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Recenti tendenze legislative in materia di prevenzione della corruzione Bernardo Giorgio Mattarella Sommario: 1. Il problema della corruzione nel diritto amministrativo 2. Le iniziative e gli studi degli ultimi venti anni 3. Le proposte all'esame del Parlamento 4. Alcuni settori rilevanti 1. Il problema della corruzione nel diritto amministrativo Esiste una nozione amministrativistica di corruzione, diversa da quella penalistica. È una nozione certamente più ampia di quella penalistica, che rinvia non solo a condotte penalmente rilevanti, ma anche a condotte che sono fonte di responsabilità di altro tipo o non espongono ad alcuna sanzione, ma sono comunque sgradite all’ordinamento giuridico: conflitti di interessi, nepotismo, clientelismo, partigianeria, occupazione di cariche pubbliche, assenteismo, sprechi. Si tratta di una nozione giuridicamente rilevante, come mostrato dalle varie norme che vi fanno riferimento: quella che nel 2003 istituì l’Alto commissario per la lotta alla corruzione, soppresso nel 2008; la riforma del pubblico impiego del 2009, che attribuisce a un’altra autorità (la Commissione indipendente per la valutazione, l’integrità e la trasparenza – Civit) compiti di lotta alla corruzione; molti accordi internazionali e le relative leggi di recepimento; il disegno di legge sulla lotta alla corruzione, di cui il Parlamento discute da un paio d’anni. Essendo più ampia la nozione, è più ampia e articolata anche la strategia amministrativistica di lotta alla corruzione. Mentre la corruzione penalmente rilevante si combatte principalmente con la repressione, cioè con l’irrogazione di sanzioni più o meno gravi, le forme di malcostume rilevanti per il diritto amministrativo si combattono con meccanismi organizzativi e procedurali, agendo sui controlli amministrativi e sulla trasparenza, puntando sulla deontologia e sulla formazione del personale. Una buona descrizione della strategia amministrativistica di prevenzione della corruzione è offerta dal più ampio e originale, tra i vari studi e rapporti in materia di corruzione pubblicati negli venti anni: quello del Comitato di studio sulla prevenzione della Corruzione, nominato nel 1996 dal Presidente

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Recenti tendenze legislative in materia di prevenzione della

corruzione

Bernardo Giorgio Mattarella

Sommario:

1. Il problema della corruzione nel diritto amministrativo

2. Le iniziative e gli studi degli ultimi venti anni

3. Le proposte all'esame del Parlamento

4. Alcuni settori rilevanti

1. Il problema della corruzione nel diritto amministrativo

Esiste una nozione amministrativistica di corruzione, diversa da quella

penalistica. È una nozione certamente più ampia di quella penalistica, che

rinvia non solo a condotte penalmente rilevanti, ma anche a condotte che

sono fonte di responsabilità di altro tipo o non espongono ad alcuna

sanzione, ma sono comunque sgradite all’ordinamento giuridico: conflitti di

interessi, nepotismo, clientelismo, partigianeria, occupazione di cariche

pubbliche, assenteismo, sprechi. Si tratta di una nozione giuridicamente

rilevante, come mostrato dalle varie norme che vi fanno riferimento: quella

che nel 2003 istituì l’Alto commissario per la lotta alla corruzione,

soppresso nel 2008; la riforma del pubblico impiego del 2009, che

attribuisce a un’altra autorità (la Commissione indipendente per la

valutazione, l’integrità e la trasparenza – Civit) compiti di lotta alla

corruzione; molti accordi internazionali e le relative leggi di recepimento; il

disegno di legge sulla lotta alla corruzione, di cui il Parlamento discute da

un paio d’anni.

Essendo più ampia la nozione, è più ampia e articolata anche la strategia

amministrativistica di lotta alla corruzione. Mentre la corruzione penalmente

rilevante si combatte principalmente con la repressione, cioè con

l’irrogazione di sanzioni più o meno gravi, le forme di malcostume rilevanti

per il diritto amministrativo si combattono con meccanismi organizzativi e

procedurali, agendo sui controlli amministrativi e sulla trasparenza,

puntando sulla deontologia e sulla formazione del personale.

Una buona descrizione della strategia amministrativistica di prevenzione

della corruzione è offerta dal più ampio e originale, tra i vari studi e rapporti

in materia di corruzione pubblicati negli venti anni: quello del Comitato di

studio sulla prevenzione della Corruzione, nominato nel 1996 dal Presidente

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della Camera dei deputati e presieduto da Sabino Cassese. In esso sono

individuate cinque aree di intervento.

