Sulla introduzione in Italia della programmazione …. prog. strat. in Italia...Una iniziativa...

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Sulla introduzione in Italia della programmazione strategica al livello di governo centrale: osservazioni critiche di Franco Archibugi Già Professore della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Rete istituzionale per la misurazione dell’attività pubblica VII Conferenza nazionale sulla misurazione Roma, 5 dicembre 2005

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Sulla introduzione in Italia della programmazione strategica

al livello di governo centrale: osservazioni critiche

di

Franco Archibugi Già Professore della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione

Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Rete istituzionale per la misurazione dell’attività pubblica

VII Conferenza nazionale sulla misurazione

Roma, 5 dicembre 2005

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Sulla introduzione in Italia della programmazione strategica al livello di governo centrale

Prefazione

Questo saggio è scritto dopo circa dieci anni di impegno didattico presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, e di sforzi personali per introdurre, in ambiente alquanto ostile, la pianificazione strategica nel Programma didattico del Corso-concorso di formazione della Scuola. Il successo dell’iniziativa è stato annullato dalla inopinata abolizione del Corso-concorso presso la Scuola.

Con il mio ritiro per limiti di età dalla Scuola stessa e dalla Università ho cessato di fare ulteriori pressioni per l’introduzione della pianificazione strategica nei programmi della Scuola, ma non ho cessato lo sforzo di contribuire all’introduzione della pianificazione strategica nelle Pubbliche Amministrazioni di questo paese.

In questi ultimi anni si è conclamata anche in Italia (e sulle tracce di quanto sta avvenendo nel settore pubblico di tutti i paesi avanzati dell’occidente) la necessità .- sancita anche da iniziative legislative e da qualche documento ministeriale - di introdurre un nuovo modo di gestire più razionalmente la spesa pubblica, modo che ha preso il nome di “controllo interno”, poi di “controllo di gestione”, poi ancora di “controllo strategico”, e infine di “programmazione strategica”. Ho dovuto tuttavia constatare e lamentare fin dall’inizio una grande confusione di idee e di termini in proposito, dovuta a disinformazione, approssimazione, e superficialità, alle quali hanno fatto seguito come spesso avviene, grandi difficoltà di comprensione e lentezza di applicazioni.

In più di una occasione, ho partecipato con scritti vari al bisogno di sottoporre ad esame e spiegare la natura e le ragioni della confusione e delle difficoltà incontrate nel contesto italiano, alla luce dei metodi più appropriati, che da tempo vengono seguiti in altri paesi, in particolare in seno al governo federale degli Stati Uniti. E da circa dieci anni mi sono adoperato presso Ministri e responsabili della PA perché ponessero attenzione alle novità in corso negli Usa, e le adottassero in Italia. Questo saggio raccoglie l’essenziale di questi sparsi contributi sull’argomento.

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Mi sembrerebbe inutile affermare, onde evitare malintesi, che la riforma della PA, soprattutto se vista sotto il profilo delle tecniche di valutazione della spesa e dei risultati, è del tutto indipendente dalle visioni politiche che possono caratterizzare e giustificare i due schieramenti politici (destra e sinistra) che si alternano in Italia al governo del paese (da quando si è instaurato un sostanziale bipolarismo). Entrambi gli schieramenti, nei loro momenti di governo, come in quelli di opposizione costituzionale, non potrebbero che avvantaggiarsi di una innovazione che permetterebbe di migliorare solo la qualità delle scelte e delle decisioni politiche, quali esse siano.

Ma i Governi succedutisi si sono tutti dimostrati alquanto incapaci di dare un impulso efficace al giusto approccio, che – oltretutto - esigerebbe una visione e gestione squisitamente bipartisan, come è avvenuto e continua ad avvenire nell’ ambiente politico americano. Pertanto le mie critiche – talora severe - agli sviluppi presi nella materia nel contesto italiano (materia che non può non dipendere per altro verso che dalla iniziativa politica), hanno poco a che vedere con le generali vicende politiche di questo paese; e hanno molto a che vedere invece con la serietà, l’impegno, la coscienza professionale, di chi, politico o ammnistratore, si occupa – sotto qualsiasi vessillo, della materia.

Anzi mi viene da dire – in un paese in cui “si butta tutto a politica” - che, almeno in questo campo, l’introduzione di innovazione e di cambiamento nei metodi di scelta e valutazione della spesa pubblica su un piano bipartisan, sarebbe un segno significativo di maturazione e cambiamento societale: di uscita dalla atmosfera “pesante” della superficialità (o del politicantismo arrivista e ciarlatano) anche nelle cosiddette politiche pubbliche e di entrata nella biosfera della maturità amministrativa e gestionale.

F.A.

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Indice Prefazione ...............................................................................................................1 Indice ....................................................................................................3 Capitolo primo.....................................................................................6 Il “piede sbagliato” nella riforma della PA ......................................6 1. Una partenza sbagliata......................................................................................6

1.1. Funzioni, obiettivi e strumenti: una antica querelle......................................6 1.2. L’esperienza degli anni ‘60 e ’70. ................................................................8 1.3. La “reinventing government revolution”....................................................10

2.Direzioni fuorvianti...........................................................................................11 2.1. Il rapporto fra poteri politici e poteri amministrativi..................................11 2.2 “Semplificazione”: rispetto a che cosa?.......................................................13 2.3. Aggregazione ex ante del bilancio di programmazione o riaggregazione ex post delle spese per funzioni? ............................................................................14

3. La programmazione strategica rovescia il processo.....................................15 4. Come introdurre la programmazione strategica nella politica e nell’azione amministrativa italiana .......................................................................................16

4.1 Che cosa dovrebbe contenere il Piano strategico (Strategic Plan)?............18 4.2. Che dovrebbe contenere il “Piano annuale delle prestazioni” (Performance Plan)? .................................................................................................................19 4.3 Il Rapporto di prestazione programmatica (Program Performance Report)21 4.4. Controllo e valutazione di bilancio.............................................................22

