CORTE DEI CONTI sent. n. 61/2016 · CORTE DEI CONTI sent. n. 61/2016 Sezione Giurisdizionale per la...
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CORTE DEI CONTI sent. n. 61/2016
Sezione Giurisdizionale per la regione Umbria
Composta dai magistrati:
Dott. Angelo CANALE Presidente, relatore
Dott. Fulvio LONGAVITA Consigliere
Dott.ssa Cristiana RONDONI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al numero 12185 del registro di
segreteria, nei confronti di
OTTAVIANI Gabriela, nata a Paciano (PG) il 21.12.1948, CF:
TTVGRL48T61G212S, elettivamente domiciliata in Perugia, Piazza
Piccinino 9, presso lo Studio degli avv.ti Mario RAMPINI (CF:
RMPMRA45E09G478Y), Federica PASERO (CF:
PSRFRC72A49D612J) e Lorena CHIACCHIERINI (CF:
CHCLRN69C42D653N), che la rappresentano e difendono, sia
congiuntamente, sia disgiuntamente.
Visto l’atto introduttivo del giudizio, iscritto al n. 12185 del registro di
segreteria della Sezione, e tutti gli atti e documenti della causa;
Uditi alla pubblica udienza del 25 maggio 2016, con l’assistenza del
segretario dott.ssa Paola Paternoster, il Relatore, nella persona del
Presidente dott. Angelo Canale; il Pubblico Ministero, nella persona del
Procuratore regionale dott. Antonio Giuseppone; gli avvocati Federica
Pasero e Mario Rampini per la convenuta.
Svolgimento del processo
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Con atto di citazione del 21 ottobre 2015, la Procura regionale ha citato
in giudizio la dott.ssa Gabriela Ottaviani, sopra generalizzata,
chiedendone la condanna al pagamento in favore del Ministero
dell’Economia e delle Finanze – Agenzia delle entrate – e del Ministero
della Giustizia della complessiva somma di euro 1.418.529,03, oltre
rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giustizia, queste
ultime a favore dello Stato.
A sostegno della domanda risarcitoria, la Procura regionale ha esposto
quanto segue.
1. Nel 2002 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di
Perugia apriva un procedimento penale nei confronti della nominata
Ottaviani e del coniuge Vinicio Donti.
Ai due coniugi si contestava di essersi appropriati di ingenti somme di
denaro facenti parte di procedure concorsuali gestite dalla Ottaviani,
nella qualità di curatore fallimentare.
In data 17 giugno 2002 nei confronti degli indagati Ottaviani e Donti
veniva disposta l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. In data 6
maggio 2004 veniva emesso dalla Procura della Repubblica di Perugia
avviso di conclusione indagini e il 10 giugno 2004 era formalizzata la
richiesta di rinvio a giudizio. Nell’instaurato procedimento penale (che
acquisiva il numero 6686/04 RGNR-4890/04 RG GIP) si costituivano
parte civile la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della
Giustizia, il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate. Detto
procedimento si concludeva in primo grado con la sentenza del G.U.P.
Tribunale di Perugia n. 91/05 depositata il 25 ottobre 2005 con cui gli
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imputati (con particolare riferimento alla Ottaviani, curatore fallimentare
presso il Tribunale di Perugia) venivano condannati a sei anni di
reclusione per peculato (art. 314 c.p.), falsità materiale commessa da
pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 476 c.p.), falsità materiale
commessa da privato (art. 482 c.p.) uso abusivo di sigilli e strumenti
veri (art. 471 c.p.) .
Precisa la Procura attrice che dalla sentenza di primo grado emergeva
che la Ottaviani, con la complicità del marito avv. Donti, si era
appropriata (in un periodo di tempo piuttosto prolungato e comunque
protratto per almeno un decennio fino al maggio 2002) di ingenti
somme di denaro delle quali la Ottaviani aveva il possesso per ragione
del suo ufficio di curatore a seguito della nomina ricevuta dai magistrati
del Tribunale fallimentare di Perugia. L’ammontare delle somme
sottratte, relativo a più procedure fallimentari, ammontava a L.
10.951.997.760 (pari a €. 5.656.234,00). Nella medesima sentenza
veniva riconosciuto il risarcimento danni alle parti civili costituite, da
liquidarsi in separato giudizio, prevedendo nel contempo una
provvisionale immediatamente esecutiva in favore del Ministero delle
Finanze e dell’Agenzia delle Entrate per €. 50.000,00.
A seguito dell’impugnazione della sentenza da parte degli imputati, la
Corte d’Appello di Perugia, con sentenza n. 577/2007 depositata il 20
settembre 2007 riformava parzialmente la sentenza di primo grado
soltanto per le condotte di falsità ed uso abusivo di sigillo posti in
essere dagli imputati sino all’11.12.1999 per essere i relativi reati estinti
per intervenuta prescrizione; dichiarava di non doversi procedere nei
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confronti degli imputati per le condotte di peculato poste in essere sino
all’11.12.1994, per essere i relativi reati estinti per intervenuta
prescrizione; e per l’effetto, rideterminava la pena in anni 5 e mesi 6 di
reclusione per ciascun imputato. Confermava per il resto la sentenza
di primo grado.
