Sent. n. 61/2013 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL … · Sent. n. 61/2013 REPUBBLICA ITALIANA IN...

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Sent. n. 61/2013 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA BASILICATA composta dai seguenti Magistrati: Dott. Vincenzo PERGOLA Presidente f.f. relatore Dott. Giuseppe TAGLIAMONTE Consigliere Dott. Giuseppe TETI 1° Referendario ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di responsabilità iscritto al n.8053/R del Registro di Segreteria, ad istanza della Procura regionale presso questa Sezione nei confronti di Società Area Direzionale Franco S.r.l., già Centro Commerciale Lucano S.r.l., con sede in Potenza, località Tora, Via Centomani, n. 11, C.F.01046410765, nella persona del legale rappresentante pro-tempore, e di FRANCO Vito, nato ad Avigliano (PZ) il 27/09/1953, residente in Pietragalla (PZ) alla Via Contrada San Nicola, C.F.FRNVTI53P27A519K, nella qualità di amministratore unico della società Centro Commerciale Lucano S.r.l., ora Società Area Direzionale Franco S.r.l., rappresentati e difesi dall’avv. Orazio ABBAMONTE, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Raffaele De Bonis Cristalli, sito in Potenza alla via Nazario Sauro n. 102;

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Sent. n. 61/2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA BASILICATA

composta dai seguenti Magistrati:

Dott. Vincenzo PERGOLA Presidente f.f. relatore

Dott. Giuseppe TAGLIAMONTE Consigliere

Dott. Giuseppe TETI 1° Referendario

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità iscritto al n.8053/R del Registro di

Segreteria, ad istanza della Procura regionale presso questa Sezione

nei confronti di Società Area Direzionale Franco S.r.l., già Centro

Commerciale Lucano S.r.l., con sede in Potenza, località Tora, Via

Centomani, n. 11, C.F.01046410765, nella persona del legale

rappresentante pro-tempore, e di FRANCO Vito, nato ad Avigliano

(PZ) il 27/09/1953, residente in Pietragalla (PZ) alla Via Contrada San

Nicola, C.F.FRNVTI53P27A519K, nella qualità di amministratore unico

della società Centro Commerciale Lucano S.r.l., ora Società Area

Direzionale Franco S.r.l., rappresentati e difesi dall’avv. Orazio

ABBAMONTE, ed elettivamente domiciliati presso lo studio

dell’avv. Raffaele De Bonis Cristalli, sito in Potenza alla via Nazario

Sauro n. 102;

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Visto l’atto introduttivo del giudizio ed esaminati tutti gli altri atti e

documenti della causa;

Uditi, nella pubblica udienza del 4 aprile 2013, con l’assistenza

del Segretario dott. Angela Micele, il relatore dr. Vincenzo Pergola, il

Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Regionale dott.

Ernesto Gargano e l’avv. Stefano Russo su delega dell’avv. Orazio

Abbamonte per il convenuto.

Ritenuto in

FATTO

L’odierna causa concerne un’ipotesi di danno subito dal Ministero

dello Sviluppo Economico per indebiti finanziamenti pubblici ottenuti dal

Centro Commerciale Lucano S.r.l., ai sensi della legge n. 488/92

(recante norme per l’agevolazione delle attività produttive).

La società Centro Commerciale Lucano S.r.l. (che poi ha assunto

la denominazione di Area Direzionale Franco S.r.l.) in data 9 febbraio

1998 ha presentato domanda di ammissione alle agevolazioni di cui

alla legge 19 dicembre 1992, n. 488 - domanda istruita con esito

positivo dalla Banca concessionaria Mediocredito del Sud–Mediosud

S.p.A., Bari (poi IntesaBci Mediocredito S.p.A.) - per un programma di

investimento per la realizzazione di un nuovo impianto per la

produzione di mobili in località Tora, Contrada Centomani a Potenza.

Con D.M. n. 68139 del 03/03/1999 è stato concesso in via

provvisoria un contributo, in conto capitale, di lire 1.203.630.000, pari

ad € 621.623,01 ripartito, in tre quote annuali ciascuna di lire

401.210.000, pari ad € 207.207,67.

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Dopo aver ottenuto il pagamento dei previsti SS.AA.LL, Il legale

rappresentante della società, in data 29/03/2001, dichiarava la chiusura

dei lavori, che l’iniziativa oggetto delle agevolazioni sarebbe entrato a

regime il 26/03/2002, che la documentazione prodotta era regolare e

che si riferiva a spese sostenute unicamente per la realizzazione

dell’attività in argomento, che tutti i materiali, macchinari, impianti ed

attrezzature erano stati acquistati ed installati nello stabilimento, che le

forniture erano state pagate a saldo e che sulle stesse non erano stati

praticati sconti e/o abbuoni al di fuori di quelli evidenziati, che

l’impianto era in perfetto stato di funzionamento.

Con decreto n. 115658 del 6 maggio 2002, il Ministero delle

Attività Produttive, vista la relazione positiva della Banca

concessionaria Mediocredito del Sud, e confermando quanto stabilito

con il decreto di concessione provvisoria, attribuiva in via definitiva alla

società Centro Commerciale Lucano S.r.l., il contributo in conto

capitale di € 621.623,01, erogato con le seguenti modalità:

1^ quota di contributo: € 207.207,67 con valuta 15/12/1999;

2^ quota di contributo: € 207,207,67 con valuta 03/05/2000;

3^ quota di contributo: € 89.523,16 con valuta 29/06/2001;

3^ quota di contributo a saldo: € 117.684,51 con valuta

10/06/2002, assumendo quale data di entrata in funzione dell’impianto

quella del 27/03/2001 e di entrata a regime dell’iniziativa quella del

26/03/2002.

