REPUBBLICA ITALIANA SEZIONE SECONDA...

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI TRIESTE SEZIONE SECONDA CIVILE riunita in camera di consiglio nelle persone dei signori: Oliviero Drigani Presidente Vincenzo Colarieti Cons. rel. Francesca Mulloni Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d’appello iscritta al n 489 del ruolo 2013 avente ad oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Trieste n 329/13 di data 4-4- 2013 depositata in data 17-4-2013 in punto risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale. TRA A e B, entrambi residenti in ........ .... (PN) ed elettivamente domicilaiti in Trieste presso lo studio dell’avv. ............... del foro di Trieste, dalla quale sono rappresentati e difesi, in unione con l’avv. ............. del foro di Pordenone, per procura di data 19-1-2011 a margine all’atto di citazione in riassunzione per ilprimo grado notificato in data 24-1- 2011. APPELLANTI

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI TRIESTE

SEZIONE SECONDA CIVILE

riunita in camera di consiglio nelle persone dei signori:

Oliviero Drigani Presidente

Vincenzo Colarieti Cons. rel.

Francesca Mulloni Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado d’appello iscritta al n 489

del ruolo 2013 avente ad oggetto: appello avverso la

sentenza del Tribunale di Trieste n 329/13 di data 4-4-

2013 depositata in data 17-4-2013 in punto risarcimento

del danno per responsabilità extracontrattuale.

TRA

A e B, entrambi residenti in ........ .... (PN) ed

elettivamente domicilaiti in Trieste presso lo studio

dell’avv. ............... del foro di Trieste, dalla

quale sono rappresentati e difesi, in unione con

l’avv. ............. del foro di Pordenone, per procura

di data 19-1-2011 a margine all’atto di citazione in

riassunzione per ilprimo grado notificato in data 24-1-

2011.

APPELLANTI

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E

Ministero della Salute, in persona del Ministro pro

tempore, sedenti in Roma domiciliato ex lege in Trieste

presso la sede distrettuale dell’avvocatura dello Stato

dalla quale è difeso ex lege.

APPELLATO

E

Azienda per i Servizi Sanitari n............. , in

persona del Direttore Generale pro tempore, sedente in

Pordenone ed elettivamente domiciliata in Trieste presso

il locale studio dell’avv. ............... del foro di

Pordenone, rappresentata e difesa dall’avv. ............

del foro di Pordenone, per procura notarile di data 6-4-

2009 Rep n. 275851 dott Giorgio Pertegato notaio in

Pordenone.

APPELLATA

E

C......... s.p.a. (già CD s.p.a.) corrente in ........,

eletivamente domiciliata in Trieste presso lo studio

dell’avv. ...................., assistita e difesa

dall’avv .............. del foro di Udine per procura

notarile di data 8-2-2010 Rep n 6352 Racc n. 3270 dott.

Carlo Marchetti notaio in Milano.

APPELLATA

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Causa trattenuta per la decisione all’udienza di data 12-

2-2014 e decisa nella camera di consiglio in data 7-5-

2014 sulle seguenti:

CONCLUSIONI

Per gli appellanti A e B: <<In totale riforma

dell’impugnata sentenza, sulla base della rinnovata

valutazione della documentazione prodotta in primo grado,

delle prove esperende e della espletanda CTU, e in

accoglimento dello spiegato appello, accogliere le

conclusioni già formulate nell’atto introduttivo di primo

grado che si riportano di seguito:

Nel merito: condannarsi, per le causali di cui allo

storico introduttivo, l’AZIENDA PER I SERVIZI SANITARI N.

.............................” di ........, in persona

del legale rappresentante pro tempore, il MINISTERO DELLA

SALUTE (ex Ministero della Sanità), in persona del

Ministro in carica, le C Spa, in persona del legale

rappresentante pro tempore, in via tra loro solidale, al

risarcimento di tutti i danni subiti dai sigg.ri A e B,

che si quantificano complessivamente in €. 832.635,00,

nella diversa misura che risulterà di giustizia, di cui:

- per il signor A:

€. 270.879,00 per danno biologico;

€. 135.439,00 per danno esistenziale;

€. 203.159,00 per danno morale;

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€. 12.000,00 per danno patrimoniale forfettariamente

determinato

per un totale di €. 621.477,00,

o somma maggiore o minore che risulterà di giustizia.