A seguito di ricorso degli imputati, la Corte di Cassazione, con
sentenza n. 5447 depositata l’11 febbraio 2010, accoglieva il gravame
limitatamente ad alcuni episodi qualificati nella sentenza d’appello
come peculato anziché truffa aggravata (con particolare riferimento
agli episodi appropriativi realizzati attraverso l’utilizzazione fraudolenta
di mandati di pagamento falsificati e in apparenza provenienti
dall’ufficio del giudice delegato al fallimento). Secondo la Suprema
Corte, detti episodi andavano qualificati quale “truffa aggravata ai sensi
dell’art. 61 n. 7 e n. 9 c.p. e non di peculato, essendo difettato negli
agenti il preventivo possesso legittimo (o disponibilità) delle somme di
denaro, il cui impossessamento truffaldino, invece, ha coinciso con
l’appropriazione per profitto personale”. Pertanto, la Cassazione
annullava la sentenza impugnata sul punto e disponeva il rinvio alla
Corte d’Appello di Firenze per la rideterminazione della pena che
andava rimodulata tenendo conto della pena prevista per il reato di
truffa aggravata.
Peraltro, nella stessa sentenza la Cassazione affermava che “rimane
logicamente ferma la inquadrabilità nel paradigma del peculato di
quelle condotte appropriative di denaro e di titoli del fallimento detenuti
direttamente e legittimamente dalla Ottaviani per ragione del suo ufficio
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e non depositati su conti correnti bancari o postali vincolati
all’autorizzazione del giudice”, non avendo pregio, al riguardo,
l’argomentazione della Ottaviani che aveva tentato di ricondurre tali
ulteriori ipotesi di peculato nella fattispecie di reato di cui all’art. 230
L.F..
La Procura attrice, al riguardo, segnalava, a titolo di esempio di
appropriazione diretta da parte della dott.ssa Ottaviani, gli episodi
riportati nella sentenza del Tribunale di Perugia n. 91/05, di sottrazione
della somma di L. 1.432.074.000 e di L. 27.000.000, di pertinenza,
rispettivamente, del fallimento ICAP s.p.a. e Valigi s.p.a..
Nel primo caso – aggiungeva l’attrice - il ricavato della vendita di tre
immobili siti uno in Milano e gli altri due in Assisi “risulta essere stato
prelevato dai libretti postali e non versato nei libretti del Fallimento
bensì riversato in assegni intestati al curatore del Fallimento dott.
Ottaviani”.
Nel secondo caso, l’assegno n. 57412518 di L. 27.000.000 emesso il
6 dicembre 1999 dalla società “Villa Donini s.r.l.” di San Martino in
Campo (PG) a favore del fallimento Valigi s.p.a. era risultato riversato
dalla dott.ssa Ottaviani sul proprio conto corrente personale n. 16803/4
anziché essere riversato sui conti del fallimento Valigi s.p.a..
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 799 depositata il 7 aprile
2011 rideterminava, come richiestole dalla Cassazione, la pena, per le
condotte riqualificate come truffa aggravata, in anni quattro di
reclusione.
Successivamente, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1485/12
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depositata il 4 luglio 2012, respingeva l’ulteriore ricorso presentato dai
due imputati.
In particolare, con riferimento al primo e al secondo motivo di ricorso
proposto dal Dotti e al terzo motivo di ricorso proposto dalla Ottaviani
( con i quali motivi i ricorrenti, in sintesi , lamentavano la mancata
declaratoria dell’intervenuta prescrizione per i delitti di truffa) , la
Cassazione precisava che “in caso di annullamento parziale della
sentenza, qualora siano rimesse al giudice del rinvio le questioni
relative al riconoscimento delle attenuanti generiche e alla
determinazione della pena, il giudicato formatosi sull’accertamento del
reato e della responsabilità impedisce la declaratoria di estinzione del
reato per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia d’annullamento”.
Da tale enunciato la Procura ha argomentato che sono restate ferme
“le ipotesi di peculato accertate nelle sentenze penali nei confronti della
Ottaviani”.
2. Per quanto riguarda i danni erariali emergenti dalle vicende
penalmente accertate, la Procura ha fatto riferimento a due distinte
poste di danno.
Sotto il profilo del danno patrimoniale diretto, l’Attrice, dopo aver
ribadito che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero
dell’Economia e Finanze e l’Agenzia delle Entrate si erano costituite
parte civile nel processo penale in questione, definito da ultimo –
secondo la prospettazione della Procura regionale - con la sentenza
della Corte di Cassazione n. 1485/2012, ottenendo in primo grado una
provvisionale di €. 50.000,00 in favore del Ministero della Giustizia e
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dell’Agenzia delle Entrate, lo ha ravvisato nei crediti erariali restati
insoddisfatti e connessi alla procedure fallimentari affidati alla
Ottaviani, nelle quali si erano registrate le illecite appropriazioni e/o
distrazioni di denaro.
Nello specifico, il Requirente, in sede istruttoria, faceva riferimento ad
una nota dell’Agenzia delle entrate (nota prot. n. 2003/1836 del
30.1.2003, inviata all’Avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia, agli
atti del giudizio) nella quale si comunicavano quale danno gli importi
dei crediti erariali (imposta di registro, Invim, Irpeg, IVA, Imposta di
registro straordinaria) insinuati e ammessi nelle procedure fallimentari
aperte ed affidate alla dott.ssa Gabriela Ottaviani, alcune delle quali
richiamate nel procedimento penale poiché nel loro ambito erano
avvenute le condotte appropriative di somme di pertinenza delle
procedure stesse. La sommatoria di detti crediti erariali, relativi alle
procedure fallimentari Valigi S.p.A., Salumificio di Bettona s.r.l., ICAP
S.p.A. (richiamate nelle sentenze penali) ammontava all’esito dei primi
accertamenti svolti dalla Procura regionale a €. 955.272,70.
