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Recenti tendenze legislative in materia di prevenzione della
corruzione
Bernardo Giorgio Mattarella
Sommario:
1. Il problema della corruzione nel diritto amministrativo
2. Le iniziative e gli studi degli ultimi venti anni
3. Le proposte all'esame del Parlamento
4. Alcuni settori rilevanti
1. Il problema della corruzione nel diritto amministrativo
Esiste una nozione amministrativistica di corruzione, diversa da quella
penalistica. È una nozione certamente più ampia di quella penalistica, che
rinvia non solo a condotte penalmente rilevanti, ma anche a condotte che
sono fonte di responsabilità di altro tipo o non espongono ad alcuna
sanzione, ma sono comunque sgradite all’ordinamento giuridico: conflitti di
interessi, nepotismo, clientelismo, partigianeria, occupazione di cariche
pubbliche, assenteismo, sprechi. Si tratta di una nozione giuridicamente
rilevante, come mostrato dalle varie norme che vi fanno riferimento: quella
che nel 2003 istituì l’Alto commissario per la lotta alla corruzione,
soppresso nel 2008; la riforma del pubblico impiego del 2009, che
attribuisce a un’altra autorità (la Commissione indipendente per la
valutazione, l’integrità e la trasparenza – Civit) compiti di lotta alla
corruzione; molti accordi internazionali e le relative leggi di recepimento; il
disegno di legge sulla lotta alla corruzione, di cui il Parlamento discute da
un paio d’anni.
Essendo più ampia la nozione, è più ampia e articolata anche la strategia
amministrativistica di lotta alla corruzione. Mentre la corruzione penalmente
rilevante si combatte principalmente con la repressione, cioè con
l’irrogazione di sanzioni più o meno gravi, le forme di malcostume rilevanti
per il diritto amministrativo si combattono con meccanismi organizzativi e
procedurali, agendo sui controlli amministrativi e sulla trasparenza,
puntando sulla deontologia e sulla formazione del personale.
Una buona descrizione della strategia amministrativistica di prevenzione
della corruzione è offerta dal più ampio e originale, tra i vari studi e rapporti
in materia di corruzione pubblicati negli venti anni: quello del Comitato di
studio sulla prevenzione della Corruzione, nominato nel 1996 dal Presidente
della Camera dei deputati e presieduto da Sabino Cassese. In esso sono
individuate cinque aree di intervento.
La prima area inerisce all’assetto normativo, perché il disordine
normativo consente di scegliere la disciplina da applicare, favorendo la
corruzione: tra i rimedi, l’alleggerimento della regolamentazione, la
liberalizzazione, l’analisi di impatto della regolamentazione, la
delegificazione, la codificazione delle norme in vigore. La seconda riguarda
i rapporti tra politica e amministrazione, che devono essere ispirati a
distinzione delle responsabilità e controllo reciproco: tra i rimedi, disciplina
del finanziamento dell’attività politica, una più precisa definizione dei limiti
all’accesso alle cariche elettive, la disciplina del conflitto di interessi dei
politici, la riforma delle nomine politiche. La terza è relativa al corpo
amministrativo, che deve essere rafforzato per reagire alle illegalità e
resistere alle pressioni indebite: tra i rimedi, codici di comportamento,
disciplina dei conflitti di interessi dei pubblici dipendenti, dichiarazioni
patrimoniali dei dipendenti stessi, definizione dei rapporti tra procedimento
disciplinare e procedimento penale, disciplina delle attività successive al
rapporto di impiego, incompatibilità degli impieghi pubblici e vincoli di
avanzamento in carriera, miglioramento della condizione dei dipendenti
pubblici e recupero del prestigio della funzione pubblica, sottrazione della
selezione e della carriera dei dipendenti pubblici alla commistione con la
politica, rafforzamento dei corpi tecnici dello Stato. La quarta è quella
dell’attività amministrativa e dei controlli, il cui buon funzionamento è
essenziale per la garanzia della legalità e dell’integrità: tra i rimedi,
trasparenza e controllo dell’attività contrattuale, passaggio dai controlli di
processo ai controlli di prodotto, trasparenza delle procedure di
privatizzazione e delle attività amministrative in forma privatistica. L’ultima
area di intervento, infine, è quella dei controlli nell’area privata, su cui
incombe il pericolo che il potere di controllo sia oggetto di commercio
illecito o uso distorto: tra i rimedi, la liberalizzazione delle attività private e
la semplificazione dei procedimenti di controllo, l’eventuale regolazione
dell’attività di lobbying, i controlli interni delle società per azioni.
