari sono fortemente correlate con i comportamenti. L’educa-zione alimentare, nella scuola e in famiglia, è lo strumento di questo percorso educativo, partendo proprio dalla conoscenza e pratica dei sensi e del gusto in particolare.

La varietà nel sapore è stata associata ad una maggiore varietà nel contenuto nutritivo del cibo; così, se vogliamo mangiare meglio, dobbiamo ampliare il più possibile il nostro orizzonte gustativo in particolare verso il gusto amaro, tipico delle verdure, non certo uno di quelli con grande componente edonica.

Non è difficile notare come i bambini abbiano una sensibilità particolare al dolce, al grasso e al salato, con forte repulsione per l’amaro e l’astringente, fatto che rende difficile far accettare loro le verdure, ricche di polifenoli, flavonoidi, isoflavoni, terpeni e altri metaboliti secondari delle piante che spesso sono amari o tannici ma che sono anche i composti associati alle proprietà benefiche dei vegetali. Secondo la letteratura scientifica il fattore più importante nel determinare la preferenza di un bambino per un determinato alimento, durante lo svezzamento, è il fatto che gli sia “ familiare” e questo può essere ottenuto attraverso l’esposizione a molti cibi, il più presto possibile. La verdura si presta perfettamente a questo, in quanto è estremamente vario il range di gusti che ci offre. È stato dimostrato come bambini di circa 7 mesi che mostrano particolare

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avversione verso un certo vegetale, dopo 7-8 esposizioni lo accet-tino e come il risultato conseguito duri nel tempo.

Tuttavia le abitudini alimentari dei figli non sono necessariamen-te le stesse dei genitori.

A definire i loro gusti infatti contribuirebbero maggiormente altri fattori, come le scelte degli amici o i pasti serviti alla mensa scolastica. Una rassegna degli studi sul tema, pubblicata sulla rivi-sta Journal of Epidemiology and Community Health, coordinata da ricercatori della Johns Hopkins University di Baltimora, ha analiz-zato tutti gli studi pubblicati su questo argomento tra il 1980 e il 2009. I ricercatori hanno valutato le relazioni relative all’introito alimentare tra le coppie genitori-figli e successivamente i singoli collegamenti (madre-figlia, padre-figlio ecc.), oltre che le influenze culturali nelle diverse aree del mondo e l’evoluzione attraverso gli anni. I dati raccolti mostrano che le somiglianze tra genitori e figli in fatto di abitudini dietetiche sono poche e variano in funzione di diversi fattori, tra cui i singoli nutrienti e il paese di residenza. «Contrariamente a quanto molti pensano, diversi studi realizzati in paesi differenti, compresi gli Stati Uniti, rivelano una debole associazione tra l’introito dietetico dei genitori e quello dei figli – osserva Youfa Wang che ha guidato l’indagine –. Probabilmente questo fenomeno è legato al fatto che le abitudini alimentari delle persone giovani sono influenzate da molti fattori complessi e l’am-biente famigliare è solo uno di questi, con un ruolo limitato. Piut-tosto che concentrarsi solo sui genitori, sarebbe utile dare maggiore attenzione all’influenza di altri fattori sulle abitudini alimentari dei ragazzi, come la scuola, i cibi locali e l’influenza dei coetanei nonché le politiche alimentari dei governi e quelle che regolano le scelte delle mense scolastiche. Allo stesso tempo i genitori do-vrebbero essere supportati per diventare dei buoni modelli per i loro figli». Per promuovere un’alimentazione più sana nei ragazzi bisogna dunque agire su più fronti. Ovviamente è importante che i genitori diano il buon esempio ma non bisogna trascurare il ruolo degli altri attori coinvolti, a partire dalla mensa scolastica fino alle politiche alimentari dei Governi dei singoli Paesi.

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Educazione, esperienze, società e ambiente sono i cardini di una dinamica interattiva in grado di realizzare, se ben indirizzata, stra-tegie dietetiche consapevoli e consolidate, capaci di coniugare ar-monicamente gusto e piacere con benessere e salute.

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Noi, il Cibo, la Salute, l’Ambiente

Giorgio Ciacci

«Lasciate che il cibo sia la vostra medicina e che la vostra medicina sia il cibo.»

Ippocrate (460-377 a.C., Grecia)

I dati epidemiologici e scientifici recenti affermano la progressi-va crescita di malattie legate ad un errato stile di vita, quali obesità, diabete, malattie cardiovascolari e tumori con una forte previsione di spesa per l’assistenza sanitaria e sociale di questi adulti futuri. In particolare per l’obesità l’Organizzazione Mondiale della Sanità de-scrive un’epidemia in quanto la sua prevalenza è aumentata di tre volte nelle ultime due decadi, non solo nelle Nazioni più avanzate ma anche in quelle a sviluppo socio-economico più basso, conferman-do lo stretto legame tra informazione, cultura e salute. Nel mondo due miliardi di persone sono in sovrappeso o obese; di contro, un miliardo è sotto nutrito e più di un miliardo soffre di malnutrizio-ne e carenza di micronutrienti (FAO 2011). Ciò significa che una percentuale consistente della popolazione mondiale si alimenta in modo inadeguato e sbilanciato dal punto di vista nutrizionale. In Europa metà di tutti gli adulti e un bambino su cinque sono sovrap-peso. In Italia si prevedono in sovrappeso il 70% della popolazione maschile mentre passerà dal 39 al 50% quella femminile nel 2030. Il livello del sovrappeso in età giovanile risulta avere un’importanza fondamentale per la probabilità di sviluppare, anche in età adulta, il diabete di tipo 2, le patologie cardiovascolari e quelle tumorali, oltre a gravi disagi psicologici, economici, sociali. In particolare, il

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diabete di tipo 2 – una volta ritenuta una patologia degli adulti in età avanzata – risulta essere presente ora, in modo crescente, fra i bambini e i giovani. Ad esempio nel 1985 30 milioni di persone nel mondo soffrivano di diabete, nel 2003 il numero totale è stato di 194 milioni e oggi vi sono 246 milioni di persone affette, mentre le previsioni indicano che entro il 2025 la cifra salirà a 380 milio-ni. Se la crescita continua a questi ritmi, il diabete sarà la peggiore pandemia che abbia mai colpito il mondo. L’associazione tra peso e diabete è cosi marcata che ha spinto la European Association for the Study of Diabetes (EASD) a riconoscere l’obesità essere «il più importante problema di salute pubblica in tutto il mondo» e la sua prevenzione e trattamento essenziali per contrastare il fenomeno.

Adulti 18 – 65 anni in Italia

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I risultati della rilevazione 2014 del Sistema di Sorveglianza nazionale Okkio alla Salute confermano in Italia un leggero calo dei livelli di sovrappeso e obesità infantile.

In particolare i dati dimostrano che nei bambini italiani di età tra 8 e 9 anni sono in sovrappeso il 20,9% e sono obesi il 9,8%, con maggior prevalenza nelle Regioni del Sud e del Centro.

Per le abitudini alimentari favorenti un aumento di peso emerge che l’8% dei bambini non fa la prima colazione, il 31% la fa sbilan-ciata, il 52% consuma la colazione a scuola troppo abbondante; i genitori dichiarano che il 25% dei propri figli non mangiano quo-tidianamente frutta e verdura, il 41% assume bevande zuccherine.

Per quanto riguarda il movimento, il 18% pratica sport per non più di un’ora a settimana, il 42% ha la TV in camera, il 35% guar-da la TV o gioca con strumenti elettronici per oltre 2 ore al giorno. La sedentarietà contribuisce fortemente allo sviluppo del sovrappe-so e dell’obesità in questa fascia di età; il gioco creativo e di gruppo spesso è sostituito con giochi sedentari (PC, cellulare, play station e altro) in forma solitaria e con scelte non controllate dai genitori.

L’alimentazione scorretta rappresenta circa un terzo delle cause di insorgenza dei tumori, combinata alla sedentarietà e a stili di vita poco salutari. Nuove acquisizioni si hanno anche nello studio delle relazioni tra sovrappeso, obesità e tumori. In queste condizioni vi è un rischio aumentato per numerose neoplasie e lo stesso vale per le malattie neurodegenerative come il Parkinson e le demenze.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non so-lamente un’assenza di malattie o infermità», mentre lo stile di vita salutare come «un modo di vivere volto alla riduzione del rischio di malattie e della morte prematura».

Alimentazione corretta, attività motoria, astensione dal fumo di sigaretta, normale peso corporeo, buona stima di sé sono i punti fondamentali per il mantenimento dello stato di salute e la preven-zione primaria.

Se da tempo sappiamo che ciò che decidiamo ogni giorno di mangiare ha delle conseguenze sulla nostra salute, come negli anni

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’50 Ancel Kyes lo studiò e definì con la Dieta Mediterranea, non è da molto che si riconosce l’influenza della catena del cibo – dalla produzione agli scarti – sulla salute ambientale.

L’impatto ambientale dell’alimentazione è correlato strettamen-te allo sviluppo economico e sociale dei diversi Paesi, direttamente proporzionale alla crescita del PIL. In generale nel mondo, il rap-porto tra la quantità di energia necessaria per produrre una unità di cibo e il contenuto di energia metabolica che tale cibo apporta all’organismo (Indice di Sostenibilità) è ormai dell’ordine di 100 a 1 mentre, per molti secoli, per ogni unità di energia metabolica veniva consumata una sola unità di energia o poco più. Ancora, le attività umane hanno ormai “consumato” l’equivalente di quasi 2 volte e mezzo il territorio del pianeta, e tra queste, il ciclo di vita degli ali-menti ha un peso ambientale consistente. Quanto più complesso e articolato è il processo di produzione e il ciclo di vita di un alimento tanto maggiore è il suo impatto sull’ambiente. In questo senso gli alimenti per i quali è consigliato un consumo più frequente, come frutta e verdura, sono quelli che determinano un impatto ambientale minore rispetto ad altri, come la carne, di cui viene raccomandato un consumo meno frequente a tavola, che hanno maggiore respon-sabilità nell’inquinamento ambientale.