Tale importo, secondo la Procura attrice, costituiva danno erariale
poiché “in conseguenza delle condotte fraudolente della dott.ssa
Ottaviani che ha operato ingentissime appropriazioni di denaro dalle
somme di pertinenza delle procedura concorsuali in questione, sarà
ben difficile che possano essere realizzate dall’Erario, pure insinuatosi
nelle procedure stesse”.
Successivamente, a seguito di aggiornamenti richiesti all’Agenzia delle
entrate (resi con nota prot. n. 10676 del 4 settembre 2015), tale voce
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di danno era rideterminata in euro 818.529,03.
Era infatti emerso, da tali aggiornamenti, che il fallimento Valigi S.p.A.,
risultava chiuso con decreto del Tribunale di Perugia del 17.8.2015 e
non erano state assegnate somme all’Erario. Il debito residuo
ammontava ad €. 435.813,43.
Relativamente al fallimento Salumificio di Bettona s.r.l. l’Agenzia
comunicava che la curatela aveva proceduto ad alcuni riparti parziali
in cui c’era stata una capienza complessiva dei crediti erariali in
ragione della graduazione del privilegio per €. 774.449,84 con
pagamenti effettuati nel periodo 2010-2013. Restavano ancora da
recuperare €. 130.387,78 e la procedura risultava ancora aperta.
Infine per quanto concerne il fallimento ICAP S.p.A. la procedura non
risultava ancora chiusa e il debito residuo verso l’Erario ammontava a
€. 252.327,82.
In relazioni a tali aggiornamenti, come detto, la Procura attrice ha
rideterminato il danno erariale attuale in euro 818.529,03.
3. Ancora, con riferimento al danno diretto, come sopra
rideterminato, il Requirente ha fatto riferimento alle statuizioni delle
sentenze penali e agli accertamenti peritali sulle quali si sono basati i
giudici penali, dai quali sono emersi, senza ombra di dubbio, reiterati
appropriamenti illeciti posti in essere dalla Ottaviani, in danno delle
procedure fallimentari (e dei crediti erariali connessi).
In particolare la Procura ha richiamato diffusamente in citazione le
relazioni tecniche dei C.T.U. nominati dal p.m. penale (dott. G. Boer e
M. Toso; dott. O. Carli; dott. V. Antonelli e R. D’Alessio; prof. M. Conti).
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Alle conclusioni dei detti consulenti ha fatto peraltro riferimento la Corte
di Appello di Perugia, nel ritenere le conclusioni dei “convergenti e
documentati accertamenti, approfonditamente compiuti, anche in
tempi diversi, dai vari consulenti del P.M. Toso-Boer, Antonelli-
D’Alessio e Carli, il quale ultimo ha particolarmente curato la parte
<bancaria>, comprendente la disamina dei conti personali o comunque
riferibili agli imputati ed i flussi di danaro verso essi”.
Non rilevano poi, per la Procura attrice, le iniziative poste in essere
dall’attuale curatore fallimentare (subentrato alla Ottaviani) che, se
hanno avuto positivi riscontri per taluni creditori privilegiati, non hanno
invece avuto effetti recuperatori nei confronti dei crediti erariali.
In particolare, non rileva che il curatore “si sia costituito parte civile nel
procedimento penale soltanto per i fallimenti ICAP s.p.a. e Salumificio
di Bettona s.r.l. e né che lo stesso abbia ottenuto in restituzione da
alcuni istituti di credito (per omessi controlli) le somme ritenute frutto
delle appropriazioni illecite da parte della dott.ssa Ottaviani, ancorché
in misura inferiore rispetto a quelle risultanti dalle C.T.U. espletate nel
procedimento penale. Difatti, essendosi concluso detto procedimento
con una sentenza di condanna della dott.ssa Ottaviani e dell’avv. Donti,
la stessa ex art. 651 c.p.p. ha efficacia di giudicato nel giudizio di
responsabilità amministrativa quanto all’accertamento della
sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che
l’imputata lo ha commesso. Da ciò ne consegue che la circostanza che
i fatti materiali connessi agli accertati prelevamenti illeciti (sussunti, a
seconda delle modalità, nella truffa ex art. 640 c.p. o nel peculato ex
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art. 314 c.p.) siano realmente avvenuti e che gli stessi siano ascrivibili
alla dott.ssa Ottaviani non può più essere messa in discussione. La
circostanza poi che alcuni di questi episodi (con particolare riferimento
alle apprensioni di denaro utilizzando falsi mandati di pagamento
predisposti dalla Ottaviani e dal Donti) siano stati inquadrati nel reato
di truffa anziché in quello di peculato, non sposta i termini della
questione”.
4. Altra posta di danno – aggiunge la Procura – è costituita dal
danno all’immagine dell’Amministrazione della Giustizia, dipeso dal
comportamento doloso della dott.ssa Gabriela Ottaviani, nella qualità
di curatore fallimentare presso il Tribunale di Perugia.
Il Requirente, relativamente al danno d’immagine, ha ritenuto che
necessariamente debba farsi riferimento alla valutazione equitativa ex
art. 1226 c.c., quantificandolo in euro 600.000 “considerando le
condotte dolosamente appropriative protrattesi per almeno un
decennio ed applicando i parametri oggettivi, soggettivi e sociali
determinati dalla giurisprudenza della Corte dei conti”.
Relativamente al contesto danno d’immagine, la Procura nell’atto di
citazione ha argomentato che, contrariamente a quanto sostenuto
dalla convenuta in sede di audizione personale, il giudice penale ha
condannato la Ottaviani, con sentenza passata in giudicato, per
episodi qualificati come peculato, con ciò integrandosi la fattispecie di
danno ex art. 17, comma 30ter, D.L. n. 78/2009.
