Recensioni Prog Italia

103
Questo lavoro vuole essere solo una racolta di materiale dedicato ad un genere musicale considerato ormai del passato ma che coinvolge ancora oggi numerosi fans. Anche se il fenomeno è legato ad un preciso periodo che si posiziona soprattutto attorno agli anni '70, non mancano nuovi dischi in linea con il Progressive Rock o "Rock sinfonico" come dovrebbe essere più correttamente chiamato, in Italia, il genere musicale. La maggior parte dei commenti ai vari album deriva dall'ottimo lavoro pubblicato sul sito "Manlio Progressive Reviews" Altri articoli invece derivano dalla rivista Ciao 2001 con i commenti soprattutto di Enzo Caffarelli. Altri ancora da:"Pagine Settanta" e molte altre. In rari casi ho inserito note personali per quei dischi che non ho trovato recensito da nessuna altra parte. Sito internet dedicato al progressive rock soprattutto italiano Notevole la quantità di notizie dedicate al Rock Progessive italiano. I commenti in questo caso sono di Sergio Caffarelli http://digilander.libero.it/ciao.2001/ Introduzione alla 1^ edizione Progressive rock italiano Sito internet dedicato al progressive rock italiano. Peccato che sia in lingua inglese!!! http://www.italianprog.com/ Sito internet dedicato al progressive rock in genere http://www.split.it/users/aboz/engine/artista.asp http://it.geocities.com/manlioprog/index2.html 1

Transcript of Recensioni Prog Italia

Page 1: Recensioni Prog Italia

Questo lavoro vuole essere solo una racolta di materiale dedicato ad un genere musicale considerato ormai del passato ma che coinvolge ancora oggi numerosi fans.

Anche se il fenomeno è legato ad un preciso periodo che si posiziona soprattutto attorno agli anni '70, non mancano nuovi dischi in linea con il Progressive Rock o "Rock sinfonico" come dovrebbe essere più correttamente chiamato, in Italia, il genere musicale.

La maggior parte dei commenti ai vari album deriva dall'ottimo lavoro pubblicato sul sito "Manlio Progressive Reviews"Altri articoli invece derivano dalla rivista Ciao 2001 con i commenti soprattutto di Enzo Caffarelli.Altri ancora da:"Pagine Settanta" e molte altre.In rari casi ho inserito note personali per quei dischi che non ho trovato recensito da nessuna altra parte.

Sito internet dedicato al progressive rock soprattutto italiano

Notevole la quantità di notizie dedicate al Rock Progessive italiano.I commenti in questo caso sono di Sergio Caffarellihttp://digilander.libero.it/ciao.2001/

Introduzione alla 1^ edizione

Progressive rock italiano

Sito internet dedicato al progressive rock italiano. Peccato che sia in lingua inglese!!!http://www.italianprog.com/

Sito internet dedicato al progressive rock in generehttp://www.split.it/users/aboz/engine/artista.asp

http://it.geocities.com/manlioprog/index2.html

1

Page 2: Recensioni Prog Italia

Sommario

Artista Titolo anno

Acqua FragileACQUA FRAGILE 1973AKTUALAAKTUALA 1973AriaAlan Sorrenti 1972Come un Vecchio Incensiere all' Alba di un Villaggio Deserto

Alan Sorrenti 1973

Carta StracciaALBERTO RADIUS 1977America Good-ByeALBERTO RADIUS 1979ScolopendraALLUMINOGENI 1972Un'isola senza soleAPOSTHOLI 1972 Ho smesso di vivereAPOSTHOLI 1979Arbeit Macht FreiAREA 1973Crac!AREA 1975MaledettiAREA 1976Gli Dei Se Ne Vanno, Gli Arrabbiati Restano!AREA 1978Gioia e RivoluzioneAREA 1996TILT - Immagini per un orecchioARTI+MESTIERI 1974Giro di valzer per domaniARTI+MESTIERI 1975Quinto StatoARTI+MESTIERI 1979TrysBALLETTO DI BRONZOSirio 2222BALLETTO DI BRONZO 1970YSBALLETTO DI BRONZO 1972Darwin!BANCO DEL MUTUO SOCCORSO 1972 -Banco del Mutuo SoccorsoBANCO DEL MUTUO SOCCORSO 1972-Io sono nato liberoBANCO DEL MUTUO SOCCORSO 1973Come in un'ultima cenaBANCO DEL MUTUO SOCCORSO 1976Garofano rossoBANCO DEL MUTUO SOCCORSO 1976...di terraBANCO DEL MUTUO SOCCORSO 1978Canto di primaveraBANCO DEL MUTUO SOCCORSO 1979Da qui messere si domina la valle...B.M.S. (91)BANCO DEL MUTUO SOCCORSO 1991 -Da qui messere si domina la valle...DarwinBANCO DEL MUTUO SOCCORSO 1991 -NudoBANCO DEL MUTUO SOCCORSO 1997Il tempo della seminaBIGLIETTO PER L'INFERNOBiglietto per l'infernoBIGLIETTO PER L'INFERNO 1972BLUE MORNINGBLUE MORNING 1973Campo di MarteCampo di Marte 1973CELESTECELESTE 1976MelosCERVELLO 1973Cherry fiveCherry five 1975El TorCITTA' FRONTALEAspettando GodotClaudio Lolli 1972 -Volo magico n. 1Claudio Rocchi 1971 -La norma del cielo (volo magico n. 2)Claudio Rocchi 1972Profondo rosso - XXV anniversarioCLAUDIO SIMONETTI 2000Corte dei MiracoliCorte dei Miracoli 1976

2

Page 3: Recensioni Prog Italia

Io non so da dove vengo e non so dove mai andrò. Uomo è il nome che mi han dato

DE DE LIND 1973

DEDALUSDEDALUS 1973Dolce acquaDELIRIUM 1971Lo scemo e il villaggioDELIRIUM 1972DUELLO MADREDUELLO MADRE 1973Siegfried, il Drago e Altre StorieERRATA CORRIGE 1976Diario Di Viaggio Della Festa MobileFESTA MOBILE 1973Topi o uominiFLEA 1972Il vento ha cantato per ore tra i rami dei versi d'amore.

FRANCHI GIORGETTI TALAMO 1973

PollutionFranco Battiato 1972FetusFranco Battiato 1972Sulle Corde Di AriesFranco Battiato 1973"Clic"Franco Battiato 1974NudaGARYBALDI 1972AstrolabioGARYBALDI 1973Terra in boccaI GIGANTI 1971I teoremiI TEOREMI 1972Il VoloIL VOLO 1974Essere o non essere? Essere, Essere, Essere!IL VOLO 1975DNAJUMBO 1972Vietato ai minori di 18 anni?JUMBO 1973l' uOvo di cOlomboL' UOVO DI COLOMBO 1973Passio Secundum MattheumLATTE E MIELE 1972CollageLE ORME 1971Uomo di pezzaLE ORME 1972Felona e SoronaLE ORME 1973ContrappuntiLE ORME 1974SmogmagicaLE ORME 1975ElementiLE ORME 2001To Allen GinsbergLIVING MUSIC 1972Homo homini lupusLOCANDA DELLE FATEForse le lucciole non si amano piùLOCANDA DELLE FATE 1977PortobelloLOY & ALTOMARE 1973MeghMARIO BARBAJA 1972iaia (76)MARIO LAVEZZI 1976Al mercato degli uomini piccoliMAURO PELOSI 1973MaxophoneMAXOPHONE 1975...E fu il sesto giorno - VedetteMETAMORFOSI 1972InfernoMETAMORFOSI 1972ZarathustraMUSEO ROSENBACH 1973Rare and UnreleasedMUSEO ROSENBACH 1992Concerto Grosso n°1NEW TROLLS 1971UTNEW TROLLS 1972New Trolls Atomic SystemNEW TROLLS 1973Concerto grosso n°2NEW TROLLS 1976Canti d'innocenza, canti d'esperienzaNICO, GIANNI, FRANK, MAURIZIO 1973Arrow HeadOSAGE TRIBE 1972L'uomoOSANNA 1971

3

Page 4: Recensioni Prog Italia

Milano Calibro 9OSANNA 1972PalepoliOSANNA 1973UnoPANNA FREDDA 1971Abbiamo Tutti un Blues da PiangerePERIGEO 1973La Valle Dei TempiPERIGEO 1975Pierrot LunairePIERROT LUNAIRE 1974GudrunPIERROT LUNAIRE 1977Storia di un minutoPremiata Forneria Marconi 1972Per un amicoPremiata Forneria Marconi 1972Photos of GhostsPremiata Forneria Marconi 1973Live in U.S.A.Premiata Forneria Marconi 1974L'isola di nientePremiata Forneria Marconi 1974Chocolate king'sPremiata Forneria Marconi 1975Jet LagPremiata Forneria Marconi 1977Quella Vecchia LocandaQUELLA VECCHIA LOCANDA 1972Il Tempo Della GioiaQUELLA VECCHIA LOCANDA 1974Per...un mondo di cristalloRACCOMANDATA RICEVUTA RITORNO 1972Reale accademia di musicaREALE ACCADEMIA DI MUSICA 1972Storie di uomini e nonROCKY'S FILJ 1973La BibbiaROVESCIO DELLA MEDAGLIA 1971ContaminazioneROVESCIO DELLA MEDAGLIA 1973Il ritornoROVESCIO DELLA MEDAGLIA 1995SamadhiSAMADHI 1974Dedicato a FrazzSEMIRAMIS 1972ShowmenSHOWMEN 2 1972L'unitàSTORMY SIX 1971The TripThe TRIP 1970CaronteThe TRIP 1971AtlantideThe TRIP 1972Time of changeThe TRIP 1973ArtVince Tempera 1973

122totale album recensiti

Acqua FragileACQUA FRAGILE

1973

L'errore più grave che si potrebbe commettere con questo disco, è il pensare di prevedere il contenuto e la forma delle composizioni solo al leggere la presenza alla voce di Bernardo Lanzetti, grande cantante, si sa, ma con un taglio nettamente alla Gabriel. In più, con ulteriore input al fallo, si può essere perfettamente consci della sua presenza nei lavori della seconda fase (come la chiamo io) della P.F.M., che, francamente, non entusiasmano più di tanto.

4

Page 5: Recensioni Prog Italia

Si scopre (o almeno io scopro) invece un disco lineare e preciso, acustico ed elettrico, con stralci veramente taglienti e spigolosi ...una meraviglia alle mie orecchie... La voce sempre ben impostata di Lanzetti, con una perfetta pronuncia inglese, amalgamata magistralmente nel contesto musicale del gruppo, porta l'ascoltatore ad affrontarsi con un risultato d'insieme, tralasciando, o meglio, non lasciando il tempo di cercare quelle somiglianze e assonanze Gabrielliane. Netta la divisione del disco: inizio ("Morning Comes" e "Comic Strips") e fine ("Three Hands Man", secondo me il miglior brano) martellanti e potenti, mentre il resto delle composizioni si assestano su toni tranquilli e spesso acustici dove brilla soprattutto ("Going Out"). L'unico neo è, secondo me, un richiamo (almeno a me ha fatto questo effetto) non troppo velato in "Morning Comes" ai cori di "Child in Time" dei Deep Purple. Onestamente non ho capito la scelta dei testi tradotti in italiano all'interno. Concludendo, io lo ritengo un disco molto valido...a me piace!Consigliato

AKTUALAAKTUALA

1973

Milanesi di nascita o di adozione, gli aktuala rappresentano una delle più significative novità della scena italiana. Cultori di musiche popolari d'ogni epoca e di ogni paese, appassionati collezionisti ed etnologi, essi rappresentano una "comune" musicale votata al recupero di una musica popolare universale, totale, che fruisca delle esperienze di popoli vicini e lontani, senza la mediazione della cultura classica.Musica dunque istintiva, primordiale, nella quale i segni stessi della natura, il suono quotidiano diviene musica, come il canto degli uccelli, e nella quale è facile cogliere, immediatamente, gli influssi timbrici e le venature melodiche del folklore africano e mediorientale: la base è infatti il Mediterraneo, e se vogliamo l'Italia meridionale, che nel corso della storia è stata teatro di differenti civiltà.Naturalmente è rischioso parlare solo di musica popolare. Meglio rinunciare alle etichette, in un momento in cui anche il jazz e lo stesso rock si avvicinano e rielaborano il folklore europeo, quello latino americano, quello indiano, quello africano.IL gruppo rifiuta naturalmente qualsiasi virtuosismo solistico, poiché i loro desiderio o è "quello di riportare alla strada una musica nata dalla strada". ed in questo senso, coerentemente, essi hanno compiuto una tournée la scorsa estate in Liguria, su spiagge e piazze, senza teatri o impresari.Gli Aktuala sono in cinque, di cui una ragazza, e suonano un miriade di strumenti che non mi attardo ad elencare. Segnalo comunque che parti predominanti hanno la chitarra acustica, vari modelli di bizzarre percussioni, e numerosi strumenti a fiato, dall'oboe arabo al normale sassofono.Le atmosfere vivono su tensioni di vario tipo, ora aggressive e convulse, ora pacifiche e dolcissime; i titoli sono sei, ma esiste una continuità nello spirito musicale della formazione che impedisce quasi di cogliere i caratteri distintivi di ognuno.Una musica che va seguita con particolare attenzione e che non può esser giudicata con il metro estetico normale, ma relativamente alle sensazioni che in ogni ascoltatore potrà suscitare.Enzo Caffarelli

5

Page 6: Recensioni Prog Italia

AriaAlan Sorrenti

1972

Tutto si può dire di questo disco del poi figlio delle stelle Alan Sorrenti (...) ma non che sia un disco dall'ascolto semplice ...e ancor più difficile è il tentare di spiegarlo. Il bell'impatto musicale, ad opera soprattutto del bravo Albert Price, è perfettamente azzeccato per la voce e la chitarra acustica di Sorrenti. Impressionante il modo di usare il cantato: Sorrenti usa la voce in un modo rivoluzionario ed imprevedibile (a volte con qualche piccola stonatura pure), con un suono quasi metallico prima e dolce e soave poi. Dei quattro brani che compongono il disco solo "Vorrei incontrarti" è quello che rimane su uno stile classico con la chitarra che sottolinea ed accompagna il testo mentre in "Aria","La mia mente" e "Un fiume tranquillo" il gruppo e Sorrenti instaurano quasi un conflitto tra perfezione strumentale e volteggi vocali ma senza sovrastarsi a vicenda.A volte il cantato di Sorrenti mi fa ricordare però un po' Peter Hammill.Concludendo: sicuramente questo disco necessita molti e molti ascolti per essere ben digerito; non è niente male anche se a volte riuscire ad ascoltare completamente l'ambiziosa "Aria" è un po' difficile... almeno per me.* * *Chi lo ha già ascoltato è assolutamente d'accordo sul fatto che Alan Sorrenti rappresenta la figura musicalmente più originale espressa dal nostro paese da tanti anni a questa parte. E chi non lo ha ascoltato, non so quanto potrà ricavare dalle mie parole, data l'estrema difficoltà di cogliere perfettamente nel segno e di descrivere dettagliatamente questo strano personaggio spuntato fuori dal golfo di Napoli, e asceso in volo fra le note della sua "Aria"."Aria" p la suite che occupa l'intera prima facciata, ed anche la composizione più ambiziosa di Sorrenti. L'album è stato registrato in parte in Italia, in parte in Francia, con alcuni sessionmen francesi, e con sopite d'eccezione Jean-Luc Ponty, il numero uno del violino jazz. La casa discografica ha visto giusto fin dal principio, ha creduto nel ragazzo e gli ha dato carta bianca, per di più confezionando una bella copertina con tanto di testi e di note, mentre l'etichetta è una delle più illustri inglesi, la Harvest. Un autentico successo, dunque, su tutti i fronti.Alan suona la chitarra acustica, compone, arrangia. E' un cantautore del tutto particolare: la sua forza sta innanzi tutto nella voce, carezzevole e metallica, aspra e dolcissima a turno, che egli utilizza come un vero e proprio strumento, una voce personalissima e duttile, che si assottiglia e riprende corpo, si plasma secondo la nota, l'allunga e la tiene sospesa salendo le scale più alte, poi la getta e la raccoglie di nuovo rimodellandola accuratamente. A qualcuno rammenta Peter Hammill dei Van der Graaf Generator, specie nell'uso del semiparlato, ma lo stile di Alan è meno aggressivo, ed ancora più raffinato e dettagliato; e mentre Hammill guida con la voce gli strumenti, Alan li precorre ed in un certo senso ne resta al di fuori."Aria" è appunto un giuoco di voce, con il tema lacerato, ridotto a brandelli, poi ripreso, e solo in rarissimi casi con l'aiuto di distorsioni od effetti elettronici. Dietro suona l'ottimo complesso, con Vittorio Nazzaro al basso e a dare una mano ad Alan con la chitarra classica. Antonio Esposito alla batteria, Albert Prince al piano, all'organo, al sintetizzatore ed al mellotron, le cui aperture dolcissime interrompono e congiungono i vari momenti della composizione. Sullo sfondo i musicisti francesi, due fiati, un

6

Page 7: Recensioni Prog Italia

contrabbasso, e Ponty lucido maestro come di consueto con il violino stregato.Non si può parlare di disco sperimentale, perché Alan è già in possesso dei mezzi e delle capacità espressive necessarie per un discorso formato e compiuto. I temi confluiscono uno dopo l'altro secondo una concezione modernissima, senza troppi compiacimenti melodici, né con eccessiva insistenza sulle frasi ritmiche, talora semplicemente abbozzando delle idee che viceversa avrebbero potuto essere realizzate su maggiore scala. Eccellenti dialoghi violino-voce, o negli episodi in cui domina la possente costruzione dell'organo, o l'uso raffinato e jazzistico del piano.La seconda facciata contiene tre pezzi: "Vorrei incontrarti" è l'unico brano di stampo tradizionale, che si avvicina al modello più conosciuto di cantautore; "La mia mente" è una ricerca cerebrale nei meandri del proprio cervello, con le medesime caratteristiche formali di "Aria", ed anzi con i toni ancora più esasperati; e "Un fiume tranquillo" ripropone l'accostamento a Peter Hammill, e si presenta come un altro tipico episodio di Sorrenti, con i fiati ed il sintetizzatore in evidenza, e con una linea melodica nel complesso più facile e comprensibile degli altri."Aria" è un disco che difficilmente piacerà al primo ascolto, e che verrà tacciato anche di mistificazione. Secondo me sarebbe stato un disco interessantissimo anche se fosse stato soltanto strumentale. In più c'è la voce di Alan, il vero carattere determinante ed originale, e naturalmente non è facile accettarla immediatamente. Ma facciamo in modo che il detto "nemo propheta in patria" per una volta non abbia valore.Enzo Caffarelli

7

Page 8: Recensioni Prog Italia

Come un Vecchio Incensiere all' Alba di un Villaggio Deserto

Alan Sorrenti

1973

Commento di RobertoIl secondo (ed ultimo) lavoro del Sorrenti Prog datato 1973. Come il precedente "Aria" un disco di non facile ascolto, e con la stessa struttura, una facciata occupata dal brano che da' il titolo all'album, con un utilizzo della voce forse un poco eccessivo, una parte centrale dove entra uno stupendo VCS3 assolutamente da brividi ed un finale che lascia intravedere sonorità mediterraneo/partenopee con le percussioni in bella evidenza. Più tradizionale l'altra facciata dove emerge la stupenda "Serenesse" ma molto belli e particolari anche gli altri pezzi. Con Sorrenti, in questo lavoro collaborano musicisti prestati da Van Der Graaf Generator e Curved Air e , sembra incredibile, solo un anno dopo arrivano "DICINTECELLO VUJE " ed a seguire "I FIGLI DELLE STELLE" ed altre amenità......Il CD, uscito nel 2000 per EMI, contiene anche il brano "Le tue radici" che ha rappresentato il passaggio di ALAN SORRENTI alla musica commerciale ma, risentito a distanza di anni, lo si ascolta comunque con piacere, e resta la convinzione che anche in quell' ambito, avrebbe potuto "dare di più".Chiudo con una citazione quanto mai centrata, tratta dal Dizionario del Pop Rock edito da Baldini & Castoldi : Mai in Italia siamo stati così vicini alla scena musicale internazionale.Il giudizio è di ENZO GENTILE.* * *Credo che Alan Sorrenti sia uno di quei personaggi su cui ci si troverà costantemente in disaccordo, pronti ad esaltarlo da una parte come il personaggio più nuovo ed importante fuoruscito dalla nostra scena, o come un discreto musicista, dall'altra, ma abile mistificatore prima di ogni altra cosa.Di questo secondo LP del cantautore anglo-napoletano abbiamo già abbondantemente detto in anteprima. Se il carattere peculiare del personaggio risiede nell'avere ribaltato il concetto tradizionale dell'uso della voce, per primo in Italia, se pure sulla scorta di illustri esempi stranieri (Tim Buckley, Shawn Phillips, lo stesso Peter Hammill), Alan si conferma altresì compositore eccellente, al di là dell'uso (e dell'abuso in più di un'occasione) dei suoi indiscutibili mezzi vocali.Naturalmente non tutto è farina del suo sacco: la presenza di gente matura, si solisti capaci di qualsiasi improvvisazione e variazione al suo fianco, gli consentono una coralità espressiva intelligente ed affascinante: nel primo album era il sol Jean-Luc Ponty l'uomo di "punta". Qui sono presenti un Dave Jackson in grande forma, che alle fughe rabbiose del sax preferisce quelle più dolci ma non meno inquietanti di uno splendido flauto ("Serenesse" ed "Oratore"); Francis Monkman pianista e sintetizzatorista (VCS3) essenziale complemento all'organico; Toni Marcus violinista piena di grazie ed eleganza; Ron Matthewson al contrabbasso in un brano e Victor Bell al violoncello in un altro; infine la coppia italiana (D'Amora - Esposito) certo non disprezzabile.La prima facciata, suddivisa in cinque pezzi, è senza dubbio la più convincente, la meno forzata e la più varia. Alan sfrutta la voce nei canali della grande arte, e si sforza di autoesaltarsi nel limite del lecito, mediante anche testi significativi e pregni di

8

Page 9: Recensioni Prog Italia

simbolismi. Rispetto al precedente LP "Aria", c'è proprio una maggiore maturità espressiva complessiva, una struttura portante melodica e ritmica più compatta e meno egocentrica, parole meno decadenti e più realistiche."Serenesse", "Una luce si accende", "A te che dormi", quest'ultima per sola voce e chitarra acustica, sono degli autentici capolavori.La lunga suite che occupa per oltre ventitré minuti la seconda facciata, "Come un vecchio incensiere all'alba di un villaggio deserto", risente invece del progetto troppo ambizioso e forzato dell'impiego della voce, naturale o filtrata attraverso il sintetizzatore. Anche l'orchestrazione si fa più povera, e si entra nel delirio, perdendo spesso la lucidità: si tenta di creare una nuova atmosfera, una serie di sensazioni prive di aggancio con la realtà, e la musica si disgrega in una serie di suoni e rumori illogici. Solo la strofa cantata (con un testo assai bello) e la parte finale, dove l'abilità vocale si risolve più che altro in qualche giuoco acrobatico, riscattano l'incensiere.Un disco notevolissimo che imporrà definitivamente Sorrenti presso il pubblico italiano.Enzo Caffarelli

Carta StracciaALBERTO RADIUS

1977

Siamo ormai alla fine degli anni '70 e il vecchio rock progressivo comincia a dare segni di stanchezza e declino. Si comincia a preferire alle complicate e lunghe atmosfere zeppe di tastiere tipiche della tradizione prog, soluzioni più leggere ed immediate. Anche questo disco conferma questa regola, magari per staccarsi definitivamente dal filone Il Volo, e rimane sempre su canoni molto leggeri, guidati da chitarre acustiche e Fender Rhodes. Il prodotto è comunque ben confezionato e spuntano dei bei testi con il pregio dell' originalità. Si veda qui il testo di "Ricette" e "Stai con me sto con te". Buone "Celebrai", "Pensami" e "Nel ghetto". "Carta straccia" ricorda stilisticamente il disco "Io tu noi tutti" di Lucio Battisti, fatto forse dovuto al particolare periodo di transizione anche visto che sono del medesimo anno. L'unico stralcio progressivo, soprattutto nelle parti di tastiere, è presente in "Un amore maledetto" anche se siamo ben lontani dai canoni gloriosi. Dal punto di vista progressivo la bocciatura è netta...visto come un disco leggero e commerciale, il prodotto è buono e risulta orecchiabile e ben costruito soprattutto nel primo lato che passa liscio e gradevole.Penso che la morale del disco la si possa leggere in questo stralcio di testo:

bandiere e altari baciai, ma vaffanculo...vai !!!A ciascuno la libera interpretazione!Consigliato a chi non cerca atmosfere complesse.

9

Page 10: Recensioni Prog Italia

America Good-ByeALBERTO RADIUS

1979

Formazione vincente (?!?) non si cambia ed ecco ripresentata la line-up del precedente "Carta Straccia". Anche i contenuti seguono la stessa rotta e ne riesce un disco sempre leggero ma meno emozionante e con qualche eco di già sentito. Leggermente inferiori anche i testi, completamente concentrati nello smantellare e sminuire il mito americano (...il titolo non è messo a caso...) con sfarzi ("Las Vegas"), problemi sociali come polizia corrotta ("Poliziotto") e leggende metropolitane ("Coccodrilli bianchi"). Bello l'omaggio, anche se sempre in tono polemico, a Mohamed Alì in "Il buffone". Musicalmente da segnalare "Patricia", forse l'unico momento quasi interessante e l'avvento dei nuovi, per quel tempo, drum-pad elettronici disseminati qua e là.Chi adora "Carta Straccia" non avrà problemi ad ascoltare anche questo disco, anche se onestamente io non lo ritengo un granché. Radius non si arrabbi se utilizzo un suo verso:ci perdonerai se da adesso in poi saremo affari sfortunati...Meglio volgere lo sguardo ai primi lavori...

10

Page 11: Recensioni Prog Italia

ScolopendraALLUMINOGENI

1972

Gli Alluminogeni fanno parte di quel gruppo ci complessi nati tre o quattro anni or sono con la lodevole intenzione di rinnovare il mercato italiano, ma incapaci di costruire in pratica grandi cose. Fra i tanti anzi, il trio piemontese ha sempre mantenuto il ricordo di una melodicità tutta italiana, un po' come più tardi avrebbe fatto, ma sinceramente ad altro livello, il Banco del mutuo soccorso.

In questo senso la musica italiana viene automaticamente a svincolarsi dai modelli stranieri. Ma probabilmente non è questa l'intenzione racchiusa nelle ultime righe della presentazione del disco: "Non parole estetizzanti senza significato, ma liberazione dalle caverne dell'inglese da cui prima ci giungevano i suoni". Se si allude alle tematiche musicali, alla ricerca strumentale basata soprattutto sulle tastiere, non mi sembra allora che tale allontanamento sia profondo come si vorrebbe far credere.

Patrizio Alluminio, occhialuto leader del gruppo, sciorina con abilità i suoi preferiti, che vanno dal Winwood di "Glad" in apertura, al piano elettrico, all'organistico Jimmy Smith di "Cosmo". Spinti come sono verso l'elettronica e l'uso delle tastiere e degli effetti in generale, gli Alluminogeni si son edificati in album "spaziale" ("La natura e l'universo", "La stella di Atades", "Cosmo", "Pianeta") rivelando purtroppo ancora una volta la grande crisi di testi che esiste in Italia.

La musica propone immagini ed invenzioni (- questi suoni che ascolterete - dicono le note - sono già dentro di voi. Erano chiusi dentro - ). Ma a mio avviso "Scolopendra" è un album sì piacevole, ma irrimediabilmente appartenente alla generazione precedente e non attuale del pop italiano. Enzo Caffarelli

11

Page 12: Recensioni Prog Italia

Un'isola senza soleAPOSTHOLI

1972 ? o 1982 ???

Bellissimo album di questo complesso sconosciuto e su cui si sa pochissimo (ved. successivo album "Ho smesso di vivere"). E' un insieme di poesie scritte da Carlo Andolfato tra cui spicca a mio parere "Il cielo piange".Dg.

Il cielo piange contornato di questi coloriil cielo piange contornato di questi nostri piantiil cielo piange nell'ascoltarmi questa sera in questa sera che mi confessoe vivo nel girarmi attornotra gli umidi raccolti di una notte di stelleche mi compongonoed io ancora io stento a riempirti e stringertiil cielo piange ma questa notte farfalla non ti vedo.

33 giri

12

Page 13: Recensioni Prog Italia

Ho smesso di vivereAPOSTHOLI

1979

da: Il giornale di Vicenza - Sabato 1 Febbraio 2003

Rimasterizzato l’elegante long-playing uscito nel 1980 "Ho smesso di vivere" ricompare in versione cd.