- per la signora B:

€. 135.439,00 per danno esistenziale;

€. 67.719,00 per danno morale

€. 8.000,00 per danno patrimoniale forfettariamente

determinato

per un totale di €. 211.158,00,

o somma maggiore o minore che risulterà di giustizia.

Si chiede altresì la condanna al pagamento degli

interessi e della rivalutazione monetaria dal dì del

dovuto al saldo.

In via istruttoria:

- disporsi idonea CTU medico legale per la determinazione

e quantificazione dei danni tutti patiti.

- ammettersi le prove per testi di cui alla memoria

istruttoria 7.9.2011, che di seguito si ritrascrivono:

1. Vero che nell’anno 1982, nei mesi di gennaio-febbraio-

marzo, il signor A veniva sottoposto a trasfusioni di

sangue presso l’ospedale civile di ..............., dove

era ricoverato a seguito di grave incidente stradale?

2. Vero che, con le suddette trasfusioni, il signor A

contraeva l’epatite C, manifestatasi a distanza di

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diversi anni dal contagio, come da documentazione medica

che le si rammostra (doc. B 1-19)?

3. Vero che la commissione medica presso il Distretto

militare di Udine, con decisione del 3.5.02, ha

riconosciuto il nesso di causalità tra le trasfusioni

eseguite presso il nosocomio .......... e l’epatite C

contratta dal signor A?

4. Vero che, dopo la scoperta della malattia, il signor A

si è dovuto assentare dal lavoro per sottoporsi ai cicli

di cura periodici?

5. Vero che durante tali cicli di terapia aveva disturbj

cd. Simil-influenzali, quali astenia, febbre, malessere

generale, dolori artìcolari?

6. Vero che durante i trattamenti doveva assumere un

regime alimentare “in bianco”, con divieto assoluto di

assunzione di alcool e cibi epatolesivi, nonché di

assunzione di farmaci antidolorifici di comune impiego?

7. Vero che durante i cicli di terapia il sig. A non

poteva fare sforzi fisici, doveva evitare di sollevare

pesi, di esporsi al pericolo di ferite anche piccole,

soffriva di vertigini e capogiri?

8. Vero che, prima della scoperta della malattia, il

signor A si era distinto per le proprie capacità tecnico-

professionali e svolgeva incarichi che comportavano anche

abilità fisiche non comuni (capacità di sollevare pesi,

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arrampicarsi ad altezze di molti metri, camminare nelle

impalcature a decine di metri da terra)?

9. Vero che, prima della scoperta della malattia, il

signor A lavorava come tecnico trasfertista per la

propria azienda, con missioni in Italia e all’estero?

10. Vero che, per poter sottoporsi alle terapie

necessarie per l’epatite C, il signor A è stato costretto

a chiedere permessi e lunghi periodi di malattia?

11. Vero che la scoperta della malattia, le terapie e gli

effetti delle stesse hanno inciso sulle capacità

lavorative del signor A, pregiudicandone le possibilità

di carriera e impedendogli di continuare ad effettuare le

trasferte per lavoro, come risulta dal doc. B-3 1) che le

si rammostra?

12. Vero che le terapie e le assenze dal lavoro hanno

comportato per il signor A la riduzione delle capacità di

guadagno, non potendo più beneficiare dei benefit e delle

indennità relativi?

13. Vero che i redditi del signor A hanno subito un

decremento quantificabile attorno al 30%?

14. Vero che, per poter accompagnare il marito alle

visite e alle terapie, la signora B si è dovuta assentare

dal lavoro?

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15. Vero che la signora B fungeva da “autista” al marito

nei giorni di terapia in cui maggiormente se ne sentivano

gli effetti collaterali?

16. Vero che, per lunghi periodi duranti i cicli di

terapia, anche i rapporti di coppia dovevano

necessariamente essere protetti ed era vivamente

sconsigliata una gravidanza?

17. Vero che, la malattia contratta dal signor A, ha

avuto ripercussioni nella vita familiare e coniugale, con

l’adozione di precauzioni e misure per ridurre il

contagio?

18. Vero che tali accortezze hanno inciso sul rapporto

con la figlia D, limitando le manifestazione di affetto e

i giochi all’aperto con la stessa, pena il rischio di

trasmissione dell’infezione?

Si indicano a testi i signori:

1. Dott. E, do Ospedale di ....... -Via .........., ..

2. F, res. a ............ -Via ............ 10

3. G........., res. a ......... -Via ....., 10

4. H, res. a ...... -.........

5. I, res. a .......... -Via ..........

Testi da sentirsi anche a prova contraria sulle

circostanze avversarie eventualmente richieste ed

ammesse.

