CORTE DEI CONTI sent. n. 61/2016 · CORTE DEI CONTI sent. n. 61/2016 Sezione Giurisdizionale per la...

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CORTE DEI CONTI sent. n. 61/2016 Sezione Giurisdizionale per la regione Umbria Composta dai magistrati: Dott. Angelo CANALE Presidente, relatore Dott. Fulvio LONGAVITA Consigliere Dott.ssa Cristiana RONDONI Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di responsabilità iscritto al numero 12185 del registro di segreteria, nei confronti di OTTAVIANI Gabriela, nata a Paciano (PG) il 21.12.1948, CF: TTVGRL48T61G212S, elettivamente domiciliata in Perugia, Piazza Piccinino 9, presso lo Studio degli avv.ti Mario RAMPINI (CF: RMPMRA45E09G478Y), Federica PASERO (CF: PSRFRC72A49D612J) e Lorena CHIACCHIERINI (CF: CHCLRN69C42D653N), che la rappresentano e difendono, sia congiuntamente, sia disgiuntamente. Visto l’atto introduttivo del giudizio, iscritto al n. 12185 del registro di segreteria della Sezione, e tutti gli atti e documenti della causa; Uditi alla pubblica udienza del 25 maggio 2016, con l’assistenza del segretario dott.ssa Paola Paternoster, il Relatore, nella persona del Presidente dott. Angelo Canale; il Pubblico Ministero, nella persona del Procuratore regionale dott. Antonio Giuseppone; gli avvocati Federica Pasero e Mario Rampini per la convenuta. Svolgimento del processo

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CORTE DEI CONTI sent. n. 61/2016

Sezione Giurisdizionale per la regione Umbria

Composta dai magistrati:

Dott. Angelo CANALE Presidente, relatore

Dott. Fulvio LONGAVITA Consigliere

Dott.ssa Cristiana RONDONI Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità iscritto al numero 12185 del registro di

segreteria, nei confronti di

OTTAVIANI Gabriela, nata a Paciano (PG) il 21.12.1948, CF:

TTVGRL48T61G212S, elettivamente domiciliata in Perugia, Piazza

Piccinino 9, presso lo Studio degli avv.ti Mario RAMPINI (CF:

RMPMRA45E09G478Y), Federica PASERO (CF:

PSRFRC72A49D612J) e Lorena CHIACCHIERINI (CF:

CHCLRN69C42D653N), che la rappresentano e difendono, sia

congiuntamente, sia disgiuntamente.

Visto l’atto introduttivo del giudizio, iscritto al n. 12185 del registro di

segreteria della Sezione, e tutti gli atti e documenti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 25 maggio 2016, con l’assistenza del

segretario dott.ssa Paola Paternoster, il Relatore, nella persona del

Presidente dott. Angelo Canale; il Pubblico Ministero, nella persona del

Procuratore regionale dott. Antonio Giuseppone; gli avvocati Federica

Pasero e Mario Rampini per la convenuta.

Svolgimento del processo

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Con atto di citazione del 21 ottobre 2015, la Procura regionale ha citato

in giudizio la dott.ssa Gabriela Ottaviani, sopra generalizzata,

chiedendone la condanna al pagamento in favore del Ministero

dell’Economia e delle Finanze – Agenzia delle entrate – e del Ministero

della Giustizia della complessiva somma di euro 1.418.529,03, oltre

rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giustizia, queste

ultime a favore dello Stato.

A sostegno della domanda risarcitoria, la Procura regionale ha esposto

quanto segue.

1. Nel 2002 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di

Perugia apriva un procedimento penale nei confronti della nominata

Ottaviani e del coniuge Vinicio Donti.

Ai due coniugi si contestava di essersi appropriati di ingenti somme di

denaro facenti parte di procedure concorsuali gestite dalla Ottaviani,

nella qualità di curatore fallimentare.

In data 17 giugno 2002 nei confronti degli indagati Ottaviani e Donti

veniva disposta l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. In data 6

maggio 2004 veniva emesso dalla Procura della Repubblica di Perugia

avviso di conclusione indagini e il 10 giugno 2004 era formalizzata la

richiesta di rinvio a giudizio. Nell’instaurato procedimento penale (che

acquisiva il numero 6686/04 RGNR-4890/04 RG GIP) si costituivano

parte civile la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della

Giustizia, il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate. Detto

procedimento si concludeva in primo grado con la sentenza del G.U.P.

Tribunale di Perugia n. 91/05 depositata il 25 ottobre 2005 con cui gli

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imputati (con particolare riferimento alla Ottaviani, curatore fallimentare

presso il Tribunale di Perugia) venivano condannati a sei anni di

reclusione per peculato (art. 314 c.p.), falsità materiale commessa da

pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 476 c.p.), falsità materiale

commessa da privato (art. 482 c.p.) uso abusivo di sigilli e strumenti

veri (art. 471 c.p.) .

Precisa la Procura attrice che dalla sentenza di primo grado emergeva

che la Ottaviani, con la complicità del marito avv. Donti, si era

appropriata (in un periodo di tempo piuttosto prolungato e comunque

protratto per almeno un decennio fino al maggio 2002) di ingenti

somme di denaro delle quali la Ottaviani aveva il possesso per ragione

del suo ufficio di curatore a seguito della nomina ricevuta dai magistrati

del Tribunale fallimentare di Perugia. L’ammontare delle somme

sottratte, relativo a più procedure fallimentari, ammontava a L.

10.951.997.760 (pari a €. 5.656.234,00). Nella medesima sentenza

veniva riconosciuto il risarcimento danni alle parti civili costituite, da

liquidarsi in separato giudizio, prevedendo nel contempo una

provvisionale immediatamente esecutiva in favore del Ministero delle

Finanze e dell’Agenzia delle Entrate per €. 50.000,00.