Anche lo spreco di cibo, oltre ad essere un modello negativo per la società, contribuisce a peggiorare l’inquinamento della Terra: ogni anno un terzo del cibo prodotto sulla Terra finisce nella spazzatura. Lo spreco di cibo è diverso a seconda della situazione socio-econo-mica: nei paesi sviluppati, come l’Europa, le famiglie contribuiscono maggiormente a tale atteggiamento, mentre nei paesi non sviluppati le perdite sono concentrate piuttosto all’origine, sul versante della produzione e del trasporto.

Così una buona nutrizione e una dieta salutare cominciano prima di tutto con una buona agricoltura e buon processo di produzione degli alimenti. Un regime alimentare bilanciato e corretto come quello mediterraneo, a base di pasta ed altri cereali, verdure, frutta e olio di oliva, che contribuisce com’è noto alla salute e al benessere personale, provoca un impatto ambientale del 60% inferiore rispetto

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a un’alimentazione di tipo nordamericano, sbilanciata verso prodotti di origine animale e meno verso vegetali e cereali.

Dieta mediterranea quindi non solo come modo di nutrirsi ma anche e soprattutto come modo di pensare al cibo, così come la descrive Nancy Harmon Jenkins, modello che ha consentito agli italiani di conquistare fino ad ora il record della longevità con una vita media di 79,4 anni per gli uomini e di 84,5 per le donne, al secondo po-sto nel Mondo. Il progressivo abbandono della dieta mediterranea da parte soprattutto delle nuove generazioni a favore di una dieta occidentale ha determinato un cambiamento progressivo e sostan-ziale dello stile di vita con la comparsa di una serie di conseguenze, primi fra tutti il sovrappeso e l’obesità, correlata solo in parte a fat-tori genetici ed ereditari.

Le due diete a confronto

Western Diet Occidentale MED Diet Mediterranea

VeloceGlobalizzato, animaleConservatoKing-sizeIndustrializzato

LentoLocale, vegetaleFrescoSmall-size (frugale)Artigianale

Se per quanto riguarda gli adulti le considerazioni sull’importanza dello stile di vita sono sempre più associate ad interventi sanita-ri “artificiali”, ancora di più in questo senso è necessario fare per i bambini e gli adolescenti.

Mentre le scelte alimentari dei primi anni di vita sono esclusi-vamente fatte dai genitori, soprattutto dalle madri, con l’ingresso alla scuola primaria si delineano nel bambino nuovi comportamen-ti, strategici per la formazione e il consolidamento delle abitudini alimentari future. La progressiva autonomia generale comporta anche la consapevolezza di poter partecipare a definire la “propria dieta”, attraverso una serie di richieste troppo spesso influenzate da elementi esterni, come la pubblicità, le mode, il comune compor-tamento. Inoltre il cambiamento dello stile di vita degli adulti sia nel lavoro che nel tempo libero, si è tradotto in una modifica delle

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abitudini anche dei figli. Spesso tutti e due i genitori lavorano fino al pomeriggio o sera, i nonni svolgono un vero e proprio lavoro di supplenza e la TV fa compagnia dopo la scuola, allontanando da quelle pratiche quotidiane semplici ma essenziali per applicare il modello mediterraneo di alimentazione. Così l’errata distribuzione giornaliera del cibo, cibi pronti, snack, pasti fuori casa, monotonia della dieta, prevalenza di grassi, zuccheri, sale e cibi raffinati, scarso introito di fibra, il fast food, il junk food, il fake food hanno portato ad un forte aumento della frequenza di sovrappeso e obesità negli adulti ma anche nei bambini e negli adolescenti.

La scuola primaria costituisce un periodo strategico per avviare precocemente un’azione di informazione e applicazione di compor-tamenti utili per un sano accrescimento, in un’ottica di promozione del benessere psico-fisico a lungo termine. La famiglia è l’unità di applicazione dei principi che la scuola trasmette.

Cibo, ambiente e clima sono strettamente legati tra loro: una sempre maggiore diffusione tra le giovani generazioni di una die-ta sostenibile, in termini nutrizionali, ambientali ed economici, è indispensabile per contribuire ad un uso più efficiente delle risorse naturali oltre che a una diminuzione del costo economico e sociale provocato dalle malattie più diffuse.

Insomma… «Dimmi cosa mangi ti dirò come stai e come è l’am-biente intorno a te.

Bibliografia e Sitografia

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MINDFUL EATING:mangiare con piena consapevolezza

Doris Kessenich

Doris Kessenich è laureata con il massimo dei voti in Psicologia Sperimentale e ha pubblicato la sua ricerca nel 2011 con il titolo “Cortical areas involved in facial physical features and face identity processing: preliminary data by rTMS.”, nella ri-vista ARCHIVES ITALIENNES DE BIOLOGIE (pp. 23-24, ISSN:0003-9829 T. Marzi, F. Giovannelli, D. Kessenich, et al.). Da 5 anni svolge servizio presso un centro specializzato per i disturbi alimentari, dove conduce gruppi che mirano a dimi-nuire un comportamento alimentare disregolato e impulsivo. Nel 2014 apprende il programma MB-Eat (Mindfulness based Eating Awareness) ed è la prima in Italia ad offrire il percorso sperimentato con successo negli Stati Uniti. Attualmente inse-gna Criminologia e Psicologia dello Sviluppo presso l’Università privata Lorenzo de Medici e Psciologia Forense alla Kent State University. Svolge la libera professione presso l’Istituto di Psicologia Forense a Firenze.

Tutti i giorni dobbiamo mangiare per rifornire il nostro corpo dell’energia che ci serve per affrontare la vita quotidiana. Cosa signi-fica mangiare? Il dizionario della lingua italiana definisce la parola mangiare: «ingerire sostanze alimentari solide o semisolide a scopo di sostentamento, masticando e deglutendo […] spec. a indicare un’a-zione abituale […] consumare un pasto […] divorare» (Lo Zingarelli).

È una delle prime azioni che siamo capaci di compiere alla na-scita perché assicura la nostra sopravvivenza. Ma quando si mangia? La maggior parte delle persone a questa domanda risponde: «Quan-do ho fame». Se viene chiesto loro di dare una definizione di fame,

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vengono descritte sensazioni fisiologiche varie come «la pancia che brontola, farfallìo allo stomaco, mal di testa, irritabilità» eccetera. In verità raramente mangiamo per vera fame anche se, apprendiamo fin dalla nascita quando, cosa e come mangiare.

Quando mangiare: fame e sazietà

Il neonato nasce provvisto di un sistema di autoregolazione e, in assenza di condizioni particolari come malattia o disturbi, sa richie-dere il cibo quando ha fame e si ferma quando il suo stomaco invia i segnali di sazietà al cervello. Durante la crescita, nei primi anni di vita, il bambino mantiene intatta questa capacità (alla faccia delle nonne che insistono molto) e mangia solo la quantità necessaria per raggiungere il punto di sazietà. Verso i tre anni il bambino inizia a mangiare come gli adulti, cioè negli orari e momenti indicati.

Se tornate un attimo alla definizione di “mangiare”, a questo punto, possiamo dire che mangiare è diventata un’abitudine. L’adul-to sceglie la qualità del cibo, così come la quantità, che spesso non coincide con il punto di sazietà del bambino. La sazietà si raggiunge quando la fame è completamente soddisfatta, i segnali fisiologici si sono placati e quando si è completamente appagato ogni desiderio. In questo modo, crescendo giorno dopo giorno, il bambino impara a mangiare come gli adulti. Questo processo si completa all’incirca verso i 5 anni di età quando osserviamo che il bambino ormai fini-sce la quantità di cibo che trova nel suo piatto che non mette più in discussione.

Purtroppo nell’infanzia si tende a utilizzare il cibo anche oltre al suo valore nutritivo:

1. PREMIO: «Hai fatto un bel compito!! Allora ti sei meritato un gelato!» In questo modo il cibo serve a gratificare il bambino. Così facendo, da adulti, dopo una giornata di lavoro partico-larmente stressante, si avrà la percezione di “meritarsi” un pre-mio, ovvero un cibo prelibato. Con l’attuale disponibilità di

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cibo nei nostri supermercati si intuisce che facilmente questo ragionamento ci serve da scusa per poter mangiare spesso anche in assenza di fame.

2. CONSOLAZIONE: un bambino cade e si ferisce il ginocchio, piange e la madre gli porge una caramella. «Così ti passa il dolore!». Questo uso placebo del cibo induce la convinzione che se provia-mo dolore nella vita, possiamo riuscire ad attenuarlo con il cibo; per questo si vedono nei film ragazze deluse in amore davanti ad un gigantesco vassoio di gelato che serve a ridurre la sofferenza. Questo è devastante se ci troviamo in una fase della vita parti-colarmente difficile: storie d’amore finite, lutti in genere, perdita del lavoro ecc. saranno accompagnate da cibo “consolatorio”.

3. PUNIZIONE: Si utilizza il cibo per punire un bambino. «Fini-sci gli spinaci se no non puoi giocare con gli amici!» In questo modo si creano i cibi che nel futuro del bambino saranno meno graditi, non per motivi di sapore o gusto, ma per l’associazione che si crea tra punizione e cibo. Spesso gli adulti hanno dei cibi che gradiscono poco anche se non sanno spiegare il perché.

4. COLPA: «Finisci quello che hai nel piatto i bambini in Africa muoiono di fame»… Il cibo preparato non potrebbe di certo arrivare alle popolazioni che ne hanno bisogno, e non possiamo dare la responsabilità per la fame nel mondo ad un bambino dicendogli che, per assurdo, questa potrebbe essere combattuta se questo mangia oltre il punto di sazietà. Questo crea la diffi-coltà di lasciare piccole quantità di cibo nel piatto e da adulto costrizione a finire tutto.

Il bambino, raggiunti i 5 anni, segue ormai l’orario tra fame e sazietà degli adulti: mangia in base alla tradizione e agli impegni lavorativi, in orari stabiliti che sono seguiti non solo dalla famiglia ma sono condivisi in genere da tutta la società.

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Cosa si mangia?

