Sent. n. 61/2013 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL … · Sent. n. 61/2013 REPUBBLICA ITALIANA IN...
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Sent. n. 61/2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA BASILICATA
composta dai seguenti Magistrati:
Dott. Vincenzo PERGOLA Presidente f.f. relatore
Dott. Giuseppe TAGLIAMONTE Consigliere
Dott. Giuseppe TETI 1° Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n.8053/R del Registro di
Segreteria, ad istanza della Procura regionale presso questa Sezione
nei confronti di Società Area Direzionale Franco S.r.l., già Centro
Commerciale Lucano S.r.l., con sede in Potenza, località Tora, Via
Centomani, n. 11, C.F.01046410765, nella persona del legale
rappresentante pro-tempore, e di FRANCO Vito, nato ad Avigliano
(PZ) il 27/09/1953, residente in Pietragalla (PZ) alla Via Contrada San
Nicola, C.F.FRNVTI53P27A519K, nella qualità di amministratore unico
della società Centro Commerciale Lucano S.r.l., ora Società Area
Direzionale Franco S.r.l., rappresentati e difesi dall’avv. Orazio
ABBAMONTE, ed elettivamente domiciliati presso lo studio
dell’avv. Raffaele De Bonis Cristalli, sito in Potenza alla via Nazario
Sauro n. 102;
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Visto l’atto introduttivo del giudizio ed esaminati tutti gli altri atti e
documenti della causa;
Uditi, nella pubblica udienza del 4 aprile 2013, con l’assistenza
del Segretario dott. Angela Micele, il relatore dr. Vincenzo Pergola, il
Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Regionale dott.
Ernesto Gargano e l’avv. Stefano Russo su delega dell’avv. Orazio
Abbamonte per il convenuto.
Ritenuto in
FATTO
L’odierna causa concerne un’ipotesi di danno subito dal Ministero
dello Sviluppo Economico per indebiti finanziamenti pubblici ottenuti dal
Centro Commerciale Lucano S.r.l., ai sensi della legge n. 488/92
(recante norme per l’agevolazione delle attività produttive).
La società Centro Commerciale Lucano S.r.l. (che poi ha assunto
la denominazione di Area Direzionale Franco S.r.l.) in data 9 febbraio
1998 ha presentato domanda di ammissione alle agevolazioni di cui
alla legge 19 dicembre 1992, n. 488 - domanda istruita con esito
positivo dalla Banca concessionaria Mediocredito del Sud–Mediosud
S.p.A., Bari (poi IntesaBci Mediocredito S.p.A.) - per un programma di
investimento per la realizzazione di un nuovo impianto per la
produzione di mobili in località Tora, Contrada Centomani a Potenza.
Con D.M. n. 68139 del 03/03/1999 è stato concesso in via
provvisoria un contributo, in conto capitale, di lire 1.203.630.000, pari
ad € 621.623,01 ripartito, in tre quote annuali ciascuna di lire
401.210.000, pari ad € 207.207,67.
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Dopo aver ottenuto il pagamento dei previsti SS.AA.LL, Il legale
rappresentante della società, in data 29/03/2001, dichiarava la chiusura
dei lavori, che l’iniziativa oggetto delle agevolazioni sarebbe entrato a
regime il 26/03/2002, che la documentazione prodotta era regolare e
che si riferiva a spese sostenute unicamente per la realizzazione
dell’attività in argomento, che tutti i materiali, macchinari, impianti ed
attrezzature erano stati acquistati ed installati nello stabilimento, che le
forniture erano state pagate a saldo e che sulle stesse non erano stati
praticati sconti e/o abbuoni al di fuori di quelli evidenziati, che
l’impianto era in perfetto stato di funzionamento.
Con decreto n. 115658 del 6 maggio 2002, il Ministero delle
Attività Produttive, vista la relazione positiva della Banca
concessionaria Mediocredito del Sud, e confermando quanto stabilito
con il decreto di concessione provvisoria, attribuiva in via definitiva alla
società Centro Commerciale Lucano S.r.l., il contributo in conto
capitale di € 621.623,01, erogato con le seguenti modalità:
1^ quota di contributo: € 207.207,67 con valuta 15/12/1999;
2^ quota di contributo: € 207,207,67 con valuta 03/05/2000;
3^ quota di contributo: € 89.523,16 con valuta 29/06/2001;
3^ quota di contributo a saldo: € 117.684,51 con valuta
10/06/2002, assumendo quale data di entrata in funzione dell’impianto
quella del 27/03/2001 e di entrata a regime dell’iniziativa quella del
26/03/2002.
Il Ministero delle Attività Produttive, in seguito, incaricava
una Commissione ministeriale di svolgere una attività ispettiva, che i
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funzionari effettuavano in data 9 e 10 novembre 2005.
Con nota del 07/12/2005 gli ispettori relazionavano l’ufficio
competente presso la Direzione Generale per il coordinamento degli
Incentivi alle Imprese del Ministero delle Attività Produttive,
evidenziando che: “In sintesi, la visita svolta dagli ispettori ha permesso
di accertare che quanto dichiarato dall’amministratore unico della
società in oggetto indicata, al fine di ottenere le quote di erogazione
previste per il finanziamento concesso, non corrisponde in realtà a
quanto di fatto rilevato nelle scritture contabili…La ditta risultava aver
distratto immobilizzazioni agevolate prima della scadenza del prescritto
quinquennio di vincolo, senza dimostrare di aver dato comunicazione al
Ministero. Quanto sopra detto riguarda sia i locali siti al piano terra e
primo piano in quanto ceduti in locazione ed occupati dalla ditta “EDS
S.p.A.” sia i macchinari non corrispondenti a quelli indicati nel prospetto
all.9/a, che quelli non presenti al momento della visita nei locali
destinati all’attività produttiva, e sia quei beni accantonati ancora
imballati o come per le scaffalature non utilizzate” .