Sta avendo un inaspettato successo l’album nel quale Walter Bottazzi e il complesso degli Apostholi misero in musica 11 poesie di Carlo Andolfato di Antonio Stefani

Vicenza. All’epoca - stiamo parlando del 1980 - di quell’elegante long-playing vennero stampate 500 copie, corrispondenti alla tiratura della litografia firmata da Vico Calabrò che, uscita dai torchi della Bottega dei Busato, fungeva da onirica copertina. E adesso, debitamente rimasterizzato a cura dell’etichetta padovana M.P. Records, ecco apparire in versione compact-disc Ho smesso di vivere , l’album nel quale Walter Bottazzi e il complesso degli Apostholi, ricompostosi per l’occasione dopo l’epopea "beat" degli anni Sessanta, misero in musica undici poesie di Carlo Andolfato. Sono gli stessi protagonisti di quel singolare episodio nato all’ombra dei Berici a ricordare, nel libretto che accompagna il Cd, come scaturì e si concretizzò il progetto: «L’idea di Ho smesso di vivere - spiegano - nasce a tarda ora, in una notte del 1978, tra i discorsi di due vecchi amici che non si rivedevano da almeno dieci anni. Avevano tante cose da raccontarsi. I pensieri erano ancora in sintonia, in sintonia erano le emozioni, i sogni, desideri e delusioni. Tra le tante cose, e tra un bicchiere e l’altro, Carlo Andolfato parlava dei suoi versi, ne leggeva qualcuno. Walter Bottazzi ascoltava, ne condivideva l’essenza, mentre nasceva la voglia di raccogliere la sfida e di interpretare quelle poesie, farle diventare "canzoni". Walter, storico bassista del gruppo vicentino Gli Apostholi, nati nel 1964, riuniva così, dopo anni di silenzio, i vecchi amici musicisti e con loro dava inizio a quella che è stata una gran bella avventura, fatta di collaborazione, di goliardica allegria, talvolta di stanchezza ma anche di indimenticabili spaghettate a notte fonda e di buon vino bevuto insieme, come accade nei momenti magici della vita». Oggi, dunque, abbiamo la possibilità di riascoltare brani come Il pesce rosso , Ho acceso un fiore , Un altare di farfalle , Profumo sorriso , componimenti che il "geometra" Andolfato affidò alle note e alla voce del "ragionier" Bottazzi e che nelle registrazioni effettuate allo Studio Bottene di Schio con Roberto Trentin alle percussioni, Luigi Terzo alle tastiere e Franco Marchiori alle chitarre presero la forma di intimistiche ballate rivestite da arrangiamenti molto vicini al clima del "progressive rock" italiano. Pare, fra l’altro, che il compact stia suscitando all’estero - dalla Scandinavia al Giappone - la curiosità dei collezionisti di incisioni rare. Morale della favola, comincia a farsi strada la voglia di ristampare anche quello che fu il capitolo successivo dell’operazione, vale a dire Un’isola senza sole uscito nel 1982.

CD

13

Page 14: Recensioni Prog Italia

Arbeit Macht FreiAREA

1973

Grandioso esordio per questa band con grandissime potenzialità tecniche dovute soprattutto, ma non solo, all'inconfondibile e grandiosa voce di Demetrio Stratos. Il sound del gruppo è centrato nel free jazz, stile che ricorda lontanamente i Soft Machine e comunque ben contornato di sintetizzatori e pianoforte.I testi sono schiettamente politici, caratteristica presente in tutta la produzione del gruppo. Sicuramente un grande disco da cui spunta: "Luglio, agosto, settembre (nero)", l'improvvisazione di "Arbeit macht frei", "Consapevolezza" e "240 chilometri da Smirne". Il gruppo cela, secondo me, dietro a "L'abbattimento dello Zeppelin" un piccolo attacco al gruppo del dirigibile ovvero i Led Zeppelin, accusati di attirare tutta l'attenzione della scena musicale... contando anche il proponimento del gruppo di espansione oltre i confini con il suffisso international POPular group.Ultima osservazione per la presenza al basso di Patrick Djivas che lascierà dal seguente disco il gruppo per inserirsi poi nella P.F.M.. Verrà sostituito dal grande Ares Tavolazzi che diventerà parte integrante del gruppo soprattutto in fase compositiva, trovando grande coesione con Tofani e Fariselli. Consigliato.* * *Sono nati da circa un anno, ma la loro formazione ha già subìto numerosi cambi (vedi anche le mininotizie di questo stesso numero), cosicché due soli dell'originaria formazione sono i superstiti. Gli Area sono comunque il gruppo più interessante venuto alla ribalta in questo 1973 in Italia, ed il loro difficile album conferma le belle premesse di tanti spettacoli e di tanti inviti (ricordo fra parentesi che hanno suonato in tour con i Gentle Giant, i Soft Machine, gli Atomic Rooster, i Faces, sono stati invitati alla Biennale di Parigi ed alla Triennale di Milano, ecc.). Dall'iniziale free jazz, orientato verso i Nucleus o i Soft Machine, gli Area si sono spostati verso una ricerca più attenta di contenuti e di effetti sonori, attingendo alla musica popolare, in modo particolare a quella greca ed araba, ed alle esperienze concreto-contemporanee con le quali sono venuti a contatto: Luigi Nono, Luciano Berio, l'ungherese Gyorgy Ligeti, il greco Yannis Xenakis fra i principali. La loro musica vuole essere assolutamente di "rottura", radicale nelle intenzioni dei musicisti e di chi li guida. "Arbeit macht frei" significa in tedesco "il lavoro rende liberi", ed era lo slogan posto all'entrata dei campi di concentramento nazisti. I sei brani che compaiono sull'album sono legati da un filo ideologico simboleggiato appunto dalla consapevolezza del carattere totalitario dell'affermazione. Il contenuto del LP si ispira a riflessioni sulla violenza e sul terrorismo: ma scelte orientative come l'introduzione di una recitazione in lingua araba, i richiami al folklore mediorientali trasfigurati, le citazioni si Smirne o di Settembre nero, sono da una parte la logica conseguenza della provenienza (greca) del leader Demetrio Stratos, dall'altra tendono a sottolineare un percorso storico-geografico della violenza: dai campi nazisti agli ebrei, al mondo arabo, turco, greco, russo. E la musica è violenta, aggressiva, specie nella struttura volutamente caotica di certi momenti, nelle sofferte interpretazioni vocali, alcune delle quali recitative, di Demetrio.

CD

14

Page 15: Recensioni Prog Italia

Così il brano conclusivo, "L'abbattimento dello Zeppelin", dal sapore sinistro e provocatorio, sottolineato da effetti particolari dell'uso della voce, che segue le indicazioni di Berio nell'affiancamento voce-musica elettronica, ha un doppio senso: da un lato l'abbattimento di una realtà difesa dai miti; dall'altro un chiaro attacco alla musica pop tradizionale, individuabile in quel momento nei Led Zeppelin. Tutti i brani sono ad alto livello: "Luglio, agosto, settembre (nero)" con la voce araba che introduce una melodia orientaleggiante; "Arbeit macht frei" di sapore più tipicamente jazzistico, come pure "240 km da Smirne", esclusivamente strumentale, un pezzo fra i migliori anche eseguito secondo schemi piuttosto classici di free, Infine "Le labbra del tempo" si presenta più varia e contorta, un insieme di sensazioni e di voci che si accavallano e si divaricano con particolare cura degli effetti. Complessivamente la ritmica si rivela particolarmente efficace: Ian Patrick Djivas, neo acquisto della Premiata Forneria Marconi, suon un basso Fender Precision privo di tasti ed il contrabbasso, rivelandosi un solista instancabile e fantastico. Latro musicista di spicco è Eddy Busnello, un sassofonista già con una lunga esperienza alle spalle. Ma anche tutti gli altri si muovono con attenzione giungendo a risultati ricchi di potenza e di fantasia, come Stratos, che opera alle percussioni, suona l'organo con il compito principale di creare un continuum di fasce sonore per gli altri solisti, ed utilizza la voce alla maniera tipica e significativa di uno strumento. Enzo Caffarelli

Crac!AREA

1975

Insieme a "Arbeit..." un MUST degli Area ! Dopo un disco influenzato dall'attività di ricerca quale il precedente "Caution Radiation Area", il gruppo ritorna leggermente verso gli orizzonti del debutto proponendo un sound decisamente più stabile. Non che manchino i momenti di improvvisazione sia chiaro (vedi ad esempio "Area 5"), ma è maggiormente in luce un proponimento esecutivo di gruppo. Solo la pazzia ne "La mela di Odessa (1920)" merita il prezzo del disco, anche se sono presenti anche altri grandiosi momenti in "L'elefante bianco", con un synth che ricorda vagamente atmosfere orientaleggianti, e "Gioia e rivoluzione" dove il maestro della voce mette in mostra tutto il suo stile e la sua bravura.Grandioso.

15

Page 16: Recensioni Prog Italia

MaledettiAREA

1976

Dei dischi di questo gruppo, questo è forse il più difficile da interpretare e decifrare. "Diforisma urbano" è forse l'unica traccia in cui il gruppo ritrova la carica dei primi dischi e propone un free Jazz dal sound tipico e cavalcante. "Gerontocrazia" dà inizio all'attività di ricerca di Stratos accompagnato da percussioni che sembrano timpani tribali. Il brano poi cambia e il gruppo riprende le redini riportando il contesto nei soliti termini con qualche puntatina improvvisativa. "Scum" è forse il brano più forzato: un pianoforte estremamente antisonante per un testo in stile politico tipico della band, anche se con un piccolo taglio pessimista: In questa società...la vita è una noia sconfinata. "Giro, giro, tondo" è, secondo me, il pezzo migliore del disco: l'attività di ricerca non ostacola oltremodo la linerarità compositiva e ne esce un piano elettrico sempre in prima fila che non disdegna un sano ritorno all'improvvisazione nella parte finale. Segue la lunga "Caos": nove minuti di improvvisazione estrema.Un pugno nello stomaco ogni tanto fa bene...ma non uno dei miei preferiti.

Gli Dei Se Ne Vanno, Gli Arrabbiati Restano!AREA

1978

Ultimo disco di questo gruppo che merita attenzione secondo me.Il livello è un po' inferiore ai precedenti ma sono presenti dei buoni momenti in "Il bandito del deserto", "Return from Workuta" e "Guardati dal mese vicino all'aprile!".

Gioia e RivoluzioneAREA

1996

Questo è stato il primo mio disco di questo gruppo: volevo tastare il terreno con questa raccolta! Sono presenti canzoni anche dischi più recenti, che però perdono lucidità e smalto

16

Page 17: Recensioni Prog Italia

TILT - Immagini per un orecchioARTI+MESTIERI

1974

Gran bel disco, molto originale nei contenuti e nella forma; la presenza di un violino suonato in maniera diversa dal solito canone come avviene, per esempio, nella p.f.m. e di un batterista con uno stile tutto suo, sono il segreto di questo disco. Dopo l'influsso positivo dato agli ultimi due lavori dei Trip, Chirico sfodera tutta la sua stoffa in questo e nel successivo disco, donando grinta ed imprevedibilità alle canzoni.Giuoca un ruolo fondamentale anche la presenza di brevi ma intensissimi punti dedicati all'improvvisazione come in "Gravità 9.81" e "Tilt". Bella parte di violino in "Articolazioni". Le parti cantate sono limitate a due canzoni e sono comunque molto convincenti, soprattutto la sublime melodia di "Strips".Veramente bello.

Giro di valzer per domaniARTI+MESTIERI

1975

Questo disco è forse tecnicamente migliore del precedente ma sempre suonato con lo stile tipico di questa band. Ci sono tre canzoni cantate in modo sempre molto interessante, fatto dovuto anche all'inserimento di un bravo nuovo cantante, tra le quali spunta "Saper sentire". L'unica pecca è che qui viene esasperato lo stile sempre pomposo del batterista Chirico e al lungo ascolto il disco risulta un po' noioso....almeno nelle ultime tracce. Nulla da togliere comunque a quest'ultimo: basta ascoltare canzoni come "Sagra" per convincersi della sua grande tecnica.Non che il disco sia noioso, voglio metterlo bene in chiaro: per me è difficile ascoltarlo tutto e forse per questo preferisco leggermente "Tilt". Le migliori: "Valzer per domani", "Mirafiori", "Mescal" e "Consapevolezza" All'interno del libretto viene anche spiegata la teoria del valzer. Comunque consigliato.

17

Page 18: Recensioni Prog Italia

Quinto StatoARTI+MESTIERI

1979

Dopo due grandi dischi quali "Tilt" e "Giro di Valzer per Domani", il gruppo degli Arti e Mestieri offre questo "Quinto Stato" che non è assolutamente paragonabile ai precedenti detti. Il sound perde quasi completamente l'armonia e la forza che caratterizzava lo stile tipico di questo gruppo e i testi sono un misero miscuglio di parole che hanno pure la pretesa (!!!) di essere taglienti. Onestamente sono rimasto molto deluso da questo disco: cerca di raggiungere la sufficienza nei vari momenti strumentali, dove spicca "Vicolo", ma poi cade miseramente nelle canzoni cantate (si salva a malapena la title track). Il nuovo cantante Rudy Passuello è lontano anni luce dal bravo Gaza e manca, secondo me, di qualsiasi forma di espressione, dando a tutte le canzoni lo stesso taglio e rendendole quasi noiose. Bisogna ribadire comunque che tra canzoni cantate e strumentali lo stile è molto diverso... anche il sempre bravo Chirico perde qui il suo smalto e splendore, offrendo una batteria anonima e raramente ai livelli precedenti. Che dire: ....triste.

18

Page 19: Recensioni Prog Italia

TrysBALLETTO DI BRONZO

1. La discesa nel cervello2. Tastiere isteriche3. Marcia in sol minore4. Donna Vittoria5. Optical surf beat6. Introduzione7. Primo incontro8. Secondo incontro9. Terzo incontro ed epilogo10. Technoage11. Love in the kitchenSirio 2222" is the debut album by Balletto di Bronzo from 1970! Their second album "Ys" is an italian progressive masterwork album. Balletto di Bronzo released it in 1972! The remastered edition is now available as a midprice CD. "Trys" is the latest release from Balletto di Bronzo: a superbe live recording from 1998.

Balletto di Bronzo has recently reformed with the following line-up: Gianni Leone (keyboards, vocal), Alessandro Corsi (bass) and Riccardo Spilli (drums). The new Balletto di Bronzo performed two concerts in Japan in September 2002:Saturday 14 September, 2002 >> at Kitijyoji Star Pines Cafe, TokyoSunday 15 September, 2002 >> at Sakuranomiya Batabata de la Salsa, OsakaMore concerts are scheduled for March 2003 in Mexico:March 1-5, 2003 >> Chihuahua and Mexico City

Sirio 2222BALLETTO DI BRONZO

1970

Dal punto di vista del rock progressivo questo disco ha poco da presentare in quanto si possono citare solo due canzoni: "Ma ti aspetterò" e "Meditazione". Visto però sotto il profilo di un disco post anni '60, pieno periodo di sbandamento musicale, questo LP è a dir poco sensazionale: ...un vero capolavoro basato su ritmi cavalcanti e sempre tiratissimi con testi che non esitano ad essere anche irriverenti. Della formazione di "YS" c'è Lino Ajello e Giancarlo Stinga, qui insieme a Marco Cecioni (voce/chitarra) e Michele Cupaiolo (Basso).Le canzoni migliori: tutto il primo lato da cui spunta la grandiosa "EH EH AH AH": ( ...lungo la strada ho visto mille ragazze, e certo una starà bene con me...eh eh ah ah... ) "Girotondo" e "Ti risveglierai con me".Procuratevelo se siete amanti delle atmosfere rockettare tipo Biglietto Per L'Inferno.

CD

19

Page 20: Recensioni Prog Italia

YSBALLETTO DI BRONZO

1972

Secondo me uno dei migliori dischi progressive italiani di tutti i tempi.Uno stile molto personale e molto spigoloso... penso di poter dire tranquillamente che questo è forse il disco più Hard progressive italiano. Bellissimo inizio con "Introduzione" con la caratteristica voce di Gianni Leone e le sue tante tastiere sempre in primo piano. Alte tensioni musicali nel resto del disco e nella mia favorita "Secondo incontro". Grandi stacchi anche in "Terzo Incontro". In "Introduzione" c'è una piccola contraddizione nel testo: La voce narrò all'ultimo che, sul mondo restò... e poi comandò di andare dai suoi......ma non era l'ultimo ??? Questa è comunque una piccola pignoleria...Nella versione CD è presente anche la bonus track "La tua casa comoda" , un po' più soft ma sempre molto bella.Consigliato.* * *Dà un tantino l'idea della Divina commedia la serie di quadri che compongono l'album: "Primo incontro", "secondo incontro", ecc., e l'originale miniaturismo delle pagine interne della confezione, ma Dante Alighieri non è stato scomodato, ed il Balletto di bronzo ha creato, al di là dei riferimenti culturali che non ci sono e al di là dei testi, un album musicalmente ottimo, grazie ad un ritmo sorretto da una vitalissima sezione che non cade mai nell'hard rock, e grazie alle numerosissime tastiere di Gianni Leone, che opera al piano, all'organo, al mellotron, alla celeste, alla spinetta ed al Moog.Il Balletto è stato uno dei primo gruppi in Italia a portare avanti un discorso nuovo, ma come quasi tutti i gruppi nati intorno al 1968-69, hanno incontrato difficoltà insormontabili per sfondare, al contrario dei più fortunati gruppi del periodo immediatamente successivo. Il gruppo napoletano ha ora le carte in regola per un successo di gran lunga più ampio, e l'album "YS" è un primo esempio di capacità e di idee che sicuramente possono essere potenziate e sviluppate.Da un punto di vista strumentale, il Balletto si presenta omogeneo e tecnicamente dotato, specie quando l'atmosfera si fa lievemente jazzata, ed assai pregevoli sono i passaggi alle tastiere, ad esempio nella seconda parte della lunga "Introduzione", e nella porzione a cavallo fra il "Secondo" ed il "Terzo incontro" e nell'"Epilogo". Anche i testi sono interessanti, ma per il Balletto vale la legge della difficoltà di accoppiare la lingua italiana con il ritmo del rock, che sembra nato apposta per le lingue anglosassoni. E' forse l'unico neo del gruppo di "YS" come di tante altre formazioni, in parte sormontabile soprattutto se si pensa che la musica esclusivamente strumentale non è più tabùEnzo Caffarelli

CD

20

Page 21: Recensioni Prog Italia

Darwin!BANCO DEL MUTUO SOCCORSO

1972 -2

Questo disco è sicuramente uno dei miei preferiti!!!Grandiose atmostere nella lunga "L'evoluzione": divisa in più parti trova l'apice massimo in un pazzo incrocio di moog che ribadisce senza mezzi termini la grande bravura sia come esecutore che come compositore di Vittorio Nocenzi. Incredibile "La conquista della posizione eretta": una prima tiratissima parte strumentale con strani effetti e una seconda tranquilla. Da sottolineare il bel testo perfettamente studiato per la voce di Di Giacomo che affascina nel finale e dove l'aria in fondo tocca il mare lo sguardo dritto può guardare. Intervallo jazzy nella "Danza dei grandi rettili" seguita da "Cento mani e cento occhi" fino ad arrivare a "750.000 anni fa...l'amore" : un classico del gruppo. Singolare ed originalissimo il testo: parla di un preistorico amante che spia la sua bella che sogna di conquistare non nascondendo però la paura da essere rifiutato. Segue "Miserere alla storia" con un incredibile e potentissimo intermezzo di pianoforte!Chiude "Ed ora io domando tempo al tempo...": stilisticamente diversa dalle altre canzoni del disco ma con una bella parte di clavicembalo ed uno strano effetto scricchiolio della ruota del tempo che passa. un MUST ! Ascoltare per credere!* * *Contro tutti coloro che fanno dell'album a concetto unico un paravento per mascherare la propria carenza creativa specie sul piano dei testi, e contro quelli cha pure in buona fede hanno denunciato paurosi limiti in tal senso, in Italia ed all'estero, il Banco al suo secondo album offre un'opera perfettamente compiuta che ad ogni istante sa offrire prospettive convincenti, emozioni nuove, e coinvolge l'ascoltatore ponendolo di fronte ai grandi dubbi della vita con gusto semplice, intima necessità e squisita poesia.La celebrazione di un genio della scienza, l'inglese Charles Darwin, padre dell'evoluzionismo moderno, non è che il pretesto per riproporre in un mirabile affresco di colori l'eterno dramma dell'esistenza. I musicisti hanno cercato di immedesimarsi nel sentimento dell'uomo nel corso della sua evoluzione, ed ogni tappa del processo storico trova simbolico riscontro nella vita dell'individuo, idi ogni tempo.Il concetto di evoluzione biologica esprime il fatto che tutti gli esseri viventi discendono, con più o meno vistose modificazioni dovute all'adattamento all'ambiente, alla lotta per la sopravvivenza ed alla riuscita degli individui più idonei, da organismi preesistenti. L'uomo in particolare deriverebbe dalla scimmia, ed è per questa asserzione che Darwin è il più delle volte ricordato. L'evoluzione non esclude a priori l'opera creatrice di Dio e nei suoi aspetti meno radicali non è affatto inconciliabile con la dottrina cattolica. Il pensiero di Darwin fu a lungo avversato e combattuto; in America alcune leggi, poi abrogate, ne proibirono l'insegnamento nelle scuole. Forse per questo, come un po' tutti i precursori della scienza, Darwin viene scoperto ed amato dai giovani.Nel disco musiche e liriche si sviluppano in maniera organica, ma né le une né le altre sono condizionate reciprocamente e fra loro, cosicché ciascuno dei sette brani gode di una propria autonomia, e potrebbe costituire un momento a se stante. Ma soprattutto non ci sono edite enunciazioni della dottrina filosofica e scientifica: non aride descrizioni storiche, non parole pesanti, e forzatamente intellettuali, non citazioni rigorosamente scientifiche. Soltanto un viaggio intimo nel mondo degli uomini primitivi

CD

21

Page 22: Recensioni Prog Italia

sapientemente ricreato con le atmosfere inquiete e pregne della consapevolezza di una lunga ed estenuante guerra, la lotta dell'uomo come di qualsiasi altro organismo per la sopravvivenza, e la vanità di tutte le cose terrene, mirabilmente e drammaticamente sintetizzata dalla profezia di "Miserere alla storia": " Ma quanta vita ha ancora il tuo intelletto se dietro a te scompare la tua razza?".I testi, scorrevoli e mai complicati, sono importanti da una cura che a tratti può sembrare compiaciuta di una ricercatezza formale, ma che mai scende in fumosi barocchismi. Il gusto per l'immagine ariostesca, cara a Francesco Di Giacomo, giù esemplificata nei testi del primo album, e non soltanto per la riesumazione dell'Ippogrifo, torna puntualmente e possente, specie in alcuni tratti (- Informi essere il mare vomita, sospinti a cumuli su spiagge putride... - o - Alto,arabescando, un alcione stride sulle ginestre e sul mare... - da "Evoluzione"). Ma il punto più notevole da sottolineare è la struttura squisitamente armonica del testo, il rigido e mai forzato rispetto per la metrica, l'inserimento della parola tanto nei riffs serrati quanto nelle strutture melodiche a più ampio respiro.Senza ombra di dubbio il Banco va considerato il più italiano ed il più meridionale dei nostri gruppi d'avanguardia, perché ha saputo anteporre il sentimento alla ragione ed ha rispettato gli altri fondamenti imprescindibili dal gusto e dalla cultura tipicamente latina e mediterranea del nostro paese, rielaborandoli attraverso un linguaggio modernissimo.Così mentre gli Osanna e la Premiata stanno mostrando come in Italia si possa essere tecnicamente più preparati dei colleghi inglesi e contemporaneamente gettano le basi di un pop nostro ma internazionale, il Banco si muove su altro versante ed è lontano da qualsiasi modello straniero. In altri termini se Premiata ed Osanna vogliono riconquistare il pubblico che sinora ha seguito soltanto i gruppi stranieri. il Banco potrebbe avere la funzione di recuperare coloro rimasti legati ancora alla canzonetta. E questo non va ascritto a demerito del gruppo, perché il prodotto non è affatto commerciale nel senso deteriore della parola: è semplicemente universale, capace di raggiungere tutti perché massaggio dettato dal cuore, e come tale frutto della più nobile arte.Confrontato con il primo album, "Darwin!", oltre ad una generale maturazione di idee e di esecuzioni, offre un maggiore impegno a livello di composizione e di arrangiamenti. La liricità e l'organicità sono cresciute, e Francesco "Big" trova la sua più completa realizzazione vocale."Evoluzione", il pezzo più lungo, musicalmente ripropone la struttura dei migliori episodi del primo album: ritmi tipici accompagnati dal testo, e variazioni atipiche e fuggevoli, senza un definito tema conduttore, e proprio per questo ricche di fascino e dense di sorprese ad ogni riascolto. I ragazzi hanno confessato che parte delle musiche sono state improvvisate in sala di registrazione: ebbene nonostante questo mai il disco scade a livello di avventura o di approssimazione, ma rimane saldamente nelle mani di musicisti geniali che fanno di ogni parola, di ogni nota, perfino di ogni pausa dell'arte e particolarmente della poesia.Il testo è una presentazione dei concetti darwinisti e la narrazione dell'evoluzione organica dalla materia inorganica, e della conquista da parte della specie viventi dei tre ambienti naturali a disposizione, il mare inizialmente, la terraferma poi, il cielo aperto infine. Non è una battaglia contro la religione, ma semplicemente una demitizzazione della creazione biblica in senso letterale. La stessa Chiesa del resto ha rifiutato il creazionismo specifico allineandosi moderatamente con la dottrina evoluzionista.Armonie e melodie si succedono nel pezzo in sviluppi semplici ma imprevedibili, con una ricchezza interiore straordinaria. Sensazioni ed emozioni che non vogliono mai essere sforzi di abilità tecnica: e tutti gli strumenti trovano una propria dimensione giusta, dalla chitarra tipica di Marcello Todaro, all'organo di Vittorio Nocenzi ed al moog, per la prima volta impiegato dal sestetto ma con originalità e funzionalità, al

22

Page 23: Recensioni Prog Italia

piano di Gianni Nocenzi, che negli sviluppi melodici risente delle formazione classicheggiante, complesso ma lineare e mai involuto."La conquista della posizione eretta" è più cerebrale del precedente. Il desiderio di descrivere esaurientemente il paesaggio desolato delle origini si affianca alla ricerca di una dimensione drammatica che fa da teatro all'affannosa conquista. Il testo è breve e pregnante, due versi per inquadrare stupendamente lo scenario, e quanto basta per descriver il tentativo. Nella sua proiezione universale ed individuale la conquista della posizione eretta simboleggia la continua lotta per la gloria e per il potere nella società.Come altrove, ma di più in questo caso perché collocato in conclusione, il cantato svolge un ruolo accentratore, cioè riassume e dà senso al tutto, al contrario di numerosi altri artisti italiani che non riescono ancora a soddisfare diligentemente l'irrinunciabile esigenza di inserire le liriche nelle musiche.Forse per questo motivo la successiva "Danza dei grandi rettili" mi sembra meno significativa. E' un intermezzo jazzato, abilmente ideato ed inserito al punto giusto, ma senza eccessive pretese."Cento mani e cento occhi" potrebbe essere al contrario l'episodio più convincente, perché nell'impostazione dialogata, nell'orientamento melodico, nelle interpretazioni vocali di Francesco e di Vittorio, affiora il tentativo di riportare in un linguaggio attuale elementi della tradizione popolare e soprattutto lirica, notoriamente detestata dalla più giovani generazioni perché priva di aggancio con la realtà. E' l'embrione di una rock-opera, meglio di quanto gli stranieri abbiano sin ora fatto. La necessità di una dimensione visiva è stata comunque avvertita a tal punto dal Banco che, abbandonata l'originaria idea di rielaborare una tragedia greca, i ragazzi sono al lavoro per la sceneggiatura teatrale di "Darwin!". E sarebbe un vero peccato che - come annunciato - questo fosse l'ultimo album a concetto unico del gruppo, perché ciò è radicato nelle loro possibilità.Il testo introdotto da un sintetizzatore descrive la primigenia organizzazione tribale, la prima offerta di un "ritto" ad un altro che non sia uno scambio di violenze: l'uomo è combattuto fra l'unione che gli consente una vita più sicura e la perdita della liberà, amletico dramma che si rinnova nella nostra vita di ogni giorno."750.000 anni fa... l'Amore?" è il gioiello melodico della raccolta. Il piano sottolinea con delicatezza gli accenti tragici del testo, l'impotenza dello "scimmione senza ragione", consapevole della sua bruttezza e della sua incapacità (-la mente vuole, ma il labbro inerte non sa dire niente-), a possedere il "corpo chiaro dai larghi fianchi". Con un sapore vagamente leopardiano, Francesco ci regala una delle sua più struggenti interpretazioni, soffermandosi, al di là della tipicità della sua figura fisica, il primo grande personaggio vocale che la nostra scena di gruppi d'avanguardia abbia prodotto."Miserere alla storia", dal clima teso ed inquieto, con poche parole declamate conclude la descrizione e fa da premessa alla riflessione successiva. A cosa serve il progresso se la razza si estingue? E- traslato sul piano individuale - quanto giova lottare e soffrire per beni terreni se dietro ciascuno di noi è la morte?"Ed ora io domando tempo al Tempo ed egli mi risponde... non ne ho!" è un episodio a parte, sia per la struttura musicale che per il significato conclusivo dell'opera. Un valzerone popolare, una fisarmonica il clavicembalo, il clarino ed il cigolìo di una grande ruota che gira: è il tempo che inesorabilmente stritola l'essere vivente. L'uomo moderno proprio dal fenomeno dell'evoluzione acquista maggiore coscienza dell'infinta vanità e del trasformarsi di ogni cosa. L'estrema contraddizione è la ruota che gira senza perdere un colpo e la musica che la accompagna, una giostra antica ola pedana di un circo felliniano, con qual senso di malinconia infinita e quell'ironia della vita che tutti questi amari simboli rappresentano. La conclusione più giusta e più bella per questo capolavoro del Banco: - Ah! ruota gigante, perché dunque mi fai pensare se nel tuo tirare la mente poi mi frenerai -.Enzo Caffarelli

