RELAZIONI INTERNAZIONALI...Il costruttivismo e la Scuola della Società internazionale, infine,...

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EDIZIONI GIURIDICHE E IMON S Gruppo Editoriale Esselibri - Simone ® RELAZIONI INTERNAZIONALI 207/9 COLLANA TIMONE Principali scuole: realismo, liberalismo, scuola inglese, costruttivismo sociale, International Political Economy Politica estera Equilibrio di potenza, bipolarismo, multipolarismo Egemonia Istituzioni e regimi internazionali Sottosviluppo, dipendenza, globalizzazione Nuove sfide ESAMI e CONCORSI Estratto della pubblicazione

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EDIZIONI GIURIDICHEEIMONSGruppo Editoriale Esselibri - Simone

®

RELAZIONIINTERNAZIONALI

207/9COLLANA TIMONE

• Principali scuole: realismo, liberalismo, scuolainglese, costruttivismo sociale, International PoliticalEconomy

• Politica estera• Equilibrio di potenza, bipolarismo, multipolarismo• Egemonia• Istituzioni e regimi internazionali• Sottosviluppo, dipendenza, globalizzazione• Nuove sfide

ESAMI e CONCORSI

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(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:

33/4 • L’esame di storia contemporanea46 • Diritto internazionale pubblico46/C • Le domande d’esame di diritto internazionale pubblico, a risposta aperta46/1 • Organizzazione internazionale46/3 • Schemi e schede di diritto internazionale46/6 • Le Nazioni Unite (ONU) e gli istituti specializzati47 • Diritto dell’Unione Europea200/7 • Elementi di economia internazionale207 • Elementi di diritto internazionale pubblico207/1 • Elementi di diritto dell’Unione europea207/2 • Elementi di organizzazione internazionale207/4 • L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)207/8 • Elementi di diritto internazionale umanitario233/4 • Elementi di storia contemporanea254 • Dottrine e scienze politiche

Il volume è a cura della dott.ssa Giovanna CammilliFinito di stampare nel mese maggio 2010

dalla «Officina Grafica Iride» - Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)per conto della Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - (Na)

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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PREMESSA

Il volume presenta un quadro generale delle Relazioni internazionali(RI) per fornire un pratico supporto sia ai cultori della materia (politologi,diplomatici, funzionari internazionali, politici etc.), sia agli studenti che in-tendono prepararsi per l’esame. Il suo pregio è quello di esporre, in un nu-mero contenuto di pagine e attraverso una trattazione chiara ed esaustiva,tutti i principali argomenti afferenti alla disciplina delle Relazioni interna-zionali: dalle più note teorie e scuole di pensiero (realismo e neorealismo,liberalismo e neoliberalismo, Scuola inglese, costruttivismo sociale, Inter-national Political Economy) ai concetti più dibattuti in ambito accademicoe diplomatico (politica estera, equilibrio di potenza, egemonia, istituzioni eregimi internazionali, sottosviluppo, dipendenza, globalizzazione, senza tra-lasciare le recenti problematiche relative all’ambiente, al terrorismo inter-nazionale e alle questioni di genere).

Il lavoro si avvale, inoltre, di frequenti schemi e box di approfondimen-to, che richiamano l’attenzione sugli eventi di maggior rilievo ed attualitàinternazionale.

È grazie a tali caratteristiche che il testo costituisce uno strumento agileed esaustivo per avvicinarsi a questa disciplina, nonché per il suo studio eripasso per la preparazione di esami universitari.

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INTRODUZIONE

Sommario: 1. Le Relazioni internazionali (RI) come disciplina accademica. - 2. Evo-luzioni nello studio delle RI. - 3. Rassegna delle principali teorie: i quattro dibattiti nelcampo delle RI.

1. LE RELAZIONI INTERNAZIONALI (RI) COME DISCIPLINAACCADEMICA

Con l’espressione «Relazioni internazionali» (RI) si è soliti indicarequella disciplina accademica che studia le interazioni tra Stati in termi-ni di potere (le relazioni internazionali, appunto) ed il modo in cui esseinfluiscono sulla tutela dei valori sociali fondamentali, ossia:

— la sicurezza. Se, da un lato, è allo Stato che spetta provvedere alla pro-tezione dei cittadini da minacce interne ed esterne, dall’altro, parados-salmente, sono gli stessi Stati a poter mettere in pericolo la sicurezzamediante le loro scelte di politica estera. Tale assunto deriva dal modostesso in cui la comunità internazionale è strutturata, perché formata dauna moltitudine di Stati, quasi tutti armati, non sottoposti ad alcuna for-ma di «governo mondiale» dotato di poteri coercitivi (si parla, infatti, disistema internazionale anarchico). Gli Stati, pertanto, pongono al verti-ce delle loro priorità la sicurezza nazionale, che li induce ad una politi-ca di equilibrio sul piano militare e, quando tale equilibrio viene rottodall’emergere di una potenza egemonica, al ricorso alla forza armata. Iltema della sicurezza, con tutte le problematiche che da essa derivano, èil principale oggetto di studio delle teorie realiste;

— la libertà, intesa sia come libertà personale che come indipendenzadello Stato. Partendo dall’assunto che la guerra porta con sé una com-pressione dei diritti umani in generale, e della libertà in particolare, que-st’ultima può essere efficacemente tutelata solo attraverso la promozio-ne della pace nelle relazioni internazionali. Tale approccio è tipico delleteorie liberali;

— l’ordine e la giustizia internazionali, che danno alle relazioni interna-zionali un carattere di certezza e stabilità. Affinché tali valori possano

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Introduzione6

realmente consolidarsi, è necessario che gli Stati rispettino il diritto in-ternazionale, collaborino tra loro mediante l’adesione alle organizzazio-ni internazionali ed interagiscano nel rispetto di quelle «regole di com-portamento» dettate dalla diplomazia. Le teorie sulla Società interna-zionale (SI, sviluppatesi all’interno della cd. Scuola inglese) considera-no ordine e giustizia i più importanti valori delle RI, ritenendo infattiche la loro promozione sia un interesse comune a tutti gli Stati;

