REPUBBLICA ITALIANA SEZIONE SECONDA...
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI TRIESTE
SEZIONE SECONDA CIVILE
riunita in camera di consiglio nelle persone dei signori:
Oliviero Drigani Presidente
Vincenzo Colarieti Cons. rel.
Francesca Mulloni Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado d’appello iscritta al n 489
del ruolo 2013 avente ad oggetto: appello avverso la
sentenza del Tribunale di Trieste n 329/13 di data 4-4-
2013 depositata in data 17-4-2013 in punto risarcimento
del danno per responsabilità extracontrattuale.
TRA
A e B, entrambi residenti in ........ .... (PN) ed
elettivamente domicilaiti in Trieste presso lo studio
dell’avv. ............... del foro di Trieste, dalla
quale sono rappresentati e difesi, in unione con
l’avv. ............. del foro di Pordenone, per procura
di data 19-1-2011 a margine all’atto di citazione in
riassunzione per ilprimo grado notificato in data 24-1-
2011.
APPELLANTI
E
Ministero della Salute, in persona del Ministro pro
tempore, sedenti in Roma domiciliato ex lege in Trieste
presso la sede distrettuale dell’avvocatura dello Stato
dalla quale è difeso ex lege.
APPELLATO
E
Azienda per i Servizi Sanitari n............. , in
persona del Direttore Generale pro tempore, sedente in
Pordenone ed elettivamente domiciliata in Trieste presso
il locale studio dell’avv. ............... del foro di
Pordenone, rappresentata e difesa dall’avv. ............
del foro di Pordenone, per procura notarile di data 6-4-
2009 Rep n. 275851 dott Giorgio Pertegato notaio in
Pordenone.
APPELLATA
E
C......... s.p.a. (già CD s.p.a.) corrente in ........,
eletivamente domiciliata in Trieste presso lo studio
dell’avv. ...................., assistita e difesa
dall’avv .............. del foro di Udine per procura
notarile di data 8-2-2010 Rep n 6352 Racc n. 3270 dott.
Carlo Marchetti notaio in Milano.
APPELLATA
Causa trattenuta per la decisione all’udienza di data 12-
2-2014 e decisa nella camera di consiglio in data 7-5-
2014 sulle seguenti:
CONCLUSIONI
Per gli appellanti A e B: <<In totale riforma
dell’impugnata sentenza, sulla base della rinnovata
valutazione della documentazione prodotta in primo grado,
delle prove esperende e della espletanda CTU, e in
accoglimento dello spiegato appello, accogliere le
conclusioni già formulate nell’atto introduttivo di primo
grado che si riportano di seguito:
Nel merito: condannarsi, per le causali di cui allo
storico introduttivo, l’AZIENDA PER I SERVIZI SANITARI N.
.............................” di ........, in persona
del legale rappresentante pro tempore, il MINISTERO DELLA
SALUTE (ex Ministero della Sanità), in persona del
Ministro in carica, le C Spa, in persona del legale
rappresentante pro tempore, in via tra loro solidale, al
risarcimento di tutti i danni subiti dai sigg.ri A e B,
che si quantificano complessivamente in €. 832.635,00,
nella diversa misura che risulterà di giustizia, di cui:
- per il signor A:
€. 270.879,00 per danno biologico;
€. 135.439,00 per danno esistenziale;
€. 203.159,00 per danno morale;
€. 12.000,00 per danno patrimoniale forfettariamente
determinato
per un totale di €. 621.477,00,
o somma maggiore o minore che risulterà di giustizia.
- per la signora B:
€. 135.439,00 per danno esistenziale;
€. 67.719,00 per danno morale
€. 8.000,00 per danno patrimoniale forfettariamente
determinato
per un totale di €. 211.158,00,
o somma maggiore o minore che risulterà di giustizia.
Si chiede altresì la condanna al pagamento degli
interessi e della rivalutazione monetaria dal dì del
dovuto al saldo.
In via istruttoria:
- disporsi idonea CTU medico legale per la determinazione
e quantificazione dei danni tutti patiti.
- ammettersi le prove per testi di cui alla memoria
istruttoria 7.9.2011, che di seguito si ritrascrivono:
1. Vero che nell’anno 1982, nei mesi di gennaio-febbraio-
marzo, il signor A veniva sottoposto a trasfusioni di
sangue presso l’ospedale civile di ..............., dove
era ricoverato a seguito di grave incidente stradale?