A seguito dell’impugnazione della sentenza da parte degli imputati, la

Corte d’Appello di Perugia, con sentenza n. 577/2007 depositata il 20

settembre 2007 riformava parzialmente la sentenza di primo grado

soltanto per le condotte di falsità ed uso abusivo di sigillo posti in

essere dagli imputati sino all’11.12.1999 per essere i relativi reati estinti

per intervenuta prescrizione; dichiarava di non doversi procedere nei

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confronti degli imputati per le condotte di peculato poste in essere sino

all’11.12.1994, per essere i relativi reati estinti per intervenuta

prescrizione; e per l’effetto, rideterminava la pena in anni 5 e mesi 6 di

reclusione per ciascun imputato. Confermava per il resto la sentenza

di primo grado.

A seguito di ricorso degli imputati, la Corte di Cassazione, con

sentenza n. 5447 depositata l’11 febbraio 2010, accoglieva il gravame

limitatamente ad alcuni episodi qualificati nella sentenza d’appello

come peculato anziché truffa aggravata (con particolare riferimento

agli episodi appropriativi realizzati attraverso l’utilizzazione fraudolenta

di mandati di pagamento falsificati e in apparenza provenienti

dall’ufficio del giudice delegato al fallimento). Secondo la Suprema

Corte, detti episodi andavano qualificati quale “truffa aggravata ai sensi

dell’art. 61 n. 7 e n. 9 c.p. e non di peculato, essendo difettato negli

agenti il preventivo possesso legittimo (o disponibilità) delle somme di

denaro, il cui impossessamento truffaldino, invece, ha coinciso con

l’appropriazione per profitto personale”. Pertanto, la Cassazione

annullava la sentenza impugnata sul punto e disponeva il rinvio alla

Corte d’Appello di Firenze per la rideterminazione della pena che

andava rimodulata tenendo conto della pena prevista per il reato di

truffa aggravata.

Peraltro, nella stessa sentenza la Cassazione affermava che “rimane

logicamente ferma la inquadrabilità nel paradigma del peculato di

quelle condotte appropriative di denaro e di titoli del fallimento detenuti

direttamente e legittimamente dalla Ottaviani per ragione del suo ufficio

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e non depositati su conti correnti bancari o postali vincolati

all’autorizzazione del giudice”, non avendo pregio, al riguardo,

l’argomentazione della Ottaviani che aveva tentato di ricondurre tali

ulteriori ipotesi di peculato nella fattispecie di reato di cui all’art. 230

L.F..

La Procura attrice, al riguardo, segnalava, a titolo di esempio di

appropriazione diretta da parte della dott.ssa Ottaviani, gli episodi

riportati nella sentenza del Tribunale di Perugia n. 91/05, di sottrazione

della somma di L. 1.432.074.000 e di L. 27.000.000, di pertinenza,

rispettivamente, del fallimento ICAP s.p.a. e Valigi s.p.a..

Nel primo caso – aggiungeva l’attrice - il ricavato della vendita di tre

immobili siti uno in Milano e gli altri due in Assisi “risulta essere stato

prelevato dai libretti postali e non versato nei libretti del Fallimento

bensì riversato in assegni intestati al curatore del Fallimento dott.

Ottaviani”.

Nel secondo caso, l’assegno n. 57412518 di L. 27.000.000 emesso il

6 dicembre 1999 dalla società “Villa Donini s.r.l.” di San Martino in

Campo (PG) a favore del fallimento Valigi s.p.a. era risultato riversato

dalla dott.ssa Ottaviani sul proprio conto corrente personale n. 16803/4

anziché essere riversato sui conti del fallimento Valigi s.p.a..

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 799 depositata il 7 aprile

2011 rideterminava, come richiestole dalla Cassazione, la pena, per le

condotte riqualificate come truffa aggravata, in anni quattro di

reclusione.

Successivamente, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1485/12

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depositata il 4 luglio 2012, respingeva l’ulteriore ricorso presentato dai

due imputati.

In particolare, con riferimento al primo e al secondo motivo di ricorso

proposto dal Dotti e al terzo motivo di ricorso proposto dalla Ottaviani

( con i quali motivi i ricorrenti, in sintesi , lamentavano la mancata

declaratoria dell’intervenuta prescrizione per i delitti di truffa) , la

Cassazione precisava che “in caso di annullamento parziale della

sentenza, qualora siano rimesse al giudice del rinvio le questioni

relative al riconoscimento delle attenuanti generiche e alla

determinazione della pena, il giudicato formatosi sull’accertamento del

reato e della responsabilità impedisce la declaratoria di estinzione del

reato per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia d’annullamento”.

Da tale enunciato la Procura ha argomentato che sono restate ferme

“le ipotesi di peculato accertate nelle sentenze penali nei confronti della

Ottaviani”.

2. Per quanto riguarda i danni erariali emergenti dalle vicende

penalmente accertate, la Procura ha fatto riferimento a due distinte

poste di danno.

Sotto il profilo del danno patrimoniale diretto, l’Attrice, dopo aver

ribadito che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero

dell’Economia e Finanze e l’Agenzia delle Entrate si erano costituite

parte civile nel processo penale in questione, definito da ultimo –

secondo la prospettazione della Procura regionale - con la sentenza

della Corte di Cassazione n. 1485/2012, ottenendo in primo grado una

provvisionale di €. 50.000,00 in favore del Ministero della Giustizia e

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dell’Agenzia delle Entrate, lo ha ravvisato nei crediti erariali restati

insoddisfatti e connessi alla procedure fallimentari affidati alla

Ottaviani, nelle quali si erano registrate le illecite appropriazioni e/o

distrazioni di denaro.