Il bambino, fin dalla nascita, sviluppa il suo personale gusto per il cibo: più varia sarà la dieta, più gusti tenderà ad assaporare da adulto.

Ricerche americane mostrano che già durante i mesi di gesta-zione, il bambino sviluppa una preferenza verso i cibi che la madre consuma con più frequenza. Le preferenze per alcuni cibi e alcuni sapori si sviluppano poi nell’ambito familiare e, in parte minore, nella mensa scolastica.

Nelle famiglie abbiamo in genere un “portiere del cibo”, ovvero una persona che si occupa di fare la spesa e di preparare i pasti della famiglia. Nella stragrande maggioranza delle famiglie italiane questo ruolo spetta alla madre che decide in modo autonomo il cibo per la tavola e il cibo disponibile in casa. Il gusto personale di ciascuno di noi rispecchia la tradizione locale; nostra madre ci trasmette con la preparazione dei menù tipici, il gusto del proprio territorio. Lei stessa spesso si troverà a cucinare a sua volta ricette apprese da sua madre che così si tramandano di generazione in generazione. Il bambino apprende in questo modo il gusto tipico della sua tradizione, così, ad esempio, un bambino italiano e un bambino indiano avranno gusti e preferenze molto diversi tra loro. Specialmente in una cucina ricca di tradizione come quella italiana, famosa in tutto il mondo per la sua qualità e varietà, troviamo nei bambini una grande pre-ferenza per i piatti tipici locali che sono proposti più facilmente in famiglia e alla mensa.

Un importante componente che contribuisce allo sviluppo del gusto nei bambini è l’osservazione delle espressioni che gli adulti mostrano mentre mangiano. Se abbiamo un volto propositivo e ac-cogliente, il bambino, specialmente se molto piccolo (intorno ai 4 mesi di età), assaggerà un cibo nuovo per curiosità. Molti studi di-mostrano che se il bambino può assaggiare all’età di ca. 1 anno (fase in cui esplora tutto con la bocca) gusti atipici per la sua età, come l’amaro (ad esempio il carciofo) oppure aspro (il limone), avrà un repertorio di gusto più ampio da adulto.

Un altro punto interessante è la preferenza per alcune consistenze,

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che si sviluppa sempre nei primi anni di vita. Nel passaggio dal latte materno al cibo solido, il bambino mangia, per un periodo di alcuni mesi, soltanto cibo di una consistenza cremosa. Quando compaiono i primi denti, si passa ad un cibo solido, per gradi, in modo da abi-tuare l’uso della masticazione. Sia gli adulti che i bambini sviluppano preferenze particolari per le consistenze come cremoso, croccante, pastoso, ecc.

Come si mangia: abitudini alimentari nei bambini

Il modo di mangiare dipende da molti fattori, come il luogo in cui si mangia, il cibo e le persone con cui mangiamo. In genere si insegna al bambino che deve stare seduto a tavola finché non hanno finito tutti, si pretende il corretto uso delle posate, si vieta la masticazione a bocca aperta, eccetera. Questo elenco del gala-teo della buona tavola potrebbe essere infinito, ma nelle famiglie osserviamo spesso un’altra difficoltà. Quando il bambino inizia a mangiare cibi solidi deve essere imboccato, perciò mangia in ora-ri diversi da quelli degli adulti. Quando riesce a mangiare da solo inizia a dividere i pasti con il resto della famiglia, con tutte le con-seguenze del caso. Il bambino, infatti, non si limita a mangiare ma vuole attenzione da parte degli adulti, perciò spesso interferisce con la conversazione dei grandi. I genitori si ingegnano a creare un diversivo: si porta un giocattolo a tavola, si tiene la televisione accesa su un cartone di gradimento del bambino; e chi non hai mai sentito la frase «stai zitto un attimo che adesso parlano i grandi»? La situazione contribuisce a far passare al bambino il messaggio che si fa sempre più di una cosa nel momento del pasto. In genere smettiamo di mangiare quando si raggiunge la sazietà, dopo ca. 40 minuti dall’inizio di un pasto. Spesso, sia in famiglia sia alla mensa, questo tempo di 40-45 minuti non è rispettato. Alcuni bambini tendono a divorare il cibo, mangiandone una maggiore quantità di quella che serve a saziarsi. Inoltre abbiamo detto sopra

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che il bambino durante la crescita si abitua a mangiare le quanti-tà proposte dall’adulto. Il nostro stomaco può essere immaginato come un sacchetto di plastica che modifica la sua capienza in base al contenuto. Se ogni giorno riempio il “sacchetto” fino a costrin-gere la plastica ad allargarsi, sarà capace di contenere sempre più cose. Il nostro stomaco funziona alla stessa maniera: più quantità introduco, più il suo volume aumenta e la quantità per raggiungere la sazietà deve essere maggiore. Questo crea un circolo vizioso che induce a mangiare sempre di più.

Per quanto riguarda la quantità da finire nel piatto, anche le me-rendine confezionate meritano una citazione. Inducono in primis gli adulti, ma anche i bambini, a considerare che la confezione monodose “imposta” dall’azienda produttrice sia la quantità corretta per un bambino. Questo contribuisce a creare la percezione che sia giusto finire tutto il cibo contenuto in una confezione “regolare”. Prendia-mo ad esempio le patatine: possono essere confezionate in pacchetti da 40 gr. oppure da 150 gr., il bambino non coglie la differenza di quantità ma percepisce che si debba finire perché la misura della porzione è data dalla confezione.

Fin qui lo sviluppo del comportamento alimentare sembra molto simile a molti altri apprendimenti che facciamo nella nostra vita. Purtroppo sempre più spesso i bambini di oggi sono in condizione di obesità già in tenera età. Per promuovere un sano rapporto con il cibo e per mantenere più a lungo possibile l’innata capacità dei bambini di autoregolare il consumo di cibo, viene utilizzata la tecnica del Mindful Eating, già sperimentata con successo negli Stati Uniti, in ricerche sia su adulti che su bambini ed adolescenti.

Mindful Eating: Mangiare con consapevolezza

Per comprendere a fondo il Mindful Eating bisogna introdurre il concetto di Mindfulness. Mindfulness significa «porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, al momento presente e in modo non giudicante» (John Kabath-Zinn, 1994).

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La tecnica fu introdotta negli anni 70 dal dott. John Kabath-Zinn per la cura di malati con dolore cronico che non trovavano più gio-vamento in altro modo, e si rivelò talmente utile per alleviare la sof-ferenza dei suoi pazienti che fondò una clinica (The Stress Reduction Clinic) specializzata nell’applicazione della Mindfulness che dal 1995 è affiliata alla Scuola di medicina dell’Università del Massachusettes. Questo ha generato un immenso filone di ricerca sui vari ambiti in cui si utilizza la Mindfulness; non soltanto per ridurre il livello di dolore percepito, ma anche per ridurre lo stress, migliorare le ca-pacità di memoria, e riconoscere quali sono i pensieri che posso-no interferire con il nostro benessere quotidiano. In particolare la Mindfulness coltiva:

1. Il non giudizio: durante la quotidianità il giudizio si presenta in continuazione. La tecnica serve ad osservare con qualche pen-siero si esprime e come lasciare andare questo pensiero senza restare legati al giudizio.

2. La pazienza: essere aperti all’esperienza momento per momento così come è.

3. La mente del neonato: si impara a guardare le cose come se le vedessimo per la prima volta. (Nessun momento è uguale a quello precedente).

4. La fiducia: sviluppare fiducia nelle nostre sensazioni.

5. Non cercare il risultato: la Mindfulness non richiede nessuna at-tività, conoscenza, capacità particolari, soltanto essere presenti a noi stessi (non serve a rilassarsi).

6. Accettazione: si impara a convivere con le situazioni che si pre-sentano, siano piacevoli o meno, a vederle come sono, senza interferenze di idee o pensieri giudicanti. (Vedi punto 1).

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7. Lasciare andare: non attaccarsi alle proprie idee. (Non sono i miei pensieri).

Il Mindful Eating affina, attraverso esercizi mirati, la nostra ca-pacità di mangiare in maniera consapevole, perciò il nostro cervello registra quanto stiamo mangiando, quale gusto percepiamo e ci ac-corgiamo anche quando abbiamo raggiunto il punto di sazietà. In parole povere la tecnica ci aiuta a mangiare la quantità giusta che serve a saziarsi senza andare oltre.

Questa è la chiave per un comportamento alimentare equilibrato, ma aiuta inoltre a sviluppare uno stile di vita meno “frenetico” di quello che subiscono oggi in nostri bambini. Il loro stile di vita con lo sviluppo delle moderne tecnologie è cambiato drasticamente. Una volta passavano ore in cortile a giocare a calcio con altri bambini, mentre oggi trascorrono la maggior parte del loro tempo libero a giocare con i mezzi moderni di intrattenimento (play station, wii, Xbox, applicazioni su tablet o smart phone). Le statistiche dimostra-no che non solo l’obesità infantile è in continuo aumento ma anche disturbi quale deficit di attenzione, iperattività, disturbi specifici di apprendimento, ecc.

La pratica si basa sull’applicazione al cibo dei cinque sensi, mira ad eliminare il giudizio sul cibo che abbiamo di fronte (“cattivo/buo-no”, ecc.), ad osservare i pensieri che ci possono passare per la mente, rimanendo completamente ancorati al momento presente.

Un programma di Mindfulness per bambini ed adolescenti è stato sviluppato dalla Dott.ssa Amy Saltzman che da più di 5 anni conduce una ricerca sulla Mindfulness alla Stanford University. Il programma si chiama “a still and quiet place” (un luogo tranquillo silenzioso). Si fa a scuola, in un percorso che dura otto settimane e che prevede sia esercizi in sede ma anche a casa. I genitori si riunisco-no prima con lo psicologo in modo da essere informati sulla pratica della Mindfulness e in modo da poter consentire la partecipazione dei propri figli. I genitori sono parte integrante del programma in quanto stimolano i bambini ad applicare la tecnica anche a casa, al fine di mangiare più consapevolmente. Gli obiettivi del programma

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sono: la riduzione dello stress, l’aumento della consapevolezza di sé e delle reazioni emotive, la costruzione di uno stile di vita sano e positivo, la riduzione dell’impulsività e dell’ansia, l’apprendimento a rispondere ad eventi disturbanti (emozionanti) anziché reagire. Gli incontri a scuola sono di 45 minuti e ne sono previsti due nella prima settimana, ed uno per ogni settimana successiva. Il gruppo di bambini può variare da 8 a 30; in base al numero dei bambini servono 2 conduttori per il gruppo. Gli esercizi appresi possono es-sere replicati facilmente a casa e i bambini imparano ad applicarli anche in contesti diversi.