2. Vero che, con le suddette trasfusioni, il signor A
contraeva l’epatite C, manifestatasi a distanza di
diversi anni dal contagio, come da documentazione medica
che le si rammostra (doc. B 1-19)?
3. Vero che la commissione medica presso il Distretto
militare di Udine, con decisione del 3.5.02, ha
riconosciuto il nesso di causalità tra le trasfusioni
eseguite presso il nosocomio .......... e l’epatite C
contratta dal signor A?
4. Vero che, dopo la scoperta della malattia, il signor A
si è dovuto assentare dal lavoro per sottoporsi ai cicli
di cura periodici?
5. Vero che durante tali cicli di terapia aveva disturbj
cd. Simil-influenzali, quali astenia, febbre, malessere
generale, dolori artìcolari?
6. Vero che durante i trattamenti doveva assumere un
regime alimentare “in bianco”, con divieto assoluto di
assunzione di alcool e cibi epatolesivi, nonché di
assunzione di farmaci antidolorifici di comune impiego?
7. Vero che durante i cicli di terapia il sig. A non
poteva fare sforzi fisici, doveva evitare di sollevare
pesi, di esporsi al pericolo di ferite anche piccole,
soffriva di vertigini e capogiri?
8. Vero che, prima della scoperta della malattia, il
signor A si era distinto per le proprie capacità tecnico-
professionali e svolgeva incarichi che comportavano anche
abilità fisiche non comuni (capacità di sollevare pesi,
arrampicarsi ad altezze di molti metri, camminare nelle
impalcature a decine di metri da terra)?
9. Vero che, prima della scoperta della malattia, il
signor A lavorava come tecnico trasfertista per la
propria azienda, con missioni in Italia e all’estero?
10. Vero che, per poter sottoporsi alle terapie
necessarie per l’epatite C, il signor A è stato costretto
a chiedere permessi e lunghi periodi di malattia?
11. Vero che la scoperta della malattia, le terapie e gli
effetti delle stesse hanno inciso sulle capacità
lavorative del signor A, pregiudicandone le possibilità
di carriera e impedendogli di continuare ad effettuare le
trasferte per lavoro, come risulta dal doc. B-3 1) che le
si rammostra?
12. Vero che le terapie e le assenze dal lavoro hanno
comportato per il signor A la riduzione delle capacità di
guadagno, non potendo più beneficiare dei benefit e delle
indennità relativi?
13. Vero che i redditi del signor A hanno subito un
decremento quantificabile attorno al 30%?
14. Vero che, per poter accompagnare il marito alle
visite e alle terapie, la signora B si è dovuta assentare
dal lavoro?
15. Vero che la signora B fungeva da “autista” al marito
nei giorni di terapia in cui maggiormente se ne sentivano
gli effetti collaterali?
16. Vero che, per lunghi periodi duranti i cicli di
terapia, anche i rapporti di coppia dovevano
necessariamente essere protetti ed era vivamente
sconsigliata una gravidanza?
17. Vero che, la malattia contratta dal signor A, ha
avuto ripercussioni nella vita familiare e coniugale, con
l’adozione di precauzioni e misure per ridurre il
contagio?
18. Vero che tali accortezze hanno inciso sul rapporto
con la figlia D, limitando le manifestazione di affetto e
i giochi all’aperto con la stessa, pena il rischio di
trasmissione dell’infezione?
Si indicano a testi i signori:
1. Dott. E, do Ospedale di ....... -Via .........., ..
2. F, res. a ............ -Via ............ 10
3. G........., res. a ......... -Via ....., 10
4. H, res. a ...... -.........
5. I, res. a .......... -Via ..........
Testi da sentirsi anche a prova contraria sulle
circostanze avversarie eventualmente richieste ed
ammesse.
Vittoria di spese di entrambi i gradi del giudizio.>>.
Per l’appellato Ministero della Salute : <<Per quanto
sopra esposto, l’appellato Ministero ut supra
rappresentato e difeso chiede che la Corte voglia
rigettare il gravame, con ogni conseguenza in ordine alle
spese di lite.
In via istruttoria, ci si oppone alla richiesta CTU,
chiedendo, in caso di denegata ammissione, di poter
nominare CT di parte.