Capitolo secondo................................................................................26 Inadeguatezza della legislazione italiana “riformistica”...............26 1. Il Decreto legislativo n. 29 del 1993 ................................................................28 2. La legge n.59 del 1997......................................................................................33 3. La Legge n.94 del 1997. ...................................................................................36 4. Il Decreto legislativo. N.279 del 1997 .............................................................42 5. Il Decreto legislativo. N.286 del 1999 .............................................................44 6 Sguardo conclusivo sull’insieme della legislazione italiana sulla materia ...52 Capitolo terzo.....................................................................................54 La ristrutturazione del bilancio: luci e ombre della esperienza italiana ................................................................................................54 1. La ristrutturazione del bilancio dello Stato in alcune leggi recenti italiane e le sue insufficienze................................................................................................54 2. Quale genere di “obiettivi”?............................................................................56 3. Che tipo di indicatori?.....................................................................................57 4. Un bilancio scarsamente significativo degli obiettivi di prestazione...........58 5. Le analisi pregiudiziali di un “bilancio di programma” (performance budgeting)..............................................................................................................60 6. Il rischio di un rapporto indiretto fra indicatore endogeno di input e un indicatore esogeno di output ...............................................................................62

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7. Gli indicatori fasulli .........................................................................................63 8. La vera fonte degli indicatori di risultato sono solo i piani strategici delle amministrazioni ...................................................................................................64 9. Il ruolo delle amministrazioni centrali...........................................................65 Capitolo 4:..........................................................................................67 Una iniziativa ufficiale di un certo valore.......................................67 1 Fasi e procedure della programmazione strategica.......................................69

1.1. La “formulazione delle priorità politiche”..................................................69 1.2. La “proposta degli obiettivi strategici”. ......................................................69 1.3. Il “definitivo ‘consolidamento’ degli obiettivi strategici”. .........................70

2. Il sistema di obiettivi e di indicatori e le “Linee guida” della direttiva ......74 3. La direttiva ministeriale come “sistema di obiettivi e di indicatori” ..........79

3.1. Il sistema degli obiettivi..............................................................................79 3.2 Il sistema degli indicatori.............................................................................81

4. La struttura della Direttiva ministeriale .......................................................82 5. Ruolo dei soggetti coinvolti nella predisposizione e nell’attuazione della Direttiva ................................................................................................................84

5.1 Ruolo dei Ministri:.......................................................................................85 5.2.Ruolo e compiti dei responsabili dei CRA. .................................................85 5.3. Ruolo e caratteristiche dei Servizi di controllo interno. .............................85

6. Individuazione delle priorità politiche e determinazione degli obiettivi nella Direttiva annuale..................................................................................................86 Riferimenti bibliografici ...................................................................89 Appendici ...........................................................................................91 Appendice n.1...............................................................................................92 Passaggi significativi della legislazione italiana concernente nuovi metodi di programmazione e valutazione strategica e contabilizzazione dei risultati (1993-1999).....................................................................................................92

Decreto legislativo 1993/29 ...............................................................................92 “Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego” ...............................92 Legge 97/59 (“Bassanini 1”)..............................................................................95 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della PA e per la semplificazione amministrativa”...95 Legge 97/94 (“Ciampi”) ....................................................................................97 “Modifiche alla legge 5 agosto 1978, n.468, e successive modificazioni e integrazioni, recante norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio. Delega al Governo per l’individuazione delle unità previsionali di base del bilancio dello Stato”.............................................................................97 Decreto legislativo 1997/279. ............................................................................98 “Individuazione delle unità previsionali di base del bilancio dello Stato, riordino del sistema di tesoreria unica e ristrutturazione del Rendiconto generale dello Stato”..........................................................................................98 Decreto legislativo 1999/286 ...........................................................................102 (applicativo dell’art.11 della Legge 1997/59)..................................................102

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Appendice n.2.............................................................................................108 La legge americana del GPRA (Government Performance and Result Act)..........................................................................................108 Appendice n.3.............................................................................................120 Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri (8 Novembre 2002), su: Indirizzi per la programmazione strategica e la predisposizione delle direttive generali dei Ministri per l’attività amministrativa e la gestione per l’anno 2003...................................................................................................120

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Capitolo primo Il “piede sbagliato” nella riforma della PA

1. Una partenza sbagliata

In Italia si parla di “riforma” della pubblica amministrazione da

almeno 50 anni. Molte sono state le proposte, e molte anche le applicazioni. Ma ho la sensazione che non si siano ottenuti finora nessuno dei risultati desiderati. Anche le "riforme" più recenti ed apparentemente innovative, come dirò nel secondo capitolo, mi sembra abbiano lasciato molto amaro in bocca.

Credo però che finora anche lo spirito di riforma sia partito con il piede sbagliato. Ed è a questa partenza sbagliata, penso, che si debba attribuire lo scarso successo delle attuali e passate iniziative riformatorie. In questo breve scritto cercherò di spiegare per flashes, in che cosa consiste questo “piede sbagliato”.

1.1. Funzioni, obiettivi e strumenti: una antica querelle In parole assai povere, dirò che la partenza con il piede sbagliato è

stata quella di pensare che le riforme potessero essere operate migliorando lo strumento senza intervenire nello stesso tempo sulla funzione.

A mio modo di vedere tutte le riforme proposte hanno cercato di modernizzare lo strumento, senza nello stesso tempo renderlo funzionale ad un sistema di obiettivi, che non fossero puramente organizzativi, amministrativi.

E' vero: un tempo (anni sessanta) si diceva che l'apparato statale non rispondeva ai bisogni di programmazione sociale ed economica, perché era intralciato dalla pesantezza ed inefficienza della sua amministrazione. Ma ho sempre ritenuto questo un alibi per il potere politico per abbandonare l'impegno, faticoso e rigoroso, di gestire gli

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interventi secondo metodi di programmazione e di valutazione, attraverso cui solo si poteva migliorare la qualità operativa della PA.

Invece di approfondire la tecnologia della pianificazione (o programmazione) a tutti i livelli operativi, da quelli centrali a quelli locali, si accantonò la funzione per migliorare lo strumento, apparentemente in attesa di strumenti più efficaci. La programmazione, senza approfondimenti tecnici-funzionali, ritornò al dibattito e alle proposte funzionali generiche della “politica (macro) economica”, ma non ci si rese conto che questo fantomatico strumento – la PA – avrebbe potuto crescere solo se funzionalizzato ad un modo nuovo di gestire le scelte politiche e quelle amministrative1.

Per far ciò occorreva, ed occorre ancora, abbandonare la ricerca (tipicamente giuridica e formale) di una ottimale separazione fra delle astratte funzioni “politiche” e quelle “esecutive”. Occorreva, ed occorre, riformare prima di tutto il modo stesso di fare le scelte politiche, in base a procedure più consapevoli dei limiti (mezzi e strumenti a disposizione, fisici e finanziari) e plasmando lo strumento – la PA – a questa più concreta e realistica gestione della politica.2

Infatti, generalizzando, le due cose - funzione e organo - sono strettamente interdipendenti: non possono migliorare separatamente, per se. O crescono insieme o periscono insieme.