Il Ministero delle Attività Produttive, in seguito, incaricava

una Commissione ministeriale di svolgere una attività ispettiva, che i

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funzionari effettuavano in data 9 e 10 novembre 2005.

Con nota del 07/12/2005 gli ispettori relazionavano l’ufficio

competente presso la Direzione Generale per il coordinamento degli

Incentivi alle Imprese del Ministero delle Attività Produttive,

evidenziando che: “In sintesi, la visita svolta dagli ispettori ha permesso

di accertare che quanto dichiarato dall’amministratore unico della

società in oggetto indicata, al fine di ottenere le quote di erogazione

previste per il finanziamento concesso, non corrisponde in realtà a

quanto di fatto rilevato nelle scritture contabili…La ditta risultava aver

distratto immobilizzazioni agevolate prima della scadenza del prescritto

quinquennio di vincolo, senza dimostrare di aver dato comunicazione al

Ministero. Quanto sopra detto riguarda sia i locali siti al piano terra e

primo piano in quanto ceduti in locazione ed occupati dalla ditta “EDS

S.p.A.” sia i macchinari non corrispondenti a quelli indicati nel prospetto

all.9/a, che quelli non presenti al momento della visita nei locali

destinati all’attività produttiva, e sia quei beni accantonati ancora

imballati o come per le scaffalature non utilizzate” .

A seguito di ciò il Ministero inviava denuncia al Nucleo Speciale

Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie della Guardia di

Finanza di Roma, che a sua volta il 29 dicembre 2005 la inoltrava

alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza.

La Procura disponeva l’apertura di un fascicolo per ipotesi di

reato, proc. R.G. n.135/06 – 21, a carico di Larossa Giuseppe, Pace

Pietro e Franco Vito, imputati tutti in ordine al reato di cui agli artt. 110

e 640 bis C.P. perché, in concorso tra loro, Larossa Giuseppe e

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Pace Pietro, titolari di omonime ditte individuali, emettevano false

fatture al fine di consentire al Centro Commerciale Lucano S.r.l.

l’incameramento fraudolento di contributi richiesti ai sensi della legge

n.488/92, ed il Franco, nella qualità, che con artefici e raggiri simulava

la sussistenza dei requisiti finanziari e contabili richiesti, in particolare

l’avvenuto pagamento alla data del 27/03/2001 di tutte le forniture

fatturate.

La sentenza del giudice monocratico, emessa il 16 dicembre

2009, dichiara di non doversi procedere nei confronti degli imputati in

ordine al reato loro ascritto in rubrica perché estinto per prescrizione.

Nelle motivazioni della sentenza si precisa: “Non sussistono,

infine, i presupposti per l’assoluzione nel merito degli imputati in quanto

gli elementi istruttori in atti – tenuto conto della circostanza che la

presente denuncia è resa ai sensi dell’art.129 c.p.p. – non evidenziano

affatto che i fatti non sussistono o che gli imputati non li hanno

commessi o che i fatti non costituiscono reato o non sono previsti dalla

legge come reati”.

Nelle more dello svolgimento del giudizio penale, il Ministero dello

Sviluppo Economico aveva instaurato il procedimento di revoca del

contributo corrisposto, conclusosi con il provvedimento di revoca

n. 160697 del 14.6.2011.

Evidenzia l’atto introduttivo del presente giudizio che dall’attività

istruttoria è emerso che:

“il pagamento di fatture relative alle opere murarie era stato

effettuato per cassa e dopo il 27/3/2001, data di chiusura del

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programma;

l’emissione ed utilizzo di false fatture come rilevato nel caso

della ditta Larossa Giuseppe che non era in possesso di alcuna fattura

relativa ad opere effettuate per il Centro Commerciale Lucano S.r.l..

Peraltro, le due fatture riportate nella contabilità delle opere (la n. 5 del

2/7/1998 di lire 162.000.000 IVA compresa e la n. 3 del 20/5/1999 di

lire 5.140.000 IVA compresa) erano relative ad altri lavori, eseguiti per

altri beneficiari e per importi inferiori (totale effettivo delle due fatture

lire 13.840.000 invece di lire 167.140.000). Analoghe considerazioni

vanno fatte anche per la fattura n. 14 del 27/12/1999 per un importo di

lire 98.100.000, IVA compresa, emessa dalla ditta Pace Pietro nella

stessa data di cessazione dell’azienda;

beni acquistati dal Centro Commerciale Lucano S.r.l. sono stati

ritrovati “in piena operatività” nella sede della “S.a.s. Franco Salotti di

Franco Marianna & C” in San Nicola di Pietragalla – Zona Industriale, il

cui socio accomandante è lo stesso Franco Vito;

parte dell’immobile distolto dall’uso previsto è stato dato in

godimento, sulla base di un contratto di locazione sottoscritto nel

marzo 2005, alla EDS Electronics Data Systems Italia S.p.A. con sede

a Milano, nonostante l’esistenza del vincolo quinquennale di divieto;

non tutti i beni rendicontati nel programma - contrariamente a

quanto dichiarato dal legale rappresentante della società ed in ogni

caso in contrasto con uno specifico obbligo di legge – sono risultati

“nuovi” di fabbrica;

non tutti i beni o servizi oggetto della rendicontazione al

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Ministero risultano “oggetto” di regolare documentazione fiscale;

a comporre le spese agevolate del fabbricato sono state inserite

spese relative a beni e servizi non congruenti al programma agevolato;

le registrazioni contabili a libro giornale della società

documentano molte operazioni di pagamento per “cassa” di fornitori,

per un ammontare molte volte superiore a quello contemplato dalle

disposizioni vigenti in materia di “antiriciclaggio”; all’epoca, anche se

non in vigore l’obbligo della tracciabilità, vigeva l’obbligo di

comunicazione al Ministero delle operazioni di pagamento effettuate in

violazione di quelle medesime disposizioni e di esclusione

dall’ammontare dei mezzi propri conferiti, nell’ambito del programma

agevolato, di quelli effettuati in violazione delle norme contenute nelle

disposizioni della legge 197/91”.