Come si vede, il rapporto tra corruzione e diritto amministrativo è a sua
volta complesso e multiforme. Da un lato, ci sono istituzioni e uffici
specificamente preposti alla prevenzione della corruzione (come la Civit che,
in futuro, potrebbe assumere la qualifica di autorità nazionale
anticorruzione), testi normativi in materia (come il Codice di
comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, emanato
nel 1994 e aggiornato nel 2000), procedimenti e istituti attraverso i quali si
esplica primariamente la politica di lotta alla corruzione (come i programmi
triennali per la trasparenza e l’integrità, che la riforma del 2009 chiede a
ciascuna amministrazione di elaborare). Dall’altro, molte altre politiche
pubbliche e molti settori di amministrazione devono fare i conti con i rischi
di malcostume e con l’esigenza di prevenzione. La lotta alla corruzione,
dunque, è a volte l’interesse primario, tutelato da uffici e atti
dell’amministrazione, a volte un interesse secondario, di cui varie
amministrazioni devono tenere conto.
Si può notare anche che molte delle misure di prevenzione menzionate
hanno a che fare non con la pubblica amministrazione e con i dipendenti
pubblici, ma con organi e funzionari politici, per i quali spesso si pongono
problemi simili a quelli che si pongono al livello amministrativo: la strategia
amministrativistica di prevenzione della corruzione sconfina spesso nel
campo del diritto costituzionale o in aree di confine, come quella dei
rapporti tra politica e amministrazione.
La consapevolezza dell’importanza della strategia amministrativa di
prevenzione della corruzione va di pari passo con la consapevolezza
dell’insufficienza della repressione penale. Negli ultimi decenni si è spesso
rilevata la funzione di supplenza svolta dalla magistratura nei confronti della
politica e della pubblica amministrazione: nell’incapacità di queste ultime di
prevenire ed emendare il malcostume, è necessario un intervento esterno, da
parte dei pubblici ministeri e delle forze dell’ordine. Il discorso, tuttavia,
può essere rovesciato, soprattutto se si tiene conto della realtà del processo
penale che, anche per via di recenti innovazioni legislative, rende la
minaccia della sanzione penale un’arma spuntata contro la corruzione.
Nonostante l’egregio lavoro svolto dalla magistratura e dalle forze
dell’ordine, l’esito normale dei processi per corruzione è la prescrizione e
l’effettiva applicazione di pene detentive per i reati di corruzione è molto
rara. In questo contesto, è spesso la prevenzione amministrativa a rimediare
all’insuccesso della repressione penale: una buona applicazione delle
procedure di gara può essere molto più efficace di un lungo e complesso
processo penale per corruzione in atti d’ufficio o per turbativa d’asta;
procedure trasparenti di nomina garantiscono l’interesse pubblico meglio di
difficili indagini penali sui comportamenti di un funzionario nominato con
criteri clientelari; la responsabilità erariale è spesso un deterrente più forte di
quella penale.
Il confronto tra prevenzione amministrativa e repressione penale, poi,
consente di individuare un’ulteriore ragione per la quale la prima è
importante. Il diritto penale è adatto agli interventi puntuali, relativi a
singoli fatti, non a combattere macro-fenomeni di criminalità diffusa. Il
processo penale è costruito per accertare singole responsabilità, non per
indagare su grandi fenomeni di illegalità. Le indagini e il processo penale
sono costruiti per l’accertamento di fatti individuali, non di fatti di sistema.
È per questo, tra l’altro, che il pubblico ministero deve partire da una notizia
di reato: non deve cercare il reato, ma il responsabile del reato; non deve
fare inchieste, ma indagini. Il diritto penale è la moneta pesante
dell’ordinamento, da usare con parsimonia. Gli strumenti del diritto
amministrativo devono essere usati in modo più diffuso.
2. Le iniziative e gli studi degli ultimi venti anni
Si può dire che quella di prevenzione della corruzione è una politica a sé
stante, che in Italia si è sviluppata nel corso degli ultimi venti anni. A partire
dagli scandali dei primi anni Novanta, vi sono state molte iniziative
istituzionali di vario genere, che in parte si sono tradotte in provvedimenti
normativi.
In primo luogo, vi sono state diverse commissioni di studio. Nella
seconda metà degli anni Novanta, due commissioni hanno lavorato
parallelamente. A una delle due si è già accennato: nominata dal Presidente
della Camera dei deputati e presieduta da Sabino Cassese, essa individuò
alcuni fattori che favoriscono la corruzione e indicò molti possibili rimedi
contro di essa. In molti casi, essa proponeva di adottare provvedimenti
nuovi, di colmare vuoti legislativi o di perseguire politiche fino ad allora
trascurate; in altri casi, si trattava di completare o perfezionare riforme o
tendenze legislative già avviate. L’altra commissione fu nominata dal
Ministro della funzione pubblica e presieduta da Gustavo Minervini: essa
concentrò la propria attenzione su alcune disfunzioni amministrative
suscettibili di dare luogo a corruzione, indicando “rimedi di buona
amministrazione”, svolse ulteriori riflessioni su aspetti già segnalati dalla
commissione costituita presso la Camera e ne indicò ulteriori (mobilità del
personale pubblico; bilancio dello Stato; gestione delle partecipazioni
pubbliche).