A seguito di ciò il Ministero inviava denuncia al Nucleo Speciale
Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie della Guardia di
Finanza di Roma, che a sua volta il 29 dicembre 2005 la inoltrava
alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza.
La Procura disponeva l’apertura di un fascicolo per ipotesi di
reato, proc. R.G. n.135/06 – 21, a carico di Larossa Giuseppe, Pace
Pietro e Franco Vito, imputati tutti in ordine al reato di cui agli artt. 110
e 640 bis C.P. perché, in concorso tra loro, Larossa Giuseppe e
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Pace Pietro, titolari di omonime ditte individuali, emettevano false
fatture al fine di consentire al Centro Commerciale Lucano S.r.l.
l’incameramento fraudolento di contributi richiesti ai sensi della legge
n.488/92, ed il Franco, nella qualità, che con artefici e raggiri simulava
la sussistenza dei requisiti finanziari e contabili richiesti, in particolare
l’avvenuto pagamento alla data del 27/03/2001 di tutte le forniture
fatturate.
La sentenza del giudice monocratico, emessa il 16 dicembre
2009, dichiara di non doversi procedere nei confronti degli imputati in
ordine al reato loro ascritto in rubrica perché estinto per prescrizione.
Nelle motivazioni della sentenza si precisa: “Non sussistono,
infine, i presupposti per l’assoluzione nel merito degli imputati in quanto
gli elementi istruttori in atti – tenuto conto della circostanza che la
presente denuncia è resa ai sensi dell’art.129 c.p.p. – non evidenziano
affatto che i fatti non sussistono o che gli imputati non li hanno
commessi o che i fatti non costituiscono reato o non sono previsti dalla
legge come reati”.
Nelle more dello svolgimento del giudizio penale, il Ministero dello
Sviluppo Economico aveva instaurato il procedimento di revoca del
contributo corrisposto, conclusosi con il provvedimento di revoca
n. 160697 del 14.6.2011.
Evidenzia l’atto introduttivo del presente giudizio che dall’attività
istruttoria è emerso che:
“il pagamento di fatture relative alle opere murarie era stato
effettuato per cassa e dopo il 27/3/2001, data di chiusura del
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programma;
l’emissione ed utilizzo di false fatture come rilevato nel caso
della ditta Larossa Giuseppe che non era in possesso di alcuna fattura
relativa ad opere effettuate per il Centro Commerciale Lucano S.r.l..
Peraltro, le due fatture riportate nella contabilità delle opere (la n. 5 del
2/7/1998 di lire 162.000.000 IVA compresa e la n. 3 del 20/5/1999 di
lire 5.140.000 IVA compresa) erano relative ad altri lavori, eseguiti per
altri beneficiari e per importi inferiori (totale effettivo delle due fatture
lire 13.840.000 invece di lire 167.140.000). Analoghe considerazioni
vanno fatte anche per la fattura n. 14 del 27/12/1999 per un importo di
lire 98.100.000, IVA compresa, emessa dalla ditta Pace Pietro nella
stessa data di cessazione dell’azienda;
beni acquistati dal Centro Commerciale Lucano S.r.l. sono stati
ritrovati “in piena operatività” nella sede della “S.a.s. Franco Salotti di
Franco Marianna & C” in San Nicola di Pietragalla – Zona Industriale, il
cui socio accomandante è lo stesso Franco Vito;
parte dell’immobile distolto dall’uso previsto è stato dato in
godimento, sulla base di un contratto di locazione sottoscritto nel
marzo 2005, alla EDS Electronics Data Systems Italia S.p.A. con sede
a Milano, nonostante l’esistenza del vincolo quinquennale di divieto;
non tutti i beni rendicontati nel programma - contrariamente a
quanto dichiarato dal legale rappresentante della società ed in ogni
caso in contrasto con uno specifico obbligo di legge – sono risultati
“nuovi” di fabbrica;
non tutti i beni o servizi oggetto della rendicontazione al
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Ministero risultano “oggetto” di regolare documentazione fiscale;
a comporre le spese agevolate del fabbricato sono state inserite
spese relative a beni e servizi non congruenti al programma agevolato;
le registrazioni contabili a libro giornale della società
documentano molte operazioni di pagamento per “cassa” di fornitori,
per un ammontare molte volte superiore a quello contemplato dalle
disposizioni vigenti in materia di “antiriciclaggio”; all’epoca, anche se
non in vigore l’obbligo della tracciabilità, vigeva l’obbligo di
comunicazione al Ministero delle operazioni di pagamento effettuate in
violazione di quelle medesime disposizioni e di esclusione
dall’ammontare dei mezzi propri conferiti, nell’ambito del programma
agevolato, di quelli effettuati in violazione delle norme contenute nelle
disposizioni della legge 197/91”.
Puntualizza poi la citazione: “… risulta, pertanto, evidente che la
società Centro Commerciale Lucano s.r.l., così come rappresentata,
non solo era riuscita a simulare la sussistenza del presupposto di
regolarità economica e contabile delle spese sostenute ed anticipate,
presentando un progetto che sotto questo aspetto non era ammissibile,
ma, ottenuta l’ammissione, ha presentato la contabilità dei lavori
basata su documenti fiscali fittizi, distraendo dalle finalità programmate
i contributi pubblici ottenuti per un importo totale pari a
£. 1.203.630.000 (€ 621.623,01), procurando in tal modo un ingiusto
profitto patrimoniale con corrispondente danno per lo Stato”.
