Relazione d’Esame I GIOVANI DELLA RESISTENZA: la guerra, … · politiche e ideologiche, gli...

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Classe di abilitazione 37A Relazione d’Esame I GIOVANI DELLA RESISTENZA: la guerra, gli ideali, la violenza e la morte Relatore: Ch. mo Prof. Carla Poncina Specializzando: Flavio Dal Bosco Matricola: R05213 Anno Accademico 2005 - 2006

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Classe di abilitazione 37A

Relazione d’Esame

I GIOVANI DELLA RESISTENZA:

la guerra, gli ideali, la violenza e la morte

Relatore: Ch. mo Prof. Carla Poncina

Specializzando: Flavio Dal Bosco

Matricola: R05213

Anno Accademico 2005 - 2006

INDICE

1) Motivazione del modulo ………..…………………………………………………… p. 3

2) Destinatari ……….……………….………………………………………………….. p. 4

3) Prerequisiti per il modulo ………….………………………………………………… p. 4

4) Obiettivi didattici e formativi ………………………………………………………... p. 4

5) Attività e verifiche …………………………………………………………………... p. 5

5.1) Proposta di un film-stimolo: I PICCOLI MAESTRI, di Daniele LUCCHETTI .. p. 5

5.2) Messa a fuoco delle tematiche prese in esame ………………………………….. p. 5

5.3) Temi da approfondire con il problem solving e lavori in gruppo ……………….. p. 9

a. La difficoltà di “imparare a fare il partigiano” …………………...…… p. 10

b. Com’è la vita del partigiano? …………………………………………. p. 11

c. Giovani partigiani: la guerra, gli ideali,la violenza e la morte ………... p. 17

Appendice: materiale integrativo per i lavori di gruppo ………………... p. 21

5.4) Ripresa del film per consolidamento conoscenze ……………………………… p. 24

5.5) Verifica delle conoscenze e abilità apprese attraverso il modulo ……………… p. 24

6) Riferimenti bibliografici …………………………………………………………… p. 25

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1) Motivazione del modulo

La Resistenza ha avuto nella storia d’Italia ha una importanza grandissima, essa hainterpretato lo sdegno contro il fascismo e ha diffuso gli ideali di democrazia, fino allorapatrimonio di piccole minoranze, nella coscienza di una parte consistente del popolo.La Resistenza ha riscattato lo sfascio dell’8 settembre 1943, ha ridato a molti italiani laconsapevolezza di essere una nazione. Inoltre la Resistenza, obbligando tanti uomini etante donne a prendere decisioni drammatiche secondo il solo dettato della coscienza nellaassenza di ogni legge e di ogni autorità riconosciuta, è stata una grande palestra di vitamorale, una lezione di autonomia.Per tutti questi motivi la Repubblica, nata dopo la guerra e fondata sui principi dellademocrazia, è stata la figlia legittima della Resistenza. È importante, perciò, inserire nella programmazione disciplinare di storia del quinto annodi liceo (classico o scientifico) un modulo sulla Resistenza italiana. Tale importanza è data dalle stesse parole del presidente della Repubblica Carlo AzeglioCiampi che, a più riprese, ha mostrato, lungo il suo settennato di presidenza, ilcollegamento tra i valori del Risorgimento, la Resistenza, la Costituzione repubblicana e itrattati europei. In un suo recente discorso il capo dello Stato ha ricordato con forza che se l’unità el’indipendenza si devono a uomini come Mazzini che hanno sacrificato tutta la loro vita aquella causa, la nostra storia recente ha avuto inizio con la lotta di Liberazione e da essasono venuti quegli ideali di democrazia e di libertà che hanno caratterizzato i primisessant’anni dell’Italia repubblicana. È grazie a essi che il nostro paese è progredito negliscorsi decenni fino a diventare uno dei paesi più avanzati dell’Occidente.È importante mostrare il legame tra Resistenza e Costituzione, soprattutto rivolgendosi agiovani che entrano nella maggiore età ed iniziano a godere di diritti e di doveri, come ognicittadino libero della nostra Repubblica democratica. Credo perciò che non si possa parlarein astratto di libertà e di democrazia se non si fa riferimento agli avvenimenti storici in cuimolti giovani italiani seppero combattere e morire per farli vincere e affermare nella realtà.Afferma infatti il presidente Ciampi, il 25 aprile 2005 a Milano:

“Un filo ininterrotto lega gli ideali e le gesta del Risorgimento alle imprese dellaLotta di Liberazione e alla rinascita dell'Italia repubblicana, per libera scelta delpopolo italiano. […]L'Italia uscita dagli anni di guerra, di bombardamenti di distruzioni, di sanguinosiconflitti, ritrovò una nuova unità. La lotta contro l'occupazione nazista e ladittatura fascista fu anche lotta per dar vita a una nuova identità nazionale,fondata su diritti eguali per tutti. La memoria di quella lotta non vuol certomantenere vive le divisioni. Vuole, al contrario, rendere più salda l'unità nazionaledell'Italia repubblicana, più salda la democrazia conquistata per tutti gli italiani.Vuole ricordarci che furono gli ideali di libertà e di giustizia a dar vigore ai nostricuori e alle nostre menti, forza alle nostre braccia. Allora capimmo che senzaideali un popolo langue; è destinato ad essere servo. Oggi dobbiamo essere capacidi risvegliare in noi quegli ideali, quei valori. Essi furono la nostra stella polare.Debbono continuare a esserlo. Libertà e Giustizia si conquistano giorno pergiorno, affrontando e superando i problemi quotidiani della nostra democrazia.A poco più di un anno dalle giornate indimenticabili della Liberazione, l'esperienzaesaltante delle prime elezioni politiche libere, il 2 giungo del 1946, fece scoprire atutti gli italiani il gusto della libertà; consacrò l'unità nazionale; ci guidò nellascelta della Repubblica. In un breve periodo di tempo, superando divisionipolitiche e ideologiche, gli eletti del popolo in Assemblea Costituente, diedero vita

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alla Costituzione Repubblicana. E' la Costituzione che ha consentito la rinascitamorale e materiale della nostra Patria, le grandi trasformazioni istituzionali esociali, la creazione di un sistema di equilibri tra i poteri, che ha garantito egarantisce la libertà di tutti. Non dimentichiamo mai che la Costituzione è la basedella convivenza civile dell'intera Nazione".

Questo modulo vuole essere, in questo modo, una tessera utile per l’educazione al“sentimento di nazionalità”: riscoprire le origini della nostra Repubblica significa riscoprireil nostro mondo morale, la libertà, la dignità dell’uomo, la giustizia, la cultura e il lavoro,tutti ideali che stanno a fondamento della carta costituzionale. Tutti gli italiani devono imparare sempre più a presentarsi come custodi della nazione,intesa come libera e aperta all’Europa e al mondo, e dell’italianità, che comprende l’Italiamigliore, l'Italia di Mazzini, di Garibaldi, di Pisacane; l'Italia degli italiani civili, deicontadini e degli operai e degli intellettuali che hanno saputo conservare la propria dignità.

Con queste motivazioni, ritengo fondamentale inserire nella programmazione disciplinareil modulo sulla Resistenza che andrò ora a descrivere, mostrando in particolare il punto divista dei giovani che hanno vissuto quel periodo storico, tra incertezze, paure e ideali.

2) DestinatariQuinto anno liceo classico o scientifico. Gli alunni sono molto motivati, disponibiliall’ascolto e vivaci negli interventi. Il gruppo denota una buona capacità di collaborazionee autonomia nello sviluppo delle attività di gruppo loro assegnate.

3) Pre-requisti per il moduloConoscenza generale dell’ “emergenza totalitaria”: lo stato fascista in Italia, l’ascesa delnazismo in Germania;Conoscenza generale delle cause e delle conseguenze politiche ed economiche dellaseconda guerra mondiale.

4) Obiettivi didattici e formativiConoscere gli eventi fondamentali che hanno caratterizzato la Resistenza italiana e lasuccessiva nascita della Repubblica;Conoscere i principali studi storiografici sul tema e sapersi orientare nell’uso di fontidirette e fonti secondarie;Adoperare concetti e termini storici in rapporto allo specifico contesto storico-culturale;Ricostruire la complessità del fatto storico attraverso l’individuazione di interconnessioni,di rapporti tra particolare e generale, tra soggetti e contesti;

Motivare alla ricerca storica;Valorizzare gli atteggiamenti collaborativi, il senso di responsabilità personale e collettivo.

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5) Attività (metodo, tempi, strumenti e materiali) e verifiche

modulo (13-15 ore) sulla Resistenza in Italia (1943-1945)

5.1) Proposta di un film-stimolo: I PICCOLI MAESTRI, di Daniele LUCCHETTI(durata 3 ore)Obiettivo di questa parte iniziale del modulo è suscitare la motivazione degli alunni,attraverso un maggior coinvolgimento emotivo e partecipativo. Al termine della visione del film o in un’ora successiva, raccogliere le loro impressioni eosservazioni. Costruire una mappa delle loro pre-conoscenze, mis-conoscenze e pre-giudizi che hanno su questo argomento. Recuperare i concetti chiave (quali ad esempio:resistenza, fascista, partigiano) e costruire una definizione oggettiva ed esaustiva.

Trama del film:Tornando con la ragazza nei luoghi dove ha combattuto come partigiano, Gigi rievocaquell’avventura. C’era un gruppo attorno a lui: tutti giovani o giovanissimi, perlopiùuniversitari, legati al Partito d’Azione. Assai motivati ma altrettanto inesperti, questigiovani concretizzano qualche azione militare solo dopo inevitabili fallimenti dovuti allagoffaggine e all’ingenuità. Cercano di entrare in rapporto con i montanari e si confrontanocon altri resistenti, in particolare con i comunisti, verso i quali nutrono sia diffidenza cheammirazione. Il gruppo si allarga, si divide e si riunisce. Affronta combattendo inrastrellamento; poi a seguito del Proclama Alexander, decide di diversificare il propriointervento. Gigi e Marietto si stabiliscono a Padova. Durante un’azione gappistica Mariettoviene catturato dai repubblichini, ma ormai manca poco alla fine della guerra: Padova saràliberata prima dell’arrivo degli alleati. Nell’entusiasmo per la vittoria c’è posto per leamarezze: qualcuno, come Bene, è caduto; e Marietto, liberato dal carcere, porta vivi isegni della dura prova che ha dovuto sopportare. Ma ancor più vivo quello, nostalgico, diuna giovinezza bruciata in pochi mesi e già dietro le spalle.

Alcuni aspetti da sottolineare durante la prima visione del film (utili poi alle fasi successivedella ricerca): L’avventura partigiana nel film inizia nell’autunno del 1943; All’inizio la guerra per loro è quasi un gioco, ma sono costretti da subito ad un rapido

ed intenso apprendistato che in poche settimane li trasforma in soldati veri; I piccoli maestri uccidono e muoiono per un’ideale di libertà, continuando a chiedersi

se sia giusto, se tanto dolore abbia senso. L’orrore si accompagna sempre alla pietà: aiconflitti a fuoco seguono silenziosi funerali di campagna.

5.2) Messa a fuoco delle tematiche prese in esame(durata 2 ore)

Attraverso l’utilizzo di mezzi multimediali (v. powerpoint) dare le coordinate essenzialidegli eventi in cui s’inserisce la Resistenza e una spiegazione generale di essa.