Vittoria di spese di entrambi i gradi del giudizio.>>.

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Per l’appellato Ministero della Salute : <<Per quanto

sopra esposto, l’appellato Ministero ut supra

rappresentato e difeso chiede che la Corte voglia

rigettare il gravame, con ogni conseguenza in ordine alle

spese di lite.

In via istruttoria, ci si oppone alla richiesta CTU,

chiedendo, in caso di denegata ammissione, di poter

nominare CT di parte.

Ci si oppone altresì alle istanze istruttorie,

trattandosi di circostanze che vanno provate

documentalmente. Si rileva inoltre l’inammissibilità dei

capitoli sub 11 17 18, trattandosi di giudizi valutativi.

Ci si oppone pertanto alla loro ammissione.>>

Per l’appellata Azienda per i Servizi Sanitari: <<Che

codesta Corte d’appello confermi la sentenza di primo

grado n. 329/2013 del Tribunale di Trieste.

Con condanna al pagamento delle spese, diritti ed onorari

di giudizio. In subordine ed in caso di accoglimento

dell’appello e di condanna dell’A.S.S. n......... al

risarcimento del danno condannarsi la Compagnia C spa in

persona del legale rappresentante ai sensi di polizza in

manleva dell’A.S.S. n. ... di quanto questa sia

condannata a risarcire all’appellante, nonché delle spese

legali dell’appellata A.S.S. n. .. .>>

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Per l’appellata C s.p.a.: <<Nel merito: Voglia la Corte

d’Appello di Trieste, accertata l’infondatezza della

domanda di riforma formulata dagli appellanti, confermare

in ogni sua parte la Sentenza n°329/2013 del 04.04.2013

emessa dal Tribunale di Trieste.

Spese rifuse

Nel merito, in via subordinata: Voglia la Corte d’Appello

di Trieste nella denegata ipotesi di riforma della

sentenza n° 329/2013 del 04.04.2013 emessa dal Tribunale

di Trieste e nell’oltremodo denegata ipotesi in cui venga

riconosciuta una seppur minima responsabilità in capo

all’Azienda per i Servizi Sanitari n° ..... in ordine ai

fatti per cui è causa, liquidare il danno iuxta alligata

et probata, previa detrazione dal quantum dovuto

all’attore, di quanto dallo stesso percepito a titolo di

rendita per invalidità civile, contenendo in ogni caso

l’obbligo di manleva cui è tenuta C S.p.a. (già C D

S.p.a.) nei limiti di cui al massimale di polizza pari a

£ 500.000.000,00 ( € 258.228,44) con il limite di £

100.000.000,00 ( € 51.645,68) per ogni persona.

In via istruttoria: riservato ogni mezzo, si ribadisce

l’opposizione ad ogni istanza istruttoria formulata dagli

attori appellanti in costanza del primo grado di

giudizio.>>

RAGIONI IN FATTO

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Con atto di citazione notificato in data 22-2-2010, A e B

evocavano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pordenone,

l’Azienda per i Servizi Sanitari n ....” e il Ministero

della Salute per sentirli condannare in solido al

risarcimento dei danni diretti e riflessi cagionati agli

attori in seguito a trasfusioni di sangue infetto

nell’organismo del A.

A fondamento della pretesa illustravano che, nell’anno

1982, A era stato ricoverato presso l’allora Ospedale

Civile di ......... a causa di gravi lesioni riportate in

occasione di un incidente. Esponevano ancora che, fra le

cure praticate, vi erano state molte trasfusioni di

sangue poi rivelatosi infetto, come riconosciuto dalla

Commissione Medica Ospedaliera presso il Distretto

Militare di Udine con delibera di data 3-5-2002, con la

quale era stato accertato il nesso casuale fra una delle

trasfusioni praticate al paziente e la epatite cronica di

tipo C (HCV) diagnosticata al A nell’anno 2000.

Descrivevano diffusamente le caratteristiche della

patologia e i disagi fisici e psichici patiti dal malato

con i riflessi sui familiari conviventi per evitare il

contagio. Riferivano di aver richiesto il risarcimento

alla convenuta Azienda per i Servizi Sanitari con nota di

data 14-3-2005 senza ricevere alcun riscontro.