1 Modo che più recentemente è stato chiamato nell’ambiente americano: reinventing government revolution (rivoluzione della reinvenzione del modo di governare). 2 Pur avendo personalmente partecipato al gruppo che cercò di introdurre in Italia metodi moderni di programmazione economica e sociale, non ho mai condiviso il prevalente modo di concepire tale programmazione. L’ufficio del piano e l’Ispe, suo organo di studio, svolsero un ruolo di stimolo per delle importanti innovazioni “politiche” nei diversi campi (dalla sanità alla fiscalizzazione del sistema pensionistico, dalla politica industriale e delle partecipazioni statali, alla politica agricola, dalla scuola alle gestioni urbanistiche, perfino introducendo in epoca ancora non sospetta di piaggeria internazionale, l’attenzione ad un progetto sociale che concerneva l’”ambiente”, etc.) producendo anche idee nuove o raccomandabili. Ma la natura di queste proposte, passate per “programmazione”, era invece quella di sostituirsi praticamente alle “politiche” tradizionali dei diversi ministeri senza introdurre nessuna novità gestionale che meritasse veramente il nome di programmazione. Dal punto di vista gestionale si coprì l’assenza di una strumentazione adatta sviluppando una insignificante e generica teoria della “programmazione per progetti”, (con corredo di elaborazione di “grandi progetti” che aumentarono l’ostilità e la collaborazione delle strutture amministrative ordinarie (i ministeri).

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1.2. L’esperienza degli anni ‘60 e ’70. Negli anni sessanta e settanta - come oggi - c'era la via per farli

crescere insieme; era l'introduzione di tecniche di programmazione della spesa per amministrazione; che si chiamava negli Usa “PPBS” (sistema di planning, programming, e di budgeting) e, in Italia, "programmazione di bilancio", per ministeri e agenzie della PA. In Usa si cercò di introdurla nelle singole amministrazioni senza coordinarla a livello di programmazione socio-economica e territoriale generale. Si rivolse sopratutto allo strumento senza il coordinamento degli obiettivi. E ben presto fallì. In Italia la programmazione di bilancio, che sarebbe stata il ponte fra il piano generale e l'operatività della PA non fu neppure introdotta nelle singole amministrazioni,3 e ci si limitò a generalizzare sugli obiettivi e sulla funzione, senza occuparsi minimamente di trasferire la funzione negli organi, e fu ben presto un fallimento generale.

Possiamo dire che oggi come allora si tende a trascurare completamente due innovazioni essenziali per introdurre un vero regime moderno di programmazione sia a livello di solo governo pubblico, che a scala di programmazione “societale”:

1. la prima, la programmazione strategica di tutto l’apparato statale (che allora si chiamava “programmazione di bilancio” come traduzione del PPBS, già in difficile introduzione in altri paesi dopo le prime esperienze negli Usa.

2. la seconda, la programmazione che chiamerei “societale”, è cosa ben diversa da quella “macro-economica” fondata ancora solo su variabili aggregate. Fin da allora questa “politica (macro) economica” fu ritenuta da un folto gruppi di economisti d’avanguardia (Frisch, Leontief, Tinbergen e altri) fondata su variabili (aggregati) assolutamente insignificanti4; il loro autentico messaggio non fu, e non è stato ancora, recepito, nei discorsi

3 Mi è d’obbligo ricordare una ricerca del maggio 1970 del Centro di studi e piani economici, svolta per conto dell’ISPE, (l’Istituto governativo che si sarebbe dovuto occupare di programmazione economica), sulla introduzione del PPBS in Italia, ma che fu trascurata dallo stesso ente committente.(la ricerca è stata ristampata dal Centro nel 1987, vedi: Archibugi 1970). 4 Per questo aspetto si veda un mio scritto: Archibugi Franco (1999).

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correnti di politica economica, perché aveva bisogno di fondarsi su un rinnovamento ed allargamento di base della contabilità economica tradizionale (includendovi quella comunemente detta socio-ambientale) e sulla formazione di “quadri” di contabilità presente e futura che permettessero di portare valutazioni, scelte e decisioni di politica economica a livelli di migliore articolazione e consapevolezza degli effetti e delle performances.5

E’ giusto tuttavia rilevare che anche in altri paesi, in cui

l’introduzione della programmazione economica con aspetti innovativi aveva assunto caratteri ancora più avanzati che in Italia (penso, in Europa, a Francia, Gran Bretagna Olanda, Norvegia), i progressi nel senso indicato sono stati assai pochi e quasi nulli. E negli stessi Usa, mentre la prima delle linee innovative ha avuto un clamoroso rilancio con la legge GPRA (1993), la seconda non è stata ancora nemmeno abbozzata, salvo che nei voti di una Commissione mista Congresso-Casa Bianca, promossa dal Presidente Carter nel 1977 (US Advisory Committee on National Growth Policy Processes (1977) e che non fu nemmeno presa in considerazione dalle amministrazioni successive. La programmazione societale non è comunque oggetto di questo scritto6.

Se le due linee innovative di cui sopra si fossero praticate nella esperienza di programmazione economica, si sarebbero guadagnati circa trent’anni nel naturale sviluppo della scienza applicata della programmazione, e si sarebbe portato l’Italia ad essere probabilmente il primo paese significativo dopo gli Usa, ad introdurre una autentica programmazione in ambito pubblico e nella politica economica. Un occasione perduta.

5 Anche questa linea, appena abbozzata sperimentalmente negli anni settanta in seno al Centro di studi e piani economici e per conto dell’ Ispe, fu negletta, perfino sabotata, dai sostenitori di discorsi convenzionali che contribuirono a non lasciare alcun segno innovativo da parte delle politiche di programmazione dell’epoca. 6 Chi volesse conoscere gli esiti dei primi lavori fatti in Italia negli anni settanta, può consultare un rapporto sul “Progetto Quadro” (Archibugi 1973) più recentemente ripubblicato con adattamenti e miglioramenti (Archibugi 2002).

