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Relazione scientifica del pro Rettore

Prof. Biagini

Convegno CISM 2012

Il secondo dopoguerra si apre in uno scenario di frantumazione politica, determinato dai

diversi centri di potere dello Stato. Il governo d’occupazione alleato, il governo

monarchico, quello dei comandi militari d’occupazione e dei Comitati di liberazione

nazionale erano in contrasto tra loro e determinarono, temporaneamente, la crisi dello

Stato unitario. La guerra di liberazione al nord aveva alimentato le speranze

rivoluzionarie di una parte della “resistenza” che aveva visto in Ferruccio Parri al

governo (1945) un primo passo verso un rinnovamento delle istituzioni. La rinascita

politica, configuratasi attraverso “l’epurazione”, si spense presto per la forte opposizione

politica interna ed esterna. La burocrazia e la complessa struttura amministrativa dello

Stato delusero le aspettative rivoluzionarie. Alcide De Gasperi, succeduto appena due

anni dopo al governo Parri, decise di perseguire una linea politica dettata dalla

continuità: l’amministrazione centrale dello Stato rimase immutata, così come numerose

leggi vigenti durante il fascismo. Secondo un'interpretazione storiografica, il

deterioramento del governo in carica, nato come un tentativo di riformare le istituzioni

politiche italiane, segnò la fine di quelle speranze di rinnovamento diffuse nel secondo

dopoguerra. . Dal punto di vista economico enormi furono le difficoltà che dovette

affrontare l’Italia durante il secondo dopoguerra. La riconversione industriale per la

produzione di pace e per i rifornimenti di materie prime procedeva a rilento. Disastrose

le condizioni delle maggiori città italiane distrutte dai bombardamenti, dei collegamenti

stradali, dell’agricoltura e diverse furono le manifestazioni di malcontento della

popolazione, come quella di Milano del 1945, per il razionamento dei generi alimentari

che favoriva il mercato della “borsa nera”. La disoccupazione segnava indici sempre più

alti ed il costo della vita era aumentato di 20 volte rispetto al 1938. La guerra aveva

provocato anche lacerazioni sociali, la guerra di liberazione, in alcuni casi, si era

trasformata in una guerra civile. L’ordine pubblico era fortemente compromesso

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dall’illegalità incontrollata che regnava in numerose regioni . Ad ogni modo De Gasperi,

capo del governo sino al 1953, caratterizzò la storia italiana di questo periodo insieme

alle forze progressiste che ottennero la vittoria al referendum istituzionale a cui furono

ammesse al voto per la prima volta anche le donne del 2 giugno 1946 per la scelta tra

monarchia e repubblica. Con il referendum si votò anche per la scelta dei componenti

dell’Assemblea Costituente per l’elaborazione di una nuova carta costituzionale in

sostituzione dello Statuto Albertino. Capo provvisorio della Repubblica fu il liberale

Enrico De Nicola che, dal 1° gennaio 1948, secondo la prima disposizione transitoria

della Costituente, assunse titolo e attribuzioni di Presidente della Repubblica. Lo

scenario internazionale vedeva l’Italia, da parte alleata, come nazione “sconfitta”, alla

quale veniva riconosciuta solo la condizione di cobelligeranza. Durante la conferenza di

pace di Parigi (1946) il nostro Paese fu considerato alla stessa stregua delle altre nazioni

europee sconfitte e alleate della Germania, le condizioni di pace imposte furono

comunque meno gravose. Nei precedenti accordi tra gli Alleati l’Italia era stata

assegnata all’area politica occidentale contrapposta per la sua posizione strategica nel

Mediterraneo, alla progressiva costituzione del blocco comunista nei Balcani. L'Italia

dovette subire rettifiche di frontiera in favore della Francia e della Jugoslavia, restituire

alla Grecia le terre occupate e rinunciare a tutte le colonie, sia quelle fasciste che quelle

prefasciste. Come risarcimenti l'Italia dovette pagare milioni di dollari, ricevuti in

prestito dagli Stati Uniti, all'URSS, all'Albania, all'Etiopia, alla Grecia e alla Jugoslavia.