Nello specifico, il Requirente, in sede istruttoria, faceva riferimento ad

una nota dell’Agenzia delle entrate (nota prot. n. 2003/1836 del

30.1.2003, inviata all’Avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia, agli

atti del giudizio) nella quale si comunicavano quale danno gli importi

dei crediti erariali (imposta di registro, Invim, Irpeg, IVA, Imposta di

registro straordinaria) insinuati e ammessi nelle procedure fallimentari

aperte ed affidate alla dott.ssa Gabriela Ottaviani, alcune delle quali

richiamate nel procedimento penale poiché nel loro ambito erano

avvenute le condotte appropriative di somme di pertinenza delle

procedure stesse. La sommatoria di detti crediti erariali, relativi alle

procedure fallimentari Valigi S.p.A., Salumificio di Bettona s.r.l., ICAP

S.p.A. (richiamate nelle sentenze penali) ammontava all’esito dei primi

accertamenti svolti dalla Procura regionale a €. 955.272,70.

Tale importo, secondo la Procura attrice, costituiva danno erariale

poiché “in conseguenza delle condotte fraudolente della dott.ssa

Ottaviani che ha operato ingentissime appropriazioni di denaro dalle

somme di pertinenza delle procedura concorsuali in questione, sarà

ben difficile che possano essere realizzate dall’Erario, pure insinuatosi

nelle procedure stesse”.

Successivamente, a seguito di aggiornamenti richiesti all’Agenzia delle

entrate (resi con nota prot. n. 10676 del 4 settembre 2015), tale voce

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di danno era rideterminata in euro 818.529,03.

Era infatti emerso, da tali aggiornamenti, che il fallimento Valigi S.p.A.,

risultava chiuso con decreto del Tribunale di Perugia del 17.8.2015 e

non erano state assegnate somme all’Erario. Il debito residuo

ammontava ad €. 435.813,43.

Relativamente al fallimento Salumificio di Bettona s.r.l. l’Agenzia

comunicava che la curatela aveva proceduto ad alcuni riparti parziali

in cui c’era stata una capienza complessiva dei crediti erariali in

ragione della graduazione del privilegio per €. 774.449,84 con

pagamenti effettuati nel periodo 2010-2013. Restavano ancora da

recuperare €. 130.387,78 e la procedura risultava ancora aperta.

Infine per quanto concerne il fallimento ICAP S.p.A. la procedura non

risultava ancora chiusa e il debito residuo verso l’Erario ammontava a

€. 252.327,82.

In relazioni a tali aggiornamenti, come detto, la Procura attrice ha

rideterminato il danno erariale attuale in euro 818.529,03.

3. Ancora, con riferimento al danno diretto, come sopra

rideterminato, il Requirente ha fatto riferimento alle statuizioni delle

sentenze penali e agli accertamenti peritali sulle quali si sono basati i

giudici penali, dai quali sono emersi, senza ombra di dubbio, reiterati

appropriamenti illeciti posti in essere dalla Ottaviani, in danno delle

procedure fallimentari (e dei crediti erariali connessi).

In particolare la Procura ha richiamato diffusamente in citazione le

relazioni tecniche dei C.T.U. nominati dal p.m. penale (dott. G. Boer e

M. Toso; dott. O. Carli; dott. V. Antonelli e R. D’Alessio; prof. M. Conti).

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Alle conclusioni dei detti consulenti ha fatto peraltro riferimento la Corte

di Appello di Perugia, nel ritenere le conclusioni dei “convergenti e

documentati accertamenti, approfonditamente compiuti, anche in

tempi diversi, dai vari consulenti del P.M. Toso-Boer, Antonelli-

D’Alessio e Carli, il quale ultimo ha particolarmente curato la parte

<bancaria>, comprendente la disamina dei conti personali o comunque

riferibili agli imputati ed i flussi di danaro verso essi”.

Non rilevano poi, per la Procura attrice, le iniziative poste in essere

dall’attuale curatore fallimentare (subentrato alla Ottaviani) che, se

hanno avuto positivi riscontri per taluni creditori privilegiati, non hanno

invece avuto effetti recuperatori nei confronti dei crediti erariali.

In particolare, non rileva che il curatore “si sia costituito parte civile nel

procedimento penale soltanto per i fallimenti ICAP s.p.a. e Salumificio

di Bettona s.r.l. e né che lo stesso abbia ottenuto in restituzione da

alcuni istituti di credito (per omessi controlli) le somme ritenute frutto

delle appropriazioni illecite da parte della dott.ssa Ottaviani, ancorché

in misura inferiore rispetto a quelle risultanti dalle C.T.U. espletate nel

procedimento penale. Difatti, essendosi concluso detto procedimento

con una sentenza di condanna della dott.ssa Ottaviani e dell’avv. Donti,

la stessa ex art. 651 c.p.p. ha efficacia di giudicato nel giudizio di

responsabilità amministrativa quanto all’accertamento della

sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che

l’imputata lo ha commesso. Da ciò ne consegue che la circostanza che

i fatti materiali connessi agli accertati prelevamenti illeciti (sussunti, a

seconda delle modalità, nella truffa ex art. 640 c.p. o nel peculato ex

10

art. 314 c.p.) siano realmente avvenuti e che gli stessi siano ascrivibili

alla dott.ssa Ottaviani non può più essere messa in discussione. La

circostanza poi che alcuni di questi episodi (con particolare riferimento

alle apprensioni di denaro utilizzando falsi mandati di pagamento

predisposti dalla Ottaviani e dal Donti) siano stati inquadrati nel reato

di truffa anziché in quello di peculato, non sposta i termini della

questione”.

4. Altra posta di danno – aggiunge la Procura – è costituita dal

danno all’immagine dell’Amministrazione della Giustizia, dipeso dal

comportamento doloso della dott.ssa Gabriela Ottaviani, nella qualità

di curatore fallimentare presso il Tribunale di Perugia.