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1.3. La “reinventing government revolution”

Oggi, sia in Usa che in altri paesi avanzati (e in modo assai incerto

anche in Italia), si ritenta l'operazione da lato dello strumento7. Solo che in Usa la programmazione di bilancio, è divenuta con la

legge GPRA del 93, un grande strumento di programmazione strategica, sia pure a scala di singola agenzia (è diventata tuttavia parte integrante del Codice degli Stati Uniti e i segnali di una forte integrazione fra agenzie e a scala federale generale si fanno sempre più forti). Il GPRA ha costituito in Usa e – se preso a riferimento nel mondo – una innovazione epocale nella gestione pubblica, che non è stata – a mio avviso – ancora sufficientemente né conosciuta e quindi neppure assorbita in Europa.

In Italia, invece, ci si sta occupando di riformare procedure amministrative, fin nei minimi particolari (rimanendo tuttavia intrappolati nelle pastoie del già complicatissimo diritto amministrativo pubblico italiano), senza dare uno sbocco contenutistico e funzionale all'operazione, che avrebbe dovuto coinvolgere un coordinamento operativo di tutta la compagine governativa, almeno per assegnare - come negli Usa - precisi compiti di pianificazione strategica a ciascun Ministero e agenzia della PA.

Temo, in breve, che si stia mettendo la carrozza (lo strumento) davanti al cavallo (la funzione). Mentre entrambi devono essere curati simultaneamente in fase operativa. Un cavallo focoso, che tira una carrozza sgangherata, non è meglio di una carrozza robusta ed efficiente, tirata da un ronzino.

Ma temo che nella fase attuale italiana, se non ci si occuperà al più presto della funzione (la programmazione strategica) anche i nuovi tentativi di riforma amministrativa "lasceranno il tempo che hanno trovato", cioè i loro benefici saranno minimi.

La partenza sbagliata (pensare allo strumento senza incorporarlo con gli obiettivi e la strategia) si è manifestata e rischia ancora di 7 Centrale informativa di questi nuovi metodi e nuove esperienze è il Servizio Puma dell’Ocse (con relativo Comitato intergovernativo). Sull’introduzione di questi nuovi metodi si identifica quella “rivoluzione gestionale”, “reinventing government revolution”, quel nuovo “Dna” del public manager, su cui si sono consolidati numerosi slogans soprattutto negli Usa, ma anche altrove. Tra i libri che hanno divulgato i concetti del reinventing government vi sono Barzelay (1992), Osborn e Gabler (1992), Kettl (1994), Kettl e DiIulio (1995).

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manifestarsi attraverso alcuni paradigmi propri del tradizionale “diritto” pubblico amministrativo che stentano a modernizzarsi e da distaccarsi da un eccessivo formalismo delle relazioni istituzionali (foriere di infiniti contenziosi giuridici). Ciò porta a direzioni fuorvianti. Il “piede sbagliato” della riforma pertanto non sta in verità in una diversa configurazione da dare ai rapporti istituzionali (e magari costituzionali) del settore pubblico. Direi non è un problema di “diritto pubblico”! E’ un problema di diversa cultura e di diversa “mentalità!8 Ma anche se mediante articolati di legge ben congegnati non si faranno mai le rivoluzioni, si possono pur spingere politici ed ammistratori ad adottare e far adottare dall’amministrazione con appropriate procedure, i nuovo metodi.

2.Direzioni fuorvianti 2.1. Il rapporto fra poteri politici e poteri amministrativi Ancora oggi si pensa che sia molto importante, in termini di riforma

amministrativa, di definire meglio in astratto il rapporto fra “potere di indirizzo” politico (Parlamento, Governo, Ministri, etc.) e “potere amministrativo” (Dirigenti funzionari) pensando che si possa, in uno 8 Alcuni americani – non sapendo definire questo quid – hanno detto un diverso DNA, e l’espressione ha avuto facile diffusione nella pubblicistica. Non posso fare a meno di sorprendermi che anche negli Usa (anzi per prima volta in Usa) , si sia avvertita questa “quiddità”, alquanto indefinibile; giacché da de Tocqueville in poi, siamo stati piuttosto noi europei a sentire (amandola o no) la cultura politica americana come esente – in nome di un pragmatismo più grezzo – delle sofisticazioni astratte di una cultura giuridica con molte radici. Ma è un fatto – che meriterebbe di essere molto meditato e spiegato storicamente e culturalmente - che anche in Usa da qualche decennio il “reinventing government” (ufficialmente decretato come “rivoluzione” negli slogans ufficiali governativi) è basato esplicitamente su un rifiuto di una gestione pubblica fondata sul concetto di “legittimità (già poco incisivo in quel paese rispetto ai nostri) e quella piuttosto fondata sul concetto di “strategia”, e di “risultato”. Ricordiamo che il primo Rapporto al Paese che la National Performance Review, la organizzazione che nel 1993 contrassegnò il rilancio democratico Clinton-Gore fu intitolato: From Red Tape to Results, etc. [Dal formalismo al risultato]. Il red tape (lett. “nastrino rosso con il quale si decoravano i documenti ufficiali”) significa nell’inglese corrente “un eccessivo attaccamento alle formalità, specie negli affari pubblici” (Oxford Dict.). E ne è nata anche l’espressione corrente di “redtapisme”.

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sforzo di ingegneria costituzionale, fissare bene i “confini” dell'uno e dell'altro potere.

Ebbene questo è un modo astratto, inutile e improduttivo di porre il problema operativo della PA.

Certo, a prima vista, è evidente che esiste una gran confusione tra i due ordini di responsabilità cui sarebbe necessario mettere un po’ d’ordine; ma non caveremo un ragno dal buco se cercheremo il rimedio partendo con il piede della definizione e delimitazione puramente formale delle responsabilità, senza occuparsi dei contenuti delle scelte. La confusione non nasce da incertezze semantiche o da definizioni legislative, ma dal sapere bene che cosa fare e perché e con quali mezzi, non dal fatto che vi è confusione nel “potere” di fare. Il “potere” – se vogliamo moraleggiare - non fa gli uomini più intelligenti. Anzi li fa, spesso più stupidi, perché diventa un fine in se stesso.

In effetti la contrapposizione che ci viene spontaneamente di formulare tra responsabilità di indirizzo e responsabilità gestionale deriva dal fatto che non abbiamo una concezione realistica del processo decisionale. Infatti immaginiamo che ci sia la possibilità in tale processo di fissare bene i confini tra ciò che appartiene al potere "politico" (Parlamento, Ministri) e ciò che è potere "amministrativo" o "gestionale" (dirigenti PA).