— il benessere socio-economico. Allo scopo di garantire ai cittadini untenore di vita quanto più elevato, ai governi spetta il compito di adottarepolitiche macroeconomiche finalizzate alla piena occupazione, al con-tenimento dell’inflazione etc. In virtù della forte interdipendenza checaratterizza il sistema internazionale odierno, gli Stati devono, inoltre,compiere scelte di politica economica che favoriscano la stabilità del-l’economia internazionale, dalla quale tutte le economie nazionali or-mai dipendono. Secondo le «teorie IPE» (International Political Eco-nomy) le relazioni internazionali sono di tipo prevalentemente socio-economico, piuttosto che politico o militare; poiché la ricerca ed il man-tenimento della ricchezza dominano l’agenda politica degli Stati, dun-que, è proprio su tali problematiche che gli studi di RI devono concen-trarsi (JACKSON-SØRENSEN).

2. EVOLUZIONI NELLO STUDIO DELLE RI

A) I nuovi attori del sistema internazionale

Lo Stato ha sempre avuto un ruolo centrale nello scenario internaziona-le, rimanendo per secoli l’attore esclusivo delle relazioni internazionali.

A partire dal XX secolo, in realtà, altri soggetti sono entrati a far partedella vita internazionale, influenzandone l’evoluzione:

— organizzazioni internazionali, intese come associazioni di Stati cheperseguono interessi comuni a tutti i loro membri. Dotate di personalitàgiuridica internazionale, esse rappresentano l’istituzionalizzazione del-la cooperazione interstatuale, e tra le più importanti rientrano l’ONU(che ha sostituito la precedente Società delle Nazioni), la NATO, l’OPEC,l’ASEAN etc. Un discorso a parte merita l’Unione europea che, ag-giungendo alle tradizionali istanze di cooperazione intergovernativa ele-menti straordinariamente innovativi di integrazione fra i membri e ces-

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7Introduzione

sione di quote di sovranità, si caratterizza come un tertium genus inparte definibile come organizzazione sovranazionale;

— attori transnazionali, così definiti perché la loro attività si estende oltrei confini nazionali riuscendo a sfuggire al controllo statale. Di esse fan-no parte molte organizzazioni criminali e terroristiche (si pensi ad Al-Qaeda), ma soprattutto le imprese multinazionali, ossia quelle societàeconomiche costituite da un’impresa «madre» e da una serie di filialioperanti in Paesi diversi. Gran parte della dottrina è concorde nel soste-nere che le multinazionali abbiano ormai acquisito un potere tale dacondizionare l’attività normativa ed il processo decisionale dello Statodi appartenenza, minacciando in tal modo la sua potestà d’imperio;

— individui, che oltre ad essere ormai diventati destinatari di determinatidiritti ed obblighi posti dalle norme internazionali, al pari degli attoritransnazionali incidono sulle scelte politiche del proprio governo e, con-seguentemente, sulla politica globale (si pensi, ad esempio, al ruolo del-l’opinione pubblica internazionale nel promuovere la cooperazione tragli Stati nei settori della tutela dell’ambiente, dei diritti umani etc.

Le teorie riconducibili al realismo ritengono che i soli attori realmentecapaci di determinare le sorti del sistema internazionale siano gli Stati, per-ché detentori della forza militare (ossia della risorsa fondamentale all’ac-quisizione del potere); la corrente liberale è, invece, più attenta al ruolosvolto dalle organizzazioni internazionali nel promuovere la cooperazio-ne interstatale e la creazione di norme condivise con cui gestire problema-tiche comuni. Il costruttivismo e la Scuola della Società internazionale,infine, utilizzano un approccio ancora diverso, di tipo intersoggettivo, rite-nendo che il sistema internazionale sia una realtà sociale in cui importanzafondamentale assumono gli individui, che con le loro idee e percezioni in-fluenzano il comportamento degli Stati (in una simile prospettiva, la politi-ca non dipende da variabili esogene, come ad esempio la struttura anarchicadel sistema internazionale, bensì dalle scelte di capi di Stato e di governo,diplomatici, militari etc.).

B) L’ampliamento dell’agenda di politica internazionale e le nuove sfide

Lo studio delle RI si è tradizionalmente concentrato sulle tematiche del-la guerra e della pace, nonché sul problema di come tutelare gli interessiprimari dello Stato (sovranità, sicurezza, indipendenza).

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Alle questioni di natura squisitamente politico-militare si sono, poi af-fiancate, quelle legate allo sviluppo economico e al benessere dei cittadi-ni, benché con impostazioni diverse: per alcuni il primato deve essere attri-buito alla politica, nel senso che la sicurezza nazionale costituisce la pre-messa necessaria alla tutela di qualunque altro interesse, per altri il rafforza-mento del potere economico può rappresentare, per uno Stato, la condizio-ne sufficiente ad affermarsi sulla scena internazionale anche sotto un profi-lo politico.

In ogni caso, è innegabile lo stretto rapporto tra politica ed econo-mia, considerato come uno degli assunti base per lo studio di alcuni impor-tanti aspetti delle relazioni internazionali: l’assunzione, da parte di un atto-re, del ruolo di egemone; la crescente interdipendenza, a cui oggi spesso sifa riferimento con il termine globalizzazione; lo sviluppo delle istituzioniinternazionali; la stabilizzazione del sistema globale mediante il raggiungi-mento di un equilibrio di potenza tra gli Stati.

È, però, da segnalare la nascita di nuovi, ulteriori dibattiti, che riflettonoi cambiamenti della comunità internazionale odierna: essi riguardano, inmodo particolare, il sempre più incisivo ruolo delle donne nella politicaglobale, la necessità di affrontare questioni prima risolvibili da uno Stato alproprio interno (quali il terrorismo, la difesa dei diritti dell’uomo e del-l’ambiente) mediante strumenti internazionali.

3. RASSEGNA DELLE PRINCIPALI TEORIE: I QUATTRO DIBAT-TITI NEL CAMPO DELLE RI

La nascita delle RI come disciplina accademica autonoma (1919) è sta-ta segnata dall’emergere dell’idealismo (ossia della variante tradizionaledel liberalismo) come paradigma dominante.