Ci si oppone altresì alle istanze istruttorie,
trattandosi di circostanze che vanno provate
documentalmente. Si rileva inoltre l’inammissibilità dei
capitoli sub 11 17 18, trattandosi di giudizi valutativi.
Ci si oppone pertanto alla loro ammissione.>>
Per l’appellata Azienda per i Servizi Sanitari: <<Che
codesta Corte d’appello confermi la sentenza di primo
grado n. 329/2013 del Tribunale di Trieste.
Con condanna al pagamento delle spese, diritti ed onorari
di giudizio. In subordine ed in caso di accoglimento
dell’appello e di condanna dell’A.S.S. n......... al
risarcimento del danno condannarsi la Compagnia C spa in
persona del legale rappresentante ai sensi di polizza in
manleva dell’A.S.S. n. ... di quanto questa sia
condannata a risarcire all’appellante, nonché delle spese
legali dell’appellata A.S.S. n. .. .>>
Per l’appellata C s.p.a.: <<Nel merito: Voglia la Corte
d’Appello di Trieste, accertata l’infondatezza della
domanda di riforma formulata dagli appellanti, confermare
in ogni sua parte la Sentenza n°329/2013 del 04.04.2013
emessa dal Tribunale di Trieste.
Spese rifuse
Nel merito, in via subordinata: Voglia la Corte d’Appello
di Trieste nella denegata ipotesi di riforma della
sentenza n° 329/2013 del 04.04.2013 emessa dal Tribunale
di Trieste e nell’oltremodo denegata ipotesi in cui venga
riconosciuta una seppur minima responsabilità in capo
all’Azienda per i Servizi Sanitari n° ..... in ordine ai
fatti per cui è causa, liquidare il danno iuxta alligata
et probata, previa detrazione dal quantum dovuto
all’attore, di quanto dallo stesso percepito a titolo di
rendita per invalidità civile, contenendo in ogni caso
l’obbligo di manleva cui è tenuta C S.p.a. (già C D
S.p.a.) nei limiti di cui al massimale di polizza pari a
£ 500.000.000,00 ( € 258.228,44) con il limite di £
100.000.000,00 ( € 51.645,68) per ogni persona.
In via istruttoria: riservato ogni mezzo, si ribadisce
l’opposizione ad ogni istanza istruttoria formulata dagli
attori appellanti in costanza del primo grado di
giudizio.>>
RAGIONI IN FATTO
Con atto di citazione notificato in data 22-2-2010, A e B
evocavano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pordenone,
l’Azienda per i Servizi Sanitari n ....” e il Ministero
della Salute per sentirli condannare in solido al
risarcimento dei danni diretti e riflessi cagionati agli
attori in seguito a trasfusioni di sangue infetto
nell’organismo del A.
A fondamento della pretesa illustravano che, nell’anno
1982, A era stato ricoverato presso l’allora Ospedale
Civile di ......... a causa di gravi lesioni riportate in
occasione di un incidente. Esponevano ancora che, fra le
cure praticate, vi erano state molte trasfusioni di
sangue poi rivelatosi infetto, come riconosciuto dalla
Commissione Medica Ospedaliera presso il Distretto
Militare di Udine con delibera di data 3-5-2002, con la
quale era stato accertato il nesso casuale fra una delle
trasfusioni praticate al paziente e la epatite cronica di
tipo C (HCV) diagnosticata al A nell’anno 2000.
Descrivevano diffusamente le caratteristiche della
patologia e i disagi fisici e psichici patiti dal malato
con i riflessi sui familiari conviventi per evitare il
contagio. Riferivano di aver richiesto il risarcimento
alla convenuta Azienda per i Servizi Sanitari con nota di
data 14-3-2005 senza ricevere alcun riscontro.
Individuavano la responsabilità dei convenuti nella
<<violazione del principio del neminem laedere sancito
dall’art 2043 del codice civile>> (pag 9 atto
introduttivo del giudizio) osservando che, sebbene la
precisa individuazione del virus HCV risalisse al 1990,
già nei decenni precedenti la comunità scientifica aveva
riscontrato la stretta correlazione fra i valori alterati
delle transaminasi (enzimi presenti nel sangue) e la
presenza di patologie di origine virale al fegato, tanto
che fin dal 1966 l’allora Ministero della Sanità aveva
raccomandato, con Circolare n 50 del 28-3-1966, alle
autorità sanitarie provinciali dell’epoca di prescrivere
ai centri trasfusionali di eseguire analisi mirate
<<sulle transaminasi steriche (ALT) dei donatori>>.