Nella realtà ci sono in ogni campo delle politiche pubbliche, degli obiettivi da definire e da perseguire e dei mezzi da mettere in opera per conseguirli. Ma questo rapporto concatenato fra obiettivi e mezzi pervade tutta la scala gerarchica operativa.9 Ogni obiettivo generale si articola in obiettivi diciamo "intermedi" e poi giù lungo i gradini del rapporto obiettivi-mezzi, fino alle singole azioni. E all'inverso, l'analisi delle azioni e della loro fattibilità risale su fino agli obiettivi generali verificandone la fattibilità, prima delle decisioni, e non solo ex post come avviene oggi, meravigliandosi che nessuno degli indirizzi generali riesce ad essere "attuato". C'è un costante feed back di verifica che si attua in un corretto processo decisionale, e questo si chiama programmazione.

9 Qui non posso illustrare con calma quale è la logica della concatenazione. Chi vuole approfondire questa pagina di teoria della decisione, ha una buona letteratura di scienza dell’organizzazione, che ho cercato di riassumere nel mio libro: Introduzione alla pianificazione strategica in ambito pubblico (nuova edizione :Archibugi 2005).

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Dal punto di vista operativo, le "competenze" vengono organizzate e distribuite caso per caso, altrimenti il "conflitto" di competenze non produce che paralisi. Il potere decisionale si articola a diversi livelli in un continuum in cui è difficile individuare la qualità delle separazioni astratte del diritto pubblico e amministrativo. Il Ministro rispetto al Parlamento è un esecutore ed è un decisore politico rispetto al Direttore generale del suo Ministero. Quest'ultimo di fronte al Ministro è un esecutore, ma è un decisore politico rispetto al suo subordinato ministeriale. Ma né l'uno e né l'altro potranno "decidere" se non in coerenza con una analisi di fattibilità delle decisioni che spesso proviene dai livelli meno elevati o da entità tecniche dell'amministrazione. Decisione, responsabilità, valutazione sono pervasive di tutto il processo decisionale ed operativo, e non di questa o quella categoria gerarchica. Le separazioni di competenza sono perciò un prodotto e non un a priori del processo; un output, e non un input, di esso. Le separazioni potranno definirsi solo dopo che il processo di programmazione è stato introdotto, formulato e identificato nei suoi “blocchi” ed è in corso d'opera. E si caratterizzeranno solo quando – ad un certo punto del processo – i responsabili politici, decideranno (arbitrariamente) che è necessario ottenere una sanzione “politica”, cioè una sanzione di organi – che in regimi democratici – sono considerati, perché eletti, rappresentativi della volontà generale.

Non ci sono, infatti, decisioni che sono - per loro stesse, o per loro natura - “politiche” e altre che sono “amministrative” o “esecutive” o “tecniche”, etc. Lo diventano a quel punto della scala gerarchica della struttura programmatica nel quale si decide di far intervenire la sanzione dell’istituzione “eletta”.

2.2 “Semplificazione”: rispetto a che cosa? Un altro esempio di formulazione astratta: le operazioni di

"semplificazione" delle procedure. Esse certamente sono le benvenute, se l'esperienza ci dice che si

possono evitare certi passaggi di decisione e di valutazione o obsoleti rispetto agli obiettivi che li avevano introdotti, o se non obsoleti ma ancora utili, il cui costo è stato misurato superiore ai vantaggi per i quali sono ritenuti utili.

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Ma per dare una seria valutazione dell'azione procedurale su cui si vuole intervenire, occorre prima di tutto valutare la sua opportunità; non darla per scontata. E la sua opportunità la si può valutare solo in relazione agli obiettivi per la quale quella azione è stata introdotta.

Così, non sarebbe più opportuno valutare dapprima gli obiettivi di quella azione e riproporli nel quadro di una programmazione di insieme degli obiettivi di ciascuna amministrazione o agenzia? Non sarebbe meglio - pragmaticamente - che l'operazione "semplificazione" scaturisse direttamente come mezzo per facilitare il raggiungimento di obiettivi, che oggi – invece - si danno per scontati, ma che scontati non sono affatto?

2.3. Aggregazione ex ante del bilancio di programmazione o

riaggregazione ex post delle spese per funzioni? Un terzo esempio ancora di inutile e pericolosa astrattezza : la legge

"Ciampi", coadiuvante e complementare a quelle "Bassanini", introduce senza dubbio un miglioramento per la lettura del bilancio dello Stato secondo una migliore articolazione funzionale. La registrazione delle spese per "centri di spesa", che sottintendono una loro determinata funzionalità, permetterà di conoscere meglio le destinazioni della spesa stessa e, forse, anche una migliore valutazione dei risultati di essa, ove indicabili attraverso opportuni indicatori.

Tuttavia il rischio è che tutto finisca con una ri-aggregazione delle spese in corso secondo destinazioni sulle quali ancora nessuno emette alcun giudizio di efficacia, e secondo decisioni e routine su cui non si applica alcuna valutazione.

In altri termini, che tutto si riduca ad una operazione di chirurgia plastica di un bilancio di spesa che rimane sempre lo stesso. Certo, la speranza è che dovendo ri-classificare le voci di spesa secondo un certo ordine funzionale e per centri di spesa, i direttori generali e i singoli Ministri siano indotti a ridiscutere tutto l'impianto della loro spesa e ristrutturarla secondo una rivalutazione di tutte le funzioni e di tutti gli obiettivi che sono loro sottesi. Ma siamo sicuri che questo verrà fatto, ministero per ministero, agenzia per agenzia, e che questo verrà ad accompagnare i nuovi schemi contabili richiesti dalla legge "Ciampi"?

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Non sarebbe stato meglio, come ha fatto il Congresso americano, con la suddetta legge della pianificazione strategica, di imporre a tutte le agenzie federali di predisporre (con quattro anni di tempo) un "piano strategico (con orizzonte temporale non inferiore ai cinque anni")?

3. La programmazione strategica rovescia il processo Il "piano strategico"della legge Grpa, infatti, contiene:

a) una ridefinizione della missione dell'agenzia stessa (in

cooperazione con il Congresso); b) la definizione articolata degli obiettivi da raggiungere entro

l'orizzonte temporale del piano (in cooperazione con il Congresso, la Casa Bianca e consultazione degli stakeholders, cioè tutte le categorie potenzialmente interessate dalla attività dell'agenzia, in primis gli utenti dei servizi);

c) la valutazione dei mezzi, delle risorse e delle azioni amministrative, necessarie al conseguimento di quegli obiettivi (mezzi indicati in funzionari e loro qualificazioni, mezzi capitali, mezzi tecnici, e procedimenti amministrativi) da definirsi in cooperazione con gli organi esecutivi della Casa Bianca (Ufficio del management e del bilancio, Ufficio del personale, Uffici tecnici, etc.);

d) un sistema di indicatori attraverso cui la Agenzia propone di misurare le sue prestazioni e quindi far misurare i risultati e l'efficacia della sua azione programmatica.

e) infine di quale "riforme" o deroghe dalle norme usuali vigenti, l'agenzia avesse bisogno per il conseguimento degli obiettivi proposti e programmati.