La prima area inerisce all’assetto normativo, perché il disordine

normativo consente di scegliere la disciplina da applicare, favorendo la

corruzione: tra i rimedi, l’alleggerimento della regolamentazione, la

liberalizzazione, l’analisi di impatto della regolamentazione, la

delegificazione, la codificazione delle norme in vigore. La seconda riguarda

i rapporti tra politica e amministrazione, che devono essere ispirati a

distinzione delle responsabilità e controllo reciproco: tra i rimedi, disciplina

del finanziamento dell’attività politica, una più precisa definizione dei limiti

all’accesso alle cariche elettive, la disciplina del conflitto di interessi dei

politici, la riforma delle nomine politiche. La terza è relativa al corpo

amministrativo, che deve essere rafforzato per reagire alle illegalità e

resistere alle pressioni indebite: tra i rimedi, codici di comportamento,

disciplina dei conflitti di interessi dei pubblici dipendenti, dichiarazioni

patrimoniali dei dipendenti stessi, definizione dei rapporti tra procedimento

disciplinare e procedimento penale, disciplina delle attività successive al

rapporto di impiego, incompatibilità degli impieghi pubblici e vincoli di

avanzamento in carriera, miglioramento della condizione dei dipendenti

pubblici e recupero del prestigio della funzione pubblica, sottrazione della

selezione e della carriera dei dipendenti pubblici alla commistione con la

politica, rafforzamento dei corpi tecnici dello Stato. La quarta è quella

dell’attività amministrativa e dei controlli, il cui buon funzionamento è

essenziale per la garanzia della legalità e dell’integrità: tra i rimedi,

trasparenza e controllo dell’attività contrattuale, passaggio dai controlli di

processo ai controlli di prodotto, trasparenza delle procedure di

privatizzazione e delle attività amministrative in forma privatistica. L’ultima

area di intervento, infine, è quella dei controlli nell’area privata, su cui

incombe il pericolo che il potere di controllo sia oggetto di commercio

illecito o uso distorto: tra i rimedi, la liberalizzazione delle attività private e

la semplificazione dei procedimenti di controllo, l’eventuale regolazione

dell’attività di lobbying, i controlli interni delle società per azioni.

Come si vede, il rapporto tra corruzione e diritto amministrativo è a sua

volta complesso e multiforme. Da un lato, ci sono istituzioni e uffici

specificamente preposti alla prevenzione della corruzione (come la Civit che,

in futuro, potrebbe assumere la qualifica di autorità nazionale

anticorruzione), testi normativi in materia (come il Codice di

comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, emanato

nel 1994 e aggiornato nel 2000), procedimenti e istituti attraverso i quali si

esplica primariamente la politica di lotta alla corruzione (come i programmi

triennali per la trasparenza e l’integrità, che la riforma del 2009 chiede a

ciascuna amministrazione di elaborare). Dall’altro, molte altre politiche

pubbliche e molti settori di amministrazione devono fare i conti con i rischi

di malcostume e con l’esigenza di prevenzione. La lotta alla corruzione,

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dunque, è a volte l’interesse primario, tutelato da uffici e atti

dell’amministrazione, a volte un interesse secondario, di cui varie

amministrazioni devono tenere conto.

Si può notare anche che molte delle misure di prevenzione menzionate

hanno a che fare non con la pubblica amministrazione e con i dipendenti

pubblici, ma con organi e funzionari politici, per i quali spesso si pongono

problemi simili a quelli che si pongono al livello amministrativo: la strategia

amministrativistica di prevenzione della corruzione sconfina spesso nel

campo del diritto costituzionale o in aree di confine, come quella dei

rapporti tra politica e amministrazione.

La consapevolezza dell’importanza della strategia amministrativa di

prevenzione della corruzione va di pari passo con la consapevolezza

dell’insufficienza della repressione penale. Negli ultimi decenni si è spesso

rilevata la funzione di supplenza svolta dalla magistratura nei confronti della

politica e della pubblica amministrazione: nell’incapacità di queste ultime di

prevenire ed emendare il malcostume, è necessario un intervento esterno, da

parte dei pubblici ministeri e delle forze dell’ordine. Il discorso, tuttavia,

può essere rovesciato, soprattutto se si tiene conto della realtà del processo

penale che, anche per via di recenti innovazioni legislative, rende la

minaccia della sanzione penale un’arma spuntata contro la corruzione.

Nonostante l’egregio lavoro svolto dalla magistratura e dalle forze

dell’ordine, l’esito normale dei processi per corruzione è la prescrizione e

l’effettiva applicazione di pene detentive per i reati di corruzione è molto

rara. In questo contesto, è spesso la prevenzione amministrativa a rimediare

all’insuccesso della repressione penale: una buona applicazione delle

procedure di gara può essere molto più efficace di un lungo e complesso

processo penale per corruzione in atti d’ufficio o per turbativa d’asta;

procedure trasparenti di nomina garantiscono l’interesse pubblico meglio di

difficili indagini penali sui comportamenti di un funzionario nominato con

criteri clientelari; la responsabilità erariale è spesso un deterrente più forte di

quella penale.

Il confronto tra prevenzione amministrativa e repressione penale, poi,

consente di individuare un’ulteriore ragione per la quale la prima è

importante. Il diritto penale è adatto agli interventi puntuali, relativi a

singoli fatti, non a combattere macro-fenomeni di criminalità diffusa. Il

processo penale è costruito per accertare singole responsabilità, non per

indagare su grandi fenomeni di illegalità. Le indagini e il processo penale

sono costruiti per l’accertamento di fatti individuali, non di fatti di sistema.

È per questo, tra l’altro, che il pubblico ministero deve partire da una notizia

di reato: non deve cercare il reato, ma il responsabile del reato; non deve

fare inchieste, ma indagini. Il diritto penale è la moneta pesante

dell’ordinamento, da usare con parsimonia. Gli strumenti del diritto

amministrativo devono essere usati in modo più diffuso.