Conclusione

L’Italia è il paese che vanta la cucina più pregiata al mondo, ricca di tradizioni locali, con Chef di fama mondiale che dispongono di ingredienti di prima qualità. È anche il paese europeo con il più alto numero di trasmissioni televisive sul cibo ma si dimentica di nutrire le proprie generazioni future in modo che queste apprezzino fino in fondo la cucina mediterranea. L’educazione al gusto è la migliore prevenzio-ne dell’obesità infantile e si realizza con la tecnica di Mindful Eating.

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“La sala Gnam Gnam”1

Monica Rossi, Vittoria Senes

Monica Rossi è architetto e interior designer. Dopo il diploma di scuola media superiore presso l’Istituto Magistrale di Montepul-ciano (SI) si laurea nel 1995 all’Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Architettura, presso il Dipartimento di Processi e Metodi della Produzione Edilizia, corso di Architettura Spaziale, con una Tesi di progettazione in ambienti estremi. Dal 1996 al 1999 svol-ge l’attività di ricerca presso la Facoltà di Architettura di Firenze sviluppando per IACSA/ENEA il Progetto B.A.I.A. Terra Nova, Base Mobile per i ricercatori italiani in Antartide.Dal 2000 svolge l’attività di libera professione come socio di ToscanaProject - Società di project e construction management - e come titolare dello Studio Associato di Architettura Archidomus, occupandosi di progettazione architettonica e d’interni, gestione del progetto e direzione delle opere nel settore residenziale ed edi-lizia specialistica. Dal 2013 collabora con Elea Onlus occupan-dosi dell’architettura degli spazi delle scuole primarie per attività ludico-didattiche di educazione alimentare.Vittoria Senes è architetto, vive e lavora a Firenze.

«Tutto è paesaggio……e ogni paesaggio è una forma di civilizzazione, un’unione di

naturale e di culturale, nello stesso tempo volontario e spontaneo, ordinato e caotico, caldo e freddo, sapiente e banale. Come tutte le nostre azioni: le più controllate nascondono una parte di ombra, le più inconsce una parte di razionalità e di efficacia. L’equilibrio è la ci-vilizzazione: fra la selvatichezza e il militarismo, e un po’ di entrambi»2.

1 Uno dei nuovi nomi da dare alla sala mensa escogitato dagli studenti della secon-da classe della scuola secondaria di primo grado, Scuola per L’Europa 2 di Parma, che guidati dalla professoressa Francesca Mandella hanno condotto una ricerca sulla mensa (senza data), disponibile su crescereinarmonia.it/pdfscuole/Scuola_Europa2.pdf.

2 Lucien. Kroll, Tutto è paesaggio, Torino 1999, p. 5.

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Ogni luogo influenza il nostro essere e agire nel mondo, le relazioni con gli altri, il continuo sperimentare e mutare, e a nostra volta agiamo modificando i luoghi, paesaggi culturali.

Molto importanti per una equilibrata formazione sono i primi anni di vita, quando, oltre alla cura e agli affetti, anche l’ambiente che ci circonda – “naturale” o costruito – ci condiziona e suggestio-na, ci stimola o ci inibisce, accompagnandoci nella crescita.

Luogo per eccellenza deputato alla formazione dell’individuo, spazio educativo e di particolare rilievo, per la sua complessità e influenza, è quello della scuola dell’infanzia e primaria. Il ruolo fondamentale rive-stito dallo spazio architettonico nel processo educativo, specialmente in questa fascia d’età, è stato ampliamente riconosciuto ed è tema di continui approfondimenti – pubblicazioni, convegni e dialoghi in rete – da parte non solo delle istituzioni, di singoli pedagogisti, insegnan-ti e genitori sensibili, ma anche di alcune associazioni che da diversi anni portano avanti un acceso dibattito per analizzare lo stretto lega-me e la reciproca interazione tra architettura e pedagogia, e avanzano concrete proposte innovative. È spesso citata la dichiarazione di Loris Malaguzzi3, pedagogista italiano, che assegnò allo spazio il ruolo di “terzo insegnante”4, recepito come complessa identità , “metafora della conoscenza”5, in grado di confrontarsi attivamente con le persone e di trasformarsi col variare delle loro esigenze.

Ma come dovrebbe essere predisposto lo spazio dedicato all’ap-prendimento, non solo cognitivo ma anche affettivo e sociale? Quali dovrebbero essere le sue peculiari qualità che trascendano gli speci-

3 Loris Malaguzzi (Correggio 1920 - Reggio Emilia 1994), pedagogista e psicologo per l’infanzia di fama internazionale. Sulla sua innovativa filosofia pedagogica e vasta attività si veda la biografia di Alfredo Holyuelos Planillo, Loris Malaguzzi. Bio-grafia pedagogica, Junior, Bergamo 2004.

4 Elena Mosa, Quando la classe è digitale. Lo spazio diventa il terzo insegnante. http://www.indire.it/content/index.php?action=read&id=1794.

5 Paola Cavazzoni, Un ambiente per l’infanzia, intervento al seminario Spazi per crescere. Dialoghi fra pedagogia e architettura, Polo per l’Infanzia Lama Sud, Ravenna 30 gennaio 2009. www.istruzioneinfanzia.ra.it/content/download/.../seminario%20spazi.pdf.

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fici indirizzi delle diverse scuole pedagogiche? In comune alle tante riflessioni sull’argomento, si possono evidenziare alcune caratteri-stiche fondamentali per definire uno spazio accogliente che sia in grado di prendersi cura delle necessità del bambino, favorendone il bisogno di «esplorazione spaziale-cognitiva-emotiva»6. Si auspica un ambiente che superi l’idea consolidata e la realtà di molti degli spazi dedicati all’apprendimento, spesso rigidamente bloccati, un luogo bello e curato da abitare con entusiasmo, un luogo di relazioni dove sia possibile non solo apprendere ma anche giocare, esprimersi, osservare, riposare, mangiare, uno spazio facilmente modificabile, quindi uno «spazio in evoluzione, flessibile nel tempo e trasforma-bile in relazione ai processi di apprendimento e auto-apprendimento di bambini e adulti, uno spazio co-evolutivo […]. Una scuola che dà forme architettoniche diversificate ai diversi contesti: luoghi per piccoli e grandi gruppi, luoghi di esplorazione e di apprendimento che ibridino linguaggi, luoghi di incontro, di scambio, “ponti” tra i diversi spazi dedicati a bambini, ragazzi e adulti»7.

Purtroppo nella maggior parte delle scuole primarie, su cui stia-mo focalizzando la nostra attenzione, le scelte che hanno generato lo spazio di apprendimento sono frutto soprattutto di una concezio-ne che obbedisce, pedissequamente e con poca sensibilità, a valori quantitativi e di economia, dettando indici minimi di funzionalità didattica, edilizia ed urbanistica, che hanno finito per produrre edifici scolastici di scarsa qualità architettonica, con spazi non a misura di bambino, spesso incapaci di donare emozioni e instaurare relazio-ni: anonimi, dalla flessibilità inesistente e di difficile e dispendiosa trasformazione per andare incontro alle mutate esigenze e ai nuovi strumenti didattici.

L’approccio progettuale che si vorrebbe invece proporre accoglie

6 Franca Baravelli, Abitare a occhi aperti, intervento al seminario Spazi per crescere. Dialoghi fra pedagogia e architettura, Polo per l’Infanzia Lama Sud, Ravenna 30 gennaio 2009. www.istruzioneinfanzia.ra.it/content/download/.../seminario%20spazi.pdf

7 Progettare spazi per l’apprendimento. La scuola come fulcro sinergico tra peda-gogia, architettura ed etica. http://reggiochildrenfoundation.org/?page_id=2019.

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riflessioni più ampie, dedicando un particolare impegno alla realizzazione di tali luoghi che «si traduce anche in cura del senso estetico che contribuisce a rendere piacevole lo stare a scuola e a fare di uno spazio asettico un luogo vissuto, trasformando quel che è omogeneo e standardizzato in personale e irriproducibile altrove»8; luoghi che generino nei fruitori un forte senso di appartenenza e il desiderio di partecipare alla loro trasformazione lasciando un proprio segno. Sono rare le occasioni di mettere in atto nella progettazio-ne ex novo di edifici scolastici la «conoscenza limpida»9 assimilata, è invece sempre più frequente e urgente intervenire sul patrimonio esistente – tenendo presenti tutti i limiti imposti dalla realtà eco-nomica, politica, legislativa e sociale – per rinnovarlo a misura delle mutate esigenze.

Un tentativo di superare i limiti delle precedenti normative sull’edilizia scolastica è contenuto – anche se da sviluppare con maggiore attenzione – nelle ultime Linee Guida redatte nel 2013 dal M.I.U.R.10 in collaborazione con Indire11, che sono sintesi di uno studio sull’argomento iniziato con un’esplorazione del panora-ma internazionale, presentato nell’ambito del convegno nazionale

8 Elena Mosa, Quando la classe è digitale. Lo spazio diventa il terzo insegnante. http://www.indire.it/content/index.php?action=read&id=1794.

9 Umberto Eco, Hdward T. Hall e la prossemica, introduzione a Hdward T. Hall, La dimensione nascosta, Bompiani, Milano 1988, p. IX: “L’illusione illuminista che la conoscenza limpida di alcuni fatti possa mutare da sola le sorti del mondo, non tiene conto della globalità di determinazioni in cui la conoscenza teorica acquisita s’inserisce (e talvolta annega)”.