Puntualizza poi la citazione: “… risulta, pertanto, evidente che la

società Centro Commerciale Lucano s.r.l., così come rappresentata,

non solo era riuscita a simulare la sussistenza del presupposto di

regolarità economica e contabile delle spese sostenute ed anticipate,

presentando un progetto che sotto questo aspetto non era ammissibile,

ma, ottenuta l’ammissione, ha presentato la contabilità dei lavori

basata su documenti fiscali fittizi, distraendo dalle finalità programmate

i contributi pubblici ottenuti per un importo totale pari a

£. 1.203.630.000 (€ 621.623,01), procurando in tal modo un ingiusto

profitto patrimoniale con corrispondente danno per lo Stato”.

Pertanto l’attore ha evocato in giudizio la Società Area Direzionale

Franco S.r.l., già Centro Commerciale Lucano S.r.l. ed il sig. Franco

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Vito, nella qualità di amministratore unico della predetta società,

affinchè siano condannati, in solido, al pagamento a favore del

Ministero dello Sviluppo Economico della somma di € 621.623,01,

aumentata di interessi, rivalutazione monetaria e spese di giudizio.

In difesa di Vito Franco – in proprio e quale rappresentante pro

tempore della “Area Direzionale Franco S.R.L.” – si è costituito in

giudizio l’avv. Orazio Abbamonte, depositando in Segreteria il

15.3.2013 memoria nella quale innanzitutto eccepisce l’inammissibilità

della domanda risarcitoria avanzata dalla Procura contabile per

carenza di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.); evidenzia al riguardo la

difesa che l’amministrazione pubblica si è già munita di un titolo

esecutivo nei confronti della “Area Direzionale Franco S.R.L.” per il

recupero delle agevolazioni concesse ex l.n. 488/1992 otre ad interessi

e diritti di riscossione, considerato che il Ministero dello Sviluppo

Economico ha promosso l’emissione della cartella esattoriale Equitalia

n. 09220120003803514000, a seguito di ruolo n. 2012/001896 reso

esecutivo il 5.3.2012, per un importo totale di € 1.062.191,32, e – a

seguito della concessione da parte di Equitalia della rateizzazione del

debito - la società debitrice sta provvedendo al pagamento delle quote

mensili di circa € 17.000, come risulta dagli allegati bollettini di

versamento. Il difensore ha poi chiesto che sia disposta la sospensione

del presente giudizio, in attesa della definizione del giudizio civile

promosso dalla Area Direzionale Franco S.R.L.” (n. Rg 2370/2011 del

Tribunale Civile di Potenza) perché sia accertata l’insussistenza delle

condizioni richieste per la revoca del contributo precedentemente

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erogato, sostenendo la pregiudizialità del giudizio civile (art. 295

c.p.c.), in quanto “.. la consistenza – eventuale – della prospettata

lesione erariale appare subordinata all’esito sfavorevole del giudizio

civile, che pertanto impone la sospensione dell’odierna azione

contabile”.

Ulteriore eccezione preliminare avanzata dalla difesa è quella di

prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento, indicando come

dies a quo del computo del termine di prescrizione il 6.5.2002, data del

decreto ministeriale che ha liquidato il saldo del contributo, o

subordinatamente, al più tardi il 7.12.2005, momento nel quale la

commissione ministeriale all’uopo incaricata accertava e rendeva

edotta l’amministrazione danneggiata sull’assunta inammissibilità del

contributo, specificando altresì che “dopo l’anno ’05 la prescrizione

della pretesa risarcitoria non ha subito alcuna interruzione…”.

Nel merito la difesa ha sostenuto che dall’istruttoria esperita dal

Ministero delle Attività produttive sono emerse irregolarità di natura

formale che non giustificano il provvedimento di revoca del contributo

adottato dal predetto ministero richiamando l’art. 8 comma 1 punto f)

del DM n. 527/1995, che dispone la revoca delle agevolazioni “qualora,

calcolati gli scostamenti in diminuzione degli indicatori di cui all’art. 6

comma 4, suscettibili di subire variazioni, anche solo uno degli

scostamenti stessi di tali indicatori rispetto ai corrispondenti valori

assunti per la formazione della graduatoria o la media degli

scostamenti medesimi superi, rispettivamente, i 30 o i

20 punti percentuali”; puntualizza la difesa che soltanto il contestato

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scostamento tra le 16 assunzioni di personale atteso e le 8,8

assunzioni constatate dalla visita ispettiva - rientrando tra gli indicatori

da considerarsi allo scopo in base al disposto del succitato art. 6 che a

sua volta rinvia alla delibera Cipe 27 aprile 1995 - rileva al fine

dell’applicazione dell’art. 8 comma 1 punto f) del DM n. 527/1995, e

che il mancato raggiungimento dell’obbiettivo occupazionale è solo

apparente in quanto “per mero errore altri 3.2 lavoratori erano stati

collocati in un terzo libro matricola in posizione edile e non nel libro

matricola di operai industria” mostrato a suo tempo agli ispettori

ministeriali; secondo la prospettazione difensiva “l’errore era tra l’altro

di immediata evidenza, dato che la comparente non svolge alcuna

attività nel mondo dell’edilizia, operando esclusivamente nel settore

dell’industria legno-arredo” e considerando anche queste ulteriori

assunzioni lo scostamento risulta inferiore alla soglia del 30% rilevante

per la revoca del contributo.