Il Requirente, relativamente al danno d’immagine, ha ritenuto che

necessariamente debba farsi riferimento alla valutazione equitativa ex

art. 1226 c.c., quantificandolo in euro 600.000 “considerando le

condotte dolosamente appropriative protrattesi per almeno un

decennio ed applicando i parametri oggettivi, soggettivi e sociali

determinati dalla giurisprudenza della Corte dei conti”.

Relativamente al contesto danno d’immagine, la Procura nell’atto di

citazione ha argomentato che, contrariamente a quanto sostenuto

dalla convenuta in sede di audizione personale, il giudice penale ha

condannato la Ottaviani, con sentenza passata in giudicato, per

episodi qualificati come peculato, con ciò integrandosi la fattispecie di

danno ex art. 17, comma 30ter, D.L. n. 78/2009.

Nel dettaglio, la Procura, nel ricostruire la vicenda del procedimento

penale, dipanatasi attraverso ben cinque processi (uno di primo grado,

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due di appello e due davanti alla Cassazione), ha evidenziato che:

- in primo grado la Ottaviani era stata condannata a sei anni di

reclusione, oltre che per altri reati, anche per episodi di peculato;

- in grado di appello, davanti alla Corte di appello di Perugia, tra le

altre statuizioni, era stata dichiarata la prescrizione degli episodi di

peculato commessi anteriormente all11.12.1994;

- a seguito di ricorsi per cassazione, la Corte suprema (sentenza 5447

dell’11 febbraio 2010, aveva qualificato le appropriazioni di denaro dei

fallimenti realizzate attraverso la falsificazione dei mandati come truffe

aggravate (e non come reati di peculato), annullando la sentenza di

appello in punto di determinazione delle pene, rinviando per nuovo

giudizio , in relazione a tale specifico incombente, alla Corte di Appello

di Firenze; nella circostanza il Supremo giudice aveva altresì precisato

che l’annullamento con rinvio riguardava soltanto i reati realizzati

mediante l’utilizzo di mandati di pagamento falsificati, mentre ““rimane

logicamente ferma la inquadrabilità nel paradigma del peculato di

quelle condotte appropriative di denaro e di titoli del fallimento detenuti

direttamente e legittimamente dalla Ottaviani per ragione del suo ufficio

e non depositati su conti correnti bancari o postali vincolati

all’autorizzazione del giudice”;

- la Corte di Appello di Firenze, con sentenza 7.3.2011, quale giudice

di rinvio, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva

rideterminato la pena degli imputati Ottaviani e Donti, riducendola a 4

anni di reclusione, di cui 3 condonati ai sensi della L.241/2006; oltre

condanna patrimoniale a favore delle parti civili costituite;

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- a seguito di ricorsi per Cassazione, la suprema Corte, nel rigettarli,

aveva ulteriormente ribadito quanto già affermato dalla stessa Corte

con la sentenza n.5447 2010 relativamente all’inquadrabilità nel reato

di truffa delle sole appropriazioni realizzate attraverso la falsificazione

dei mandati.

All’esito del procedimento penale, secondo la Procura, è pertanto

risultato che le condotte appropriative di somme non coperte dalla

declaratoria di prescrizione della sentenza della Corte d’Appello di

Perugia n. 577/2007 (poiché realizzate dopo l’11.12.1994) ed avvenute

non con la produzione di falsi mandati di pagamento, sono restano

inquadrate nel reato di peculato già accertato dalle predette sentenze

di primo e secondo grado.

In citazione, poi, la Procura ha esplicitato le condotte in questione,

significando che “Fin dall’invito a dedurre sono stati indicati come

esempi di appropriazione di somme senza l’utilizzo di falsi mandati di

pagamento, la sottrazione della somma di L. 1.432.074.000 e di L.

27.000.000 di pertinenza, rispettivamente, del fallimento ICAP s.p.a. e

Valigi s.p.a., non coperti dalla prescrizione del reato di peculato poiché

avvenuti dopo l’11.12.1994. Nel primo caso, difatti, il ricavato della

vendita di tre immobili siti uno in Milano e gli altri due in Assisi “risulta

essere stato prelevato dai libretti postali e non versato nei libretti del

Fallimento bensì riversato in assegni intestati al curatore del Fallimento

dott. Ottaviani”. Tali fatti risultano avvenuti il 4 maggio 1999, data di

estinzione di due depositi titoli presso il Monte dei Paschi di Siena, Ag.

4 di Perugia, prelevati e oggetto di appropriazione a seguito del

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versamento nel conto personale dell’avv. Donti (cfr. CTU Boer/Toso,

pag. 10).

Riguardo all’assegno n. 57412518 di L. 27.000.000 emesso il 6

dicembre 1999 dalla Villa Donini s.r.l. di San Martino in Campo (PG) a

favore del fallimento Valigi s.p.a., il riversamento sul conto corrente

intestato alla dott.ssa Ottaviani è avvenuto il 6 dicembre 1999.

A ciò vanno aggiunti altri episodi di prelevamenti diretti dai conti del

fallimento ICAP s.p.a., tutti avvenuti dopo l’11.12.1994, spartiacque

della prescrizione del reato di peculato (cfr. pag. 12 e segg. relazione

finale Boer/Toso: L. 285 milioni prelevati dalla dott.ssa Ottaviani il

26.5.1998 e destinati al conto personale dell’avv. Donti; L. 185 milioni

prelevati il 27.7.1998 dalla dott.ssa Ottaviani e girati sul conto dell’avv.

Donti; L. 252 milioni prelevati il 26.10.1998 dalla dott.ssa Ottaviani e

girati sul conto personale dell’avv. Donti; L. 380 milioni prelevati il

15.1.1999 dalla dott.ssa Ottaviani e girati sul conto personale dell’avv.