10 M.I.U.R. (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), Norme tecniche-quadro, contenenti gli indici minimi e massimi di funzionalità urbanistica, edilizia, anche con riferimento alle tecnologie in materia di efficienza e risparmio energetico e produzione da fonti energetiche rinnovabili, e didattica indispensabili a garantire indirizzi progettuali di riferimento adeguati e omogenei sul territorio na-zionale. Linee Guida, CSR dell’11 aprile 2013.

11 Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa) è il più vecchio ente di ricerca del Ministero dell’Istruzione italiano, fondato nel 1925, con sede a Firenze. Tra le molte attività di ricerca in ambito educativo si segnala l’at-tenzione rivolta alla riqualificazione degli spazi educativi.

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Quando lo spazio insegna12, tenutosi a Roma, il 16 maggio 2012. Si è allora intrapresa una ricerca di proposte valide per realizzare una rigenerazione concreta del patrimonio scolastico, per renderlo più adatto alle esigenze didattiche e organizzative di una scuola ricono-sciuta in continuo mutamento, tenendo conto anche dei nuovi stru-menti tecnologici e dei maggiori bisogni di sicurezza. Diversamente dal Decreto ministeriale del 197513, però tuttora in vigore, le linee guida non propongono aggiornati indici minimi di superficie per alunno né nuovi standard qualitativi, ma forniscono solo un indi-rizzo prestazionale, che potrebbe consentire una maggiore libertà progettuale nel configurare spazi interni ed esterni completamente nuovi, in sintonia, si ripete, con le diverse esigenze di una scuola in continua mutazione.

Nell’ottica di una formazione globale e di una scuola intesa come luogo relazionale, affettivo e della cura di sé e dell’ambiente in cui si vive, il momento in cui si consumano i pasti riveste un ruolo im-portante nel percorso didattico educativo, andando oltre la funzione prettamente nutrizionale: dalla corretta alimentazione alla intercultura del cibo e alla formazione del gusto; dal suo approvvigionamento, legato alla caratteristiche del territorio e alla stagionalità, alla prepa-razione, sperimentazione e presentazione col coinvolgimento delle famiglie nella scuola attraverso appositi laboratori; dal recupero del cibo non consumato alla sostenibilità ambientale.

Nelle Linee guida del M.I.U.R. sopracitate si osserva però la scarsa attenzione e la marginalità con cui si illustrano i luoghi in cui

12 Convegno nazionale Quando lo spazio insegna, Roma 16 maggio 2012. Per le “Nuove architetture per la Scuola del nuovo millennio” i ricercatori di Indire hanno «analizzato 3 casi di eccellenza di scuole europee – Danimarca, Olanda e Svezia – innovative per quanto attiene alle ‘architetture’ degli spazi interni ed esterni, che favoriscono l’introduzione di nuovi modelli di organizzazione della didattica e degli apprendimenti […]».

13 D.M. 18/12/1975, Norme tecniche aggiornate relative all’edilizia scolastica, ivi compresi gli indici minimi di funzionalità didattica, edilizia ed urbanistica, da os-servarsi nella esecuzione di opere di edilizia scolastica. Pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 2/2/1976.

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si consumano i pasti, trattati insieme alla cucina, dove a proposito è scritto soltanto:

«Nella scuola dell’infanzia e nelle piccole scuole la zona dedicata al pranzo può coincidere con la Piazza14, ma anche nelle scuole di maggiore dimensione sarà opportuno utilizzare parte dell’Agorà15 per il periodo del pranzo, predisponendo un sistema d’arredi di facile pulizia e accatastamento, pavimenti di agevole pulizia, avendo cura di dimensionare gli ambienti per un uso a rotazione, con diversi turni, per risparmiare spazio prezioso. In tutte le scuole deve essere previsto uno spazio per il pranzo degli insegnanti e del personale non docente, un ambiente riservato ma visivamente in contatto con gli spazi comuni, che può essere utilizzato in altri momenti per riunioni del personale o altre attività didattiche. Come per altre parti della scuola che prevedono presenze numerose, deve essere particolarmente curato il comfort acustico, contenendo il tempo di riverberazione sotto il valore di secondi 1,2. La zona pranzo potrà essere vicina a portici o giardini d’inverno per pranzare gradevol-mente all’aperto nelle belle stagioni16.

14 Linee guida M.I.U.R., p.7, cap. III.4.1: «La Piazza ospita le funzioni pubbliche della scuola, è il luogo delle riunioni e delle feste della comunità scolastica, rappresenta il suo elemento simbolico più importante ed è anche il principale punto di riferimento per la distribuzione dell’intero edificio. Soprattutto nella scuola dell’infanzia la Piazza può diventare luogo di incontri informali, accogliere spazi per la motricità, contenere zone gioco, zone pranzo […]. Con l’incremento dimensionale dell’edificio scolastico, quando le funzioni diventano più complesse, la Piazza diventa Agorà».

15 Linee guida M.I.U.R., p.7, cap. III.4.2: «[L’Agorà] È il cuore funzionale e sim-bolico della scuola, è il centro di distribuzione dei percorsi orizzontali e verticali ed è connessa a tutte le attività pubbliche con le quali può all’occasione integrarsi e so-vrapporsi. In funzione della dimensione della scuola, l’Agorà ospiterà le riunioni col-lettive, le feste, ma potrà essere in tutto o in parte collegata con le zone per il pranzo e potrà essere connessa con aree per le attività motorie, soprattutto con quelle non destinate alle attività sportive molto specializzate […]. Oltre una certa dimensione di edificio scolastico, indicativamente 250 alunni, l’Agorà potrà essere associata a uno spazio, con un palco leggermente rialzato, facilmente separabile e dotato di alcune attrezzature per rappresentazioni […]».

16 Linee guida M.I.U.R., p.8, cap. III.5. Il corsivo è nostro.

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Queste indicazioni ci sembrano troppo vaghe e generiche, poco sensibili alle reali esigenze richieste da una funzione che, ribadiamo, non è meramente legata alla consumazione di un pasto ma è rivestita di un ruolo più complesso, che include la socialità, la convivialità e l’educazione ad una sana e corretta alimentazione, come tra l’altro è più spesso affermato nelle Linee guida – nazionale e regionali – sulla ristorazione scolastica.

Seduti a tavola si consuma un pasto ed è occasione per imparare a “mangiare bene”, con consapevolezza e comportamenti consoni – non strillando, non mangiando a bocca aperta, non alzandosi in continuazione… –, stimolando scambi di esperienze e opinioni sul cibo, creando un’occasione informale, forse più stimolante, per ri-flettere su cosa si sta mangiando, con quali sensi si assapora il cibo, con quante porzioni ci si sazia…

Inoltre, il pasto consumato a scuola, sostituendo quello che per tradizione era il principale momento di intimo ritrovo della fami-glia, dovrebbe anche riproporre lo spirito di una convivialità più raccolta, consentendo di condividere con gli altri il cibo ed il tempo del pranzo e favorendo una socializzazione meno chiassosa, in un tempo più dilatato.

Un “ambiente confortevole” che stimoli le relazioni, unito ad una adeguata qualità del cibo, deve essere curato in modo da permettere di vivere il pasto come un momento gradevole della giornata.

C’è quindi la necessità di interpretare in modo nuovo i luoghi dedicati a tale funzione, lasciandoci alle spalle il ruolo subordinato in cui troppo spesso sono ancora confinati – ricavati spesso in spazi impropri e privi di cura – e dando invece voce al sentire degli stessi bambini, che li “raccontano” non solo a parole e con disegni, ma coi loro comportamenti e gestualità.

Grazie alla sensibilità e collaborazione di insegnanti, pedagogisti, psicologi, architetti, genitori e alunni, sono stati promossi laboratori di riflessione sul tema dei “tempi e spazi della scuola”, dedicando molti di questi alla mensa e all’alimentazione.

Leggere e vedere gli elaborati prodotti dai bambini, oltre a dare conferma a molte idee già espresse, stimola e arricchisce l’ampio

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ventaglio di proposte per rendere migliore e più vicino alle sentite esigenze dei bambini un progetto partecipato per un’ideale mensa scolastica. Alcuni bambini propongono addirittura di cambiare il nome a questo luogo per dargli una nuova identità più consona ai loro desideri, e in modo giocoso vorrebbero chiamarlo «pranzeria, sala gnam gnam, pranzopoli»17.

Tutti i contributi sono stimolanti per la loro commovente spon-taneità e capacità di osservazione e per esprimere, a volte contrad-dittoriamente e con poetica visionarietà, i loro desideri.

«La mensa della nostra scuola non è il massimo, come al soli-to, però bisogna accontentarsi di ciò che si ha. Se fossi un archi-tetto-arredatore di interni, inizierei a ristrutturare proprio dalla mensa e la renderei favolosa. Per prima cosa ridipingerei le pareti con uno sfondo rappresentante una spiaggia incantata per l’estate, un paesaggio di un bosco con le foglie rosse, marroni, gialle ecc. per l’autunno, una vista di montagne innevate per l’inverno, un gran prato fiorito per la primavera. In questo modo si potrebbe “viaggiare” restando sempre a scuola ma soprattutto rispettando le stagioni. Inoltre grazie ai dipinti sulle pareti potresti sapere sempre in che stagione sei. […]

La disposizione dei tavoli dovrebbe essere più larga in modo da permettere ad ogni persona di avere un suo spazio vitale. I tavoli dovrebbero essere rotondi e con il “marchio” della scuola in basso-rilievo, anche le sedie dovrebbero essere trasparenti ma soprattutto comode. Le tovaglie dovrebbero essere in tinta con il paesaggio sulle pareti. Come servizio non mi dispiacerebbe il buffet per il contor-no e il dolce; per il resto sarebbe bello il servizio al tavolo, senza il carrello del cibo ma con i camerieri come al ristorante. La tovaglia dovrebbe essere colorata di colori simili a quelli dei tavoli. Il tavolo dovrebbe essere circolare a mezzaluna. Il tavolo del buffet dovrebbe essere abbastanza grande da contenere tutte le cose che ci piacciono di più ma abbastanza solido da sostenere un’orda di barbari, noi!!!,

17 Cfr. nota 1.

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e il servizio al tavolo dovrebbe comprendere alcune alternative al menù, in modo da soddisfare gli eterni insoddisfatti come me. […]

Per quello che riguarda il menù bisognerebbe coinvolgere anche gli alunni nella stesura. Tutti gli alunni dovrebbero partecipare ad un sondaggio che, una volta terminato, sarebbe analizzato da una nutrizionista per preparare poi il menù. Una volta la settimana si potrebbe scegliere l’alternativa panino-pizza in modo da riuscire a soddisfare pienamente tutti. Come musica di sottofondo si potreb-be proporre la musica classica o quella moderna secondo il piatto servito quel giorno: per un piatto tradizionale musica classica, per un panino o un piatto più originale musica moderna. Credo pro-prio che l’idea della musica piacerà a tutti […].