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2. Le iniziative e gli studi degli ultimi venti anni

Si può dire che quella di prevenzione della corruzione è una politica a sé

stante, che in Italia si è sviluppata nel corso degli ultimi venti anni. A partire

dagli scandali dei primi anni Novanta, vi sono state molte iniziative

istituzionali di vario genere, che in parte si sono tradotte in provvedimenti

normativi.

In primo luogo, vi sono state diverse commissioni di studio. Nella

seconda metà degli anni Novanta, due commissioni hanno lavorato

parallelamente. A una delle due si è già accennato: nominata dal Presidente

della Camera dei deputati e presieduta da Sabino Cassese, essa individuò

alcuni fattori che favoriscono la corruzione e indicò molti possibili rimedi

contro di essa. In molti casi, essa proponeva di adottare provvedimenti

nuovi, di colmare vuoti legislativi o di perseguire politiche fino ad allora

trascurate; in altri casi, si trattava di completare o perfezionare riforme o

tendenze legislative già avviate. L’altra commissione fu nominata dal

Ministro della funzione pubblica e presieduta da Gustavo Minervini: essa

concentrò la propria attenzione su alcune disfunzioni amministrative

suscettibili di dare luogo a corruzione, indicando “rimedi di buona

amministrazione”, svolse ulteriori riflessioni su aspetti già segnalati dalla

commissione costituita presso la Camera e ne indicò ulteriori (mobilità del

personale pubblico; bilancio dello Stato; gestione delle partecipazioni

pubbliche).

In secondo luogo, nella stessa legislatura fu costituita una commissione

parlamentare ad hoc: la “Commissione speciale per l’esame dei progetti di

legge recanti misure per la prevenzione e la repressione dei fenomeni di

corruzione”, istituita dalla Camera dei deputati con deliberazione del

settembre 1996. A essa fu assegnato l’esame dei progetti di legge volti a

prevenire e reprimere la corruzione. Essa presentò otto proposte di legge

aventi a oggetto: misure per la prevenzione della corruzione; il rapporto tra

procedimento penale e procedimento disciplinare per i dipendenti pubblici;

la disciplina dell’attività di lobbying; il sequestro e la confisca di beni per

reati contro la pubblica amministrazione; il finanziamento dei partiti politici;

modifiche al Codice penale in materia di corruzione; l’attività contrattuale

della pubblica amministrazione; i controlli societari e la gestione delle

società. Una di queste proposte fu approvata dal Parlamento prima della fine

della legislatura, quella relativa ai rapporti tra procedimento penale e

procedimento disciplinare.

L’esame di una di queste proposte di legge offrì lo spunto per l’indagine

conoscitiva compiuta tra il marzo e l’aprile 1998 dalla Commissione affari

costituzionali del Senato: nel corso di essa, furono ascoltati alcuni ministri,

alti magistrati, gli organi di vertice delle forze dell’ordine, rappresentanti

delle associazioni di imprese, studiosi. Ciascuno di essi, oltre a pronunciarsi

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sulla proposta di legge in discussione, ha offerto indicazioni su come

combattere la corruzione.

L’attenzione al tema della corruzione riprese un decennio dopo, con la

riforma del pubblico impiego e degli uffici pubblici che porta il nome del

ministro pro tempore, Renato Brunetta. La relativa legge delega e il relativo

decreto legislativo, a cui si è già accennato, fanno più volte riferimento al

principio dell’integrità, prevedono programmi delle varie amministrazioni

per la trasparenza e l’integrità, attribuiscono alla nuova Commissione

indipendente compiti di stimolo e vigilanza in materia.

Gli ultimi passi della politica di prevenzione della corruzione sono

ancora in preparazione. Anche sull’onda di un’ulteriore stagione di scandali,

sono stati presentati il citato disegno di legge governativo e ulteriori

proposte parlamentari. Alla fine del 2011, poi, il Ministro della funzione

pubblica, Filippo Patroni Griffi, ha nominato una nuova Commissione di

studio (della quale chi scrive fa parte), alla quale ha affidato due compiti:

quello di formulare emendamenti puntuali al citato disegno di legge e quello

di svolgere una riflessione più ampia e di elaborare proposte per una più

efficace strategia di lotta alla corruzione, nel medio e lungo termine. Il

primo compito è stato assolto all’inizio del 2012, con emendamenti che

sono stati in parte presentati dal Governo e approvati dalla Camera dei

deputati. Il secondo è stato assolto con l’elaborazione di un rapporto

preliminare e di un rapporto finale, nel quale vi sono riflessioni e proposte

di ordine generale e relative a specifici settori, elaborate anche sulla base di

audizioni di esperti e incontri con esponenti di amministrazioni pubbliche e

organizzazioni internazionali. Del disegno di legge e degli approfondimenti

della Commissione si darà conto nei paragrafi che seguono.

Parallelamente alle vicende legislative e alle attività delle istituzioni

politiche, il fine di prevenzione della corruzione ha dato luogo anche ad

altre iniziative, anche in materia di formazione del personale pubblico, tra le

quali merita di essere menzionata quella della Scuola superiore della

pubblica amministrazione, che nel 2010 ha avviato un progetto

interdisciplinare sull’integrità, con varie attività formative, di ricerca e

seminariali, e ha inserito il tema in tutti i corsi di formazione iniziale per

dirigenti pubblici.