Individuavano la responsabilità dei convenuti nella

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<<violazione del principio del neminem laedere sancito

dall’art 2043 del codice civile>> (pag 9 atto

introduttivo del giudizio) osservando che, sebbene la

precisa individuazione del virus HCV risalisse al 1990,

già nei decenni precedenti la comunità scientifica aveva

riscontrato la stretta correlazione fra i valori alterati

delle transaminasi (enzimi presenti nel sangue) e la

presenza di patologie di origine virale al fegato, tanto

che fin dal 1966 l’allora Ministero della Sanità aveva

raccomandato, con Circolare n 50 del 28-3-1966, alle

autorità sanitarie provinciali dell’epoca di prescrivere

ai centri trasfusionali di eseguire analisi mirate

<<sulle transaminasi steriche (ALT) dei donatori>>.

Addebitava al convenuto Ministero il ritardo nell’imporre

l’obbligo di una precisa indagine sui valori di ALT su

ciascuna unità di sangue prelevata dai donatori, adottato

solo con DM del 21-7-1990, desumendo dalla predetta

omissione la conseguenza dannosa che avrebbe potuto

essere evitata attraverso la diligente verifica - con

strumenti diagnostici ben noti alla scienza medica

nell’epoca in cui venne curato il A - della qualità del

sangue raccolto destinato alla somministrazione. Si

soffermavano poi sulla gravità del danno subito alla

sfera areddittuale per lo stravolgimento della vita degli

attori compromessa nella salute e nella serenità

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familiare, evidenziando anche gli elementi di danno

patrimoniale per le conseguenze che la malattia e la

terapia avevano avuto sulla carriera lavorativa del A e

sui guadagni della B costretta ad assentarsi dal lavoro

per assistere il marito durante le terapie con effetti

collaterali per l’organismo del paziente.

Con comparsa di risposta depositata in data 25-5-2010, si

costituiva l’Azienda per i Servizi Sanitari n. 6 “Friuli

Occidentale” chiedendo l’estromissione dal giudizio in

assenza di addebiti rivolti dagli attori al personale

medico che aveva operato le trasfusioni rispettando

scrupolosamente tutte le cautele imposte dalla normale

prudenza e quelle specifiche dettate dalla normativa

anche regolamentare in materia. Evidenziava che la

condotta colposa poteva individuarsi esclusivamente a

carico del Ministero convenuto al quale erano riservati i

poteri di vigilanza sulla commercializzazione e

distribuzione degli emoderivati. In via tuzioristica

chiedeva la chiamata in causa della compagnia

assicuratrice con la quale aveva stipulato una polizza a

copertura del rischio per la responsabilità civile, per

esserne manlevata in caso di condanna.

Con comparsa depositata in data 8-6-2010, si costituiva

il Ministero della Salute eccependo in via preliminare

l’incompetenza territoriale del Tribunale adito in favore

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del foro erariale. Nel merito contestava la titolarità a

rispondere alla domanda degli attori per aver diffuso fin

dal 1966 le prescrizioni di cautela descritte nell’atto

di citazione inclusa l’indagine sulle transaminasi,

mentre con il DM citato dagli attori era stato prescritto

non già l’esame sull’ALT, ma sugli specifici rilevamenti

finalizzati ad individuare gli anticorpi del virus HCV

messi a punto solo nel 1989. Precisava inoltre che il

dovere di vigilanza sulla distribuzione di emoderivati

restava circoscritto alle direttive di carattere generale

non estendendosi alla singola sacca di sangue, della

quale era responsabile il produttore da identificarsi nel

responsabile del centro trasfusionale che aveva

autorizzato la distribuzione al dettaglio del siero.

Eccepiva la prescrizione di carattere quinquennale

contestava la quantificazione del danno evidenziando che

dal computo complessivo andava detratto l’importo

pensionistico ricevuto dal A per l’invalidità civile che

gli era stata riconosciuta.

Con comparsa depositata in data 29-10-2010, si costituiva

la C s.p.a. aderendo alla linea difensiva della propria

assicurata, evidenziava in particolare lo scrupoloso

rispetto delle prescrizioni ministeriali mediante la

tracciatura del sangue distribuito che aveva consentito

di individuare nel 1991 il singolo donatore di sangue del

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1982, trovato positivo agli anticorpi del virus che il

personale sanitario aveva l’obbligo di cercare nel sangue

solo dopo il DM del luglio del 1991. Ribadiva che con i

controlli in concreto eseguiti nel 1982 mancava

l’oggettiva possibilità per la struttura sanitaria di

individuare gli anticorpi della specifica infezione da

HCV.