Una soluzione per risparmiare energia sarebbe sostituire la pa-rete che guarda sul giardino dei bambini piccoli con una parete interamente di vetro. In questo modo, nelle giornate di sole, si potrebbero spegnere le luci elettriche e illuminare la mensa con la luce del sole. Le lampade della mensa di sicuro sarebbero moderne in modo da rallegrare l’ambiente.

La mensa, così cambiata, potrebbe diventare un punto di ri-trovo e di relax senza lamentele per il cibo e senza stress. Questo progetto potrebbe rivelarsi costoso e dubito che la scuola lo pren-derà seriamente. Quello che chiedo è di seguire solo alcuni dei miei consigli. […]

Anna M.»18

Tenendo ben presente che ogni “paesaggio”, ogni luogo ha una propria identità, genius loci, con cui relazionarsi, riteniamo ci siano qualità spaziali e prestazionali comuni e imprescindibili da porre alla base di scelte progettuali per realizzare una mensa “favolosa”, dando anche forma a dualità apparentemente contraddittorie.

Immaginiamo la nostra mensa come uno spazio ampio, di forma anche irregolare, movimentata e avvolgente, capace di offrire parti più raccolte per riunirsi in piccoli gruppi. Un’atmosfera intima e

18 Anna M. in crescereinarmonia.it/pdfscuole/Scuola_Europa2.pdf.

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rilassata si crea pure attraverso una equilibrata progettazione della luce naturale (la forma, la dimensione e posizione, a parete o a sof-fitto, delle “aperture” sono scelte progettuali legate alla configura-zione dell’intero edificio e al suo intorno), regolabile e modellabile per creare disegni di luce e ombra, accompagnata quando necessario da luci artificiali calde e puntuali.

La reale possibilità di espandere lo spazio verso un luogo aperto come un giardino curato per creare una bella vista – soprattutto se manca un bel paesaggio da contemplare – contribuisce non solo a dilatare l’ambiente, consentendo di mangiare all’aperto nella bella stagione e a ridurre l’opprimente sensazione di stare in un ambiente confinato, ma anche a percepire lo scorrere del tempo giornaliero e delle diverse stagioni. Parte dello spazio aperto potrebbe fornire la possibilità di coinvolgere gli studenti in esperimenti di orticoltura per una più ampia educazione alimentare e – inserendo una zona per il compostaggio formato dagli scarti di cucina e del cibo non consumato – anche ambientale.

Un accorto ed efficace controllo della trasmissione dei suoni è fon-damentale, fin dalla progettazione dei volumi e del tipo di materiale fonoassorbente e alla sua disposizione, per evitare gli effetti negativi della rumorosità che si ripercuotono anche, a più lungo termine, sulle capacità di concentrazione e apprendimento dei bambini. Alcuni sug-geriscono che mangiare accompagnati da una musica di sottofondo renda l’atmosfera più rilassante e i commensali più concentrati e meno rumorosi, altri invece non ne riconoscono grandi benefici.

Grande rilevanza riveste la scelta dei materiali di finitura – per pavimenti, pareti e soffitti – che dovrebbero essere, oltre che sicuri e di facile pulizia, “attivi” nel caratterizzare l’ambiente, senza prevarica-re gli interventi per personalizzarlo da parte dei bambini. A volte si tende a credere che l’utilizzo di tanti colori vivaci su ogni superficie, a soddisfare i desideri ludici dei bambini, sia la soluzione migliore, ma si deve porre attenzione nell’utilizzarli con sapiente equilibrio, tentando di lasciare sempre un margine di incompletezza che favori-sca l’intervento dei piccoli utenti, affinché sentano questo ambiente come proprio, rassicurante e a loro misura. Infatti, pur riconoscendo

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la grande importanza dei colori nel connotare uno spazio, è altret-tanto fondamentale per l’educazione estetica dei bambini, lasciare a loro, accompagnati da una guida sensibile e capace, la scelta di pro-gettarlo; ciò in linea con le ultime tendenze che non attribuiscono alle finiture e agli arredi iper-colorati un ruolo “da protagonista”, ma suggeriscono uno spazio più neutro, non totalmente definito e definitivo, in modo tale da affidare ai bambini la possibilità di inte-ragire creativamente con il progettista.

Gli arredi principali della mensa – tavoli e sedute – dovrebbero essere non solo ergonomici, durevoli, sicuri, colorati, ma anche di in-gombro minimo e leggeri e di forma e dimensioni tali da consentire disposizioni varie e flessibili, a seconda delle occasioni di convivialità ordinaria o per eventi speciali come una festa, tali da poter accomodare anche piccoli gruppi di commensali. Affiancando ai tavoli quadrati, o rettangolari, altri di forma poligonale, modulari e aggregabili, si pos-sono ottenere configurazioni diverse, non lineari e ripetitive.

Da tenere in considerazione, anche se non rientra strettamente nella fase di progettazione di uno spazio mensa, è l’apparecchiatura della tavola, dalla tovaglia o tovaglietta, che può essere personalizzata e realizzata dagli stessi bambini, a tutti gli oggetti necessari per l’appa-recchiatura, dai piatti ai bicchieri e alle posate, ma anche ai tanti pic-coli accessori che rendono la tavola “imbandita”, più curata, come ad esempio un cesto di frutta fresca di stagione o un vasetto con dei fiori.

Tra i tanti altri requisiti da soddisfare, regolati dalle normative, oltre a quelli relativi alla sicurezza ed al risparmio energetico generalmente più controllati e ai quali siamo stati sensibilizzati, ci sembra importante perseguire con efficacia anche i requisiti di benessere igrotermico, di ricambio dell’aria e olfattivo. Quest’ultimo spesso sottovalutato, ma percepito dai piccoli frequentatori tanto che in uno dei molti laboratori sul tema alcuni studenti hanno voluto, con divertita ironia, imprigio-nare «simbolicamente, in delle bottigliette con la propria etichetta, la puzza o gli odori che talvolta saturano gli spazi della mensa”19.

19 http://www.tempiespazi.it/spazi/10_luglio/htm/12.htm. Mense scolastiche fra tempi e spazi.

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In conclusione, riaffermiamo che una progettazione della men-sa scolastica attenta e sensibile alle esigenze dei bambini, più per-sonalizzata e accorta all’estetica, in contrapposizione a tanti spazi anonimi o addirittura squallidi, ha una forte valenza educativa nel trasmettere valori essenziali quali la cura del luogo in cui si vive in relazione con gli altri, la cultura della bellezza e nello specifico caso stimolare la consapevolezza del nutrire il corpo insieme allo spirito: un pasto appropriato in un luogo adeguato.

«La mensa della nostra scuola non è il massimo, come al solito però…» Noi diciamo: NON bisogna accontentarsi di ciò che si ha.

Bibliografia e Sitografia

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Hillman James, L’anima dei luoghi. Conversazione con Carlo Truppi, Rizzoli, Milano 2004.

Holyuelos Planillo Alfredo, Loris Malaguzzi. Biografia pedagogica, Junior, Bergamo 2004.

Kroll Lucien, Tutto è paesaggio, Testo & Immagine, Torino 1999.

M.I.U.R. (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), Norme tecniche-quadro, contenenti gli indici minimi e massimi di funzionalità urbanistica, edilizia, anche con riferimento alle tecnologie in materia di efficienza e risparmio energetico e produzione da fonti energetiche rinnovabili, e didattica indispensabili a garantire indirizzi progettuali di riferimento adeguati e omogenei sul territorio nazionale. Linee Guida, CSR dell’11 aprile 2013.

Paolino Luigi, Cogelli Marco, Pavesi Angela Silvia, Guida alla progettazione degli edifici scolastici. Verifica su base prestazionale e casi studio per la scuola dell’infanzia e primaria, Maggioli, Dogana (Repubblica di San Marino) 2011.

Spazi per crescere. Dialoghi fra pedagogia e architettura. Pensare uno spazio educativo – pedagogia ed architettura in dialogo, Atti del seminario tenutosi presso il Polo per l’Infanzia Lama Sud, Ravenna 30 gennaio 2009. www.istruzioneinfanzia.ra.it/content/download/.../seminario%20spazi.pdf.

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Buono come a mensa

Giorgio Ciacci

«Mangiare è il privilegio della civiltà. La Nazione che sa man-giare ha imparato la principale lezione del progresso» Kaisa Isolalo, preside della Seinajoen Junior High School di Seinajoki-Finlandia (Children in Scotland, novembre 2002).

Ancora una volta cibo e cultura si trovano insieme sullo stesso percorso.

La FAO definisce il benessere nei suoi tre elementi fondamentali nutrizione, salute, educazione che poi non sono altro che gli obiet-tivi dell’educazione alimentare scolastica. Un’attività che comincia presto, già alla scuola dell’infanzia e poi alla scuola primaria con il servizio della mensa scolastica che assume un’importanza strategi-ca, se intesa non solo come sede di somministrazione di cibo ma soprattutto come momento educativo – cultura del cibo –. La pro-mozione della salute parte anche dai menù scolastici con l’obiettivo di educare i ragazzi ad uno stile di vita mediterraneo, insegnando loro a mangiare sano, a conoscere le risorse alimentari del proprio territorio, ad essere protagonisti della propria salute. Considerando il numero di pasti serviti ogni giorno per quel 53,4% (oltre 3 mi-lioni) di iscritti alla scuola d’infanzia, primaria e secondaria di pri-mo grado, «le mense scolastiche detengono un potenziale enorme nell’orientare il mercato verso comportamenti e prodotti virtuosi» afferma Slow Food.