Per quanto riguarda la cessione in locazione a terzi di parte dei

locali realizzati con il finanziamento pubblico, la difesa - dopo aver

puntualizzato che detta cessione non rientra tra le ipotesi contemplate

ai fini della revoca dal più volte richiamato art. 8 comma 1 punto f) del

DM n. 527/1995 posto alla base del provvedimento ministeriale di

revoca “sicchè nessun altra delle contestazioni opposte alla

comparente può rilevare per l’invocata causa risolutiva; né tanto meno

per l’assunto danno erariale” – evidenzia che la locazione per la durata

di un anno (28 febbraio 2005 – 1 marzo 2006) ha riguardato una

superfice di mq 680 su mq 1920 oggetto di finanziamento, per cui

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sarebbe giustificata solo una riduzione proporzionale del contributo ai

sensi dell’art. 8 del DM n. 527/1995, ma non la revoca totale.

Circa i materiali acquistati con il finanziamento pubblico e non

rinvenuti in azienda dagli ispettori, la difesa ha ribadito quanto già

rappresentato dal sig. Franco agli ispettori, cioè che alcuni di essi

erano stati spostati in altri locali perché divenuti obsoleti e non più

idonei all’attività produttiva, mentre altri erano stati mandati in

riparazione.

Il difensore ha poi sostenuto che l’avversa domanda è

indimostrata “stante l’assenza di un giudicato penale di condanna” e

che “il preteso danno non può legittimamente rivendicarsi, non essendo

le assunte inadempienze ascritte al convenuto idonee a comportare la

restituzione integrale del finanziamento, ma al più parziale, in tal senso

rimettendosi al potere di riduzione della Corte”, concludendo, infine, per

il rigetto dell’avversa domanda.

All’odierna pubblica udienza, il P.M., dopo aver replicato

all’avversa eccezione di inammissibilità della citazione per carenza di

interesse ad agire, sostenendo che soltanto l’avvenuto integrale

recupero del contributo escluderebbe un interesse ad agire, ha

confermato l’impianto accusatorio e le conclusioni formulate nell’atto

introduttivo del giudizio.

Anche il difensore intervenuto per l convenuti, ha ulteriormente

illustrato gli argomenti svolti nella memoria scritta, confermando le

conclusioni ivi rassegnate.

Considerato in

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D I R I T T O

Assume carattere preliminare l’eccezione difensiva di

inammissibilità della domanda risarcitoria avanzata dalla Procura

contabile, per carenza di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.),

considerato che l’Amministrazione pubblica si è già munita di un titolo

esecutivo nei confronti della “Area Direzionale Franco S.R.L.” per il

recupero delle agevolazioni concesse ex l.n. 488/1992 otre ad interessi

e diritti di riscossione; specifica la difesa al riguardo che il Ministero

dello Sviluppo Economico – dopo aver disposto con decreto n. 160697

del 14 giugno 2011 la revoca del contributo precedentemente

concesso - ha promosso l’emissione della cartella esattoriale Equitalia

n. 09220120003803514000, a seguito di ruolo n. 2012/001896 reso

esecutivo il 5.3.2012, per un importo totale di € 1.062.191,32, e – a

seguito della concessione da parte di Equitalia della rateizzazione del

debito - la società debitrice sta provvedendo al pagamento delle quote

mensili di circa € 17.300, come risulta dagli allegati bollettini di

versamento.

Assume rilevanza per l’esame dell’eccezione innanzi specificata,

la circostanza che – accogliendo l’istanza di “Area Direzionale Franco

s.r.l.” - Equitalia, con provvedimento del 20.9.2012, disponeva la

ripartizione del pagamento della cartella esattoriale in n. 72 rate mensili

di circa € 17.300 ciascuna; il difensore ha depositato cinque bollettini

dai quali risulta che l’obbligato ha provveduto al pagamento delle rate

relative alle mensilità ottobre 2012 – febbraio 2013.

Emerge quindi che, al momento, gli odierni convenuti non hanno

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ancora soddisfatto, se non in minima parte, il credito erariale reclamato

dalla Procura contabile.

Ciò premesso, va richiamata la prevalente e condivisibile

giurisprudenza della Corte dei conti, secondo la quale l’azione di

responsabilità amministrativa - affidata all’ esclusiva iniziativa della

Procura contabile – non può trovare ostacoli al proprio pieno

compimento né nell’adozione di strumenti alternativi dei quali sia

titolare la P.A. danneggiata, né nel concorrente ricorso ad altre

giurisdizioni; l’azione dell’attore pubblico può pertanto essere preclusa

soltanto dall’effettivo ed integrale ristoro del danno erariale (in tal senso

ex plurimis: Sez. appello Sicilia n. 139/2011, Sez. III appello

n. 565/2010, Sez. Lombardia ord. n. 17/2013, Sez. Campania

n. 672/2010 e n. 1145/2012, Sez. Calabria ord. n. 17/2013, Sez.

Basilicata n. 208/2003).

Il surriportato approdo giurisprudenziale evidenzia come la

potestas iudicandi del giudice contabile si fonda su presupposti

soggettivi ed oggettivi, su causa petendi e petutum, del tutto diversi da

quelli che attengono all’esercizio dell’autotutela dell’Amministrazione,

ovvero a quelli che connotano la giurisdizione del Giudice ordinario o

amministrativo, specificando: “l’esercizio da parte dell’Amministrazione

danneggiata, in sede di autotutela, del potere di procedere al recupero

coattivo di somme indebitamente erogate non comporta

l’improcedibilità e/o improponibilità dell’azione di responsabilità ad

iniziativa del soggetto – il Procuratore presso la Corte dei conti – a ciò

titolato in via esclusiva , in quanto i due rimedi sono legati a diversi

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presupposti – l’illegittimità

dell’atto l’uno l’illiceità del comportamento l’altra – e si svolgono con

modalità differenti, ciascuna delle quali potrà, in relazione alla

specificità delle singole vicende lesive, risultare maggiormente

funzionale al raggiungimento dell’obiettivo rappresentato dalla tutela

dell’integrità dell’Erario…” (Sez. Calabria n. 35/2013).