Pertanto l’attore ha evocato in giudizio la Società Area Direzionale
Franco S.r.l., già Centro Commerciale Lucano S.r.l. ed il sig. Franco
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Vito, nella qualità di amministratore unico della predetta società,
affinchè siano condannati, in solido, al pagamento a favore del
Ministero dello Sviluppo Economico della somma di € 621.623,01,
aumentata di interessi, rivalutazione monetaria e spese di giudizio.
In difesa di Vito Franco – in proprio e quale rappresentante pro
tempore della “Area Direzionale Franco S.R.L.” – si è costituito in
giudizio l’avv. Orazio Abbamonte, depositando in Segreteria il
15.3.2013 memoria nella quale innanzitutto eccepisce l’inammissibilità
della domanda risarcitoria avanzata dalla Procura contabile per
carenza di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.); evidenzia al riguardo la
difesa che l’amministrazione pubblica si è già munita di un titolo
esecutivo nei confronti della “Area Direzionale Franco S.R.L.” per il
recupero delle agevolazioni concesse ex l.n. 488/1992 otre ad interessi
e diritti di riscossione, considerato che il Ministero dello Sviluppo
Economico ha promosso l’emissione della cartella esattoriale Equitalia
n. 09220120003803514000, a seguito di ruolo n. 2012/001896 reso
esecutivo il 5.3.2012, per un importo totale di € 1.062.191,32, e – a
seguito della concessione da parte di Equitalia della rateizzazione del
debito - la società debitrice sta provvedendo al pagamento delle quote
mensili di circa € 17.000, come risulta dagli allegati bollettini di
versamento. Il difensore ha poi chiesto che sia disposta la sospensione
del presente giudizio, in attesa della definizione del giudizio civile
promosso dalla Area Direzionale Franco S.R.L.” (n. Rg 2370/2011 del
Tribunale Civile di Potenza) perché sia accertata l’insussistenza delle
condizioni richieste per la revoca del contributo precedentemente
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erogato, sostenendo la pregiudizialità del giudizio civile (art. 295
c.p.c.), in quanto “.. la consistenza – eventuale – della prospettata
lesione erariale appare subordinata all’esito sfavorevole del giudizio
civile, che pertanto impone la sospensione dell’odierna azione
contabile”.
Ulteriore eccezione preliminare avanzata dalla difesa è quella di
prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento, indicando come
dies a quo del computo del termine di prescrizione il 6.5.2002, data del
decreto ministeriale che ha liquidato il saldo del contributo, o
subordinatamente, al più tardi il 7.12.2005, momento nel quale la
commissione ministeriale all’uopo incaricata accertava e rendeva
edotta l’amministrazione danneggiata sull’assunta inammissibilità del
contributo, specificando altresì che “dopo l’anno ’05 la prescrizione
della pretesa risarcitoria non ha subito alcuna interruzione…”.
Nel merito la difesa ha sostenuto che dall’istruttoria esperita dal
Ministero delle Attività produttive sono emerse irregolarità di natura
formale che non giustificano il provvedimento di revoca del contributo
adottato dal predetto ministero richiamando l’art. 8 comma 1 punto f)
del DM n. 527/1995, che dispone la revoca delle agevolazioni “qualora,
calcolati gli scostamenti in diminuzione degli indicatori di cui all’art. 6
comma 4, suscettibili di subire variazioni, anche solo uno degli
scostamenti stessi di tali indicatori rispetto ai corrispondenti valori
assunti per la formazione della graduatoria o la media degli
scostamenti medesimi superi, rispettivamente, i 30 o i
20 punti percentuali”; puntualizza la difesa che soltanto il contestato
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scostamento tra le 16 assunzioni di personale atteso e le 8,8
assunzioni constatate dalla visita ispettiva - rientrando tra gli indicatori
da considerarsi allo scopo in base al disposto del succitato art. 6 che a
sua volta rinvia alla delibera Cipe 27 aprile 1995 - rileva al fine
dell’applicazione dell’art. 8 comma 1 punto f) del DM n. 527/1995, e
che il mancato raggiungimento dell’obbiettivo occupazionale è solo
apparente in quanto “per mero errore altri 3.2 lavoratori erano stati
collocati in un terzo libro matricola in posizione edile e non nel libro
matricola di operai industria” mostrato a suo tempo agli ispettori
ministeriali; secondo la prospettazione difensiva “l’errore era tra l’altro
di immediata evidenza, dato che la comparente non svolge alcuna
attività nel mondo dell’edilizia, operando esclusivamente nel settore
dell’industria legno-arredo” e considerando anche queste ulteriori
assunzioni lo scostamento risulta inferiore alla soglia del 30% rilevante
per la revoca del contributo.
Per quanto riguarda la cessione in locazione a terzi di parte dei
locali realizzati con il finanziamento pubblico, la difesa - dopo aver
puntualizzato che detta cessione non rientra tra le ipotesi contemplate
ai fini della revoca dal più volte richiamato art. 8 comma 1 punto f) del
DM n. 527/1995 posto alla base del provvedimento ministeriale di
revoca “sicchè nessun altra delle contestazioni opposte alla
comparente può rilevare per l’invocata causa risolutiva; né tanto meno
per l’assunto danno erariale” – evidenzia che la locazione per la durata
di un anno (28 febbraio 2005 – 1 marzo 2006) ha riguardato una
superfice di mq 680 su mq 1920 oggetto di finanziamento, per cui
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sarebbe giustificata solo una riduzione proporzionale del contributo ai
sensi dell’art. 8 del DM n. 527/1995, ma non la revoca totale.