3. Le proposte all'esame del Parlamento

Come si è rilevato in precedenza, la prevenzione della corruzione, al

livello amministrativo, va operata su diversi fronti, perché tanti sono i punti

deboli che consentono al malcostume di insinuarsi. I rimedi sono in gran

parte noti. Solo qualche esempio di ciò che servirebbe: piena trasparenza

delle procedure amministrative di spesa, nonché nel finanziamento dei

partiti politici; centralizzazione delle gare e dei concorsi pubblici;

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eliminazione dello spoils system; regole per gli uffici di diretta

collaborazione; liberalizzazioni e limitazione della discrezionalità

amministrativa, soprattutto nei procedimenti di controllo di attività private e

di erogazione di benefici a privati; potenziamento dei corpi tecnici e

ispettivi delle amministrazioni; codici di comportamento per politici e

categorie di dipendenti; definizione di requisiti e controlli per le nomine

politiche; restrizioni successive alla scadenza della carica o dell’impiego

pubblico; tutela dei denuncianti.

La prevenzione della corruzione è, come già riferito, oggetto di un

disegno di legge pendente in Parlamento da qualche anno. È il risultato della

fusione di un progetto governativo e di vari progetti parlamentari. Ciascuno

di questi progetti conteneva diverse iniziative interessanti, altre di dubbia

efficacia. Alcune di esse, come quelle relative agli incarichi esterni dei

dirigenti pubblici e quelle relative ai poteri dell’Autorità di vigilanza sui

contratti pubblici, non sono state recepite o sono state abbandonate strada

facendo. Molte misure avrebbero potuto essere utilmente aggiunte, ma nel

complesso, e nell’attuale situazione politica, la definitiva approvazione del

disegno di legge sarebbe certamente un passo in avanti. Vi è, tuttavia, un

rilevante difetto di impostazione: il disegno di legge si preoccupa molto

della corruzione amministrativa, quasi per niente di quella politica. Si parla,

per esempio, di trasparenza amministrativa, ma si fa poco in ordine alla

trasparenza della politica e del suo finanziamento; ci sono norme sugli

incarichi dei pubblici dipendenti, ma non sulle incompatibilità e sui conflitti

di interessi dei parlamentari; si riordina la disciplina dei codici di

comportamento dei dipendenti pubblici, ma si continua a non prevedere

niente in ordine alle regole di comportamento dei politici. Sembra che la

classe politica, aggredita e screditata, aggredisca a sua volta: la sua vittima è

la pubblica amministrazione.

Il disegno di legge contiene previsioni in diverse materie, che possono

essere raggruppate come segue.

In primo luogo, esso agisce sul versante organizzativo, risolvendo (o

quasi) il problema dell’autorità nazionale competente in materia di

corruzione. Autorità anticorruzione esistono in molti stati, con collocazione

istituzionale e compiti estremamente eterogenei: a volte si tratta di strutture

governative, a volte indipendenti; a volte hanno funzioni di studio o

proposta, a volte di inchiesta; a volte hanno poteri di indagine e sanzione,

altre volte solo di richiesta o segnalazione. Ci sono convenzioni

internazionali che richiedono l’esistenza di una simile autorità: previsioni

che, in realtà, sembrano poste soprattutto per gli stati che non hanno

pubblici ministeri e magistrature indipendenti ed efficienti.

In Italia se ne cominciò confusamente a parlare negli anni Novanta. Nel

2003 fu istituito l’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della

corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione,

organismo operante dall’inizio del 2005, le cui funzioni non erano definite

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dalla legge e la cui indipendenza era limitata (la carica era normalmente

rivestita da un prefetto a fine carriera, nominato dal Governo). Nel 2008

esso fu soppresso, con molte polemiche, e le sue funzioni attribuite a un

ufficio del Dipartimento della funzione pubblica (il Servizio anticorruzione

e trasparenza – Saet). Nel 2009, la costituzione della già menzionata Civit

pose il problema del riparto delle competenze con questo ufficio, che il

disegno di legge mira a risolvere individuando la Civit stessa come autorità

nazionale anticorruzione e attribuendole nuovi compiti e poteri. Rimangono,

peraltro, competenze in capo al Dipartimento della funzione pubblica,

soprattutto ai fini dell’elaborazione delle strategie di prevenzione e di

elaborazione del Piano nazionale anticorruzione, che viene introdotto. Il

disegno sembra attribuire alla prima compiti di reazione (studio, consulenza

e vigilanza), al secondo compiti di iniziativa (coordinamento,

programmazione, elaborazione di regole).

Il disegno di legge introduce anche i piani di prevenzione della

corruzione, che le amministrazioni statali devono elaborare, e la figura del

responsabile della prevenzione della corruzione, che esse devono

individuare tra i propri dirigenti. Si può osservare che questi documenti non

si sostituiscono, ma si aggiungono ai programmi per la trasparenza e

l’integrità e agli altri istituti previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2009,

imponendo quindi ulteriori adempimenti organizzativi e procedurali alle

amministrazioni. Alcune previsioni si riferiscono specificamente agli enti

locali, ai quali viene quindi estesa questa disciplina. Il meccanismo, che essa

prefigura, è simile a quello della responsabilità delle persone giuridiche, di

cui al decreto legislativo n. 231 del 2001: ove vengano commessi

determinati reati, il responsabile della prevenzione della corruzione risponde

sul piano erariale e disciplinare, salvo che non provi di avere posto in essere

gli adempimenti previsti dalla legge e vigilato sul rispetto del piano.