In secondo luogo, nella stessa legislatura fu costituita una commissione
parlamentare ad hoc: la “Commissione speciale per l’esame dei progetti di
legge recanti misure per la prevenzione e la repressione dei fenomeni di
corruzione”, istituita dalla Camera dei deputati con deliberazione del
settembre 1996. A essa fu assegnato l’esame dei progetti di legge volti a
prevenire e reprimere la corruzione. Essa presentò otto proposte di legge
aventi a oggetto: misure per la prevenzione della corruzione; il rapporto tra
procedimento penale e procedimento disciplinare per i dipendenti pubblici;
la disciplina dell’attività di lobbying; il sequestro e la confisca di beni per
reati contro la pubblica amministrazione; il finanziamento dei partiti politici;
modifiche al Codice penale in materia di corruzione; l’attività contrattuale
della pubblica amministrazione; i controlli societari e la gestione delle
società. Una di queste proposte fu approvata dal Parlamento prima della fine
della legislatura, quella relativa ai rapporti tra procedimento penale e
procedimento disciplinare.
L’esame di una di queste proposte di legge offrì lo spunto per l’indagine
conoscitiva compiuta tra il marzo e l’aprile 1998 dalla Commissione affari
costituzionali del Senato: nel corso di essa, furono ascoltati alcuni ministri,
alti magistrati, gli organi di vertice delle forze dell’ordine, rappresentanti
delle associazioni di imprese, studiosi. Ciascuno di essi, oltre a pronunciarsi
sulla proposta di legge in discussione, ha offerto indicazioni su come
combattere la corruzione.
L’attenzione al tema della corruzione riprese un decennio dopo, con la
riforma del pubblico impiego e degli uffici pubblici che porta il nome del
ministro pro tempore, Renato Brunetta. La relativa legge delega e il relativo
decreto legislativo, a cui si è già accennato, fanno più volte riferimento al
principio dell’integrità, prevedono programmi delle varie amministrazioni
per la trasparenza e l’integrità, attribuiscono alla nuova Commissione
indipendente compiti di stimolo e vigilanza in materia.
Gli ultimi passi della politica di prevenzione della corruzione sono
ancora in preparazione. Anche sull’onda di un’ulteriore stagione di scandali,
sono stati presentati il citato disegno di legge governativo e ulteriori
proposte parlamentari. Alla fine del 2011, poi, il Ministro della funzione
pubblica, Filippo Patroni Griffi, ha nominato una nuova Commissione di
studio (della quale chi scrive fa parte), alla quale ha affidato due compiti:
quello di formulare emendamenti puntuali al citato disegno di legge e quello
di svolgere una riflessione più ampia e di elaborare proposte per una più
efficace strategia di lotta alla corruzione, nel medio e lungo termine. Il
primo compito è stato assolto all’inizio del 2012, con emendamenti che
sono stati in parte presentati dal Governo e approvati dalla Camera dei
deputati. Il secondo è stato assolto con l’elaborazione di un rapporto
preliminare e di un rapporto finale, nel quale vi sono riflessioni e proposte
di ordine generale e relative a specifici settori, elaborate anche sulla base di
audizioni di esperti e incontri con esponenti di amministrazioni pubbliche e
organizzazioni internazionali. Del disegno di legge e degli approfondimenti
della Commissione si darà conto nei paragrafi che seguono.
Parallelamente alle vicende legislative e alle attività delle istituzioni
politiche, il fine di prevenzione della corruzione ha dato luogo anche ad
altre iniziative, anche in materia di formazione del personale pubblico, tra le
quali merita di essere menzionata quella della Scuola superiore della
pubblica amministrazione, che nel 2010 ha avviato un progetto
interdisciplinare sull’integrità, con varie attività formative, di ricerca e
seminariali, e ha inserito il tema in tutti i corsi di formazione iniziale per
dirigenti pubblici.
3. Le proposte all'esame del Parlamento
Come si è rilevato in precedenza, la prevenzione della corruzione, al
livello amministrativo, va operata su diversi fronti, perché tanti sono i punti
deboli che consentono al malcostume di insinuarsi. I rimedi sono in gran
parte noti. Solo qualche esempio di ciò che servirebbe: piena trasparenza
delle procedure amministrative di spesa, nonché nel finanziamento dei
partiti politici; centralizzazione delle gare e dei concorsi pubblici;
eliminazione dello spoils system; regole per gli uffici di diretta
collaborazione; liberalizzazioni e limitazione della discrezionalità
amministrativa, soprattutto nei procedimenti di controllo di attività private e
di erogazione di benefici a privati; potenziamento dei corpi tecnici e
ispettivi delle amministrazioni; codici di comportamento per politici e
categorie di dipendenti; definizione di requisiti e controlli per le nomine
politiche; restrizioni successive alla scadenza della carica o dell’impiego
pubblico; tutela dei denuncianti.