23

Page 24: Recensioni Prog Italia

Banco del Mutuo SoccorsoBANCO DEL MUTUO SOCCORSO

1972-1

Primo disco di una (lo dico senza problemi) delle mie BANDS preferite di tutti i tempi!!!Grandiose melodie e ritmi sfrenati che vedono trainanti le grandiose mani dei due fratelli Gianni e Vittorio Nocenzi e la caratteristica voce di Francesco Di Giacomo. Il disco delinea subito lo spirito stilistico della band rendendolo inconfondibile anche nei dischi successivi (o almeno in parte di essi).Pianoforti, clavicembali e organi Hammond sono sempre in primo piano ma con un grande feeling con gli altri strumenti. Purtroppo la qualità di registrazione del suono (anche su CD) non è delle migliori! "R.I.P.","Metamorfosi", "Passaggio" e "Traccia" sono brani che il banco esegue tutt'ora nei concerti .Commento finale: un MUST !* * *Nome, copertina ed etichetta originalissimi per una formazione romana sicuramente fra le più personali tra tutte quelle emerse alla ribalta nazionale nell'ultimo anno. Il loro organico presenta chitarra, basso, batteria, piano, organo (sono molto rari i gruppi con piano ed organo insieme, ricordi i Procol Harum che sono stati i migliori con le due tastiere), più un cantante eccellente, il panciuto Francesco Di Giacomo, dai toni vocali molto originali.L'album del Banco del Mutuo Soccorso è personale ed originale non solamente nel panorama italiano (sono compagni di management della Premiata Forneria Marconi, ma non le somigliano affatto). Ma non offre neppure facili agganci con gruppi stranieri, e questo per ovvie ragioni è un immenso bene. In fondo il sestetto ha superato a pieni voti il consueto "salto" che ogni gruppo italiano deve affrontare quando abbandona il repertorio inizialmente, di solito, preso in prestito dagli americani o dagli inglesi, ed entra in una fase assolutamente creativa e propria.Il Banco torna sul tema dell'uomo angosciato ed alienato di fronte alla realtà circostante, il tema che gli italiani hanno maggiormente affrontato negli ultimi tempi. Lo fanno con liriche simboliche molto belle, favolistiche, ariostesche forrei dire tenuto conto dell'accenno iniziale ad Astolfo e all'ippogrifo, sognanti, accoppiate con atmosfere melodiche e intimiste, con il piano sempre in bella evidenza, e con un organico complessivamente capace e creativo. "R.I.P." (Requescant in pace) e "Il giardino del mago" i pezzi migliori.Enzo Caffarelli

CD

24

Page 25: Recensioni Prog Italia

Io sono nato liberoBANCO DEL MUTUO SOCCORSO

1973

Questo disco parte un "Canto nomade" da 15 minuti : grandi momenti ma a volte l'atmosfera risulta troppo pesante!Segue "Non mi rompete": un altro classico del gruppo che a onor del vero non mi entusiasma più di tanto in quanto non è molto in linea con il resto delle canzoni. "La città sottile" evidenzia la grande tecnica di Gianni al pianoforte mentre "Dopo...niente è più lo stesso" è un qualcosa di incredibile: un inizio mozzafiato con grinta da vendere! Durante un'assolo di piano/moog viene anche ripreso un tema che era apparso nel "canto nomade". Chiude la bellissima "Traccia II".* * *Non è facile trovare le parole giuste per questo nuovo capolavoro del Banco. L'album è venuto fuori dopo un lungo lavoro di selezione tra il materiale che Vittorio Nocenzi e compagni avevano in mente; e questo comporta un maggiore equilibrio rispetto ai precedenti dischi, cioè uno svisceramento di ciascuna idea, superando la struttura collagistica apparsa di tanto in tanto nel primo LP ed in "Darwin!".Dunque i sei ragazzi (sette con l'aggiunta del chitarrista Rodolfo Maltese che ha affiancato con l'acustica Marcello Todaro) lavorano con lucida inventiva su parte delle loro numerose idee, senza per questo restare ancorati a schemi prestabiliti. L'album è un superamento soprattutto negli arrangiamenti, nelle trovate ritmiche e nell'uso dei sintetizzatore, al quale Vittorio ha dato una fisionomia precisa ed inconfondibile. Inoltre tutti gli strumentisti sono cresciuti, come la recente tournée ha confermato indiscutibilmente: e un cenno particolare merita il più giovane dei fratelli Nocenzi, il pianista Gianni, che esordisce anche nelle vesti di compositore.Un capitolo a parte anche per Francesco: "Big", al di là del personaggio, è un interprete raffinatissimo, capace di comunicare straordinariamente anche dai microfoni di una sala di registrazione. la sua recitazione possiede una spontaneità inimitabile, e la particolare impostazione contribuisce a far venire in mente certi elementi della musica lirica che il Banco è fra i pochi per non dire l'unica formazione italiana e non ad avere recuperato e riattualizzato alla luce de un linguaggio del tutto nuovo.I testi sono autentiche poesie, la lingua ricca e se vogliamo ricercata, quindi non sempre di immediata presa, ma nello stesso tempo talmente pregnante di significati che con un minimo di attenzione è facile apprezzarla ed innamorarsene.I brani di "Io sono nato libero" non costituiscono un disco a concetto unico, come per "Darwin!", tuttavia si articolano intorno ad un comune denominatore che è la ricerca della libertà: libertà che manca ai prigionieri politici ("Almeno tu che puoi fuggi via canto nomade, questa cella è piena della mia disperazione, tu che puoi non farti prendere. Voi condannate per comodità, ma la mia idea già vi assalta. Voi martoriate le mie sole carni, ma il mio cervello vive ancora... ancora"); che manca a chi è costretto a combattere ("Lingue gonfie, pance piene, non parlatemi di libertà, voi che io stramaledico"); che manca a chi vive nelle grandi metropoli disumanizzanti ("Qui il vento non soffia - rivive un'immagine di Cento mani, cento occhi - i rumori, ma c'è il silenzio che s scrivere nell'aria ferma. Sottile non città, fra i tuoi perenni grigi, sola").Inoltre le parole sono inserite nelle musiche pienamente, senza setti divisori. Insomma una grande opera: e se l'immagine del grasso Francesco e la sua umanità poetica

CD

25

Page 26: Recensioni Prog Italia

sono la prima cosa a balzare agli occhi ed a toccare il cuore, il gruppo dietro non resta in secondo piano. Sul piano ritmico non ha più nulla da invidiare a nessuno, sul piano delle invenzioni solistiche organo, piano e sintetizzatore, creano suggestioni ed emozioni continue, fuggendo complesse elaborazioni polifoniche, e senza concedersi momenti di pausa.Un breve cenno sui cinque brani che compongono il microsolco. "Canto nomade per un prigioniero politico" è una stupenda canzone "autunnale", per il clima crepuscolare e nostalgico che la pervade ("In questi giorni è certo autunno giù da noi, dolce Marta, Marta mia", come se per il protagonista, "prigioniero per l'idea", lo scorrere delle stagioni non avesse più senso). La seconda parte del brano è strumentale e sviluppa in particolare idee ritmiche, con l'aggiunta alle percussioni di Silvana Aliotta dei Circus 2000."Non mi rompete" è una breve ballata con la chitarra acustica in evidenza. Francesco si riscopre immaginifico discepolo ariostesco, mentre il suo impegno recitativo è maggiore ne "La città sottile", inserito in una dimensione trasognata, da incubo felliniano, con il pianoforte protagonista assoluto. "La città sottile", composto da Gianni Nocenzi, è il brano musicalmente più difficile del LP."Dopo... niente è lo stesso" ripercorre tutta una serie di situazioni attraverso una curatissima strumentazione: l'impostazione lirica, la suggestione del dialogo, i personaggi diversi o dovuti alle diverse situazioni psicologiche che si accavallano e si confondono nel finale vortice di tristezza, ne fanno probabilmente il pezzo più significativo del LP. Come pure altrove, i ritmi anglosassoni sono calati in una sensibilità ed in una forma di tradizione tipicamente mediterranee, operazione comune anche a gruppi inglesi, vedi i Gentle Giant ad esempio.Infine "Traccia II" si ispira al tema che chiudeva il primo album del Banco: uno strumentale che nasce in sordina e poi esplode in un prezioso crescendo. Un disto che va ascoltato con molta attenzione, ma che consacra definitivamente - se ce ne fosse ancora bisogno - questo grandissimo gruppo.Enzo Caffarelli

Come in un'ultima cenaBANCO DEL MUTUO SOCCORSO

1976

Questo disco segna un piccolo cambiamento nello stile del gruppo: risulta un disco di minor impatto sonoro ma comunque molto gradevole.Spiccano "Il ragno" (tutt'ora in scaletta), l'inizio travolgente di "Voila' Mida" e la ballata acustica "La notte è piena". Chiude "Fino alla mia porta" che sarà estesa e rinominata nel successivo disco live "CAPOLINEA" (non recensito). Un gran bel disco ma con sonorità più soft.

26

Page 27: Recensioni Prog Italia

Garofano rossoBANCO DEL MUTUO SOCCORSO

1976

Disco colonna sonora del film "Garofano rosso" completamente strumentale trova secondo me i picchi più elevati nella grintosissima "Garofano rosso" (soprattutto nella seconda parte), nella "Passeggiata in bicicletta", nella bellissima "Tema di Giovanna" e nel "Notturno breve".Niente male ma lo consiglio ai fans scatenati.

...di terraBANCO DEL MUTUO SOCCORSO

1978

Altro disco strumentale dove la band viene affiancata dall "Orchestra dell'Unione Musicisti di Roma" diretta da Vittorio Nocenzi.I titoli/versi delle varie parti sono di Di Giacomo: Nel cielo e nelle altre cose muteterramadre,non senza doloreio vivoné più di un albero non meno di una stella nei suoni e nei silenzidi terra.

Bellissimo il tema ma a volte l'orchestrazione risulta un po' forzata! Comunque onestamente come disco strumentale lo preferisco a "Garofano rosso" soprattutto per l'entusiasmante finale di pianoforte di "Di terra".

Canto di primaveraBANCO DEL MUTUO SOCCORSO

1979

Qui la storia cambia...!Le sonorità cominciano a spostarsi sempre di più verso il pop e si salvano "Canto di primavera" , la bella "E mi viene da pensare" e "Lungo il margine". Il gruppo ha definitivamente abbandonato quello stile che lo ha reso noto nei primi dischi.

27

Page 28: Recensioni Prog Italia

Da qui messere si domina la valle...B.M.S. (91)BANCO DEL MUTUO SOCCORSO

1991 -1

In questi due "Da qui messere si domina la valle" vengono riproposti i primi due dischi completamente riregistrati con suoni moderni e batteria elettronica inserendo anche variazioni o ampliazioni ai vari momenti di assolo.Bella l'orchestrazione in "Passaggio" e in "750.000 anni fa...l'amore".Io preferisco gli originali...ma non sono male per un ascolto occasionale

Da qui messere si domina la valle...DarwinBANCO DEL MUTUO SOCCORSO

1991 -2

vedi sopra

NudoBANCO DEL MUTUO SOCCORSO

1997

Questo doppio "Nudo" è diviso in tre parti: una nuova canzone da 15 minuti initolata "Nudo" , una parte 'unplugged' e una parte 'live'.Non male la nuova traccia "Nudo" anche se improntata in maniera leggermente più moderna e quindi diversa dalle migliori canzoni del gruppo. Nella parte 'unplugged' vengono riinterpretati i vecchi cavalli di battaglia con 2 chitarre acustiche e un pianoforte.Grandioso il risultato!!!!La parte 'live' occupa completamente il secondo CD.Impressionante la sonorità, la precisione e la grinta con cui vengono eseguiti i pezzi , contando anche l'assenza di Gianni Nocenzi! "La conquista della posizione eretta" e "Metamorfosi" incoronano indubbiamente Vittorio Nocenzi come uno dei più grandi musicisti italiani presenti sulla scena. Alta tensione anche in "Roma/Tokyo" e "Traccia". SUPER CONSIGLIATO.

28

Page 29: Recensioni Prog Italia

Il tempo della seminaBIGLIETTO PER L'INFERNO

Onestamente sono rimasto un po' deluso da questo seguito!!! Ci sono ancora dei bei momenti, soprattutto nella title track, ma spesso il gruppo si rifugia in passaggi pop.Bella "Vivi lotta pensa" e "L'arte sublime di un giusto regnare"

Biglietto per l'infernoBIGLIETTO PER L'INFERNO

1972

Altro bel disco italiano anche se magari un po' più orientato verso l'hard rock che al progressive.Belle "Confessione" un lungo dialogo tra una specie di Robin Hood odierno che ruba ai ricchi per dare ai poveri e un prete con un bel intervento di pianoforte e coro finale, "Una strana regina" con Hammond e moog sempre in evidenza, "Il nevare" che alterna parti soft e tirate sfilate di moog e chitarra distorta, e la lunga "L'amico suicida". Un gran bel disco: sicuramente consigliato agli amanti delle sonorità leggermente più spostate verso l'hard rock.

29

Page 30: Recensioni Prog Italia

BLUE MORNINGBLUE MORNING

1973

i Blue Morning sono un gruppo romano avviato al jazz d'avanguardia, da parecchio tempo in anticamera: finalmente esce il loro primo album, che coincide però con uno sfaldamento parziale della formazione. Resta il documento, il "risultato di una ricerca musicale condotta per molto tempo in modo del tutto autonomo e non senza sacrifici vari", come gli stessi ragazzi del gruppo scrivono nelle note di copertina.

Una ricerca che pone i Blue Morning - quattro elementi più uno, Alvise Sacchi, addetto ad "aggeggi vari" e disegnatore della copertina - all'avanguardia in Italia. Maurizio Giammarco, sassofonista flautista e pianista, ha suonato con noti jazzisti. Roberto Ciotti, musicista preparatissimo, è il chitarrista che Alan Sorrenti avrebbe voluto con sé nell'ultimo gruppo la scorsa estate. Tutti insieme hanno partecipato alla realizzazione in sala di dischi di colleghi, come "Alice non lo sa" per Francesco De Gregori.

Il loro è un jazz personale, lontano dai modelli inglesi più imitati: un jazz ricco di spunti creativi e sufficientemente comunicativo, senza sbavature, con spazio per tutti gli strumenti e nel medesimo tempo senza noiosi assoli.

L'album è strumentale, e cinque sono i brani dai titoli molto originali: "Danza del palombari lottatori", "Panini volanti", "Farfalle nella pancia", "Belmont Plaza" e "Una sera di luglio, in città, dopo una cena col morto": per i quali non è sempre facile trovare il nesso logico con la musica, ma è comunque piacevole la distinzione dai soliti incubi, risveglio, sogno, realtà, visione, illusione... che rappresentano la trovata a senso unico per molti gruppi italiani minori.

Un'ennesima prova, quella dei Blue Morning, che la musica in Italia ha uomini validi, e che sono soprattutto le strutture, e semmai l'educazione artistica del pubblico a mancare.Enzo Caffarelli

30

Page 31: Recensioni Prog Italia

Campo di MarteCampo di Marte

1973

Negli anni '70, tanti furono i temi di discussione che sfociarono magari in motivo di protesta o che presi come puri ideali, suscitarono emozioni tali da formare veri e propri movimenti di gruppo. Alcuni di questi si sono persi lungo il cammino del tempo mentre altri sono rimasti vivi e sono arrivati fino ad oggi. Uno di questi, che maggiormente ha meritato attenzione, era (ed è) il tema della pace.Non so se il nome del gruppo includa il mitologico dio della guerra proprio come manifesto di offesa e lotta, ma i testi e le atmosfere trasudano di questi ideali.Strana la scelta dei titoli: è una numerazione in tempi (dal primo al settimo), quasi a richiamo classico.E' lampante la voglia del gruppo di proporre un lavoro variegato ed originale: molte composizioni (come ad esempio "Primo tempo") si snodano su più temi, leggeri e pesanti, acustici ed elettrici, lenti e sfrenati; ci si scontra con atmosfere estremamente tirate (...quasi da campo di battaglia...) con chitarre distorte in primissimo piano accompagnate da lunghe cavalcate di basso e batteria intrise di ottime tastiere, e magari di lì a poco i flauti intrecciano con i corni un sottile mosaico di note quasi da "Quiete dopo la tempesta" (si vedano anche "Secondo tempo" e "Quinto tempo").Bene in vista anche alcuni accenti al di fuori del progressive: "Quarto tempo" ha un'impronta nettamente classica mentre "Settimo tempo" quasi jazz, almeno in alcune parti. Anche alcuni interventi di chitarra non si possono, secondo me, catalogare propriamente rock e si nota già dal primo ascolto una marcata differenza tra la chitarra acustica, sempre lineare, precisa e pulita, e la chitarra elettrica, dirompente, potente e, in alcune parti, fin quasi maltrattata. Basta sentire l'inizio di "Terzo tempo" (la traccia migliore insieme a "Settimo tempo"): un indiavolato assolo iniziale, caotico e perfezionista allo stesso tempo, che introduce al bellissimo cantato con ottima parte di pianoforte. Da segnalare inoltre il grandioso assolo centrale che richiama l'energica grinta iniziale.

Ricordo quel prato coperto di fiori ......e vedo quel luogo, migliaia di croci ...Un disco valido, che deve molto alla grande tecnica dei componenti!Consigliato.

31

Page 32: Recensioni Prog Italia

CELESTECELESTE

1976

Le sonorità di questo disco sono sempre molto soft ma sprigionano in vari momenti delle sensazioni uniche. Oltre ai classici strumenti, vengono usati xilofoni e flauti.Bellissime "Principe di un giorno" e "Favole antiche". Forse il fatto che l'atmosfera rimane sempre su certi canoni rende difficile l'intero ascolto.Comunque consigliato

MelosCERVELLO

1973

Melos è il personaggio della mitologia greca che rappresenta il canto, ed è il protagonista di questa ricostruzione del clima della tragedia e del mito che il Cervello ha voluto offrire al suo esordio.Il quintetto napoletano usa un linguaggio volutamente ricercato, arcaicizzante fino all'esasperazione, ma immediato, senza rifiniture barocche, costituito di immagini rapide e folgoranti, una descrizione verbale tesa a provocare, secondo il programma dei musicisti, visioni altrettanto immediate nell'ascoltatore. Le parti cantate sono porzioni di un tutto musicale, senza interrompere lo svolgimento armonico del brano: c'è una sapore dodecafonico e di antichi canti che si mescolano e rendo l'operazione difficile e particolarmente interessante, anche se dura al primo ascolto.Musicalmente il Cervello presenta una certa autonomia dai modelli stranieri: è forse un momento di sintesi delle cose migliori offerte dal panorama italiano, dalla PFM al Banco, agli Area; soprattutto agli Osanna, cui il Cervello è doppiamente legato: in quanto Corrado Rustici, chitarrista, è il fratello minore di Danilo, e perché lo stesso Danilo insieme ad Elio D'Anna sono stati i produttori dell'album e le attente guide del gruppo costituito da giovanissimi (età media diciannove anni).Il recupero della tradizione mediterranea, e greca in particolare, vuol essere un fatto ispirativo, non di ricostruzione neoclassica: anzi le figure di Euterpe, la musa del canto, o del Satiro, dello stesso Melos, ambiguo, portavoce delle contraddizioni della realtà di ogni tempo, sono osservate attraverso un diaframma critico. Del rito dionisiaco viene esaltata la potenza energetica, ma condannata la forma. Gianluigi di Franco (flauto e voce) e Corrado Rustici hanno composto i brani, anche se sul disco figurano due prestanome.Ci sono degli episodi acustici, tipicamente pastorali, come scenografia richiede, ma c'è soprattutto un rock-jazz libero, fluido, con atmosfere galattiche. L'uso del mandolino, del vibrafono e di vari tipi di flauto danno particolare ricchezza e corposità al suono. In alcuni brani si osserva proprio una crescita da momenti tradizionali verso la conquista progressiva di un linguaggio concettualmente più moderno.Enzo Caffarelli

32

Page 33: Recensioni Prog Italia

Cherry fiveCherry five

1975

Primo e unico disco di quelli che saranno i futuri Goblin: evidenzia le grandissime capacità tecniche dei componenti.Le sonorità ricordano a volte gli Yes dei dischi migliori ma con il grande pregio di non imitare mai , e ripeto mai, lo stile di Jon Anderson. Difficile dire cosa spicca...il livello è sempre alto...le canzoni sono sempre lunghe ed interessanti dall'inizio alla fine: Simonetti abbonda con Hammond, Mellotron e Rhodes, strumenti che non userà più di tanto nei seguenti dischi coi Goblin. Atmosfere sempre tirate in "Country Grave-yard"; bello l'inizio acustico in "The picture of Dorian Gray" con uno strano intreccio vocale all'interno; grandioso l'inizio di "The swan is murdered part 1" con un clavicembalo intrecciato ad un pianoforte che creano un sostegno incredibile per la voce di Tartarini; "Oliver" è la traccia più lunga del disco sempre spigolosa e comandata dall'Hammond di Simonetti. Chiude "My little cloud land": dall'assolo finale di moog (?) vibrato si può avere un assaggio del seguente stile Goblin.Un grande disco!!! CONSIGLIATO

El TorCITTA' FRONTALE

Onestamente non comprendo come due personaggi di spicco come Vairetti e Guarino che hanno creato parte della storia della musica italiana con gli Osanna siano riusciti a confezionare un disco del genere.Le melodie sono quasi da Santa Messa della domenica. Onestamente salvo solo "Duro lavoro".

33

Page 34: Recensioni Prog Italia

Aspettando GodotClaudio Lolli

1972 - Ciao 2001

E' piuttosto strano come con un vasto patrimonio tradizionale e con tentativi così numerosi, l'Italia abbia partorito negli ultimi dieci anni tanti cantautori sufficientemente apprezzabili, ma un solo indiscutibile genio e poeta, Francesco Guccini.Ed è a Guccini che Claudio Lolli si avvicina per formule musicali, per gli arrangiamenti scarni e semplici (che qui divengono comunque semplicistici) e per l'impegno ricercato dei testi. Con la differenza che quanto in Francesco è riflesso, implicito e pregnante di un provincialismo culturale che in fondo è proprio e tipico di quasi tutti i grandi artisti del nostro paese, in Claudio è denuncia esplicita e forzata, costantemente sull'orlo del luogo comune e di quella protesta politica che fa di tanti talenti degli uomini "impegnati" ma non degli artisti. E quanto in Guccini è spontanea descrizione di moti del cuore e di paesaggi naturali, in Lolli è frutto di esperienze personali nelle quali la costante ricerca di un'assoluta sincerità merita sicuramente una lode, ma risente qua e là di un notevole sforzo espressivo.Ciò non significa affatto che il discorso artistico di questo giovane cantautore sia sbagliato o, quel che peggio, sia assente. Tutt'altro. Solo che non c'è bisogno di scomodare Guccini, come taluni hanno fatto, per paragoni dai quali nessuno dei due può trarre giovamento alcuno. In fondo Lolli è un personaggio estremamente sincero, e come tale non va considerato secondo a nessuno: però forse non basta essere se stessi per essere dei grandi artisti.Claudio deve amare profondamente Samuel Beckett se ha intitolato il primo brano e l'intero album "Aspettando Godot". Oppure ha trovato estremamente giusto, per ciò che complessivamente vuol dire con questa sue esperienza discografica, la satira del commediagrafo irlandese, per entrare nei panni un po' scomodi di Vladimiro e di Estragone a confessare l'inutilità della propria esistenza nell'attesa di qualche cosa di superiore. "Aspettando Godot" è il brano più complesso e più valido dell'album, seguito a ruota da "Borghesia", musicalmente un buono folk italiano, con un quadro davvero tragico dei certa borghesia. poi "L'isola verde" e "Angoscia metropolitana". Le altre sembrano le poesie d'amore scritte nella prima giovinezza e musicate con l'ombra di Luigi Tenco in mente.Il tema fondamentale resta l'inutilità della vita: il risultato cui, sfruttando i suoi principi marxisti, Lolli giunge conseguentemente attraverso un'amara ironia della vita con una continua, elementare ma significativa, confessione.Ciò che resta di questo disco è l'analisi psicologica del personaggio, la vicenda dell'"uomo" non in termini astratti e generali come hanno fatto sinora troppi gruppi italiani con testi talora infelici, ma composta con un mosaico di ricordi, impressioni e sentimenti personali; e restano in mente i brani più belli, da canticchiare scoprendovi magari, inaspettatamente, la problematica che qualcuno di essi pone.La strada è quella giusta: ricordiamoci però che ci sono altri talenti da scoprire, senza accontentarci di figure mediocri o di doppioni. Lolli non è fortunatamente né l'uno né l'altro, ma non possiede neppure l'altezza lirica e la maturità dei migliori. Un esordio in ogni caso degno di menzione.Enzo Caffarelli

34

Page 35: Recensioni Prog Italia

Volo magico n. 1Claudio Rocchi

1971 - Ciao 2001

Claudio Rocchi è il cantautore più nuovo ed interessante che la scena italiana abbia espresso da un anno a questa parte. Claudio è partito contemplando ancora modelli nazionali e stranieri, come è in pratica inevitabile oggi per un cantautore, ma ormai è riuscito ad esprimere pienamente se stesso, a trovare un equilibrio eccellente fra musiche e testi: le musiche molto scarne, incisive, un piano leggiadro e creativo, una ritmica in sottofondo, due o più chitarre a dialogare in primo piano; i testi chiari e sintetici, provocanti, spesso sognanti, che comunque sanno darci l'esatta immagine del Rocchi-uomo, stravagante pacifista genuinamente ispirato ma utopista come tanti altri.

"Volo magico N. 1" è il secondo album di Rocchi, dopo "Viaggio", e doveva originariamente essere doppio. Vi figurano parecchi nomi dell'ambiente milanese che cominciano a farsi notare, come i ragazzi del Pacco. Cito fra gli altri il piano di Eugenio Pezza, e le chitarre di Alberto Camerini e Riki Belloni.

Claudio è dolce ed intimista in brani come "La realtà non esiste" e "Tutto quello che ho da dire"; il suo linguaggio si fa più urlato ed esasperato nella lunga "Giusto amore". La seconda facciata è occupata interamente dal pezzo che porta il titolo dell'album, composizione eccezionale dall'atmosfera a tratti pseudo-orientale, ma a base di semplici percussioni di chitarre acustiche, e di cori sino all'entrata del mellotron e della chitarra elettrica nella parte finale.

Molto belle le parole, non riportate nella copertina, ma facilissimamente comprensibili dalla limpida collocazione della voce nel sound del disco. Ecco alcuni stralci: "...c'è sempre tempo per cantare... poi puoi andare dove vuoi, poi puoi esser come vuoi, poi puoi stare con chi vuoi poi puoi prendere o lasciare, poi puoi scegliere di dare... ".

Mi piace soprattutto "La realtà non esiste": "Quando stai mangiando una mela, tu e la mela siete parte di Dio; quando pensi a Dio sei una parte, di ogni parte niente è fuori da tutto; quando vivi tu sei un centro di ruota, e i tuoi raggi sono raggi di vita; puoi girare solo intorno al tuo perno o puoi scegliere di correre e andare; quando dormi tu sei come una stella e il respiro è come fuori dal tempo; quando ridi è come il sole sull'acqua, sai che farne della vita che hai; quando ami tu ridono al tuo corpo quel che manca per riempire un abbraccio; quando corri sai esser lepre e lumaca, se hai deciso di arrivare o restare; quando pensi stai creando qualcosa, l'illusione di chiamarla illusione; quando chiedi tu hai bisogno di dare, quando hai dato hai realizzato l'amore...".

Enzo Caffarelli

35

Page 36: Recensioni Prog Italia

La norma del cielo (volo magico n. 2)Claudio Rocchi

1972

Due mesi fa Claudio Rocchi tornava in Italia dalla sua esperienza indiana, giunta puntuale dati gli interessi artistici ed umani del cantautore milanese. Tornava anche con l'epatite virale, dalla quale fortunatamente si è rimesso.

Questo album è esattamente la prosecuzione del precedente, "Volo magico n. 1", considerato anche il fatto che quel primo doveva essere doppio, mutilato poi per ovvie controversie discografiche. Dunque buona parte del materiale qui raccolto era pronto da un anno almeno. Simile è l'impostazione dei brani, i brevi tratti cantati che focalizzano il pezzo, ed i lunghi episodi strumentali, gli stessi sono i musicisti partecipanti alle registrazioni, fra i quali Eugenio Pezza, Eno Bruce, Lorenzo Vassallo, Alberto Camerini.

L'album di Claudio contiene melodie fresche e dolcissime, anche se qua e là i periodi meditativi vengono un po' sacrificati alla creazione di una particolare concentrazion3e e di una particolare atmosfera; buoni i testi: il loro messaggio è semplice come il personaggio che gli sta dietro. Frasi come "vivi la vita vivendo la vita" hanno un significato profondissimo, ma che purtroppo può sfuggire ad una ascoltatore distratto.