Circa i materiali acquistati con il finanziamento pubblico e non
rinvenuti in azienda dagli ispettori, la difesa ha ribadito quanto già
rappresentato dal sig. Franco agli ispettori, cioè che alcuni di essi
erano stati spostati in altri locali perché divenuti obsoleti e non più
idonei all’attività produttiva, mentre altri erano stati mandati in
riparazione.
Il difensore ha poi sostenuto che l’avversa domanda è
indimostrata “stante l’assenza di un giudicato penale di condanna” e
che “il preteso danno non può legittimamente rivendicarsi, non essendo
le assunte inadempienze ascritte al convenuto idonee a comportare la
restituzione integrale del finanziamento, ma al più parziale, in tal senso
rimettendosi al potere di riduzione della Corte”, concludendo, infine, per
il rigetto dell’avversa domanda.
All’odierna pubblica udienza, il P.M., dopo aver replicato
all’avversa eccezione di inammissibilità della citazione per carenza di
interesse ad agire, sostenendo che soltanto l’avvenuto integrale
recupero del contributo escluderebbe un interesse ad agire, ha
confermato l’impianto accusatorio e le conclusioni formulate nell’atto
introduttivo del giudizio.
Anche il difensore intervenuto per l convenuti, ha ulteriormente
illustrato gli argomenti svolti nella memoria scritta, confermando le
conclusioni ivi rassegnate.
Considerato in
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D I R I T T O
Assume carattere preliminare l’eccezione difensiva di
inammissibilità della domanda risarcitoria avanzata dalla Procura
contabile, per carenza di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.),
considerato che l’Amministrazione pubblica si è già munita di un titolo
esecutivo nei confronti della “Area Direzionale Franco S.R.L.” per il
recupero delle agevolazioni concesse ex l.n. 488/1992 otre ad interessi
e diritti di riscossione; specifica la difesa al riguardo che il Ministero
dello Sviluppo Economico – dopo aver disposto con decreto n. 160697
del 14 giugno 2011 la revoca del contributo precedentemente
concesso - ha promosso l’emissione della cartella esattoriale Equitalia
n. 09220120003803514000, a seguito di ruolo n. 2012/001896 reso
esecutivo il 5.3.2012, per un importo totale di € 1.062.191,32, e – a
seguito della concessione da parte di Equitalia della rateizzazione del
debito - la società debitrice sta provvedendo al pagamento delle quote
mensili di circa € 17.300, come risulta dagli allegati bollettini di
versamento.
Assume rilevanza per l’esame dell’eccezione innanzi specificata,
la circostanza che – accogliendo l’istanza di “Area Direzionale Franco
s.r.l.” - Equitalia, con provvedimento del 20.9.2012, disponeva la
ripartizione del pagamento della cartella esattoriale in n. 72 rate mensili
di circa € 17.300 ciascuna; il difensore ha depositato cinque bollettini
dai quali risulta che l’obbligato ha provveduto al pagamento delle rate
relative alle mensilità ottobre 2012 – febbraio 2013.
Emerge quindi che, al momento, gli odierni convenuti non hanno
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ancora soddisfatto, se non in minima parte, il credito erariale reclamato
dalla Procura contabile.
Ciò premesso, va richiamata la prevalente e condivisibile
giurisprudenza della Corte dei conti, secondo la quale l’azione di
responsabilità amministrativa - affidata all’ esclusiva iniziativa della
Procura contabile – non può trovare ostacoli al proprio pieno
compimento né nell’adozione di strumenti alternativi dei quali sia
titolare la P.A. danneggiata, né nel concorrente ricorso ad altre
giurisdizioni; l’azione dell’attore pubblico può pertanto essere preclusa
soltanto dall’effettivo ed integrale ristoro del danno erariale (in tal senso
ex plurimis: Sez. appello Sicilia n. 139/2011, Sez. III appello
n. 565/2010, Sez. Lombardia ord. n. 17/2013, Sez. Campania
n. 672/2010 e n. 1145/2012, Sez. Calabria ord. n. 17/2013, Sez.
Basilicata n. 208/2003).
Il surriportato approdo giurisprudenziale evidenzia come la
potestas iudicandi del giudice contabile si fonda su presupposti
soggettivi ed oggettivi, su causa petendi e petutum, del tutto diversi da
quelli che attengono all’esercizio dell’autotutela dell’Amministrazione,
ovvero a quelli che connotano la giurisdizione del Giudice ordinario o
amministrativo, specificando: “l’esercizio da parte dell’Amministrazione
danneggiata, in sede di autotutela, del potere di procedere al recupero
coattivo di somme indebitamente erogate non comporta
l’improcedibilità e/o improponibilità dell’azione di responsabilità ad
iniziativa del soggetto – il Procuratore presso la Corte dei conti – a ciò
titolato in via esclusiva , in quanto i due rimedi sono legati a diversi
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presupposti – l’illegittimità
dell’atto l’uno l’illiceità del comportamento l’altra – e si svolgono con
modalità differenti, ciascuna delle quali potrà, in relazione alla
specificità delle singole vicende lesive, risultare maggiormente
funzionale al raggiungimento dell’obiettivo rappresentato dalla tutela
dell’integrità dell’Erario…” (Sez. Calabria n. 35/2013).
Con specifico riferimento alla fattispecie all’esame, è altresì utile
evidenziare che – come riferito dal difensore – l’ Area Direzionale
Franco s.r.l ha adito il Tribunale di Potenza per “accertare e dichiarare
l’insussistenza delle condizioni richieste per la revoca del contributo di
cui in premessa“ (causa pendente con il n. Rg 2370/2011);
conseguentemente quanto riscosso sulla base della cartella esattoriale
richiesta ed ottenuta dall’Amministrazione per dare esecuzione al
provvedimento di revoca del contributo, potrebbe dar luogo ad un
indebito oggettivo, se la domanda giudiziale della ditta Franco s.r.l.
dovesse trovare accoglimento da parte dell’adito Giudice civile.