Ebbene, la via del piano strategico non mette forse nel modo

corretto il cavallo davanti alla carrozza? non induce forse più efficacemente l'amministrazione (lo strumento) ad adeguarsi agli obiettivi (la funzione); a far si che la carrozza si adegui funzionalmente alla capacità, ai ritmi, al percorso che si può o si vuole ottenere?

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Da notare che il piano strategico (almeno quinquennale), viene accompagnato nella legge americana da un "piano di prestazioni" di orizzonte temporale annuale, a partire dal primo anno di vigenza del piano strategico10 che stabilisce i traguardi annuali nel raggiungimento degli obiettivi strategici.

E che inoltre la stessa legge prescrive alla fine di ogni anno un “Rapporto di prestazioni”, annuale, che rendiconta sui risultati di ciascun Piano annuale.

Ebbene: a me sembra che in Italia basterebbe "copiare" le scarne ma essenziali pagine della legge americana11, con piccoli adattamenti al sistema legislativo italiano, per ottenere una partenza con il piede giusto, dopo la quale una buona parte delle opportunità offerte dalle leggi “Bassanini” e “Ciampi” potrebbero essere impiegate ed adattate con migliore esito.

Ritengo che questa sia la via appropriata per far si che la PA si riformi davvero. Occorre entrare in una nuova concezione generale del ruolo della PA , destinata più a programmare che a gestire direttamente attività; le quali, se ben programmate, possono essere sempre più affidate all'esecuzione del settore privato, in primis al settore privato non profit o "associativo". 4. Come introdurre la programmazione strategica nella politica e

nell’azione amministrativa italiana

Per “reinventing governement” viene ormai – come si è detto - convenzionalmente designato in tutti i paesi occidentali avanzati (membri Oecd) l’insieme dei metodi di gestione “fondati sul risultato” (result-based management). Essi consistono, nel loro insieme, nell’introduzione di sistemi di pianificazione strategica e valutazione degli effetti. 10 Nella realtà federale americana questo “primo anno” dei piani di performance è stato il 1999. Si sono già prodotti i piani per il 2000 e il 2001 che hanno tenuto conto dei miglioramenti apportabili (anche sulla base di osservazioni e commenti del Gao e del Congresso). 11 Il testo integrale della legge americana è riprodotto in Appendice n.2. Sono poche pagine e ognuno, leggendole per davvero, si può rendere conto che è di una semplicità estrema, di fronte alle copiose bardature di articolati che le leggi di riforma italiane, (mirate alla ….”semplificazione”), hanno caricato i loro testi di pagine e pagine di contorti elucubrati giuridici.

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L’esperienza più organica e sistematica, si è detto, è quella che si è avuta in Usa dove il Congresso ha varato (gennaio 1993) quella legge “Government Performance and Result Act”, che costituisce il fondamento teorico-pratico della nuova gestione: e avente come oggetto l’introduzione della pianificazione strategica (strategic planning), la misurazione delle prestazioni (performance measurement) e la costruzione dei bilanci per obiettivi, prestazioni e risultati (performance budgeting).12

La proposta sarebbe pertanto di predisporre anche in Italia una legge analoga a quella americana (con i formali adattamenti all’ordinamento italiano, ma neppure esagerandone la differenze). In breve il progetto di legge dovrebbe articolarsi così.

A partire dalla entrata in vigore della nuova legge, ogni capo di amministrazione pubblica italiana (Ministro, Presidente o Amministratore delegato di Ente, etc.) dovrebbe essere tassativamente obbligato a consegnare al Presidente del Consiglio e al Parlamento entro una data non superiore ai tre anni – un Piano strategico delle attività della propria amministrazione13 di cui dovrebbero essere dettagliati i contenuti (vedi il prossimo paragrafo 7).

Come afferma la legge americana14: “Il piano strategico dovrà coprire un periodo non inferiore a cinque anni a partire dall'anno fiscale nel quale è stato consegnato, e dovrà essere aggiornato e revisionato almeno ogni tre anni”. In Italia si potrebbe calibrare i tempi operativi insieme ai tempi politici delle legislature.

A partire dalla data di consegna del primo Piano strategico, ogni amministrazione dovrebbe preparare per ogni anno un Piano annuale di azioni e di prestazioni, con riferimento agli obiettivi strategici fissati dal Piano strategico. Anche in questo caso la legge dovrebbe indicare bene quali sono i contenuti del Piano annuale di prestazioni delle singole amministrazioni. (si veda qui sotto paragrafo 8)

La legge inoltre dovrebbe stabilire che alla fine di ogni anno di esercizio del Piano di prestazione, ogni amministrazione dovrebbe 12 L’esperienza americana è stata esaminata ampiamente nei capitoli 1,2 e 3 di un mio libro (F.Archibugi, Da Burocrate a Manager, etc.). 13 In Usa la legge GPRA ha dato quasi cinque anni per farlo, dall’approvazione della legge (15-1-1993, firmata dal nuovo Presidente in agosto 1993) al 30 Settembre 1997, come data di scadenza dell’obbligo. 14 Le parole tra virgolette sono deliberatamente riprese dal testo della legge GPRA americana, tutte le volte che il loro contenuto ha un valore generale e non riflette necessariamente diversità di ordinamento e di tradizione legislativa.

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redigere un Rapporto annuale di prestazione, per documentare sui risultati e lo stato di esecuzione del Piano annuale. Anche in questo caso la legge dovrebbe stabilire con precisione i contenuti del Rapporto annuale di prestazione.

4.1 Che cosa dovrebbe contenere il Piano strategico (Strategic

Plan)? Nella legge dovrebbe essere indicato – con riferimento all’orizzonte

temporale non inferiore ai cinque anni - che cosa deve contenere il Piano strategico.15 E cioé: 1. una "dichiarazione di missione complessiva" (comprehensive

mission statement) che copra le principali funzioni ed operazioni della amministrazione in questione;

2. le finalità e gli obiettivi generali, compresi le finalità e gli obiettivi connessi ai servizi prodotti (outcome-related), per le principali funzioni ed operazioni dell'amministrazione in questione; tutto ciò articolato in singoli ‘programmi’, a loro volta articolati in struttura ‘concatenata’ operativa [chiamata ‘struttura di programma] di ciascuna amministrazione in questione.