Addebitava al convenuto Ministero il ritardo nell’imporre
l’obbligo di una precisa indagine sui valori di ALT su
ciascuna unità di sangue prelevata dai donatori, adottato
solo con DM del 21-7-1990, desumendo dalla predetta
omissione la conseguenza dannosa che avrebbe potuto
essere evitata attraverso la diligente verifica - con
strumenti diagnostici ben noti alla scienza medica
nell’epoca in cui venne curato il A - della qualità del
sangue raccolto destinato alla somministrazione. Si
soffermavano poi sulla gravità del danno subito alla
sfera areddittuale per lo stravolgimento della vita degli
attori compromessa nella salute e nella serenità
familiare, evidenziando anche gli elementi di danno
patrimoniale per le conseguenze che la malattia e la
terapia avevano avuto sulla carriera lavorativa del A e
sui guadagni della B costretta ad assentarsi dal lavoro
per assistere il marito durante le terapie con effetti
collaterali per l’organismo del paziente.
Con comparsa di risposta depositata in data 25-5-2010, si
costituiva l’Azienda per i Servizi Sanitari n. 6 “Friuli
Occidentale” chiedendo l’estromissione dal giudizio in
assenza di addebiti rivolti dagli attori al personale
medico che aveva operato le trasfusioni rispettando
scrupolosamente tutte le cautele imposte dalla normale
prudenza e quelle specifiche dettate dalla normativa
anche regolamentare in materia. Evidenziava che la
condotta colposa poteva individuarsi esclusivamente a
carico del Ministero convenuto al quale erano riservati i
poteri di vigilanza sulla commercializzazione e
distribuzione degli emoderivati. In via tuzioristica
chiedeva la chiamata in causa della compagnia
assicuratrice con la quale aveva stipulato una polizza a
copertura del rischio per la responsabilità civile, per
esserne manlevata in caso di condanna.
Con comparsa depositata in data 8-6-2010, si costituiva
il Ministero della Salute eccependo in via preliminare
l’incompetenza territoriale del Tribunale adito in favore
del foro erariale. Nel merito contestava la titolarità a
rispondere alla domanda degli attori per aver diffuso fin
dal 1966 le prescrizioni di cautela descritte nell’atto
di citazione inclusa l’indagine sulle transaminasi,
mentre con il DM citato dagli attori era stato prescritto
non già l’esame sull’ALT, ma sugli specifici rilevamenti
finalizzati ad individuare gli anticorpi del virus HCV
messi a punto solo nel 1989. Precisava inoltre che il
dovere di vigilanza sulla distribuzione di emoderivati
restava circoscritto alle direttive di carattere generale
non estendendosi alla singola sacca di sangue, della
quale era responsabile il produttore da identificarsi nel
responsabile del centro trasfusionale che aveva
autorizzato la distribuzione al dettaglio del siero.
Eccepiva la prescrizione di carattere quinquennale
contestava la quantificazione del danno evidenziando che
dal computo complessivo andava detratto l’importo
pensionistico ricevuto dal A per l’invalidità civile che
gli era stata riconosciuta.
Con comparsa depositata in data 29-10-2010, si costituiva
la C s.p.a. aderendo alla linea difensiva della propria
assicurata, evidenziava in particolare lo scrupoloso
rispetto delle prescrizioni ministeriali mediante la
tracciatura del sangue distribuito che aveva consentito
di individuare nel 1991 il singolo donatore di sangue del
1982, trovato positivo agli anticorpi del virus che il
personale sanitario aveva l’obbligo di cercare nel sangue
solo dopo il DM del luglio del 1991. Ribadiva che con i
controlli in concreto eseguiti nel 1982 mancava
l’oggettiva possibilità per la struttura sanitaria di
individuare gli anticorpi della specifica infezione da
HCV.
Con provvedimento depositato in data 2-12-2010 il giudice
istruttore dichiarava la propria incompetenza
territoriale in favore del Tribunale di Trieste presso il
quale la causa veniva ritualmente riassunta dagli attori
con atto notificato in data 24-1-2011.