Da quanto innanzi emerge palesemente l’interesse dell’Erario –
affidato alle cure della Procura contabile - all’ottenimento di un diverso
ed autonomo titolo esecutivo di natura giudiziale, essenzialmente
fondato sull’accertamento della illiceità della condotta degli odierni
convenuti, demandato al Giudice contabile, e quindi al conseguimento
di un titolo esecutivo giudiziale del tutto svincolato dalla sussistenza dei
presupposti della revoca del contributo, così come individuati ed
articolati nel provvedimento di revoca n. 160697 del 14.6.2011 adottato
dal Ministero dello Sviluppo Economico.
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Va anche considerato che la cartella esattoriale Equitalia
n. 09220120003803514000 è stata emessa soltanto nei confronti
dell’ “Area Direzionale Franco s.r.l”, mentre l’attore pubblico ha evocato
nell’odierno giudizio sia la Società, sia l’Amministratore della stessa
sig. Vito Franco, chiedendone la condanna “in solido” al ristoro del
danno erariale; emerge quindi anche l’interesse ad una più ampia
garanzia che deriva all’Amministrazione dall’ampliamento dei soggetti
obbligati, in quanto l’eventuale accoglimento della domanda della
Procura, permetterebbe all’Amministrazione la soddisfazione del
proprio credito, aggredendo sia il patrimonio della Società, sia quello
dell’Amministratore.
Per quanto innanzi esposto, l’eccezione di inammissibilità della
citazione per carenza di interesse ad agire dell’attore pubblico (art. 100
c.p.c.), avanzata dalla difesa, va respinta, con la precisazione che,
naturalmente, di quanto già incamerato dall’Amministrazione, in
conseguenza del rateale pagamento di quanto previsto dalla più volte
surrichiamata cartella esattoriale, va tenuto conto in sede di
esecuzione della presente sentenza.
Facendo riferimento, poi, alla pendenza presso il Tribunale di
Potenza del surrichiamato giudizio n. Rg 2370/2011, la difesa ha anche
chiesto che sia disposta la sospensione del presente giudizio, in attesa
della definizione del giudizio civile, sostenendo la pregiudizialità di
quest’ultimo (art. 295 c.p.c.), in quanto “.. la consistenza – eventuale –
della prospettata lesione erariale appare subordinata all’esito
sfavorevole del giudizio civile, che pertanto impone la sospensione
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dell’odierna azione contabile”.
Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte
di Cassazione, i principi ricavabili dell'art. 295 c.p.c. inducono a
considerare la sospensione del giudizio civile "necessaria" solo quando
la previa definizione di altra controversia civile, penale o
amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad altro giudice sia
imposta da una espressa disposizione di legge, ovvero quando questa,
per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l'indiscutibile antecedente
logico-giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata
ed il cui accertamento sia necessariamente richiesto con efficacia di
giudicato. A tal fine, perché possa ravvisarsi un caso di sospensione
necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., non è sufficiente che tra le
due liti vi sia un rapporto di mera pregiudizialità logica, occorrendo,
altresì, un rapporto di pregiudizialità giuridica, che ricorre soltanto
quanto la definizione di una controversia costituisca l'indispensabile
antecedente logico-giuridico dell'altra, il cui accertamento deve
avvenire con efficacia di giudicato (Cassazione civile, Sez. II,
11.8.2011, n. 17212).
La giurisprudenza della Corte dei conti ha costantemente
sottolineato la piena indipendenza del processo contabile rispetto a
quello civile, con la conseguenza che l’assenza di ogni rapporto di
pregiudizialità giuridica tra gli stessi rende, di norma, inapplicabile al
giudizio contabile l’istituto della sospensione ex art. 295 c.p.c., in attesa
della definizione del giudizio civile (cfr ex plurimis: Sez. Riunite
n. 1/ord/2012, Sez. Basilicata n. 124/2012, Sez. II n. 195/2002, Sez. III
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n. 192/2002, Sez. Sardegna n. 869/2007).
Pertanto il giudizio contabile e quello civile si svolgono
autonomamente ed anche parallelamente, avendo ciascuno la propria
indipendenza giustificata dalle diverse finalità perseguite (Sez.
Campania n. 140/2001).
Per completezza espositiva va puntualizzato anche che non
sussistono neanche i presupposti per la c.d. “sospensione facoltativa”,
considerato che agli atti di causa sono stati acquisiti gli elementi utili
per la decisione, come si vedrà nel prosieguo della trattazione.
Conseguentemente va disattesa la richiesta difensiva di
sospensione del presente giudizio.
Va poi esaminata l’eccezione preliminare di merito di prescrizione
sollevata dalla difesa.
Considerato che l’attore contesta agli odierni convenuti anche di
aver simulato “la sussistenza del presupposto di regolarità economica
e contabile delle spese sostenute ed anticipate” nonché di aver
“presentato la contabilità dei lavori basata su documenti fiscali fittizi,
distraendo dalle finalità programmate i contributi pubblici ottenuti”, trova
applicazione nella fattispecie l’art. 1, secondo comma, della l. 14
gennaio 1994 n. 20, nella parte in cui prevede che in caso di
occultamento doloso del danno, il diritto al risarcimento si prescrive in
cinque anni decorrenti dalla data di scoperta del danno stesso.