La prevenzione della corruzione è, come già riferito, oggetto di un
disegno di legge pendente in Parlamento da qualche anno. È il risultato della
fusione di un progetto governativo e di vari progetti parlamentari. Ciascuno
di questi progetti conteneva diverse iniziative interessanti, altre di dubbia
efficacia. Alcune di esse, come quelle relative agli incarichi esterni dei
dirigenti pubblici e quelle relative ai poteri dell’Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici, non sono state recepite o sono state abbandonate strada
facendo. Molte misure avrebbero potuto essere utilmente aggiunte, ma nel
complesso, e nell’attuale situazione politica, la definitiva approvazione del
disegno di legge sarebbe certamente un passo in avanti. Vi è, tuttavia, un
rilevante difetto di impostazione: il disegno di legge si preoccupa molto
della corruzione amministrativa, quasi per niente di quella politica. Si parla,
per esempio, di trasparenza amministrativa, ma si fa poco in ordine alla
trasparenza della politica e del suo finanziamento; ci sono norme sugli
incarichi dei pubblici dipendenti, ma non sulle incompatibilità e sui conflitti
di interessi dei parlamentari; si riordina la disciplina dei codici di
comportamento dei dipendenti pubblici, ma si continua a non prevedere
niente in ordine alle regole di comportamento dei politici. Sembra che la
classe politica, aggredita e screditata, aggredisca a sua volta: la sua vittima è
la pubblica amministrazione.
Il disegno di legge contiene previsioni in diverse materie, che possono
essere raggruppate come segue.
In primo luogo, esso agisce sul versante organizzativo, risolvendo (o
quasi) il problema dell’autorità nazionale competente in materia di
corruzione. Autorità anticorruzione esistono in molti stati, con collocazione
istituzionale e compiti estremamente eterogenei: a volte si tratta di strutture
governative, a volte indipendenti; a volte hanno funzioni di studio o
proposta, a volte di inchiesta; a volte hanno poteri di indagine e sanzione,
altre volte solo di richiesta o segnalazione. Ci sono convenzioni
internazionali che richiedono l’esistenza di una simile autorità: previsioni
che, in realtà, sembrano poste soprattutto per gli stati che non hanno
pubblici ministeri e magistrature indipendenti ed efficienti.
In Italia se ne cominciò confusamente a parlare negli anni Novanta. Nel
2003 fu istituito l’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della
corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione,
organismo operante dall’inizio del 2005, le cui funzioni non erano definite
dalla legge e la cui indipendenza era limitata (la carica era normalmente
rivestita da un prefetto a fine carriera, nominato dal Governo). Nel 2008
esso fu soppresso, con molte polemiche, e le sue funzioni attribuite a un
ufficio del Dipartimento della funzione pubblica (il Servizio anticorruzione
e trasparenza – Saet). Nel 2009, la costituzione della già menzionata Civit
pose il problema del riparto delle competenze con questo ufficio, che il
disegno di legge mira a risolvere individuando la Civit stessa come autorità
nazionale anticorruzione e attribuendole nuovi compiti e poteri. Rimangono,
peraltro, competenze in capo al Dipartimento della funzione pubblica,
soprattutto ai fini dell’elaborazione delle strategie di prevenzione e di
elaborazione del Piano nazionale anticorruzione, che viene introdotto. Il
disegno sembra attribuire alla prima compiti di reazione (studio, consulenza
e vigilanza), al secondo compiti di iniziativa (coordinamento,
programmazione, elaborazione di regole).
Il disegno di legge introduce anche i piani di prevenzione della
corruzione, che le amministrazioni statali devono elaborare, e la figura del
responsabile della prevenzione della corruzione, che esse devono
individuare tra i propri dirigenti. Si può osservare che questi documenti non
si sostituiscono, ma si aggiungono ai programmi per la trasparenza e
l’integrità e agli altri istituti previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2009,
imponendo quindi ulteriori adempimenti organizzativi e procedurali alle
amministrazioni. Alcune previsioni si riferiscono specificamente agli enti
locali, ai quali viene quindi estesa questa disciplina. Il meccanismo, che essa
prefigura, è simile a quello della responsabilità delle persone giuridiche, di
cui al decreto legislativo n. 231 del 2001: ove vengano commessi
determinati reati, il responsabile della prevenzione della corruzione risponde
sul piano erariale e disciplinare, salvo che non provi di avere posto in essere
gli adempimenti previsti dalla legge e vigilato sul rispetto del piano.
Un secondo tema su cui il disegno di legge interviene è quello della
trasparenza amministrativa, che è sicuramente un ottimo modo per
combattere la corruzione, anche se – negli ultimi tempi – troppo enfatizzato,
frainteso o oggetto di aspettative esagerate. A questo riguardo il nostro
ordinamento, anche se in modo un po’ confuso e poco consapevole, ha
compiuto il passaggio che anche vari altri ordinamenti hanno compiuto
negli ultimi decenni: quello dal diritto d’accesso, come diritto degli
individui ad accedere ai documenti o alle informazioni che li riguardano,
alla pubblicità delle informazioni, che le amministrazioni hanno l’obbligo di
rendere note a tutti i cittadini, senza bisogno che nessuno lo chieda. Le
norme più generali, al riguardo, sono quelle contenute nella legge n. 15 e nel
decreto n. 150 del 2009, che prevedono la piena pubblicità di tutte le
informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività della pubblica
amministrazione. Si tratta di una formulazione talmente ampia da risultare
vaga e di difficile applicazione nel breve termine. Inevitabilmente, questa
previsione è rimasta finora largamente inattuata. Non sorprende, quindi, che
molte altre previsioni legislative, negli ultimi anni, abbiano introdotto più
specifici obblighi di pubblicità in capo alle amministrazioni, prevedendo la
pubblicazione di informazioni che sarebbero già ricomprese nella
menzionata previsione generale. Il disegno di legge aggiunge alcune
ulteriori previsioni puntuali, ma il loro numero è ormai talmente alto che,
per le amministrazioni, è difficile conoscere le norme che esse dovrebbero
applicare: così si spiega il fatto che il disegno di legge contiene, molto
opportunamente, una delega legislativa per il riordino della disciplina
inerente agli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle
informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. È uno di quei casi in
cui la codificazione gioverebbe certamente alla conoscibilità e all’effettiva
attuazione delle norme.