Donti; L. 95 milioni prelevati il 3.4.2001 dalla dott.ssa Ottaviani e girati

sul conto personale dell’avv. Donti).Stesso discorso deve farsi per i 3

prelevamenti effettuati sul libretto di deposito del fallimento Salumificio

di Bettona s.r.l. per L. 135 milioni, L. 153milioni763mila, L.

164milioni500mila, operati dalla dott.ssa Ottaviani rispettivamente il

10.5.2001, 5.9.2001, 11.10.2001 e girati sul conto personale dell’avv.

Donti (cfr. pag. 14 relazione Boer/Toso)”.

In conclusione, la Procura, avuto riguardo alla pronuncia definitiva di

condanna per molteplici episodi di peculato, severamente stigmatizzati

dal giudice penale nelle varie sentenze di primo e secondo grado, ha

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ritenuto realizzate le condizioni per l’applicazione dell’art. 17, comma

30ter, D.L. n. 78/2009 e conseguentemente per l’esercizio dell’azione

erariale di responsabilità per il danno d’immagine sofferto

dall’Amministrazione della Giustizia. A tal riguardo l’Attrice ha

depositato numerosi articoli di stampa comprovanti il clamor fori che la

vicenda aveva avuto.

5. Sotto il profilo soggettivo, la Procura ha fatto riferimento in primo

luogo alla qualità di curatore fallimentare della convenuta e al

conseguente rapporto di servizio instauratosi tra la predetta e

l’Amministrazione della Giustizia (ex multis, Sez.I centrale

n.542/2014/A). In merito poi all’elemento psicologico, le condotte

criminose poste in essere dalla Ottaviani (e dal Donti), protrattesi per

oltre un decennio, sono state qualificate come dolose con sentenza

penale passata in giudicato, con accenti che hanno evidenziato la loro

particolare gravità. In particolare nella sentenza del Tribunale di

Perugia (n. 91/2005) si afferma che “estremamente gravi sono dunque

i fatti di reato come accertati nei confronti di entrambi gli imputati, a

fronte delle considerazioni ed allegazioni difensive che non hanno

scalfito tale gravità, se si considera che gli stessi hanno

indiscutibilmente posto in essere in concorso tra loro una condotta

protratta per anni approfittando della fiducia riposta in entrambi sia

dagli Istituti di Credito….e per Ottaviani Gabriela quale curatore

nominato dal Tribunale, da parte dell’Autorità Giudiziaria che

nell’emanare direttive nel corso degli anni sulla corretta gestione delle

procedure fallimentari, continuava ad affidare alla stessa gli incarichi di

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gestire e curare i patrimoni delle predette procedure fallimentari,

nell’unico interesse tutelato dalla legge”.

6. Con memoria depositata il 5 maggio 2016 nell’interesse di

Gabriela Ottaviani, gli avvocati Rampini, Chiacchierini e Pasero hanno

sviluppato le argomentazioni difensive. In particolare hanno dedotto:

a) insussistenza dell’elemento oggettivo: in proposito la difesa ha

esposto che delle tre procedure fallimentari in relazione alle quali si è

determinato il danno erariale diretto contestato alla Ottaviani, due non

risultano ancora definite (fallimenti Salumificio di Bettona srl e Icap

spa). Da ciò consegue il carattere al momento solo “eventuale” del

danno contestato.

Infatti, solo all’esito delle suddette procedure fallimentari potranno

emergere, con carattere di certezza, i crediti erariali (per INVIM,

Imposta di registro, Irpeg, Iva, etc.) rimasti insoddisfatti. In sostanza,

solo nel momento in cui interverrà il decreto di chiusura dei fallimenti

in questione, potrà ritenersi effettivo e attuale il pregiudizio erariale.

Relativamente all’unica procedura definita (fallimento Valigi S.p.A.), la

difesa evidenzia che non sarebbe stato accertato alcun ammanco di

denaro imputabile alla dott.ssa Ottaviani.

In realtà, a proposito di tale procedura, la Procura ha fatto riferimento

esclusivamente ad un assegno di lire27milioni, che la Ottaviani aveva

versato sul proprio conto corrente, anzichè sul deposito intestato al

Fallimento Valigi S.p.A.

In proposito la difesa, anche sulla base delle dichiarazioni rese al

Requirente dal dott. Maggesi – il curatore subentrato alla Ottaviani-

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sottolinea come la somma in questione sarebbe stata interamente

recuperata; lo stesso versamento sul conto corrente personale della

Ottaviani dovrebbe qualificarsi, secondo il Maggesi, alla stregua di

una irregolarità formale e non sostanziale, tenuto conto che la somma

in questione era stata comunque poi utilizzata per le spese

conseguenti alla compravendita di un immobile in deposito al curatore

Ottaviani.

b) insussistenza del nesso di causalità:

b.1.) quanto al Fallimento Salumificio di Bettona, la difesa – sulla base

di una nota del 26 aprile 2016 dell’attuale curatore - eccepisce che le

somme risultanti mancanti dal conto della suddetta procedura sono

state interamente recuperate a seguito dell’azione giudiziaria intentata

nei confronti della banca ritenuta solidalmente responsabile. Il credito

privilegiato vantato dall’Agenzia delle entrate è stato interamente

soddisfatto, mentre il credito chirografario (per euro 301.654,83) è

stato soddisfatto nella percentuale del 2,53%. Sostiene la difesa che,

ove la procedura dovesse essere definita senza poter giungere a

soddisfare tutti i creditori chirografari, tale mancato soddisfacimento

non potrebbe essere ritenuto conseguenza della condotta della

Ottaviani, ma della oggettiva incapienza dell’attivo fallimentare.