Nel dettaglio, la Procura, nel ricostruire la vicenda del procedimento
penale, dipanatasi attraverso ben cinque processi (uno di primo grado,
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due di appello e due davanti alla Cassazione), ha evidenziato che:
- in primo grado la Ottaviani era stata condannata a sei anni di
reclusione, oltre che per altri reati, anche per episodi di peculato;
- in grado di appello, davanti alla Corte di appello di Perugia, tra le
altre statuizioni, era stata dichiarata la prescrizione degli episodi di
peculato commessi anteriormente all11.12.1994;
- a seguito di ricorsi per cassazione, la Corte suprema (sentenza 5447
dell’11 febbraio 2010, aveva qualificato le appropriazioni di denaro dei
fallimenti realizzate attraverso la falsificazione dei mandati come truffe
aggravate (e non come reati di peculato), annullando la sentenza di
appello in punto di determinazione delle pene, rinviando per nuovo
giudizio , in relazione a tale specifico incombente, alla Corte di Appello
di Firenze; nella circostanza il Supremo giudice aveva altresì precisato
che l’annullamento con rinvio riguardava soltanto i reati realizzati
mediante l’utilizzo di mandati di pagamento falsificati, mentre ““rimane
logicamente ferma la inquadrabilità nel paradigma del peculato di
quelle condotte appropriative di denaro e di titoli del fallimento detenuti
direttamente e legittimamente dalla Ottaviani per ragione del suo ufficio
e non depositati su conti correnti bancari o postali vincolati
all’autorizzazione del giudice”;
- la Corte di Appello di Firenze, con sentenza 7.3.2011, quale giudice
di rinvio, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva
rideterminato la pena degli imputati Ottaviani e Donti, riducendola a 4
anni di reclusione, di cui 3 condonati ai sensi della L.241/2006; oltre
condanna patrimoniale a favore delle parti civili costituite;
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- a seguito di ricorsi per Cassazione, la suprema Corte, nel rigettarli,
aveva ulteriormente ribadito quanto già affermato dalla stessa Corte
con la sentenza n.5447 2010 relativamente all’inquadrabilità nel reato
di truffa delle sole appropriazioni realizzate attraverso la falsificazione
dei mandati.
All’esito del procedimento penale, secondo la Procura, è pertanto
risultato che le condotte appropriative di somme non coperte dalla
declaratoria di prescrizione della sentenza della Corte d’Appello di
Perugia n. 577/2007 (poiché realizzate dopo l’11.12.1994) ed avvenute
non con la produzione di falsi mandati di pagamento, sono restano
inquadrate nel reato di peculato già accertato dalle predette sentenze
di primo e secondo grado.
In citazione, poi, la Procura ha esplicitato le condotte in questione,
significando che “Fin dall’invito a dedurre sono stati indicati come
esempi di appropriazione di somme senza l’utilizzo di falsi mandati di
pagamento, la sottrazione della somma di L. 1.432.074.000 e di L.
27.000.000 di pertinenza, rispettivamente, del fallimento ICAP s.p.a. e
Valigi s.p.a., non coperti dalla prescrizione del reato di peculato poiché
avvenuti dopo l’11.12.1994. Nel primo caso, difatti, il ricavato della
vendita di tre immobili siti uno in Milano e gli altri due in Assisi “risulta
essere stato prelevato dai libretti postali e non versato nei libretti del
Fallimento bensì riversato in assegni intestati al curatore del Fallimento
dott. Ottaviani”. Tali fatti risultano avvenuti il 4 maggio 1999, data di
estinzione di due depositi titoli presso il Monte dei Paschi di Siena, Ag.
4 di Perugia, prelevati e oggetto di appropriazione a seguito del
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versamento nel conto personale dell’avv. Donti (cfr. CTU Boer/Toso,
pag. 10).
Riguardo all’assegno n. 57412518 di L. 27.000.000 emesso il 6
dicembre 1999 dalla Villa Donini s.r.l. di San Martino in Campo (PG) a
favore del fallimento Valigi s.p.a., il riversamento sul conto corrente
intestato alla dott.ssa Ottaviani è avvenuto il 6 dicembre 1999.
A ciò vanno aggiunti altri episodi di prelevamenti diretti dai conti del
fallimento ICAP s.p.a., tutti avvenuti dopo l’11.12.1994, spartiacque
della prescrizione del reato di peculato (cfr. pag. 12 e segg. relazione
finale Boer/Toso: L. 285 milioni prelevati dalla dott.ssa Ottaviani il
26.5.1998 e destinati al conto personale dell’avv. Donti; L. 185 milioni
prelevati il 27.7.1998 dalla dott.ssa Ottaviani e girati sul conto dell’avv.
Donti; L. 252 milioni prelevati il 26.10.1998 dalla dott.ssa Ottaviani e
girati sul conto personale dell’avv. Donti; L. 380 milioni prelevati il
15.1.1999 dalla dott.ssa Ottaviani e girati sul conto personale dell’avv.
Donti; L. 95 milioni prelevati il 3.4.2001 dalla dott.ssa Ottaviani e girati
sul conto personale dell’avv. Donti).Stesso discorso deve farsi per i 3
prelevamenti effettuati sul libretto di deposito del fallimento Salumificio
di Bettona s.r.l. per L. 135 milioni, L. 153milioni763mila, L.
164milioni500mila, operati dalla dott.ssa Ottaviani rispettivamente il
10.5.2001, 5.9.2001, 11.10.2001 e girati sul conto personale dell’avv.