Il disegno di legge interviene, poi, in materia di dirigenza pubblica, con
il dichiarato fine di garantire l’esercizio imparziale delle funzioni
amministrative e di rafforzare la separazione e la reciproca autonomia tra
organi di indirizzo politico e organi amministrativi. Queste esigenze sono
state affermate nella prima metà degli anni Novanta e gravemente
pregiudicate da vari interventi legislativi, nazionali e regionali, nel
quindicennio successivo. Per riaffermarle, servirebbero diversi interventi,
soprattutto sul piano del conferimento degli incarichi dirigenziali.
Occorrerebbe, tra l’altro, eliminare o limitare drasticamente il ricorso a
soggetti esterni, che avrebbe dovuto consentire di introdurre nel settore
pubblico rilevanti professionalità manageriali provenienti da quello privato,
ma è stato utilizzato in modo poco virtuoso. Il disegno di legge, in diversi
articoli, contiene previsioni al riguardo, che introducono limiti alla
possibilità di conferire incarichi a determinati soggetti e forme di
trasparenza sugli incarichi stessi.
Ulteriori previsioni riguardano i codici di comportamento nel settore
pubblico. Come si è già accennato, un Codice di comportamento per i
dipendenti delle pubbliche amministrazioni è presente fin dal 1994 ed è
attualmente previsto dal testo unico del pubblico impiego, emanato con il
legislativo n. 165 del 2001, che stabilisce che la sua violazione possa avere
rilievo sul piano della responsabilità disciplinare, secondo le previsioni dei
contratti collettivi, e contempla anche la possibilità delle singole
amministrazioni di emanare codici specifici, per tutto il proprio personale o
per categorie di esso. Il disegno di legge interviene su due aspetti. Da un
lato, esso aggrava il regime di responsabilità, stabilendo che la sua
violazione è sempre fonte di responsabilità disciplinare e, a determinate
condizioni, anche di responsabilità civile, amministrativa e contabile.
Dall’altro, esso stabilisce come regola, e non più come possibilità, che ogni
amministrazione elabori un proprio codice di comportamento.
Un articolo del disegno di legge, breve ma importante, mira a introdurre
nell’ordinamento una specifica tutela per i c.d. whistleblowers, cioè coloro
che denunciano illeciti commessi nella pubblica amministrazione. In altre
esperienze, i denuncianti ricevono anche un premio. Il disegno di legge si
limita a prevedere il divieto di sanzioni o di comportamenti discriminatori a
loro danno, con specifiche previsioni a tutela della riservatezza in ordine
all’identità del denunciante.
Un ultimo tema, che merita di essere segnalato, è quello
dell’incandidabilità, cioè dell’impossibilità di accedere a determinate
cariche elettive per coloro che siano stati condannati per determinati reati.
L’incandidabilità, come è noto, funziona come l’ineleggibilità, ma dipende
dall’indegnità dell’interessato e non dalla sua possibilità di influenzare gli
elettori. Attualmente l’incandidabilità è prevista solo per gli amministratori
locali, e non per i parlamentari nazionali. Ciò spiega perché nel Parlamento
siano spesso presenti soggetti con precedenti penali, anche relativamente
gravi, i quali magari non potrebbero essere eletti in un consiglio comunale.
Il disegno di legge contiene una delega legislativa per il riordino della
materia, con l’opportuna introduzione di ipotesi di incandidabilità anche per
i parlamentari nazionali ed europei.
Ulteriori previsioni sono relative agli arbitrati nelle controversie in cui è
coinvolta la pubblica amministrazione, ai conflitti di interessi e agli
incarichi esterni dei dipendenti pubblici, agli incarichi che non possono
essere conferiti ai soggetti condannati per determinati reati, alle attività
particolarmente esposte ai rischi di infiltrazione criminale, al danno erariale
conseguente a reati di corruzione, al collocamento fuori ruolo dei magistrati
e degli avvocati dello Stato, alla responsabilità per mancato rispetto dei
termini del procedimento. Un articolo è dedicato all’ambito di applicazione
del disegno di legge e ai limiti entro i quali esso si applica agli enti
territoriali.