Claudio è già molto conosciuto anche grazie alla rubrica radiofonica "Per voi giovani", e dunque quasi tutti lo apprezzano: pensiamo che questo LP piacerà a chi già lo stima, e riuscirà a convincere anche il resto del pubblico. La cosa più interessante, al di là delle influenze orientaleggianti, ci sembra la vena genuina del cantautore, che sa fare del folk con semplicità e poesia sulla base di un discorso prettamente italiano. Così in "La norma del cielo", "Storia di tutti", "L'arancia è un frutto d'acqua".S. R.

Profondo rosso - XXV anniversarioCLAUDIO SIMONETTI

2000

Raccolta di canzoni dei Goblin ed altri autori completamente risuonati e talvolta riarrangiati da Simonetti. Segnalo "Profondo rosso" con un ottimo scambio di assoli finale, "Tenebre", "X-files" e "Opera". Le canzoni sono comunque tratte da due compilation: X-Terror Files e Transilvania. ...molto spesso si sente la mano di un grande musicista...

36

Page 37: Recensioni Prog Italia

Corte dei MiracoliCorte dei Miracoli

1976

Disco di tardo progressive (76) per questo gruppo che presenta alla chitarra in "...e verrà l'uomo" e al banco di missaggio Vittorio De Scalzi dei New Trolls . De Scalzi darà a tutto il disco un taglio riconoscibile e molto simile ad Atomic System. Da segnalare il bell'inizio in "..e verrà l'uomo" e una sempre attiva presenza di pianoforte e batteria. Una pecca del disco è che a volte il gruppo si rifugia in passaggi magari già consolidati e non proprio originali.Il risultato è comunque tutt'altro che malvagio...anzi!Ne "Una storia fiabesca" l'apporto vocale ricorda vagamente Tagliapietra....un bel disco.

37

Page 38: Recensioni Prog Italia

Io non so da dove vengo e non so dove mai andrò. Uomo è il nome che mi han dato

DE DE LIND

1973

Corro il rischio di non trovare più che cosa scrivere intorno ai gruppi italiani, i quali nonostante il momento buono più volte sottolineato, si ripetono in una maniera incredibile.

Dopo il successo clamoroso e, per la maggior parte dei casi, meritato, di alcuni gruppi nostrani, le case discografiche ed i managers, fino a quel momento drasticamente chiusi ad ogni tentativo di novità, ad ogni esperimento che portasse una ventata di freschezza all'asfittico panorama italiano, hanno creduto di scoprire l'oro e si sono buttati a testa bassa sul materiale giovane, spendendo tempo e danaro sull'etichetta "underground italiano" (ammesso e non concesso che buona parte delle persone che in Italia tengono in mano il mercato discografico, siano in grado di selezionare il buono dal cattivo, e di distinguere ciò che non capiscono da quello che definiscono underground. Purtroppo la nuova generazione di tecnici e discografici giovani si sta imponendo solo lentamente).

E' un breve monito questo che vorrebbe richiamare ad una certa prudenza, a contenere un fenomeno che rischia la più ridicola delle inflazioni. Non è un discorso che serve ad introdurre specificatamente i De De Lind, gruppo nuovo che tutto sommato conosce il fatto suo e si esprime in termini accettabili, facendosi apprezzare moderatamente per questo suo esordio, senza raggiungere tuttavia traguardi troppo ambiziosi e lodevoli.

I De De Lind sono in cinque, con la tipica strumentazione ricchissima del nuovo prototipo di gruppo italiano: un cantante che scrive i testi e suona la chitarra acustica, due ritmi, due solisti che si alternano al flauto, al sax, al pino, all'organo, alla chitarra elettrica. Niente di nuovo sotto il sole: le solite melodie acustiche alternate a ritmi incalzanti e a brevi episodi di rock più duro, con testi difficilmente imponibili alle esigenze metriche delle melodie, e strutturati al solito modo ed introno agli stessi argomenti di introspezione personale che finiscono per essere fatalmente i più banali (benedetti ragazzi, sarete i duecentocinquantesimi ad usare titoli come "Fuga e morte", "Smarrimento", "Voglia di vivere", "E poi...", e meno male che non c'è accenno a "Sogno e risveglio", "Incubo" e "Illusione!").

Qualche influenza classicheggiante, e tante idee appena abbozzate ed ancora da sviluppare compiutamente. E' un album dal titolo chilometrico che ha la funzione principale di creare una base, sia pure con qualche trave traballante, per un edificio futuro forse ricco di buoni risultati. Tra le due facciate, migliore la prima.Enzo Caffarelli

38

Page 39: Recensioni Prog Italia

DEDALUSDEDALUS

1973

Per la neonata Tridenti esordiscono i Dedalus, Gia segnalatisi come una delle promesse più benne della scena italiana. Come altri nomi nuovi, il gruppo si muove nell'aera del jazz più vicino al rock, quello che in Inghilterra ha nome Soft Machine o Nucleus, in America Miles Davis, Weather Report, Mahavishnu Orchestra, Herbie Hancock.Il linguaggio dei Dedalus è a metà strada fra le due esperienze, ricco di immagini, ricercato nelle sonorità, e con risultati estremamente soddisfacenti fin dalla prima incisione. Sui quattro giuoca un ruolo notevole l'esperienza, essendo stati tutti più o meno, nonostante l'età (dai ventitré ai diciotto anni), impegnati in ambienti qualificati, come quello dell'elettronica, del jazz o del blues, al contrario di altri musicisti pur volenterosi, che giungono ad esperienze avanzate dopo anni di balera.Agli strumenti base, che sono batteria, basso, sax o chitarra e tastiere, si aggiungono il sint, varie percussioni, il contrabbasso e, la nota più curiosa, il violoncello - che il pianista Fiorenzo Bonansone inserisce spesso e volentieri tra lucidi assoli di sax - sonorità liquide di piano elettrico, voci elettroniche mescolate con gusto ed efficacia, e ritmi tribali realizzati grazie alla collaborazione di René Mantegna degli Aktuala.Musica cerebrale e difficile, ma variando timbri e strumenti conduttori, i Dedalus vogliono intenzionalmente prevenire questo pericolo. D'altra parte la musica si evolve, il rock e con esso il pubblico del rock tendono parallelamente a qualcosa di più significativo, a costo di qualche sacrificio di impegno nell'ascolto: i Dedalus lo hanno capito e non si preoccupano di venire incontro alla massa con facili concessioni. Ecco perché questo LP non è destinato al grande successo, anche se rappresenta un convincente esempio di come anche in Italia si possa suonare bene.Cinque i titoli: "Santiago", "Leda", "Conn", "CT 6" e "Brilla".Enzo Caffarelli

39

Page 40: Recensioni Prog Italia

Dolce acquaDELIRIUM

1971

Per chi è rimasto al "Canto di Osanna", devo immediatamente precisare che i cinque Delirium valgono assai di più, e che anzi sono sicuramente fra i nomi che danno maggiore fiducia e maggiore speranza per il futuro della musica italiana.

Dopo gli Osanna, anche i compagni di scuderia Delirium hanno costruito quello che in Inghilterra chiamano un "album concept", in altri termini una raccolta di brani legati da un tema conduttore: tema conduttore che è ancora una volta l'uomo, compresso dal particolarismo e minacciato dall'alienazione, in un viaggio di sensazioni che lo conducono dalla paura alla speranza, attraverso l'egoismo, il dubbio, il dolore, l'ipocrisia, la verità, il perdono e la libertà.

Musicalmente il gruppo preferisce una strumentazione acustica, basata sull'ottimo flauto di Ivano Fossati, l'autore più prolifico del quintetto, e sul piano di Ettore Vigo. Possiede inoltre più di una bella voce, elemento purtroppo assai raro fra i nuovi gruppi italiani, ed un'impostazione di base che consente loro di affrontare con felice risultato il jazz, con accenni alla musica sudamericana, e senza dimenticare nel frattempo un tipo di canzone che ricorda molto da vicino i migliori cantautori italiani.

Dopo il Preludio ed i primi due Movimenti, l'album offre un piacevolissimo intermezzo jazzistico. Il brano è dedicato a "Satchmo", "Bird, ed un altro indimenticabile amico", ma, come specificano le note dell'album, vuol essere puramente ispirato al mondo musicale del jazz, senza accenni espliciti allo stile di Louis Armstrong o di Charlie Parker.

la seconda facciata offre una prima parte volutamente semplicistica, quasi in corrispondenza con un sentimento quale la sincerità, mentre la musica si fa più complessa e violenta con "Johnnie Sayre", personaggio tratto dall'antologia di Edgar Lee Masters, la stessa che ha dato lo spunto a De André per il suo ultimo LP. La "Favola o storia del lago di Kriss" è un dialto immaginario fra la luna, il vento ed un lago che vorrebbe uscire dai propri argini per conoscere.

La conclusiva "Dolce acqua" è il ritrovamento della speranza alla fine del viaggio musicale, e gli autori puntualizzano che potrebbe essere intesa nella sua dimensione ecologica come riscoperta dei valori più puri della natura.

L'album mi sembra uni dei migliori italiani da un anno a questa parte. Anche i testi sono poetici ed incisivi. Non c'è proprio nulla in comune con i Chicago, i Blood Sweat & Tears ed i Colosseum, come un po' superficialmente scrive Lilian Terry per le note di copertina di "Dolce Acqua". Ma forse proprio qui è il bello; non c'è la solita imitazione del gruppo straniero, di fronte al quale si finisce fatalmente per fare una magra figura, ma c'è un discorso molto personale, forse ancora troppo poco elaborato e maturo, che porterà però sicuramente il gruppo a vertici altissimi.Enzo Caffarelli

40

Page 41: Recensioni Prog Italia

Lo scemo e il villaggioDELIRIUM

1972

A cavallo tra l'impegno della ricerca e il motivo orecchiabile, un occhio all'album "concept" ed uno alla sigla televisiva, ora privati di Ivano Fossati, i Delirium propongono questo secondo album a quasi un anno di distanza dal primo.Nella loro musica c'è sempre un non so che di indefinito: spunti jazzati, qualche passaggio ricco di gusto e raffinato, senza effettismi di sorte, e qualche rispolveratura delle cadenze e dei colori che hanno fatto, con "Jesahel" e compagnia bella, la fortuna del complesso genovese.Da quanto si capisce, il gruppo cerca di non deludere le sue schiere di fans. Tra un mellotron ed un piano jazzistico, tra un flauto dolce ed una chitarra acustica, la voce di Mimmo Di Martino, canta i testi brevi ma pieni di significato.Lo scemo del villaggio rappresenta il disadattato, l'escluso dal gruppo, dalla società, e secondo le note di copertina "il vero uomo, l'interprete autentico della saggezza naturale, nonostante le beffe di cui lo fa oggetto un villaggio i cui sapienti somigliano pericolosamente ad un branco di scimmie". Il personaggio non subisce passivamente, ma denuncia la falsità e la vanità del mondo che lo circonda, da cui la luce eroica che lo illumina e la necessità del conflitto sociale come insostituibile momento dialettico.Confrontando questo album con il precedente "Dolce acqua", si nota subito una differente distribuzione degli strumenti (in evidenza i sax, ad esempio), mentre la musica a tratti si rifà al precedente lavoro.Il gruppo riesce in definitiva ad essere originale, senza cioè ispirarsi a nessuno in particolare, ma si sente che è andato alla ricerca di un terreno personale, al di fuori di alcuni canoni tradizionali.Enzo Caffarelli

41

Page 42: Recensioni Prog Italia

DUELLO MADREDUELLO MADRE

1973

Si tratta di un quartetto composto dal chitarrista Marco Zoccheddu e dal bassista Bob Callero, che precedentemente avevano fatto parte degli Osage Tribe, più il sassofonista flautista Pippo Trentin ed il batterista Dede Lo Previte.

Per la produzione di Gian Piero Reverberi, il Duello Madre ha composto ed arrangiato i cinque brani in cui si nota una particolare attenzione per i gruppi jazz d'oltre Manica, e un allineamento con numerose altre formazioni italiane d'avanguardia.

La nascita di numerosi nomi sulla scia di un fenomeno generalmente di importazione, come molti sostengono ,è uno degli aspetti più sintomatici e nello stesso tempo inquietanti del mercato italiano. Lasciamo gli artisti liberi di suonare ciò che vogliono, però troppi fra di essi sono sfruttati dalle case discografiche, montati, abilmente manipolati e poi abbandonati. Finché mancheranno le strutture adeguate, in Italia c'è posto soltanto per pochi nomi: ed oltre ad una maturità a livello dirigenziale ed alla preparazione dei gruppi stessi, alludo ad altri problemi allarmanti, come la mancanza di locali adeguati ad ospitare concerti pop in Italia, e la mancanza di fiducia negli spettacoli dei nostri complessi da parte dei gestori e da parte del pubblico stesso.

Invece i gruppi nascono come funghi: per il Duello Madre vale il diritto d'anzianità, trattandosi di musicisti da tempo sulla scena, anche se battezzati con un nuovo nome. E la loro musica, un jazz ben costruito e non astruso, cioè comunicativo, è degna di lode. I brani migliori: "Aquile blu", l'unica con un testo, "Otto" e "Duello".Enzo Caffarelli

42

Page 43: Recensioni Prog Italia

Siegfried, il Drago e Altre StorieERRATA CORRIGE

1976

Tante cose si possono dire degli italiani ma non che siano delle persone prive di fantasie in quanto solo nell'ambito discografico sono state messe in musica le più disparate storie, in bilico anche tra sacro e profano. Tra i più singolari lavori va sicuramente ricordato anche questo disco che parla di draghi, mostri e cavalieri. Dal punto di vista musicale, i toni rimangono sempre sul piano acustico (tanto che le apparizioni della chitarra elettrica si possono contare sulle dita di una mano) ma con idee di base molto buone ed originali. Il tutto è inoltre condito con ottimi interventi di flauti, moog, pianoforte e strings di vario tipo. L'unica pecca sta in alcuni passaggi, rari per la verità, un po' prevedibili, già dal primo ascolto. Grandiosa la lunga "Del cavaliere Citadel e del drago della foresta di Lucanor", il pezzo migliore, e "Siegfried (Leggenda) e (Mito)". E' difficile proporre un paragone con altri gruppi e/o dischi acustici tipo Celeste o il primo Pierrot Lunaire; questo è sicuramente un disco molto gustoso e godibile, consigliato, però, a chi non cerca atmosfere elettriche e con distorsioni in primo piano. Nella versione cd è stata inserita anche la bonus track "Saturday il Cavaliere" cantata in inglese che mescola lo stile acustico di "Siegfried..." ad un ritornello orecchiabile quasi stile anni '80, con una buona ripresa dopo un autentico carosello strumentale.Secondo me è un disco valido

43

Page 44: Recensioni Prog Italia

Diario Di Viaggio Della Festa MobileFESTA MOBILE

1973

Unico disco per questo gruppo che propone un buon rock progressivo anche se leggermente più duro e spigoloso rispetto ai dischi sacri di questo genere. Il vero protagonista del disco è il pianoforte, sempre in primo piano, anche se non mancano comunque buoni inserimenti di clavicembali ed organi. Si inizia con "La corte di Hon", il pezzo più complesso del disco, poi "Canto" con una bella melodia cantata e un buon solo di Fender Rhodes. Segue "Aristea" che dopo un breve inizio fa spuntare una bella parte cantata, intervallata da bei clavicembali e string. "Ljalja" è uno dei punti migliori del disco: pianoforte sempre padrone della scena sia nel tirato inizio sia nella strofa che nella contorta parte centrale. Chiude la lunga "Ritorno", superiore nella prima parte e con finale ipnotico.Sicuramente consigliato agli amanti delle sonorità complesse alla Ys de Il Balletto di Bronzo anche se non siamo proprio a quei livelli. Devo dire comunque che alcune scelte di complessità, pur non essendo a livello esasperato, a volte risultano leggermente pesanti. Cito per questo la seconda parte di "La Corte di Hon". Devo dire che sono rimasto colpito in positivo da questo disco: sono presenti piccole pecche, forse dovute al fatto dell'esordio, ma tutto sommato il risultato è molto buono. Una parola anche sui testi che felicemente trovo adatti, mai banali e amalgamati perfettamente nel contesto musicale.Forse non una delle pietre miliari ma comunque un buon disco...almeno secondo me.

Topi o uominiFLEA

1972

Gruppo formato dai fratelli Marangolo, che faranno parte dei Goblin, Volpini, poi ne L'Uovo di Colombo, e Pennisi (anch'egli futuro Goblin dopo la partenza di Morante) per questo unico disco sotto il nome di Flea. Il sound è vario anche se si sconfina spesso nel rock, quasi hard, e certi passaggi mi ricordano chiaramente i primi dischi dei Black Sabbath con la mitica formazione Osbourne/Iommi/Butler/Ward. I punti deboli sono sostanzialmente due: i testi (anche se questo è il problema di molti gruppi italiani) e alcuni passaggi un po' ripetitivi. La canzone più originale è sicuramente "Sono un pesce" in cui la voce ha uno stranissimo effetto chiuso che sembra far uscire il cantato da una vasca d'acqua ... Bella anche la chitarra con effetto Octave in "L'angelo Timido" e le varie sfumature di piatti da parte di Agostino. Non è male anche se magari più spostato verso il rock che al progressive. Dopo questo disco il gruppo cambiò il nome in Etna e spostò il genere un po' verso il jazz pubblicando l'album Etna nel '75. Nel '71 era stato pubblicato un disco dal gruppo "Flea on the honey" (titolo identico) e nella formazione c'erano sempre i fratelli Marangolo e Pennisi (l'ho letto in un libretto dei dischi dei Goblin). Se qualcuno ne sa qualcosa mi scriva…

44

Page 45: Recensioni Prog Italia

Il vento ha cantato per ore tra i rami dei versi d'amore.

FRANCHI GIORGETTI TALAMO

1973

Il disco di un esordiente trio di chitarristi italiani si presenta in maniera curiosa e provocante , con la copertina che contiene viti, bulloni, puntine, molle, una manciata di terra e perfino un peperoncino verde, tutto vero, e con il discorso principale che concerne la situazione e le possibilità della musica italiana in questo momento.

Scrive nella presentazione del disco Roberto Dané, che è anche il produttore delle incisioni: "La difficoltà sta nel non rifare un qualsiasi disco americano o inglese, ma nel tenerne ben conto, perché, tramontati Puccini o Leoncavallo, la musica viene di lì, come son venuti i jeans, i capelli lunghi, le chitarre, le bombe, il pacifismo, la droga, gli hot pants di cagionevole ma contagioso gusto e tutte le altre porcherie-bellezze che ci manda zietta anglosassone tutte le mattine. Se poi la musica pop italiana è di derivazione angloamericana, chi se ne frega, l'ispirazione non paga diritto d'autore, ancora. Se poi si può stravolgere la fanfara dei bersaglieri o un vecchio canto alpino o l'inno americano per fare un giro di musica pop, ben venga, è un'operazione bieca e divertente e di tutto riposo per la coscienza".

Tale introduzione, che prosegue sottolineando la difficoltà dei testi in lingua italiana, serve tutto sommato a creare un alibi convincente per una eventuale imitazione dei modelli stranieri, che comunque in Franchi-Giorgetti-Talamo non è evidente e certamente non intenzionale. Danilo Franchi è di Fiume, Vittorio Giorgetti di Varese e Oliviero Talamo di Napoli, tutti e tre studenti universitari e studiosi di musica folk e classica.

L'album, registrato con l'aiuto di una sezione ritmica e dell'orchestra pittorescamente intitolata "Unione fraterna e artigiana", affronta un discorso esistenziale basato su quattro tempi: l'oppressione, la liberazione mancata, l'intolleranza e l'amore, ciascuno svolto in due o più episodi. I testi rivelano un notevole impegno poetico ed anche la musica riflette la necessità di recuperare con un linguaggio nuovo qualcosa della tradizione italiana, come hanno fatto, in un differente contesto, le Orme tanto per fare un esempio.

Non è musica progressiva e non c'è nulla di trascendentale, però è un disco degno di menzione nell'attuale panorama italiano.Enzo Caffarelli

45

Page 46: Recensioni Prog Italia

PollutionFranco Battiato

1972

Anche questo secondo "Pollution" è come il precedente un incrocio di synth, chitarre acustiche , batterie e VCS 3 ma stavolta dedicato al Centro Internazionale Studi Magnetici.Spuntano la bellissima acustica "Plancton" e la 'pazza' "Pollution" con il suo tormentone: 'Atomi dell'idrogeno, campi elettrici, ioni isofoto, bario, litio atomico, gas magnetico' e il 'principio di continuità' di Leonardo.Pazzescamente consigliato.* * *Dopo "Fetus", "Pollution" porta il nome dell'operazione ecologica alternativa condotta da Franco Battiato e dai suoi "cervelli manipolatori" lo scorso anno; riprende e racchiude in sé motivi biologici e scientifici e per intenzioni va sicuramente al di là del precedente, e pure nella sua struttura collagistica offre un prodotto piacevolissimo e provocante.L'impostazione del disco, tutti gli elementi di contorno, la stessa campagna promozionale impostata in termini negativi (la gente non ne può più e fa fermare l'artista più brutto, più buffone, più di cattivo gusto di tutta Italia, ecc.) sono decisamente "di rottura". La copertina rappresenta una delle mattonelle che servirono alla pavimentazione della piazza S. Stefano in Bologna, con un mezzo limone nel quale è stato conficcato un bullone, e l'album è sottointitolato "gesto sonoro in sette anni dedicato al Centro internazionale studi magnetici", partendo dallo spunto di un pazzesco "avviso" reperito ad Imola e riportato integralmente all'interno della copertina."Pollution" viene definito la trascrizione di un percorso musicale autolesionista, il gesto finale di un artista ingrato, il crimine lucido di un genio malato.Gli intenti dissacratori sono evidenti sin dalle prime battute, con la "fucilazione" delle "Leggende del bosco viennese" di Strauss e l'uso costante del sintetizzatore e dell'elettronica, con maniera molto più particolareggiata, descrittiva e funzionale di quanto Battiato non faccia nei suoi shows dal vivo. La musica elettronica è d'altra parte il giusto mezzo per accompagnare testi a sfondo biologico e talora fantascientifico; qui con un tocco in più di ecologia pura, come quando in "Plancton" si profetizza la progressiva trasformazione dell'uomo in pesce per sopravvivere all'estinzione delle risorse sulla terraferma.L'elemento portante del messaggio di Battiato è una denuncia molto cruda e senza frange retoriche, che invita l'uomo ad una maggiore responsabilizzazione e da una riscoperta di se stesso. "Ti sei mai chiesto quale funzione hai?" è l'enigma che egli si pone più volte nel corso del disco, tanto che poteva esserne il legittimo titolo. In più, come già nel primo album, affiora una vena melodica accattivante, che va dai tocchi brevi e significativi di "31 dicembre 1999: ore 9", forse una profezia della catastrofe universale, alla filastrocca araba di "Areknamess" (il cui testo per buona parte è italiano letto alla rovescia), alle voci filtrate delle allucinate composizioni spaziali di "Beta" o di "Ti sei mai chiesti quale funzione hai?" con un pianto continuo e dirotto.Anche gli strumenti, dal basso alla chitarra e al piano sono spesso filtrati e restituiti attraverso un VCS3. tutto sommato la ricerca elettronica che il compositore siciliano opera è originale per il nostro panorama, e sembra vicina a certe esperienze tedesche che prendono spunto dalla musica contemporanea e dai Pink Floyd ad esempio. Né le

CD

46

Page 47: Recensioni Prog Italia

costruzioni armoniche sono povere od effettistiche. In più, volente o nolente, Battiato ha dato un volto al suo personaggio, fattore importante nel momento dei David Bowie e degli Alice Cooper. Un solo pericolo: che dietro la maschera di Battiato, la maschera bianca (il "bianco come unica antitesi allo sporco chimico"), ci sia qualcosa di più della sua faccia.Enzo Caffarelli

FetusFranco Battiato

1972

Come si legge sul CD: 'Battiato sperimentale'... basta ascoltare questi primi dischi per convincersi della pazzia di certi individui italiani!!!!Se qualcuno non è ancora convinto consiglio l'ascolto di "Clic" (74) dello stesso Battiato....: pazzesco.Venendo a questo primo "Fetus", il risultato è un gradevole incrocio di synth, chitarre acustiche , batterie e VCS 3 per un disco che parla di formazione di cellule e feti. Spiccano "La cellula", "Fenomenologia" e "Mutazione".Questi primi dischi di Battiato sono stati completamenti rimasterizzati e sono disponibili anche ad un prezzo molto interessante : poco più di 5€!!Consigliato.* * *E' un disco davvero sorprendente questo "Fetus", considerato che il suo creatore ed interprete proviene dai canali tradizionali del discoestate e delle altre porcherie nostrane. Invece Franco Battiato, ventisette anni, siciliano di nascita ma trapiantato a Milano, proveniente dal cabaret e dal teatro, ora alla ribalta anche per avere posato per una pubblicità che ha suscitato un piccolo scandalo presso la redazione di un settimanale milanese, ha cercato di maturare nuove esigenze espressive in ambienti assai più stimolanti; ed è giunto in compagnia di un fantomatico supergruppo denominato Frankenstein, autore di tutti i testi qui contenuti all'etichetta (sic) Bla-bla."Fetus" (con feto di due mesi sulla copertina molto bella, dovuta allo studio al.sa.) utilizza essenzialmente musica elettronica, cogliendo l'idea dell'uomo quasi in uno stato di sospensione nella poesia dell'avventura esistenziale e del dramma futuro, fornendo sensazioni - precisano le note accluse all'album - sino ad ora sconosciute nell'orizzonte emozionale della musica.Tutti i titoli, "Una cellula", "Cariocinesi", "Anafase", "Mutazione", ecc. sono presi in prestito dal linguaggio biologico, e non è certamente un caso che proprio la biologia, scienza fondamentale dei giorni nostri e ricca di meravigliose e tremende prospettive per il domani si accoppi con l'elettronica, altrettanto capace per la propria strada di portare a nuovi e impensati vertici l'arte del suono,e nello stesso tempo capace di ucciderla.In questo disco l'elettronica (soprattutto dovuta ad un sintetizzatore ARP) si accoppia con melodie di stampo tradizionalmente italiano e ne escono momenti piacevoli e davvero originali per la scena musica italiana.Enzo Caffarelli

47

Page 48: Recensioni Prog Italia

Sulle Corde Di AriesFranco Battiato

1973

Terzo disco di Battiato e forse il più normale dei tre.Certo che parlando del suddetto autore il concetto di normale ha un suo chiaro significato. Comunque, il disco si apre con la lunga "Sequenze e frequenze" che occupa tutta la prima facciata dell' LP. Bella la parte cantata, sia nella melodia che nel testo, anche se poi i dieci minuti seguenti di improvvisazioni di xilofoni (o cosa diavolo sono ???) e chitarre con riverberi ed echi a manetta sono un po' ripetitivi. Segue "Aries" con un lungo intermezzo di sax quasi pazzo... Chiudono il disco "Aria di rivoluzione" e "Da Oriente a Occidente" su toni un po' più standard rispetto alle due precedenti...ripeto che lo standard è relativo, comunque.Onestamente sono rimasto un po' colpito da questo lavoro di Battiato: il livello è, secondo me, diverso dai lavori precedenti ed è presente un impegno nel creare musica, che sostituisce agglomerati di strumenti dove erano prevedibili (conoscendo il personaggio) rumori o synth sparati. Non so se sono riuscito a spiegarmi, ... mi stupirei nell' averlo fatto, visto di chi stiamo parlando. Consigliato.* * *Terzo album di Franco Battiato, e di sicuro il più interessante e maturo. Se con i precedenti, appigliandosi ad elementi ecologici e scientifici in genere, Franco aveva soprattutto curato propositi di distruggere, demistificare, con la muova opera - ed era ora -, la sua preoccupazione è quella di creare: creare una musica libera, "totale" per usare un termine caro a certi osservatori, che trova nell'elettronica la sua ragione d'essere.Musica biologica: Battiato non rinuncia a questa definizione, anche se si è staccato dalle tematiche precise di "Fetus" e di "Pollution". E stavolta la giustifica come "musica viva, tonificante, da respirare piuttosto che da digerire, specie di flusso capace di dare inedite, più vigorose pulsazioni all'organismo".Rispetto alle esibizioni dal vivo di quest'anno, direi che Battiato è più composto e maturo, e la sua ricerca più costruttiva, anche perché la sala di registrazione offre diverse garanzie da un qualsiasi palcoscenico. In ogni modo il repertorio è simile; specie la lunga "Sequenze e frequenze", che occupa la prima facciata, era stata più volte sperimentata in concerto."Sulle corde di Aries" (l'ariete è il primo segno dello zodiaco, quello che introduce la primavera) vuol essere un rito di purificazione e di liberazione, tramite il recupero del caprone divino. Qualcosa del genere aveva ispirato anche il Cervello nel PL "Melos". E il tentativo riesce, perché la musica è costantemente vibrante, di emozioni, come nei liquidi giuochi di tastiere nella parte finale della prima facciata, nella più policroma "Aries", con il tenore di Gianni Bedori in evidenza, o nella più melodica e tradizionaleggiante "Da Oriente a Occidente", con la chitarra di Gianni Mocchetti e l'oboe di Gaetano Galli.I pochi e brevi testi, compresi una poesia in tedesco, risaltano come antiche iscrizioni su lapide, circondati da echi soffusi e strane vibrazioni, ma tutta la musica ha un suo sapore ancestrale, ora più inquieto ora più sereno.Battiato è ancora del parere: "la musica ai non musicisti, la musica è di tutti". Non è il primo ad affermare una simile cosa senza passare per pazzo, né è stato il primo ad

48

Page 49: Recensioni Prog Italia

ipotizzarre quelle forme di happening in cui viene richiesta la diretta partecipazione del pubblico nel processo sonoro, che diviene perciò aperto, casuale, informe, facendo cadere qualsiasi barriera tra musicisti e non, tra esecutori ed ascoltatori.Il critico di musica elettronica Armando Gentilucci ha definito questa visione mistica della musica "mimesi terapeutica, compensazione psichica liberatoria, accettazione passiva del mondo, valvola di sfogo che dovrebbe essere morale, intellettuale e politica non meno che artistica, e che si scarica invece in uno choc dell'assurdo". In parole povere, chi dà alla non-musica un significato politico, sbaglia clamorosamente.I risultati ottenuti da Battiato sono stati sotto questo profilo disastrosi. Coloro che ebbero il coraggio di salire sul palco su invito dell'artista si saranno forse divertiti, non certo quelli rimasti ad ascoltare.In un disco come questo, viceversa, non c'è frantumazione del tessuto e voglia di distruggere, non c'è misticismo equivoco, culto della casualità ed esasperazione tecnocratica. C'è una costruzione metodica, centellinata, una operazione condotta con equilibrio: un po' come hanno fatto il maestro Riley e, sulla sua scorta, gente come Mike Oldfield, Bo Hansson ed altri, con maggiore fantasia di Battiato, ma anche con maggiore platealità.Battiato, che in fondo è una persona conscia dei propri limiti, entusiasta ma non ambiziosa, non vuol essere il Terry Riley di casa nostra. Piuttosto intende aprire gli orecchi degli italiani a un discorso più vasto, più o meno piacevole, più o meno fruibile, ma troppo importante per essere accantonato ancor prima di essere proposto.Enzo Caffarelli

"Clic"Franco Battiato

1974

L'improvvisazione è sicuramente l'ingrediente principale di questo album di Battiato. Basato al 90% su strumenti suonati dallo stesso autore questo disco offre i momenti migliori nelle varie parti di pianoforte, sia acustico che elettrico. Rare le parti cantate ("No U Turn"), scelta che non condivido visto la grande prestanza ed originalità vocale dell'artista. Penso comunque in una scelta dettata dallo stile un po' insolito del disco. Pazzia allo stato brado in "Rien ne va plus: andante" e nella radio-zapping "Ethika fon Ethica". Buoni momenti in "No U Turn" e nella quasi TangerineDreammiana "Propiedad Prohibida". Nella seconda parte di "Nel cantiere di un'infanzia" Battiato stupisce con una buona parte eseguita alla mandola.Sicuramente il disco più strano di questo autore. Non male ma lo consiglio ai fan, a chi già possiede i precedenti tre o a chi vuole comprare della pazzia a pochi euro!