Con specifico riferimento alla fattispecie all’esame, è altresì utile

evidenziare che – come riferito dal difensore – l’ Area Direzionale

Franco s.r.l ha adito il Tribunale di Potenza per “accertare e dichiarare

l’insussistenza delle condizioni richieste per la revoca del contributo di

cui in premessa“ (causa pendente con il n. Rg 2370/2011);

conseguentemente quanto riscosso sulla base della cartella esattoriale

richiesta ed ottenuta dall’Amministrazione per dare esecuzione al

provvedimento di revoca del contributo, potrebbe dar luogo ad un

indebito oggettivo, se la domanda giudiziale della ditta Franco s.r.l.

dovesse trovare accoglimento da parte dell’adito Giudice civile.

Da quanto innanzi emerge palesemente l’interesse dell’Erario –

affidato alle cure della Procura contabile - all’ottenimento di un diverso

ed autonomo titolo esecutivo di natura giudiziale, essenzialmente

fondato sull’accertamento della illiceità della condotta degli odierni

convenuti, demandato al Giudice contabile, e quindi al conseguimento

di un titolo esecutivo giudiziale del tutto svincolato dalla sussistenza dei

presupposti della revoca del contributo, così come individuati ed

articolati nel provvedimento di revoca n. 160697 del 14.6.2011 adottato

dal Ministero dello Sviluppo Economico.

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Va anche considerato che la cartella esattoriale Equitalia

n. 09220120003803514000 è stata emessa soltanto nei confronti

dell’ “Area Direzionale Franco s.r.l”, mentre l’attore pubblico ha evocato

nell’odierno giudizio sia la Società, sia l’Amministratore della stessa

sig. Vito Franco, chiedendone la condanna “in solido” al ristoro del

danno erariale; emerge quindi anche l’interesse ad una più ampia

garanzia che deriva all’Amministrazione dall’ampliamento dei soggetti

obbligati, in quanto l’eventuale accoglimento della domanda della

Procura, permetterebbe all’Amministrazione la soddisfazione del

proprio credito, aggredendo sia il patrimonio della Società, sia quello

dell’Amministratore.

Per quanto innanzi esposto, l’eccezione di inammissibilità della

citazione per carenza di interesse ad agire dell’attore pubblico (art. 100

c.p.c.), avanzata dalla difesa, va respinta, con la precisazione che,

naturalmente, di quanto già incamerato dall’Amministrazione, in

conseguenza del rateale pagamento di quanto previsto dalla più volte

surrichiamata cartella esattoriale, va tenuto conto in sede di

esecuzione della presente sentenza.

Facendo riferimento, poi, alla pendenza presso il Tribunale di

Potenza del surrichiamato giudizio n. Rg 2370/2011, la difesa ha anche

chiesto che sia disposta la sospensione del presente giudizio, in attesa

della definizione del giudizio civile, sostenendo la pregiudizialità di

quest’ultimo (art. 295 c.p.c.), in quanto “.. la consistenza – eventuale –

della prospettata lesione erariale appare subordinata all’esito

sfavorevole del giudizio civile, che pertanto impone la sospensione

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dell’odierna azione contabile”.

Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte

di Cassazione, i principi ricavabili dell'art. 295 c.p.c. inducono a

considerare la sospensione del giudizio civile "necessaria" solo quando

la previa definizione di altra controversia civile, penale o

amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad altro giudice sia

imposta da una espressa disposizione di legge, ovvero quando questa,

per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l'indiscutibile antecedente

logico-giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata

ed il cui accertamento sia necessariamente richiesto con efficacia di

giudicato. A tal fine, perché possa ravvisarsi un caso di sospensione

necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., non è sufficiente che tra le

due liti vi sia un rapporto di mera pregiudizialità logica, occorrendo,

altresì, un rapporto di pregiudizialità giuridica, che ricorre soltanto

quanto la definizione di una controversia costituisca l'indispensabile

antecedente logico-giuridico dell'altra, il cui accertamento deve

avvenire con efficacia di giudicato (Cassazione civile, Sez. II,

11.8.2011, n. 17212).

La giurisprudenza della Corte dei conti ha costantemente

sottolineato la piena indipendenza del processo contabile rispetto a

quello civile, con la conseguenza che l’assenza di ogni rapporto di

pregiudizialità giuridica tra gli stessi rende, di norma, inapplicabile al

giudizio contabile l’istituto della sospensione ex art. 295 c.p.c., in attesa

della definizione del giudizio civile (cfr ex plurimis: Sez. Riunite

n. 1/ord/2012, Sez. Basilicata n. 124/2012, Sez. II n. 195/2002, Sez. III

17

n. 192/2002, Sez. Sardegna n. 869/2007).

Pertanto il giudizio contabile e quello civile si svolgono

autonomamente ed anche parallelamente, avendo ciascuno la propria

indipendenza giustificata dalle diverse finalità perseguite (Sez.

Campania n. 140/2001).

Per completezza espositiva va puntualizzato anche che non

sussistono neanche i presupposti per la c.d. “sospensione facoltativa”,

considerato che agli atti di causa sono stati acquisiti gli elementi utili

per la decisione, come si vedrà nel prosieguo della trattazione.

Conseguentemente va disattesa la richiesta difensiva di

sospensione del presente giudizio.

Va poi esaminata l’eccezione preliminare di merito di prescrizione

sollevata dalla difesa.