Vi sono inoltre norme la cui attinenza al tema della corruzione e la cui
stessa logica non sono ovvie, come gli ennesimi, superflui interventi sulla
legge n. 241 del 1990. Alcuni di questi interventi sono semplicemente
sbagliati, come nel caso della previsione che richiede la motivazione degli
accordi tra amministrazioni e privati: inutile complicazione, considerando
che gli accordi sono atti di autonomia e che è già previsto che l’adesione
dell’amministrazione all’accordo sia preceduta da una sua determinazione,
ovviamente motivata.
Gli ultimi articoli del disegno di legge sono dedicati alla responsabilità
penale, che è estranea all’oggetto di questo scritto.
4. Alcuni settori rilevanti
Nei paragrafi precedenti il tema della prevenzione della corruzione è
stato trattato in termini generali, termini nei quali negli ultimi anni il
fenomeno è stato ampiamente indagato e i possibili rimedi sono stati in gran
parte individuati. Meritano un ulteriore approfondimento, però, le discipline
ed esperienze di specifici settori o materie, che per diverse ragioni sono
particolarmente colpiti dal fenomeno della corruzione o sono strategici ai
fini della sua prevenzione. È per questo che la Commissione di studio
nominata nel 2011 dal Ministro della funzione pubblica, della quale si è
riferito, ha deciso di concentrare la propria attenzione su alcuni settori e
dedicare a essi una parte del proprio rapporto conclusivo. Le materie
individuate sono gli appalti pubblici, i controlli amministrativi, la sanità e il
governo del territorio.
L’importanza della materia degli appalti pubblici, ai fini della
prevenzione della corruzione, è ovvia, se si considera l’incidenza economica
della spesa delle pubbliche amministrazioni per beni, lavori e servizi
(superiore al quindici per cento del prodotto interno lordo). I problemi, che
incidono negativamente sulla qualità della spesa e sul rischio di corruzione,
sono numerosi e l’argomento meriterebbe uno studio a se stante, mentre in
questa sede occorre limitarsi a brevi accenni. In primo luogo, vi è l’estrema
polverizzazione delle stazioni appaltanti, che fa sì che la gestione dei
contratti e della loro esecuzione sia spesso affidata a uffici del tutto privi
della capacità e dell’esperienza necessarie, a fronte di imprese molto ben
attrezzate e assistite, i cui interessi possono facilmente prevalere, anche in
modo illecito, su quello dell’amministrazione. La soluzione è la
centralizzazione dei contratti, sia nella fase della conclusione sia in quella
dell’esecuzione. Inoltre, le amministrazioni più piccole e meno esperte,
come gran parte di quelle locali e le istituzioni scolastiche, dovrebbero
ricorrere alle associazioni e ad amministrazioni in grado di fornire
assistenza, come le prefetture e i provveditorati alle opere pubbliche. Un
altro strumento che gioverebbe alle amministrazioni nella loro attività
contrattuale è quello dei bandi tipo, già previsti ma poco utilizzati: essi
andrebbero elaborati in modo sistematico e puntuale e il loro uso dovrebbe
essere tendenzialmente obbligatorio per le stazioni appaltanti. Un altro tema
importante, sul quale si registrano gravi disfunzioni, è quello della
qualificazione delle imprese, a causa del sostanziale fallimento del sistema
basato sulle società organismi di attestazione: in prospettiva, esso dovrebbe
essere superato; nel breve termine, si può pensare a incidere almeno sulla
divisione del lavoro tra le diverse società, in modo da evitare che il
controllato possa liberamente scegliersi il controllore. Occorrerebbe, poi,
porsi il problema della qualificazione anche per i contratti relativi a forniture
e servizi. Un ulteriore fattore di disfunzioni e di rischi di corruzione è
l’abuso della trattativa privata, in ordine al quale occorrerebbero
meccanismi di trasparenza e maggiori poteri in capo all’Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici. Altrettanto si può dire per un altro istituto
oggetto di frequenti abusi, come la variante. Altra materia delicata, in cui le
norme funzionano in modo insoddisfacente e la loro applicazione è spesso
arbitraria, è quello della valutazione delle offerte anomale, in ordine alle
quali occorrerebbe almeno valutare la possibilità di meccanismi diversi dalle
attuali formule matematiche, come i meccanismi assicurativi. Infine, come
previsto nel disegno di legge sulla corruzione, andrebbe decisamente
limitato il ricorso agli arbitrati, nei quali le amministrazioni risultano troppo
spesso soccombenti.