La flotta navale fu quasi interamente consegnata ai vincitori. Stati Uniti, Gran Bretagna

e Francia rinunciarono a chiedere le riparazioni di guerra. Ad ogni modo, la perdita delle

colonie non fu sentita come un ridimensionamento, sia per lo scarso valore attribuito a

quelle terre sia per il processo di decolonizzazione ormai avanzato. Le elezioni del 1948

videro il trionfo elettorale della Democrazia Cristiana che rispetto alle elezioni del 1946

guadagnò cinque milioni di voti (48% dei voti) mentre il "Fronte Democratico

Popolare", comunisti e Psi uniti, ne persero un milione. L’Italia, dopo aver aderito nel

1948 agli organismi europei dell’OECE e del Consiglio d’Europa, intensificò i rapporti

con lo schieramento occidentale attraverso l’adesione alla NATO (aprile 1949). Inoltre,

l’inserimento nel mercato europeo proseguì con l’adesione alla CECA e nel 1957 alla

Comunità economica europea, CEE. L’adesione allo schieramento occidentale del

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governo aumentò le tensioni sociali che si manifestarono con l’attentato a Palmiro

Togliatti (14 luglio 1948) e nella scissione all’interno della CGIL, con la formazione nel

1950 della CISL, di orientamento cattolico e della UIL d’ispirazione repubblicana e

socialdemocratica. Le elezioni politiche del 1953, le seconde del dopoguerra, videro la

netta sconfitta della DC, causandone la crisi politica del partito che aveva fallito

l’approvazione della cosiddetta “legge truffa” o “maggioritaria”. La perdita di quasi un

milione di voti causò quindi la crisi del centrismo e le dimissioni dal governo di De

Gasperi a cui si susseguirono una serie di governi retti da maggioranze relativamente

stabili. Questi governi avviarono una riforma agraria e istituirono la Cassa del

Mezzogiorno. Si avviarono politiche di costruzione di grandi infrastrutture e si potenziò

l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), sviluppando numerose imprese statali.

Inoltre, la creazione dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), 1953, per la ricerca e la

produzione degli idrocarburi, servì per controllare l’iniziativa privata e impedire

manovre speculative nel settore petrolifero. La storiografia si è più volte interrogata a

proposito della svolta politica del maggio 1947. In Italia all'interno del partito socialista,

durante il congresso del 1947, vi fu una scissione tra la corrente minoritaria degli

"autonomisti" con a capo Giuseppe Saragat, sostenitrice di una politica filoccidentale, e i

"fusionisti" di Pietro Nenni, orientati ad una collaborazione di governo con i comunisti.

Nacque così il PSDI (Partito socialista democratico italiano) di Saragat disposto a

collaborare con la Democrazia cristiana e a schierarsi per una politica atlantica. Con il

“piano Marshall”, operativo sino al 1953, si era data una prima spinta alla ricostruzione

del Paese. Nel giro di pochi anni l'Italia divenne uno Stato prevalentemente urbano e

industriale sino a posizionarsi al settimo posto tra i paesi più industrializzati. Un

rilevante progresso si ebbe nell'industria tessile, siderurgica, meccanica, chimica,

petrolchimica e dell'edilizia. Diversi furono i fattori che determinarono un progressivo e

costante sviluppo economico come la favorevole congiuntura internazionale

caratterizzata da un incremento vertiginoso del commercio tra gli Stati; la fine del

tradizionale protezionismo economico italiano; la disponibilità di nuove fonti di energia

e la trasformazione dell'industria dell'acciaio. Lo sviluppo però non fu omogeneo ed

aggravò le differenze economiche tra il Nord ed il Sud del Paese e favorì l’incremento

del settore edilizio con conseguente abbandono delle campagne.