Cronologia essenziale

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1940 10 giugno. L'Italia entra in guerra contro la Francia e l'Inghilterra. 22 giugno. La Francia firma l'armistizio e viene divisa in due zone: quella nord(d'occupazione) e quella sud, con capitale Vichy, formalmente libera ma in realtàcontrollata dai tedeschi, che trovano un collaborazionista nel generale Pétain.Si costituiscono movimenti clandestini di resistenza in Francia e negli altri paesi occupatidai tedeschi.27 settembre. Patto fra Germania, Italia e Giappone, per instaurare un « nuovo ordine » inEuropa e in Asia.Fra la fine di questo anno e l'inizio del successivo Hitler decide lo sterminio totale degliebrei residenti in territori tedeschi o occupati dai tedeschi; il piano viene definito«soluzione finale ». Inizia l'uccisione sistematica di milioni di ebrei nei campi disterminio nazisti.

194118 aprile. La Iugoslavia si arrende alle truppe nazi-fasciste. Inizia la lotta partigiana sottola guida di Tito.22 giugno. La Germania aggredisce l'Unione Sovietica. Partecipano all'invasione l'Italia,la Romania, l'Ungheria, la Slovacchia (stato fantoccio creato dai tedeschi in Iugoslavia) ela Finlandia. 12 luglio. Alleanza russo-inglese.12 agosto. Roosevelt e Churchill firmano la « Carta atlantica », che afferma, fra l'altro, ilprincipio di autodecisione dei popoli.7 dicembre. Senza alcuna dichiarazione di guerra, l'aviazione giapponese attacca disorpresa a Pearl Harbour, nelle Hawaii, la flotta americana e la distrugge quasicompletamente. Il giorno seguente gli Stati Uniti dichiarano guerra al Giappone.

1942 1 gennaio. I rappresentanti di 26 nazioni sottoscrivono a Washington la Dichiarazionedelle Nazioni Unite, con cui si impegnano a condurre insieme la guerra contro laGermania, l'Italia e il Giappone. 4 settembre. I tedeschi sono davanti a Stalingrado. Inizia la battaglia che portaall'accerchiamento dell'armata tedesca in Stalingrado, il '27 novembre, da parte delletruppe sovietiche. novembre. Vittoria inglese a el-Alamein, che risolve la campagna d'Africa. Gli Stati Uniticontrattaccano nel Pacifico.

19432 febbraio. L'armata tedesca si arrende a Stalingrado.marzo. Il movimento « Giustizia e Libertà » si costituisce in Partito d'Azione.10 luglio. Le truppe alleate (americane, inglesi, canadesi) sbarcano in Sicilia. Ha inizio lacampagna d'Italia.25 luglio. Arresto di Mussolini dopo il voto del Gran Consiglio. Si forma il governoBadoglio.8 settembre. Badoglio annuncia l'armistizio fra l'Italia e alleati, firmato il 3 settembre. Ilre e il governo fuggono nell'Italia meridionale liberata.10 settembre. I tedeschi occupano Roma e l'Italia settentrionale. Inizia la lotta partigiana.I partiti antifascisti costituiscono un fronte comune d'azione che prende il nome di C.N.L.(Comitato di Liberazione nazionale).

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12 settembre. Paracadutisti tedeschi liberano Mussolini che dà vita a uno stato fantoccionell'Italia settentrionale: la Repubblica Sociale Italiana, con sede a Salò.

1944 gennaio. Gli alleati sbarcano ad Anzio. Resistenza dei tedeschi a Montecassino edistruzione dell’abbazia.12 gennaio. Processo di Verona: i membri del Gran Consiglio che votarono controMussolini sono condannati a morte.24 marzo. Eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma: il comando tedesco fa fucilare 335ostaggi per rappresaglia contro un attentato partigiano che ha causato la morte di 32soldati tedeschi in via Rasella.4 giugno. Liberazione di Roma. Il C.L.N. forma un governo di coalizione fra le forzeantifasciste; Come sua emanazione si costituisce il C.L.N.A.I. (Comitato di LiberazioneNazionale per l'Alta Italia), per continuare la guerra nell'Italia non ancora liberata.6 giugno. Sbarco alleato in Normandia.

194525 aprile. Il Comitato di Liberazione Nazionale per l'Alta Italia chiama il popoloall'insurrezione. Tedeschi e fascisti abbandonano Milano. Le altre città settentrionali sonoben presto liberate. 28 aprile. Mussolini è catturato dai partigiani è fucilato.30 aprile. Suicidio di Hitler a Berlino.7 maggio. Resa di tutte le forze armate tedesche. aprile-giugno. Conferenza di San Francisco: i rappresentanti di 50 paesi approvano lostatuito della Organizzazione delle Nazioni Unite {O.N.U.). giugno. Ferruccio Parri è nominato presidente del Consiglio6 agosto. Gli americani sganciano la prima bomba atomica, su Hiroshima; più di 91.000morti.9 agosto. Seconda bomba atomica, su Nagasaki: 80.000 morti.2 settembre. Resa del Giappone e fine della seconda guerra mondiale.dicembre. Alcide De Gasperi sostituisce Parri nella carica di primo ministro.

1946maggio. Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio Umberto, che prende il nome diUmberto II.2 giugno. Referendum decreta la nascita della repubblica. Contemporaneamente sitengono le elezione politiche.

194727 dicembre. Viene firmata la Costituzione della Repubblica Italiana, che sostituisce,dopo un secolo circa, il vecchio statuto Albertino.

19481 gennaio. Entra in vigore la Costituzione repubblicana.

Contenuti essenziali:

Situazione generale in Europa e nascita dei movimenti di resistenzaDurante la guerra, la Germania nazista occupa quasi tutti i paesi dell’Europa continentale.

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Ovunque sorsero spontaneamentemovimenti clandestini di resistenzacontro questa potenza occupante.Questi movimenti di resistenzavennero bene visti e appoggiatidall’Inghilterra, Stati Uniti e Russiache stavano conducendo la guerracontro Germania, Italia e Giappone.La resistenza italiana nasce perultima rispetto agli altri paesieuropei occupati: nel 1943, dopo lafine del regime fascista (25 luglio1943), la pubblicazionedell’armistizio (8 settembre). Il paese venne abbandonato al suo destino senza direttiva alcuna. Claudio Pavone (lostorico maggiore della Resistenza) scrive che ciascuno fu abbandonato a se stesso e reagìalle sofferenze, alla fame, alle distruzioni, alla morte in vari modi, a seconda delle culture,delle tradizioni, delle situazioni dove il caso lo aveva gettato. Ci fu pertanto chi prendeva learmi per partecipare alla resistenza, chi per combatterla, chi per darsi al banditismo…(v.PAVONE, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Torino,1991). Mussolini fu arrestato e poi liberato per opera dei tedeschi, crea una repubblica fascista(Repubblica sociale italiana) con sede operativa a Salò e collabora per la repressione delleResistenza. Tra il 1943-45 l’Italia quindi fu teatro non solo della guerra tra anglo-americanie tedeschi ma anche di una guerra civile fra gli italiani antifascisti e gli italiani fascisti.

La situazione politica in Italia dopo il 1943 Al sud, dove erano già presenti gli anglo-americani soffrivano relativamente meno rispettocha al nord. Il Mezzogiorno quasi non conobbe il dominio tedesco né la Resistenza.(episodio di rilievo fu l’insurrezione di Napoli del 27 sett. – 1 ottobre 1943).Nelle regioni del centro e del nord la resistenza durò a lungo, le armate alleate avanzavanolentamente; si ripropose allora con forza l’antica divisione fra nord e sud…non dal punto divista economico ma politico (sud monarchico e il nord repubblicano e antifascista). Dopo il 25 luglio 1943 si ricostituiscono i partiti antifascisti, soppressi quasi vent’anniprima. I principali sono: socialista, comunista, democrazia cristiana ( che univa gli ex delpartito popolare con le giovani leve formatesi nelle associazioni cattoliche, in particolare laGioventù di Azione Cattolica e la FUCI), liberali, repubblicano, il partito d’azione (partitonuovo nato dall’unione di diverse correnti dell’antifascismo laico e democratico). I partiti antifascisti avevano costituito nelle diverse città dei Comitati di liberazionenazionale (CNL) con il proposito di porsi alla guida del paese. Il CLN romano era quellopiù importante, con autorità formale su tutta Italia; ma nella ragioni ancora occupate i CLNebbero autorità maggiore, guidando la lotta militare. (ricordare il CLNAI – comitato diliberazione dell’alta Italia con sede a Milano).

Caratteri generali della resistenzaLa resistenza fu una lotta condotta contro l’esercito di occupazione tedesco e contro ifascisti della repubblica di Salò: una guerra civile fra gli italiani antifascisti e gli italianifascisti. È una guerra feroce nutrita di odi reciproci che avevano la loro giustificazionenelle contrapposizioni ideologiche e politiche. Violenze e crudeltà furono compiute daentrambe le parti, più dalla parte dei fascisti che non da quella dei partigiani. Lo stato

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d’animo generale che caratterizzava i fascisti era una tragica disperazione data la ormaichiara consapevolezza della prossima inevitabile sconfitta; i partigiani invece erano animatidalla speranza per il futuro. L’esercito partigiano si formò gradatamente, con elementi eterogenei che avevano presola via della montagna per motivi diversi: militari sbandati dopo l’8 settembre 1943, giovanirenitenti alla leva militare della Repubblica sociale, gruppetti di antifascisti animati dasubito dal programma di combattere tedeschi e fascisti. All’inizio i partigiani eranoorganizzati in bande ma dall’estate del 1944 si passò all’organizzazione basata sulle brigate(e da divisioni) composta da un numero più nutrito di uomini e meglio organizzato.All’inizio solo una parte dei partigiani militava in formazioni aderenti a partiti politici, poila maggioranza aderì ai due partiti maggiori, quello comunista (che influenzò le brigatedette Garibaldi) e il partito d’azione (che influenzò le brigate dette Giustizia e Libertà). La Resistenza, benché condotta in modo unitario dai diversi partiti, fu caratterizzata dacontrasti tra le forze in campo. I partiti di sinistra volevano che la lotta patriottica siconcludesse con un profondo rinnovamento sociale e politico della società italiana e delloStato, cosa non condivisa dagli altri partiti che temevano invece una compromissione per lesorti della monarchia.

La LiberazioneIl 4 giugno 1944 Roma viene liberata dagli alleati. Il re delega i poteri al figlio Umberto. La resistenza acuisce la lotta.25 aprile 1945 Liberazione dell’Italia: vittoria degli alleati, favorita dalla Resistenza.Fucilazione di Mussolini e dei suoi principali collaboratori della Repubblica sociale.È bene ribadire che la vittoria fu opera delle armate anglo-americane. La Resistenza da solanon sarebbe certo stata in grado di sconfiggere i tedeschi. Oltre alla relativa debolezzamilitare, la Resistenza coinvolse un numero esiguo di italiani sul totale della popolazione.Secondo alcune stime, nel marzo del 1945 si trovavano nelle formazioni partigiane tra le90.000 e le 200.000. la regione che diede il contributo più alto fu il Piemonte, seguivano ilVeneto (20.000 combattenti), Lombardia, Emilia e Liguria.Pur avendo questi numeri esigui, la Resistenza ha nella storia d’Italia una importanzagrandissima. Essa ha interpretato lo sdegno contro il fascismo presente nella grandemaggioranza della popolazione e ha diffuso gli ideali della democrazia, fin ad allorapatrimonio di piccole minoranze. Inoltre essa, dopo l’8 settembre 1943, obbligando tantiuomini e tante donne a prendere decisioni drammatiche secondo il solo dettato dellacoscienza nella assenza di ogni legge e di ogni autorità riconosciuta, è stata una grandepalestra di vita morale. Per questi motivi la Repubblica, nata dopo la guerra e fondata suiprincipi della democrazia, è figlia della Resistenza.