La surriportata disciplina dell’istituto della prescrizione appare
coerente con la disposizione ex art. 2935 c.c., che, esclude la
decorrenza del termine di prescrizione nel tempo in cui il diritto non può
18
essere fatto valere (Cass. civ. sez. IIIn. 1480/1995), e la giurisprudenza
della Corte dei conti ha precisato al riguardo che il doloso occultamento
del danno non coincide con la commissione dolosa del fatto dannoso,
ma richiede un'ulteriore condotta indirizzata ad impedire la conoscenza
del fatto e che, comunque, perché di occultamento doloso si possa
parlare, occorre un comportamento che, pur se produttivo del fatto
dannoso, deve tuttavia includere atti specificamente volti a prevenire il
disvelamento di un danno ancora in fieri oppure a nascondere un
danno ormai prodotto (ex plurimis cfr: Sez. I n. 40/2009, Sez. III
n. 474/2006, n. 480/2007, Sez. Veneto n. 992/2005, Sez. Puglia
n. 339/2010, Sez. Basilicata n. 47/2012, n. 91/2012).
Come si avrà modo di precisare nel prosieguo della trattazione,
troverà conferma negli atti acquisiti al fascicolo di causa la tesi della
Procura contabile secondo la quale i convenuti, per ottenere il saldo del
contributo, hanno posto in essere comportamenti diretti a simulare la
sussistenza dei presupposti di regolarità economica e contabile delle
spese sostenute, anche attraverso la presentazione di fatture e
dichiarazioni non veritiere, e, conseguentemente, il dies a quo del
computo del termine di prescrizione va individuato nel 7/12/2005, data
della relazione con la quale gli ispettori riferivano al competente
Ministero delle Attività Produttive le numerose e significative irregolarità
riscontrate nel corso della visita ispettiva svolta il 9 e 10 novembre
2005.
Sostiene la difesa che “dopo l’anno ’05 la prescrizione della
pretesa risarcitoria non ha subito alcuna interruzione, nonostante
19
l’obiettiva conoscenza di fatto illecito da parte della pubblica
amministrazione…”.
L’affermazione difensiva non trova conferma negli atti acquisiti al
fascicolo di causa.
Infatti, anche prima della notifica agli odierni convenuti del c.d.
“invito a dedurre” – notifica avvenuta in data 3 ottobre e 12 ottobre
2012 – contenente esplicita richiesta di risarcimento e formale
costituzione in mora ai sensi degli artt. 1219 e 2943 c.c.,
l’Amministrazione ha più volte espressamente manifestato all’ “Area
Direzionale Franco s.r.l” la volontà di recuperare il contributo da essa
illecitamente percepito, interrompendo utilmente il decorso del termine
di prescrizione.
Il riferimento è alla nota n. 1094868 del 7 dicembre 2007, con la
quale il Ministero dello Sviluppo economico comunicava al beneficiario
“l’avvio del procedimento di revoca” del contributo, procedimento poi
concluso con il provvedimento di revoca del contributo n. 160697 del
14 giugno 2011.
Considerati quindi gli utili effetti interruttivi del decorso della
prescrizione innanzi richiamati, l’eccezione difensiva sul punto va
respinta.
Passando all’esame del merito, ritiene il Collegio che l’ipotesi di
responsabilità prospettata dall’attore pubblico trovi piena conferma
negli atti acquisiti al fascicolo di causa.
Innanzitutto emerge la palese violazione dell’obbligo di “non
distogliere dall’uso previsto le immobilizzazioni materiali o immateriali
20
agevolate, prima di cinque anni dalla relativa data di entrata in
funzione”, ribadito dall’art.3, comma 1, lettera b) del decreto di
concessione in via provvisoria del contributo n. 68139 del 03/03/1999,
e già previsto dall’art. 8 del D.M. 20/10/1995 n. 527.
Infatti gli ispettori ministeriali, in occasione della verifica effettuata
9 e 10 novembre 2005 (vedasi il relativo “verbale delle operazioni
compiute”) accertavano, acquisendo anche il relativo contratto, che ben
680 mq dell’immobile realizzato con il contributo pubblico – che
complessivamente interessava una superfice di mq 1.820 – era stato
dato in locazione a terzi con contratto avente decorrenza 1.3.2005.
Risulta quindi incontrovertibilmente che oltre un terzo
dell’immobile oggetto del contributo era stato distolto dall’impiego
previsto, contravvenendo al preciso obbligo di destinazione ribadito nel
provvedimento concessivo delle agevolazioni finanziarie.
Ma anche una consistente parte dei macchinari e strumenti
destinati all’attività produttiva dell’ impianto per la realizzazione di
mobili in località Tora del Comune di Potenza risulta essere stato
distolto dal previsto impiego, per essere utilizzati in altre strutture
produttive di proprietà o comunque amministrate dallo stesso Franco
Vito.
I militari della Guardia di Finanza - nel dare esecuzione al
provvedimenti di sequestro disposto dall’autorità giudiziaria penale –
non rinvenivano presso la sede della Società in località Tora del
Comune di Potenza numerosi beni acquistati dal “Centro Commerciale
Lucano s.r.l.” con il contributo ex l.n. 488/1992. Su indicazione
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dell’odierno convenuto Franco Vito, i militari della G.d.F. si sono recati
presso la “S.a.s. Franco Salotti di Franco Marianna & C” (di cui Franco
Vito è socio accomandante; nella sede di quest’ultima Società, ubicata
in San Nicola di Pietragalla, Zona Industriale, i Finanzieri individuavano
“in piena operatività” ben 32 beni acquistati con il contributo pubblico e
destinati ad altro impianto produttivo.