b.2) quanto al Fallimento ICAP: la difesa eccepisce che le azioni

revocatorie poste in essere dall’attuale curatela hanno portato al

recupero di euro 3.173.710,94, rispetto ad un ammanco a suo tempo

stimato in euro 3.791.909,85. Quanto all’importo di euro 245.317,03,

depositato in un conto presso MPS, il giudizio civile risulta ancora

17

pendente (anche se nei primi due gradi di giudizio il MPS è stato già

soccombente). Relativamente al residuo importo (euro 372.881,88),

prelevato dal conto del Fallimento ICAP presso la Banca Toscana, la

difesa, sulla base delle informazioni acquisite dal dott. Maggesi,

rappresenta che il giudizio civile, finalizzato al recupero dalla Banca,

del suddetto importo si definito in primo grado, con esito favorevole per

il Fallimento. Al momento pende giudizio di appello, davanti alla C. A.

di Perugia. In conclusione, la difesa, secondo le previsioni dello stesso

dott. Maggesi, ritine che il credito erariale privilegiato sarà comunque

integralmente soddisfatto, atteso il già avvenuto accantonamento delle

somme occorrenti. Il credito chirografario, invece, per circa 5.000 euro,

verrà risarcito in parte, ma ciò, stando alle argomentazioni difensive,

dipenderà dalla fisiologica incapienza dell’attivo fallimentare e non

dalle illecite sottrazioni, tutte integralmente recuperate.

c) inammissibilità della domanda, con riferimento al danno d’immagine.

In proposito la difesa rileva che la Ottaviani è stata condannata per il

reato di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640 c.p.

Il reato in questione non è uno di quei delitti di cui al Capo I del Titolo

II del Libro secondo del C.P. per i quali, e solo per i quali, è possibile

configurare l’azione erariale risarcitoria ai sensi dell’art. 17 comma

30ter del d.l. 78/2009 e successive mm e ii.

In conclusione, secondo la difesa, nessune delle illecite condotte

appropriative per le quali la Ottaviani è stata condannata ha integrato

la fattispecie del peculato.

d) in via subordinata, la prescrizione: l’eccezione è formulata con

18

riferimento alla circostanza che la condotta antigiuridica della

convenuta è stata oggetto di accertamento definitivo in punto di fatto

con la sentenza della Corte di Appello di Perugia dellì11 giugno 2007.

In sostanza la difesa, dopo aver eccepito che comunque la

costituzione di parte civile dell’Agenzia delle entrate nel processo

penale non avrebbe potuto avere effetto sospensivo della prescrizione

dell’azione risarcitoria erariale stante la diversità ontologica e

sostanziale delle due azioni (civile e di responsabilità erariale), ha

argomentato che a tutto concedere (cioè a ritenere l’effetto sospensivo

anche sulla prescrizione dell’azione risarcitoria erariale della

costituzione della parte civile da parte dell’Agenzia delle entrate) resta

fermo che la C.A. di Perugia, con la propria sentenza del 2007, aveva

definitivamente accertato il fatto e la responsabilità della Ottaviani. Tale

accertamento non era stato inciso in alcun modo dalla sentenza della

Cassazione del 2009/2010 e tuttavia – prosegue la difesa - anche a

voler ancorare il momento della definitività e irretrattabilità a

quest’ultima sentenza, è eccepita comunque la prescrizione, per il

decorso del termine quinquennale di prescrizione.

Le successive sentenze (quella pronunciata dalla C.A. di Firenze e

quella della Corte di Cassazione del 2012) avevano riguardato solo il

tema della pena da applicare, dando per irrevocabilmente accertati con

le precedenti sentenze i fatti costituenti reato e la responsabilità dei

ricorrenti.

7. Il giudizio è pervenuto all’udienza del 25 maggio 2016. Nel corso

della discussione il Procuratore regionale ha confermato l’impianto

19

accusatorio, ribadendo la richiesta di condanna della dott.ssa

Ottaviani, al pagamento della somma di euro 1.418.529,03, oltre

rivalutazione, interessi e spese di giustizia.

Anche la difesa - dapprima l’avv. Pasero e poi l’avv. Rampini - ha

confermato la linea difensiva in dettaglio esposto nell’atto scritto (del

quale si è sopra dato ampio conto); in particolare sostenendo che in

relazione ai fatti dedotti in giudizio (di cui ai fallimenti Valigi, Salumificio

Bettone e ICAP) non vi sarebbe alcuna condanna per peculato. E’

ribadita in ogni caso l’eccezione di prescrizione, con le medesime

argomentazioni sviluppate nella memoria difensiva.

All’esito degli interventi orali, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

8. La difesa della convenuta ha contestato nel merito la fondatezza

della domanda attorea, proponendo altresi, ma in via subordinata,

anche l’eccezione di prescrizione.

Il Collegio osserva che ai sensi dell’art. 276, 2° comma del c.p.c. , la

decisione delle questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili

d’ufficio dovrebbe precedere l’esame del merito della causa. La

ragione di una tale prescrizione (alla quale si conforma la

giurisprudenza delle sezioni d’appello di questa Corte, ved. II Sezione

centrale d’appello n.343/2011) risiede non solo nella necessità di

rispettare un ordine logico di trattazione, ma anche in esigenze di

economia processuale alle quali si connette il principio della

ragionevole durata del processo. Ed infatti l’immediata decisione di una

questione pregiudiziale potrebbe comportare l’assorbimento di altre

20

questioni, pregiudiziali e di merito, con vantaggi in termini di celerità

del servizio giustizia.

In termini diversi, sarebbe invece “diseconomico”, anche in un’ottica

più generale e legata, in senso lato, all’amministrazione della giustizia,

soffermarsi ad affrontare questioni di merito ed eventualmente

pervenire ad una decisione che il successivo accoglimento di una

eccepita questione pregiudiziale renderebbe superflua.