Con provvedimento depositato in data 2-12-2010 il giudice

istruttore dichiarava la propria incompetenza

territoriale in favore del Tribunale di Trieste presso il

quale la causa veniva ritualmente riassunta dagli attori

con atto notificato in data 24-1-2011.

Ricostituito il contraddittorio con i convenuti e la

chiamata in causa, il Giudice istruttore concedeva i

termini ex art 183 VI comma c.p.c. dei quali

approfittavano i soli attori mediante deposito di memoria

istruttoria. Con ordinanza depositata in data 30-11-2011

invitava le parti a precisare le conclusioni ritenendo la

causa matura per la decisione sulla questione preliminare

di prescrizione e sull’accertamento della responsabilità

dei convenuti. Raccolte le conclusioni delle parti

all’udienza di data 25-9-2012, il Tribunale con sentenza

depositata in data 17-4-2013 rigettava le domande degli

attori compensando integralmente le spese di lite fra le

parti. In estrema sintesi il primo giudice, premessa la

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sussistenza della legittimazione ad causam di ciascun

convenuto (pag 7), individuava l’exordium praescriptionis

nella data del 3-5-2002 ritenendo tardivo l’unico atto

interruttivo rappresentato dall’atto di citazione

notificato nel 2010 (pag 8-9), inoltre non estensibile

l’interruzione operata nei confronti della convenuta

azienda sanitaria sia sotto il profilo soggettivo

trattandosi di due enti diversi (pag 10), sia sotto il

profilo dell’effetto interruttivo a cascata sul

condebitore solidale non ricorrendo i presupposti della

solidarietà per la diversità ontologica delle condotte

colpose addebitate a ciascun convenuto (pag 11 e 12) e il

presupposto stesso della corresponsabilità non

individuabile nel merito a carico dell’ASS n .... in

assenza di addebiti ascrivibili al personale sanitario

che aveva proceduto alla distribuzione del sangue

raccolto secondo modalità di diligenza media esigibili

dal livello delle strutture sanitarie nel 1982 (pag 15-

18).

Avverso la predetta sentenza proponevano appello gli

attori A e B con atto di citazione notificato in data 24-

7-2013 chiedendone riforma per la quale si affidavano a

due motivi di gravame.

Con il primo (pag 5-11) si dolevano per l’errato

accoglimento dell’eccezione di prescrizione, frutto del

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travisamento dei fatti e dei documenti e di violazione o

falsa applicazione degli art 1310 c.c. 2055 c.c. e 2947

c.c.

Con il secondo si soffermavano sugli aspetti della

responsabilità dei convenuti appellati con riferimento

alla condotta dell’appellato Ministero (pag 11-18) e

della Azienda per i Servizi Sanitari (pag 18-27)

chiedendo l’affermazione della responsabilità di entrambi

a titolo extra contrattuale e della sola azienda

sanitaria anche per responsabilità contrattuale.

Con distinte comparse di risposta rispettivamente

depositate in data 13-12-2013 e 19-12-2013, si

costituivano l’appellata chiamata in causa C s.p.a. (già

CD s.p.a. ) e l’appellata convenuta Azienda per i Servizi

Sanitari n. .............. ....... ” contestando

analiticamente gli argomenti critici dell’impugnazione di

cui chiedevano il rigetto con vittoria di spese.

Con comparsa di costituzione depositata in data 10-1-

2014, si costituiva l’appellato convenuto Ministero della

Salute aderendo agli argomenti sviluppati dal Tribunale

sulla prescrizione e ribadendo l’inesigibilità di un

controllo penetrante sulle modalità di tutti centri

trasfusionali ai quali aveva impartito fin dal 1966, come

riconosciuto dalla stessa appellante, tutte le direttive

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idonee a garantite la sicurezza del plasma distribuito

all’utenza.

La causa veniva trattenuta per la decisione sulle

conclusioni rese dalle parti all’udienza di data 12-2-

2014.