49

Page 50: Recensioni Prog Italia

NudaGARYBALDI

1972

Commento di Nicola WiriGrande disco per un simpatico gruppo molto poco considerato ma con elementi validissimi come Bambi Fossati alle chitarre e Lio Marchi alle tastiere. "Maya desnuda" credo sia il pezzo più accattivante ma meno interessante, con il riff di chitarra pescato da "Nothing at all" dei Gentle Giant. Si rifanno di già con gli effetti con l'elettrica alla Frank Zappa nella breve seconda traccia per poi collegarsi alla stupenda e forse migliore di tutte "26 febbraio 1700". "L'ultima graziosa" corre sullo stile lirico e strumentale dei Led Zeppelin. Il secondo lato del disco è interamente dedicato alla suite "Moretto da Brescia" diviso in tre tracce di alto livello e cantate dal batterista; sono brani molto godibili su cui spunta il grande pezzo "Goffredo". La copertina ed i fumetti all'interno del libretto sono disegnati da Guido Crepax autore di Valentina.Disco molto importante e da non perdere.

AstrolabioGARYBALDI

1973

Due canzoni da oltre venti minuti in questo disco fortemente influenzato dalla chitarra di Jimi Hendrix. Bello il risultato, grazie soprattutto al grandioso chitarrista Bambi Fossati. La seconda traccia "Sette?" è stata registrata dal vivo.Raccomandato a chi vuole fondere Hendrix in un contesto progressivo.

50

Page 51: Recensioni Prog Italia

Terra in boccaI GIGANTI

1971

Toccata progressiva per il gruppo dei Giganti con questa Poesia di un delitto che seppur disco di passaggio in questo genere, merita di essere citato.Da segnalare la grande formazione con presenze di illustri ospiti, tra i quali Vince Tempera, che darà un ottimo apporto anche a livello di arrangiamenti, e Ares Tavolazzi. Il bello del disco è la variegata proposta musicale e la notevole grinta con cui vengono eseguiti certi brani, soprattutto negli stralci strumentali. Altro fattore da segnalare sono i testi: non a livelli eccelsi ma comunque validi. Il brutto, o meglio ciò che non mi entusiasma, è che certe narrazioni in dialetto siciliano appesantiscono non poco l'atmosfera. Bello l'inizio della seconda parte e l'acustica 'Tu pieno di sole, Lei bianca di sale...', anche se più cantabile e commerciale.Per come è impostato non si può dire che sia un disco dall'ascolto semplice in quanto la storia si snoda in un concept che necessita, se non altro, molta attenzione da parte dell'ascoltatore. La proposta è comunque buona e anche se non è uno dei miei preferiti, lo ritengo un lavoro valido.Se possibile consiglierei un ascolto prima del grande passo...

51

Page 52: Recensioni Prog Italia

I teoremiI TEOREMI

1972

I complessi italiano ancora non esistono per taluni, indaffarati nello scovare ed esaltare i più strani e sconosciuto gruppi stranieri, e propensi a snobbare e declassare qualsiasi cosa venga prodotta qui da noi. E' un discorso che poteva essere considerato valido fino ad uno, due anni fa. E' bene quindi presentare un po' tutti i nuovi gruppi italiani, che vogliono dire qualcosa di interessante.

I Teoremi si presentano con un quartetto tradizionale, ma non suonano il solito hard caotico: sperimentano atmosfere più impegnative, presentano una tecnica individuale e di gruppo non comuni, e offrono complessivamente un album intelligente ed accettabile.

Le parti cantate - questa osservazione ha un carattere generale - appaiono nei gruppi italiani sempre meno piacevoli dei corrispettivi inglesi, Il fatto è che la lingua italiana non è mai riuscita ad adattarsi, proprio per la sua struttura, al linguaggio del rock; da cui uno dei problemi fondamentali per la musica progressiva italiana, specie in un momento in cui tutti si stanno orientando verso testi significativi.

I Teoremi si avvicinano ad un certo gruppo di giovani artisti italiani, quello che fa capo ai Trip, al Rovescio della Medaglia, ai Garybaldi. Manca ancora loro un pizzico di originalità, che potrà essere acquisita con una ricerca protratta nel tempo.

Enzo Caffarelli

Il VoloIL VOLO

1974

Primo disco di questo grande gruppo ne mette subito in risalto lo stile singolare, pregevole e godibilissimo."Come una zanzara" e "La canzone del nostro tempo" sono le canzoni più tirate ed offrono, per così dire, un piccolo assaggio dello stile che sarà alla base del grande lavoro successivo. Bellissime "La mia rivoluzione", "I primi respiri" e "Sonno": più melodiche e cantabili ma mai banali! I bei testi (ad opera di Mogol) e le belle melodie fanno sì che già dopo pochi ascolti si riesca a canticchiare quasi completamente molte canzoni del disco....!!! Ritengo giusto sottolineare che in tutto questo lavoro c'è un taglio leggermente cantautoriale (per usare un termine suggerito dal caro amico Max, (ndM)), anche se onestamente la cosa è assolutamente a livelli accettabili, anzi interessanti. Non c'è niente da dire: il disco merita veramente anche se il mio consiglio è di procurarsi prima "Essere o non essere?..."

52

Page 53: Recensioni Prog Italia

Essere o non essere? Essere, Essere, Essere!IL VOLO

1975

Secondo disco di questo gruppo, ufficiale esecutore delle musiche del disco "Anima Latina" di Lucio Battisti (non a caso è stampato dalla NumeroUno e il testo di "Essere" è firmato da Mogol). Il sound è un incredibile incrocio tra progressive, jazz e fusion con sonorità raramente complesse ma mai banali. Onestamente sono rimasto molto colpito: il suono è sempre ricco e bello pieno: l'imponente uso di Fender Rhodes, Synth/Strings e chitarre filtrate con effetti strani (contando la presenza di Alberto Radius e Vince Tempera...) ne rendono piacevolissimo l'ascolto. Unica canzone cantata è, come detto sopra, "Essere" con la caratteristica di una voce filtrata e piena di effetti, a volte però sovrastata dal resto degli strumenti con conseguente difficoltà nella comprensione delle parole. Anche in "Gente in amore" e in "Canto di lavoro" è presente una sospirata vocalità che accentua il contesto musicale. Bella la batteria (sicuramente una delle cose più interessanti del disco) che a volte ricorda il furioso Chirico anche se molto meno assillante sul rullante e molto più enfatizzata sui piatti. Solo la grandissima "Gente in amore" e "Svegliandomi con te alle 6 del mattino" meritano l'acquisto del disco.Purtroppo la durata è breve: 30 minuti.Uno dei migliori dischi della scuola italiana.

53

Page 54: Recensioni Prog Italia

DNAJUMBO

1972

La biologia è di moda, e i Jumbo hanno intitolato il loro nuovo album con la sigla dell'acido desossiribonucleico che è alla base della moderna genetica. Il primo album, registrato un anno fa e messo in circolazione soltanto la scorsa primavera, me era parso mediocre. Il secondo invece giunge al momento giusto, e pone i suoi autori nella rosa dei più interessanti gruppi italiani.

Si tratta di un sestetto di musicisti piuttosto personali, anche se concentrati sul filone inglese, specie nell'uso della chitarra solista, tipicamente hard, e nella struttura dei brani che vivono più sulle prodezze dei singoli che sul risultato comune. Le parti vocali meritano due lodi: una prima riguarda la ricerca e lo sforzo di trovare una sufficiente corrispondenza tra rock e lingua italiana, superando la nota incompatibiltà, ed i risultati sono soddisfacenti; la seconda concerne la validità dei testi. Le esecuzioni sono buone, e probabilmente il gruppo esprime meglio dal vivo tutte le sue possibilità.

La prima facciata si articola su episodi di rock aggressivo, sui vellutati interventi flautistici di Dario Guidotti, che suona che l'armonica, e sulla voce grintosa, indubbiamente forzata, ma originale e mai sgradevole di Alvaro Fella, che è anche autore di quasi tutti i pezzi. I primi tre brani sono raccolti sotto il comune titolo di "Suite per il sig. K", dove K sta per arrivismo, perbenismo interessato, ipocrisia, corsa verso falsi ideali di vita.

La seconda facciata, musicalmente più varia, offre ancora testi sullo stesso argomento, il sentirsi vecchi precocemente per non essere all'altezza di rendersi utili a se stessi ed agli altri, per esempio. "Miss Rand" ha qualche lontana influenza di country americano, con un pianino western sullo sfondo. In "Hai visto" è l'organo in primo piano, mentre in "E' brutto sentirsi vecchi" sono la chitarra acustica e la voce di Alvaro a dominare. Enzo Caffarelli

54

Page 55: Recensioni Prog Italia

Vietato ai minori di 18 anni?JUMBO

1973

Jumbo al terzo disco, una prova importante e forse decisiva per il sestetto dopo il convincente "DNA", uscito più di un anno fa.

Punto primo, i testi. Logica reazione all'intellettualismo pedante, ai discorsi filosofici e cattedratici sull'uomo e sulla vita di troppi gruppi italiani, con i nuovi dischi si sta cercando di accoppiare alle musiche d'avanguardia testi altrettanto impegnati, ricorrendo però a situazioni ed immagini più concrete e vere, se vogliamo più autobiografiche, lasciando ai margini del proprio discorso il linguaggio aulico e poetico, per esprimersi in maniera più comunicativa e diretta.

Per i Jumbo il problema assume il valore tutto particolare, perché questo album, come il titolo indica assai bene, affronta tutti temi scottanti della via, estremamente comuni e nascosti d certo perbenismo farisaico, dall'ipocrisia e dal bigottismo di certi strati sociali: prostituzione, alcoolismo, droga, frustrazioni psichiche e sessuali, repressione infantile: sono gli argomenti intorno ai quali Alvaro Fella e compagni hanno articolato la loro opera.

fondamentalmente occorreva affrontare le diverse tematiche in modo significativo e pregnante, rifuggendo frasi fate o ingenue denunce superficiali, ma evitando nello stesso tempo prese di posizione categoriche o di soffermarsi in maniera compiaciuta in certe situazioni.

La via di mezzo è stata raggiunta: Alvaro canta ed urla (il suo è un autentico grido di disperazione) spesso in prima persona, soffrendo e vivendo intensamente ogni brano, e racchiudendo nelle ultime frasi il succo del disco: "Diciamo no, a ipocriti e borghesi, a chi è in malafede, a chi non sogna che ricchezza, ai falsi venditori di parole... ".

Punto secondo, la musica. I Jumbo tentano vie più difficili di quelle delle precedenti incisioni, impiegano in misura minore il flauto, che specie dal vivo costituiva l'elemento conduttore, e si sforzano di superare una costruzione armonica e timbrica semplicistica, o quanto meno prevedibile, proprio per accoppiare alle parole un clima di continua tensione, di inquietudine, di allarme. Non a caso uno degli episodi migliori del LP, "Gil", il brano contro la droga, viene fuori da una session che ha raccolto accanto ai sei Jumbo altri musicisti, i sintetizzatori E.M.S./A.K.S. di Franco Battiato e di Angelo Vaggi, e le percussioni di Lino Vaccina degli Aktuala.

La musica dunque è frastagliata, tortuosa, sofferta. Le tastiere di Sergio Conte svolgono sempre un ruolo di primo piano, e dal punto di vista strumentale i vertici della raccolta sono toccati nella seconda parte di "Specchio", in "Come vorrei essere uguale a te", nella simpatica "Il ritorno del signor K" dagli accenti grotteschi (esplicito il riferimento al precedente LP) e nella già citata "Gil", che costituisce soltanto una porzione della lunga jam registrata.Enzo Caffarelli

55

Page 56: Recensioni Prog Italia

l' uOvo di cOlomboL' UOVO DI COLOMBO

1973

Altro disco molto interessante con massiccio uso dell'organo Hammond. Lo stile di questo gruppo è un incrocio tra progressive e rock con qualche sfumatura jazz. Le sonorità sono le classiche degli anni '70 con abbondante uso di sintetizzatori e pianoforti, mentre mancano quasi totalmente (tranne, ad esempio, in "Visione della morte") le parti di chitarra. L'unica pecca del disco sta nella leggerezza dei testi, cosa che però viene nascosta o, meglio, parzialmente corretta, dalla forza trascinante delle atmosfere e delle melodie. Le parti migliori: la grintosa "L'indecisione", una bellissima "Io" con sfumature jazz, "Anja", "Vox Dei" e "Consiglio". Consigliato a tutti gli amanti del filone Testiere/Basso/Batteria.

Passio Secundum MattheumLATTE E MIELE

1972

Primo disco per questo gruppo che propone l'originale idea di mettere in musica la passione di Gesù Cristo secondo l'evangelista Matteo. Il gruppo alterna parti narrate tratte proprio dal "Vangelo secondo Matteo" e parti cantate leggermente riadattate. Gli interventi musicali sono sempre a sostegno del narratore e del cantante e vengono proposte atmosfere sempre tranquille e molto melodiose basate su chitarre acustiche, clavicembali, pianoforti e strings con l'unica pecca della breve durata. Il gruppo, per non proporre un disco da venti minuti, ha quindi inserito dei momenti strumentali che è brutto dirlo ma odorano da riempitivi e nulla più. Si veda in questo senso "I Testimoni". Ottime invece "Introduzione", "Il giorno degli azzimi", "Getzemani", "Il pianto" e "Il calvario". Strana scelta stilistica per "Giuda" che presenta una strana contrapposizione di strumentali Heavy Metal e cantati Jazzati. Se il gruppo fosse riuscito a far convivere maggiormente parti cantate e momenti strumentali, come è perfettamente riuscito in "Getzemani" e "Il re dei giudei", ne sarebbe uscito un grande disco. Onestamente non è male comunque... contando anche la bella idea di base.Io lo ascolto sempre volentieri!Nella versione cd è stata inserita anche la bonus track "Mese di maggio" che però suona in maniera molto più leggera.

56

Page 57: Recensioni Prog Italia

CollageLE ORME

1971

Primo disco progressive per questa band veneziana che entra con prepotenza in questo ambito con uno stile tutto suo basato su piano/organo/basso/batteria con qualche spruzzo di chitarra acustica e la voce molto strana di Aldo Tagliapietra. Spiccano "Era inverno", "Sguardo verso il cielo" , la pazza "Evasione totale" e "Immagini".Bello ma il meglio deve ancora arrivare.

Era molto tempo che in Italia si attendeva un disco veramente interessante. Fra i cantautori avevamo avuto solamente un superlativo Francesco Guccini ("L'isola non trovata"), mentre lo stesso Battisti ha per buona parte deluso con il suo "Amore e non amore". Fra i gruppi, dopo i tentativi degli esordient, fra i quali segnalai i Trip ed i Gleemen, ed i "ringiovanimenti" della vecchia guardia ("Id" della Nuova Equipe 84 contiene qualche spunto interessante), sono usciti i New Trolls con il loro "Concerto grosso", un medley gruppo-orchestra ad imitazione dei Deep Purple, ed i Formula Tre con il loro secondo LP. Ma questo album delle Orme mi sembra fra tutti decisamente il migliore.

"Collage" premia gli sforzi di uno di quei gruppi nostri che fin dall'inizio hanno cercato strade nuove, handicappati tuttavia dalla necessità dei 45 giri commerciali, e dall'imitazione straniera fin troppo evidente.

Ache qui i modelli stranieri sono facilmente lievabili: i Traffic in alcune linee melodiche di vago sapore folk (Stevie Winwood ha influenzato sempre da vicino la produzione dei Toni Pagliuca); e Keith Emerson, la cui recente esplosione ha incoraggiato l'organista italiano in quel discorso di riaggancio al classico già suo da tempo. Certe affinità espressive, la formazione triangolare (organo e piano, basso e chitarra acustica e canto, batteria e percussioni), l'uso temperato dell'elettronica, senza esagerato effettismo o sapore scenico, avvicinano le Orme a quello che viene oggi definito il più preparato gruppo inglese, gli ELP:

C'è però nello stesso tempo un lavoro di assimilazione personale da parte del trio italiano, per cui Pagliuca, Aldo Tagliapietra e Micki De' Rossi approdano ad un sound assai originale nell'attuale panorama nazionale. Nel barocchismo formale della bellissima prima facciata, come nella moderata sperimentalità della seconda, nei cantati che non tradiscono una certa impostazione prettamente italiana (ogni tano fa capolino Battisti), come nelle porzioni esclusivamente strumentali, che prevalgono, è sempre presente una linea comune, che supera l'apparente frammentarietà dell'album, e ne costituisce la spina dorsale al di là di ogni definizione stilistica.

"Collage", che apre l'album e gli dà il titolo, è un pezzo di chiara fattura classicheggiante, nelle forme ora trionfali dell'organo, ora quasi minuettistiche del clavine. "Evasione totale", quasi sette minuti, cerca un nuovo linguaggio espressivo mescolando il classico all'elettronico. Gli altri brani hanno sapore realistico nei testi, e musicalmente evidenziano temi ed arpeggi delle tastiere sorretti da un background

CD

57

Page 58: Recensioni Prog Italia

ritmico eccellente. Notevolissima "Cemento armato", che supera gli otto minuti.

I titoli sono tutti firmati Pagliuca-Tagliapietra, anche se al primo vanno i meriti maggiori. E' presente a tratti l'orchestra diretta da Giampiero Reverberi.

Un album "Collage" che dovrebbe occupare le primissime posizioni della classifica italiana, in attesa di altre due speranze, i Panna Fredda e la Premiata Fonderia (sic) Marconi.

Maurizio Baiata

Uomo di pezzaLE ORME

1972

Altro disco di successo trainato forse dalla bella "Gioco di bimba". Non deve il suo successo solo a quest'ultima in quanto tutte le canzoni sono di altissimo livello.Grandiose "Una dolcezza nuova" con un bel distacco tra introduzione e tema stupendo basato sul pianoforte, "Breve immagine" e l'acustica "Figure di cartone". Interessante la parte di batteria veramente imprevedibile in "La porta chiusa".Ai tempi ebbe un grande successo tanto da far discutere se un gruppo poteva essere ai vertici delle classifiche e considerarsi contemporaneamente alternativo.CONSIGLIATO

58

Page 59: Recensioni Prog Italia

Felona e SoronaLE ORME

1973

Sicuramente il disco che preferisco di questa band... un concept album che parla di due pianeti destinati a non incontrarsi mai. Bellissimo inizio con "Sospesi nell'incredibile" e grandissimi momenti ne "L'equilibrio"....Hammond e pianoforti ad altissimo livello. Grandiosa anche la finale "Ritorno al nulla": un intreccio di synth per una chiusura potentissima. Ne è uscita anche una versione inglese con i testi trattati da Peter Hammill dei VDGG.SUPER CONSIGLIATO.* * *Il terzo album del nuovo corso delle Orme, quello iniziatosi con il sorprendente "Collage", ripropone lo stesso dilemma del precedente "Uomo di pezza". Le Orme sono capaci di una musica piacevole, raffinata e tecnicamente ineccepibile, ma non riescono più a sviscerare una vena originale.Il gruppo sfrutta sapientemente gli insegnamenti dei migliori complessi inglesi basati sulle tastiere, e li rielaborano con una formula personale. Sottolineo in particolare l'analogia con i Genesis specie nell'uso del mellotron."Felona e Sorona", sono i pianeti del sogno e della speranza, simboleggiati sulla bellissima copertina di Lanfranco. Per la prima volta le Orme hanno sviluppato un'interessante trama, i testi sono semplici ma significativi. Felone e Sorona sono due piante fratelli, l'uno luminoso, regno di pace e di serenità, l'altro piccolo e tenebroso, con la flora e la fauna quasi atrofizzati. L'Essere supremo, irritato perché l'astro felice lo ha dimenticato, dirotta verso l'altro la luce, e solo per un momento brevissimo si stabilisce l'equilibrio fra i due pianeti, che si trovano colpiti entrambi dalla luce del Supremo. Poi essi ribaltano completamente la propria condizione. La musica è gustosa, i passaggi cantati sono orecchiabili, l'album sarà probabilmente un altro successo. Ma il gruppo ha perduto qualcosa del brio e della vivacità degli inizi, e non riesce a liberarsi dagli schemi già utilizzati in passato. Un periodo di stasi creativa con parecchi punti interrogativi per il futuro.Enzo Caffarelli

CD

ContrappuntiLE ORME

1974

Forse il momento più duro della band è proprio in questa title track. Bella la ballata "Frutto acerbo" e "India": un messaggio di sconforto dopo che la patria della pace ammise il possesso di una bomba atomica. Da ricordare anche "Maggio", altro cavallo di battaglia del gruppo.Consigliato

59

Page 60: Recensioni Prog Italia

SmogmagicaLE ORME

1975

Il suond si sposta inesorabilmente verso il pop ma sono comunque presenti le belle "Los Angeles", "Immensa distesa" e "Amico di ieri".In questo disco è presente alla chitarra Tolo Marton

CD

ElementiLE ORME

2001

Bellissimo questo nuovo album di un gruppo che ha scritto la storia della musca italiana!In alcuni brani si sente come un "sapore orientale" molto piacevole da ascoltare.Dg

CD

60

Page 61: Recensioni Prog Italia

To Allen GinsbergLIVING MUSIC

1972

Formatosi lo scorso anno a Roma, e messosi in evidenza al 2° Festival di Avanguardia e nuove tendenze, il Living Music non vuol e definirsi un gruppo rock né un complesso nel senso classico e stereotipato della definizione. Roberto Marsala, che ha collaborato alla realizzazione del disco, scrive: "In concerto senso il Living Music è una scuola di musica, perché lavorando insieme i più giovani imparano dai più maturi. C'è la combinazione di generazioni diverse, culture diverse, musicisti e non musicisti".

In questa ultima frase è raccolto tutto il senso, i pregi ed i limiti di un gruppo di questo genere, dall'organico non fisso, guidato comunque da Umberto Santucci e dalla moglie Gianfranca Montedoro, entrambi da tempo attivi nel mondo del jazz, il primo come giornalista, fotografo ed organizzatore di concerti, la seconda come cantante in compagnia di Gato Barbieri, Franco D'Andrea, i primi Brainticket ed altri illustri musicisti.

Con un linguaggio semplice e comunicativo, che tenta un riaggancio alla cultura delle origini, e si ispira ad elementi occidentali come orientali, americani, africani, asiatici, europei, il gruppo ha musicato alcune poesie di Allen Ginsberg, uno dei padri della beat generation e della controcultura americana. Si tratta di "Howl" (Urlo), di "Song", di "Lysergic acid" e di "Mandala", lasciate in lingua inglese. Gli altri testi sono stati tratti da poeti giapponesi ed indiani, o sono originali del Living Music.

L'approccio è spontaneo e immediato, anche se rozzo se vogliamo, ma mai indisponente. Convince la voce di Gianfranca che intona su di un ritmo ipnotico il celebre inno che comincia "Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all'alba in cerca di droga rabbiosa, ecc.". O Andrea Carpi, che attendiamo al suo primo "solo" dopo avere abbandonato questo gruppo, cantare su una propria melodia alla Neil Young, "il peso del mondo è amore, sotto il fardello della solitudine, sotto il fardello dell'insoddisfazione, il peso, il peso che trasportiamo è amore... ".

Un disco complessivamente interessante, corredato da un albumetto interno che descrive brano per brano la raccolta, raccoglie saggi e definizioni, esemplifica gli intenti ed i metodi che hanno guidato il gruppo in questa operazione dedicata ad Allen Ginsberg.Enzo Caffarelli

61

Page 62: Recensioni Prog Italia

Homo homini lupusLOCANDA DELLE FATE

Locanda delle Fate: "Homo homini lupus"CD: VM 066Price (world): 13 USA $Price (europe): 13 € EuroTrack list:1. Homo homini lupus2. Il lato sporco di noi3. Giro tondo4. Bandando5. Plovi Barko6. Stanotte Dio che cosa fa?7. La fine8. Certe cose9. Ojkitawe10. I giardini di Hiroshima11. FumoHomo homini lupus" is the comeback work by Locanda delle Fate some 22 years after their debut album "Forse le lucciole..."! The booklet includes all lyrics, in both italian and english. The title track is in latin, and there's even a jugoslavian traditional rearranged by Locanda Delle Fate, as well as a jazz band instrumental! "Homo homini lupus" is Locanda's second CD, available on our own VM 2000 label. The band's line-up: Alberto Gaviglio on vocals, acoustic guitars and flute; Oscar Mazzoglio on keyboards, accordion, mellotron and Hammond B3; Ezio Vevey on guitars and vocals.

Forse le lucciole non si amano piùLOCANDA DELLE FATE

1977

Disco di tardo progressive ma comunque ben suonato soprattutto nelle parti di pianoforte e clavicembalo. Belle "A volte un istante di quiete" con una buona alternanza di pianoforte e chitarra, "Forse le lucciole non si amano più" con la melodia sublimemente sottolineata dal pianoforte, il tirato inizio di "Sogno di estunno" e "Non chiudere a chiave le stelle."Onestamente non è uno dei miei dischi preferiti, forse per lo stile proprio del gruppo o quel taglio leggermente cantautoriale che sento tra le note... sempre però mirabilmente scandite da ottime parti di pianoforte.Questo però non vuol dire che il disco sia da scartare...Consigliato.

62

Page 63: Recensioni Prog Italia

PortobelloLOY & ALTOMARE

1973

Il motivo che mi ha spinto ad inserire questo disco in questa piccola lista progressiva è stato non tanto l'appartenenza di questo lavoro al genere, ma l'amarezza e la delusione nel non vedere mai citato, in altri siti e riviste, questo gruppo, che ritengo la migliore risposta italiana a Simon and Garfunkel. Va da se quindi che le atmosfere si assestino sempre su toni leggeri, predominati dalle voci e dalle chitarre acustiche dei due componenti, anche se non mancano vari inserimenti di altri strumenti tra cui spiccano le apparizioni delle varie strings, sempre pacate e mai sopra le righe.Ottime "Un ubriaco", "Il matto" e l'originale inizio di "Checco e Massimo". Un disco leggero ma valido... ottimo per un ascolto occasionale... che non merita di finire nel dimenticatoio collettivo.

63

Page 64: Recensioni Prog Italia

MeghMARIO BARBAJA

1972

Barbaja (vero nome Barbaglia) è un cantautore milanese di ventidue anni, chitarrista e sitarista, innamorato delle filosofie e della musica indiana, con "Megh" al secondo album, dopo un primo intitolato "Argento" non molto interessante ed anzi passato del tutto inosservato.

Semplice, poetico, toccante Barbaja trae ispirazione soprattutto da Donovan, che egli ha imitato fin troppo fedelmente nella prima esperienza, ma del quale neppure con "Megh" riesce a disfarsi, specie nel timbro della voce e nell'andamento cantilenante delle melodie così tipico del menestrello scozzese, soprattutto in brani come "Sono stato" e "Una promessa".