Nel corso delle stesse operazioni, i militari della G.d.F.
provvedevano a sequestrare anche una cavatrice a catena FRAMAR,
matricola n. 01002/149, in uso presso un capannone attiguo di
proprietà del “Gruppo Industriale Franco Divisione Contract S.n.c.” di
cui Franco Vito era legale rappresentante; interrogato dai militari sulla
circostanza, Franco Vito dichiarava : “relativamente al macchinario
rinvenuto presso il Gruppo Industriale Franco affermo che lo stesso
probabilmente è stato spostato dai miei operai a mia insaputa: Non ho
altro da dire” (cfr “Verbale di sequestro e di affidamento in giudiziale
custodia ex art. 253 c.c.p.” del 22.9.2006).
Va altresì rilevato che, come risulta dal già precedentemente
richiamato “verbale delle operazioni compiute” dagli ispettori ministeriali
nel novembre 2005 : “Le attrezzature di cui ai punti 62, 63, 64, 65, 66,
71, 72, 74, 76, 77 e 78 sono presso l’unità produttiva accantonati
ancora imballati e nel caso delle scaffalature non utilizzati”.
E’ sicuramente un inammissibile spreco di risorse pubbliche
richiedere ed ottenere un contributo per acquisire materiale per l’attività
produttiva di uno stabilimento, e non utilizzarlo per nulla (“ancora
imballati”) a distanza di quasi cinque anni dalla data di entrata in
22
funzione dell’impianto (27/03/2001); non appare superfluo sottolineare
che il convenuto Vito Franco ha allegato alla domanda di saldo la
prescritta dichiarazione del 29.3.2001, resa ai sensi della l.n.15/1968,
nella quale, tra l’altro, affermava “che tutti i materiali … relativi alle
spese documentate sono stati acquisiti ed installati nello stabilimento di
cui si tratta…”, mentre essi sono risultati tutt’altro che “installati”.
Ulteriori riscontri probatori emergono sulla circostanza che il
convenuto Franco Vito ha utilizzato fatture e dichiarazioni non veritiere
per ottenere il contributo ex l.n. 488/1992.
Dispone l’art. 9 del già richiamato D.M. n. 527/1995 che, per
ottenere il saldo del contributo concesso, il beneficiario debba produrre,
oltre alla documentazione relativa alle le spese sostenute, anche
specifiche dichiarazioni attestanti la regolarità della documentazione
prodotta.
Tra la documentazione di spesa prodotta per ottenere il contributo,
vi erano due fatture emesse dalla ditta La Rossa Giuseppe: 1) fattura
n. 5/98 del 2.7.1998 per lavori di carpenteria per un imponibile di lire
135.000.000 ed iva di lire 27.000.000; 2) fattura n. 3 del 20.5.1999 per
assistenza nella realizzazione di pali di fondazione per un imponibile di
lire 4.283.333 ed iva di lire 856.667.
I militari della G.d.F. (cfr comunicazione n. 510/U4/DRPC) hanno
proceduto ad un riscontro documentale con la contabilità della ditta La
Rossa Giuseppe, rinvenendo presso di essa fatture di uguale
numerazione e data, ma con differenti destinatari ed oggetto dei lavori,
nonché importo notevolmente inferiore: 1) fattura n. 5/98 del 2.7.1998
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emessa nei confronti di “Alice Idea Multimediale s.r.l.” per lavori di
demolizione tramezzi in cartongesso per un imponibile di lire
3.200.000 ed iva di lire 624.000; 2) fattura n. 3 del 20.5.1999 emessa
nei confronti di Leopardo Giuseppe per lavori di posa in opera di
pavimenti per un imponibile di lire 8.000.000 ed iva di lire 1.600.000.
Il contributo pubblico è stato altresì ottenuto esibendo fatture
relative a lavori effettuati anche su parte del fabbricato di proprietà del
beneficiario, che esulava dalla parte oggetto dell’agevolazione.
Specifica la “Relazione Tecnica” redatta dalla Intesa BCI S.p.A. in
qualità di Banca incaricata della verifica finale dell’investimento:
“L’unità produttiva è stata realizzata presso un fabbricato di proprietà
aziendale che si sviluppa su tre livelli di piano per una superficie
complessiva di circa mq 3.301,21 di cui solo una parte destinata ad
attività produttiva e servizi (mq 1.820) ed ammessa a finanziamento ,
escludendo la restante parte adibita ad area commerciale e show-
room…” (vedasi punto 1: descrizione dell’investimento).
Tra le fatture presentate per ottenere il saldo del contributo ve ne
erano tre emesse dalla ditta individuale “Pace Canio” ( n. 10, n. 15 e n.
17 dell’anno 1999) per un importo complessivo di lire 256.074.000,
genericamente riferite a prestazioni di carpenteria.
Il sig. Pace Canio, sentito dalla G.d.F. (cfr verbale del 29/9/2006),
riferiva che le prestazioni eseguite dalla sua ditta hanno riguardato
l’intera struttura lato dx, precisando di aver eseguito lavori di
carpenteria ed opere di calcestruzzo relativi all’intero immobile, dalle
fondazioni alla realizzazione di n. 5 solai con relativi pilastri, dal muro di
24
recinzione, alla scala di ingresso, alla parte semicircolare prospiciente il
primo piano e di una scala semicircolare interna a partire dal primo
piano.
La fattura n. 20 del 4.4.2000 riguardava la fornitura di attrezzature
per ufficio e di materiale informatico, resa dalla ditta “Prisma di Morena
Mario e & C s.a.s” al “Centro Commerciale Lucano S.r.l.” per un
importo complessivo di lire 47.490.000.