Tale dottrina, fondata sull’ottimismo antropologico, ossia sulla convin-zione che l’uomo sia un essere razionale e perfettibile, riteneva che fossepossibile costruire un ordine mondiale pacifico attraverso la diffusione del-la democrazia e delle istituzioni internazionali. Si presentava, pertanto, cometeoria normativa, ponendosi come obiettivo non la spiegazione delle rela-zioni internazionali per quello che sono, ma per quello che dovrebbero es-sere.

Le sue concettualizzazioni furono messe in discussione, alla fine deglianni Trenta, dagli esponenti del realismo. Edward Hallett Carr, in partico-

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9Introduzione

lare, con la pubblicazione dell’opera intitolata The Twenty Years’ Crisis(1939), evidenziava come il progetto politico degli idealisti si fosse tra-dotto in un fallimento. Ciò era dimostrato dall’inefficienza della Societàdelle Nazioni nel promuovere la pace e dall’emergere dei totalitarismi inEuropa.

Il confronto tra idealismo e realismo portò, così, quest’ultimo ad af-fermarsi come filone teorico dominante a partire dalla fine del secondoconflitto mondiale. La realtà politica che si venne a costituire negli annidella guerra fredda, caratterizzata da un forte dilemma della sicurezza edalla corsa agli armamenti, risultava essere lo scenario migliore per l’appli-cazione delle idee realiste circa l’importanza della forza militare, la struttu-ra anarchica e conflittuale del sistema internazionale, il prevalere della logi-ca del self-help etc.

Se quelli appena citati rappresentavano i concetti chiave che accomuna-vano gran parte delle teorie di RI, l’elemento di differenziazione era datodall’impostazione metodologica. Negli anni Cinquanta andava, infatti, af-fermandosi la rivoluzione behaviorista, che proponeva di applicare nellescienze sociali il metodo empirico-razionale tipico delle scienze naturali.

Da ciò scaturì un secondo dibattito, che questa volta riguardava nonl’ontologia (ossia una riflessione sulla natura delle relazioni internazionali),bensì l’epistemologia (il metodo conoscitivo):

— alcuni studiosi erano a favore di un’epistemologia interpretativa che,negando l’esistenza di verità oggettive, mira a comprendere dall’internoi fenomeni internazionali secondo un approccio tradizionale di tipo in-tuitivo (basato sulle discipline storico-umanistiche);

— altri (fautori del behaviorismo) ritenevano, invece, necessario il ricorsoad un’epistemologia esplicativa, finalizzata alla conoscenza scientificadella realtà, che essendo costituita da dati oggettivi può essere studiataempiricamente.

Il metodo scientifico veniva pesantemente criticato da chi, come Hed-ley Bull e altri esponenti della Scuola inglese, sostenevano che il sistemainternazionale non può essere considerato, alla stregua del mondo naturale,come un fenomeno esterno all’uomo, caratterizzato dalla presenza di «leg-gi» che si ripetono con regolarità; non ha fondamento, quindi, il tentativodello studioso di osservare la politica internazionale in maniera distaccata,raccogliendo dati empirici e costruendo dei modelli applicabili a tutti i casi.

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Introduzione10

Ogni evento, per i sostenitori del metodo tradizionale, viene plasmatodall’azione dell’uomo, e deve pertanto essere compreso dall’interno.

Nonostante tali critiche, il behaviorismo ispirò la generalità delle teorieelaborate nell’ambito delle RI, portando all’evoluzione di liberalismo, rea-lismo e marxismo, rispettivamente, in neoliberalismo, neorealismo e neo-marxismo.

Negli stessi anni, in parte anche grazie all’affermazione della metodolo-gia positivista, si assistette alla nascita dell’International Political Economy,che analizza la politica globale affrontandone le questioni economiche (eche, per questo, ha maggiormente bisogno della raccolta di dati e della loroquantificazione).

Alla fine degli anni Ottanta un terzo dibattito coinvolse tutti e tre gliapprocci teorici fondati sul behaviorismo, e portò il neoliberalismo (graziesoprattutto all’opera dei cd. liberali deboli) ad accettare alcuni assunti delneorealismo, fino alla realizzazione di una sintesi tra le due impostazioniche divenne la mainstream dominante (con conseguente marginalizzazio-ne del neomarxismo).

Nello stesso periodo furono elaborate numerose teorie che, come la Scuo-la inglese anni addietro, si contrapponevano al metodo scientifico (tra que-ste, la teoria critica di Cox e parte del discorso femminista). Si ebbe così unquarto confronto tra teorie antipositivistiche o riflettivistiche, da un lato,e teorie razionalistiche dall’altro, in cui il costruttivismo assunse una po-sizione intermedia, cercando di combinare il metodo scientifico all’ideasecondo le relazioni internazionali sono un mondo intersoggettivo, costrui-to cioè dagli attori attraverso idee e credenze condivise.

La fine della guerra fredda non ha comportato l’emergere di teorie nuo-ve rispetto ai principali approcci sviluppatisi in precedenza (realismo/neo-realismo, liberalismo/neoliberalismo, marxismo/neomarxismo, IPE, Scuo-la inglese e costruttivismo) quanto, piuttosto, un tentativo di prevedere cosasarebbe successo in un mondo non più bipolare ed una dilatazione dell’agendadi politica internazionale alla luce di problematiche che hanno acquisitoun’importanza a livello globale (tra queste, la tutela dei diritti umani, lalotta contro il terrorismo internazionale, la tutela ambientale, il controllodei flussi migratori etc.).

Quanto illustrato in questo capitolo rappresenta una sintesi che ha il soloscopo di introdurre il lettore allo studio delle Relazioni internazionali. Le

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11Introduzione

diverse teorie e questioni a cui si è accennato verranno più ampiamentetrattate nei capitoli che seguono.