5.3) Temi da approfondire con il problem solving e lavori in gruppo - collegati con ilfilm-stimolo visto all’inizio del modulo-

(5 ore e lavoro personale degli studenti a casa)

Si stimolano i ragazzi attraverso dei problemi-piste d’indagine e si richiede una ricercamirata delle risposte, attraverso strumenti forniti dal docente. Scopo di questa parte delmodulo è ottenere le informazioni adatte a risolvere le problematiche poste e attivare ilgusto per la ricerca e all’approfondimento. Al termine dell’indagine si richiede unaproduzione scritta o multimediale del lavoro di gruppo e un’esposizione orale del lavorosvolto.

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Le piste d’indagine sono:

a. la difficoltà di “imparare a fare il partigiano”

b. Com’è la vita del partigiano?

c. Giovani partigiani: la guerra, gli ideali,la violenza e la morte.

Agli studenti verranno forniti alcuni brani scelti da testi storiografici, selezionatiappositamente dall’insegnante. Riporto il seguente materiale tratto dal testo di S. PELI, Laresistenza difficile, Milano1999.

a. La difficoltà di “imparare a fare il partigiano”.

“La vicenda resistenziale è caratterizzata anche da tensioni, rivalità, veri e propri scontri, sia interni alleformazioni che tra formazioni di diverso orientamento ideologico. Rivalità e tensioni a volte moltointense, non prive di implicazioni drammatiche, che però non ebbero rilievo tale da bloccare lacostruzione di un esercito partigiano tendenzialmente omogeneo, o quantomeno sottoposto ad unadirezione politico-militare capace di imprimere alla resistenza un indirizzo unitario. Agli occhi di coloroche si trovarono immersi negli eventi, fu evidente che giungere a meno precari equilibri fu un risultatoarduo, conseguito solo attraverso un percorso accidentato, a volte drammatico […]. Ma ora il passaggioda piccole aggregazioni più o meno precarie e sorrette da motivazioni e propositi vari e mutevoli, allacostruzione di un esercito democratico di massa è stato progressivamente mondato. Si è finito perdimenticare o minimizzare le difficoltà, le contraddizioni ed i drammi che hanno segnato il farsi dellaresistenza […].L’aspetto delle contrapposizioni e delle tensioni tra partigiani che è al centro della nostra attenzione èquesto: prendiamo in esame gli scontri che contrappongono, nell’estate del’44, comandanti “della primaora” e nuovi quadri dirigenti. Protagonisti sono da una parte capibanda che sono giunti all’estate del’44,al momento della grande espansione partigiana, superando alla testa dei propri uomini le difficoltà delprimo inverno. Dall’altra parte abbiamo nuove leve politico-militari, caratterizzate quasi sempre dalfatto che vengono “da fuori”, e cioè sono state selezionate, investite di autorità, inviate a comandare daiComandi generali, dal “centro”. Teatro di questi scontri sono soprattutto zone montuose, dove hannotrovato modo di insediarsi gruppi partigiani il cui isolamento, anche fisico, fortemente accentuato dairigori del clima invernale, ha contribuito a forgiare una forte coesione interna e a dare grande rilievoalla figura del comandante. Ora, ad una partigianato spesso fortemente caratterizzato in senso localisticoviene posta la necessità di cambiare pelle, di rispondere a responsabilità più articolate, a disegni di piùvasto respiro. È finito il tempo delle bande locali, che al massimo si coordinano fra loro attraversocontatti di tipo personale fra i vari capibanda. Buona parte dei contrasti nati nell’estate del ’44 per ilcontrollo e l’affiliazione di numerose bande, implicanti quindi la sostituzione o l’accettazione di unruolo subordinato del comandante “storico”, vanno di pari passo con l’istituzionalizzazione dellaresistenza; dal giugno ’44 il neonato Comando Generale per l’Italia occupata del Corpo Volontari delleLibertà, rappresenta un momento di svolta: “In questo momento di lotte grandiose e decisive ènecessaria più che mai l’unificazione di tutte le forze, l’eliminazione di tutto quanto può ostacolarequesta unificazione e la mobilitazione di tutto il popolo e di tutti i patrioti per l’insurrezione e lavittoria”1 […]. Come ha mostrato M. Giovana, che unisce alla sensibilità di storico il vantaggio di esserci trovato,giovanissimo, al comando di una formazione partigiana, le modalità stesse di nascita delle bande esaltano la figura del creatore e del capo, e tendono adelevare i tassi di carismaticità che lo circondano e di cui egli può impreziosirsi. L’iniziativa individualee l’avvaloramento dei requisiti di comando derivante dai dati probatori dell’esperienza e del consensoattivo dei sottoposti, sono a fondamento della germinazione della banda e della legittimazione delgrado di autorità. Perciò una dose di carisma si concentra intorno alla personalità del capo dei priminuclei di guerriglia, alimentata dalla fantasia popolare – che necessita di riconoscersi in nuoviemblemi di rappresentanza delle proprie aspirazioni e in nuovi modelli di guida, sentiti come affini a

1 G. ROCHAT, Atti del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà, Milano 1972.

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sé, espressioni alte e simboliche dei propri sentimenti – e misurata sulla scorta della straordinarietàdelle imprese delle quali i soggetti sono protagonisti2. È questo il modello organizzativo che entra in crisi con la fase di espansione della resistenza.L’afflusso intenso di aspiranti partigiani, la possibilità di intraprendere azioni a più vasto raggio,finiscono per generare fatalmente necessità di coordinamento e responsabilità verso le comunitàcircostanti, di tipo completamente nuovo.Al 20 agosto Maira e Varaita ospitavano un migliaio di partigiani. È facile comprendere come taleespansione quantitativa delle bande ponesse ai comandi delle questioni da risolvere di ragguardevolecomplessità per il presente e per la prospettiva delle discesa in pianura. Si imponeva la trasformazionedelle “bande di guerriglieri” in formazioni che avessero i connotati di un “piccolo esercito”, fattorepolitico di enorme significato per la Resistenza, specie in rapporto con gli orientamenti alleati, chetendevano invece a fossilizzare il fenomeno partigiano restringendolo all’attività di nuclei sabotatoricontrollati dalle “missioni”3.Il 28 giugno 1944 il Comando Generale del Cvl ricordava cheL’occupazione di paesi non è fine a se stessa. Non si occupa per aspettare poi il rastrellamento nemico.Il territorio occupato deve essere considerato una base dalla quale devono incessantemente partire lesquadre per colpire il nemico. L’occupazione di paesi e vallate deve garantirci una più vastapossibilità di mobilitazione e di istruzione di nuove forze che devono però essere impiegate oltre iristretti limiti del territorio della vallata. Nell’azione continua si prepara l’occupazione di maggioricentri cittadini e di più vaste zone4 […].Il problema comune è ora quello di trasformare il movimento partigiano in un vero esercito popolare edemocratico. La disciplina diviene dunque pre-requisito indispensabile, qualità senza la quale non vi èpiù titolo alla definizione di partigiano. Calvino ha fornito una definizione sintetica di questo problemaattraverso le riflessioni di un protagonista del sentiero dei nidi di ragno, il commissario Kim: “Questonon è un esercito, vedi, da di loro: questo è dovere (…). Non hanno bisogno di ideali, di miti, di evvivada gridare. Qui si combatte e si muore così, senza gridare evviva”.Vallate rimaste tagliate fuori vengono raggiunte da un nuovo personale politico-militare; i protagonistiin prima linea del grande lavorio di rinnovamento e riorganizzazione sono a volte funzionari, militarifidati, combattenti sperimentati.Ma la richiesta è di gran lunga superiore alla disponibilità, per cui altrettanto spesso si dovrà ricorrere aquadri volonterosi quanto privi di esperienza, “studenti in medicina” catapultati in situazioni chedovranno padroneggiare pur non avendone vissuto la genesi se non, spesso, attraverso relazione diseconda mano. E questo creerà situazioni di malumore e tensione […]”.

Da S. PELI, La resistenza difficile, Milano1999.

b. Com’è la vita del partigiano?

M. Bloch, constatando la gioia di vivere che pervadeva i combattenti all'indomani dei terribili massacriche caratterizzarono la grande guerra, commentava: «Si indigni chi vuole di tale egoistica contentezza.Simili sentimenti sono tanto più solidamente radicati nell'animo quanto più di solito restano in partesotto il livello della coscienza»5

Nella produzione storiografica sulla Resistenza mi pare abbastanza debole l'attenzione finora dedicata altipo di problema indicato da Bloch. Alcuni aspetti della violenza nella guerra partigiana sono statitrattati in modo marginale, o del tutto trascurati. L'interesse, più che giustificabile, per gli aspettiideologici, o etico politici, ha fatto sì che alcune questioni connesse alla particolarissima guerra nellaquale si sostanzia la resistenza rimanessero confinate in una zona d'ombra; tra queste, il tipo dicondizioni del tutto particolari nelle quali vanno inquadrate le scelte soggettive di prendere parte allaguerra partigiana, o che rendono l'adesione particolarmente impegnativa e travagliata. Vorrei quindidedicare qualche riflessione, senza nessuna pretesa esaustiva, a quanto sia nuova, per buona parte dicoloro che partecipano alla guerra partigiana, una situazione che implica inderogabilmente la necessitàdi infliggere e subire violenza. Non la violenza astratta, che pone una serie di questioni etiche, e che

2 M. GIOVANA, Processi di formazione e caratteri delle prime bande partigiane, in Contadini e partigiani, Atti delConvegno storico Asti 14-16 dicembre 1986, Asti 1986.3 GIOVANA, Storia di una formazione cit.4 Atti del Comando Generale cit.5 M. BLOCH, La guerra e le false notizie. Ricordi (1914-1915) e riflessioni (1921), Donzelli, Roma, 1994, p. 18.