Non meno evidente è l’importanza, ai fini della prevenzione della
corruzione, del tema dei controlli amministrativi, tra i cui fini vi è
ovviamente quello del rispetto della legalità e del corretto uso delle risorse
pubbliche. Occorre innanzitutto osservare che la riduzione dei controlli
preventivi di legittimità e l’introduzione di controlli sui prodotti, piuttosto
che sui processi, non ha ancora portato i frutti sperati in termini di efficienza,
mentre potrebbe aver comportato conseguenze negative in termini di
corruzione. Soprattutto negli enti locali, i controlli di legittimità sono stati
quasi completamente eliminati, con la conseguenza che l’autonomia di
questi enti può facilmente essere usata per porre in essere comportamenti
illegali. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile è spesso
concepito come attribuzione tipica degli uffici di ragioneria e dei collegi
sindacali o dei revisori, mentre occorrerebbe porsi il problema di un simile
controllo anche da parte degli uffici dell’amministrazione attiva. Sempre in
ordine ai controlli interni, andrebbe recuperato il ruolo dei servizi ispettivi,
che negli ultimi decenni è stato progressivamente ridotto, ma che potrebbe
essere di grande utilità. Per quanto riguarda i controlli esterni, come quelli
della Corte dei conti, si potrebbe trarre qualche utile indicazione da alcune
esperienze straniere, per esempio introducendo i controlli randomizzati. Si
può anche immaginare un adeguamento dell’organizzazione e delle funzioni
della Corte dei conti, per esempio con l’istituzione di una sezione
specializzata e con un miglior coordinamento tra l’attività di controllo e
l’attività giurisdizionale della Corte stessa e della magistratura penale. Per
quanto riguarda gli enti locali, occorrerebbe almeno intervenire sulla figura
del segretario comunale, in modo da assicurargli una maggiore autonomia
nei confronti degli organi politici.
Il settore della sanità è inevitabilmente tra quelli maggiormente esposti
al rischio di corruzione, per ovvie ragioni di ordine finanziario, essendo uno
dei settori più rilevanti in termini di spesa pubblica. Anche in esso si
registrano numerose debolezze, che possono generare corruzione. Anche in
questo caso, data la complessità della materia, il discorso non può che essere
frammentario. In primo luogo, va considerato il sistema di selezione del
direttore generale delle aziende sanitarie, caratterizzato da un’ampia
discrezionalità da parte dell’autorità politica. Occorrerebbe, da un lato,
precisare i requisiti per la nomina e, dall’altro, prevedere che la nomina del
direttore generale sia il risultato di una valutazione comparativa e sia
motivata. Una soluzione, che merita di essere valutata, è quella dell’albo o
elenco, nazionale o regionale. L’importanza di un buon sistema di selezione
del direttore generale è esaltata – e i rilevati difetti dell’attuale sistema di
selezione aggravati – dalla rilevante concentrazione di poteri in capo a esso.
I rischi che ne conseguono potrebbero essere contenuti anche attraverso un
miglior controllo sull’esercizio dei poteri del direttore generale, e, più in
generale, agendo sul suo stato giuridico. Si potrebbe attribuire di regola, o
per determinate categorie di atti di sua competenza, un potere di proposta al
direttore amministrativo e al direttore sanitario. Si potrebbe, inoltre,
rafforzare il ruolo di organi collegiali come il consiglio sanitario e il
collegio di direzione, specificandone la composizione e le competenze. In
ordine allo stato giuridico del direttore generale, occorrerebbe valutare, da
parte del legislatore nazionale e soprattutto da parte di quelli regionali, il
problema della durata del mandato. Occorrerebbe anche perfezionare il
quadro delle incompatibilità delle cariche di vertice delle aziende sanitarie,
in particolare per la fase successiva al rapporto con l’azienda. Il tema delle
regole di comportamento del personale dei sistemi sanitari meriterebbe poi
di essere affrontato, anche con l’elaborazione di specifici codici di
comportamento, tanto più importanti per personale privo di formazione
giuridica, come è in prevalenza quello delle aziende sanitarie. Andrebbero
rafforzati i controlli sulle aziende sanitarie, sia con l’introduzione di forme
più intense di trasparenza, sia attribuendo maggiori poteri al collegio
sindacale e ai revisori dei conti. Per quanto riguarda gli acquisti delle
amministrazioni, andrebbero incoraggiati, assecondando una tendenza
legislativa ormai affermata, i meccanismi di centralizzazione degli acquisti,
ormai introdotti in diverse regioni. Infine, in ambito sanitario la corruzione
deriva spesso dai ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, che
genera ampia discrezionalità nell’effettuazione dei pagamenti, con possibile
alterazione delle relative priorità: occorrerebbe, al riguardo, introdurre
regole chiare e trasparenti, che consentano di contemperare le diverse
esigenze di funzionamento, individuando i pagamenti da effettuare
prioritariamente e i criteri per gli altri.
L’ultimo settore, oggetto di approfondimento, è quello del governo del
territorio, in cui la pressione degli interessi privati sull’esercizio dei poteri
pubblici può facilmente assumere forme illecite. La tensione tra interessi
privati e pubblici è aggravata, da un lato, dalla crisi della finanza pubblica e,
dall’altro, dall’ormai normale e inevitabile ricorso a forme negoziate. Poiché
in questa materia la corruzione deriva spesso dallo sconfinamento degli
organi politici, una prima esigenza è quella del rafforzamento della
distinzione tra politica e amministrazione. Tra i principali aspetti
problematici vi è quello della revocabilità dei piani urbanistici comunali:
andrebbe valutata, al riguardo, l’opportunità di una specifica disciplina, che
per la sua specialità prevarrebbe sulle previsioni della legge n. 241 del 1990,
per limitare la possibilità di revocare i piani o le loro varianti generali, nella
fase intercorrente tra l’adozione e la definitiva approvazione, e di revocare i
piani vigenti per un determinato periodo successivo alla loro entrata in
vigore. Un secondo aspetto problematico è quello degli accordi urbanistici,
in variante del piano urbanistico o attuativi: le relative procedure sono
sottratte alle previsioni generali in materia di partecipazione al
procedimento amministrativo; in questa materia, peraltro, è particolarmente
forte l’esigenza di una partecipazione di tutti i portatori di interessi rilevanti.