Schema riassuntivo

— Primo dibattito: tra idealismo e realismo. Il realismo si afferma come paradigma domi-nante

— Secondo dibattito (dibattito sul metodo): tra metodo scientifico-positivistico (ontolo-gia oggettivistica – epistemologia esplicativa) e metodo tradizionale (ontologia soggetti-vistica – epistemologia interpretativa)

— Terzo dibattito (dibattito interparadigmatico): tra neorealismo, neoliberalismo e neo-marxismo. Marginalizzazione del neomarxismo ed affermazione della sintesi neo-neo(neorealismo-neoliberalismo) come paradigma dominante

— Quarto dibattito: tra teorie positivistiche (fondazionistiche ed esplicative: neorealismoe neoliberalismo) e teorie antipositivistiche (costitutive ed antifondazionistiche: teoriacritica, teoria normativa). Posizione intermedia del costruttivismo sociale (epistemologiapositivistica- ontologia post-positivistica)

Adattamento da Mazzei

Il dibattito metodologico in sintesi

Ontologia oggettivistica

BehaviorismoPositivismo

Epistemologia Teoria critica Epistemologiaesplicativa Costruttivismo interpretativa

TeoriaclassicaTeorianormativa

Postmodernismo

Ontologia soggettivistica

Adattamento da JACKSON-SØRENSEN

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PARTE PRIMA

LE TEORIE DI RELAZIONIINTERNAZIONALI

CAPITOLO PRIMO

IL REALISMO

Sommario: 1. Definizione e caratteristiche. - 2. Il realismo classico. - 3. Morgenthaued il realismo neoclassico. - 4. Schelling ed il realismo strategico. - 5. Segue: La teoriadei giochi. - 6. Kenneth Waltz e il neorealismo.

1. DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE

Il realismo è una scuola di pensiero che affonda le sue radici già nel-l’antica Grecia ed in alcuni grandi pensatori antichi (Tucidide, Machiavelli,Hobbes), diventando poi il paradigma teorico dominante delle RI a par-tire dal secondo dopoguerra.

Esso si basa su una visione sostanzialmente pessimistica dell’uomo, dellerelazioni sociali ed, in conseguenza, di quelle internazionali. Gli assuntichiave possono essere così sintetizzati:

— la natura umana è sostanzialmente egoista, caratterizzata da una forte«volontà di dominio» (Morgenthau) e dal desiderio di prevalere suglialtri per soddisfare le proprie necessità (cd. pessimismo antropologi-co);

— in ambito sociale, i rapporti interindividuali assumono, pertanto, ca-rattere competitivo, trasformandosi, come sosteneva Hobbes, in una«guerra di tutti contro tutti»;

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Parte Prima - Le teorie di Relazioni internazionali14

— a livello politico, la rivalità si manifesta sottoforma di lotta per l’acqui-sizione ed il mantenimento del potere;

— la politica mondiale è vista come una «politica di potenza». Il sistemainternazionale è di tipo anarchico, data l’assenza di una sorta di governomondiale o di qualsiasi forma di autorità ultra-statuale dotata di potericoercitivi, e si trasforma in un’arena di scontro fra gli Stati, in cui dominaun clima di conflittualità e guerra. Tale contesto produce un forte senso diinsicurezza, che induce gli Stati al self-help e a valutare la sopravvivenzae la tutela degli interessi nazionali come obiettivi primari, da conseguiremediante un adeguato sistema di difesa e di autotutela.

Per la dottrina realista, dunque, lo Stato (visto come attore unitario erazionale) deve anzitutto proteggere i suoi cittadini, perché solo una voltasoddisfatta l’esigenza primaria di sicurezza è possibile promuovere il be-nessere in tutte le sue forme (ricchezza, sviluppo sociale etc.). Contestual-mente, la politica estera si traduce nello strumento che consente di «proiet-tare e difendere gli interessi dello Stato nella politica mondiale» (Jackson,Sørensen).

Gli Stati sono considerati gli unici attori realmente in grado di deciderele sorti della Comunità internazionale; poco rilievo assumono, pertanto, gliindividui, le organizzazioni internazionali, le ONG etc., nonostante alcunidi essi abbiano acquisito pro forma il rango di soggetti di diritto internazio-nale.

Ogni Stato, però, interviene nello scenario internazionale in modo più omeno incisivo, avendo un diverso peso politico, ed è perciò collocato all’in-terno di una precisa gerarchia in cui dominano le grandi potenze, desidero-se di imporre la propria egemonia (v. Parte II, Cap. III) o, comunque, lapropria volontà sugli Stati più piccoli.

Se, sul piano contenutistico, gli assunti sopra esposti accomunano lageneralità degli autori realisti, l’elemento di distinzione è, invece, di tipometodologico, e porta ad individuare due grandi filoni:

— il realismo classico, affermatosi già nella Grecia antica e protrattosifino alla rivoluzione behaviorista degli anni Cinquanta e Sessanta delNovecento. Trattasi di un approccio «tradizionale» alle RI, fondato suun metodo di analisi di tipo prettamente storico-filosofico;

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15Capitolo Primo - Il realismo

— il realismo contemporaneo (nelle sue diverse varianti: realismo neo-classico, strategico etc.), che, al pari di molte altre dottrine, nel Nove-cento si è trasformato in una vera e propria scienza sociale, rifacendosiall’impostazione razionale delle scienze naturali e riprendendo da esseil metodo empirico-neopositivistico.

2. IL REALISMO CLASSICO

A) Caratteri generali

Il realismo è uno dei più antichi approcci teorici allo studio delle RI,secondo il quale l’anarchia che caratterizza il sistema internazionale portaall’affermazione di grandi potenze che inevitabilmente cercano di estende-re la propria influenza politica sulle entità politiche inferiori. L’ineguaglianzadiventa, dunque, una costante delle RI, e ad essa l’etica politica, che per irealisti classici costituisce un valore chiave, deve adeguarsi: l’etica, infatti,non deve essere intesa come «moralità privata» del governante o «principiodi giustizia» (Jackson, Sørensen), né deve mirare all’uguaglianza (in quantoobiettivo utopistico impossibile da raggiungere), bensì deve tradursi nel-l’accettazione, da parte di ogni Stato, del ruolo che gli compete nello sce-nario internazionale.