Considerato che l’attore contesta agli odierni convenuti anche di

aver simulato “la sussistenza del presupposto di regolarità economica

e contabile delle spese sostenute ed anticipate” nonché di aver

“presentato la contabilità dei lavori basata su documenti fiscali fittizi,

distraendo dalle finalità programmate i contributi pubblici ottenuti”, trova

applicazione nella fattispecie l’art. 1, secondo comma, della l. 14

gennaio 1994 n. 20, nella parte in cui prevede che in caso di

occultamento doloso del danno, il diritto al risarcimento si prescrive in

cinque anni decorrenti dalla data di scoperta del danno stesso.

La surriportata disciplina dell’istituto della prescrizione appare

coerente con la disposizione ex art. 2935 c.c., che, esclude la

decorrenza del termine di prescrizione nel tempo in cui il diritto non può

18

essere fatto valere (Cass. civ. sez. IIIn. 1480/1995), e la giurisprudenza

della Corte dei conti ha precisato al riguardo che il doloso occultamento

del danno non coincide con la commissione dolosa del fatto dannoso,

ma richiede un'ulteriore condotta indirizzata ad impedire la conoscenza

del fatto e che, comunque, perché di occultamento doloso si possa

parlare, occorre un comportamento che, pur se produttivo del fatto

dannoso, deve tuttavia includere atti specificamente volti a prevenire il

disvelamento di un danno ancora in fieri oppure a nascondere un

danno ormai prodotto (ex plurimis cfr: Sez. I n. 40/2009, Sez. III

n. 474/2006, n. 480/2007, Sez. Veneto n. 992/2005, Sez. Puglia

n. 339/2010, Sez. Basilicata n. 47/2012, n. 91/2012).

Come si avrà modo di precisare nel prosieguo della trattazione,

troverà conferma negli atti acquisiti al fascicolo di causa la tesi della

Procura contabile secondo la quale i convenuti, per ottenere il saldo del

contributo, hanno posto in essere comportamenti diretti a simulare la

sussistenza dei presupposti di regolarità economica e contabile delle

spese sostenute, anche attraverso la presentazione di fatture e

dichiarazioni non veritiere, e, conseguentemente, il dies a quo del

computo del termine di prescrizione va individuato nel 7/12/2005, data

della relazione con la quale gli ispettori riferivano al competente

Ministero delle Attività Produttive le numerose e significative irregolarità

riscontrate nel corso della visita ispettiva svolta il 9 e 10 novembre

2005.

Sostiene la difesa che “dopo l’anno ’05 la prescrizione della

pretesa risarcitoria non ha subito alcuna interruzione, nonostante

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l’obiettiva conoscenza di fatto illecito da parte della pubblica

amministrazione…”.

L’affermazione difensiva non trova conferma negli atti acquisiti al

fascicolo di causa.

Infatti, anche prima della notifica agli odierni convenuti del c.d.

“invito a dedurre” – notifica avvenuta in data 3 ottobre e 12 ottobre

2012 – contenente esplicita richiesta di risarcimento e formale

costituzione in mora ai sensi degli artt. 1219 e 2943 c.c.,

l’Amministrazione ha più volte espressamente manifestato all’ “Area

Direzionale Franco s.r.l” la volontà di recuperare il contributo da essa

illecitamente percepito, interrompendo utilmente il decorso del termine

di prescrizione.

Il riferimento è alla nota n. 1094868 del 7 dicembre 2007, con la

quale il Ministero dello Sviluppo economico comunicava al beneficiario

“l’avvio del procedimento di revoca” del contributo, procedimento poi

concluso con il provvedimento di revoca del contributo n. 160697 del

14 giugno 2011.

Considerati quindi gli utili effetti interruttivi del decorso della

prescrizione innanzi richiamati, l’eccezione difensiva sul punto va

respinta.

Passando all’esame del merito, ritiene il Collegio che l’ipotesi di

responsabilità prospettata dall’attore pubblico trovi piena conferma

negli atti acquisiti al fascicolo di causa.

Innanzitutto emerge la palese violazione dell’obbligo di “non

distogliere dall’uso previsto le immobilizzazioni materiali o immateriali

20

agevolate, prima di cinque anni dalla relativa data di entrata in

funzione”, ribadito dall’art.3, comma 1, lettera b) del decreto di

concessione in via provvisoria del contributo n. 68139 del 03/03/1999,

e già previsto dall’art. 8 del D.M. 20/10/1995 n. 527.

Infatti gli ispettori ministeriali, in occasione della verifica effettuata

9 e 10 novembre 2005 (vedasi il relativo “verbale delle operazioni

compiute”) accertavano, acquisendo anche il relativo contratto, che ben

680 mq dell’immobile realizzato con il contributo pubblico – che

complessivamente interessava una superfice di mq 1.820 – era stato

dato in locazione a terzi con contratto avente decorrenza 1.3.2005.

Risulta quindi incontrovertibilmente che oltre un terzo

dell’immobile oggetto del contributo era stato distolto dall’impiego

previsto, contravvenendo al preciso obbligo di destinazione ribadito nel

provvedimento concessivo delle agevolazioni finanziarie.

Ma anche una consistente parte dei macchinari e strumenti

destinati all’attività produttiva dell’ impianto per la realizzazione di

mobili in località Tora del Comune di Potenza risulta essere stato

distolto dal previsto impiego, per essere utilizzati in altre strutture

produttive di proprietà o comunque amministrate dallo stesso Franco

Vito.

I militari della Guardia di Finanza - nel dare esecuzione al

provvedimenti di sequestro disposto dall’autorità giudiziaria penale –

non rinvenivano presso la sede della Società in località Tora del

Comune di Potenza numerosi beni acquistati dal “Centro Commerciale

Lucano s.r.l.” con il contributo ex l.n. 488/1992. Su indicazione

21

dell’odierno convenuto Franco Vito, i militari della G.d.F. si sono recati

presso la “S.a.s. Franco Salotti di Franco Marianna & C” (di cui Franco

Vito è socio accomandante; nella sede di quest’ultima Società, ubicata

in San Nicola di Pietragalla, Zona Industriale, i Finanzieri individuavano

“in piena operatività” ben 32 beni acquistati con il contributo pubblico e

destinati ad altro impianto produttivo.