Un secondo tema su cui il disegno di legge interviene è quello della

trasparenza amministrativa, che è sicuramente un ottimo modo per

combattere la corruzione, anche se – negli ultimi tempi – troppo enfatizzato,

frainteso o oggetto di aspettative esagerate. A questo riguardo il nostro

ordinamento, anche se in modo un po’ confuso e poco consapevole, ha

compiuto il passaggio che anche vari altri ordinamenti hanno compiuto

negli ultimi decenni: quello dal diritto d’accesso, come diritto degli

individui ad accedere ai documenti o alle informazioni che li riguardano,

alla pubblicità delle informazioni, che le amministrazioni hanno l’obbligo di

rendere note a tutti i cittadini, senza bisogno che nessuno lo chieda. Le

norme più generali, al riguardo, sono quelle contenute nella legge n. 15 e nel

decreto n. 150 del 2009, che prevedono la piena pubblicità di tutte le

informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività della pubblica

amministrazione. Si tratta di una formulazione talmente ampia da risultare

vaga e di difficile applicazione nel breve termine. Inevitabilmente, questa

previsione è rimasta finora largamente inattuata. Non sorprende, quindi, che

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molte altre previsioni legislative, negli ultimi anni, abbiano introdotto più

specifici obblighi di pubblicità in capo alle amministrazioni, prevedendo la

pubblicazione di informazioni che sarebbero già ricomprese nella

menzionata previsione generale. Il disegno di legge aggiunge alcune

ulteriori previsioni puntuali, ma il loro numero è ormai talmente alto che,

per le amministrazioni, è difficile conoscere le norme che esse dovrebbero

applicare: così si spiega il fatto che il disegno di legge contiene, molto

opportunamente, una delega legislativa per il riordino della disciplina

inerente agli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle

informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. È uno di quei casi in

cui la codificazione gioverebbe certamente alla conoscibilità e all’effettiva

attuazione delle norme.

Il disegno di legge interviene, poi, in materia di dirigenza pubblica, con

il dichiarato fine di garantire l’esercizio imparziale delle funzioni

amministrative e di rafforzare la separazione e la reciproca autonomia tra

organi di indirizzo politico e organi amministrativi. Queste esigenze sono

state affermate nella prima metà degli anni Novanta e gravemente

pregiudicate da vari interventi legislativi, nazionali e regionali, nel

quindicennio successivo. Per riaffermarle, servirebbero diversi interventi,

soprattutto sul piano del conferimento degli incarichi dirigenziali.

Occorrerebbe, tra l’altro, eliminare o limitare drasticamente il ricorso a

soggetti esterni, che avrebbe dovuto consentire di introdurre nel settore

pubblico rilevanti professionalità manageriali provenienti da quello privato,

ma è stato utilizzato in modo poco virtuoso. Il disegno di legge, in diversi

articoli, contiene previsioni al riguardo, che introducono limiti alla

possibilità di conferire incarichi a determinati soggetti e forme di

trasparenza sugli incarichi stessi.

Ulteriori previsioni riguardano i codici di comportamento nel settore

pubblico. Come si è già accennato, un Codice di comportamento per i

dipendenti delle pubbliche amministrazioni è presente fin dal 1994 ed è

attualmente previsto dal testo unico del pubblico impiego, emanato con il

legislativo n. 165 del 2001, che stabilisce che la sua violazione possa avere

rilievo sul piano della responsabilità disciplinare, secondo le previsioni dei

contratti collettivi, e contempla anche la possibilità delle singole

amministrazioni di emanare codici specifici, per tutto il proprio personale o

per categorie di esso. Il disegno di legge interviene su due aspetti. Da un

lato, esso aggrava il regime di responsabilità, stabilendo che la sua

violazione è sempre fonte di responsabilità disciplinare e, a determinate

condizioni, anche di responsabilità civile, amministrativa e contabile.

Dall’altro, esso stabilisce come regola, e non più come possibilità, che ogni

amministrazione elabori un proprio codice di comportamento.

Un articolo del disegno di legge, breve ma importante, mira a introdurre

nell’ordinamento una specifica tutela per i c.d. whistleblowers, cioè coloro

che denunciano illeciti commessi nella pubblica amministrazione. In altre

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esperienze, i denuncianti ricevono anche un premio. Il disegno di legge si

limita a prevedere il divieto di sanzioni o di comportamenti discriminatori a

loro danno, con specifiche previsioni a tutela della riservatezza in ordine

all’identità del denunciante.

Un ultimo tema, che merita di essere segnalato, è quello

dell’incandidabilità, cioè dell’impossibilità di accedere a determinate

cariche elettive per coloro che siano stati condannati per determinati reati.

L’incandidabilità, come è noto, funziona come l’ineleggibilità, ma dipende

dall’indegnità dell’interessato e non dalla sua possibilità di influenzare gli

elettori. Attualmente l’incandidabilità è prevista solo per gli amministratori

locali, e non per i parlamentari nazionali. Ciò spiega perché nel Parlamento

siano spesso presenti soggetti con precedenti penali, anche relativamente

gravi, i quali magari non potrebbero essere eletti in un consiglio comunale.

Il disegno di legge contiene una delega legislativa per il riordino della

materia, con l’opportuna introduzione di ipotesi di incandidabilità anche per

i parlamentari nazionali ed europei.