Dall’ineguaglianza deriva, infine, che il problema della sicurezza di-venti prioritario nell’agenda del governante, il quale deve proteggere l’in-tegrità e l’indipendenza del territorio dalla politica di potenza e dalle conte-stuali mire espansionistiche delle altre entità politiche.

B) Tucidide

Molti studiosi fanno risalire la nascita del realismo classico allo storicoateniese della Grecia antica Tucidide, vissuto nel IV sec. a.C. e reso celebredal suo capolavoro La Guerra del Peloponneso, una raccolta di otto libri sulconflitto che vide coinvolte Sparta ed Atene tra il 431 a.C. ed il 404 a.C.

Per Tucidide, le relazioni internazionali della sua epoca erano tutte in-centrate sulla rivalità e sul conflitto, sia quelle tra le città-Stato greche, siaquelle tra esse ed i limitrofi Imperi macedone e persiano.

Tale rivalità è inevitabile: poiché il tratto caratteristico di ogni entitàpolitica è la volontà di accrescimento, di espansione della propria potenza,se all’interno di una regione si costituiscono due o più centri di potere (come

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Parte Prima - Le teorie di Relazioni internazionali16

Sparta e Atene), esse tendono certamente ad aumentare la propria forza sot-tomettendo le poleis più deboli. Le reciproche sfere di influenza entrano inconflitto, provocando senza possibili alternative una guerra il cui intento èquello di annientare il proprio rivale.

Il continuo stato di guerra era, però, considerato da Tucidide come laprincipale causa del decadimento, soprattutto morale, delle città greche:«L’audacia temeraria era considerata coraggio leale; l’esitazione prudente,scusa della codardia; la moderazione, il travestimento della debolezza vile;saper tutto voleva dire far nulla. L’energia frenetica costituiva la vera quali-tà di un uomo … L’amore della violenza aveva sempre fortuna … Il vincolodi parte era più forte di quello del sangue … Il sigillo della buona fede nonrappresentava la legge divina, ma l’associazione a delinquere» (in L. III, p.82). Si rendeva, dunque, necessario sviluppare un’etica politica secondo cuila disuguaglianza tra grandi potenze (come Atene e Sparta) e piccole emedie potenze (tra cui la moltitudine di minuscoli Stati insulari del MarEgeo), essendo inevitabile, può solo essere accettata come dato di fatto:ogni entità politica può fronteggiare solo i propri uguali, ma deve «compor-tarsi con deferenza verso i superiori».

C) Machiavelli

Il pensiero di Niccolò Machiavelli, uno dei più autorevoli filosofi, scrit-tori e politici del Rinascimento italiano, considerato il fondatore della scien-za politica moderna, risente della profonda crisi che verso la fine del Quat-trocento aveva investito gli Stati italiani, ormai incapaci di protrarre il siste-ma di alleanze ingegnosamente allestito da Lorenzo il Magnifico per garan-tire l’indipendenza dell’Italia dal dominio straniero.

La facilità con cui Carlo VIII riuscì ad entrare in Italia per conquistare il Regno di Napoli,infatti, mostrò quanto deboli fossero le alleanze stipulate dagli Stati italiani, e l’impotenza diquesti ultimi nei confronti di Francia e Spagna, diventate vere e proprie potenze militari dopola loro costituzione in Stati nazionali.

Nelle parole di Machiavelli «Di qui nacquero poi nel mille quattrocento novantaquattro igrandi spaventi, le subite fughe e le miracolose perdite; e così tre potentissimi Stati che eranoin Italia, sono stati più volte saccheggiati e guasti. Ma quello che è peggio, è che quegli che cirestano stanno nel medesimo errore e vivono nel medesimo disordine, e non considerano chequegli che anticamente volevano tenere lo Stato, facevano e facevano fare tutte quelle cose cheda me si sono ragionate, e che il loro studio era preparare il corpo a’ disagi e lo animo a nontemere i pericoli» (D’Addio).

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17Capitolo Primo - Il realismo

Nelle sue opere principali, il Principe ed i Discorsi, Machiavelli tentadunque di ricavare una lezione pratica dalla decadenza in cui versa l’Italiaper indicare il programma da intraprendere, tanto nella politica interna chein quella estera, per ristabilire la stabilità politica.

In politica estera, in particolare, nell’ottica di Machiavelli il governanteha l’obbligo di tutelare il valore supremo dell’indipendenza, facendosiportatore degli interessi del proprio Stato. A tal fine, egli deve trasformarsiin Leone e Volpe al tempo stesso, ossia accrescere la propria forza ed agirecon astuzia. Solo così, attraverso una sapiente combinazione di abilità epotere, risulta possibile prendere coscienza di eventuali minacce e porvirimedio in modo pronto ed adeguato.

Secondo una visione pessimistica, la natura umana è perennemente con-centrata al soddisfacimento dei propri interessi e all’acquisizione di potere,sollecitata dalla cupidigia e dall’ambizione; gli Stati, al pari degli uomini,tendono ad estendere il proprio dominio per assicurarsi la sopravvivenza,mediante una politica di potenza in cui la sicurezza assume un ruolo cen-trale e deve essere difesa a tutti i costi, prescindendo da qualsiasi conside-razione di ordine religioso, etico e morale.

D) Hobbes

Analogamente agli Autori precedenti, anche per Thomas Hobbes, stu-dioso di filosofia politica e giuridica vissuto in Inghilterra nel XVI sec., lavita dell’uomo è caratterizzata da un costante desiderio di potere. Comeespresso nella sua opera più nota, Il Leviatano, «(è) inclinazione comune atutto il genere umano, un perenne e insaziabile desiderio di sempre mag-gior potere che si estingue soltanto con la morte. La causa di ciò non èsempre determinata dalla speranza di raggiungere una felicità più completadi quella che già si possiede, o dal fatto che non ci si contenta del poterelimitato, ma dall’impossibilità di rendere sicuri il potere ed i mezzi per vi-vere bene che già si sono conquistati, se non con il procurarsene di maggio-ri» (D’Addio).