A livello nazionale il 50% dei bambini con meno di 14 anni usufruisce della refezione scolastica e in media ogni alunno, nel suo ciclo scolastico obbligatorio, consuma circa 2.000 pasti a scuola, a cui vanno aggiunte le merende, fornite sempre dalle scuole. Si sti-ma che a scuola vengano consumati 380 milioni di pasti all’anno

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con oltre 2 milioni di pasti per ogni giorno di scuola e un fatturato di circa 1,3 miliardi di euro annui. Nelle mense scolastiche il costo medio di un pasto è di circa 4 Euro e 50 centesimi, di cui un terzo è la componente cibo.

La mensa scolastica può rappresentare un buon modello di edu-cazione alimentare anche per la famiglia e «a prima vista, l’idea di servire nelle scuole cibo fresco, sano e prodotto localmente sembra piuttosto semplice da realizzare. Purtroppo non è affatto così» scri-vono Kevin Morgan e Roberta Sonnino.

Circa il 50% dei pasti serviti in molte mense scolastiche finisce nei rifiuti; questa percentuale sale anche all’80% per gli scarti relativi a piatti di verdure cotte (zucchine, carote e finocchi), frittate e pesce in umido mentre cala al 10-15% per i piatti preferiti dai bambini (pasta al sugo o in bianco, ravioli in brodo, arrosto, spezzatino…).

Nonostante la ricerca della perfezione nella composizione nu-trizionale e nell’equilibrio dei nutrienti spesso ci si dimentica del gusto, dell’appetibilità, dando invece molta importanza agli aspetti economici e burocratici e si considera la mensa un’industria o un’at-tività come tante altre. L’effetto finale è disastroso con piatti che non vengono neppure assaggiati e che finiscono direttamente nella spaz-zatura, senza possibilità di essere neppure recuperati.

Altri fattori contribuiscono allo spreco: la mancanza del giusto appetito causato da merendine troppo abbondanti a metà mattina, errori nella preparazione (piatti troppo piccanti o amari poco adatti ai gusti dei bambini) e nella distribuzione (raffreddamento delle pietanze), la poca appetibilità dei contorni, la scelta e l’architettura della sala, il poco tempo a disposizione, l’eccessiva rumorosità, l’af-follamento, la disposizione di tavoli e sgabelli, la scarsa disciplina delle classi, le abitudini alimentari in famiglia.

Tutta questa perdita di cibo alla mensa può essere classificata nelle seguenti definizioni:

• Spreco (Unserved food): alimenti avviati alla distribuzione che non sono stati distribuiti e quindi potenzialmente riutilizzabili.

• Scarto: (Plate waste): alimenti somministrati agli utenti che non

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sono stati consumati (lasciati nel piatto) e che non risultano pertanto riutilizzabili per l’alimentazione umana.

• Rifiuto (Food waste): somma degli sprechi e degli scarti.

Le attività della mensa scolastica sono gestite dalla Commissione Mensa, organo – non obbligatorio e presente nel 74% circa delle scuole – che cura le scelte, il controllo e la valutazione del servizio mensa. La sua composizione e le relative competenze sono spes-so definite nel capitolato elaborato dal Comune; ne fanno parte rappresentanti degli insegnanti, dei genitori, dell’amministrazione comunale, delle aziende che forniscono i pasti, dietiste ma non gli alunni, veri destinatari dei pasti. Nonostante la buona volontà, le scelte finali sono dettate da considerazioni ideologiche ed economi-che, senza poi però verificarne le conseguenze. Il rispetto dei para-metri nutrizionali, l’igiene degli alimenti, i costi contenuti sembrano mettere tutti in pace, salvo poi dover constatare che i bambini non assumono tutte quelle calorie previste nel menù mentre i bidoni dei rifiuti sono stracolmi di cibo!

Quante commissioni mensa si pongono queste domande? Quanti Comuni riflettono sugli scarti delle mense scolastiche? È sufficiente stilare una serie di norme e tabelle per mangiare un cibo “giusto”, cioè sano, nutriente e gustoso? La mensa scolastica può essere considerata come un sistema integrato agroalimentare su scala ridotta, con le va-rie attività di trasformazione, distribuzione, consumo del cibo, oltre che di gestione dei rifiuti e riduzione degli sprechi, un luogo dove il cibo sia corretto e sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, attraverso la formazione e l’esperienza diretta. Gli alunni sono soggetti attivi, protagonisti attenti delle scelte e possono diventare sensibili alla frequentazione della mensa come luogo di incontro con il cibo e con gli altri, al fine di un orientamento verso la sana alimentazione, il rispetto del cibo e delle regole, il rapporto con gli altri. I concetti del qui e ora della mindfulness sono applicabili anche alla mensa scolastica al fine di avvicinarsi alla consapevolezza del pasto, inteso come momento personale, intimo, emozionale ma anche conviviale, condiviso, partecipato.

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Educazione alimentare alla mensa scolastica della Scuola Primaria

L’idea del progetto, attualmente a carattere sperimentale in Comuni della Toscana, è di comunicare ai bambini, agli insegnanti e alle famiglie l’importanza dell’alimentazione come strumento di salute, prevenzione delle malattie e piacere, considerando la mensa scolastica non solo come luogo di consumo del cibo ma come stru-mento educativo “a misura di bambino”.

Gli obiettivi sono: aumentare la varietà di cibi graditi soprattut-to se utili alla salute; sensibilizzare al rispetto e l’amore per il cibo; ridurre gli sprechi; promuovere la cultura del cibo in tutti i suoi aspetti; riscoprire i sensi e le emozioni come elementi quotidiani.

Questi concetti, difficili da trasmettere in teoria, possono essere meglio acquisiti con il gioco e le esperienze dirette. I protagonisti sono gli alunni, gli insegnanti, le cuoche della mensa, i genitori e le famiglie, l’Amministrazione Comunale, ELEA Onlus, esperti in dietistica, psicologia del cibo e comunicazione.

I temi: la nutrizione e la prevenzione primaria, l’obesità, la dieta, il modello mediterraneo, la varietà, la stagionalità, il piace-re e la consapevolezza del cibo, il rispetto e lo spreco del cibo, le

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emozioni e i sensi, la condivisione del progetto, l’intercultura, le tradizioni gastronomiche locali, le erbe aromatiche, il paesaggio e l’arte, le aziende agricole locali, il mercato, la lettura delle etichet-te, le attività di cucina.

Il circo e il cibo: le analogie

«Basta andare all’ora delle prove e avere occhi per vedere». Ruggero Leonardi.

Lo spettacolo del circo inizia già prima di entrare con l’emozione della sorpresa. Nella pista si alternano numeri diversi: abilità, peri-colo, risate, gruppi e singoli, risultato di un allenamento continuo fatto di conoscenza, amore e fatica. Le arti circensi offrono al bam-bino gli strumenti per prendere coscienza delle sue potenzialità e dei propri limiti, incoraggiandoli a mettere in gioco i propri stati d’animo, le emozioni, le abilità fino al controllo del proprio corpo.

Allo stesso modo si può considerare il cibo, elemento della pro-pria storia e del proprio territorio, che comprende scienza, cultura, arte, paesaggio, agricoltura, gastronomia, convivialità, sensoriali-tà ed emozioni. Interagire presto con il cibo, attraverso il gioco, permette di sviluppare la creatività e la logica del bambino fino a conoscere, amare e rispettare il cibo, attività utile per la salute e per la mente.

Metodologia

Food Immersion: formazione degli insegnanti e dei genitori rap-presentanti di classe.

Contenuti: significato del cibo, cibo ed emozioni, la prevenzio-ne, la scuola e il cibo, la mensa scolastica per costruire un percorso di educazione alimentare in classe.

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Dentro la classe: i temi mese per mese. Fuori e dentro il cibo: la storia, il significato, osservazioni senso-

riali. Le erbe aromatiche. La stagionalità, la frutta e la verdura cambia con le stagioni come

i bisogni del nostro corpo; il calendario dell’orto e del frutteto. La distribuzione dei pasti nella giornata. La prima colazione.

Invito alla mensa: sensibilizzazione degli alunni alla frequentazio-ne della mensa come luogo di incontro con il cibo e con gli altri, al fine di un orientamento verso la sana alimentazione, il rispetto del cibo e delle regole , il rapporto con gli altri.

Stare a mensa: lavarsi le mani, parlare a voce bassa, ascoltare il cibo, mangiare lentamente e masticare bene, usare i sensi, non lasciare il cibo nel piatto, lasciare in ordine il proprio posto, ecc.

La convivialità: insieme a tavola, il cibo come racconto di perso-ne. La tavola: come si apparecchia e perché.

Fare la spesa e organizzare la cucina: progetti per un consumo consapevole del cibo. Attività pratica. Io non spreco.

Nel giardino della scuola: si progetta e si realizza l’Orto delle erbe aromatiche da curare, raccogliere e portare a casa; non solo salvia e

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rosmarino ma molte delle erbe aromatiche mediterranee, così ricche di profumi e polifenoli.

All’ingresso della sala mensa è presente una piccola tenda del circo, la porta d’ingresso ha i pomelli con il logo del progetto.

I pannelli didattici nella sala mensa: sono stati progettati e appesi alle pareti pannelli colorati di grandi dimensioni; ciascuno è strut-turato con disegni e una didascalia di accompagnamento sui temi fondamentali della nutrizione, descritti in modo ludico attraverso gli elementi del circo, come animali, clown.