Altrove l'amore per l'oriente e le atmosfere eteree e rarefatte fanno pensare al compagno di etichetta Claudio Rocchi, complice il fatto che buona parte degli accompagnatori sono gli stessi che comparivano in "Volo magico n. 1": così "In quella città " e "Non dire mai", dove Barbaja ricorda Rocchi anche per l'impostazione delle liriche.

"Megh" è una parola indiana che significa pressappoco "Raga dell'autunno, del vespero, delle cose semplici". I nove brani complessivamente raccolti sono introdotti e conclusi dal suono d'un carillon napoleonico, che vuole probabilmente significare come tutta la musica sia nell'attimo di una nota di un organino meccanico, fuori dal tempo, senza dimensione.

Nei brani, registrati con la produzione di Massimo Villa ex Stormy Six e sapientemente arrangiati, abbondano i riferimenti orientali, sia per la strumentazione che per i testi (le note che accompagnano il disco parlano di sistemi dialettici nella filosofia zen). "In quella città (la leggenda)" si distingue da tutte le altre perché è una libera jam, rielaborata con particolari effetti elettronici e sovraincisioni (voci al contrario, piatti della batteria a velocità rallentata, ecc.).

Accanto all'album di Franchi Giorgetti e Talamo, di cui si parlava sopra, anche Barbaja va tenuto in considerazione come esempio di folk italiano credibile e ricco di spunti interessanti.Enzo Caffarelli

64

Page 65: Recensioni Prog Italia

iaia (76)MARIO LAVEZZI

1976

Quando ho preso questo disco, chissà perché speravo o forse anche pretendevo un seguito di "Essere o non essere?..." de Il Volo, in quanto se ne ripresenta qui la formazione completa a meno di Radius e Lorenzi con l'aggiunta però di un percussionista. Non sono rimasto deluso dal punto di vista strumentale grazie soprattutto ai vari Fender Rhodes di Vince Tempera e la sempre bella batteria di Gianni Dall'Aglio mentre dal punto di vista musicale le atmosfere sono leggermente più soft. Non manca comunque una canzone strumentale in perfetto stile Il Volo intitolata "Nirvana". Come detto le atmosfere sono orientate più verso la musica leggera ma sempre in maniera interessante e quasi mai banali. Le migliori sono "Le tue ali", "Un discorso", la grande "Nirvana", "Serenade" e l'ipnotica "Nell'aria".Onestamente lo ritengo un buon disco, forse non troppo interessante dal punto di vista progressivo ma sicuramente apprezzato dagli amanti del primo disco de Il Volo.

65

Page 66: Recensioni Prog Italia

Al mercato degli uomini piccoliMAURO PELOSI

1973

Questo è il secondo LP di uno dei cantautori dell'ultima generazione che di più promettono in un panorama per altro piuttosto povero.

Personaggio schietto e semplice, timido ed imbarazzato in arte come nella vita, Mauro canta l'amore attraverso l'ottica dell'incomprensione, dell'impossibilità cioè di essere capito, dell'incapacità di trovare affetti anche senza grosse ambizione ("Come tanti io volevo una donna che si accontentasse di me", canta nel brano di apertura). Anche Mauro è un poeta triste, canta e rimpiange il passato, ma in una dimensione più serena ("Mi piacerebbe diventar vecchio insieme a te") e più frammentaria, meno programmatica di quanto non avvenga, ad esempio, con Guccini.

I testi sono elementari, senza metafore di difficile soluzione, senza giuochi di parole, espliciti. Credo che tutti noi, ad una certa età, ci siamo dilettati a scrivere poesie in momenti di tristezza, per poi rileggerle a distanza di anni e capire magari che non ci appartengono più. Bene, Pelosi è un po' l'emblema di questo fatto culturale, proprio dell'adolescenza, nella sua semplicità e in certa sua giustificata retorica. Con l'esperienza però di chi ha superato i vent'anni e può includere tante sensazioni già nel passato e non più nel futuro.

A modo suo, come Battisti, come De André, come Guccini, egli è una figura simbolica, la voce di tanti ragazzi normali del nostro tempo, dei poeti mancati (mi perdoni Mauro, ma proprio qui è la sua forza), insomma degli "uomini piccoli".

Ma come negli uomini piccoli, anche qui c'è una psicologia tortuosa, contraddizioni, illusioni e disillusioni, il credersi o meglio il volersi sentire anormali ("Tu e le mie idee contorte che non hai capito mai perché sono forse un po' matto"), la mancanza di reale coraggio, perché l'eroismo appartiene solo ai sogni ("Non puoi dormire e ti perdi nei sogni dietro alle ombre di strane avventure, come un drogato che scappa dal mondo per non portare la realtà sulle spalle"). Ed ecco allora i momenti antitetici, le sfumature psicologiche di "Ehi! signore" o di "No, io scherzo", le cose migliori di questo LP.

Musicalmente Pelosi si avvale di arrangiamenti scarni, che contribuiscono a suggellare atmosfere inquiete, con ampi spazi strumentali dalla precisa funzione descrittiva.

I modelli persistono: Battisti ("Ti porterò via", "Al mercato degli uomini piccoli"), il Paoli più francese ("Mi piacerebbe diventar vecchio insieme a te", "Non tornano più", "Un mattino"); ma Mauro ha raggiunto ormai una sua autonomia ed una sua personalità.Enzo Caffarelli

66

Page 67: Recensioni Prog Italia

MaxophoneMAXOPHONE

1975

Un altro bel disco di quest'altro gruppo mordi e fuggi. Si comincia con un bel pianoforte in "C'è un paese al mondo", poi la strumentale "Fase", momento trainante del disco con sorprendenti cambi di tempo e stile. Segue la stupefacente melodia di "Al mancato compleanno di una farfalla" con all'interno un grande assolo di organo Hammond in pieno stile 'Tarkussiano'. Belle anche "Elzeviro", "Mercanti di pazzie" e "Il fischio del vapore", meno tirate ma molto melodiose.E' presente sul mercato anche la versione con i testi in inglese. Consigliato.

67

Page 68: Recensioni Prog Italia

...E fu il sesto giorno - VedetteMETAMORFOSI

1972

Da qualche tempo a questa parte i gruppi italiani hanno capito soprattutto una cosa: l'importanza di svolgere un discorso musicale il più possibile personale, lasciando da una parte le imitazioni da modelli stranieri, anche se la tecnica e la padronanza degli strumenti non ha ancora raggiunto la perfezione.

Su questa linea la formazione che con i risultati più positivi ha saputo accoppiare allo stile modernissimo e all'avanguardia un gusto ed una sensibilità tutta italiana è stato il Bando del Mutuo Soccorso, l'autentica rivelazione dell'ultimo anno, premiati al 2° festival di avanguardia e nuove tendenze.

Allo stesso festival si sono segnalati, e sulla medesima strada paiono operare con successo, i Metamorfosi. A mio parere questi sono i gruppi che in ultima analisi stanno raccogliendo l'eredità delle prime formazioni italiane del periodo beat e folk-protesta, cioè i musicisti che per primi seppero allinearsi con le esigenze rinnovatrici dei mercati di oltremanica e di oltreoceano, pur mantenendo un proprio volto italiano. Con la differenza che allora il proprio mezzo espressivo era limitato al 45 giri e troppo spesso le canzoni venivano tradotte direttamente dall'inglese; ed ora viceversa si ha il 33 giri, e si ha soprattutto l'esperienza di tanti altri anni, che si traduce in una strumentazione più ricca e più impegnata, in un discorso artistico più ampio e non militato alla semplice musica, e soprattutto in un esigenza di riscatto dopo le scure stagioni del pop nel nostro paese.

Tutto questo per dire che il quintetto delle Metamorfosi non si ispira affatto a gruppi stranieri, e a costo di cadere di tanto in tanto in qualche episodio semplicistico, è voluto restare fedele ad un'impostazione italiana, senza tuttavia risultare banale o scontato.

Il significato dell'album è ancora una volta l'uomo, le sue paure, le sue ansie, il suo riscatto finale attraverso le immagini evangeliche del Cristo salvatore. I Metamorfosi hanno per altro vasti interessi letterari (pare abbiano già pronto materiale per un doppio album intorno alla Divina Commedia), e sono riusciti con abilità a risolvere il consueto dramma per motivi di metrica e diciamolo pure per ragioni di interpretazione (sono pochi in Italia i cantanti capaci di guidare un gruppo) al ritmo del rock.

L'album "...E fu il sesto giorno" contiene sette brani, fra i quali segnalo "il sesto giorno", "...E lui amava i fiori", "Nuova luce" e "Sogno e realtà".

Un plauso alla Vedette che ha creduto in questi cinque ragazzi, ed un invito a continuare su questa strada.Enzo Caffarelli

68

Page 69: Recensioni Prog Italia

InfernoMETAMORFOSI

1972

Con questo disco potrete fare una bella passeggiata nei vari gironi dell'inferno. Vengono alternati testi della omonima parte della Divina Commedia di Dante e parti riassestate dal gruppo. Grandiose "Porta dell'inferno", "Caronte" e "Spacciatore di droga". Il pregio di questo lavoro sta anche nell'aver cercato di associare e conglobare mali della società non presenti ai tempi della stesura del testo di Dante nei suoi stessi gironi. Cito "Razzisti" ed ancora "Spaciatore di droga". Questo disco è sicuramente consigliato agli amanti delle atmosfere con tastiere sempre in primo piano tipo Elp e Orme. Bello veramente...poi non potrete più fare a meno di canticchiare "CARONTE DEMONIO...OCCHI DI FUOCO NEL BUIO" ad un vostro collega o "SIAMO DANNATI INSIEME...AMANTI FUMMO IN VITA..." alla vostra 'Francesca'. VIVAMENTE CONSIGLIATO

69

Page 70: Recensioni Prog Italia

ZarathustraMUSEO ROSENBACH

1973

Il segreto di questo grande disco sta, secondo me, nel perfetto equilibrio presente sia tra le parti cantate e strumentali, sia tra gli strumenti stessi. Tranne in qualche caso, la chitarra ha vissuto il rock progressivo come strumento secondario e spesso utilizzato per qualche apparizione, magari acustica. Qui la si sente al pari anzi quasi in competizione con le varie tastiere ed il risultato è incredibile. Merogno infatti, con estrema maestria, riesce ad essere sempre presente sulla scena, sia come pignolo rifinitore sia come estremo distruttore con pennate che hanno l'effetto di colpi di martello sulla testa dell'ascoltatore. Anche il resto del gruppo comunque è di primo ordine a partire da Lupo Galifi e Pit Corradi.Circa le canzoni, se del secondo lato, leggermente inferiore, cito "Della natura", del primo non posso che osannare la grandiosa "Zarathustra": divisa in più parti presenta la potentissima "L'ultimo uomo", l'ipnotica "Il re di ieri" , la tirata "Al di là del bene e del male" con l'Hammond sempre padrone della scena, "Superuomo" con una prima parte cantata e un lungo seguito strumentale che a volte ricorda lontanamente lo stile Metamorfosi e l'ultima "Il tempo delle clessidre" con la ripresa del bellissimo tema de "L'ultimo uomo". Ai tempi subì una censura dai vari organi di diffusione che ingiustamente accusarono il gruppo di fare propaganda fascista in quanto sul collage della copertina compare un busto di Mussolini su sfondo completamente nero...E' uscita da poco una ristampa della BMG che ripropone in CD il formato identico a quello del vinile anche se però non permette di leggere in maniera agevole i testi ed il contenuto interno. Ecco nasce in me vivo il superuomo !!!!!!!!!!Uno dei migliori dischi del rock progressivo italiano !!!CONSIGLIATO.* * *Almeno sotto il profilo statistico, è un buon momento per i complessi italiani: ne nascono a decine e registrano dischi con relativa facilità; inoltre il pubblico ha modo di conoscerli direttamente grazie ai festival ed alle manifestazioni varie che soprattutto il mese di giugno ha visto nascere.Naturalmente l'inflazione fa capolino, e chi ne risente, oltre al pubblico che resta confuso, sono gli stessi musicisti: costretti ad accettare compromessi di vario tipo per giungere all'incisione, a rincorrere il miraggio della superstrumentazione e della superamplificazione che poi non sono in grado di mantenere, delusi dopo i primi inevitabili insuccessi e magari troppo presto abbandonati da chi inizialmente ha creduto - o finto di credere - in loro; o, nella migliore delle ipotesi, stretti nella morsa degli impegni - che ne logorano il fisico ed il morale ripercuotendosi sulla bontà della loro produzione artistica.Capita così un po' dappertutto, ma in Italia le cose che non funzionano in questo campo sono particolarmente numerose.E allora, fra un nome nuovo ed un altro, occorre scegliere con estrema attenzione: per conto mio ben pochi dischi italiani sono passati per le colonne di questa rubrica.Dei due gruppi di cui mi occupo questa settimana, uno è all'esordio, l'altro è il risultato della scissione dei New Trolls. Il Museo Rosenbach, un quintetto genovese, dedica il suo album a Zarathustra, la cui disperata ricerca del superuomo - si dice nelle note di

70

Page 71: Recensioni Prog Italia

copertina - non vuole realizzarsi nell'immagine del violento condottiero di razza pura, come è stato erroneamente e tristemente interpretata, bensì nella serena figura dell'uomo che, vivendo in comunione con la natura, tende a purificare da ogni ipocrisia i valori umani. Ed infatti "l'uomo-museo", scelto dal gruppo quale proprio segno distintivo, è "lavaggio del cervello, utopia e falsità".La musica del Museo è il rock melodico tipico dei gruppi italiani, del Banco soprattutto, con le tastiere in primo piano, e con gli eccellenti contributi di mellotron e moog che, se usati con parsimonia e con la dovuta funzionalità, posseggono sempre un fascino tutto loro.Ci sono gli inevitabili agganci alla musica classica; ma come regola per i gruppi italiani, si tratta di semplici spunti ispirativi, o meglio di reminiscenze degli studi intrapresi dai musicisti; oltre che del bisogno di ricongiungersi ad una tradizione musicale che è più vicina alla nostra cultura ed alla nostra sensibilità di quanto non lo sia il rock o il jazz.Lo schema è quello frastagliato, con passaggi di tempo e di ritmo, stacchetti e marcette, episodi melodici ad ampio respiro, immagini in serie; una tecnica impressionistica che con il Banco e la Premiata ha dato i suoi risultati più efficaci.Le musiche sono di Alberto Moreno, bassista (e secondo pianista) del gruppo. E' un fatto rilevante perché poche formazioni in Italia hanno nel bassista il proprio punto di forza.Tra le due facciate del LP, lievemente superiore la prima.Enzo Caffarelli

Rare and UnreleasedMUSEO ROSENBACH

1992

Disco che raccoglie vario materiale. Si comincia con il provino che il gruppo sostenne presso gli studi della Ricordi prima del contratto discografico. Sostanzialmente sono le canzoni del disco "Zarathustra" anche se leggermente variate nei testi e in qualche passaggio e arrangiamento. Una delle cose più interessanti è l'inizio di pianoforte de "L'ultimo uomo". Si continua poi con materiale inedito: "Look to yourself" e "Shadows of grief" degli Uriah Heep, uno stralcio di "Valentyne Suite" dei Colosseum e "With a little help from my friends" dei Beatles in versione Joe Cocker (chissà perchè spesso preferita da molti artisti (vedi,ad esempio, anche i Toto) alla stupenda versione originale...). La pecca di questa seconda parte, che contiene anche "Dopo" e "Dell'eterno ritorno", sta nella qualità di registrazione abbastanza scarsa. Sono presenti anche Walter Franco alla voce e Leonardo Lagorio dei Celeste al Flauto e Sax.Lo consiglio ai fanatici di "Zarathustra".

71

Page 72: Recensioni Prog Italia

Concerto Grosso n°1NEW TROLLS

1971

Incrocio di gruppo rock e orchestra per musiche scritte da Enriquez Bacalov.Il risultato è molto bello nei 4 tempi del primo lato.Nel secondo lato improvvisazioni dei New Trolls.Ebbe un grandissimo successo e un seguito che non ne bissò ne il successo ne la bellezza.

UTNEW TROLLS

1972

In questo disco sono presenti moltissimi generi musicali: - classica: "Studio" - progressivo :"XXII strada" - rock: "I cavalieri dell'Ontario" - Heavy Metal: "C'è troppa guerra" - pop anni '80 (siamo nel 72....):"Paolo e Francesca" Non è male ma un po' troppo vario per 40 minuti di musica.

New Trolls Atomic SystemNEW TROLLS

1973

Questo disco presenta la sezione staccata dei New Trolls con Vittorio De Scalzi. L'inizio è stupefaciente con la bella "La nuova predica di padre O'Brein", un intreccio di arp synth, mentre il resto del disco si assesta su canoni un po' più tranquilli. "Una notte sul monte calvo" è un riadattamento di un brano di Mussorgski, forse sull'onda del successo di Emerson, Lake & Palmer.

72

Page 73: Recensioni Prog Italia

Concerto grosso n°2NEW TROLLS

1976

Le atmosfere di questo disco tentano di ripetere quelle del primo concerto grosso. Il risultato è però molto diverso.Si salvano il bel tema del Secondo tempo e la grandiosa "Le Roi Soleil".

73

Page 74: Recensioni Prog Italia

Canti d'innocenza, canti d'esperienzaNICO, GIANNI, FRANK, MAURIZIO

1973

Nico Di Palo e compagni sono già al lavoro per il nuovo LP ed il nuovo spettacolo, insieme all'ex Atomic Rooster Rick Parnell, cha ha sostituito il batterista Gianni Belleno.

Abbandonato per motivi legali il nome di New Trolls, rimasto al troncone di De Scalzi e D'Adamo, adottato momentaneamente un punto interrogativo a segno del periodo di grande confusione attraversato, scelto per la Hit Parade lo pseudonimo di Tritons, ed infine per il futuro quello di Ibis, i quattro hanno realizzato un disco onesto e4 non dissimile dai precedenti.

Non so se questo "Canti d'innocenza canti d'esperienza" darà soddisfazioni commerciali al gruppo, che si è comunque abbondantemente rifatto con la gustosissima rielaborazione della rollingstoniana "Satisfaction", con un'imitazione piena di humour di Bob Dylan (ma perché nascondersi, se la canzone è così caruccia, ed invece incollare sulla copertina del LP un'etichetta non proprio qualificante come quella "da Supersonic"?).

L'album con i suoi testi finalmente immediati e senza intellettualismi e retorica, vuole rappresentare la drammatica competizione fra l'innocenza e l'esperienza: la prima raffigurata da personaggi come Simona, la figlia di Nico (...anche questo ti dirò, bambina mia t'insegnerò, ma adesso è ancora presto, puoi dormire ancora un po'...); la seconda esemplificata sempre in prima persona (..."con le mie stanche ali di angelo invecchiato, io vado in giro a cercare sul viso del mio errore lacrime morte"...). Certe cose richiamano l'iniziale "Senza orario senza bandiera"; la stessa cosa è avvenuta, paradossalmente, per l'album degli Atomic System.

Musicalmente Di Palo e gli altri si muovono sul terreno di un rock epidermico, creato con tutti i presupposti che comportano la definizione di hard. In effetti la formazione attuale - e l'entrata di Parnell ne è una netta conferma - può considerarsi il corrispondente italiano dei Deep Purple o dei Black Sabbath.

Accanto alle durezze sonore, anche qualche sprazzo acustico, naturalmente: e non spregevole, come nella prima parte di "Signora Carolina" o in "Simona".Enzo Caffarelli

74

Page 75: Recensioni Prog Italia

Arrow HeadOSAGE TRIBE

1972

Gli Osage Tribe hanno scelto una denominazione presa in prestito dalla storia degli indiani (si tratta di una tribù), ed il loto singolo grafico è stato sin dal primo disco una testa mozza di una bambola indiana, che vuol rammentare la dispersa civiltà, di quel popolo in chiave sociale e politica.

Anche a livello di testi, essi si ispirano alle storie nate nel popolo Osage, ricche di esperienza popolare e ataviche tradizioni, storie che parlano di "presa di coscienza", di "armonia con l'universo", di "un mondo fatto a pagamento, dove le mani sono piene di soldi e gli stomaci di whisky", del "dio della vita che dà luce alle menti", di "cerbiatti d'argento che saltano fra nuvole di giada". E' un linguaggio antico, ma è il linguaggio di pace nella battaglia esistenziale di tutti i giorni, e dunque un messaggio sempre valido.

"Arrow head", vale a dire "punta di freccia" è il primo LP del gruppo, per il momento ancora un trio, con Marco Zoccheddu, ex chitarrista della Nuova Idea ed autore della maggior parte dei pezzi, "Cucciolo" alla batteria, e "Callero" al basso. la musica degli Osage parte da una base di rock tradizionale, sul quale però i musicisti si sforzano di inserire, con successo, le loro vibranti emozioni jazzistiche: li ascoltiamo ad esempio in "Cerchi di luce", dove riescono a fare del buon jazz con la semplice formula chitarra-basso-batteria.

Le cose più notevoli sono accompagnate da musiche più commericali, ma ormai non è più tempo di compromessi di questo genere neppure in Italia, e gli Osage, che sono musicisti molto intelligenti, stanno tentando (aggiungendo una tastiera ed un fiato) di spostarsi verso un modo più libero e più jazzistico. La sezione ritmica è già quella giusta per questo programma. E l'etichetta Bla... bla, la stessa di Franco Battiato (con il quale gli Osage Tribe hanno suonato per qualche tempo), e dei Capsicum Red, è fra le più attente e all'avanguardia nel nostro paese.

Sei sono i pezzi complessivamente, tre per facciata. Molto bella la confezione dovuta allo studio al.sa. La copertina esterna è dedicata agli indiani, quella interna rappresenta un originale flipper trasformato per l'occasione.Enzo Caffarelli

75

Page 76: Recensioni Prog Italia

L'uomoOSANNA

1971

Bel disco d'esordio per questa band partenopea.Il sound di questo disco è un qualcosa di molto originale condito da strumenti tipicamente mediterranei e vari intrecci di flauti e sax. Il cantato è parte in italiano e parte in inglese.Belle "Introduzione", "L'uomo" e "L'amore vincerà di nuovo". Consigliato.* * *Vorrei spendere anch'io qualche parola sugli Osanna, che molti hanno indicato come l'autentica rivelazione dell'anno nel campo della musica italiana. Cinque ragazzi italiani, con esperienze ricche alle spalle per qualcuno (il flautista Elio D'Anna suonava con gli Showmen), rivelatisi al festival di Viareggio, cinque solisti con li idee chiare, soprattutto con un discorso unitario da svolgere in maniera personale, se si eccettua l'uso del flauto che nella sua dimensione "drammatica". cioè inquietante, singhiozzata, non può non ricordare il maestro di tutti i flautisti degli ultimi due anni, Ian Anderson. Cinque ragazzi che hanno voluto, un po' per sapore scenico e coreografico, un po' per inserirsi in quel clima di "totalità" che l'arte oggi impone, cercare un'ampiezza teatrale, cioè visiva oltre che sonora nelle loro esibizioni, escogitando una specie di mascherata in antichi costumi napoletani.Dal punto di vista musicale, l' "Uomo", primo LP degli Osanna, mostra le idee buone degli autori (tutti e cinque gli Osanna) e degli esecutori: piace soprattutto il flauto e la chitarra acustica, mentre anche l'elettrica è usata con parsimonia e gusto, e piacciono i pochi spunti jazzistici del sax. Si nota una certa frammentarietà non superata, e stacchi e passaggi mediocri. Per i testi, brevi ma significativi, il tema fondamentale è l'uomo, nel suo viaggio terreno combattuto fra l'odio e l'amore. Angoscia esistenziale (E evado verso una meta / che è più distante di me / E' sempre un passo più avanti / la vedo e so che non c'è) e intuizione della morte ("Non sei vissuto mai", "Mirror train"), si alternano alla coscienza dei problemi sociali ("In un vecchio cieco"), e alla denuncia della pesante condizione dell'uomo oggi (Si vive, si muore nel fango e l'orrore / si cercano invano momenti d'amore). Ma in ogni brano oltre all'angoscia si avverte il bisogno di riscatto e di speranza, che porta, infine, alla scoperta di una certezza, dell'unica forza dell'uomo, che "da secoli si chiama amore".Fondamentale sarà vedere gli Osanna al loro secondo appuntamento. Questo primo album, certo il migliore italiano dell'anno dopo l' "Isola non trovata" di Guccini e "Collage" delle Orme, ha tutto sommato un valore sperimentale.Enzo Caffarelli

76

Page 77: Recensioni Prog Italia

Milano Calibro 9OSANNA

1972

Colonna sonora dell'omonimo film. Bella "Preludio" anche se a volte richiama nello stile il primo Concerto Grosso. Le altre "Tema", "Variazione" e "Canzona" solo dei bei brani in perfetto stile Osanna. Niente male…* * *Luis Enriquez Bacalov è lo stesso maestro che ha diretto e composto il "Concerto grosso" dei New Trolls. Ma lo spunto e l'idea dei questi "Preludio tema variazioni canzona" non sono gli stessi. Intanto si tratta di una colonna sonora, dalla pellicola "Milano calibro 9" di Fernando Di Leo con Gastone Moschin e Barbara Bouchet. E poi gli Osanna hanno fatto dell'album qualcosa di molto più proprio e personale, componendo buona parte delle musiche, ed improntandole secondo le proprie possibilità ed il proprio gusto, squisito e modernissimo, senza troppe compiacente orchestrali, e senza risentire del suo originario carattere di "colonna sonora".Il discorso artistico del gruppo napoletano ha sempre sentito la necessità, e recentemente ancor più che agli inizi, di una corrispondenza scenica, teatrale della propria musica. La ricerca di una comunione artistica basata sul rapporto immagine-suono si risolve per il momento nella realizzazione di questa colonna sonora, lavoro in un certo senso anche di valore pionieristico, tenendo conto che lavori del genere in Italia, al contrario di quanto accade negli Stati Uniti ed in Inghilterra, non sono stati mai affidati a formazioni di avanguardia. Una nuova conquista, un nuovo passo avanti dunque.Gli Osanna non vogliono considerare questo album come il secondo atto "ufficiale" della loro musica, ma piuttosto come un'esperienza a parte, del tutto particolare. Viceversa "Preludio tema variazioni canzona" si inserisce senza difficoltà nel discorso artistico dei napoletani, lasciando loro aperta ogni possibilità: il rock, le inflessioni e la ricerca jazzistica soprattutto concentrata nei fiati di Elio D'Anna, il recupero ancora piuttosto vago della poesia e della melodia folklorica tradizionale specie napoletane, sono qui ancora integri, anche se talora avvolti dalla potenza sinfonica dell'orchestra di Bacalov.Alcuni dei brani sono cantati, in inglese. Gli Osanna dimostrano di essere anche più maturati, e promettono veramente cose eccellenti per il futuro. Intanto quest'album è sicuramente fra le più notevoli colonne sonore composte in Italia.Enzo Caffarelli

77

Page 78: Recensioni Prog Italia

PalepoliOSANNA

1973

Sicuramente il mio disco preferito di questo gruppo!!! Il motivo di questa mia affermazione è sicuramente la lunga traccia "Animale senza respiro": un qualcosa di incredibile: intrecci di flauti, sax, mellotron e ritmi spesso Crimsoniani. CONSIGLIATO.* * *Palepoli è la Napoli primigenia, allegoricamente è la terra promessa per una riscoperta dei valori umani e per la liberazione dal tiranneggiamento delle macchine e dell'evoluzione tecnocratica. Gli Osanna hanno fondato su questo presupposto la loro opera teatrale e musicale che sta girando l'Italia.A noi spetta parlare in questa sede essenzialmente della musica. Ma non possiamo non lodare il gruppo per il coraggio con il quale ha portato avanti e realizzato un lavoro, cui da tempo attendeva con ostinazione e, dire, con un orgoglio tutto napoletano; e per avere aperto la strada, in Italia, ad un discorso artistico più vasto e coinvolgente, come può esser la fusione fra musica, parola, gesto e immagine, secondo una formula che anche altre formazioni italiane - sappiamo di sicuro - hanno in programma per un prossimo futuro.L'opera si svolge come un'odissea attraverso i secoli, e si articola intorno ad un teatro sperimentale, piuttosto primitivo, che trova il suo riscontro musicale in certe volute imperfezioni tecniche, in una immediatezza che non è mai però rozzezza, nella sfasatura dei cori e nel missaggio che non è quello perfettissimo di altre occasioni.Sul piano della musica non vi è una vera e propria corrispondenza con i tempi, né un forzato compiacimento nel folklore napoletano. Forse una ricerca de un recupero più approfondito non avrebbero guastato. Solamente nello stupendo inizio ci si trova in un'antica Napoli popolare, tra il vociare di un mercato, un flauto di ispirazione orientaleggiante ed i richiami dei venditori ambulanti, che si risolvono successivamente in un tempo di tarantella, cantata in dialetto (- Fuje 'a chistu paese, fuje 'a chistu paese. Parole, penziere, perzone nun vanno ddaccordo nemmanco nu mese. Fuje 'a chistu paese, fuje 'a chistu paese. L'ammore, 'na casa, nu munno, so 'ccose luntane a 'sta ggente ddjuna - ). Questa è l'introduzione, mentre per il resto gli accenni sono molto vaghi, in pratica brevi spunti flautistici di Elio D'Anna, che ricordano danze popolari.Non ci sono davvero critiche autentiche da muovere a "Palepoli", specie dopo avere ascoltato con concentrazione e più volte l'album: in particolare la prima facciata ci sembra quanto di meglio un gruppo italiano ha saputo realizzare negli ultimi tempi. La strumentazione è quella solita del quintetto, con ampio uso di fiati e di tastiere; c'è una normale frammentarietà di immagini, ma spesso gli Osanna impiegano tutti gli strumenti insieme, palesando l'affiatamento e la coesione dei quali sono maestri dal vivo, ed il discorso è più unitario e completo, rispetto ad esempio al primo album, "L'uomo".Il gruppo ha saputo conciliare la musica con l'immagine, senza però condizionare l'una forma d'arte in funzione dell'altra: questo non esclude comunque che si possa avere la comprensione autentica dell'opera solo dal vivo, a teatro. L'uso del mellotron e del sintetizzatore, le chitarre e specialmente quella elettrica di Danilo Rustici che, pur essendo un discepolo di John McLaughlin, è uno dei più originali strumentisti italiani, i fiati insuperabili di Elio distribuiti con precisione e parsimonia, i testi intelligenti e

78

Page 79: Recensioni Prog Italia

provocanti, beni inseriti negli spazi musicali senza rappresentare un momento staccato nello svolgimento della musica: tutti questi elementi fanno di "Palepoli" un'opera interessante ed importante.Enzo Caffarelli

UnoPANNA FREDDA

1971

Altro bel disco consigliato agli amanti del primo progressive italiano! Quando dico primo intendo proprio le prime esperienze ed apparizioni in questo genere! Tenendo conto l'anno del disco (71) si può dire che, insieme a Caronte dei Trip e a Collage delle Orme, è sicuramente uno dei precursori della grande espansione del genere, cosa che ha fatto guardare al nostro paese con invidia anche gli stati musicalmente da sempre più affermati come, ad esempio, l'Inghilterra.Detto questo bisogna quindi giustificare certe imprecisioni e pesantezze all'interno del disco che comunque non ne pregiudicano il valore!Belle "Un re senza reame", "Un uomo" e "Scacco al re Lot" con un accenno anche all'inno nazionale di Mameli. Assolutamente da sentire "Il vento, la luna e pulcini blu".Consigliato

Abbiamo Tutti un Blues da PiangerePERIGEO

1973

Molte sono le cose che colpiscono di questo disco ma due sono lampanti già ad un primo ascolto: la preparazione tecnica dei componenti, mai sopra le righe e sempre ben amalgamati, ed i molti spazi, sparsi tra le varie composizioni, dedicati all'improvvisazione. Il disco ha un'impronta nettamente rock anche se non mancano alcuni accenti jazzati con apice massimo in "Vento, pioggia e sole". Unica canzone cantata è la prima "Non c'è tempo da perdere" con prima parte che mette in contrapposizione una batteria assillante ad un pianoforte ben improntato mentre nella seconda un lungo lavoro di chitarra e Fender Rhodes, strumento ampiamente e magistralmente usato in tutto il disco. Pazzoide incrocio di pianoforte e violino in ingresso a "Déja Vu" a cui fa seguito una bella melodia di sax sottolineata da un esile ma valido arpeggio di chitarra acustica. A "Rituale", buon tema e momento di assolo, segue "Abbiamo tutti un blues da piangere" con un inizio acustico che porta la mente ad atmosfere del Morricone della cosiddetta trilogia del dollaro, con interventi di Rhodes e batteria in stile "Echoes" dei Pink Floyd. Buone anche "Country" e "Nadir" sempre condite da Rhodes e ottimi interventi di sax e chitarra elettrica. Senza dubbio un disco valido anche se magari consigliato agli amanti di atmosfere tipicamente strumentali, di assolo ed improvvisazione.Chi cerca ritornelli orecchiabili e cantabili ha sbagliato indirizzo.