Ulteriori previsioni sono relative agli arbitrati nelle controversie in cui è

coinvolta la pubblica amministrazione, ai conflitti di interessi e agli

incarichi esterni dei dipendenti pubblici, agli incarichi che non possono

essere conferiti ai soggetti condannati per determinati reati, alle attività

particolarmente esposte ai rischi di infiltrazione criminale, al danno erariale

conseguente a reati di corruzione, al collocamento fuori ruolo dei magistrati

e degli avvocati dello Stato, alla responsabilità per mancato rispetto dei

termini del procedimento. Un articolo è dedicato all’ambito di applicazione

del disegno di legge e ai limiti entro i quali esso si applica agli enti

territoriali.

Vi sono inoltre norme la cui attinenza al tema della corruzione e la cui

stessa logica non sono ovvie, come gli ennesimi, superflui interventi sulla

legge n. 241 del 1990. Alcuni di questi interventi sono semplicemente

sbagliati, come nel caso della previsione che richiede la motivazione degli

accordi tra amministrazioni e privati: inutile complicazione, considerando

che gli accordi sono atti di autonomia e che è già previsto che l’adesione

dell’amministrazione all’accordo sia preceduta da una sua determinazione,

ovviamente motivata.

Gli ultimi articoli del disegno di legge sono dedicati alla responsabilità

penale, che è estranea all’oggetto di questo scritto.

4. Alcuni settori rilevanti

Nei paragrafi precedenti il tema della prevenzione della corruzione è

stato trattato in termini generali, termini nei quali negli ultimi anni il

fenomeno è stato ampiamente indagato e i possibili rimedi sono stati in gran

parte individuati. Meritano un ulteriore approfondimento, però, le discipline

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ed esperienze di specifici settori o materie, che per diverse ragioni sono

particolarmente colpiti dal fenomeno della corruzione o sono strategici ai

fini della sua prevenzione. È per questo che la Commissione di studio

nominata nel 2011 dal Ministro della funzione pubblica, della quale si è

riferito, ha deciso di concentrare la propria attenzione su alcuni settori e

dedicare a essi una parte del proprio rapporto conclusivo. Le materie

individuate sono gli appalti pubblici, i controlli amministrativi, la sanità e il

governo del territorio.

L’importanza della materia degli appalti pubblici, ai fini della

prevenzione della corruzione, è ovvia, se si considera l’incidenza economica

della spesa delle pubbliche amministrazioni per beni, lavori e servizi

(superiore al quindici per cento del prodotto interno lordo). I problemi, che

incidono negativamente sulla qualità della spesa e sul rischio di corruzione,

sono numerosi e l’argomento meriterebbe uno studio a se stante, mentre in

questa sede occorre limitarsi a brevi accenni. In primo luogo, vi è l’estrema

polverizzazione delle stazioni appaltanti, che fa sì che la gestione dei

contratti e della loro esecuzione sia spesso affidata a uffici del tutto privi

della capacità e dell’esperienza necessarie, a fronte di imprese molto ben

attrezzate e assistite, i cui interessi possono facilmente prevalere, anche in

modo illecito, su quello dell’amministrazione. La soluzione è la

centralizzazione dei contratti, sia nella fase della conclusione sia in quella

dell’esecuzione. Inoltre, le amministrazioni più piccole e meno esperte,

come gran parte di quelle locali e le istituzioni scolastiche, dovrebbero

ricorrere alle associazioni e ad amministrazioni in grado di fornire

assistenza, come le prefetture e i provveditorati alle opere pubbliche. Un

altro strumento che gioverebbe alle amministrazioni nella loro attività

contrattuale è quello dei bandi tipo, già previsti ma poco utilizzati: essi

andrebbero elaborati in modo sistematico e puntuale e il loro uso dovrebbe

essere tendenzialmente obbligatorio per le stazioni appaltanti. Un altro tema

importante, sul quale si registrano gravi disfunzioni, è quello della

qualificazione delle imprese, a causa del sostanziale fallimento del sistema

basato sulle società organismi di attestazione: in prospettiva, esso dovrebbe

essere superato; nel breve termine, si può pensare a incidere almeno sulla

divisione del lavoro tra le diverse società, in modo da evitare che il

controllato possa liberamente scegliersi il controllore. Occorrerebbe, poi,

porsi il problema della qualificazione anche per i contratti relativi a forniture

e servizi. Un ulteriore fattore di disfunzioni e di rischi di corruzione è

l’abuso della trattativa privata, in ordine al quale occorrerebbero

meccanismi di trasparenza e maggiori poteri in capo all’Autorità di

vigilanza sui contratti pubblici. Altrettanto si può dire per un altro istituto

oggetto di frequenti abusi, come la variante. Altra materia delicata, in cui le

norme funzionano in modo insoddisfacente e la loro applicazione è spesso

arbitraria, è quello della valutazione delle offerte anomale, in ordine alle

quali occorrerebbe almeno valutare la possibilità di meccanismi diversi dalle

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attuali formule matematiche, come i meccanismi assicurativi. Infine, come

previsto nel disegno di legge sulla corruzione, andrebbe decisamente

limitato il ricorso agli arbitrati, nei quali le amministrazioni risultano troppo

spesso soccombenti.