1. Le ore del cibo. La distribuzione giornaliera dei pasti.2. La natura ci regala. La frutta e verdura nelle quattro stagioni.3. La salute? Un gioco d’equilibrio. 4. Fai il pieno di acqua. Troppo spesso dimenticata.5. Assaggiare è pericoloso? Non lo mangio perché non mi piace.6. Cosa dice la tua pancia? La soddisfazione fisica ed emotiva del pasto.7. Un piatto pulito (vuoto) è un piatto contento. Lo spreco del cibo.

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Il Menù: il Circo del Gusto partecipa alle riunioni della commissio-ne mensa, suggerendo piatti secondo i criteri del progetto: reale sta-gionalità per frutta e verdura, tipicità e piatti della tradizione locale, i colori, l’intercultura. Cosi entrano nel menù i pici con le briciole, il pecorino con le fave, la ribollita, la pappa con il pomodoro, il pinzi-monio, il cous-cous, il pesce con le erbe aromatiche.

Si promuove la distribuzione del pasto con il sistema a self-service con tovaglietta con il logo.

Le cuoche accettano di controllare gli scarti come verifica del gradimento.

Si programmano inoltre verifiche a campione dei pasti con si-stema di voto SI - NO da parte dei bambini e insegnanti con cesti e palline colorate.

La Commissione Mensa: entrano in questo istituto un rappresen-tante del progetto e due rappresentanti degli alunni o del Consiglio Comunale dei Ragazzi, dove presente.

HOME : Il Cibo in Famiglia. Genitori e Figli a tavola. Strumenti di integrazione e collegamento con il percorso scolastico, l’alimenta-zione oltre la scuola. Progetto editoriale: “Cucinare insieme, ricette per il cuore scritte con il cuore”. Ricette della tradizione e della dieta mediterranea per la salute del cuore, illustrate dagli alunni per il bene dei genitori, da preparare insieme. Comunicazioni cartacee e via web periodiche.

A fine anno scolastico è prevista una verifica generale con la pre-sentazione dei risultati a tutti i partecipanti.

Proporre e praticare una “dieta sostenibile” a scuola significa in-trodurre un’educazione alimentare corretta, scelte di consumo con-sapevoli, sperimentare azioni di condivisione e cambiamento tra bambini, insegnanti, genitori e amministratori.

A questo proposito Michael Pollan suggerisce tre regole davvero semplici:

– Eat food (troppi prodotti hanno numerosi additivi rispetto a

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prodotti freschi), pertanto: «non mangiare nulla che abbia più di cinque ingredienti nell’etichetta», ovvero preferisci prodotti semplici.

– Mostly plants: verdure, in particolare foglie. Vale a dire meglio cibo che si regge su una sola gamba (frutta, verdura, cereali, ecc.) che su due (pollame ) o su quattro (bovini).

– Not too much: ridurre le quantità nell’ottica del «pay more eat less», ovvero paga un po’ di più e mangiane meno.

Quanti bambini finalmente potranno dire a casa: «questo piat-to… è buono come a mensa!»

Bibliografia e Sitografia

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Linee guida per l’educazione alimentare nella scuola italiana, 2011.

Regione Lombardia, Linee guida della Regione Lombardia per la ristorazione scolastica, 2002.

Bertini I., Giampietro M., Lugli A., Alimenti ed erbe per la salute e il benessere, Ed. Il Pensiero Scientifico, 2011.

Morgan K., Sonnino R., The urban foodscape: world cities and the new food equation, Cambridge Journal of Regions, Economy and Society, 2010.

Pollan M., Food rules Food Rules: An Eater’s Manual Paperback - December 29, 2009.

Bay C., Bonacini G., Il giardiniere goloso, Adriano Salanied, 2008.

Petroni P., Il grande libro della cucina Toscana, Giunti editore, 2008.

De Gara L. et Al., Le sfide dell’educazione alimentare, Armando ed. 2015.

www.salute.gov.it/portale/salute

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Le Strade del Cibo

Di seguito sono descritte alcune schede didattiche per argomenti. Ognuna ha il solo scopo di suggerire agli insegnanti temi e attivi-tà da seguire e non vuole certo essere un rigido percorso. Da ogni scheda si possono prendere spunti, paragrafi, esempi per sviluppare altre schede e progetti adatti alla propria classe, secondo l’età, le at-titudini e i programmi scolastici.

Ciò che conta è l’interesse, la curiosità, le emozioni, la condivi-sione, la possibilità di lasciare negli alunni una “traccia” nel proprio cervello, memoria attiva per la salute e per l’ambiente.

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Scheda n. 1

Il Magico mondo delle api

La storia delle api Dall’età della pietra ad oggi

Costruire un’arnia Disegno o attività pratica

I prodotti dell’alveare Il miele

I prodotti dell’alveare Pappa reale, propoli, polline, cera

Esperienza attiva La visita ad un apiario

Esperienza sensoriale La merenda pane e miele

A casa con la famiglia Lo sapevate che…

Scheda n. 2

Pane, Vino, Olio La triade della Dieta Mediterranea

La storia Questi cibi nell’antichità

Oltre gli alimenti Significati religiosi e sociali

Le piante Il grano, la vite, l’olivo

Dal campo alla tavola Pane, pasta, EVO, vino

Salute e gusto I polifenoli. Le ricette tipiche regionali

Esperienza attiva Visita ad un forno, un pastificio, un frantoio

Esperienza sensoriale Merenda con la bruschetta

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Scheda n. 3

Non solo rosmarino Le erbe aromatiche

Inquadramento generale Ma quante sono!

Non solo in cucina Gli impieghi medicinali

Gastronomia Le più usate in cucina

Salute Così piccole e così utili

Attività pratica L’album delle aromatiche

Esperienza attiva Costruire un arometo a scuola

Esperienza sensoriale La pasta dell’arometo

Scheda n. 4

4-12-52-365 La matematica della dieta

Il tempo e le stagioni Il clima, la terra, l’agricoltura

Stare in equilibrio La dieta cambia con le stagioni

Il calendario dei mesi 12 frutti, 12 verdure

La mensa scolastica Il menù e la stagionalità

Attività pratica Mi piace, non mi piace… l’assaggio

Esperienza attiva Questa non l’avevo mai vista….

Esperienza sensoriale I 5 sensi esplorano una frutta o una verdura

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Scheda n. 5

Il cibo nei libri Antiche novelle e cibo

La letteratura italiana Gli Autori e i titoli più famosi

La società del tempo La fame e l’abbondanza

Il galateo a tavola Quando, come, perché

La mensa scolastica Com’è e come mi piacerebbe

Attività pratica Lettura di un brano in classe

Esperienza attiva Apparecchiare la tavola

Esperienza sensoriale Profumo di fiori a tavola

Scheda n. 6

Il pesce azzurro Il Mar Mediterraneo

Il Mediterraneo Geografia di terra e di mare

In mezzo al mare Le specie ittiche tipiche

Pesce e salute Più piccolo è meglio è

Il pericolo inquinamento Chi e come difende il mare

Attività pratica Visita di una pescheria

Esperienza attiva Saper riconoscere i pesci del Mediterraneo

Esperienza sensoriale Pesce a mensa: io ci sto

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Scheda n. 7

Il cibo nel mondo Come mangiano gli altri

Dal Polo all’Equatore Cibo, necessità e clima

Cibo ed economia L’industria alimentare

La colazione Chi mangia cosa

Le feste e il cibo Ogni Paese ha il suo

Attività pratica Costruire un pranzo “internazionale”

Esperienza attiva Ognuno presenta il suo piatto tipico

Esperienza sensoriale Assaggiare il “diverso”

Scheda n. 8

Prima della tavola Saper scegliere

La spesa Il mercato e il grande magazzino

Cibo artigianale e ind.le Pregi e difetti

La filiera Km zero o Km mille?

La confezione Attrazione o utilità

Attività pratica Leggere l’etichetta

Esperienza attiva La visita al mercato e al supermercato

Esperienza sensoriale Odori e colori dei cibi

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Scheda n. 9

Cibo e cultura Oltre la nutrizione

Il cibo nella pittura Dai graffiti alla pop art

Il cibo nella musica Canzoni da mangiare

Il cibo nella poesia Recitare calorie

Il cibo di strada Mangiare camminando

Attività pratica Lavoro di gruppo sul tema

Esperienza attiva I nonni raccontano…

Esperienza sensoriale Ad occhi chiusi mi immagino….

Scheda n. 10

I magnifici 5 I Sensi

I 5 sensi Dove sono e a cosa servono

Il percorso sensoriale Tutti per uno, uno per tutti

Le differenze Sono tutti come noi?

Il gusto Il principe dei sensi

Attività pratica Disegno i 5 sensi

Esperienza attiva Quale serve di più in questo caso?

Esperienza sensoriale Mangiare... senza mangiare!

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Indice

Prefazione - Stefano Goracci 7

Introduzione - Giorgio Ciacci 11

Il cibo nelle arti - Francesca Allegri 17

Scelgo dunque sono? - Giorgio Ciacci 31

Cibo e cervello - Giorgio Ciacci 39

Noi, il Cibo, la Salute, l’Ambiente - Giorgio Ciacci 47

Mindful eating: mangiare con piena consapevolezza - Doris Kessenich 55

“La sala gnam gnam” - Monica Rossi, Vittoria Senes 67

Buono come a mensa - Giorgio Ciacci 81

Le strade del cibo (schede pratiche didattiche) 90

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Giorgio Ciacci è medico di medicina generale e specialista in endocrinologia; vive e lavora a Sarteano (Si) nell’Alta Val d’Orcia. Docente a numerosi corsi di formazione per medici di medicina generale e farmacisti su argomenti inerenti lo stile di vita (alimentazione, fumo, attività motoria), si occupa di educazione alimentare nella Scuola Primaria. Dal 2002 è coordinatore scientifico del progetto Mangiocando® presso l’Abbazia di Spineto a Sarteano e dal 2013 è presidente di ELEA Onlus, con la responsabilità della formazione degli insegnanti e la mensa scolastica nel progetto “Il Circo del Gusto”, da lui ideato.È coautore del volume Le ‘sfide’ dell’educazione alimentare: prospettive nutrizionali, comunicative, educative e didattiche, a cura di Laura De Gara, Armando editore, 2015.