3. gli indicatori o misuratori in base ai quali si intenderà misurare il conseguimento degli obiettivi di ciascun livello di obiettivi si sia formulato nella struttura di programma [di cui sopra]

4. una descrizione di come le finalità e gli obiettivi di ciascun programma possano praticamente essere conseguiti, attraverso una descrizione degli obiettivi intermedi, strumentali alle finalità e agli obiettivi generali e all’impiego necessario di mezzi (personale e sue qualificazioni, tecnologie, e ammontare di risorse, finanziarie, di capitale, di informazione, ed altre, necessarie per conseguire quegli obiettivi generali ed intermedi ;

5. una descrizione di quali e quante le prestazioni (performance goals) inclusi nel piano annuale ["piano delle prestazioni", di cui sotto ] saranno messi in riferimento con le finalità e gli obiettivi del piano strategico [di cui sopra];

15 Riprendiamo testualmente dalla legge GPRA, integralmente tradotta in Appendice allo scritto F.Archibugi, L’Introduzione della programmazione strategica in Italia: osservazioni critiche, già cit..

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6. una identificazione dei fattori chiave esterni all'amministrazione in questione, e fuori del suo controllo, che possono influenzare in modo determinante il raggiungimento delle finalità e degli obiettivi dei programmi;

7. la identificazione dei soggetti (gruppi sociali di interesse) comunque interessati ai programmi e la valutazione del ruolo che potrebbero o dovrebbero avere nella esecuzione del programma;

8. una descrizione delle procedure specifiche atte a tenere sotto controllo e permanente valutazione l’esecuzione dei programmi e descrizione dei modi eventali per riesaminare e adattare nel corso del tempo i programmi sia nei loro obiettivi che nei mezzi usati per conseguirli.

Il Piano annuale di prestazioni (di cui al paragrafo 8 qui sotto)

dovrebbe essere coerente con il Piano strategico dell'amministrazione o ente in questione. Un Piano di prestazione non dovrebbe essere consegnato per un anno fiscale non coperto da un corrente Piano strategico (quindi prima che il Piano strategico sia stato confezionato).

Nell'elaborazione di un Piano strategico, la singola amministrazione dovrebbe consultare il Paralamento, e dovrebbe sollecitare e prendere in considerazione i punti di vista e i suggerimenti di quegli enti (pubblici o privati) potenzialmente colpiti da, o interessati a, tale piano [i cosiddetti ‘ stakeholders’].

4.2. Che dovrebbe contenere il “Piano annuale delle prestazioni”

(Performance Plan)? Nel predisporre il proprio bilancio di previsione annuale (secondo

le norme vigenti o adattate) ogni amministrazione (o ente) dovrebbe preparare un Piano annuale delle prestazioni che copra ogni attività programmatica (program activity) prevista nel Piano strategico, che sia inserita nel bilancio annuo di tale amministrazione.

Tale Piano annuale dovrebbe: 1. stabilire le finalità di prestazione (performance goals) per definire

il livello di prestazione da raggiungere da una attività di programma, nell’anno in questione;

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2. esprimere tali finalità in una oggettiva, quantificabile, e misurabile forma16

3. descrivere brevemente i processi operativi, le qualificazioni e le tecnologie, nonchè le risorse umane, di capitale, di informazione, ed altre, necessarie per raggiungere gli obiettivi programmatici (performances goals) nell’anno in questione;

4. fissare (ancora più precisamente che nel Piano strategico) gli indicatori di prestazione (performance indicators) da usarsi per la misurazione o la valutazione dei principali prodotti, i livelli di servizio, e gli esiti di ogni ogni attività programmatica (program activity);17

16 In casi eccezionali potrebbe essere autorizzata una forma alternativa. Tale forma alternativa (nella legge americana) deve essere autorizzata dal’Ufficio del Bilancio e della Gestione (OMB) solo sulla base di una dichiarazione descrittiva separata di: a) un programma minimamente efficace; b) un programma riuscito; oppure tale alternativa così come autorizzata dal Direttore dell'OMB con sufficiente precisione, e in tali termini da permettere una accurata, indipendente, determinazione se la prestazione delle attività di programma incontra, oppure no, i criteri della descrizione; oppure sulla base di una dichiarazione perché non è fattibile o praticabile esprimere le finalità di prestazione, in qualsiasi forma, della attività di programma in questione. 1177 E’ molto interessante il fatto che la stessa legge americana stabilisce un certo “glossario” di comune intendimento, per la quantificazione degli obiettivi e degli indicatori di prestazione (universalmente validi, e quindi adattabilissimi in una legge italiana): − "misura dell'esito" (outcome measure) significa un giudizio dei risultati di una

attività di programma comparati con le sue intenzioni; − "misura del prodotto" (output measure) significa la tabulazione, calcolo o

registrazione di una attività o sforzo (activity or effort) che possono essere espressi in modo quantitativo o qualitativo;

− "finalità di prestazione" (goal performance) significa un oggettivo traguardo di prestazioni espresso come tangibile e misurabile oggettivamente , a fronte del quale si possa misurare un effettivo conseguimento, inclusa una finalità espressa in uno standard quantitativo, un valore, o un saggio;

− "indicatore di prestazione" (performance indicator) significa un valore o un carattere particolari usati per misurare il prodotto o l'esito;

− "attività di programma" o "programmatica" (program activity) significa una specifica attività o progetto come elencata nel programma e nel prospetto finanziario del bilancio annuale del Governo degli Stati Uniti; e

− "valutazione di programma" (program evaluation) significa un giudizio, attraverso una misura obiettiva ed una analisi sistematica, del modo e del grado in cui i programmi federali conseguono obiettivi mirati.

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5. fornire una base per confrontare gli effettivi risultati dei programmi [vedi sotto il Rapporto di prestazione] con i prefissati obiettivi di prestazione; e

6. descrivere i mezzi da usarsi per verificare e validare i valori misurati.18

4.3 Il Rapporto di prestazione programmatica (Program Performance Report)

Il capo di ogni amministrazione (o ente) dovrà al termine di ogni

anno di applicazione di un Piano di prestazione preparare e sottoporre al Presidente del Consiglio e al Parlamento, un “Rapporto sulle prestazioni di programma” per il precedente anno fiscale.