Le premesse antropologiche sembrano, dunque, essere analoghe a quel-le machiavelliane: l’uomo desidera tutto e ha a disposizione mezzi limitatiper soddisfare i suoi desideri; da ciò discende un perenne stato di insoddi-sfazione che induce ogni individuo a lottare per ottenere ciò che vuole, an-che a scapito degli altri, in uno stato di natura caratterizzato dal dilemma

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Parte Prima - Le teorie di Relazioni internazionali18

della sicurezza e da una lotta dell’uomo contro l’uomo (homo homini lupus).L’unico modo in cui l’uomo può sfuggire al caos dello stato di natura

consiste nel collaborare con i suoi simili sottoscrivendo un «patto» chegarantisca la sicurezza e l’incolumità di ognuno mediante la costituzione diuno Stato, ossia di un governo sovrano dotato di autorità assoluta e perquesto capace di imporre la sua volontà sui sudditi.

Lo Stato viene immaginato da Hobbes come il mostro biblico Leviatano, ossia come unmale necessario che, se da un lato domina incontrastato sui sudditi, costretti ad obbedirgli,dall’altro è l’unico in grado di provvedere alla loro sopravvivenza, ponendo fine allo stato dinatura.

Sul piano internazionale, però, l’esistenza di Stati tutti parimenti sovra-ni crea ipso facto un nuovo stato di natura, ossia una comunità internazio-nale anarchica in cui ogni entità politica aspira ad accrescere la propriapotenza e a resistere a qualsiasi tentativo di sottomissione da parte dellealtre. Gli Stati vivono, dunque, in uno stato di guerra e conflittualità co-stante, che il diritto internazionale può solo parzialmente risolvere.

3. MORGENTHAU ED IL REALISMO NEOCLASSICO

Negli anni in cui si era ormai pienamente affermato il neorealismo (so-prattutto nel mondo anglosassone), Hans Morgenthau ed altri realisti «tra-dizionalisti» (tra cui Henry Kissinger) si oppongono ad un eccessivo scien-tismo giudicando le teorie neorealiste:

— eccessivamente parsimoniose, perché miranti a spiegare i fenomeni in-ternazionali con un numero troppo limitato di variabili;

— astoriche, perché poco attente alla variabile «mutamento»;— value-free, ossia non prescrittive, prive di considerazioni etico-normati-

ve che possano indicare le possibili soluzioni per migliorare l’andamen-to delle RI (Mazzei).

È per tale ragione che l’approccio di Morgenthau viene definito «reali-smo neoclassico», in quanto recupera l’impostazione metodologica menoempirica del realismo.

Sul piano contenutistico, ovviamente, gli assunti di base sono i medesi-mi: per sua natura, l’uomo è alla costante ricerca di potere, ricerca che loporta allo scontro con gli altri e che, in conseguenza, produce un forte sensodi insicurezza ed instabilità.

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La politica si traduce in strumento di conquista di detto potere, in uncontesto internazionale anarchico in cui prevale la logica della guerra.

Date queste premesse, per assicurare la sopravvivenza del proprio Statoil politico deve saper scindere la sfera pubblica da quella privata, senzaaspirare di applicare alla prima i valori etici della seconda. Come ben spie-gato da Jackson e Sørensen, nell’ottica dei realisti «a volte può essere ne-cessario scegliere tra due beni il maggiore, o tra due mali il minore … Go-vernare con spirito responsabile significa anche adottare un’etica che è pe-culiare della politica. Gli uomini di Stato responsabili non sono solo liberi,in quanto detentori di sovranità, di agire in modo opportunistico. Essi devo-no farlo nella piena consapevolezza che investire ed esercitare il potere po-litico negli affari esteri comporta inevitabilmente dilemmi morali e azionidiscutibili, o addirittura del tutto condannabili, dal punto di vista morale».

È sulla base di tali considerazioni che Morgenthau si è sempre mostratocritico nei confronti di personalità come il Presidente statunitense WoodrowWilson, ritenendo che il loro idealismo politico, teso ad affermare anche sulpiano delle relazioni internazionali i principi di giustizia, solidarietà e ri-spetto dei diritti umani, rischierebbe di far perdere di vista il valore supremodella sicurezza e di tradursi, addirittura, in una politica sconsiderata, irreali-stica e controproducente per il benessere dei cittadini.

Nella sua famosa opera Politics among Nations (1948), considerata untesto base nello studio delle RI, Morgenthau enuncia i ccdd. «sei principidel realismo politico», che possono così essere sintetizzati:

— la politica, come la società in generale, è governata da leggi oggettiveche trovano le loro radici nella natura umana. Si rende, dunque, necessa-rio comprendere tali leggi e sviluppare una teoria razionale, in grado didistinguere tra ciò che è oggettivo, supportato da prove, e ciò che sirivela frutto di meri giudizi soggettivi. Solo compiendo tale sforzo, chesi traduce in concreto in un’analisi delle azioni politiche poste in esseree nella previsione delle loro conseguenze, è possibile rintracciare i prin-cipi guida della politica estera;

— oggetto di studio deve essere il concetto di interesse definito in termi-ni di potere, poiché esso, costituendo l’elemento peculiare della politi-ca, consente di definire quest’ultima come «sfera di comportamento au-tonoma» distinta, ad esempio, dall’economia (che concepisce, invece,l’interesse in termini sottoforma di benessere) o dall’etica;

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— sebbene la definizione di politica come costante ricerca di potere si ri-veli universalmente valida, tale ricerca è condizionata da fattori con-tingenti, ossia dalla particolare congiuntura spazio-temporale. In altreparole, il concetto di potere e le modalità con cui esso viene gestitodipendono dal particolare ambiente politico e culturale. Si pensi, ad esem-pio, al balance of power, che viene perseguito costantemente in tutte lesocietà pluraliste, ma con modalità differenti nei periodi di relativa sta-bilità e quelli caratterizzati, invece, da tensioni e conflitti;