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sollecita e sfida strutture culturali sulle quali molto hanno scritto sia i contemporanei che gli storici; èquesto un ambito di riflessione particolarmente rilevante nelle indagini sull' atteggiamento dei cattolicinella resistenza. Al centro della nostra attenzione mettiamo invece qui aspetti della violenza nelle suedeterminazioni più "fisiche" e materialmente, sensorialmente, individualmente percepite, del tuttoinsufficienti da sole a spiegare alcunché ma comunque indispensabili per comprendere alcunicomportamenti umani.La propria morte fa sempre parte del ventaglio di probabilità che un combattente deve tenere perragionevoli. Ma non tutte le morti sono ugualmente spaventevoli. L'idea che della morte il combattenteviene elaborando, predisponendo per renderla accettabile, è anche connessa alle forme concrete diquesta morte. Nella guerra partigiana la morte finisce per assumere determinazioni fisiche agghiac-cianti. L'equiparazione dei partigiani a banditi, briganti, malfattori, traditori da parte dei rastrellatoritedeschi e dei loro alleati repubblichini, rappresenta infatti la giustificazione per infliggere la morte a chiviene catturato secondo rituali progressivamente caricati e arricchiti di un sadismo che non ha riscontrinel senso comune e nelle tradizioni occidentali, almeno per quanto riguarda le guerre combattute sulcontinente europeo - facendo astrazione dalla guerra civile spagnola, autentico laboratorio delledegenerazioni e dei sadismi che dilagheranno poi nel corso della seconda guerra mondiale. La scelta dipartecipazione attiva a questo tipo di guerra, nella quale non si fanno prigionieri6, nella quale la torturadiviene un preliminare rituale alla morte anche a prescindere da qualunque utilità razionalmentecomprensibile, comporta un "di più" di coraggio diviene ulteriormente difficoltosa. Penso qui ad alcuniaspetti delle paure partigiane legate proprio alle inusuali caratteristiche della violenza dispiegantesi neirastrellamenti: presenza di cani lupi, di truppe di origine asiatica, i temutissimi "mongoli"; oppure alterrore indotto dall'uso dei lanciafiamme, o alla esposizione dei cadaveri dei partigiani catturati, lasciatiper giorni a pendere dai capestri o da ganci da macellaio. Tutti questi aspetti della guerra partigianasono atti ad amplificare l'angoscia per l'incombente prospettiva del dolore fisico e della morte, aspettiche hanno lasciato ampie tracce tanto nella memorialistica quanto nella letteratura di ispirazioneresistenziale. La scelta di partecipare alla resistenza armata implica quindi, con intensità di rischiodiverse da caso a caso, l'ingresso in una guerra dove non si fanno prigionieri; alla cattura conseguirannouna morte ragionevolmente certa, e torture e menomazionì, prima e dopo la morte, ampiamenteprevedibili.La paura fisica, non solo quella della morte, l'astratta idea del non esserci più, ma quella del morire,delle forme che assume concretamente la distruzione del corpo, è forse una delle "novità", almeno alivello europeo, della guerra totale; in quanto va prevista non solo la morte certa, ma anche il moriredolorosamente, la tortura. Entrare volontariamente in guerra scegliendo il fronte resistenziale è, daquesto punto di vista, più difficile, per esempio, che partire con Garibaldi per la Sicilia o per Roma; leforme della morte romantica e quelle che la morte assume nelle sale di tortura di via Tasso a Roma, o diPalazzo Giusti a Padova hanno capacità di attrazione, o di repulsione, molto diverse. Chi entra nellaresistenza nella primavera, o nell'estate del '44, già sa, con più o meno precisione, con più o menodettagli, delle torture praticate sui prigionieri dalle SS, dalla Gestapo, dai corpi di polizia italiani alservizio dei tedeschi, (oltre che dei propri privati interessi e sadismi), come la banda Carità e la bandaKoch7.Vi è qui un elemento utile - fra i molti che andrebbero presi in considerazione - a spiegare il carattereampiamente minoritario della scelta partigiana. Nelle "moralità" della resistenza val forse la pena diincludere anche il problema della necessità di misurarsi con la capacità di soffrire e di infliggeresofferenza fisica, di accettare la propria e l'altrui morte, non solo come problemi etici, ma anche comeangosciose e ineludibili paure e ansie, o come felice e sprezzante coraggio, anche fisico.Le scelte di non rispondere ai bandi repubblichini, e soprattutto di entrare in una banda partigiana, sonocaratterizzate, rispetto alla partecipazione ad una guerra "normale", dalla volontarietà della scelta eanche dal rischio aggiuntivo derivante dalla pratica, immediatamente messa in atto a scopo dissuasivo6 Le direttive di combattimento contro le bande nell'Est, che troveranno ampia, anche se discontinua, applicazione anchein Italia a partire dall'autunno '43, prevedevano espressamente l'uccisione di civili, anche di donne e bambini. "Al numero84 della direttiva si diceva che di norma i partigiani catturati dopo un breve interrogatorio dovevano essere fucilati sulposto (...) le direttive non ordinavano una determinata procedura in modo perentorio bensì legittimavano esplicitamenteuna procedura spietata, senza tuttavia richiederla in modo vincolante a tutti i membri della Wehrmacht; ma tutte le unitàmilitari poterono richiamarsi a questa disposizione per giustificare a posteriori un eccidio". Cfr. L. Klinihammer, Straginaziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-1944), Donzelli, Roma, 1997, pp. 51-52. Sui questi temi, si veda anchela ricerca di grande interesse di M.Battini e P. Pezzino, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacroToscana 1944, Marsilio, Venezia, 1997.7 A. Lualdi, La banda Koch: un aguzzino al servizio del regime, Bompiani, Milano, 1972; Ritorno a Palazzo Giusti:testimonianze dei prigionieri di Carità a Padova. 1944-1945, Padova, 1972.

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(ma non solo) dai nazifascisti, dell'annientamento fisico dell'avversario catturato e delle pratiche dicrudeltà praticate e esibite su dì lui, sia prima che dopo la morte. Questo di più di violenza, ildispiegamento e l'esibizione della violenza, possono però costituire, oltre che un freno, anche unmotivo, ed in parecchi casi il motivo per aderire attivamente alla resistenza ed accettarne i rischi, inquanto questo comportamento dell' avversario comporta un giudizio di incoercibile alterità, di barbariecon la quale nessun accomodamento è ipotizzabile. Quindi, come è stato sovente ricordato, questo dipiù finisce per tracciare la discriminante tra la violenza partigiana ("violenza come dura necessità") equella nazifascista ("violenza come seduzione")8, al di là degli sbandamenti e delle degenerazionicertamente presenti anche in campo partigiano. È infatti insensato descrivere l'universo partigiano, e laresistenza armata, come ambiti che non siano in qualche modo a loro volta toccati, e a volteprofondamente segnati da "sbandamenti e degenerazioni". Ma, a questo proposito, è inutile ricordareche la pratica e il progressivo dilagare di forme di crudeltà e di violenza inusuali e razionalmentesempre meno comprensibili dipese prima di tutto da scelte e comportamenti delle truppe di occupazionenaziste e dei loro alleati repubblichini, venendo quindi a predeterminare il livello di violenza al quale loscontro con i partigiani dovrà avvenire. In questa prospettiva il problema della violenza, della suaintensità e della cultura ad essa connessa non può essere interpretato correttamente come ildenominatore comune delle forze in campo, come il generico "dramma di ogni guerra", che si possachiudere pacificamente con un appello all’ “ambrassons nous”. Vi è qui in realtà, nell'uso dellaviolenza, nel giudizio sulla violenza, una distinzione fondante tra i contendenti, che in molti casi puòessere, appunto, ragione stessa del contendere. Discriminante di immediata evidenza anche a coloro - ipiù - che parteciparono alla resistenza benché sprovvisti di precisi orientamenti politici e di chiareopzioni ideologiche, che com'è noto furono appannaggio di un ristretta minoranza della minoranzapartigiana.La denuncia e l'esibizione della violenza tout-court, "da entrambe le parti", si propone, o in ogni casofinisce per proporre una omologazione delle parti in contesa; a chi persegua questo obiettivo, non èdifficile reperire episodi apparentemente rivelatori di una logica identica per entrambi i contendenti,caratteristica di una guerra senza prigionieri. Simili rivisitazioni hanno come presupposto e come effettol’azzeramento del tempo storico, attraverso un approccio che nega in partenza il metodo storico, chepresuppone quanto meno una corretta sistemazione dei fatti lungo un asse cronologico e un' analisi deimolteplici nessi causali che li rendono comprensibili, storicamente sensati. Penso per esempioall'esposizione del cadavere di Mussolini e della Petacci a Piazzale Loreto, ai complessi rapporti chequesto fatto intrattiene con vicende e caratteristiche del regime, con l'esposizione dei corpi di quindicicittadini trucidati nello stesso luogo nove mesi prima, con "altri casi di tirannicidio nel corso dei secoli":una riflessione storica sul senso di Piazzale Loreto, che pretenda di prescindere da questo grumo dinessi e di antecedenti nasce senza prospettiva, è funzionale alla deprecazione e all'omologazione deicontendenti, ma non alla comprensione storica. La mera deprecazione della violenza, facendo appelload un ovvio e incontestabile senso comune, è in realtà finalizzata l'annullamento della storia, allabanalizzazione e svuotamento delle cause del contendere e delle ragioni dei contendenti. Emblematicadi questo atteggiamento mi pare la domanda rivolta, se non ricordo male, da un intervistatore a ClaudioPavone durante una trasmissione televisiva, che suonava più o meno così: "Scusi, per lei tutti i mortisono uguali"?La violenza contemplata nella sua fisicità, nella sua immobile nudità, osservata "dalla fine", quandodiviene un fatto a sé stante, è un fenomeno assoluto, cieco, senza spiegazioni né determinazioni; è il-leggibile. Alla domanda così posta non si poteva che rispondere, ovviamente, "sì". E ricominciare aargomentare, come fece C. Pavone, che tutte le morti sono uguali, ma non per questo sono uguali le ra-gioni per le quali si combatte e si muore.

Il nostro campo di riflessioni si limita ad alcuni aspetti della scelta di entrare nella guerra partigiana.Trascurando qui naturalmente gli infiniti problemi connessi alla fondatezza e varietà delle motivazioni,è il caso di ricordare che la difficoltà di improvvisarsi guerriglieri è fondata, oltre che su questioni etichee ideologiche, anche su questioni tecniche - ad es. conoscenza e abitudine all' uso delle armi e degliesplosivi -; e anche su problemi più chiaramente legati alla sfera emotiva. Non va dimenticato chel'allenamento al rischio, il tempo di esposizione al pericolo, l'abitudine al contatto con la violenza,rivestono grande importanza. Per questo penso che una notevole quantità di ipotesi e di problemiinterpretativi potranno ricevere nuova linfa da ricerche sull’esercito partigiano, che forniscano elementidi analisi sulla sua composizione e sulla provenienza dei partigiani non solo alla fine, ma soprattutto8 Le due definizioni sono di C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Torino 1991,p. 416.

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agli esordi e nel farsi (ed anche, in parte, disfarsi) della resistenza armata. Per il momento non èpossibile quantificare quanto pesi, nella resistenza armata, la presenza di elementi (penso in particolareai giovani renitenti), che si trovano in una situazione di assoluta "novità": totale inesperienza dellaguerra, delle armi, del sangue. In attesa dei risultati di ricerche quantitative che si annunciano di grandeinteresse, come quelle in via di realizzazione per il Piemonte, siamo costretti a descrizioniconsapevolmente imprecise, ma, probabilmente, ragionevolmente aderenti alla realtà; per esempio L.Ceva ricorda che

nelle formazioni della Resistenza 'matura' (...)ì partigiani erano per lo più giovani che volevanosottrarsi alle 'leve di Salò'. Non solo dunque i 'richiamati' che 'disertavano', ma soprattutto i ragazzidel 1924-1925 che sceglievano la 'renitenza'. Dunque gente priva di istruzione militare e alla qualebisognò insegnare tutto e naturalmente in condizioni difficilissime9.