Donti (cfr. pag. 14 relazione Boer/Toso)”.
In conclusione, la Procura, avuto riguardo alla pronuncia definitiva di
condanna per molteplici episodi di peculato, severamente stigmatizzati
dal giudice penale nelle varie sentenze di primo e secondo grado, ha
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ritenuto realizzate le condizioni per l’applicazione dell’art. 17, comma
30ter, D.L. n. 78/2009 e conseguentemente per l’esercizio dell’azione
erariale di responsabilità per il danno d’immagine sofferto
dall’Amministrazione della Giustizia. A tal riguardo l’Attrice ha
depositato numerosi articoli di stampa comprovanti il clamor fori che la
vicenda aveva avuto.
5. Sotto il profilo soggettivo, la Procura ha fatto riferimento in primo
luogo alla qualità di curatore fallimentare della convenuta e al
conseguente rapporto di servizio instauratosi tra la predetta e
l’Amministrazione della Giustizia (ex multis, Sez.I centrale
n.542/2014/A). In merito poi all’elemento psicologico, le condotte
criminose poste in essere dalla Ottaviani (e dal Donti), protrattesi per
oltre un decennio, sono state qualificate come dolose con sentenza
penale passata in giudicato, con accenti che hanno evidenziato la loro
particolare gravità. In particolare nella sentenza del Tribunale di
Perugia (n. 91/2005) si afferma che “estremamente gravi sono dunque
i fatti di reato come accertati nei confronti di entrambi gli imputati, a
fronte delle considerazioni ed allegazioni difensive che non hanno
scalfito tale gravità, se si considera che gli stessi hanno
indiscutibilmente posto in essere in concorso tra loro una condotta
protratta per anni approfittando della fiducia riposta in entrambi sia
dagli Istituti di Credito….e per Ottaviani Gabriela quale curatore
nominato dal Tribunale, da parte dell’Autorità Giudiziaria che
nell’emanare direttive nel corso degli anni sulla corretta gestione delle
procedure fallimentari, continuava ad affidare alla stessa gli incarichi di
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gestire e curare i patrimoni delle predette procedure fallimentari,
nell’unico interesse tutelato dalla legge”.
6. Con memoria depositata il 5 maggio 2016 nell’interesse di
Gabriela Ottaviani, gli avvocati Rampini, Chiacchierini e Pasero hanno
sviluppato le argomentazioni difensive. In particolare hanno dedotto:
a) insussistenza dell’elemento oggettivo: in proposito la difesa ha
esposto che delle tre procedure fallimentari in relazione alle quali si è
determinato il danno erariale diretto contestato alla Ottaviani, due non
risultano ancora definite (fallimenti Salumificio di Bettona srl e Icap
spa). Da ciò consegue il carattere al momento solo “eventuale” del
danno contestato.
Infatti, solo all’esito delle suddette procedure fallimentari potranno
emergere, con carattere di certezza, i crediti erariali (per INVIM,
Imposta di registro, Irpeg, Iva, etc.) rimasti insoddisfatti. In sostanza,
solo nel momento in cui interverrà il decreto di chiusura dei fallimenti
in questione, potrà ritenersi effettivo e attuale il pregiudizio erariale.
Relativamente all’unica procedura definita (fallimento Valigi S.p.A.), la
difesa evidenzia che non sarebbe stato accertato alcun ammanco di
denaro imputabile alla dott.ssa Ottaviani.
In realtà, a proposito di tale procedura, la Procura ha fatto riferimento
esclusivamente ad un assegno di lire27milioni, che la Ottaviani aveva
versato sul proprio conto corrente, anzichè sul deposito intestato al
Fallimento Valigi S.p.A.
In proposito la difesa, anche sulla base delle dichiarazioni rese al
Requirente dal dott. Maggesi – il curatore subentrato alla Ottaviani-
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sottolinea come la somma in questione sarebbe stata interamente
recuperata; lo stesso versamento sul conto corrente personale della
Ottaviani dovrebbe qualificarsi, secondo il Maggesi, alla stregua di
una irregolarità formale e non sostanziale, tenuto conto che la somma
in questione era stata comunque poi utilizzata per le spese
conseguenti alla compravendita di un immobile in deposito al curatore
Ottaviani.
b) insussistenza del nesso di causalità:
b.1.) quanto al Fallimento Salumificio di Bettona, la difesa – sulla base
di una nota del 26 aprile 2016 dell’attuale curatore - eccepisce che le
somme risultanti mancanti dal conto della suddetta procedura sono
state interamente recuperate a seguito dell’azione giudiziaria intentata
nei confronti della banca ritenuta solidalmente responsabile. Il credito
privilegiato vantato dall’Agenzia delle entrate è stato interamente
soddisfatto, mentre il credito chirografario (per euro 301.654,83) è
stato soddisfatto nella percentuale del 2,53%. Sostiene la difesa che,
ove la procedura dovesse essere definita senza poter giungere a
soddisfare tutti i creditori chirografari, tale mancato soddisfacimento
non potrebbe essere ritenuto conseguenza della condotta della
Ottaviani, ma della oggettiva incapienza dell’attivo fallimentare.
b.2) quanto al Fallimento ICAP: la difesa eccepisce che le azioni
revocatorie poste in essere dall’attuale curatela hanno portato al
recupero di euro 3.173.710,94, rispetto ad un ammanco a suo tempo
stimato in euro 3.791.909,85. Quanto all’importo di euro 245.317,03,
depositato in un conto presso MPS, il giudizio civile risulta ancora
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pendente (anche se nei primi due gradi di giudizio il MPS è stato già
soccombente). Relativamente al residuo importo (euro 372.881,88),
prelevato dal conto del Fallimento ICAP presso la Banca Toscana, la
difesa, sulla base delle informazioni acquisite dal dott. Maggesi,
rappresenta che il giudizio civile, finalizzato al recupero dalla Banca,
del suddetto importo si definito in primo grado, con esito favorevole per
il Fallimento. Al momento pende giudizio di appello, davanti alla C. A.