Ricostituito il contraddittorio con i convenuti e la
chiamata in causa, il Giudice istruttore concedeva i
termini ex art 183 VI comma c.p.c. dei quali
approfittavano i soli attori mediante deposito di memoria
istruttoria. Con ordinanza depositata in data 30-11-2011
invitava le parti a precisare le conclusioni ritenendo la
causa matura per la decisione sulla questione preliminare
di prescrizione e sull’accertamento della responsabilità
dei convenuti. Raccolte le conclusioni delle parti
all’udienza di data 25-9-2012, il Tribunale con sentenza
depositata in data 17-4-2013 rigettava le domande degli
attori compensando integralmente le spese di lite fra le
parti. In estrema sintesi il primo giudice, premessa la
sussistenza della legittimazione ad causam di ciascun
convenuto (pag 7), individuava l’exordium praescriptionis
nella data del 3-5-2002 ritenendo tardivo l’unico atto
interruttivo rappresentato dall’atto di citazione
notificato nel 2010 (pag 8-9), inoltre non estensibile
l’interruzione operata nei confronti della convenuta
azienda sanitaria sia sotto il profilo soggettivo
trattandosi di due enti diversi (pag 10), sia sotto il
profilo dell’effetto interruttivo a cascata sul
condebitore solidale non ricorrendo i presupposti della
solidarietà per la diversità ontologica delle condotte
colpose addebitate a ciascun convenuto (pag 11 e 12) e il
presupposto stesso della corresponsabilità non
individuabile nel merito a carico dell’ASS n .... in
assenza di addebiti ascrivibili al personale sanitario
che aveva proceduto alla distribuzione del sangue
raccolto secondo modalità di diligenza media esigibili
dal livello delle strutture sanitarie nel 1982 (pag 15-
18).
Avverso la predetta sentenza proponevano appello gli
attori A e B con atto di citazione notificato in data 24-
7-2013 chiedendone riforma per la quale si affidavano a
due motivi di gravame.
Con il primo (pag 5-11) si dolevano per l’errato
accoglimento dell’eccezione di prescrizione, frutto del
travisamento dei fatti e dei documenti e di violazione o
falsa applicazione degli art 1310 c.c. 2055 c.c. e 2947
c.c.
Con il secondo si soffermavano sugli aspetti della
responsabilità dei convenuti appellati con riferimento
alla condotta dell’appellato Ministero (pag 11-18) e
della Azienda per i Servizi Sanitari (pag 18-27)
chiedendo l’affermazione della responsabilità di entrambi
a titolo extra contrattuale e della sola azienda
sanitaria anche per responsabilità contrattuale.
Con distinte comparse di risposta rispettivamente
depositate in data 13-12-2013 e 19-12-2013, si
costituivano l’appellata chiamata in causa C s.p.a. (già
CD s.p.a. ) e l’appellata convenuta Azienda per i Servizi
Sanitari n. .............. ....... ” contestando
analiticamente gli argomenti critici dell’impugnazione di
cui chiedevano il rigetto con vittoria di spese.
Con comparsa di costituzione depositata in data 10-1-
2014, si costituiva l’appellato convenuto Ministero della
Salute aderendo agli argomenti sviluppati dal Tribunale
sulla prescrizione e ribadendo l’inesigibilità di un
controllo penetrante sulle modalità di tutti centri
trasfusionali ai quali aveva impartito fin dal 1966, come
riconosciuto dalla stessa appellante, tutte le direttive
idonee a garantite la sicurezza del plasma distribuito
all’utenza.
La causa veniva trattenuta per la decisione sulle
conclusioni rese dalle parti all’udienza di data 12-2-
2014.
RAGIONI IN DIRITTO
Il primo motivo d’appello si snoda da pag. 5 a pag. 11,
fino a pag 8 individua il termine iniziale della
prescrizione nel giorno 3-5-2002 e sul punto non c’è
contestazione, anche se il momento della piena
consapevolezza nel danneggiato non si identifica, come
vorrebbero gli appellanti, nel momento conclusivo
dell’iter amministrativo per il riconoscimento
dell’indennità, ma in quello iniziale del procedimento
che coincide con il giorno della presentazione della
domanda per ottenere quel riconoscimento. La data di
presentazione della domanda non emerge dagli atti, ma non
appare necessario alcun approfondimento sia per la
formazione del giudicato interno sia per quanto si dirà
in seguito. Mantenendo la disamina sulla prescrizione, va
osservato che il primo Giudice ha speso tre argomenti a
sostegno della propria decisione sulla mancata tempestiva
interruzione del termine da parte dei creditori nei
confronti del Ministero della Salute.