Nel corso delle stesse operazioni, i militari della G.d.F.

provvedevano a sequestrare anche una cavatrice a catena FRAMAR,

matricola n. 01002/149, in uso presso un capannone attiguo di

proprietà del “Gruppo Industriale Franco Divisione Contract S.n.c.” di

cui Franco Vito era legale rappresentante; interrogato dai militari sulla

circostanza, Franco Vito dichiarava : “relativamente al macchinario

rinvenuto presso il Gruppo Industriale Franco affermo che lo stesso

probabilmente è stato spostato dai miei operai a mia insaputa: Non ho

altro da dire” (cfr “Verbale di sequestro e di affidamento in giudiziale

custodia ex art. 253 c.c.p.” del 22.9.2006).

Va altresì rilevato che, come risulta dal già precedentemente

richiamato “verbale delle operazioni compiute” dagli ispettori ministeriali

nel novembre 2005 : “Le attrezzature di cui ai punti 62, 63, 64, 65, 66,

71, 72, 74, 76, 77 e 78 sono presso l’unità produttiva accantonati

ancora imballati e nel caso delle scaffalature non utilizzati”.

E’ sicuramente un inammissibile spreco di risorse pubbliche

richiedere ed ottenere un contributo per acquisire materiale per l’attività

produttiva di uno stabilimento, e non utilizzarlo per nulla (“ancora

imballati”) a distanza di quasi cinque anni dalla data di entrata in

22

funzione dell’impianto (27/03/2001); non appare superfluo sottolineare

che il convenuto Vito Franco ha allegato alla domanda di saldo la

prescritta dichiarazione del 29.3.2001, resa ai sensi della l.n.15/1968,

nella quale, tra l’altro, affermava “che tutti i materiali … relativi alle

spese documentate sono stati acquisiti ed installati nello stabilimento di

cui si tratta…”, mentre essi sono risultati tutt’altro che “installati”.

Ulteriori riscontri probatori emergono sulla circostanza che il

convenuto Franco Vito ha utilizzato fatture e dichiarazioni non veritiere

per ottenere il contributo ex l.n. 488/1992.

Dispone l’art. 9 del già richiamato D.M. n. 527/1995 che, per

ottenere il saldo del contributo concesso, il beneficiario debba produrre,

oltre alla documentazione relativa alle le spese sostenute, anche

specifiche dichiarazioni attestanti la regolarità della documentazione

prodotta.

Tra la documentazione di spesa prodotta per ottenere il contributo,

vi erano due fatture emesse dalla ditta La Rossa Giuseppe: 1) fattura

n. 5/98 del 2.7.1998 per lavori di carpenteria per un imponibile di lire

135.000.000 ed iva di lire 27.000.000; 2) fattura n. 3 del 20.5.1999 per

assistenza nella realizzazione di pali di fondazione per un imponibile di

lire 4.283.333 ed iva di lire 856.667.

I militari della G.d.F. (cfr comunicazione n. 510/U4/DRPC) hanno

proceduto ad un riscontro documentale con la contabilità della ditta La

Rossa Giuseppe, rinvenendo presso di essa fatture di uguale

numerazione e data, ma con differenti destinatari ed oggetto dei lavori,

nonché importo notevolmente inferiore: 1) fattura n. 5/98 del 2.7.1998

23

emessa nei confronti di “Alice Idea Multimediale s.r.l.” per lavori di

demolizione tramezzi in cartongesso per un imponibile di lire

3.200.000 ed iva di lire 624.000; 2) fattura n. 3 del 20.5.1999 emessa

nei confronti di Leopardo Giuseppe per lavori di posa in opera di

pavimenti per un imponibile di lire 8.000.000 ed iva di lire 1.600.000.

Il contributo pubblico è stato altresì ottenuto esibendo fatture

relative a lavori effettuati anche su parte del fabbricato di proprietà del

beneficiario, che esulava dalla parte oggetto dell’agevolazione.

Specifica la “Relazione Tecnica” redatta dalla Intesa BCI S.p.A. in

qualità di Banca incaricata della verifica finale dell’investimento:

“L’unità produttiva è stata realizzata presso un fabbricato di proprietà

aziendale che si sviluppa su tre livelli di piano per una superficie

complessiva di circa mq 3.301,21 di cui solo una parte destinata ad

attività produttiva e servizi (mq 1.820) ed ammessa a finanziamento ,

escludendo la restante parte adibita ad area commerciale e show-

room…” (vedasi punto 1: descrizione dell’investimento).

Tra le fatture presentate per ottenere il saldo del contributo ve ne

erano tre emesse dalla ditta individuale “Pace Canio” ( n. 10, n. 15 e n.

17 dell’anno 1999) per un importo complessivo di lire 256.074.000,

genericamente riferite a prestazioni di carpenteria.

Il sig. Pace Canio, sentito dalla G.d.F. (cfr verbale del 29/9/2006),

riferiva che le prestazioni eseguite dalla sua ditta hanno riguardato

l’intera struttura lato dx, precisando di aver eseguito lavori di

carpenteria ed opere di calcestruzzo relativi all’intero immobile, dalle

fondazioni alla realizzazione di n. 5 solai con relativi pilastri, dal muro di

24

recinzione, alla scala di ingresso, alla parte semicircolare prospiciente il

primo piano e di una scala semicircolare interna a partire dal primo

piano.

La fattura n. 20 del 4.4.2000 riguardava la fornitura di attrezzature

per ufficio e di materiale informatico, resa dalla ditta “Prisma di Morena

Mario e & C s.a.s” al “Centro Commerciale Lucano S.r.l.” per un

importo complessivo di lire 47.490.000.