RAGIONI IN DIRITTO

Il primo motivo d’appello si snoda da pag. 5 a pag. 11,

fino a pag 8 individua il termine iniziale della

prescrizione nel giorno 3-5-2002 e sul punto non c’è

contestazione, anche se il momento della piena

consapevolezza nel danneggiato non si identifica, come

vorrebbero gli appellanti, nel momento conclusivo

dell’iter amministrativo per il riconoscimento

dell’indennità, ma in quello iniziale del procedimento

che coincide con il giorno della presentazione della

domanda per ottenere quel riconoscimento. La data di

presentazione della domanda non emerge dagli atti, ma non

appare necessario alcun approfondimento sia per la

formazione del giudicato interno sia per quanto si dirà

in seguito. Mantenendo la disamina sulla prescrizione, va

osservato che il primo Giudice ha speso tre argomenti a

sostegno della propria decisione sulla mancata tempestiva

interruzione del termine da parte dei creditori nei

confronti del Ministero della Salute.

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A pagina 8 e inizio di pagina 9, gli appellanti

ribadiscono, senza alcuna contro argomentazione al

percorso logico del giudice, che la ASS altro non è che

un organo del Ministero. Si tratta di un assunto per

nulla condivisibile alla luce della normativa -

puntualmente richiamata nell’impugnato provvedimento -

istitutiva delle Aziende per i Servizi Sanitari

territoriali, strutturate appunto quali enti autonomi e

non organi periferici di altra amministrazione pubblica.

La totale assenza di motivazione rende la prima critica

inammissibile. Gli altri due argomenti a sostegno della

motivazione della sentenza sono ispirati alla non

applicabilità al caso concreto dell’art 2055 c.c. e

dell’art 1310 c.c., norme invece invocate dagli attori

appellanti a sostegno dell’interruzione della

prescrizione anche nei confronti del Ministero della

Salute. La replica dell’appello è puntuale e

condivisibile con riferimento all’errata applicazione

dell’art 2055, ma appare del tutto generica con

riferimento all’interpretazione data dal Tribunale

all’art 1310 c.c. Partendo dalla prima norma va osservato

che la decisione del primo Giudice si discosta

dall’uniforme indirizzo giurisprudenziale (cfr ex multis

Cass. Sez. III n. 15930 del 13-11-2002; Cass. Sez. III n.

6041 del 12-3-2010; Cass. Sez. I n. 15687 del 21-6-2013)

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secondo il quale la responsabilità solidale sussiste in

ogni caso in cui la produzione del danno sia ascrivibile

a condotte di più soggetti anche se autonome fra loro e

diverse per titolo di responsabilità (contrattuale, extra

contrattuale o responsabilità aggravata), quindi merita

totale adesione l’opinione degli appellanti e può

ritenersi accertata la solidarietà fra i due debitori e

con essa l’applicabilità in astratto dell’art 1310 c.c.

dettato in tema di prescrizione, ma resta l’onere per gli

appellanti di replicare anche al terzo argomento

sviluppato dal Tribunale a sostegno della decisione che

conviene riportare testualmente: <<Decisiva, comunque,

appare la considerazione che un’eventuale obbligazione

solidale potrebbe configurarsi solo ex-post, e cioè una

volta positivamente accertata in questo giudizio la

concorrente responsabilità aquiliana di entrambe le

amministrazioni convenute nel verificarsi dell’evento

lesivo. Infatti, nel caso in cui la richiesta di

pagamento venga rivolta a un soggetto non obbligato al

risarcimento del danno perché ritenuto non responsabile,

non vi è alcun aggancio normativo per estendere

l’efficacia interruttiva della prescrizione dell’atto

notificato a quello, all’altro soggetto indicato come

responsabile della lesione del diritto. Ed è questa la

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circostanza che - si ritiene — si sia verificata nella

fattispecie in esame come di seguito motivato. Quanto

illustrato porta a confermare il convincimento, già sopra

espresso che il diritto al risarcimento del danno

azionato in questo giudizio dal signor A e dalla signora

B nei confronti del Ministero della Salute si è estinto

per prescrizione.>> (pag 12 ultimo cpv sent.).