A pagina 8 e inizio di pagina 9, gli appellanti
ribadiscono, senza alcuna contro argomentazione al
percorso logico del giudice, che la ASS altro non è che
un organo del Ministero. Si tratta di un assunto per
nulla condivisibile alla luce della normativa -
puntualmente richiamata nell’impugnato provvedimento -
istitutiva delle Aziende per i Servizi Sanitari
territoriali, strutturate appunto quali enti autonomi e
non organi periferici di altra amministrazione pubblica.
La totale assenza di motivazione rende la prima critica
inammissibile. Gli altri due argomenti a sostegno della
motivazione della sentenza sono ispirati alla non
applicabilità al caso concreto dell’art 2055 c.c. e
dell’art 1310 c.c., norme invece invocate dagli attori
appellanti a sostegno dell’interruzione della
prescrizione anche nei confronti del Ministero della
Salute. La replica dell’appello è puntuale e
condivisibile con riferimento all’errata applicazione
dell’art 2055, ma appare del tutto generica con
riferimento all’interpretazione data dal Tribunale
all’art 1310 c.c. Partendo dalla prima norma va osservato
che la decisione del primo Giudice si discosta
dall’uniforme indirizzo giurisprudenziale (cfr ex multis
Cass. Sez. III n. 15930 del 13-11-2002; Cass. Sez. III n.
6041 del 12-3-2010; Cass. Sez. I n. 15687 del 21-6-2013)
secondo il quale la responsabilità solidale sussiste in
ogni caso in cui la produzione del danno sia ascrivibile
a condotte di più soggetti anche se autonome fra loro e
diverse per titolo di responsabilità (contrattuale, extra
contrattuale o responsabilità aggravata), quindi merita
totale adesione l’opinione degli appellanti e può
ritenersi accertata la solidarietà fra i due debitori e
con essa l’applicabilità in astratto dell’art 1310 c.c.
dettato in tema di prescrizione, ma resta l’onere per gli
appellanti di replicare anche al terzo argomento
sviluppato dal Tribunale a sostegno della decisione che
conviene riportare testualmente: <<Decisiva, comunque,
appare la considerazione che un’eventuale obbligazione
solidale potrebbe configurarsi solo ex-post, e cioè una
volta positivamente accertata in questo giudizio la
concorrente responsabilità aquiliana di entrambe le
amministrazioni convenute nel verificarsi dell’evento
lesivo. Infatti, nel caso in cui la richiesta di
pagamento venga rivolta a un soggetto non obbligato al
risarcimento del danno perché ritenuto non responsabile,
non vi è alcun aggancio normativo per estendere
l’efficacia interruttiva della prescrizione dell’atto
notificato a quello, all’altro soggetto indicato come
responsabile della lesione del diritto. Ed è questa la
circostanza che - si ritiene — si sia verificata nella
fattispecie in esame come di seguito motivato. Quanto
illustrato porta a confermare il convincimento, già sopra
espresso che il diritto al risarcimento del danno
azionato in questo giudizio dal signor A e dalla signora
B nei confronti del Ministero della Salute si è estinto
per prescrizione.>> (pag 12 ultimo cpv sent.).