79

Page 80: Recensioni Prog Italia

La Valle Dei TempiPERIGEO

1975

Dei dischi che possiedo di questo gruppo questo è quello che ritengo maggiormente spostato verso jazz e fusion. Disco molto buono, presenta un suono sempre bello pieno grazie ai vari contorni di sax e chitarre mentre le atmosfere sono sempre molto dinamiche e nello stesso tempo anche tirate. Una piccola curiosità: il pianoforte de "La Valle dei templi" è in perfetto stile Simonetti. Dato l'anno di uscita di questo disco non mi sento in grado di commentare questo fatto se non come una possibile influenza (per entrambi) da Mike Olfield, visto anche il ritorno alla ribalta di Tubular Bells come colonna sonora del film "L'esorcista". Nella seconda parte della canzone ritrovo con piacere lo strumentino strano presente anche in Easy Money dei King Crimson di cui ignoro il nome (...è sparso qua e là anche nel resto del disco comunque). Da sentire: "Tamale", "La Valle dei templi", "Cantilena" e "Un cerchio giallo".Sicuramente è uno dei dischi migliori di questo gruppo che testimonia la grande abilità dei componenti anche in generi che per tradizione non sono propriamente tra i più trattati e sviluppati nel nostro paese, o almeno da parte dei nostri musicisti.

Pierrot LunairePIERROT LUNAIRE

1974

Altro grande disco del panorama progressivo italiano.Singolare scelta stilistica/strumentale di questo gruppo che punta sul massiccio uso di chitarre, soprattutto acustiche, e tastiere varie, riducendo al minimo le parti di batteria (presente in "Invasore" e "Sotto i ponti"). Il disco è godibilissimo e le varie atmosfere non ne fanno mai rimpiangere la mancanza , tanto più che questa risulta quasi stonata nelle due precemente dette apparizioni: forse per quelle belle melodie sempre trainanti e mai noiose che accompagnano tutti i 43 minuti del disco...Fatto sta che i tre componenti del gruppo offrono un lavoro fortemente basato sulla chitarra acustica con qualche spruzzata di pianoforte, organo, sitar, flauto e mandolino, ed il risultato è un pregevole incrocio di vari generi musicali: progressive, classica e, perchè no, folk, anche se non mancano comunque momenti elettrici, con chitarre distorte e moog, vedi ad esempio in "Mandragola". Spuntano "Overture XV", "Raipure", "Il re di Raipure" e "La saga della primavera". Belli anche i testi:

...il coraggio senza una spada non servirà...Consigliato.

80

Page 81: Recensioni Prog Italia

GudrunPIERROT LUNAIRE

1977

Chi cerca un seguito all'acustico esordio rimarrà fortemente deluso in quanto questo secondo Gudrun si basa fondamentalmente sulla ricerca e sulla sperimentazione, lasciando forse un piccolo rimembro e richiamo al precedente stile nel clavicembalo d'apertura. Moog, pianoforti ed effetti vari solo sostanzialmente gli ingredienti fondamentali, conditi con la grandiosa voce del soprano Jacqueline Darby, nuovo acquisto del gruppo, mentre della formazione del precedente disco manca Vincenzo Caporaletti. Musicalmente da segnalare la lunga "Gudrun", "Giovane madre" e "Sonde in profondità", e le ottime presenze di pianoforte in "Dietro il silenzio" e "Morella". L'inizio di "Plasir d'amour" ricorda lo stile Clickkiano di Battiato con una doppia voce recitante parole acquose e la tabellina dell'uno. Originale lo scatto fotografico tra le varie canzoni a segnalare il distacco tra le varie diapositive musicali. Onestamente lo ritengo un bel disco anche se necessita del tempo per essere ben digerito. Di certo non si può etichettare Progressive se non nell'intento, per altro perfettamente riuscito, di una ricerca progressiva e per il progresso (in senso stretto) delle atmosfere create, forse più ostiche rispetto al precedente lavoro ma molto più mature e compatte. Copiando pari pari le parole di Arturo Stalteri: "Gudrun" è un album dalle tinte forti ... se "Pierrot Lunaire" rappresenta il SOGNO, "Gudrun" è la REALTA'!Per chi ama schemi liberi e atmosfere sperimentali.

81

Page 82: Recensioni Prog Italia

Storia di un minutoPremiata Forneria Marconi

1972

Bel disco d'esordio per una delle poche formazioni italiane che hanno trovato il successo anche all'estero. Ha sicuramente influito il fatto che tutti i componenti del gruppo sono dei validissimi musicisti primo fra tutti il bravo Mauro Pagani che con i suoi violini e flauti riempie in maniera pregevole e mai banale il suono. Tra le canzoni segnalo: "Impressioni di settembre", forse il brano di maggior successo del gruppo, almeno in territorio nazionale, la tirata "E' festa", la sublime prima parte di "Dove...quando" e "La carrozza di Hans".Devo dire però, che, secondo me, qualche passaggio in "E' festa" e "La carrozza di Hans" ricorda non tanto vagamente il primo disco dei King Crimson (non a caso in una raccolta di 4 cd del gruppo uscita qualche anno fa, la prima canzone era proprio "21st century schizoid man"). Certo non si può bocciare un disco come questo per qualche passaggio che magari deriva dal background prediscografico del gruppo, viste soprattutto le varie atmosfere tipicamente mediterranee nelle parti cantate e nelle belle chitarre acustiche di Mussida. Consigliato.* * *Devo dire subito che questo è il disco che attendevamo con fiducia da parecchi mesi, da quando cioè si era capito che i Quelli, tornati alla ribalta con una nuova originalissima denominazione, e con un quinto elemento, il cantante e polistrumentista Mauro Pagani, avevano le idee molto chiare sua quale tipo di musica suonare, e verso quali modelli stranieri orientarsi, o comunque da essi prendere lo spunto.Così, mentre la Premiata Forenria Marconi continua a sviluppare una personalità sempre più propria, cercando di evitare ogni palese imitazione, esce questa "Storia di un minuto", il primo episodio di un cammino probabilmente molto lungo.Franco Mussida, chitarrista e cantante della formazione, e Mauro Pagani, che si alterna al flauto all'ottavino ed al violino, sono gli autori di tutte le musiche e di quasi tutti i testi (c'è lo zampino del solito Mogol). Parte dell'album era già nota per l'edizione su 45 giri de "La carrozza di Hans" e di "Impressioni di settembre".Parlavo prima di ispirazioni: ebbene la principale viene dai King Crimson, dei quali il gruppo amava interpretare in concerto più di una pièce. La "introduzione" è tipicamente crimsoniana, mentre la successiva "Impressioni di settembre", dolce e stupenda per la musica e per il testo, ricostruisce la struttura caratteristica della "Lucky man" di Greg Lake, con le aperture a largo respiro di organo e di moog. Intimista allo stesso modo, ma più acustica e stilisticamente più personale la prima parte di "Dove... quando".Due le cose principali da osservare: una prima è la levatura tecnica degli strumentisti, la loro poliedricità, fruttata pienamente nell'impiego di flauto, violino, clavicembalo, mellotron, sintetizzatore, pianoforte, chitarra a dodici corde, percussioni. Sicuramente un album come questo potrebbe avere un certo successo anche all'estero, forse nella stessa Inghilterra.L'altra considerazione è la ricerca del gruppo all'interno di certe matrici classicheggianti tipicamente italiane: Vivaldi, Rossini, Verdi: l'amore adombrato per la musica operistica, e soprattutto il desiderio, comune un po' a tutti i nuovi gruppi nostri, di riscoprire contenuti da rivestire e da reinterpretare nel patrimonio musicale italiano, colloca la PFM in una posizione del tutto particolare nel panorama di coloro che cercano un

82

Page 83: Recensioni Prog Italia

aggancio al classico. I sintomi emergono in E' festa" e nella seconda parte di "Dove... quando", carosello di suoni, di pause, di dialoghi ricchi di fantasia e di una strumentazione varia e costantemente indovinata.L'album è molto frammentario: ma frammentario non è un aggettivo negativo, vuole solamente significare la tessitura sfaccettata, intrecciata, elaboratissima, dei colori che compongono il mosaico dei suoni, su cui veleggiando testi semplici ma significativi, anch'essi frammentari, ricchi di silenzi, editi alla descrizione di piccole cose, di immagini tradizionali ma rivissute con ingenuo incanto, simili alla poesia di stampo crepuscolare.Il flauto ed il violino, rispetto alle esibizioni dal vivo, sono molto impiegati, mentre impiegati sovente il mellotron ed il moog, e la chitarra acustica è l'autentica dominatrice.Buona la registrazione, anche se la voce è troppo in sottofondo. E bello il disegno di copertina, opera di Caesar Monti, Wanda Spinello e Marco Damiani.Enzo Caffarelli

83

Page 84: Recensioni Prog Italia

Per un amicoPremiata Forneria Marconi

1972

Alto grande disco e questa volta completamente depurato da qualsiasi influsso musicale (vedi quanto detto alla fine del commento del disco precedente)! Si comincia con "Appena un po'" con un bel intreccio di chitarra acustica, flauto e clavicembalo. Bella la parte cantata sottolineata in maniera pregevole da un bel mellotron. "Generale" è forse la canzone più tirata del gruppo: un pazzo incrocio di pianoforte contrastato dal resto del gruppo per un mosaico a dir poco mozzafiato. Non ho apprezzato l'inserimento del testo per la seguente trasformazione per il mercato straniero e rinominazione in "Mr. 9 till 5". Questo ultimo commento esula da questo disco comunque. Da segnalare inoltre la bella parte di pianoforte all'interno de "Il banchetto" e l'ultima "Geranio".Consigliato.* * *Se una conferma era necessaria da parte della Premiata, il secondo album è esattamente ciò che ci si poteva attendere: più curato del precedente, meno immediato ed appariscente, sicuramente avrà una funzione importantissima nell'abituare l'orecchio del consumatore medio italiano a discorsi più impegnati.Per la sua raffinatissima costituzione, l'album avrebbe bisogno di un buon impianto stereofonico per essere pienamente gustato; perfette sono le registrazioni, cui ha collaborato Claudio Fabi. La musica è a tinte tenui, pallide, sempre rigorosamente calibrata ed intimista, stilisticamente eclettica al massimo, e proprio per questo tipicamente indicata ad esprimere compiutamente le esigenze artistiche di questo periodo di transizione.Le due facciate sono divise complessivamente in cinque titoli. "Appena un po'" parte come collage di frammenti di musica classica, posti in un mosaico policromo, a somiglianza dei Gentle Giant, il gruppo che pare avere sostituito King Crimson nella funzione di ispirazione del quintetto. La tradizione italiana, quegli accenni di tarantella e di canto popolare che nle primo album venivano calati nel linguaggio meravigliosamente moderno del gruppo, in un magma sonoro che cresce e scompare, si dilata e di restringe, è qui ancora presente, sotto forma prevalentemente di tradizione classica (Sei e Settecento), varie citazioni sottilmente legate fra loro da episodi di mellotron o di sintetizzatore. Con questo brano la Premiata ripropone l'atmosfera fiabesca dei migliori gruppi inglesi e del primo LP "Storia di un minuto"."Generale" imprime alla raccolta una maggiore vitalità, e si rilevano gli interessi per il jazz, che viene tuttavia a combinarsi con altre forme espressive; l'impasto fra piano, violino e chitarra, interrotto da una marcetta militare in sintonia con il titolo, rappresenta la parte migliore del brano."Per una amico" somiglia forse troppo ai Gentle Giant, sia nella strumentazione che si basa sostanzialmente sul pianoforte, sia nella melodia che nell'uso delle voci, ma vorrei precisare che il confronto con il gruppo fedele discepolo di Francois Rabelais e dei menestrelli medievali non li fa affatto sfigurare. Il brano è indirizzato a tutti i sedicenti pacifisti, a coloro che avvertono l'urgenza dei problemi e ne denunciano la gravità in una sorta di mistica estasi, senza diretto intervento, caso frequente anche fra i musicisti. Il brano che dà il titolo all'intero album (forse il destinatario è Claudio Rocchi) dice fra l'altro: "Non domandarmi se un giorno cambierà, comincia a fare qualcosa... tu

84

Page 85: Recensioni Prog Italia

scappi e ti nascondi e non si può, tu vivi i tuoi compromessi e non si può... non è più tempo di sogni ma di realtà... "."Il banchetto" presenta una prima parte cantata, con un breve e pregnante testo contro l'asservimento allo stato costituito ("Sire, maestà, riverenti come sempre siamo tutti qua; sire, siamo no, il poeta, l'assassino e sua santità, tutti fedeli amici tuoi, o maestà" e poi ancora: "Tutti sorridono, solo il popolo non ride ma lo si sa, sempre piagnucola, non gi va mai bene niente, chissà perché , chissà perché... "). La seconda parte è strumentale, con il moog che introduce e coordina vari strumenti classicheggianti (fra l'altro la PFM utilizza il clavicembalo, la spinetta, vari flauti, il mandoloncello).Infine "Geranio" è la più intima e cerebrale fra le cinque composizioni, quasi impercettibile nelle sue sottili evoluzioni, nei suoi contrasti chiaroscurali e nella sua fine struttura, con un maestoso finale dove il moog, come altrove, riesce a dare l'idea della grande orchestra.Enzo Caffarelli

Photos of GhostsPremiata Forneria Marconi

1973

Commento di Nicola WiriQuesto disco rappresenta la versione inglese del precedente album "Per un amico". I brani sono un po' mischiati e in più ci sono "Celebration" (È festa) ed un inedito, "Old rain", da cui si fa bene a non aspettarsi molto. Ogni traccia è stata risuonata alla perfezione con solo qualche leggera variazione qua e là e ogni tanto l'inserimento del moog nelle canzoni. I testi sono tradotti da Pete Sinfield, paroliere dei King Crimson, ad eccezione de "Il banchetto" rimasta in italiano e probabilmente neanche risuonata; quindi Mr 9 till 5 (Generale) ha avuto bisogno di un testo, probabilmente per aggiungere ancora qualcosa di nuovo, invece è stato storpiato uno dei pezzi a me più cari. In conclusione questo album non è assolutamente niente di eccezionale, o meglio: niente di nuovo.Mi sono accorto di una cosa ascoltando "Il banchetto": il testo pare una risposta a coloro che credevano la Premiata una copia dei King Crimson. Sembra un discorso fra loro e il gruppo inglese: "sire, maestà..."; come per dire che è presente una certa ammirazione ma credendo comunque in un proprio stile. Poi inizia la parte alle tastiere e al piano di Premoli come dimostrazione della loro personalità. Sarà una stupidaggine, ma potrebbe essere...

85

Page 86: Recensioni Prog Italia

Live in U.S.A.Premiata Forneria Marconi

1974

Disco live con esecuzioni dominate dalle canzoni di "Photos of Ghost" anche se non manca un assaggio del materiale in italiano. La qualità con cui vengono riproposti i pezzi è molto alta e alla fine viene proposto un riarrangiamento dell' overture del Gugliemo Tell di Rossini.Consigliato a chi cerca una visione live.

L'isola di nientePremiata Forneria Marconi

1974

Dopo i due ottimi dischi d'inizio e lo sbarco internazionale con "Photos of Ghosts", il gruppo propone questo "L'isola di niente" leggermente inferiore ma comunque buono. "L'isola di niente" è una lunga traccia con un tentativo alquanto inutile di inserire delle parti di corale. Il risultato finale è ugualmente positivo grazie a dei validi cambi di tempo ed atmosfera. "Is my face on straight" è il punto debole del disco. Il testo è opera di Peter Sinfield, visionario paroliere dei primi King Crimson, ed è sostanzialmente divisa in due parti: una prima buona parte in tipico stile della band mentre la seconda è un leggero pasticcio in stile Yes Album. Seguono due cavalli di battaglia del gruppo: "La luna nuova" e l'acustica "Dolcissima Maria". Chiude la strumentale "Via lumière": una versione live in qualche disco seguente sarebbe stata curiosa da ascoltare visto che all'interno sono presenti alcuni passaggi che necessitano attenzione e puntigliosità!Leggermente inferiore ai primi due ma comunque un buon disco!Consigliato.

Chocolate king'sPremiata Forneria Marconi

1975

Lo stile di questo disco è tutto particolare...Grandioso inizio in "From under" e bella "Out of the roundabout", ancora nella scaletta della band.La voce del cantante ricorda in maniera molto chiara quella di Peter Gabriel. Prima dell'acquisto consiglio un ascolto.

86

Page 87: Recensioni Prog Italia

Jet LagPremiata Forneria Marconi

1977

Commento di Nicola WiriAncora un buon disco sfornato dalla PFM in un periodo, però, in cui il rock progressivo andava di già consumandosi. Qui la formazione storica muta leggermente: entra Bernardo Lanzetti al canto uscito da Acqua Fragile ed il preciso Gregory Bloch ai violini mentre esce il grande Pagani. Quasi tutti i pezzi offrono musica di ottimo gusto a volte un po' priva di idee e appena ripetitiva; in effetti è molto amplio l'uso del micro moog soprattutto in "Storia in "la"". Comunque i motivi creati con questo solo strumento non faranno mai stancare. Ciò che non soddisfa, invece, è la voce solista di Lanzetti che non lascia spazio neanche a quella melodica di Premoli. Tutte le canzoni cantate sono in inglese e perdono un po' di vero stile PFM, difatti la probabile migliore dell'album è "Cerco la lingua" l'unica in italiano con una gustosissima introduzione di violino. La durata dei brani supera in tutti i 4 minuti tranne che in "Peninsula" brano per sola chitarra con Mussida capace ancora di arpeggiare da vero maestro. Il pezzo viene poi inserito in "Traveler", l'ultimo favoloso brano che chiude un disco forse più che discreto, anche se un po' lontano dal primo stile classico, e che non credo avrà più seguiti.

87

Page 88: Recensioni Prog Italia

Quella Vecchia LocandaQUELLA VECCHIA LOCANDA

1972

Primo disco di questa grande band che paga in qualche attimo l'immaturità artistica dei componenti. Questo non significa che il disco non sia interessante...anzi. Grandissima la prima parte cantata in "Prologo": potente e trascinante; altrettanto buone "Un villaggio, un'illusione" e "Realtà". Devastante la chiusura del disco: "Dialogo": un piccolo atto d'accusa con un bel incrocio di synth iniziale; "Verso la locanda": bella parte cantata con finale tiratissimo; "Sogno,risveglio e ...": una bellissima parte di pianoforte esaltata e sospesa da intermezzi di flauto e violino in cui viene anche ripreso lo stacco iniziale di "Prologo".Per essere un disco d'esordio il risultato è molto buono anche se io onestamente preferisco leggermente il seguente "Il tempo della gioia".Comunque consigliato.* * *"Quella vecchia locanda" è un sestetto romano che ha certamente realizzato uno dei migliori dischi italiani dell'anno, inserendosi di prepotenza nel novero dell'ultima generazione nostrana di gruppi all'avanguardia.Il gruppo esegue una musica tipicamente inglese nel linguaggio del rock, nella strumentazione ricchissima, nei continui frazionamenti di ritmo e nell'incalzare di fasi solistiche, affidate ora al violino elettrificato e non, ora al flauto o all'ottavino, ora alla spinetta, al mellotron o al moog. La formazione è pressappoco quella dei Gentle Giant, e la musica è molto vicina ai Jethro Tull, specie nell'uso del flauto, nel background batteristico ed in certe frasi vocali: a proposito della voce, mi sembra che ancora una volta il problema dell'applicazione della lingua italiana al rock, trovi scogli insormontabili, tranne forse in uno o due punti del microsolco.Con uno stile frammentario, ricco di belle immagini, qualche volta un tantino scolastiche, la Vecchia locanda cerca l'equilibrio giusto tra il rock tipicamente britannico, come si diceva, con qualche vago spunto jazzato, e soprattutto con una base classicheggiante, impregnata sul violino che caratterizza tutta la prima parte dell'album e la fase conclusiva; ma non si comprende bene, dato che i riferimenti classici rimangono fini a se stessi, se il gruppo sta cercando un'autentica comunione di momenti musicali, oppure se sta tentando progressivamente di liberarsi del retaggio classico che appartiene indiscutibilmente alla formazione culturale di almeno qualcuno di loro. Certo è che Massimo Roselli, che opera alle testiere, e Donald Lax che suona il violino, mostrano di avere ascoltato Vivaldi e specialmente Bach forse più attentamente di quanto non abbia fatto il flautista e cantante Giorgio Giorgi nei confronti di Ian Anderson.Ripeto ancora una volta che l'album è fra i migliori italiani in circolazione e lascia intravvedere ottime prospettive. Ma poiché in sede di recensione sono solito indicare di un disco più i difetti che i pregi, voglio aggiungere due parole (non si tratta di snobbismo, penso piuttosto che lo stesso fatto di presentare un LP in questa rubrica - dove passano venti dischi al mese su centinaia che vengono immessi sul mercato - sia già un coefficiente di positività). Desidero solamente sottolineare che il gruppo ha ancora bisogno di trovare rimedio ad una certa freddezza formale, che forse proviene dalla forzata imitazione di modelli stranieri. Se saprà rimpiazzarli con la tradizione italiana, secondo il tentativo di altri gruppi, probabilmente i risultati saranno ancora

88

Page 89: Recensioni Prog Italia

migliori.Ottima la registrazione per l'etichetta Help, distribuita dalla RCA italiana.

Enzo Caffarelli

Il Tempo Della GioiaQUELLA VECCHIA LOCANDA

1974

Bellissimo secondo disco di questo gruppo romano fortemente influenzato dalla musica classica: grandi parti quindi di violini, flauti, pianoforti e clavicembali! Formato da cinque canzoni stilisticamente mai ripetitive, il disco è di piacevolissimo ascolto tanto più che un giorno sono riuscito ad ascoltarlo sei volte di fila !!! Gradevolissima la voce del cantante, a volte leggermente aspra ma mai ai livelli dei Semiramis, sempre sostenuta ed esaltata da un gran lavoro musicale ad opera del resto del gruppo. Spuntano (anche se non c'è niente da buttare qui...) "Villa Doria Pamphili", "A forma di.." e "Un giorno, un amico", forse il brano più interessante del disco, con una breve ma intensissima parte cantata.Consigliato.

Per...un mondo di cristalloRACCOMANDATA RICEVUTA RITORNO

1972

Concept album racconta il ritorno di un'astronauta sulla Terra e lo sconforto nel trovarla distrutta!Lo stile è simile a quello dei Semiramis sia nell' uso della chitarra acustica che nel canto. Il gruppo comunque non indugia nel mescolare anche diversi generi musicali: si veda "Su una rupe" con inizio acustico con chitarra 12 corde e flauto, stacco indiavolato con intervalli di pianoforte e seguente strofa con Hammond, flauto e chitarra. Belle "Il mondo cade su di me", la quasi jazz "Nel mio quartiere" e la lunga "Un palco di marionette", sicuramente la traccia migliore. Onestamente non è uno dei miei dischi preferiti anche se sono fermamente convinto del fatto che sia un validissimo prodotto.

89

Page 90: Recensioni Prog Italia

Reale accademia di musicaREALE ACCADEMIA DI MUSICA

1972

E' finita l'epoca dell'hard rock e della musica caotica ed ipnotica fine a se stessa. I gruppi italiani hanno imparato la lezione, e dopo qualche flirt passeggero con i gruppi inglesi di maggiore successo (vedi l'esplosione del flauto alla Ian Anderson, presto ridimensionata), eccoli a scoprire una dimensione acustica, melodica, a mettere in prima fila le tastiere, il piano, il mellotron, il sintetizzatore, ed a creare testi intimisti, favolistici, poetici.

Non che in questa operazione gli italiani si siano dimostrati molto originali, perché non sono stati certamente gli iniziatori. Tutt'altro, l'imitazione è forse ancora più palese. Con la differenza tuttavia, che se nel rock duro esse si erano sforzati di immedesimarsi in un linguaggio che non era né può essere il loro, collezionando magre figure e mai superando un livello poco più che accettabile, ora si trovano viceversa a proprio completo agio, con l'arioso respiro delle melodie, le strofe ampia che consentono l'inserimento della troppo armoniosa e barocca lingua italiana (nei confronti di quella laconica ed essenziale degli inglesi), e la strumentazione ricercata e raffinata, dove è sufficiente possedere qualche idea ed un pizzico di buon gusto - anche se non si è veloci, sicuri, tecnicamente preparatissimi - per fare bella figura.

In una parola, gli inglesi ci sono venuti incontro, hanno fatto di tutto - istintivamente ed inconsapevolmente - per portare la musica verso una linea più meridionale, più latina e più classica. Sta a noi raccogliere l'invito.

Come altri, la Reale Accademia di Musica ha registrato un album molto buono che trova immediata collocazione nel discorso sopra svolto. Si tratta di un gruppo romano di musicisti conosciuti nell'ambiente per avere militato in altre formazioni (il nucleo originario del Banco del Mutuo Soccorso, i Fholks), con una cantante di origine spagnola. Prodotti ed assistiti da Maurizio Vandelli, i ragazzi della Reale sfruttano il momento con un sapiente sound basato principalmente sul piano e sul mellotron, con strutture molto melodiche, sulle quali le parti più mosse si inseriscono per progressiva accelerazione dei tempi, senza tuttavia elevarsi con spunti particolarmente originali.

E' la nuova generazione dei gruppi italiani, fra i quali voglio inserire i Jumbo, Quella Vecchia Locanda e il Banco del Mutuo Soccorso. Una generazione che è in possesso delle idee e dell'entusiasmo necessario, ma il cui lavoro si svolge ancora ad uno stadio embrionale. Se uscirà completamente dal guscio, avremo anche noi finalmente una musica bella e sufficientemente autonoma.