Non meno evidente è l’importanza, ai fini della prevenzione della

corruzione, del tema dei controlli amministrativi, tra i cui fini vi è

ovviamente quello del rispetto della legalità e del corretto uso delle risorse

pubbliche. Occorre innanzitutto osservare che la riduzione dei controlli

preventivi di legittimità e l’introduzione di controlli sui prodotti, piuttosto

che sui processi, non ha ancora portato i frutti sperati in termini di efficienza,

mentre potrebbe aver comportato conseguenze negative in termini di

corruzione. Soprattutto negli enti locali, i controlli di legittimità sono stati

quasi completamente eliminati, con la conseguenza che l’autonomia di

questi enti può facilmente essere usata per porre in essere comportamenti

illegali. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile è spesso

concepito come attribuzione tipica degli uffici di ragioneria e dei collegi

sindacali o dei revisori, mentre occorrerebbe porsi il problema di un simile

controllo anche da parte degli uffici dell’amministrazione attiva. Sempre in

ordine ai controlli interni, andrebbe recuperato il ruolo dei servizi ispettivi,

che negli ultimi decenni è stato progressivamente ridotto, ma che potrebbe

essere di grande utilità. Per quanto riguarda i controlli esterni, come quelli

della Corte dei conti, si potrebbe trarre qualche utile indicazione da alcune

esperienze straniere, per esempio introducendo i controlli randomizzati. Si

può anche immaginare un adeguamento dell’organizzazione e delle funzioni

della Corte dei conti, per esempio con l’istituzione di una sezione

specializzata e con un miglior coordinamento tra l’attività di controllo e

l’attività giurisdizionale della Corte stessa e della magistratura penale. Per

quanto riguarda gli enti locali, occorrerebbe almeno intervenire sulla figura

del segretario comunale, in modo da assicurargli una maggiore autonomia

nei confronti degli organi politici.

Il settore della sanità è inevitabilmente tra quelli maggiormente esposti

al rischio di corruzione, per ovvie ragioni di ordine finanziario, essendo uno

dei settori più rilevanti in termini di spesa pubblica. Anche in esso si

registrano numerose debolezze, che possono generare corruzione. Anche in

questo caso, data la complessità della materia, il discorso non può che essere

frammentario. In primo luogo, va considerato il sistema di selezione del

direttore generale delle aziende sanitarie, caratterizzato da un’ampia

discrezionalità da parte dell’autorità politica. Occorrerebbe, da un lato,

precisare i requisiti per la nomina e, dall’altro, prevedere che la nomina del

direttore generale sia il risultato di una valutazione comparativa e sia

motivata. Una soluzione, che merita di essere valutata, è quella dell’albo o

elenco, nazionale o regionale. L’importanza di un buon sistema di selezione

del direttore generale è esaltata – e i rilevati difetti dell’attuale sistema di

selezione aggravati – dalla rilevante concentrazione di poteri in capo a esso.

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I rischi che ne conseguono potrebbero essere contenuti anche attraverso un

miglior controllo sull’esercizio dei poteri del direttore generale, e, più in

generale, agendo sul suo stato giuridico. Si potrebbe attribuire di regola, o

per determinate categorie di atti di sua competenza, un potere di proposta al

direttore amministrativo e al direttore sanitario. Si potrebbe, inoltre,

rafforzare il ruolo di organi collegiali come il consiglio sanitario e il

collegio di direzione, specificandone la composizione e le competenze. In

ordine allo stato giuridico del direttore generale, occorrerebbe valutare, da

parte del legislatore nazionale e soprattutto da parte di quelli regionali, il

problema della durata del mandato. Occorrerebbe anche perfezionare il

quadro delle incompatibilità delle cariche di vertice delle aziende sanitarie,

in particolare per la fase successiva al rapporto con l’azienda. Il tema delle

regole di comportamento del personale dei sistemi sanitari meriterebbe poi

di essere affrontato, anche con l’elaborazione di specifici codici di

comportamento, tanto più importanti per personale privo di formazione

giuridica, come è in prevalenza quello delle aziende sanitarie. Andrebbero

rafforzati i controlli sulle aziende sanitarie, sia con l’introduzione di forme

più intense di trasparenza, sia attribuendo maggiori poteri al collegio

sindacale e ai revisori dei conti. Per quanto riguarda gli acquisti delle

amministrazioni, andrebbero incoraggiati, assecondando una tendenza

legislativa ormai affermata, i meccanismi di centralizzazione degli acquisti,

ormai introdotti in diverse regioni. Infine, in ambito sanitario la corruzione

deriva spesso dai ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, che

genera ampia discrezionalità nell’effettuazione dei pagamenti, con possibile

alterazione delle relative priorità: occorrerebbe, al riguardo, introdurre

regole chiare e trasparenti, che consentano di contemperare le diverse

esigenze di funzionamento, individuando i pagamenti da effettuare

prioritariamente e i criteri per gli altri.