Il Giudice ha ritenuto la norma limitata al solo caso di
condebitori tutti riconosciuti effettivamente
responsabili, escludendone l’applicabilità al caso
concreto non per l’assenza di solidarietà, bensì per
l’assoluzione di quello dei condebitori attinto dall’atto
interruttivo. A fronte di una simile opinione del primo
Giudice era onere degli appellanti offrire una contro
argomentazione illustrando per lo meno un’interpretazione
alternativa della norma (art 342 II comma n 2 c.p.c.),
attraverso la quale giungere ad una modifica della
decisione. Solo in questo caso il secondo Giudice è messo
in grado di operare una scelta favorevole ad una delle
due tesi ritenendo più convincente la tesi del Tribunale
ovvero quella dell’appellante. La lettura delle pagine 10
e 11 non consente di cogliere alcuna interpretazione
alternativa o diversa da quella esposta dal giudice
perché il profilo critico della doglianza (cfr pagg 10 e
11 appello) si limita a ritenere applicabile l’art 2055
c.c. e per l’effetto l’art 1310 c.c. senza spendere una
parola sulla tesi (corretta o errata che sia) del Giudice
sulle modalità applicative della norma in questione,
meramente riprodotta nel suo tenore testuale (cfr inizio
pag 11 app.). Altro sintomo di giudicato interno sul
punto specifico può trarsi dall’atteggiamento degli
appellanti, i quali solo con l’atto d’appello distinguono
le posizioni dei due debitori, mantenute unite nell’atto
introduttivo del giudizio, nell’errato presupposto
dell’identità soggettiva dei due responsabili di un
medesimo comportamento omissivo sussumibile per entrambi
nell’archetipo dell’art 2043 c.c.
Con il secondo motivo di doglianza, per la parte ancora
di interesse (cfr pag 18-27 appello) gli appellanti
introducono inammissibilmente ex art 345 c.p.c. (cfr
Cass. Sez. I n 2080 del 14-2-2001: <<È domanda nuova, non
proponibile per la prima volta in appello ai sensi
dell’art. 345 cod. proc. civ., quella che alteri anche
uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale,
introducendo un petitum diverso e più ampio, oppure una
diversa causa petendi, fondata su situazioni giuridiche
non prospettate in primo grado ed in particolare su un
fatto giuridico costitutivo del diritto originariamente
vantato, radicalmente diverso, sicché risulti inserito
nel processo un nuovo tema d’indagine; ne consegue che la
domanda di risarcimento di danni per responsabilità
contrattuale - essendo diversa da quella di risarcimento
di danni per responsabilità extracontrattuale perché
dipende da elementi di fatto diversi non solo per quanto
attiene all’accertamento della responsabilità ma anche
per quanto riguarda la determinazione dei danni - non può
essere proposta per la prima volta nel giudizio di
appello per ampliare l’originaria domanda di risarcimento
di danni per responsabilità extracontrattuale.>>) una
nuova causa petendi invocando a carico dell’appellata
Azienda sanitaria non più la sola responsabilità
extracontrattuale dedotta in primo grado, ma anche la
responsabilità contrattuale. L’operazione è tardiva
perché nel secondo grado del giudizio il preteso debitore
non può più difendersi offrendo la prova
dell’adempimento, ossia dello scrupoloso rispetto della
normativa primaria e secondaria ed in particolare
dell’esecuzione degli esami sul sangue imposti dai
protocolli del Ministero, fra i quali la ricerca delle
transaminasi, sicuramente obbligatoria nel 1982. Sotto
altro profilo di ammissibilità (ex art 342 c.p.c.) va
osservato che, per invocare il nuovo titolo di
responsabilità (accennato per la prima volta nelle
memorie conclusive del primo grado), gli appellanti
avrebbero dovuto censurare l’omissione del Tribunale
sulla diversa qualificazione giuridica che il primo
giudice avrebbe potuto dare anche autonomamente sulla
base dei fatti prospettati, ovviamente nel rispetto del
contraddittorio fra le parti rimettendo la causa in
istruttoria. Di vero la motivazione della sentenza è
espressamente limitata all’unico titolo di responsabilità
tempestivamente dedotto dagli attori appellanti, i quali
non criticano espressamente questa presa di posizione del
Tribunale, ma si limitano a pretendere che sia il
debitore della prestazione sanitaria a fornire la prova
del proprio adempimento, invece il riparto dell’onere
probatorio è diverso perché spetta al danneggiato
dimostrare e non solo allegare la condotta colposa del
danneggiante.
E’ innegabile che il primo giudice abbia sancito
l’insuccesso della prova con argomenti non convincenti
siccome riferiti al notorio non dimostrato (efficienza
media dei centri italiani di raccolta e distribuzione del
sangue) e a considerazioni tratte da giurisprudenza di
legittimità non pertinente perché riguardante non il
singolo centro trasfusionale, ma l’obbligo di controllo
sui medesimi a carico del Ministero appellato. Tuttavia
la contro argomentazione mossa dagli appellanti ne
condivide i medesimi vizi, presumendo da un notorio non
dimostrato che l’ospedale non abbia eseguito i controlli
sulle transaminasi e menzionando massime
giurisprudenziali altrettanto non pertinenti, perché
riguardano il nesso causale e non la condotta colposa
ovvero situazioni di responsabilità contrattuale. Solo in
un inciso (pag 25 penultimo cpv appello) della critica
gli appellanti invocano un elemento di prova documentale,
assumendo che in uno scritto (relazione dell’ospedale sui
donatori) parzialmente riprodotto nel provvedimento della
Commissione Medica Militare, la struttura sanitaria
avrebbe confessato la propria negligenza ammettendo di
conoscere <<a malapena>> il nome e cognome dei donatori.