Ci prova intanto la Reale Accademia di Musica, con un primo album di sei brani complessivi, tra i quali ricordo "Il mattino", "Padre" e "Vertigine".Enzo Caffarelli

90

Page 91: Recensioni Prog Italia

Storie di uomini e nonROCKY'S FILJ

1973

I Rocky's Filj sono uno di quei tipici gruppi alla cui base non c'è tanto spirito di emulazione, quanto una genuina necessità di esprimersi attraverso la musica: un gruppo di amici che si radunano in cantina per dar sfogo a questa passione, senza porsi, almeno in principio, obiettivi concreti né ambizioni stilistiche ben precise. Una musica viscerale e libera, il cui unico appiglio culturale che si faccia sentire è il richiamo verso il jazz, inteso anch'esso nella sua massima libertà e visceralità.

Tale era all'inizio, oltre due anni fa, la musica dei Rocky's Filj: ma le doti naturali e la freschezza dell'espressione hanno presto inserito il gruppo in un discorso che forse poteva sembrare lontano ed illusorio agli stessi musicisti. Dopo la proficua apparizione al festival d'avanguardia e nuove tendenze di Roma, nel '72, i quattro ragazzi tornavano in cantina, ma questa volta sotto la direzione notoriamente magica del produttore Sandro Colombini. Tutto tempo che, alla luce di questo "Storie di uomini e non", appare decisamente ben speso: il gruppo ha infatti intrapreso una strada originale non solo per il panorama italiano ma anche per quello straniero.

La formazione decisamente inusuale, chitarra, ance, basso, sax, clarino e batteria - non compaiono le tastiere, considerate oggi indispensabili - e la capacità di inserirsi autonomamente in un discorso decisamente vivo e moderno, le parti fiatistiche ricollegabili a certi King Crimson e un vago sapore di McLaughlin, fanno di questi Rocky's Filj una piacevole realtà, infrangendo i timori di chi credeva che dietro a Banco, PFM e Osanna non vi fosse più spazio per la musica rock italiana.

L'album, cinque brani piuttosto omogenei fra i quali si distinguono "L'ultima spiaggia" e "Martino", rivela una natura essenzialmente ritmica, stringata, priva di pesantezza; ma altrettanto presenti sono episodi ricchi di respiri ampi, più pittorici, piccole isole di quiete in mezzo ad un rincorrersi di temi ritmici, in cui la voce di Rocky è un metallo che canta, cesella frasi di grande effetto.

Per il resto l'animosità e la freschezza della musica assorbe e miscela benissimo tutte le matrici, poggiando su doti non comuni: una sezione ritmica impegnatissima e varia, i sax ed il flauto perfettamente inseriti nella linea melodica, una sorprendente chitarra capace di eccitanti assoli e di disegnare sfondi ricchissimi di contrasti.

Il disco è stato registrato in studio, ma senza sovrincisioni, curando in particolare la produzione e la gamma dei suoi e dei timbri: il risultato è quanto di meglio si possa oggi realizzare suonando una musica viva e moderna.Enzo Caffarelli

91

Page 92: Recensioni Prog Italia

La BibbiaROVESCIO DELLA MEDAGLIA

1971

Disco hard rock!!! Parti dell' antico testamento: La creazione, L'ammonimento, Sodoma e Gomorra, Il diluvio...La scritta dal vivo indica che è stato registrato in diretta, ovvero in una sola passata, senza sovraincisioni e trucchi da studio, e non in concerto.Non è male ... forse un po' grezzo !!! Comunque non è progressive* * *Ancora una volta qualcosa di "nostro" merita posto in questa rubrica. Il Rovescio della Medaglia è un gruppo romano di quattro elementi, il chitarrista Enzo Vita, il bassista Stefano Urso, il batterista Gino Campori ed il cantante Pino Bannarini. L'album è stato registrato negli studi della RCA direttamente dal vivo, cioè con due microfoni davanti al gruppo, senza nessuna operazione di filtraggio e di sovrapposizione di nastri. Solamente gli effetti elettronici che aprono la suite e compaiono poi di tanto in tanto sono preregistrati, e vengono utilizzati dal quartetto anche negli spettacoli. Il Rovescio della Medaglia mi sembra diverso da un po' tutti gli altri gruppi italiani, sia quelli da tempo affermati, che quelli usciti di prepotenza nell'ultimo anno. Le loro intenzioni sono quelle di creare un tipo di musica tutta propria, una specie di rock sinfonico, e questo album, concepito da parecchi mesi, e finalmente inciso dopo il reperimento del fatidico "contratto", è il primo passo verso una simile realizzazione, pur restando in alcune parti vicino ad un hard rock di stampo tradizionale. L'album ha pure il pregio di rappresentare un concetto unico, una specie di biblica rievocazione suddivisa in sei parti: "Il nulla", "La creazione", "L'ammonimento", "Sodoma e Gomorra", "Il giudizio" e "Il diluvio". Oltre ai testi, anche gli strumenti cercano a turno di significare i personaggi e gli ambienti della Bibbia. Enzo è un solista misurato, molto espressivo, mentre la sezione ritmica, specie per merito di Stefano , è senza dubbio una delle migliori fra i gruppi italiani. Infine anche Pino possiede una bellissima voce, elemento questo che manca a buona parte delle nuove formazioni nostrane. Enzo Caffarelli

92

Page 93: Recensioni Prog Italia

ContaminazioneROVESCIO DELLA MEDAGLIA

1973

Bellissimo inserimento di parti rock a parti tratte dal clavicembalo ben temperato di J.S. Bach. Originale il tema trattato: parla di uno smemorato che ridestatosi pensa di essere Bach... Grandi "Ora non ricordo più", "Mi son svegliato e ho chiuso gli occhi" con una bella alternanza di organo e violini e "La grande fuga" con grandi interventi di moog, clavicembalo, organo e violini. "La mia musica" suona in maniera molto più leggera ma è presente all'interno uno stupendo stacco di violini. L'arrivo nel gruppo di Di Sabbatino giova sia alla produzione che al gruppo stesso e se ne può apprezzare appieno qui la grande abilità di musicista in quanto l'esecuzione di alcune parti è davvero notevole. Ottimo l'inserimento di parti di chitarra spesso distorta, di cui segnalo "Alzo un muro elettrico".Consigliato.* * *Come ispirarsi ai classici, come rinnovarne il fasto e la forza creativa capovolgendo certi presupposti ed utilizzando un linguaggio diverso, originale, comunicativo? E' un problema che buona parte dei musicisti pop si sono posti da tempo, dandovi ciascuno una differente risposta.Il Rovescio della Medaglia, dopo i dischi di hard rock intellettuale, sperimenta ora una nuova strada, in collaborazione do Luis Bacalov, già autore di "Concerto grosso" dei New Trolls e di "Preludio, tema, variazioni, canzona" degli Osanna. IL classico che funge da modello è Giovanni Sebastiano Bach: un Bach naturalmente trasfigurato, come indica chiaramente il titolo completo dell'opera, "Contaminazione di alcune idee di certi preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato di J. S. Bach".I ragazzi del Rovescio si sono dunque avvicinati al classico, al quale almeno in teoria sono sempre stati interessati: in particolare all'affetto per Beethoven hanno affiancato autori più moderni, come Bartok: il chitarrista Enzo Vita, che ha collaborato in sede compositiva con Bacalov, cerca di riprodurre con il suo strumento certi archi tipici del musicista ungherese. Inoltre il nuovo elemento, Franco Di Sebatino, ha introdotto le tastiere nel gruppo e proviene direttamente dal classico.C'è dunque una continua opera di osmosi, che alterna momenti estremamente convincenti come altri forse più ingenui e scontati, ma con gli strumenti disposti in maniera originale, senza inutili ripetizioni, soprattutto senza barocchismi superflui. Cosa resti di Bach è difficile dirlo.Sottolineo le note di copertina, in cui si accenna ad un immaginario Isaia Somerset, musicista scozzese del '700, uno psicopatico che si sarebbe considerato figlio naturale di Bach, e ad un altrettanto immaginario chitarrista pop Jim McCluskin, che del Somerset si riterrebbe la reincarnazione vivente. In termini meno ermetici, anche il Rovescio vuole ergersi ad utopistico modello di reincarnazione bachiana, ma con una certa utoironia, senza presunzione, una volta tanto per questo gruppo.La mano del maestro Bacalov ha saputo guidare e plasmare il quintetto romano, ponendone in risalto le qualità tecniche, che sono indiscutibili, e smussandone gli angoli più spigolosi e narcisisti.La "Contaminazione" è una lunga suite divisa in tredici porzioni, differente decisamente dalla precedente produzione del Rovescio della Medaglia.

93

Page 94: Recensioni Prog Italia

Enzo Caffarelli

Il ritornoROVESCIO DELLA MEDAGLIA

1995

Un miscuglio di musica leggera...ed io che pensavo in un grande ritorno...

SamadhiSAMADHI

1974

Gruppo formato da elementi provenienti da RRR, L'uovo di Colombo e Teoremi per un disco che francamente non entusiasma ma neanche dispiace. Buone le parti di tastiere con il pianoforte sempre in evidenza, di basso e batteria. Una delle pecche è un uso praticamente sporadico della chitarra che avrebbe sicuramente giovato e riempito certe atmosfere leggermente spoglie. Il disco comunque non è male e spuntano "Un milione d'anni fa", "L'angelo" e "Silenzio". Da segnalare inoltre "Passaggio di via arpino" con un respiro di improvvisazione e "L'ultima spiaggia", sicuramente il miglior brano del disco. Il gruppo infatti trova qui una splendida grinta e coesione proponendo il pezzo più ambizioso con un ipnotico finale in crescendo di corale. Onestamente, se tutte le composizioni fossero state sul livello de "L'ultima spiaggia", questo disco si posizionerebbe in maniera ben diversa nella mia classifica personale...Comunque non è male.

94

Page 95: Recensioni Prog Italia

Dedicato a FrazzSEMIRAMIS

1972

Altro gruppo mordi e fuggi...! e comunque altro glorioso disco italiano...!Lo stile è classicamente prog nel canto mentre nelle varie parti strumentali l'atmosfera diventa magicamente magnetica, quasi hard, ma mai ai livelli de Il Balletto di Bronzo!!! Belle "La bottega del rigattiere", "Uno zoo di vetro" e "Frazz" . La voce del cantante è acida e stridula... ma precisa per questo tipo di sound. Il suo nome è Michele Zarrillo... e non è un caso di omonimia... ##%@@%§àçç!!!! Consigliato* * *A dispetto dell'unica esibizione dal vivo cui mi è stato possibile assistere, i Semiramis si presentano con un disco, che dovrebbe facilmente imporli all'attenzione del nostro pubblico.Il quintetto, guidato dai fratelli Michele (chitarre e canto) e Maurizio Zarrillo (tastiere) si porta dietro ancora il retaggio tipico dei gruppi italiani, specie il difficile inserimento della voce e dei testi nelle musiche (ma perché cantano ancora tutti come Nico Di Palo?), uniti alla fatale immaturità degli esordi.Ma la musica dei Semiramis è vivace e per certi versi originale: i testi sono buoni, le carenze di ritmica e di fusione quasi assenti, e semmai mascherate dalla ricchezza di corde e tastiere, legate e sovrapposte con molto gusto e padronanza di mezzi. Una ricchezza espressiva, che a parte il sint e l'Eminent facente veci del mellotron, è sottolineata dal vibrafono, affidato al batterista Paolo Faenza, ed alle campane, la famigerate "tubular bells" del bassista Marcello Reddavide, e dalla presenza di un altro ragazzo, Giampiero Artegiani, che affiancano ora l'uno ora l'altro leader alla chitarra acustica, alle dodici corde o al sint.Le chitarre amplificate, tranne qualche scoria di hard rock, non sono fuori posto nel clima generale delle composizioni e della esecuzioni, piuttosto eterogenee, I brani migliori: "La bottega del rigattiere", "Uno zoo di vetro" (con un esplicito richiamo a Mike Oldfield), e "Per una strada affollata", dai delicati intermezzi acustici (anche i Genesis hanno insegnato parecchio).Bello il disegno interno della copertina di Gordon Faggetter, l'ex batterista di Patty Pravo, oggi designer di successo: Gordon la sa lunga sulla pittura metafisica e sul surrealismo, ed il suo quadro ricorda "In the wake of Poseidon" dei King Crimson.Enzo Caffarelli

95

Page 96: Recensioni Prog Italia

ShowmenSHOWMEN 2

1972

Gli Showmen tornano sulla scena contrassegnati dal numero due, dopo un lungo periodo di stasi successivo alla dipartita di Elio D'Anna, ora con gli Osanna, e con parecchie idee nuove e interessanti.

Sono ancora in sei, ma più della metà degli elementi non sono più quelli che alternavano R&B commercialoidi a ripescaggi degli anni Quaranta.

L'album è inciso per l'esordiente etichetta B.B.B. (Beautiful black butterfly), e si presenta con una confezione elegantissima, e completa di note, testi, adesivo e manifesto. Ma quello che conta maggiormente è la musica, un tipico pop-jazz che gli Showmen hanno sicuramente imparato dai Chicago (l'ultima volta che apparvero alla televisione, se non vado errato due anni or sono, suonarono proprio la "Introduction" da "Transit authority"). Il sestetto ricorda i Chicago per l'impostazione degli ottoni, la cui sezione è guidata dall'ottimo italo-americano James Senes, rimasto portabandiera della vecchia guardia. Ma per buona parte il disco si muove su orientamenti personali, e sicuramente lascia intravvedere un futuro ancora migliore.

Come tutti i gruppi interessanti usciti negli ultimi tempi in Italia, due sono le preoccupazioni di base del gruppo: scartare a priori una supina imitazione dei modelli stranieri riagganciandosi alla tradizione italiana; e creare dei testi originali e validi, cercando di adattarli nel migliore dei modi al linguaggio del rock.

I problemi sono stati risolti abbastanza bene, anche se forse troppa importanza è stata fatta per tempo e per spazio alla parti cantate, tuttavia giustificate da una serie di testi molto buoni ("Epitaffio", "E la vita continua", "Lo zio Tom").

Un album dunque con un certo coraggio e degno di essere ascoltato. Un'altra prova inoltre dell'importanza di Napoli (Osanna, Balletto di Bronzo, ecc.) nel discorso pop italiano, con un invito per gli organizzatori di concerti a tenere maggiormente in considerazione la candidatura della città partenopea.Enzo Caffarelli

96

Page 97: Recensioni Prog Italia

L'unitàSTORMY SIX

1971

Fra i complessi italiani della "nuova generazione" penso si possano includere i milanesi Stormy Six, anche se per loro il discorso è piuttosto diverso."L'unità" è il secondo album del quartetto, dopo un primo risalente al 1968 e rimasto piuttosto in ombra; esce quasi un anno dopo la partecipazione degli Stormy Six al Festival di Viareggio del '71. Il gruppo ha dedicato questo disco alla storia e alla cronaca italiana: la prima è ambientata negli anni a cavallo fra il 1860 ed il 1863, e intende rivedere l'interpretazione eroica del Risorgimento. Secondo la visione degli Stormy Six, in particolare di Franco Fabbri che ha guidato l'operazione storica, visione discutibilissima, Garibaldi non fu un liberatore, ma fece soltanto mutare padrone al popolo meridionale; il brigantaggio non fu una forma di delinquenza, ma un modo di ribellarsi all'autorità nuova, più esigente di quella borbonica; la repressione del brigantaggio fu una delle pagine più nere della nostra storia patria; il popolo non accettava la nuova realtà sociale e lottava per cambiarla subendo sanguinose repressioni.Sono quattro storie, due rigorosamente vere, due liberamente inventate ma vicine allo spirito dell'epoca: un quadro preciso di una storia non colta sui libri scolastici, ma vissuta con gli occhi di quello che era il popolo: le musiche sono piuttosto semplici, senza nessun effetto, ma con un legame preciso con la più semplice e nuda tradizione italiana.La seconda facciata è viceversa ambientata ai giorni nostri, con una musica più viva e ispirata in maniera pedissequa ai coretti di Crosby/Stills & Nash, con argomento principale la presa di coscienza politica degli studenti, coscienza che conduce ad un impegno rischioso e difficile. La "Manifestazione" canta infatti la morte di un ragazzo durante un corteo.L'ultimo brano "Fratello", dedicato all'ex cantante del gruppo Claudio Rocchi, vuole colpire quanti credono di risolvere i problemi del nostro mondo con la filosofia hippie, proponendo un impegno individuale di amore e di pace, dimenticando certe componenti sociali ed umane che modellano e influenzano il comportamento individuale.Un album piacevolissimo al di là di quelle che sono le interpretazioni storiche e le imitazioni stilistiche: e soprattutto una strada originale nel cammino della musica italiana per l'impegno e per la fresca vena folklorica.Da citare alcuni componenti del complesso Il Pacco che hanno aiutato nella registrazione i quattro Stormy Six, Franco Fabbri, Massimo Villa, Luca Piscicelli e Antonio Zanuso.Enzo Caffarelli

97

Page 98: Recensioni Prog Italia

The TripThe TRIP

1970

Primo disco di questa band formata da due componenti italiani (Vescovi e Sinnone) e due, penso, inglesi (Gray e Andersen). Come esordio non è male contando la precocità dell'anno (1970), periodo di piena gestazione del rock progressivo italiano. Sono comunque chiaramente presenti degli agganci stilistici al rock anni '60 (ad esempio i vari cori) ed alcuni passaggi di organo di matrice blues. Non comprendo la scelta dei titoli in italiano ed i testi in inglese, tranne in "Una pietra colorata", caratteristica presente anche nei successivi dischi; magari per un possibile seguente lancio internazionale...Forse è solo un' impressione o una predilezione dettata dalle mie radici, ma il cantato in italiano risalta molto di più lo stile della band. Spunta quindi la suddetta "Una pietra colorata" ma anche "Incubi" e "Visioni dell'aldilà".Non male come disco d'esordio ma sicuramente inferiore ai successivi.

98

Page 99: Recensioni Prog Italia

CaronteThe TRIP

1971

Secondo disco di questo gruppo (in cui rimane inalterata la formazione rispetto al precedente) e un bel passo avanti come qualità. Il sound, infatti, perde, anche se non totalmente, gli influssi degli anni '60 e si delineano i "tratti somatici" tipici del gruppo. Buono l'inizio con "Caronte I", soprattutto nella seconda parte. Segue poi il giro tiratissimo di "Two brothers" e la bellissima "Little Janie": la parte più soft del disco in cui la voce del cantante ricorda vagamente John Lennon. Segue "L'ultima ora": un'atmosfera quasi riflessiva con ritornelli esplosivi. Bella la parte centrale con stacchi di Hammond e solo di chitarra. Stacco di organo a canne e parte la chiusura di "Ode a J.Hendrix": un omaggio al genio, anche se forse un po' troppo assillante sui timpani . Chiude "Caronte II" che riprende il tema della prima parte.Un Joe Vescovi sempre in prima fila per questo grande disco: il mio preferito del gruppo insieme ad "Atlantide".Consigliato.* * *I complessi italiani continuano a darsi da fare per creare anche presso di noi una musica interessante: il 1971 ha segnato alcuni risultati estremamente positivi, come la piena conferma delle Orme, il primo album degli Osanna, quello non ancora edito dei Panna Fredda, la nascita della Premiata Forneria Marconi.I Trip, due ragazzi inglesi, un piemontese ed un ligure, tutti residenti in Italia ed operanti per una casa discografica italiana, sono al loro secondo LP.Il primo, chiamato semplicemente "The Trip", denunciava un'accurata ricerca soprattutto di effetti sonori, affidata al leader musicale del quartetto, l'organista e pianista Joe Vescovi. Anche in "Caronte" c'è una palese volontà di rinnovamento, e solo raramente i musicisti si limitano a mettere insieme espressioni ed influenze dei gruppi stranieri, dei modelli inglesi in particolare modo, com'è d'obbligo in questo momento.Quello che interessa con immediatezza è il fatto che l'album raccoglie cinque brani mantenendo un tema unitario, più che altro da un punto di vista psicologico, perché i testi sono pochi: è il tema di un viaggio immaginario, di tipo dantesco. La copertina riporta disegni infernali, e gli stessi musicisti sono fotografati in costumi antichi nelle acque di un stagno. Caronte, il mitologico traghettatore delle anime perdute, è qui l'allegoria dell'ipocrisia di coloro che, secondo gli stessi autori, condannano i loro "fratelli" morti, come Jimi Hendrix, il più di moda nelle celebrazioni.A livello espressivo non c'è però dark sound, ma un rock meno effettistico, ricco di spunti pregevoli, specialmente negli impasti fra l'organo di Vescovi e la solista di William Grey, che costituiscono senza dubbio la nota più tipica del sound del quartetto. "Caronte I", che apre la raccolta, è un episodio esclusivamente strumentale di fattura violenta, mentre "Two brothers", con il testo completamente in lingua inglese, dopo un inizio di strani rumori si snoda in un crescendo di organo e chitarra fino alla porzione vocale, a metà strada fra i Led Zeppelin delle ultime esperienze ed i King Crimson di "21th century schizoid man", sicuramente uno dei pezzi che ha più influenzato la scena musicale degli ultimi due anni. Ci sono rapidi cambiamenti di tempo, come caratteristica di tutto l'album, e si segnala il basso creativo di Arvid "Wegg" Andersen.La facciata B comprende la melodica "Little Janie", poi l'"Ode a Jimi Hendrix", un

99

Page 100: Recensioni Prog Italia

susseguirsi di ritmi violenti e di episodi pacati, avvincenti nella seconda parte che si apre con un organo da chiesa e poi si continua con la solista distorta celebrante una specie dei marcia funebre su di un background percussionistico particolarmente "heavy".Enzo Caffarelli

100

Page 101: Recensioni Prog Italia

AtlantideThe TRIP

1972

Terzo disco e cambio di formazione: fuori Gray e Sinnone e dentro il bravo Furio Chirico, astro della batteria con tecnica originale e pregevole (avrà modo di darne prova anche nei successivi lavori con gli Arti e Mestieri). Il suond cambia leggermente rispetto ai precedenti dischi grazie soprattutto al nuovo elemento che dona tecnica e precisione alle canzoni. Le canzoni migliori sono sicuramente: "Atlantide" con un bel intervento corale quasi ipnotico, "Evoluzione" con una batteria molto sostenuta ed enfatizzata, "Energia" con il lungo solo di Hammond e un finale di piano effettato che da una sensazione orientaleggiante e la bella melodia orecchiabile di "Ora X". Originale anche "Analisi" con alternanze di piano (effettato od elettrico ?) ed organo a canne. Segue il lungo assolo di batteria di "Distruzione", dove il nuovo entrato ha un'ulteriore occasione per mettere in mostra le ottime capacità.Un grande disco.* * *Tempi buoni per la musica italiana. Dopo un primo LP passato alquanto inosservato, risalente al periodo in cui ancora si diffidava molto dei gruppi italiani, e più ancora di quello anglo-italiani, e dopo un secondo che è serito soprattutto a rilanciarli senza per altro ottenere consensi pieni da parte di tutti, ecco i Trip alla loro terza fatica discografica che li conferma fra i migliori del nostro panorama."Atlantide" è l'immagine del mitico continente scomparso riflessa nella nostra civiltà, come monito e speranza a un tempo, contro il tecnicismo esasperato e la corsa al progresso della società del duemila.Il gruppo si presenta senza il chitarrista, e con un nuovo batterista, il ventenne piemontese Furio Chirico, mentre "Wegg" Andersen e Joe Vescovi sono al solito gli autori dei brani ed i protagonisti delle esecuzioni.Guardano indietro, a "Caronte", i nuovi Trip presentano soprattutto una maggiore mobilità che li affranca dalla schematicità troppo rigorosa del rock, e spaziano verso lidi pseudo-jazzistici, specie con la freschezza di idee e la nuova libertà che sembra caratterizzare l'indiscutibile tecnica di Joe. Le novità possono essere colte a livello di inventiva e a livello di sonorità; un piano elettrico ed un organo, modificati opportunamente ma senza troppi artifici, un generatore elettronico trovato quasi per caso in uno studio di registrazione, utilizzati per creare espressioni interessantissime e senza vuoti formalismi (come ad esempio si era verificato nel primo LP, in cui i Trip rifacevano palesemente il verso ai Vanilla Fudge, e come oggi avviene per alcuni colleghi, anche stranieri s'intende).Tempi buoni per la nostra musica dunque. Ed è davvero incredibile osservare come i Trip riescono con una strumentazione tanto esile a creare atmosfere piene, cercar quasi di dare vita a suoni che rievochino profondità marine, o avvicinarsi ai toni incantati del mellotron con un semplice piano elettrico.L'album contiene un'unica suite suddivisa in otto sezioni. Le migliori: "Atlantide", "Energia", "Analisi" e i pochi attimi conclusivi di "Il vuoto".

Enzo Caffarelli

101

Page 102: Recensioni Prog Italia

Time of changeThe TRIP

1973

Da molti anni i Trip sono considerati una delle migliori formazioni italiane, anche se non sono riusciti mai a sfondare completamente. Questo è il loro quarto disco, il primo per l'etichetta Trident, e rispecchia il passato del gruppo, superandolo però per la nitidezza delle esecuzioni e per la freschezza di idee, che confermano dei due veterani del gruppo, il genovese Joe Vescovi e l'inglese Wegg Andersen, e nel nuovo elemento, il batterista Furio Chirico, tre musicisti preparatissimi.La formula triangolare, basata sulle tastiere e il desiderio di spaziare in ampie suites, collocano i Trip all'ombra di EL&P, anche se in maniera diversa dalle Orme. Ma è ad altri modelli, soprattutto agli Yes, che il trio sembra ora avvicinarsi.La prima facciata, "Rhapsodia", sono venti minuti di musica godibile, dove accanto all'indubbia tecnica (che non va confusa con il tecnicismo, fine a se stesso, distinzione che i lettori dell'Angolo del pop dovrebbero tenere costantemente presente), si rileva una musica varia e gioiosa, senza pause o tentennamenti: una miscela delle solite componenti rock, jazz e classiche, elaborate con gusto, sia da parte di Vescovi, che si sbizzarisce sui tempi e sui timbri, sia da parte dei due ritmi, che sorprendono per continuità e presenza, e costituiscono una delle migliori coppie in Italia.La seconda facciata non è dissimile, anche se frazionata in quattro episodi distinti. Le cose migliori: "Formula nuova" e "Corale". I Trip non possono considerarsi sul piano stilistico un gruppo italiano, come accade viceversa per BMS o PFM. E in fondo la presenza di un inglese autentico può essere una giustificazione. Ma se i tre imitano bene gli Yes, ad esempio, possiamo stare tranquilli: perché questo potrebbe essere il punto di partenza ottimale per sviluppare un discorso più autentico e più nostro.Enzo Caffarelli

102

Page 103: Recensioni Prog Italia

ArtVince Tempera

1973

Vincenzo Tempera, milanese, ha fatto un po' di tutto prima di registrare questo disco che potrebbe essere il passo più importante della sua già lunga carriera artistica: ha diretto l'orchestra al festival di Sanremo, ha curato gli arrangiamenti per Nomadi, Giganti, Guccini e tanti altri, ha inciso "Love story" e "Anonimo veneziano", si è dato da fare come sessionman, specie nell'ultimo anno.

Pianista di razza, diplomato in conservatorio, Vince ama il jazz ed il classico, il soft rock californiano e la ballata tradizionale, un po' come uno dei suoi idoli, Keith Jarrett, ed offre in questo album un volto eterogeneo che risponde perfettamente al personaggio.

"Art" è stato registrato metà in studio e metà dal vivo al Number One di Sanremo. La cosa più importante è che Tempera si presenta ad un pubblico difficile come il nostro con il solo pianoforte, senza accompagnatori. La sua inventiva, il vigore che costantemente sorregge l'opera, la tecnica eccellente che egli ha saputo sviluppare con entrambe le mani, gli consentono giuochi armoni e ritmici godibilissimi, per cui la musica non viene a soffrire della presenza di un unico strumento.

Per Vince il pino è uno strumento da trattare con forza e vigore, strumento melodico e ritmico a un tempo. La sua tecnica è precisa, asciutta, con una chiara predilezione per il tocco breve, misurato, senza barocchismi di sorta.

Nei pezzi più vicini al rock, egli sembra aver tratto la stessa lezione di Elton John e di Leon Russell, che discendono in fondo dai rockmen della prima ora: così ne "Il mio cane si chiama Zenone", già registrata nel "solo" di Alberto Radius ed in "Space captain", un brano reso celebre da Joe Cocker in "Mad dogs".

"Here comes the sun" è un omaggio ai Beatles, ampliato da qualche fugace citazione di "Eleanor rigvy" e di altri pazzi celebri. "Cerveza" prende le mosse da un jazz di vecchio stampo, e si sviluppa sino a far individuare le influenze di Jarrett, mentre "Goin' on" e "Gabbia di città" si rifanno più da vicino ad Herbie Hancock, l'Hancock di "Maiden voyage".

"Gabbia di città" in particolare, la composizione più ambiziosa del LP, riassume il carattere complessivo di Tempera: un saggio a metà strada fra il colore debussyano e la costruzione armonica gershwiniana: descrizione breve di frasi, poi rimescolate come in un caleidoscopio, armonie sviscerate e dissolte, poi ricostruite dall'interno, sfruttando piccoli frammenti tematici. Una della migliori improvvisazioni del pianista.Enzo Caffarelli

103