La G.d.F. ha sentito anche il sig. Mario Morena (cfr verbale del
12/9/2006) chiedendo se il materiale fornito fosse stato “nuovo di
fabbrica” nonchè delucidazioni sulle modalità di pagamento, ottenendo
le seguenti risposte: “ No, non tutto il materiale era nuovo di fabbrica. Il
materiale usato rappresentato in fattura è rappresentato da due tavoli
porta disegno 100 x 70 completi di tecnigrafo, macchina da scrivere
olivetti 2450 e cinque monitor a colori 15 della Acer….. In merito
all’incasso della fattura in questione e forniture effettuate essendo i
beni in precedenza specificati ed ivi descritti usati di conseguenza
l’importo raffigurato in fattura è superiore a quello reale ed
effettivamente da me percepito. A tale proposito preciso che ho
percepito solo l’importo corrispondente all’iva indicata pari a lire
7.990.000 e per quanto riguarda l’imponibile ho incassato lire
13.000.000 - cifra rettificata in lire 18.000.000 in una successiva
dichiarazione resa al P.M. penale - anziché 39.950.000. Tali modalità
sono state concordate previamente tramite accordi verbali con il sig.
Franco vito Amministratore Unico del Centro Commerciale Lucano
S.r.l.”.
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Da quanto innanzi emerge ancora una volta che il contributo è
stato ottenuto producendo fatture e dichiarazioni non veritiere,
considerato che il convenuto Vito Franco ha allegato alla domanda di
saldo, in esecuzione di quanto previsto dall’art. 9 comma 5 lett. d) del
D.M. n. 527/1995, la dichiarazione del 29.3.2001, resa ai sensi della
l.n. 15/1968, in cui tra l’altro affermava: “che tutti i materiali,
macchinari, impianti ed attrezzature relativi alle spese documentate
sono stati acquisiti ed installati nello stabilimento di cui si tratta allo
stato nuovi di fabbrica”.
Circa lo scostamento tra le 16 assunzioni di personale previste dal
programma di investimento e le 8,8 assunzioni constatate dalla visita
degli ispettori ministeriali - scostamento considerato tra i motivi di
revoca del contributo dal già richiamato decreto ministeriale n.
160697/2011 - non appare condivisibile l’assunto difensivo che indica
come solo apparente il mancato raggiungimento dell’obbiettivo
occupazionale, in quanto frutto di mero errore nel riportare alcuni
dipendenti (precisamente 3,2) nel libro matricola degli operai edili
invece che nel libro matricola degli operai dell’industria.
Infatti i tre operai a cui si riferisce la difesa (Colangelo, Nolè e
Basile) risultano nel libro matricola degli operai edili insieme ad altri
dipendenti iscritti allo stesso titolo (ad es.: Romaniello, Sabia, Isolbi,
Claps, Coviello, Pace), e pertanto – considerata l’esistenza presso la
Società sia del libro matricola degli operai edili, sia l’iscrizione in esso
di numerosi altri soggetti svolgenti detta attività - non è condivisibile la
prospettazione difensiva secondo la quale “l’errore era tra l’altro di
26
immediata evidenza, dato che la comparente non svolge alcuna attività
nel mondo dell’edilizia, operando esclusivamente nel settore
dell’industria legno-arredo”.
Dal complesso di quanto innanzi esposto, considerate le
numerose ed anche quantitativamente rilevanti “irregolarità” riscontrate,
frutto di dolosi comportamenti illeciti, risulta suffragata da evidenti
riscontri probatori la tesi della Procura secondo la quale la Società
Area Direzionale Franco S.r.l. “ha presentato la contabilità dei lavori
basata su documenti fiscali fittizi, distraendo dalle finalità programmate
i contributi pubblici ottenuti”.
Pertanto, in accoglimento della domanda attorea la Società Area
Direzionale Franco S.r.l, ed il sig. Franco Vito quale amministratore
unico della predetta Società, vanno condannati, in solido, a risarcire il
Ministero dello Sviluppo Economico nella misura di € 621.623,01, oltre
a rivalutazione monetaria ed interessi.
Naturalmente, come innanzi già accennato, l’Amministrazione
creditrice, in sede di esecuzione della presente sentenza, deve tenere
conto di quanto in quel momento già percepito sulla base della
rateizzazione della cartella esattoriale Equitalia
n. 09220120003803514000, emessa a seguito di ruolo
n. 2012/001896.
Le spese di giustizia seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione
Basilicata, ogni contraria domanda ed eccezione respinte:
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a) Condanna la Società Area Direzionale Franco S.r.l, ed il
sig. Franco Vito quale Amministratore unico della predetta Società,
a risarcire, in solido, il Ministero dello Sviluppo Economico nella
misura di € 621.623,01; la predetta somma va aumentata della
rivalutazione monetaria, dalla data del pagamento del saldo del
contributo e sino alla presente pronuncia, oltre agli interessi legali che
sono dovuti da tale ultima data e sino al soddisfo; l’Amministrazione
creditrice, in sede di esecuzione della presente sentenza, deve tenere
conto di quanto in quel momento già percepito sulla base della
rateizzazione della cartella esattoriale Equitalia
n. 09220120003803514000, emessa a seguito di ruolo
n. 2012/001896.
b) Le spese di giustizia seguono la soccombenza e vengono
determinate nella misura di € 389,85=.
Euro trecentottantanove/85=.
Così deciso in Potenza, nella Camera di consiglio del 4 aprile
2013.
Il Presidente f.f. ed estensore
(dott. Vincenzo Pergola)
F.to Vincenzo Pergola
Depositata in Segreteria il -9 MAG. 2013
Il Preposto alla Segreteria della
Sezione Giurisdizionale Basilicata
Maria Anna Catuogno
F.to Maria Anna Catuogno