La lettura della motivazione che accompagna la decisione
della Commissione citata riporta alcuni brani di una
relazione del servizio trasfusionale dai quali non è dato
trarre alcuna confessione, anzi dalla loro integrale
lettura traspare l’allegazione del corretto adempimento
all’obbligo di tracciabilità del sangue che si limita al
nome e cognome del donatore e non si estende ad altre
informazioni sul soggetto, secondo il principio enunciato
dalla stessa giurisprudenza di legittimità citata dagli
appellanti (Cass Sez III n. 7549 del 15-5-2012). Nel
documento in esame (pag 3 doc 18 fasc. appellanti) nulla
viene detto sull’esecuzione delle indagini prescritte dal
Ministero sul singolo donatore ed in particolare se sia
stato effettuato o meno nel 1982 l’esame sulle
transaminasi sul donatore infetto, nominativamente
individuato a diciotto anni di distanza dal prelievo del
sangue destinato al A , ma si apprende un fatto che
assume valenza decisiva sulla prova controfattuale che
gli appellanti stessi ammettono di dover offrire.
Nell’ultima parte del brano della relazione, la sua
autrice illustra le modalità attraverso le quali è stato
individuato il donatore infetto nel 1991. In particolare,
la relatrice espone che, in occasione dell’ultimo
prelievo del donatore, il sangue aveva dato esiti
negativi all’esame sull’ALT e altre indagini ematiche, ma
era risultato positivo all’epatite proprio grazie ai
nuovi esami introdotti nel 1990 (anticorpi anti-HCV) più
specifici nell’individuazione di quella patologia
latente. Da questo fatto certo (negatività all’esame ALT)
nel 1991 può ritenersi molto più probabile che anche nel
1982 le indagini sulle transaminasi del donatore
avrebbero dato il medesimo risultato, anche tenuto conto
della minore sensibilità degli strumenti di ricerca di un
decennio anteriori. Questa apprezzabile certezza rende
superflua ogni questione sulla condotta della debitrice
che se anche fosse stata diligente non avrebbe
consentito, con apprezzabile grado di probabilità in
relazione al caso concreto e non in astratto, di
disvelare il vizio occulto annidato nel sangue del
donatore.
L’insufficienza della prova sulla condotta negligente e
la prova controfattuale sfavorevole agli appellanti
impongono il rigetto dell’appello nel merito.
Alcuni profili della motivazione del Tribunale,
prevalentemente incentrata su aspetti giuridici astratti
e non sul caso concreto sottoposto dalle parti, sono tali
da giustificare l’impugnazione, tanto da lasciar ritenere
la sussistenza di una grave ragione per la compensazione
integrale delle spese del presente grado del giudizio fra
le parti.
P.Q.M.
La Corte definitivamente pronunciando nella causa
d’appello avverso la sentenza del Tribunale di Trieste n
329/13, promossa da A e B contro l’Azienda per i Servizi
Sanitari n. ..............”, la C s.p.a. e il Ministro
per la Salute ogni diversa istanza eccezione, deduzione
disattesa così decide:
a) rigetta l’appello proposto da A e B avverso la
sentenza del Tribunale di Trieste n 329/13, che per
l’effetto conferma in ogni sua parte;
b) compensa integralmente fra le parti le spese del
presente grado del giudizio.
c) dichiara la sussistenza in capo agli appellanti A e
B dei requisiti per l’applicazione dell’art 13
comma 1 quater del DPR n 115/2002 introdotto dalla
L n 228 del 2012.
Così deciso nella camera di consiglio della seconda
sezione civile della Corte d’Appello di Trieste in
data 7-5-2014.
Il cons. est. Il Presidente
Vincenzo Colarieti Oliviero Drigani