Novità sia per quanto riguarda le difficoltà materiali, dalla necessità di procurarsi il cibo alla durezzadella vita in montagna, sia riguardo ai livelli di violenza che i protagonisti si troveranno improv-visamente a dover subire e praticare. Per i nuovi, in particolare per i giovanissimi renitenti alla leva, sitratta di un salto traumatico; tra la vita civile e quella forma molto particolare di vita militare che è lavita partigiana non vi è un tempo di addestramento, né una preparazione attraverso la memoria, latrasmissione di esperienze e tradizioni, e la comunitaria adesione a queste tradizioni, come avvienesecolarmente per il servizio militare. Si tratta insomma di una dimensione mai sperimentata. Inoltre, ilrapporto con il nemico è più diretto di quanto sia stato anche per chi ha già avuto esperienze militari; ilcaso limite, ma non infrequente, è costituito dal compaesano, che può divenire ora il nemico dopoessere stato compagno di scuola, di lavoro nella vita civile, senza dimenticare le repentine conversioni,che portano sovente a ridisegnare e rimescolare nuove identità tra ex-partigiani ed ex-repubblichini. Trale specifiche caratteristiche della guerra partigiana va infine ricordato che entrare in una guerra dovenotoriamente non sì fanno prigionieri, da una parte innalza di molto il rischio di perdere la vita, econtemporaneamente chiama a praticare, o comunque a condividere, anche forme dì violenza susoggetti inermi, per esempio le fucilazioni di spie, o di compagni di banda giudicati colpevoli di reatiche il contesto particolare rende imperdonabili.L'entità delle difficoltà, acuite appunto dalla completa mancanza di un graduale apprendistato, accentuauna intensa selezione. Se la quantità di "nuovi alla violenza" tra i partigiani è difficile da precisare, èperò fuor di discussione che per organizzatori e comandanti quello di formare i partigiani direttamentenei combattimenti, senza nessun periodo di addestramento o di progressiva sperimentazione fu uno deiprincipali problemi. Come dice Nuto Revelli, la montagna seleziona chi può fare il partigiano e chi no.G. Pesce, probabilmente il più noto dei gappisti, quando scopre «un gruppo di giovani che ha già fatto ilservizio militare e ha una discreta conoscenza delle armi e degli esplosivi», lo definisce «una delle piùgradite sorprese che possa sperare un organizzatore clandestino»10.Vi è certo il rischio, partendo dal tema della novità della violenza sperimentata durante la guerrapartigiana, di proiettare all'indietro la nostra sensibilità, dimenticando quanto diversa dovesse essere lapercezione, quando non l'assuefazione alla violenza conseguente a tre anni di una guerra dove nulla erarisparmiato né ai militari né ai civili. Anche a prescindere dal problema di quantificare coloro chepartecipano alla resistenza dopo aver prestato servizio militare fino all'8 settembre, basta por mente aibombardamenti, alte macerie, ad una situazione di quotidiana violenza e di stravolgimento del comunesenso della vita. Indubitabilmente un contesto segnato da bombardamenti, deportazioni, pubblicheesecuzioni non può che determinare grandi mutamenti nella percezione della violenza; resta tuttavia unaqualche rilevante diversità tra la violenza vista e subita passivamente, piovuta dal cielo, o praticata sullapopolazione inerme dalle truppe occupanti, e la violenza, subita o praticata, a partire da una sceltapersonale di partecipazione consapevole e quotidianamente ribadita, com'è nel caso dei partigiani. Siaggiunga a questo il fatto che i bombardamenti restano una tragica esperienza prevalentementecaratterizzante il contesto urbano, le città. Viceversa la guerra, prima dell' autunno-inverno 1943-1944,giunge nelle vallate montane esclusivamente sotto la specie di crescenti difficoltà materiali, di presenzadi sfollati, di notizie di battaglie in terre lontane (luttuose certo, essendo in esse decisa la sorte di parentie conoscenti), più che come diretta esperienza della ferocia e della spietatezza della guerra. Questagiungerà, di fatto, assumendo anche aspetti di guerra civile, solamente con gli inizi, e soprattutto con ildispiegarsi di fenomeni di resistenza armata11.

9Cfr. L. CEVA, Considerazioni su aspetti militari della Resistenza, in Il presente e la storia, 1995, n. 46, p. 21.10 G. Pesce, Senza tregua. La guerra dei Gap, Milano, 1967, p. 167.

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«Noi, qui, avevamo visto solo gli alpini quando facevano le esercitazioni coi muli. Non ho pensatoperché venivano, ma solo che adesso la guerra la facevano tra le nostre case, che eravamo diventaticome al fronte»12. Tra le motivazioni della scelta partigiana, soprattutto quando a compierla sono figure di notevolespessore culturale, ricorre con frequenza che merita attenzione il rifiuto dell'armamentario di immaginiestetizzanti, di superominismo e necrofilia che fa da scenario alla rinascita e alla disperata ma rabbiosaparabola del fascismo repubblichino: la seduzione, l'esaltazione della morte, come legittimazione diogni azione disumanante. C. Pavone, nel capitolo dedicato ai problemi connessi alla violenza della suaGuerra civile, parla appunto dell'indignazione massima suscitata tra i residenti da "questo tono chetrapassava dalla morte propria a quella del nemico in una specie di esaltato andirivieni" ("Cosìviviamo... guardando in faccia alla morte col sorriso sulle labbra")'13.Sono concetti esemplarmente sintetizzati da B. Pesce:

L'ultimo volto che vedo, abbandonando la piazza, è quello di un repubblichino, che ride istericamente.Quel riso indica l'infinita distanza che ci separa. Siamo gente di un pianeta diverso. Anche noicombattiamo una dura lotta, in cui si dà e si riceve la morte. Ma ne sentiamo tutto l'umano dolore,l'angosciosa necessità. In noi non è, non ci può essere nulla di simile a quello sguardo, a quella irrisionedi fronte alla morte. Loro ridono. Hanno appena ucciso 15 uomini e si sentono allegri. Contro quel risoosceno noi combattiamo. Esso taglia nettamente il mondo: da un lato la barbarie, dall'altro la civiltà14.

L'opposto della "seduzione della morte" è la morte come "terribile costrizione". R. Bentivegna cosìesprime l'angoscia della costrizione a dare la morte;

... la guerra che noi conducevamo non ci consentiva il lusso di fare prigionieri (...) Fu così disumano,però, quel colpo di pistola, fu così terribile la morte di quel giovane sotto il sole di maggio, in mezzoalla campagna in fiore, che ciascuno di noi testimoni, amici e nemici, ammutolì. Nessuno di noi, credo,dimenticherà quella morte. E entra nel conto. Entra nel conto che noi chiedemmo allora e chechiediamo ancora oggi al fascismo che ci ha costretto ad una lotta così spietata15.

E, in un intellettuale dalla straordinaria finezza, quale E. Artom, spavento e peso morale sono connessiall'idea di dare la morte, sono un fardello preventivo:

Mi spaventa contemplarmi mentre sto tramando contro la vita di un uomo che lascerà moglie e figli, diun uomo che non mi conosce e non conosco: sono come un pescatore che cinge le reti intorno al pesceinconsapevole: ma l'autore indiretto della propria morte è B. stesso che ha fatto la spia, autori direttisiamo in molti: i delatori, io che raccolgo le testimonianze - e le raccolgo senza ira e senzacompassione, senza desiderio di perderlo e di salvarlo, solo cercando di raggiungere la verità -, chidarà il giudizio e chi farà l'attentato. Ma già pesa anche solo questa parte di responsabilità di una vitaumana e del dolore dei parenti che resteranno16.

Claudio Pavone ha offerto numerosi esempi dell'angoscia che attraversa il campo partigiano rispetto alproblema della violenza, e della paura di lordarsi non tanto del sangue, ma del gusto del sangue. È untema che riguarda prevalentemente l'esperienza e la memoria di intellettuali, e le evidenti resistenze,fatiche e reticenze che sembrano caratterizzare il rapporto degli intellettuali con la violenza, e l'uso dellearmi, quando sono direttamente, fisicamente coinvolti nella lotta armata. Anche se per Pavone la"reticenza o addirittura ripugnanza a usar(le)" le armi "riguarda soprattutto le donne"17. Per moltipartigiani, maschi ma di formazione o professione intellettuali, sono di un certo spessore le difficoltà apassare da posizioni di principio e da convinzioni etiche alla pratica fisica della violenza.

11Osservazione che vale naturalmente in modo molto diverso per le vallate e le montagne dell'arco alpino eper le zone appenniniche attraversate dall'esercito tedesco in ripiegamento.12 Si tratta della testimonianza di una valligiana piemontese relativa ad un rastrellamento del 23 settembre 1943, riportatada O. Oliva, La resistenza alle porte di Torino, Milano, 1989, p. 75.13 Cfr. C. Pavone, op. cit., p. 432.14 Cfr. G. Pesce, op. cit., p. 204.15 Cfr. R. Bentivegna, Achtung Banditen! Roma 1944, Mursia, Milano, 1983, pp. 212-213.16 Cfr. E. Artom, Diari. Gennaio 1940-febbraio 1944, Milano, 1966, p. 138 (s.m.).17 Cfr. C. Pavone, op. cit., pp. 438-439.

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La difficoltà di sparare contro un uomo avendo agio di riflettere, di usare un'arma con l'intento e lacertezza di uccidere, lascia tracce inequivocabili nelle reticenze, o nell'impossibilità di direesplicitamente, di ripercorrere con la memoria queste esperienze. A distanza di venti anni dai fatti L.Meneghello, raccontando di un attentato compiuto dal suo piccolo gruppo partigiano contro unesponente del fascismo vicentino, non ce la fa, o comunque ritiene di non dover dire se quella serapremette o no il grilletto, se il bersaglio fu o meno centrato:

Il Maggiore veniva avanti, tutto assorto nei suoi pensieri; vestito così in borghese pareva depresso edebole; io spostavo il parabello, camminando in aria col cerchietto del mirino un po' avanti alMaggiore. Quando fummo al punto giusto mi fermai ad aspettarlo, e in un momento lo vidi entrare nelmio mirino, coi suoi tristi pensieri; e lì in questo cerchietto di ferro lo voglio lasciare (s.m.)18.

Anche la necessità e la difficoltà di partecipare a delle fucilazioni rientra in questo ordine di problemi.Così un partigiano bolognese ricorda il brusco impatto con la sua militanza partigiana in Veneto:

Nell' accampamento si trovavano con noi due spie catturate dai partigiani che si dichiararono colpevolidi spionaggio antipartigiano. Furono adunati tutti i partigiani e fu letta la sentenza di condanna. Quandosi trattò di procedere alla esecuzione il comandante richiese dei volontari. Io, e come me tutti i nuoviarrivati, divenni piccino piccino per nascondermi. Si fecero avanti alcuni volontari ed io mi tirai indietroancora. La mia angoscia, il mio smarrimento, non accennavano a lasciarmi19.

Se per Meneghello è vero che "sparare addosso alle persone, se capita per incidens, non faimpressione", è altrettanto evidente in lui l'angoscia di dover assolvere meditatamente l'incarico diuccidere, per una ineludibile compassione-identificazione con la vittima: «Gli abbiamo legato le manicon lo spago in questa piccola dolina di roccia (...) Si è in piedi, quasi ci si tocca. In una specie di scossapare di morire insieme»20.La necessità di infliggere la morte vjs-à-vis non è certo esclusiva della guerra partigiana, ma certoricorre in essa con più frequenza che in una guerra tradizionale. La difficoltà che un rapporto diretto conuna vittima designata fatalmente comporta, senza mediazioni del numero, della distanza, della casualitàe dell' incertezza degli esiti, era già stato esemplarmente individuato da E. Lussu, quando scriveva:

Condurre all'assalto cento uomini, o mi11e contro cento altri o altri mille è una cosa. Prendere unuomo, staccarlo dal resto degli uomini e poi dire: Ecco, sta fermo, io ti sparo, io t'uccido è un'altra. Èassolutamente un'altra cosa. Fare la guerra è una cosa, uccidere un uomo è un’altra cosa. Uccidere unuomo, così, è assassinare un uomo21 […]. Da S. PELI, La resistenza difficile, Milano1999.

c. Giovani partigiani: la guerra, gli ideali,la violenza e la morte.

Le riflessioni che seguono rappresentano un primo tentativo di formulare delle ipotesi interpretative, diorganizzare elementi d'analisi intorno ad una domanda che una serie d'episodi, d'avvenimenti incontratinel corso di una ricerca sulla resistenza mi ha posto davanti, e che si può così sintetizzare: quali sono leragioni della progressiva perdita di razionalità, o di necessità operativa, insomma di "senso", dimolteplici pratiche violente che aumentano d'intensità, e acquistano progressivamente connotatid'assolutezza, di male fine a se stesso, man mano che la vicenda resistenziale procede, anche quando isuoi esiti appaiono scontati? All'interno di questa generale questione, la mia attenzione è stataparticolarmente attratta dalla prassi di violenze sui cadaveri, di divieto di sepoltura, di "profanazionedella morte".

18 Cfr. L. Meneghello, I piccoli maestri, Milano, 1990, p. 215. 19 Cfr. la testimonianza di D. Argentesi, in i bolognesi nel Veneto, nel Modenese e nelle Valli, in L. Bergonzini (a curadi), La resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti, vol. III, Bologna, 1970, p. 216.20 L. Meneghello, I piccoli maestri, cit., p. 207. Val la pena di ricordare per contrasto un altro personaggio de I piccolimaestri, il Tar, capo-partigiano mitico e popolare, che ad un distinto ed attempato borghese in visita al reparto, ed ansio-so di essere rassicurato sulla vita del figlio partigiano, narra con compiaciuti tecnicismi e dovizia di particolari: "Si fa uncerchio con questo filo di ferro intorno alla testa...", "E con questa pinza si da una giratina ai capi attorcigliati”, "E al-laseconda giratina...", "E quando gli ossi della testa fanno cric…”. Cfr. ibidem, p. 200.21 E. Lussu, Un anno sull’Altipiano, Milano 1970, p. 63.