Nel caso in esame, una classica pregiudiziale di merito, come la

prescrizione, è stata proposta in via subordinata, palesandosi in tal

modo un evidente interesse della convenuta ad una pronuncia di

merito: si tratta tuttavia di un interesse recessivo rispetto a quello, di

pubblico rilievo e con ancoraggio nell’art. 111 Cost., di definire in tempi

ragionevoli il processo nel rispetto delle esigenze di economia

processuale.

Ciò senza tenere conto che l’esame dell’eccezione di prescrizione

porta ad una valutazione che trascende nel merito, sia pure ai fini di

individuare il perimetro, e la stessa astratta sussistenza, del diritto del

quale è eccepita la prescrizione.

A tali argomentazioni si aggiunge la discrezionalità del Collegio

nell’individuare, nel rispetto del criterio generale dettato dall’art. 276,

2° comma del c.p.c., l’ordine di esame delle questioni da affrontare in

sentenza, senza essere vincolato dall’ordine delle eccezioni formulate

dalla parte convenuta.

9. Premesso quanto sopra, il Collegio, tuttavia, prima di

esaminare l’eccezione di prescrizione in conformità alla regola del più

21

volte richiamato art. 276 c.p.c., ritiene comunque che la pretesa attrice

sarebbe in astratto fondata, posto che relativamente al danno

d’immagine si sono certamente realizzate le condizioni per l’esercizio

della relativa azione, e in particolare la condanna per uno dei delitti (il

peculato) contro la P.A., come risulta dalle sentenze penali; mentre

relativamente al danno patrimoniale è certa la sussistenza di un

residuo insoddisfatto credito erariale per effetto dei comportamenti

criminosi posti in essere dalla convenuta, come emerge dagli atti e

documenti versati nel giudizio.

Ciò posto, pervenendo al tema della prescrizione, il Collegio ritiene che

la stessa debba essere affrontato distinguendo le due poste di danno

contestate alla convenuta: il danno d’immagine e il danno patrimoniale

diretto.

E ciò in considerazione della diversa natura e causa petendi delle due

fattispecie dannose.

Va detto che in citazione il Requirente, in relazione alla medesima

eccezione formulata a seguito dell’invito a dedurre, ha affrontato la

questione, ancorando il dies a quo della prescrizione alla sentenza

della Cassazione del 2012, ritenendo che solo dall’esito del complesso

procedimento penale, avviatosi nel lontano 2002, potesse decorrere il

termine prescrizionale per il danno d’immagine; mentre relativamente

al danno diretto, la Procura ha argomentato che la costituzione di parte

civile, risalente al giudizio penale di primo grado, avesse interrotto il

termine di prescrizione, sino alla definitiva conclusione del

procedimento penale, realizzatosi con la già menzionata sentenza

22

della Cassazione del 2012.

Il Collegio è di diverso avviso.

10. Com’è noto, e ribadito dalla Procura regionale, il

danno d’immagine è previsto dall’art. 17, comma 30-ter del

decreto legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito in legge 3 agosto

2009, n. 102 e modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1),

decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con

modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141).

Secondo la norma, “Le procure regionali della Corte dei

conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno

all'immagine subìto dall'amministrazione nei soli casi previsti

dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97.”

Il richiamato art. 7, legge 27 marzo 2001, n. 97 sancisce

a sua volta che “La sentenza irrevocabile di condanna

pronunciata nei confronti dei dipendenti … per i delitti contro la

pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro

secondo del codice penale è comunicata al competente

procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova

entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilità per

danno erariale nei confronti del condannato …”.

Premesso il riferito quadro normativo, ne deriva che

l’azione risarcitoria erariale per danno d’immagine è subordinata

alla circostanza che il dipendente sia stato condannato con

sentenza irrevocabile per i delitti contro la pubblica

amministrazione, previsti nel capo I del titolo II del libro secondo

23

del Codice penale; ne deriva anche che il dies a quo dell’azione

risarcitoria per danno d’immagine coincide con il momento in cui

diventa irrevocabile la sentenza di condanna per uno dei menzionati

delitti.

Applicando le regole in questione alla fattispecie in esame,

occorre considerare se la Ottaviani sia stata irrevocabilmente

condannata per uno dei delitti contro la P.A. e individuare il momento

di inizio del termine prescrizionale per l’azione di responsabilità erariale

per danno d’immagine.

11. Dalle sentenze penali sopra menzionate si ricava che il

giudice di primo grado con sentenza n.91/05 condannò la convenuta a

sei anni di reclusione per i delitti di peculato e connessi reati minori,

oltre al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituite e al

pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva a favore

dell’Agenzia delle Entrate. In sede di appello, la Corte di Appello di

Perugia (sentenza n.577 del 2007), in riforma della sentenza di primo

grado, dichiarò la prescrizione per tutti gli episodi di peculato commessi

sino all’11 dicembre 1994, rideterminando in conseguenza la pena

inflitta alla Ottaviani in 5 anni e mesi sei di reclusione.

Successivamente, la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n.5447

de 4.11.2009, depositata l’11.2.2010), per quanto qui di interesse,

qualificava le appropriazioni di denaro dei fallimenti, realizzate

attraverso le falsificazioni dei mandati, come truffe aggravate e

annullava la sentenza impugnata (solo, ndr) in punto di determinazione

delle pene, rinviando per nuovo giudizio al riguardo alla Corte di

24

Appello di Firenze. Restava ferma, come precisato dai supremi

giudici, “la inquadrabilità nel paradigma del peculato di quelle

condotte appropriative di denaro e di titoli del fallimento detenuti

direttamente e legittimamente dalla Ottaviani per ragione del

suo ufficio e non depositati su conti correnti bancari o postali

vincolati all’autorizzazione del giudice” : il riferimento era agli

episodi di diretta illecita appropriazione, da qualificarsi come

peculato, di somme di pertinenza dei Fallimenti ICAP e Valigi

S.p.A..