di Perugia. In conclusione, la difesa, secondo le previsioni dello stesso
dott. Maggesi, ritine che il credito erariale privilegiato sarà comunque
integralmente soddisfatto, atteso il già avvenuto accantonamento delle
somme occorrenti. Il credito chirografario, invece, per circa 5.000 euro,
verrà risarcito in parte, ma ciò, stando alle argomentazioni difensive,
dipenderà dalla fisiologica incapienza dell’attivo fallimentare e non
dalle illecite sottrazioni, tutte integralmente recuperate.
c) inammissibilità della domanda, con riferimento al danno d’immagine.
In proposito la difesa rileva che la Ottaviani è stata condannata per il
reato di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640 c.p.
Il reato in questione non è uno di quei delitti di cui al Capo I del Titolo
II del Libro secondo del C.P. per i quali, e solo per i quali, è possibile
configurare l’azione erariale risarcitoria ai sensi dell’art. 17 comma
30ter del d.l. 78/2009 e successive mm e ii.
In conclusione, secondo la difesa, nessune delle illecite condotte
appropriative per le quali la Ottaviani è stata condannata ha integrato
la fattispecie del peculato.
d) in via subordinata, la prescrizione: l’eccezione è formulata con
18
riferimento alla circostanza che la condotta antigiuridica della
convenuta è stata oggetto di accertamento definitivo in punto di fatto
con la sentenza della Corte di Appello di Perugia dellì11 giugno 2007.
In sostanza la difesa, dopo aver eccepito che comunque la
costituzione di parte civile dell’Agenzia delle entrate nel processo
penale non avrebbe potuto avere effetto sospensivo della prescrizione
dell’azione risarcitoria erariale stante la diversità ontologica e
sostanziale delle due azioni (civile e di responsabilità erariale), ha
argomentato che a tutto concedere (cioè a ritenere l’effetto sospensivo
anche sulla prescrizione dell’azione risarcitoria erariale della
costituzione della parte civile da parte dell’Agenzia delle entrate) resta
fermo che la C.A. di Perugia, con la propria sentenza del 2007, aveva
definitivamente accertato il fatto e la responsabilità della Ottaviani. Tale
accertamento non era stato inciso in alcun modo dalla sentenza della
Cassazione del 2009/2010 e tuttavia – prosegue la difesa - anche a
voler ancorare il momento della definitività e irretrattabilità a
quest’ultima sentenza, è eccepita comunque la prescrizione, per il
decorso del termine quinquennale di prescrizione.
Le successive sentenze (quella pronunciata dalla C.A. di Firenze e
quella della Corte di Cassazione del 2012) avevano riguardato solo il
tema della pena da applicare, dando per irrevocabilmente accertati con
le precedenti sentenze i fatti costituenti reato e la responsabilità dei
ricorrenti.
7. Il giudizio è pervenuto all’udienza del 25 maggio 2016. Nel corso
della discussione il Procuratore regionale ha confermato l’impianto
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accusatorio, ribadendo la richiesta di condanna della dott.ssa
Ottaviani, al pagamento della somma di euro 1.418.529,03, oltre
rivalutazione, interessi e spese di giustizia.
Anche la difesa - dapprima l’avv. Pasero e poi l’avv. Rampini - ha
confermato la linea difensiva in dettaglio esposto nell’atto scritto (del
quale si è sopra dato ampio conto); in particolare sostenendo che in
relazione ai fatti dedotti in giudizio (di cui ai fallimenti Valigi, Salumificio
Bettone e ICAP) non vi sarebbe alcuna condanna per peculato. E’
ribadita in ogni caso l’eccezione di prescrizione, con le medesime
argomentazioni sviluppate nella memoria difensiva.
All’esito degli interventi orali, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
8. La difesa della convenuta ha contestato nel merito la fondatezza
della domanda attorea, proponendo altresi, ma in via subordinata,
anche l’eccezione di prescrizione.
Il Collegio osserva che ai sensi dell’art. 276, 2° comma del c.p.c. , la
decisione delle questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili
d’ufficio dovrebbe precedere l’esame del merito della causa. La
ragione di una tale prescrizione (alla quale si conforma la
giurisprudenza delle sezioni d’appello di questa Corte, ved. II Sezione
centrale d’appello n.343/2011) risiede non solo nella necessità di
rispettare un ordine logico di trattazione, ma anche in esigenze di
economia processuale alle quali si connette il principio della
ragionevole durata del processo. Ed infatti l’immediata decisione di una
questione pregiudiziale potrebbe comportare l’assorbimento di altre
20
questioni, pregiudiziali e di merito, con vantaggi in termini di celerità
del servizio giustizia.
In termini diversi, sarebbe invece “diseconomico”, anche in un’ottica
più generale e legata, in senso lato, all’amministrazione della giustizia,
soffermarsi ad affrontare questioni di merito ed eventualmente
pervenire ad una decisione che il successivo accoglimento di una
eccepita questione pregiudiziale renderebbe superflua.