Il Giudice ha ritenuto la norma limitata al solo caso di

condebitori tutti riconosciuti effettivamente

responsabili, escludendone l’applicabilità al caso

concreto non per l’assenza di solidarietà, bensì per

l’assoluzione di quello dei condebitori attinto dall’atto

interruttivo. A fronte di una simile opinione del primo

Giudice era onere degli appellanti offrire una contro

argomentazione illustrando per lo meno un’interpretazione

alternativa della norma (art 342 II comma n 2 c.p.c.),

attraverso la quale giungere ad una modifica della

decisione. Solo in questo caso il secondo Giudice è messo

in grado di operare una scelta favorevole ad una delle

due tesi ritenendo più convincente la tesi del Tribunale

ovvero quella dell’appellante. La lettura delle pagine 10

e 11 non consente di cogliere alcuna interpretazione

alternativa o diversa da quella esposta dal giudice

perché il profilo critico della doglianza (cfr pagg 10 e

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11 appello) si limita a ritenere applicabile l’art 2055

c.c. e per l’effetto l’art 1310 c.c. senza spendere una

parola sulla tesi (corretta o errata che sia) del Giudice

sulle modalità applicative della norma in questione,

meramente riprodotta nel suo tenore testuale (cfr inizio

pag 11 app.). Altro sintomo di giudicato interno sul

punto specifico può trarsi dall’atteggiamento degli

appellanti, i quali solo con l’atto d’appello distinguono

le posizioni dei due debitori, mantenute unite nell’atto

introduttivo del giudizio, nell’errato presupposto

dell’identità soggettiva dei due responsabili di un

medesimo comportamento omissivo sussumibile per entrambi

nell’archetipo dell’art 2043 c.c.

Con il secondo motivo di doglianza, per la parte ancora

di interesse (cfr pag 18-27 appello) gli appellanti

introducono inammissibilmente ex art 345 c.p.c. (cfr

Cass. Sez. I n 2080 del 14-2-2001: <<È domanda nuova, non

proponibile per la prima volta in appello ai sensi

dell’art. 345 cod. proc. civ., quella che alteri anche

uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale,

introducendo un petitum diverso e più ampio, oppure una

diversa causa petendi, fondata su situazioni giuridiche

non prospettate in primo grado ed in particolare su un

fatto giuridico costitutivo del diritto originariamente

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vantato, radicalmente diverso, sicché risulti inserito

nel processo un nuovo tema d’indagine; ne consegue che la

domanda di risarcimento di danni per responsabilità

contrattuale - essendo diversa da quella di risarcimento

di danni per responsabilità extracontrattuale perché

dipende da elementi di fatto diversi non solo per quanto

attiene all’accertamento della responsabilità ma anche

per quanto riguarda la determinazione dei danni - non può

essere proposta per la prima volta nel giudizio di

appello per ampliare l’originaria domanda di risarcimento

di danni per responsabilità extracontrattuale.>>) una

nuova causa petendi invocando a carico dell’appellata

Azienda sanitaria non più la sola responsabilità

extracontrattuale dedotta in primo grado, ma anche la

responsabilità contrattuale. L’operazione è tardiva

perché nel secondo grado del giudizio il preteso debitore

non può più difendersi offrendo la prova

dell’adempimento, ossia dello scrupoloso rispetto della

normativa primaria e secondaria ed in particolare

dell’esecuzione degli esami sul sangue imposti dai

protocolli del Ministero, fra i quali la ricerca delle

transaminasi, sicuramente obbligatoria nel 1982. Sotto

altro profilo di ammissibilità (ex art 342 c.p.c.) va

osservato che, per invocare il nuovo titolo di

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responsabilità (accennato per la prima volta nelle

memorie conclusive del primo grado), gli appellanti

avrebbero dovuto censurare l’omissione del Tribunale

sulla diversa qualificazione giuridica che il primo

giudice avrebbe potuto dare anche autonomamente sulla

base dei fatti prospettati, ovviamente nel rispetto del

contraddittorio fra le parti rimettendo la causa in

istruttoria. Di vero la motivazione della sentenza è

espressamente limitata all’unico titolo di responsabilità

tempestivamente dedotto dagli attori appellanti, i quali

non criticano espressamente questa presa di posizione del

Tribunale, ma si limitano a pretendere che sia il

debitore della prestazione sanitaria a fornire la prova

del proprio adempimento, invece il riparto dell’onere

probatorio è diverso perché spetta al danneggiato

dimostrare e non solo allegare la condotta colposa del

danneggiante.