— l’etica delle relazioni internazionali è un’etica politica o situazionale,nettamente distinta da quella privata. I principi morali universalmente ri-conosciuti non possono essere applicati al modus operandi politico, madevono essere flessibili, adattabili alle particolari circostanze di tempo espazio. In politica non è consentito scindere l’etica dalla prudenza, intesacome valutazione delle conseguenze che una determinata scelta politicaproduce sui valori supremi della sicurezza e del benessere dei cittadini;

— il relativismo etico deve prevalere sull’universalismo. In tal senso, leaspirazioni morali di una particolare nazione non possono essere rico-nosciute come «leggi» valide, oltre che auspicabili, in qualsiasi realtàstorico-politica. Ciò vale anche nel caso di Paesi democratici come gliStati Uniti che, secondo Morgenthau, non hanno il diritto di imporre lapropria ideologia agli altri, soprattutto se questo comporta (come spessoè stato criticato in occasione della recente guerra in Iraq) l’inizio di veree proprie «crociate» basate sull’uso della forza;

— nonostante il realismo ammetta l’esistenza di altri obiettivi da inserire nel-l’agenda politica oltre alla ricerca del potere (benessere economico, legalitàetc.), i primi devono sempre essere subordinati alla seconda. In questo qua-dro, l’approccio «legalista» e quello «moralista» allo studio delle RI risulta-no, dunque, compatibili con la politica internazionale, a patto che diritto edetica non si trasformino nei valori supremi da perseguire.

Applicazioni pratiche del sesto principio nell’analisi della politicainternazionale

Nell’illustrare la validità dell’ultimo principio sopra enunciato, ossia l’importanza di su-bordinare le considerazioni etico-giuridiche a quelle eminentemente politiche, Morgen-thau analizza tre diverse questioni:

— l’invasione della Finlandia da parte dell’Unione sovietica nel 1939. Tale azionepose la Francia e la Gran Bretagna di fronte ad un’importante scelta: se far valere

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considerazioni giuridiche o di tipo politico. Sotto il primo profilo, l’invasione del-l’URSS era da considerarsi illegittima ai sensi del diritto internazionale (perché con-trastante con gli obblighi imposti dal Patto della Società delle Nazioni) e, dunque,imponeva l’adozione di adeguate contromisure. Sotto il secondo profilo, per quantodeplorabile e moralmente inaccettabile, essa non comportava alcuna lesione degli in-teressi vitali inglesi e francesi, che anzi, sarebbero stati messi gravemente in pericoloda un’eventuale dichiarazione di guerra all’Unione sovietica (la quale avrebbe sicura-mente ottenuto l’appoggio militare di altri Paesi, tra cui la Germania, magari compo-nendo un’alleanza superiore sul piano della distribuzione di potere). Francia e GranBretagna, ergendosi a promotori dei valori propugnati dalla SdN, optarono per un ap-proccio giuridico al problema, che provocò l’espulsione dell’URSS dall’organizzazio-ne, e si prepararono ad un’azione militare. Secondo Morgenthau, il rifiuto da partedella Svezia di far passare sul proprio territorio le truppe anglo-francesi dirette verso laFinlandia si rivelò provvidenziale, evitando che i due Paesi si trovassero coinvolti inuna disastrosa guerra contro i sovietici ed i loro alleati tedeschi. Ancora secondo l’Au-tore, la politica di Francia e Gran Bretagna costituisce un classico esempio di«legalismo», o di «approccio legalista», avendo entrambi i Paesi compiuto le propriescelte di politica internazionale sulla base di valutazioni giuridiche;

— il mancato riconoscimento internazionale della Repubblica popolare cinese. I Pa-esi occidentali osteggiarono l’ascesa del comunismo in Cina, e continuarono a ricono-scere come governo legittimo quello di Taiwan (cui rimase il seggio permanente inseno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite) unicamente sulla base di valutazio-ni etiche, in virtù dell’incompatibilità delle politiche di Mao-Tse Tung con i valoripropugnati dall’Occidente. Le loro scelte di politica estera tralasciarono qualsiasi con-siderazione di ordine politico, ad esempio in merito al mantenimento del balance ofpower. Nella visione di Morgenthau, probabilmente anche in tal caso il mondo occi-dentale sarebbe giunto alla conclusione di isolare la Cina nel contesto internazionale,ma ciò che va criticato è la scelta di rispondere a questioni politiche unicamente attra-verso lo spettro della morale. È questo, per l’Autore realista, un classico esempio di«approccio moralista»;

— la partecipazione britannica al primo conflitto mondiale. Nell’agosto 1914 la GranBretagna dichiarò guerra alla Germania che, invadendo militarmente in Belgio, avevaviolato il suo status di Paese neutrale. Tale azione poteva essere giustificata in termi-ni sia di legalismo-moralismo, sia di realismo: da un lato, per difendere l’indipen-denza del Belgio, la cui dichiarazione di neutralità rappresentava una volontà sovranae, dunque, tutelabile ai sensi del diritto internazionale; dall’altro, perché per la GranBretagna la stabilità dei Paesi vicini risultava funzionale alla propria sicurezza. In virtùdi questo ragionamento, così come per secoli la politica estera britannica aveva difesoi Paesi Bassi dagli attacchi di potenze ostili, lo stesso doveva essere fatto in relazione alBelgio.

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4. SCHELLING ED IL REALISMO STRATEGICO

Negli anni Cinquanta e Sessanta, a seguito della rivoluzione comporta-mentistica, nell’ambito del realismo si sono sviluppati nuovi approcci teori-ci tesi a trasformare le RI in una scienza sociale positivistica ed empirica.Tra essi rientra il realismo strategico dell’economista statunitense Tho-mas Schelling.

Poiché da tale approccio non risultano del tutto assenti valutazioni ditipo normativo (sebbene relegate ad un ruolo marginale), esso si colloca nelfilone realista in una posizione intermedia tra:

— il realismo classico e quello neoclassico da un lato, che considerano ilpotere un aspetto delle relazioni internazionali da rilevare empiricamen-te e, al tempo stesso, una questione di responsabilità politica.