Nel caso in esame, una classica pregiudiziale di merito, come la
prescrizione, è stata proposta in via subordinata, palesandosi in tal
modo un evidente interesse della convenuta ad una pronuncia di
merito: si tratta tuttavia di un interesse recessivo rispetto a quello, di
pubblico rilievo e con ancoraggio nell’art. 111 Cost., di definire in tempi
ragionevoli il processo nel rispetto delle esigenze di economia
processuale.
Ciò senza tenere conto che l’esame dell’eccezione di prescrizione
porta ad una valutazione che trascende nel merito, sia pure ai fini di
individuare il perimetro, e la stessa astratta sussistenza, del diritto del
quale è eccepita la prescrizione.
A tali argomentazioni si aggiunge la discrezionalità del Collegio
nell’individuare, nel rispetto del criterio generale dettato dall’art. 276,
2° comma del c.p.c., l’ordine di esame delle questioni da affrontare in
sentenza, senza essere vincolato dall’ordine delle eccezioni formulate
dalla parte convenuta.
9. Premesso quanto sopra, il Collegio, tuttavia, prima di
esaminare l’eccezione di prescrizione in conformità alla regola del più
21
volte richiamato art. 276 c.p.c., ritiene comunque che la pretesa attrice
sarebbe in astratto fondata, posto che relativamente al danno
d’immagine si sono certamente realizzate le condizioni per l’esercizio
della relativa azione, e in particolare la condanna per uno dei delitti (il
peculato) contro la P.A., come risulta dalle sentenze penali; mentre
relativamente al danno patrimoniale è certa la sussistenza di un
residuo insoddisfatto credito erariale per effetto dei comportamenti
criminosi posti in essere dalla convenuta, come emerge dagli atti e
documenti versati nel giudizio.
Ciò posto, pervenendo al tema della prescrizione, il Collegio ritiene che
la stessa debba essere affrontato distinguendo le due poste di danno
contestate alla convenuta: il danno d’immagine e il danno patrimoniale
diretto.
E ciò in considerazione della diversa natura e causa petendi delle due
fattispecie dannose.
Va detto che in citazione il Requirente, in relazione alla medesima
eccezione formulata a seguito dell’invito a dedurre, ha affrontato la
questione, ancorando il dies a quo della prescrizione alla sentenza
della Cassazione del 2012, ritenendo che solo dall’esito del complesso
procedimento penale, avviatosi nel lontano 2002, potesse decorrere il
termine prescrizionale per il danno d’immagine; mentre relativamente
al danno diretto, la Procura ha argomentato che la costituzione di parte
civile, risalente al giudizio penale di primo grado, avesse interrotto il
termine di prescrizione, sino alla definitiva conclusione del
procedimento penale, realizzatosi con la già menzionata sentenza
22
della Cassazione del 2012.
Il Collegio è di diverso avviso.
10. Com’è noto, e ribadito dalla Procura regionale, il
danno d’immagine è previsto dall’art. 17, comma 30-ter del
decreto legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito in legge 3 agosto
2009, n. 102 e modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1),
decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con
modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141).
Secondo la norma, “Le procure regionali della Corte dei
conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno
all'immagine subìto dall'amministrazione nei soli casi previsti
dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97.”
Il richiamato art. 7, legge 27 marzo 2001, n. 97 sancisce
a sua volta che “La sentenza irrevocabile di condanna
pronunciata nei confronti dei dipendenti … per i delitti contro la
pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro
secondo del codice penale è comunicata al competente
procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova
entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilità per
danno erariale nei confronti del condannato …”.
Premesso il riferito quadro normativo, ne deriva che
l’azione risarcitoria erariale per danno d’immagine è subordinata
alla circostanza che il dipendente sia stato condannato con
sentenza irrevocabile per i delitti contro la pubblica
amministrazione, previsti nel capo I del titolo II del libro secondo
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del Codice penale; ne deriva anche che il dies a quo dell’azione
risarcitoria per danno d’immagine coincide con il momento in cui
diventa irrevocabile la sentenza di condanna per uno dei menzionati
delitti.
Applicando le regole in questione alla fattispecie in esame,
occorre considerare se la Ottaviani sia stata irrevocabilmente
condannata per uno dei delitti contro la P.A. e individuare il momento
di inizio del termine prescrizionale per l’azione di responsabilità erariale
per danno d’immagine.
11. Dalle sentenze penali sopra menzionate si ricava che il
giudice di primo grado con sentenza n.91/05 condannò la convenuta a
sei anni di reclusione per i delitti di peculato e connessi reati minori,
oltre al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituite e al
pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva a favore
dell’Agenzia delle Entrate. In sede di appello, la Corte di Appello di
Perugia (sentenza n.577 del 2007), in riforma della sentenza di primo
grado, dichiarò la prescrizione per tutti gli episodi di peculato commessi
sino all’11 dicembre 1994, rideterminando in conseguenza la pena
inflitta alla Ottaviani in 5 anni e mesi sei di reclusione.
Successivamente, la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n.5447
de 4.11.2009, depositata l’11.2.2010), per quanto qui di interesse,
qualificava le appropriazioni di denaro dei fallimenti, realizzate
attraverso le falsificazioni dei mandati, come truffe aggravate e
annullava la sentenza impugnata (solo, ndr) in punto di determinazione
delle pene, rinviando per nuovo giudizio al riguardo alla Corte di
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Appello di Firenze. Restava ferma, come precisato dai supremi
giudici, “la inquadrabilità nel paradigma del peculato di quelle
condotte appropriative di denaro e di titoli del fallimento detenuti
direttamente e legittimamente dalla Ottaviani per ragione del
suo ufficio e non depositati su conti correnti bancari o postali
vincolati all’autorizzazione del giudice” : il riferimento era agli
episodi di diretta illecita appropriazione, da qualificarsi come
peculato, di somme di pertinenza dei Fallimenti ICAP e Valigi
S.p.A..