E’ innegabile che il primo giudice abbia sancito

l’insuccesso della prova con argomenti non convincenti

siccome riferiti al notorio non dimostrato (efficienza

media dei centri italiani di raccolta e distribuzione del

sangue) e a considerazioni tratte da giurisprudenza di

legittimità non pertinente perché riguardante non il

singolo centro trasfusionale, ma l’obbligo di controllo

sui medesimi a carico del Ministero appellato. Tuttavia

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la contro argomentazione mossa dagli appellanti ne

condivide i medesimi vizi, presumendo da un notorio non

dimostrato che l’ospedale non abbia eseguito i controlli

sulle transaminasi e menzionando massime

giurisprudenziali altrettanto non pertinenti, perché

riguardano il nesso causale e non la condotta colposa

ovvero situazioni di responsabilità contrattuale. Solo in

un inciso (pag 25 penultimo cpv appello) della critica

gli appellanti invocano un elemento di prova documentale,

assumendo che in uno scritto (relazione dell’ospedale sui

donatori) parzialmente riprodotto nel provvedimento della

Commissione Medica Militare, la struttura sanitaria

avrebbe confessato la propria negligenza ammettendo di

conoscere <<a malapena>> il nome e cognome dei donatori.

La lettura della motivazione che accompagna la decisione

della Commissione citata riporta alcuni brani di una

relazione del servizio trasfusionale dai quali non è dato

trarre alcuna confessione, anzi dalla loro integrale

lettura traspare l’allegazione del corretto adempimento

all’obbligo di tracciabilità del sangue che si limita al

nome e cognome del donatore e non si estende ad altre

informazioni sul soggetto, secondo il principio enunciato

dalla stessa giurisprudenza di legittimità citata dagli

appellanti (Cass Sez III n. 7549 del 15-5-2012). Nel

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documento in esame (pag 3 doc 18 fasc. appellanti) nulla

viene detto sull’esecuzione delle indagini prescritte dal

Ministero sul singolo donatore ed in particolare se sia

stato effettuato o meno nel 1982 l’esame sulle

transaminasi sul donatore infetto, nominativamente

individuato a diciotto anni di distanza dal prelievo del

sangue destinato al A , ma si apprende un fatto che

assume valenza decisiva sulla prova controfattuale che

gli appellanti stessi ammettono di dover offrire.

Nell’ultima parte del brano della relazione, la sua

autrice illustra le modalità attraverso le quali è stato

individuato il donatore infetto nel 1991. In particolare,

la relatrice espone che, in occasione dell’ultimo

prelievo del donatore, il sangue aveva dato esiti

negativi all’esame sull’ALT e altre indagini ematiche, ma

era risultato positivo all’epatite proprio grazie ai

nuovi esami introdotti nel 1990 (anticorpi anti-HCV) più

specifici nell’individuazione di quella patologia

latente. Da questo fatto certo (negatività all’esame ALT)

nel 1991 può ritenersi molto più probabile che anche nel

1982 le indagini sulle transaminasi del donatore

avrebbero dato il medesimo risultato, anche tenuto conto

della minore sensibilità degli strumenti di ricerca di un

decennio anteriori. Questa apprezzabile certezza rende

superflua ogni questione sulla condotta della debitrice

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che se anche fosse stata diligente non avrebbe

consentito, con apprezzabile grado di probabilità in

relazione al caso concreto e non in astratto, di

disvelare il vizio occulto annidato nel sangue del

donatore.

L’insufficienza della prova sulla condotta negligente e

la prova controfattuale sfavorevole agli appellanti

impongono il rigetto dell’appello nel merito.

Alcuni profili della motivazione del Tribunale,

prevalentemente incentrata su aspetti giuridici astratti

e non sul caso concreto sottoposto dalle parti, sono tali

da giustificare l’impugnazione, tanto da lasciar ritenere

la sussistenza di una grave ragione per la compensazione

integrale delle spese del presente grado del giudizio fra

le parti.

P.Q.M.

La Corte definitivamente pronunciando nella causa

d’appello avverso la sentenza del Tribunale di Trieste n

329/13, promossa da A e B contro l’Azienda per i Servizi

Sanitari n. ..............”, la C s.p.a. e il Ministro

per la Salute ogni diversa istanza eccezione, deduzione

disattesa così decide:

a) rigetta l’appello proposto da A e B avverso la

sentenza del Tribunale di Trieste n 329/13, che per

l’effetto conferma in ogni sua parte;

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b) compensa integralmente fra le parti le spese del

presente grado del giudizio.

c) dichiara la sussistenza in capo agli appellanti A e

B dei requisiti per l’applicazione dell’art 13

comma 1 quater del DPR n 115/2002 introdotto dalla

L n 228 del 2012.

Così deciso nella camera di consiglio della seconda

sezione civile della Corte d’Appello di Trieste in

data 7-5-2014.

Il cons. est. Il Presidente

Vincenzo Colarieti Oliviero Drigani