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Il terreno sul quale mi avventuro appare particolarmente infido; avverto pesantemente l'inadeguatezza ela rigidità dei tradizionali "ferri del mestiere"; indagando ragioni e implicazioni di comportamento dovespesso sfumano i confini tra progetti razionali, magari ferocemente razionali, e imbarbarimentiindividuali o collettivi, si deve accettare il rischio di incagliarsi nei "fondali più bassi della soggettività,a sondare i quali lo storico non può che confessare la propria inadeguatezza”22. Più che un tentativod'analisi e di spiegazioni esaustive, mi propongo quindi di accennare semplicemente ai problemimolteplici connessi all'esistenza di una violenza "in eccesso" che deborda dalla normale esperienzaumana. Nemmeno mi prefiggo di fornire una ricostruzione puntuale ed esaustiva dei molteplici episodiche si possono prendere in considerazione sotto la specie "morte profanata", o "divieto di sepoltura", o"esibizione di torture". Più limitatamente, mi è parso utile, in via preliminare, avviare delle riflessioniintorno ad una costellazione di problemi; gli episodi cui faccio riferimento nel testo sono dunque statiscelti, con tutto l'arbitrio del caso, in quanto esemplificativi, ricorrenti, tipici, mentre non vi è l'intento diricostruzione, di verifica puntuale dell'episodio in se. Nel fare questa scelta, mi è venuto naturaleaccostare ad episodi tratti dalla memorialistica partigiana altri episodi d'origine puramente letteraria,attingendo ad esempio a pagine di B. Fenoglio o di M. Tobino. Le fonti letterarie non sono state scelte eutilizzate in quanto evocavano "correttamente" degli episodi così come si erano esattamente svolti, main quanto in grado di evocare, grazie alla loro "letteraria" capacità di sintesi, situazioni, clima morale,reazioni umane facilmente rintracciabili in molteplici episodi presenti nella memorialistica e nellastoriografia sulla resistenza. Anche qui, dunque, non una campionatura scientificamente verificabile, mal'azzardo di una scelta che io ipotizzo come significativa. Essendo l'intento di queste note quella diavviare un discorso, consapevolmente frammentario e incompiuto, mi è parso un rischio accettabile.

Nel corso della resistenza, e in particolare della resistenza in montagna, nelle vallate alpine, una lottaserrata si svolge intorno alla sorte dei cadaveri dei partigiani uccisi, e spesso anche delle vittime dirappresaglie, che vengono ad essi assimilate. Non si tratta di morti normali. Per gli uomini dellaresistenza, il partigiano morto in combattimento è un martire, un eroe, intorno al quale, spesso a costo digravi rischi, si riuniscono insieme la collettività civile, il villaggio, i contadini del luogo, e i partigiani. Ilrito funebre deve essere il più possibile solenne; nonostante i rischi, la sacralizzazione della morte, delmorto, è vissuta come fondamentale.

Partigiani dei dintorni erano arrivati e arrivavano a Mangano per vedere Maté esposto nella chiesa.C'era una guardia partigiana e le donne del paese si alternavano a gruppi a pregare. Maté era statolavato e pettinato, sul petto crivellato aveva uno strato di fiori. L'aria della navata era asfissiante23.

Furono innanzitutto le donne a urlare, ad abbracciare quei loro possibili figli, a pulire le bocche, achiudere gli occhi. I partigiani impiccati venivano dal carcere, vestiti di stracci, seminudi. Le donnecorsero alle loro case, aprirono armadi, cassapanche, dove erano conservati i vestiti neri con i quali iloro mariti si erano sposati. Ne portarono quanti ne avevano, per ognuno ci fu la sua misura.I dieci giovani furono presto ricoperti col vestito più bello che in quelle rustiche case si conservava. E,tutti aiutandosi, costruirono con rami e lenzuoli, dieci barelle, perché vi riposassero nella vegliafunebre, che ci fu, e la mattina, mentre il sole indorava, furono sotterrati, ognuno con la sua croce24.

Il 9 ottobre (1944) un forte gruppo della 'Margheriti' sceso dai monti, assisteva all'ufficio funebre diEmilio Bellardini. All'ultimo momento era stato spostato l'orario e l'ufficio iniziava mezz'ora prima. Lespie, gli informatori fascisti non hanno calcolato tale anticipo. I parenti del fucilato, la popolazione, ipartigiani stavano uscendo dalla chiesa quando la brigata nera Tognù' e i tedeschi, autocarrati eprotetti dalle autoblinde, piombano in paese, penetrano nella chiesa, rovistano in ogni angolo einiziano il saccheggio della sacrestia; asportano gli abiti del 'Piccolo Clero' e le nere cinghie di cuoioche servono in montagna per trasportare i morti al cimitero25.

22 G. Valdevit, Foibe: l'eredità della sconfitta, in G. Valdevit, (a cura di), Foibe. Il peso del passato. Venezia Giulia1943-1945, Venezia, 1977, p. 17.23 Beppe Fenoglio, Opere, Torino, 1978, vol. I, III, Frammenti di romanzo, p. 1685.24 M. Tobino, Tre amici, Milano, 1987, p. 93.25 P. Gerola, Cronache partigiane in Vai Trompia, in «La resistenza bresciana», n. 8, 1977

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Gli assassini hanno obbligato alcuni contadini a scavare una grande fossa e li hanno fatti seppellire26

(...) La buona e coraggiosa gente si recò in Musna a dissotterrare i cadaveri dei tre Monella e delBelotti Francesco trucidati antiitalianamente il giorno 19 (maggio 1944, n.d.r.)27.

L'importanza di questo rito sacro, della sacralizzazione, è da connettersi, almeno in parte, al bisogno dilegittimazione presso la comunità di una lotta sanguinosa che avviene in un momento di grande'anomia'. Intendiamo, con questo termine, indicare le condizioni di relativa assenza di regole nelcomportamento dei singoli, dovuto al venir meno di un quadro istituzionale chiaramente definito. E, perquanto più direttamente ci riguarda, anche ai problemi derivanti dal venir meno del monopolio stataledelta violenza. Attraverso il rito religioso che riconnette il morto partigiano alla sua comunità, si giungea stabilire la sacralità della lotta, e quindi la sua legittimità. La necessità di riconfermare, ancheattraverso la sacralizzazione, la propria lotta, nasce anche dal fatto che i partigiani si pongono, deli-beratamente e volontariamente, sul terreno dell'uso della violenza. È avvenuta, appunto, una rottura delmonopolio statale della violenza.

I cittadini, da strumenti e beneficiari più o meno diretti e consapevoli, della violenza statale, divennerogestori in proprio della violenza. I problemi morali fatti nascere dalla smisurata violenza praticata dadecine di milioni di uomini durante l'intiera guerra vengono così caricati in modo particolare,pretendendo più nette risposte, su poche decine di migliaia di partigiani28.

Credo che la particolare attenzione alle cerimonie funebri si iscriva, appunto, in un diffuso bisogno diriaffermazione della continuità delle tradizioni comunitarie, proprio in quanto la pratica della violenza leminaccia. La guerra e l'uso di una violenza indiscriminata hanno fatto irruzione per la prima volta invallate e comunità che, di guerra e violenza, avevano esperienza solamente come di cose che avvengonoaltrove, lontano. L'immagine dello stato, e i suoi più visibili cardini, il re, l'esercito, le caserme deicarabinieri29, si sono frantumati, allontanati e messi fuori gioco dalla fuga del re. L'incerto poterepolitico incarnato dalla RSI appare privo di ogni autonomia dagli occupanti tedeschi, e nello stessotempo compie azioni che lo qualificano come naturale nemico della comunità: il rastrellamento degliuomini per il lavoro coatto in Germania, o per formare il nuovo esercito da gettare in una guerra giàperduta. L'assoluta incapacità di organizzare il reperimento delle risorse alimentari, e tanto menoun'equa ripartizione, completa la non credibilità, l'assenza di autorità morale di questo nuovo stato. E, ineffetti, possiamo pensare alla resistenza come al più grande fenomeno di disobbedienza di massa nellastoria italiana, non a caso coincidente con l'esistenza dello stato più privo di autonomia e di attendibilità.In questa situazione di anomia, il sacerdote appare molto spesso, al di là delle convinzioni religiose eideologiche, come naturale, ovvio depositario della pietas, della religio, dei legami che fondano lacomunità. La celebrazione solenne dei funerali dei partigiani uccisi è anche, quindi, garanzia direstaurazione dell'ordine comunitario violato; non a caso i partigiani tendono, anche attraverso messe inmontagna e matrimoni partigiani celebrati con rito religioso a affermare la propria appartenenza allacomunità, proprio nel momento in cui il ricorso alla violenza può renderne problematica l'evidenza. […] I primi partigiani catturati sono fucilati nelle caserme, nei poligoni di tiro, lontano dalla vista dellapopolazione, e spesso anche in località diverse da quelle dove hanno combattuto. Ma dopo i primi mesidi guerra partigiana, sempre più frequentemente si diffonde non solo la pratica della tortura, ma anchel'abitudine di esibirla, possibilmente nelle zone teatro dell'attività partigiana. I corpi sono spogliati evolutamente imposti alla pubblica attenzione, le torture debbono essere ben visibili. La sepoltura deicorpi martoriati è considerata alla stregua del favoreggiamento ai partigiani.«Prima di partire un ufficiale le aveva detto che sarebbero tornati all'improvviso e se avessero visto ilcadavere sparito o appena spostato le avrebbero fucilato marito e suocero e bruciato il tetto»30.

26 Si tratta di quattro montanari passati per le armi dai rastrellatori fascisti a caccia di disertori in Valsaviore, Brescia. Lacitazione è tratta dal diario di Don Murachiello, parroco della zona, riportato in A. Belotti, Le bande antiribelli inValsaviore e l'incendio di Cevo, in «La resistenza bresciana», n. 5, 1974, p. 23.27 Dal diario di Giacomo Matti, riportato in A. Belotti, Le bande..., cit., p. 23.28 C. Pavone, Una guerra civile, cit., p. 415.29 Com'è noto, l'Arma, ritenuta inaffidabile dai tedeschi per le molte defezioni e le numerose scelte di campo partigiane,nell'agosto '44 viene liquidata, ed i carabinieri non ancora trasferiti in Germania messi in congedo. Cfr. O. Pansa, Ilgladio e l'alloro. L'esercito dì Salò, Milano, 1991, pp. 95-106.30 Fenoglio, Opere, cit, Voi. I, III, Frammenti di romanzo, p. 1686.

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Il divieto di seppellire è parte di una complessiva aggressione all'umanità delle vittime, una strategia direificazione dei corpi esemplificata bene dal trattamento riservato ai cadaveri: abbruciamento,strascinamento, fino all'aspersione con benzina e bombe a mano della bara; gli esempi potrebberomoltiplicarsi. Inoltre una lunga esposizione dei cadaveri sembra quasi una misura minima, oltre che piùtradizionale; come ricorda Nuto Revelli, i tedeschi avevano largamente praticato l'esposizione deicadaveri durante le repressioni anti-partigiane in Russia31. «Aveva anche visto, più di una volta, gli impiccati spaventosi, ragazzi e ragazze, con il capobrutalmente slogato dallo strappo della corda, gli occhi vitrei e le mani legate dietro la schiena:portavano al petto cartelli scritti in russo, 'sono ritornato al mio paese', o altre parole di scherno»32.La dignità del morto, del cadavere è negata. Ma molto spesso queste morti sono precedute dalla tortura;anche in questo caso, oltre e al di là di scopi razionali (la confessione, l'acquisizione di informazioni), siintravede la volontà di negare prima di tutto l'umanità di chi è sottoposto a sofferenze, appunto, dis-umane.