Andrebbe valutata, quindi, l’introduzione di una procedura speciale per
l’adozione delle varianti ai piani urbanistici o di approvazione di strumenti
attuativi, incentrata su un dibattito pubblico aperto alla partecipazione dei
cittadini, singoli o associati, retto da un responsabile del procedimento e
destinato a concludersi in tempi certi.
Bibliografia
1. Come accennato nel testo, il tema della prevenzione della corruzione
in Italia è oggetto di alcuni approfonditi rapporti di commissioni di studio e
organizzazioni internazionali, tra i quali si segnalano:
- il Rapporto del Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione,
istituito con decreto n. 211 del Presidente della Camera dei deputati del 30
settembre 1996, pubblicato negli atti parlamentari, doc. CXI, n. 1, 26 ottobre
1996 (nonché come volume: La lotta alla corruzione, Roma-Bari, Laterza,
1998);
- il Rapporto della Commissione di studio di cui al dPCM 18 ottobre
1996 per contrastare i fenomeni di corruzione e migliorare l’azione della
p.A., costituita presso il Dipartimento della funzione pubblica;
- il Rapporto preliminare e il Rapporto finale della Commissione di
studio sulla trasparenza e la prevenzione della corruzione nella pubblica
amministrazione, nominata dal Ministro della funzione pubblica, pubblicati
sul sito internet del Dipartimento della funzione pubblica;
- gli Evaluation Reports on Italy del Groupe d’Etats contre la
Corruption (Greco) del Consiglio d’Europa, elaborati a partire dal 2009;
- le Relazioni al Parlamento annuali del Servizio anticorruzione e
trasparenza del Dipartimento della funzione pubblica;
- gli atti dell’Indagine conoscitiva sugli strumenti istituzionali atti a
prevenire i fenomeni di corruzione, svolta dalla1ª Commissione del della
Repubblica nella XIII Legislatura, pubblicati negli atti parlamentari.
2. Tra i volumi dedicati al tema: Corruzione e sistema istituzionale, a
cura di M. D’Alberti e R. Finocchi, Bologna, il Mulino, 1994; Etica
pubblica e amministrazione. Per una storia della corruzione nell’Italia
contemporanea, a cura di G. Melis, Napoli CUEN, 1999; B.G. Mattarella,
Le regole dell’onestà. Etica, politica, amministrazione, Bologna, Il Mulino,
2007; Al servizio della Nazione. Etica e statuto dei funzionari pubblici, a
cura di R. Cavallo Perin e F. Merloni, Milano, Franco Angeli, 2009; Etica
pubblica e buona amministrazione. Quale ruolo per i controlli?, a cura di L.
Vandelli, Milano, Franco Angeli, 2009; La corruzione amministrativa.
Cause, prevenzione e rimedi”, a cura di F. Merloni e L. Vandelli, Firenze,
Passigli, 2010; Corruzione pubblica. Repressione penale e prevenzione
amministrativa, a cura di F. Palazzo, Firenze, Firenze University Press,
2011.
3. Tra gli altri scritti di taglio giuridico, si segnalano soprattutto quelli di
S. Cassese: «Maladministration» e rimedi, in Il Foro Italiano, 1992, n. 9, V,
pp. 243; Idee per limitare la corruzione politica, in Il Corriere giuridico,
1992, n. 7, p. 701; L’etica pubblica, in Giornale di diritto amministrativo,
2003, n. 10, p. 1097. Si v. anche M. Gnes, Italy, in Anticorruption Strategies
within the Competences of the Supreme Audit Institutions in the European
Union, London, Esperia, 2006, p. 283.
4. Tra i contributi di taglio non giuridico, si segnalano quelli della scuola
di A. Pizzorno, e in particolare: Lo scambio occulto, a cura di D. della Porta,
Bologna, Il Mulino, 1992; D. Della Porta, A. Vannucci, Un paese anormale,
Roma-Bari, Laterza, 1999; A. Vannucci, Il mercato della corruzione,
Milano, Società libera, 1997; D. della Porta – A. Vannucci, Mani impunite.
Vecchia e nuova corruzione in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2007; D. della
Porta - A. Vannucci, Corrupt Exchanges, New York, Aldine de Gruyter,
1999.
5. Ampia documentazione è presente nel sito internet del progetto “Per
una cultura dell’integrità nella pubblica amministrazione”:
www.integrita.sspa.it.