L’ultimo settore, oggetto di approfondimento, è quello del governo del

territorio, in cui la pressione degli interessi privati sull’esercizio dei poteri

pubblici può facilmente assumere forme illecite. La tensione tra interessi

privati e pubblici è aggravata, da un lato, dalla crisi della finanza pubblica e,

dall’altro, dall’ormai normale e inevitabile ricorso a forme negoziate. Poiché

in questa materia la corruzione deriva spesso dallo sconfinamento degli

organi politici, una prima esigenza è quella del rafforzamento della

distinzione tra politica e amministrazione. Tra i principali aspetti

problematici vi è quello della revocabilità dei piani urbanistici comunali:

andrebbe valutata, al riguardo, l’opportunità di una specifica disciplina, che

per la sua specialità prevarrebbe sulle previsioni della legge n. 241 del 1990,

per limitare la possibilità di revocare i piani o le loro varianti generali, nella

fase intercorrente tra l’adozione e la definitiva approvazione, e di revocare i

piani vigenti per un determinato periodo successivo alla loro entrata in

vigore. Un secondo aspetto problematico è quello degli accordi urbanistici,

in variante del piano urbanistico o attuativi: le relative procedure sono

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sottratte alle previsioni generali in materia di partecipazione al

procedimento amministrativo; in questa materia, peraltro, è particolarmente

forte l’esigenza di una partecipazione di tutti i portatori di interessi rilevanti.

Andrebbe valutata, quindi, l’introduzione di una procedura speciale per

l’adozione delle varianti ai piani urbanistici o di approvazione di strumenti

attuativi, incentrata su un dibattito pubblico aperto alla partecipazione dei

cittadini, singoli o associati, retto da un responsabile del procedimento e

destinato a concludersi in tempi certi.

Bibliografia

1. Come accennato nel testo, il tema della prevenzione della corruzione

in Italia è oggetto di alcuni approfonditi rapporti di commissioni di studio e

organizzazioni internazionali, tra i quali si segnalano:

- il Rapporto del Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione,

istituito con decreto n. 211 del Presidente della Camera dei deputati del 30

settembre 1996, pubblicato negli atti parlamentari, doc. CXI, n. 1, 26 ottobre

1996 (nonché come volume: La lotta alla corruzione, Roma-Bari, Laterza,

1998);

- il Rapporto della Commissione di studio di cui al dPCM 18 ottobre

1996 per contrastare i fenomeni di corruzione e migliorare l’azione della

p.A., costituita presso il Dipartimento della funzione pubblica;

- il Rapporto preliminare e il Rapporto finale della Commissione di

studio sulla trasparenza e la prevenzione della corruzione nella pubblica

amministrazione, nominata dal Ministro della funzione pubblica, pubblicati

sul sito internet del Dipartimento della funzione pubblica;

- gli Evaluation Reports on Italy del Groupe d’Etats contre la

Corruption (Greco) del Consiglio d’Europa, elaborati a partire dal 2009;

- le Relazioni al Parlamento annuali del Servizio anticorruzione e

trasparenza del Dipartimento della funzione pubblica;

- gli atti dell’Indagine conoscitiva sugli strumenti istituzionali atti a

prevenire i fenomeni di corruzione, svolta dalla1ª Commissione del della

Repubblica nella XIII Legislatura, pubblicati negli atti parlamentari.

2. Tra i volumi dedicati al tema: Corruzione e sistema istituzionale, a

cura di M. D’Alberti e R. Finocchi, Bologna, il Mulino, 1994; Etica

pubblica e amministrazione. Per una storia della corruzione nell’Italia

contemporanea, a cura di G. Melis, Napoli CUEN, 1999; B.G. Mattarella,

Le regole dell’onestà. Etica, politica, amministrazione, Bologna, Il Mulino,

2007; Al servizio della Nazione. Etica e statuto dei funzionari pubblici, a

cura di R. Cavallo Perin e F. Merloni, Milano, Franco Angeli, 2009; Etica

pubblica e buona amministrazione. Quale ruolo per i controlli?, a cura di L.

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Vandelli, Milano, Franco Angeli, 2009; La corruzione amministrativa.

Cause, prevenzione e rimedi”, a cura di F. Merloni e L. Vandelli, Firenze,

Passigli, 2010; Corruzione pubblica. Repressione penale e prevenzione

amministrativa, a cura di F. Palazzo, Firenze, Firenze University Press,

2011.

3. Tra gli altri scritti di taglio giuridico, si segnalano soprattutto quelli di

S. Cassese: «Maladministration» e rimedi, in Il Foro Italiano, 1992, n. 9, V,

pp. 243; Idee per limitare la corruzione politica, in Il Corriere giuridico,

1992, n. 7, p. 701; L’etica pubblica, in Giornale di diritto amministrativo,

2003, n. 10, p. 1097. Si v. anche M. Gnes, Italy, in Anticorruption Strategies

within the Competences of the Supreme Audit Institutions in the European

Union, London, Esperia, 2006, p. 283.

4. Tra i contributi di taglio non giuridico, si segnalano quelli della scuola

di A. Pizzorno, e in particolare: Lo scambio occulto, a cura di D. della Porta,

Bologna, Il Mulino, 1992; D. Della Porta, A. Vannucci, Un paese anormale,

Roma-Bari, Laterza, 1999; A. Vannucci, Il mercato della corruzione,

Milano, Società libera, 1997; D. della Porta – A. Vannucci, Mani impunite.

Vecchia e nuova corruzione in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2007; D. della

Porta - A. Vannucci, Corrupt Exchanges, New York, Aldine de Gruyter,

1999.

5. Ampia documentazione è presente nel sito internet del progetto “Per

una cultura dell’integrità nella pubblica amministrazione”:

www.integrita.sspa.it.