I nazisti torturavano al pari di altri perché grazie alla tortura volevano entrare in possesso diimportanti informazioni politiche. Parallelamente tuttavia torturavano nella buona coscienza dellamalvagità. Martoriavano i loro prigionieri per scopi precisi, di volta in volta esattamente specificati.Ma torturavano soprattutto perché erano aguzzini. Si servivano della tortura. Ma con fervore ancorapiù profondo la servivano (...) Il potere del torturatore sotto il quale geme il torturato, non è invecealtro che l'assoluto trionfo del sopravvivente sull'individuo che, escluso dal mondo, è spinto verso lasofferenza e la morte33.

A partire da questa considerazione, diviene comprensibile il paradosso per cui un torturatore puòapostrofare così la propria vittima: «Dio che lurida belva sei, dio che occhi sporchi e feroci hai (...) E tusei una belva, e se lo neghi io ti spacco il cranio contro il muro»34. Anche l'uso di ganci da macellaio per appendervi i cadaveri dei giustiziati, sul quale abbiamonumerose testimonianze35, è una trasparente applicazione di questo bisogno di degradazione dell' avver-sario al rango di bestia.«Il corpo di Ines Versari viene esposto, sulla piazza di Forlì, per alcuni giorni, attaccato ad un gancioda macellaio»36.[…]Negli esempi sui quali ci siamo soffermati, viene probabilmente superata quella linea, sia pure ambigua,che separa una durezza di comportamenti programmata e imposta dall'alto, da una attiva e prevaricantebarbarie soggettiva. È su questo secondo aspetto della questione che si ferma la mia attenzione. Laricorrente prassi di imporre per giorni e giorni l'esposizione dei cadaveri, e delle torture inflitte ai corpi,oltre che a creare terrore nelle popolazioni, è rivolta forse anche agli stessi carnefici. Risponde anche adun bisogno loro. Notava Canetti che "la presenza fisica del nemico, vivo e poi morto, è indispensabile"37. I cadaveridegli uccisi devono restare evidenti, visibili agli uccisori, e non solo al popolo. Servono agli uccisori,non solo come monito ai nemici (e ormai tutti i civili lo sono) ma soprattutto come conferma dellapropria potenza. Non importa che questi cadaveri non siano sempre di nemici in senso stretto, anzi sitratta spesso, come nei casi di Bovegno e di Cevo che abbiamo citato, di civili passati per le armi conassoluta casualità. Più la potenza dell'uccisore è incerta e scricchiolante, e più necessita di un rinforzovisibile, della evidenza dei nemici uccisi, esorcismo di una fine intuita, temuta, a volte persino invocata. "Disumaniamoci! Dimentichiamo affetti, sentimenti, tutto ciò che riguarda noi stessi (...) Tutto, tuttoperisca"38! […]

31 N. Revelli, Società rurale e resistenza nelle Venezie, Milano 1978, p. 275.32 P. Levi, Se non ora, quando?, in Opere, vol. Il, Torino, 1988, p. 205.33 J. Améry, Intellettuale ad Auschwitz, Torino, 1987, pp. 81-82.34 Fenoglio, Opere, cit., voI. 1, TII, Frammenti di romanzo, p. 1662. Chi parla è un soldato repubblichino, rivolto a unpartigiano che viene poi torturato, fucilato e gettato in un immondezzaio.35 Anche nei Piccoli maestri di Meneghello, e nello splendido film che Luchetti ne ha tratto, vi è l'agghiacciantecomparsa dei ganci, utilizzati in quel caso dai partigiani. La vocazione antiretorica del film non ne ha, ovviamente,facilitata la presa sul pubblico italiano, notoriamente refrattario alla riflessione sulla propria storia.36 M. Mafai, Pane nero. Donne e vita quotidiana nella Seconda guerra mondiale, Milano, 1987, p. 232.37 E. Canetti, Potere e sopravvivenza, Milano, 1979, p. 18.38 Da una lettera di un repubblichino diciannovenne, citata in C. Pavone, Una guerra, cit, p. 432.

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E dappertutto la guerra ha diffuso una facile crudeltà, una crudeltà inconsapevole e piatta che è lapeggior linfa dell'uomo. L'orribile senso del gratuito, dell'omicidio non necessario. Tolti i ritegnidiviene consuetudine uccidere e punire è diventato un esercizio. L'orrenda debolezza dell'uomo èvenuta fuori, la debolezza dell' uomo che può comandare39.

Quel "dì più" di violenza, «quel di più del quale i reduci di tutte le guerre preferiscono in genere nonparlare»40, tende naturalmente a travasarsi da un campo all'altro.È di gran lunga prevalentemente nel campo nazi-fascista che "l'orribile senso del gratuito", lo“imbestiamento” segnano sempre più la guerra. E anche evidente, come C. Pavone non manca di rile-vare, che nemmeno i partigiani resteranno del tutto immuni dall'emergere "dell'orrenda debolezzadell'uomo". Potrebbe negarlo solo una visione eroicistica della resistenza, disposta a immaginarepartigiani più simili ad astrazioni retoriche che a uomini: partigiani che non parlano anche davanti allepiù efferate sevizie, partigiani che non cadono mai nell'uso gratuito della violenza, nella reificazionedell'avversario. Il partigiano Polo di Fenoglio è appunto l'espressione, epicizzata, di un atteggiamento verso la lotta, ilsangue, la morte, che è certamente fuoruscito da progetti e comportamenti razionali, nel suo dare fiato auna terrificante esplosione di dolore per un compagno ucciso-"ucciso come i vostri conigli»

Fu allora che salì al cielo come un razzo un urlo che inorridì quanto Tito, tutti. Era Polo, il partigianocontadino, che nel bel mezzo della piazzetta, si era marcato sui ginocchi, e si rimboccava le maniche ependeva con la testa scarruffata su di un immaginario catino - Hanno ammazzato Tito, che era ilnostro compagno! Voglio lavarmi nel loro sangue. Voglio lavarmi fin qui, - e indicava i bicipiti ed orasi lavava, con orribile naturalezza41.

Lo stesso episodio è presentato nel racconto intitolato "Golia", con alcune interessanti varianti, chedanno più risalto alla ferinità di Polo "s'alzò un urlo selvaggio e come molteplice (...) era soltanto Polo. Icapelli serpentini gli ingraticciavano la faccia, lucente per pianto o sudor freddo, e degli occhi gli sivedeva solo il bianco42.

La guerra di liberazione è guerra civile, non solo perché è guerra ideologicamente caratterizzata, dove siscontrano membri della stessa comunità nazionale, ma anche nel senso di guerra più intima, interna adogni combattente, fra umanità normale, che rimane dentro la norma, il rispetto dei più radicati tabù, e laviolazione della norma, 1' infrazione del tabù. L'accumulo di ferocia, di tragedia che gli anni dellaseconda guerra hanno sedimentato può essere controllato, incanalato, o può essere trasformato essostesso in valore, in norma. Ed è anche nell'animo di ogni singolo combattente che si gioca quindi unapartita, mai definita una volta per tutte, tra civiltà e ferinità, tra presa di distanza dalla violenza gratuita,ed esaltazione della ferocia come valore in sé. «La violenza come seduzione e la violenza come dura necessità si scontrarono così in modo palese,pur convivendo talvolta nelle stesse persone»43.È possibile allora che si confondano fino a sparire, sia pure momentaneamente, motivazioni eatteggiamenti eticamente fondati di fronte a impulsi violenti e primordiali, che la durezza della lotta perla sopravvivenza porta ad emergere. Mi pare che nessuno abbia raccontato con l'efficacia di Fenoglioquesto imprevedibile inabissarsi in un vortice di rosso furore, tanto ignoto da lasciare esterrefatto,disarticolato prima di tutto lo stesso protagonista.

Lo colpirono alto stomaco ed il rosso rinculò e cadde sulla schiena e Johnny gli volò sopra e locoperse tutto. Lo picchiava con una cecità lucida, esattissimamente sugli occhi e sulla bocca. Mai s'erasentito così furioso e distruttivo, così necessitante dell'odio e del sangue, bisognoso di altro sangue e dialtre deformazioni proprio mentre il sangue spicciava e la deformazione si delineava. E per il prossimocolpo aggiustava con una cura feroce la testa dopo che il colpo prima l'aveva torta. E gridava chevoleva ridurgli la faccia in poltiglia, e lavorava a quel fine con una lucida selvaggità. Da remoteregioni raggiungevano le sue assanguate orecchie le voci interrene di Ettore e di Pierre, dicentigli chebastava, l'avrebbe ammazzato con pochi pugni ancora, che bastava ora davvero! Ma Johnny colpiva39 Dal Doppio diario di Giaime Pintor cit. in C. Pavone, Una guerra, cit., pp. 416-1740 Ibidem p. 427.41 Fenoglio, Opere, cit, vol. I, Il partigiano Johnny, p. 493.42 Fenoglio, Opere, cit., vol. II, Un giorno di fuoco, p. 559.43 Pavone, Una guerra, cit., p- 416.

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ancora, e rispondeva con amichevole acquiescenza: - Non lo uccido, state tranquilli, gli faccio soloperdere per sempre i connotati umani. (s.m.)Allora lo strapparono da sopra quella cieca e sanguigna maschera e da quella bocca sibilante erantolante e da quel tronco immoto, come trafitto, e Johnny a stento si reggeva in piedi, affranto damortale stanchezza e da imprecedentata vergogna. Sicché fu un disarticolato automa ed il più arros-sente dei pellegrini che si trascinò, dietro i muti Ettore e Pierre verso il pacifico paese di Castagnole44.

In questo Johnny ritroviamo "l'orrenda debolezza dell'uomo" di cui parlava Pinton La debolezza"dell'uomo che può comandare", dove il poter comandare è da intendersi come comando sulla vita al-trui. Nel caso di Iohnny, la lucida selvaggità, il desiderio di 'disumanare' l'avversario, si converte quasiimmediatamente in imprecedentata vergogna. Il tuffo in remote regioni, dove l'unica voce nitidamentepercepibile è quella di un io finora insospettato, «così necessitante dell'odio e del sangue, bisognoso dialtro sangue e di altre deformazioni», lascia Johnny nello stato di disarticolato automa. Il tentativo didisumanare, di far perdere per sempre connotati umani, disarticola in primis l'umanità di Johnny.L'esplosione di Johnny, originata apparentemente da una provocazione tutto sommato lieve, di un"rosso", un partigiano delle Garibaldi, è prima di tutto lo sfogo, tanto più furioso quanto più fin quitrattenuto, della paura. Paura della propria morte, attesa come ineluttabile in interminabili giorni dirastrellamento.Canetti ha parlato del "piacere intensivo", del "senso di felicità del sopravvivere concreto", connessiall'esperienza della morte del proprio avversario. Egli descrive queste sensazioni come un fruttovelenoso, senza antidoti e senza appelli. Questo piacere sarebbe tale che «una volta subentrato, essoesigerà la sua ripetizione e crescerà rapidamente fino a divenire una passione insaziabile»45. In questa direzione, nello sviluppo e nell'iterazione di questo piacere vanno probabilmente collocatimolti dei comportamenti di disumanizzazione totale che abbiamo osservato attraverso gli esempi dimorte profanata" presi in considerazione. La necessità della ripetizione non è però automatica, nèobbligata; tra le possibili varianti, vi è anche quella raffigurata nella vicenda del partigiano Johnny. Lasua esperienza dell'abisso, della sanguinosa follia, non verrà ripetuta; anzi, il ritorno ad una dimensioneumana, ad una consapevolezza dell'abisso di brutalità che il protagonista aveva iniziato a sondare,immediatamente si traduce nella più grande vergogna mai provata, e nel tremito di una paura terribile,quella di aver perso la propria umanità, le sue più profonde radici, riconoscendo in sé la voglia didisumanare, di "togliere i connotati umani" al proprio avversario. Ma per Johnny-Fenoglio non ci saràiterazione dell'orrendo piacere, e anzi sarà "il più arrossente dei pellegrini a trascinarsi" verso il"pacifico" paese di Castagnole, trasparente metafora del ritornò alla vita, alla buona vita degli uomini.