In sostanza, gli ulteriori passaggi della complessa vicenda penale (la
sentenza della C.A. di Firenze e la sentenza n. 25785/12 della
Cassazione) hanno riguardato solo il tema della determinazione della
pena per i fatti qualificati come truffa aggravata. Tant’è che la stessa
Cassazione, nella sentenza del 2012, ha tenuto a precisare che “in
caso di annullamento parziale della sentenza, qualora siano rimesse
al giudice del rinvio le questioni relative al riconoscimento delle
attenuanti generiche e alla determinazione della pena, il giudicato
formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità impedisce
la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta
alla pronunzia di annullamento”.
Ne consegue che per gli episodi appropriativi non qualificati come truffa
aggravata, perché realizzati senza l’utilizzo di mandati falsificati ma
attraverso la diretta e personale apprensione di somme di pertinenza
dei fallimenti (si tratta degli episodi di peculato riferiti ai Fallimenti ICAP
e Valigi S.p.A.), il giudicato si era già formato con la sentenza della
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Cassazione del febbraio 2010. In effetti, il giudicato si era formato
anche con riferimento agli episodi di truffa, con riferimento
all’accertamento del reato e della responsabilità.
In conclusione, con la sentenza della Cassazione del febbraio 2010,
che aveva determinato il giudicato sugli episodi accertati di peculato,
si era realizzata la condizione per l’esercizio dell’azione risarcitoria
erariale per il danno d’immagine: in astratto, pertanto, la domanda
risarcitoria per danno d’immagine era fondata.
Sennonchè, tenuto conto dell’eccezione di prescrizione formulata dalla
convenuta, considerato che l’invito a dedurre è stato notificato alla
Ottaviani oltre il termine quinquennale di prescrizione (il 14 agosto
2015), il Collegio deve dichiarare la prescrizione dell’azione risarcitoria.
12. A conclusioni non difformi si giunge anche per il danno c.d.
diretto. Ed infatti, posto che durante il corso del giudizio penale la
prescrizione era stata interrotta per effetto della costituzione di parte
civile delle pubbliche amministrazioni danneggiate, tale effetto
interruttivo deve ritenersi cessato, per le ragioni sopra esposte, nel
momento in cui l’accertamento del reato e la responsabilità della
Ottaviani sono stati oggetto di una sentenza irrevocabile.
Siffatto “momento” ha coinciso con il deposito della prima sentenza
della Cassazione, del febbraio 2010, e da quel momento ha iniziato a
decorrere la prescrizione quinquennale per l’azione di responsabilità
amministrativa. Considerando che l’invito a dedurre è stato notificato
il 14 agosto 2010, ne deriva che a quella data era decorso il termine
quinquennale di prescrizione.
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La tesi di considerare come termine iniziale della prescrizione la data
del deposito della seconda sentenza della Cassazione (del 2012) non
regge. E infatti tale sentenza, come quella della C.A. di Firenze, ha
riguardato solo la determinazione della pena e non quegli elementi
(accertamento del fatto e responsabilità) che lo stesso Supremo
Giudice ha ritenuto definitivamente accertati con la sua precedente
sentenza (del febbraio 2010).
Del resto, l’art. 651 c.p.p. ben chiarisce che nel giudizio civile o
amministrativo per le restituzioni o il risarcimento del danno, la
sentenza penale irrevocabile ha efficacia di giudicato “quanto
all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e
dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso” elementi questi che
erano certamente presenti nella sentenza n.5447/2010 della
Cassazione, come ben esplicitato nella successiva sentenza
n.25785/2012.
In conclusione, anche con riferimento all’azione risarcitoria per il danno
patrimoniale diretto, il Collegio ritiene maturata la prescrizione
quinquennale alla data di notifica (14 agosto 2015) dell’invito a dedurre.
L’accoglimento dell’eccezione di prescrizione , in considerazione del
suo carattere pregiudiziale ed assorbente, evita al Collegio, per ragioni
di economia processuale oltre quanto già osservato nell’incipit del
punto 9, di esaminare ulteriormente le argomentazioni difensive di
merito, ribadendosi tuttavia che la valutazione dell’eccezione di
prescrizione ha comunque comportato di necessità di approfondire i
profili di merito di alcuni aspetti della vicenda, come l’affermata
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esistenza dei requisiti (condanna irrevocabile per uno dei delitti contro
la P.A.) per l’esercizio del danno d’immagine.
Tutto ciò premesso, il Collegio, in presenza di una decisione che non
concretizza una pronuncia assolutoria di merito, ritiene - ex art. 10-bis
del d.l. n. 203/2005, convertito dalla l. n. 248/2010 – che non
sussistano le condizioni per provvedere in ordine alla spese legali della
parte convenuta (ex SS.RR. sent. n. 3-QM/2008).
Per Questi Motivi
la Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Umbria
dichiara
la prescrizione dell’azione risarcitoria promossa dalla Procura
regionale nei confronti della signora Ottaviani Gabriela nel giudizio di
responsabilità iscritto al numero 12185 del registro di segreteria.
Nulla per le spese di giustizia.
Manda alla Segreteria per gli ulteriori adempimenti.
Così deciso in Perugia, nelle Camere di Consiglio del 25/05 e 20/07
2016.
Il Presidente Estensore
f.to Angelo Canale
Depositata in Segreteria il giorno 01 settembre 2016
Il Direttore di segreteria
f.to Elvira Fucci