In sostanza, gli ulteriori passaggi della complessa vicenda penale (la

sentenza della C.A. di Firenze e la sentenza n. 25785/12 della

Cassazione) hanno riguardato solo il tema della determinazione della

pena per i fatti qualificati come truffa aggravata. Tant’è che la stessa

Cassazione, nella sentenza del 2012, ha tenuto a precisare che “in

caso di annullamento parziale della sentenza, qualora siano rimesse

al giudice del rinvio le questioni relative al riconoscimento delle

attenuanti generiche e alla determinazione della pena, il giudicato

formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità impedisce

la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta

alla pronunzia di annullamento”.

Ne consegue che per gli episodi appropriativi non qualificati come truffa

aggravata, perché realizzati senza l’utilizzo di mandati falsificati ma

attraverso la diretta e personale apprensione di somme di pertinenza

dei fallimenti (si tratta degli episodi di peculato riferiti ai Fallimenti ICAP

e Valigi S.p.A.), il giudicato si era già formato con la sentenza della

25

Cassazione del febbraio 2010. In effetti, il giudicato si era formato

anche con riferimento agli episodi di truffa, con riferimento

all’accertamento del reato e della responsabilità.

In conclusione, con la sentenza della Cassazione del febbraio 2010,

che aveva determinato il giudicato sugli episodi accertati di peculato,

si era realizzata la condizione per l’esercizio dell’azione risarcitoria

erariale per il danno d’immagine: in astratto, pertanto, la domanda

risarcitoria per danno d’immagine era fondata.

Sennonchè, tenuto conto dell’eccezione di prescrizione formulata dalla

convenuta, considerato che l’invito a dedurre è stato notificato alla

Ottaviani oltre il termine quinquennale di prescrizione (il 14 agosto

2015), il Collegio deve dichiarare la prescrizione dell’azione risarcitoria.

12. A conclusioni non difformi si giunge anche per il danno c.d.

diretto. Ed infatti, posto che durante il corso del giudizio penale la

prescrizione era stata interrotta per effetto della costituzione di parte

civile delle pubbliche amministrazioni danneggiate, tale effetto

interruttivo deve ritenersi cessato, per le ragioni sopra esposte, nel

momento in cui l’accertamento del reato e la responsabilità della

Ottaviani sono stati oggetto di una sentenza irrevocabile.

Siffatto “momento” ha coinciso con il deposito della prima sentenza

della Cassazione, del febbraio 2010, e da quel momento ha iniziato a

decorrere la prescrizione quinquennale per l’azione di responsabilità

amministrativa. Considerando che l’invito a dedurre è stato notificato

il 14 agosto 2010, ne deriva che a quella data era decorso il termine

quinquennale di prescrizione.

26

La tesi di considerare come termine iniziale della prescrizione la data

del deposito della seconda sentenza della Cassazione (del 2012) non

regge. E infatti tale sentenza, come quella della C.A. di Firenze, ha

riguardato solo la determinazione della pena e non quegli elementi

(accertamento del fatto e responsabilità) che lo stesso Supremo

Giudice ha ritenuto definitivamente accertati con la sua precedente

sentenza (del febbraio 2010).

Del resto, l’art. 651 c.p.p. ben chiarisce che nel giudizio civile o

amministrativo per le restituzioni o il risarcimento del danno, la

sentenza penale irrevocabile ha efficacia di giudicato “quanto

all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e

dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso” elementi questi che

erano certamente presenti nella sentenza n.5447/2010 della

Cassazione, come ben esplicitato nella successiva sentenza

n.25785/2012.

In conclusione, anche con riferimento all’azione risarcitoria per il danno

patrimoniale diretto, il Collegio ritiene maturata la prescrizione

quinquennale alla data di notifica (14 agosto 2015) dell’invito a dedurre.

L’accoglimento dell’eccezione di prescrizione , in considerazione del

suo carattere pregiudiziale ed assorbente, evita al Collegio, per ragioni

di economia processuale oltre quanto già osservato nell’incipit del

punto 9, di esaminare ulteriormente le argomentazioni difensive di

merito, ribadendosi tuttavia che la valutazione dell’eccezione di

prescrizione ha comunque comportato di necessità di approfondire i

profili di merito di alcuni aspetti della vicenda, come l’affermata

27

esistenza dei requisiti (condanna irrevocabile per uno dei delitti contro

la P.A.) per l’esercizio del danno d’immagine.

Tutto ciò premesso, il Collegio, in presenza di una decisione che non

concretizza una pronuncia assolutoria di merito, ritiene - ex art. 10-bis

del d.l. n. 203/2005, convertito dalla l. n. 248/2010 – che non

sussistano le condizioni per provvedere in ordine alla spese legali della

parte convenuta (ex SS.RR. sent. n. 3-QM/2008).

Per Questi Motivi

la Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Umbria

dichiara

la prescrizione dell’azione risarcitoria promossa dalla Procura

regionale nei confronti della signora Ottaviani Gabriela nel giudizio di

responsabilità iscritto al numero 12185 del registro di segreteria.

Nulla per le spese di giustizia.

Manda alla Segreteria per gli ulteriori adempimenti.

Così deciso in Perugia, nelle Camere di Consiglio del 25/05 e 20/07

2016.

Il Presidente Estensore

f.to Angelo Canale

Depositata in Segreteria il giorno 01 settembre 2016

Il Direttore di segreteria

f.to Elvira Fucci