Da S. PELI, La resistenza difficile, Milano1999.

Appendice: materiale integrativo per i lavori di gruppoDa AA. VV., Lettere dalla Resistenza europea, a cura di G. PIRELLI,Torino 1969.

Introduzione:Questo materiale è tratto da un libro fatto di lettere e di brevi messaggi; lettereindirizzate ai genitori, ai figli, al compagno o alla compagna nella vita o nella lotta, alfratello, alla sorella, al proprio insegnante, ai parrocchiani, a un amico, a un'amica;messaggi vergati su un pacchetto di sigarette, su un foglio di carta igienica, sui marginidi un libro, grafiti sul muro di una cella, incisi su un pezzo di legno. In comune coloro chescrivevano avevano questo, soltanto questo:sapevano che sarebbero stati uccisi. Cosi, lamaggior parte di loro, pagavano il prezzo dell'aver detto no al fascismo, dell'averdichiarato guerra alla guerra. Altri sarebbero stati uccisi per un semplice sospetto, unavendetta personale, un'informazione falsa, una rappresaglia. Alcuni, dopo aver scritto laloro ultima lettera, vissero per qualche tempo ancora: qualche settimana, qualche giorno.Altri furono uccisi dopo poche ore, pochi minuti.

44 Fenoglio, Opere, cit., v. 1, lI, Il partigiano, cit., p. 782.45 Canetti, Potere e sopravvivenza, cit., p. 21.

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Qui si tratta di gente in carne e ossa, di fatti della vita. Si tratta, proprio come di fronte aifatti di ogni giorno, di compiere un processo di conoscenza, di riflessione, di discussionecritica; per acquistare maggiore consapevolezza di chi siamo e di cosa vogliamo.

LÁSZLÓ KÓTRÓOrafo ungherese. È obiettore di coscienza, rifiuta di combattere e perciò abbandona il reparto nel quale èstato mobilitato. Preso, è condannato a due anni di reclusione. Fugge, viene ripreso ed è condannato a dueanni di lavori forzati al confine con la Jugoslavia. Fugge ancora, con quattordici compagni, ancora vienepreso e processato. È fucilato all'età di 24 anni con undici compagni.

Szeged, 21 settembre 1944Carissimo papà, carissima mamma, scrivo questa lettera dalla prigione, manca solo un 'ora e trenta minuti dall'esecuzione.Sono fuggito dalla mia compagnia, non volevo fare il soldato; il perché l'ho appreso da miopadre, da 24 anni, lui ha sofferto tanto insieme a noi, e io gli avevo promesso che sareirestato suo figlio. Oggi si è riunita la corte marziale e sono stato condannato a morte. Mifucileranno. Vi ringrazio tanto del bene che mi avete dato negli anni della mia infanzia,perché voi siete stati i migliori genitori di questo mondo.Caro papà, te ne prego tanto, abbi molta cura di mamma che è debole e ha il cuore così sensibile.Ve ne prego, non arrabbiatevi con me se vi procuro un cosi grande dolore; vi conforti sapere chevado incontro alla morte non da vile, ma con coraggio, perché dopo quattro anni di prigioni sonodiventato ancor più forte e oggi credo più che mai alle parole di papà. Nemmeno durante la guerraho mai toccato armi! Un milione di baci vi dà per l'ultima volta vostro figlio

LACI

UMBERTO RICCI (Napoleone)

Studente di ragioneria, nato e vissuto a Ravenna. A vent'anni entra nell'organizzazione clandestina di Ravennache fa capo al Partito comunista. Dopo 1’8 settembre 1943 si dà alla macchia. Mentre compie uno dei molticolpi di mano contro gerarchi e sedi fasciste, viene catturato. Fugge, lo catturano nuovamente e per settegiorni lo torturano. « Napoleone » viene impiccato, all'età di 22 anni, con un suo compagno. Accanto a lorovengono fucilati altri dieci patrioti.

Carceri di Ravenna, mattino 23.8.1944

Ai miei genitori ed amici,

quando questa vi sarà giunta (se lo sarà) io sarò già passato fra i molti. Lo so, cara mamma,che avrai passato molto dolore, tu mi amavi moltissimo anche perché ero il tuo demonio, ilfiglio che ti faceva arrabbiare ma che ti dava pure tante soddisfazioni. Vedi mamma, io nonho nulla da rimproverarmi, ed ho seguito la mia strada per l'idea che, detto senzamascheramenti, vai la pena di viverla, di combattere, di morire. Nell'idea muoio!

Ora ciò che più mi sorprende è la mia calma, non avrei mai creduto che di fronte alla miamorte certa riuscissi a ragionare ancora così: deve essere il mio forte ideale che misorregge. È dalla sera del 17 o del 18 che sono nelle loro mani. Se dovessi raccontarespecificatamente tutte le forme di torture usatemi avrei sei mesi a soffrire. L'altro ieri inultima analisi mi hanno iniettato quattro punture che mi hanno reso semiincosciente.Queste punture non hanno fatto altro che diminuirmi la vista di cui ne risento ancora. Unacosa che mi sorprende è la mia forte costituzione fisica. Nonostante la mia malattia incorso ho resistito eroicamente. Ora mi pongono qui perché si rimarginino e si sgonfino

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tutte le mie ferite che ho per il corpo. Indi mi presenteranno al pubblico appeso ad un pezzodi corda.

Ore 14 dello stesso giorno

Ho una febbre da cane. Faccio sforzi immani per ragionare e per scrivere. E venuto piùvolte il cappellano; mi ha detto se mi volessi confessare: ho risposto di no; comunque hoaccettato la conversazione da uomo a uomo. Vorrei pure che nel marmo del mio tombinofossero incluse queste parole: « Qui soltanto il corpo, non l'anima ma l'idea vive». Dopo diciò i miei amici e parenti aggiungeranno ciò che vogliono. Ripenso ancora alla forza delmio corpo e per simpatia penso alle ragazze che lo rifiutarono perché malaticcio. Rivedo te,carissima Eisa, che tanto mi hai amato se pure ingenuamente e puramente, con disinteresseche mai altra donna arrivò a tanto. E tu, tu più di tutti o mamma ora penso. Penso altremendo dolore che ti do. Sopportalo, pensa che tuo figlio era un titano che non ha maipianto, che tutto ha sopportato. Sopporta pure tu con coraggio e se puoi ama la mia stessaidea perché in essa troverai me. Ora penso soltanto ad una cosa ed è che uccidendomi essinon fermeranno il corso della storia; essa marcia precisa ed inesorabile.

Io me ne muoio calmo e tranquillo. Ma essi che si arrogano il diritto saranno tranquilli?

GIANCARLO PUECHER PASSAVALLIStudente in legge, nato e vissuto a Milano. Pochi giorni dopo L’8 settembre 1343, al momento in cui siformano le primissime « bande » partigiane, Giancarlo riunisce una ventina di giovani nella zona di Erba-Pontelambro, in provincia di Como. Con essi compie azioni per il ricupero di materiali appartenuti all'esercitoe necessari per iniziare la guerriglia. Dopo solo due mesi di attività Giancarlo viene catturato da militi fascistiche lo fucilano al cimitero di Erba. Aveva 20 anni!.

Muoio per la mia Patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero cheil mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. Iddio mi ha voluto... Accetto conrassegnazione il suo volere.Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono.Viva l'Italia.Raggiungo con cristiana rassegnazione la mia Mamma che santamente mi educò e miprotesse per i vent'anni della mia vita.

L'amavo troppo la mia Patria; non la tradite, e voi tutti giovani d'Italia seguite la mia via eavrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale.

Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non sanno chel'uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia.

A te Papà l'imperituro grazie per ciò che sempre mi permettesti di fare e mi concedesti.Gino e Gianni siano degni continuatori delle gesta eroiche della nostra famiglia e non si

sgomentino di fronte alla mia perdita. I martiri convalidano la fede in una Idea. Ho semprecreduto in Dio e perciò accetto la Sua volontà. Baci a tutti.

Giancarlo

GIORDANO CAVESTRO (Mirko)

Studente di scuola media superiore, nato e vissuto a Parma. A 15 anni comincia a scrivere di sua iniziativa unbollettino antifascista al quale si raccolgono via via numerosi collaboratori.Questo stesso gruppo diventa, dopo 1’8 settembre 1943, un centro organizzazione degli sbandati cheandranno a formare le prime bande armate. Durante un rastrellamento « Mirko » è catturato dai tedeschi econdannato a morte. Graziato, viene messo con un gruppi di ostaggi. Come tale viene fucilato, nei pressi diParma, con altri quattro patrioti, per rappresaglia all'uccisione di quattro fascisti. Aveva 18 anni.

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Parma,4.5.1944

Cari compagni,ora tocca a noi.Andiamo a raggiungere gli altri tre gloriosi compagni caduti per la salvezza e la gloriad'Italia.Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l'idea vivrà nel futuro, luminosa, grande ebella.Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grossomostro che vuol fare più vittime possibile.Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è cosi bella, che ha un sole cosi caldo,le mamme cosi buone e le ragazze cosi care.La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio.Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà.

Giordano

5.4) Ripresa del film per consolidamento conoscenze (2 ore a scuola o personalmente a casa). Rivedere il film-stimolo collegando le informazioni apprese nel modulo. Ciascuno, percasa, compone un breve elaborato esplicitando le emozioni, le impressioni, le opinioni econfrontando le proprie conoscenze e pregiudizi emersi durante la prima visione del filmcon ciò che si è appreso ora.

5.5) Verifica delle conoscenze e abilità apprese attraverso il moduloIndicatori di valutazioneLa valutazione minima è da attribuire al mancato raggiungimento degli obiettivi,specialmente se associata ad un comportamento disinteressato e non partecipe.La valutazione massima è da attribuire ad un’ottima preparazione e alla presenza dicapacità critiche.La sufficienza sarà attribuita a prove che dimostrino una conoscenza di base corretta nellaforma e nell’esposizione. Ai fini della valutazione si terrà conto della partecipazione alle attività.

Indicatori:- conoscenza dei contenuti;- uso corretto del linguaggio specifico;- ordine espositivo e correttezza formale;- capacità di analisi e sintesi;- rielaborazione personale

Tipologia delle prove di verifica:

- in itinere dialogo diagnostico con gli studenti per far emergere le pre-conoscenze, mis-conoscenze e fraintendimenti circa l’oggetto di indagine proposto;

- Analisi e valutazione degli elaborati prodotti durante il lavoro di gruppo, delleesposizioni personali dei lavori e degli elaborati personali;

- Verifica orale (durata min. 3 ore) al termine del modulo;

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6) Riferimenti bibliografici

AA. VV., Lettere dalla Resistenza europea, a cura di G. PIRELLI,Torino 1969;

J. AMÉRY, Intellettuale ad Auschwitz, Torino, 1987;

E. ARTOM, Diari. Gennaio 1940-febbraio 1944, Milano, 1966;

A. BELOTTI, Le bande antiribelli in Valsaviore e l'incendio di Cevo, in «La resistenzabresciana», n. 5, 1974;

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