Rilevano in proposito Jackson e Sørensen che, per i realisti classici e neoclassici, «quellesull’equilibrio di potere, ad esempio, non sono semplici enunciazioni empiriche riguar-danti il modo in cui si presume funzioni la politica mondiale. L’equilibrio di potere èanche un valore fondamentale, nel senso che rappresenta un obiettivi legittimo e una guidaper una gestione responsabile del governo degli Stati da parte dei leader delle grandi po-tenze»;

— il neorealismo in senso stretto di Kenneth Waltz, che rifiuta completa-mente gli aspetti normativi del realismo.

Più in dettaglio la teoria del realismo strategico, esposta nella più famo-sa opera di Schelling, The Strategy of Conflict (La strategia del conflitto,1960), concentra la sua analisi sulla politica estera, in particolare sui duestrumenti fondamentali (appunto strategici) alla gestione di quest’ultima: laforza militare e la diplomazia:

— l’uso della forza militare si rende necessario soprattutto alle grandipotenze (come gli Stati Uniti), ma occorre distinguere la forza bruta,ossia quella concretamente messa in atto, dalla coercizione, intesa comecapacità, come potenziale militare che pone l’avversario in un logorantestato di paura. La coercizione, inoltre, può rivelarsi realmente efficace:

a) se vengono attentamente analizzate le debolezze dell’avversario;b) se quest’ultimo ha una chiara conoscenza di quali scelte politiche lo

porteranno ad essere attaccato o meno;c) se i propri interessi non sono totalmente contrapposti a quelli del

rivale, lasciando così margini più o meno ampi di contrattazione. Le

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trattative diplomatiche, infatti, potrebbero avere esito positivo edevitare azioni militari, ossia il ricorso alla forza bruta;

— la diplomazia viene intesa da Schelling come arte della negoziazione,al fine di giungere ad una soluzione di compromesso che, in quanto tale,non soddisfa in termini assoluti le aspettative delle parti ma risulta mi-gliore a qualsiasi soluzione alternativa. Diplomazia e forza militare siinfluenzano a vicenda: da un lato, l’avere a disposizione un’adeguataforza militare mette un Paese in una condizione di superiorità tale danon aver bisogno di negoziare; dall’altro, in tempi di guerra la diploma-zia non scompare ma, al contrario, la strategia militare diventa parteintegrante di essa trasformandosi in «diplomazia della violenza», ossiain «arte della coercizione, dell’intimidazione e della deterrenza» (Schel-ling).

Altro importante oggetto di studio, inevitabile in un contesto come quel-lo della Guerra fredda, caratterizzato dalla contrapposizione tra USA e URSSanche sul piano degli arsenali nucleari, è il concetto di «minaccia nuclea-re»: per Schelling, una simile minaccia può rivelarsi realmente efficace solose all’avversario viene lasciata una via d’uscita praticabile. In caso contra-rio, essa rischia di produrre effetti catastrofici, perché induce il rivale a col-pire per primo.

Sul piano metodologico, come già accennato, il realismo strategico sipresenta come teoria empirica e, a tal fine, si propone di individuare modelliricorrenti di comportamento mediante un’analisi della scelta razionale notacome «teoria dei giochi» (per la quale a Schelling fu conferito nel 2005, incondivisione con Aumann, il Premio Nobel per l’economia).

5. SEGUE: LA TEORIA DEI GIOCHI

Sviluppata in campo economico e presto applicata anche al settore stra-tegico-militare e delle RI, la teoria dei giochi è una scienza matematicache analizza le situazioni di conflitto e cerca di individuarne le soluzio-ni, di tipo competitivo o cooperativo, mediante l’elaborazione di model-li derivanti da uno studio delle decisioni prese da soggetti interagenti traloro. L’interazione produce una logica causa-effetto, per cui ad un’azionecorrisponde sempre una retroazione.

Tutti devono essere a conoscenza delle regole del gioco e delle conse-guenze che deriveranno da ogni mossa, la quale, singolarmente o insieme

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ad altre, prende il nome di strategia. In base alla strategia adottata, ognigiocatore, o agente, riceve un pay-off, ossia una vincita finale, che può averevalore positivo, nullo o negativo.

Alla fine, il gioco verrà detto «a somma costante» solo se ad ogni vinci-ta di un giocatore corrisponde una perdita per gli altri. Ne costituisce unavariante particolare il «gioco a somma zero», che si verifica tra due giocato-ri quando la perdita si trasforma nella vincita del secondo assumendo, così,la forma di un pagamento.

Nell’ambito delle RI, rilevano i due giochi noti come «dilemma delprigioniero» e «battaglia dei sessi».

A) Il dilemma del prigioniero

Trattasi di un gioco ad informazione completa proposto negli anni Cin-quanta da Albert Tucker ed utilizzato, nella sua versione reiterata, dal neoli-berale Robert Axelrod nella teoria della complessità. Esso risulta partico-larmente adatto a spiegare la corsa agli armamenti da parte di Stati Uniti edUnione sovietica nel corso della guerra fredda e, nella forma reiterata, lapolitica di distensione.

Il dilemma può essere riassunto come segue. Due prigionieri, A e B,accusati con prove indiziarie di aver commesso una rapina, vengono inter-rogati separatamente dal Pubblico ministero, avendo come uniche possibiliscelte quella di confessare o meno. Viene loro spiegato, inoltre, che:

— se uno confessa (strategia indicata con D, defezione) mentre l’altro tace(strategia indicata con C, cooperazione), il primo verrà liberato mentreil secondo dovrà scontare una pena di 7 anni;

— se entrambi si rifiutano di confessare (strategia CC), verranno condan-nati ad una pena esigua (1 anno di carcere);

— se entrambi confessano, denunciandosi a vicenda (strategia DD), do-vranno scontare 6 anni di carcere.

Il dilemma può risolversi in quattro modi diversi, rappresentati in cop-pie numeriche nella matrice di seguito riportata:

Strategie di BC (non confessa) D (confessa)

Strategie di A C (non confessa) 1,1 7,0D (confessa) 0,7 6,6

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