La G.d.F. ha sentito anche il sig. Mario Morena (cfr verbale del

12/9/2006) chiedendo se il materiale fornito fosse stato “nuovo di

fabbrica” nonchè delucidazioni sulle modalità di pagamento, ottenendo

le seguenti risposte: “ No, non tutto il materiale era nuovo di fabbrica. Il

materiale usato rappresentato in fattura è rappresentato da due tavoli

porta disegno 100 x 70 completi di tecnigrafo, macchina da scrivere

olivetti 2450 e cinque monitor a colori 15 della Acer….. In merito

all’incasso della fattura in questione e forniture effettuate essendo i

beni in precedenza specificati ed ivi descritti usati di conseguenza

l’importo raffigurato in fattura è superiore a quello reale ed

effettivamente da me percepito. A tale proposito preciso che ho

percepito solo l’importo corrispondente all’iva indicata pari a lire

7.990.000 e per quanto riguarda l’imponibile ho incassato lire

13.000.000 - cifra rettificata in lire 18.000.000 in una successiva

dichiarazione resa al P.M. penale - anziché 39.950.000. Tali modalità

sono state concordate previamente tramite accordi verbali con il sig.

Franco vito Amministratore Unico del Centro Commerciale Lucano

S.r.l.”.

25

Da quanto innanzi emerge ancora una volta che il contributo è

stato ottenuto producendo fatture e dichiarazioni non veritiere,

considerato che il convenuto Vito Franco ha allegato alla domanda di

saldo, in esecuzione di quanto previsto dall’art. 9 comma 5 lett. d) del

D.M. n. 527/1995, la dichiarazione del 29.3.2001, resa ai sensi della

l.n. 15/1968, in cui tra l’altro affermava: “che tutti i materiali,

macchinari, impianti ed attrezzature relativi alle spese documentate

sono stati acquisiti ed installati nello stabilimento di cui si tratta allo

stato nuovi di fabbrica”.

Circa lo scostamento tra le 16 assunzioni di personale previste dal

programma di investimento e le 8,8 assunzioni constatate dalla visita

degli ispettori ministeriali - scostamento considerato tra i motivi di

revoca del contributo dal già richiamato decreto ministeriale n.

160697/2011 - non appare condivisibile l’assunto difensivo che indica

come solo apparente il mancato raggiungimento dell’obbiettivo

occupazionale, in quanto frutto di mero errore nel riportare alcuni

dipendenti (precisamente 3,2) nel libro matricola degli operai edili

invece che nel libro matricola degli operai dell’industria.

Infatti i tre operai a cui si riferisce la difesa (Colangelo, Nolè e

Basile) risultano nel libro matricola degli operai edili insieme ad altri

dipendenti iscritti allo stesso titolo (ad es.: Romaniello, Sabia, Isolbi,

Claps, Coviello, Pace), e pertanto – considerata l’esistenza presso la

Società sia del libro matricola degli operai edili, sia l’iscrizione in esso

di numerosi altri soggetti svolgenti detta attività - non è condivisibile la

prospettazione difensiva secondo la quale “l’errore era tra l’altro di

26

immediata evidenza, dato che la comparente non svolge alcuna attività

nel mondo dell’edilizia, operando esclusivamente nel settore

dell’industria legno-arredo”.

Dal complesso di quanto innanzi esposto, considerate le

numerose ed anche quantitativamente rilevanti “irregolarità” riscontrate,

frutto di dolosi comportamenti illeciti, risulta suffragata da evidenti

riscontri probatori la tesi della Procura secondo la quale la Società

Area Direzionale Franco S.r.l. “ha presentato la contabilità dei lavori

basata su documenti fiscali fittizi, distraendo dalle finalità programmate

i contributi pubblici ottenuti”.

Pertanto, in accoglimento della domanda attorea la Società Area

Direzionale Franco S.r.l, ed il sig. Franco Vito quale amministratore

unico della predetta Società, vanno condannati, in solido, a risarcire il

Ministero dello Sviluppo Economico nella misura di € 621.623,01, oltre

a rivalutazione monetaria ed interessi.

Naturalmente, come innanzi già accennato, l’Amministrazione

creditrice, in sede di esecuzione della presente sentenza, deve tenere

conto di quanto in quel momento già percepito sulla base della

rateizzazione della cartella esattoriale Equitalia

n. 09220120003803514000, emessa a seguito di ruolo

n. 2012/001896.

Le spese di giustizia seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione

Basilicata, ogni contraria domanda ed eccezione respinte:

27

a) Condanna la Società Area Direzionale Franco S.r.l, ed il

sig. Franco Vito quale Amministratore unico della predetta Società,

a risarcire, in solido, il Ministero dello Sviluppo Economico nella

misura di € 621.623,01; la predetta somma va aumentata della

rivalutazione monetaria, dalla data del pagamento del saldo del

contributo e sino alla presente pronuncia, oltre agli interessi legali che

sono dovuti da tale ultima data e sino al soddisfo; l’Amministrazione

creditrice, in sede di esecuzione della presente sentenza, deve tenere

conto di quanto in quel momento già percepito sulla base della

rateizzazione della cartella esattoriale Equitalia

n. 09220120003803514000, emessa a seguito di ruolo

n. 2012/001896.

b) Le spese di giustizia seguono la soccombenza e vengono

determinate nella misura di € 389,85=.

Euro trecentottantanove/85=.

Così deciso in Potenza, nella Camera di consiglio del 4 aprile

2013.

Il Presidente f.f. ed estensore

(dott. Vincenzo Pergola)

F.to Vincenzo Pergola

Depositata in Segreteria il -9 MAG. 2013

Il Preposto alla Segreteria della

Sezione Giurisdizionale Basilicata

Maria Anna Catuogno

F.to Maria Anna Catuogno