Ogni Rapporto di prestazione programmatica dovrebbe “esporre gli indicatori di prestazione stabiliti nel Piano di prestazioni [di cui sopra], attraverso cui l'effettiva prestazione di programma conseguita è comparata con le finalità di prestazione espresse nel Piano per quell'anno fiscale”.19

Ogni rapporto dovrebbe:

Il glossario, fissato nella legge americana dalla legge stessa, dimostra la

grande praticità della legislazione americana. Di fronte ad una indubbia vastità di concetti e di terminologie in un materia disciplinare non ancora consolidata, il voler fissare per legge addirittura un glossario, lungi dal voler imporre un modo di pensare, serve a stabilire un linguaggio comune e rendere più chiari i significati dei diversi testi affidati ad amministrazioni diverse. Si tratta di un linguaggio convenzionale, fissato solo allo scopo pratico di non sprecare tempo in disquisizioni nominalistiche. 1188.. Ai fini di conformarsi ai suddetti criteri, la legge americana prevede che “un'agenzia può aggregare, o disaggregare, o consolidare delle attività di programma, a meno che qualsiasi aggregazione o consolidamento non ometta o non minimizzi il senso di ogni attività di programma che costituisca una delle principali funzioni o operazioni dell'agenzia in questione”.(Questo aspetto è illustrato nella lezione sul “bilancio di programma” in F.Archibugi. Compendio di programmazione strategica , 2005, già citato. 19 Se le finalità di prestazione sono specificate – nei casi eccezionali - in una forma ‘alternativa’ (di cui alla nota 4 qui sopra,) la legge americana prescrive che “il risultato di tale programma venga descritto in relazione a tali specificazioni, ivi compreso il caso in cui le prestazioni sono venute meno rispetto ai criteri di un programma minimamente effettivo o riuscito”.

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1. fare una rassegna dei risultati nell'acquisizione degli obiettivi di prestazione dell'anno fiscale;

2. valutare il Piano di prestazioni per il corrente anno fiscale relativamente alle prestazioni acquisite nei riguardi degli obiettivi di prestazione nell'anno fiscale coperto dal rapporto;

3. spiegare e descrivere, nel caso in cui un obiettivo di prestazione non è stato raggiunto, (compreso anche il caso in cui le prestazioni di una attività di programma non rispondono ai criteri di una attività riuscita oppure un corrispondente livello di acquisizione se è usata una diversa forma alternativa) perché l’obiettivo non è stato raggiunto;

4. elaborare i piani e i prospetti per conseguire l’obiettivo di prestazione prestabilito;

5. spiegare perché - se la prestazione non è praticabile e fattibile - è così e quale azione viene raccomandata;

6. descrivere l'uso e giudicare la efficacia nel conseguire obiettivi di prestazione e includere le sintesi delle conclusioni di queste valutazioni di programma portate a compimento durante l'anno fiscale coperto dal rapporto.

4.4. Controllo e valutazione di bilancio Le legge che qui si suggerisce, dovrebbe inoltre contenere

disposizioni (come fa la legge americana) in ordine alle modalità attraverso cui ristrutturare i bilanci delle amministrazioni.

In ogni paese, il bilancio delle pubbliche amministrazioni è sottoposto a delle procedure complesse che – malgrado indubbie differenze – seguono tuttavia alcune regole che nascono dalla logica stessa della sua funzionalità. Il bilancio deve essere approvato politicamente (procedura di approvazione) sia ex ante (bilancio preventivo) che ex post (bilancio consuntivo). L’attenzione politica è soprattutto portata a discutere sulle “variazioni” di bilancio (sostanzialmente di anno in anno) data la forte rigidità della spesa pubblica nei suoi capitoli di spesa più importanti.

L’attenzione prioritaria di ogni discussione politica del bilancio è stata da sempre portata sulla parte manovrabile di esso, quella suscettibile di variazione.

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Mentre l’attenzione sulla corretta gestione del bilancio è stata prevalentemente portata sulla corrispondenza delle singole deliberazioni di spesa con la struttura di bilancio deliberata politicamente, ed è insomma concentrata soprattutto sulla valutazione se ogni spesa è giustificata, quindi legittima, rispetto al disposto del bilancio approvato politicamente. Questo tipo di “controllo” viene esercitato ovunque da organi della amministrazione dipendenti alternativamente dal Governo o dal Parlamento, o da nessuno dei due per le parti che configurano diversi “poteri” giuridico-costituzionali.

Queste procedure semplici ed ovvie sono presenti in tutti i paesi comunemente analizzati (per esempio Oecd).

Ma nello stesso tempo, come abbiamo detto, già da oltre due o tre decenni in ogni paese avanzato, si è sentito – ove più ove meno - il bisogno di integrare tale procedura con la necessità (anche in questo caso ovvia) di conoscere meglio, e quindi valutare: - quali fossero i risultati che con date decisioni di spesa espresse in

moneta si ottenevano in termini di beni o servizi e prodotti resi; - e se tali risultati ottenuti fossero ottenuti nel miglior modo

possibile, con i costi più bassi e quindi l’efficienza più alta possibile, e/o con l’efficacia più elevata rispetto agli scopi cui attenevano, e/o con il livello migliore di soddisfazione qualitativa degli utenti.

Ciò ha provocato una vasta introduzione nel sistema operativo della

PA di un sistema di misurazione delle prestazioni, prima ignoto (o noto solo qui e là solo in alcuni pionieristici settori e in modo diverso da paese a paese). Di questa necessità si è parlato a lungo e in largo, nella PA e nelle attività accademiche e didattiche; ma si è ovunque realizzato ben poco. E la scarsa esperienza di misurazioni si è attribuita generalmente alle difficoltà complesse che le prestazioni della PA offrono per una valutazione misurabile quantitativa

In realtà la quantificazione dei prodotti (in output o outcome) , e la complessità dei fattori (in input) nelle prestazioni della PA rendono molto difficile l’identificazione di appropriati “misuratori” o indicatori di prestazione. E ciò è bastato a scoraggiare ogni possibile realizzazione nei luoghi operativi. Ma è anche vero che ci si è provato assai poco e in modo poco sistematico.

La grande massa di dirigenti e operatori (i funzionari della PA) per formazione personale, per prevalente abitudine di lavoro rispetto alla

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formazione, e per comodità personale, non sono stati mai e non sono i più appropriati promotori della introduzione di sistemi di misurazione sul posto di lavoro. I sindacati, per il loro verso, hanno sempre preferito difendere i dipendenti pubblici da forme di “razionalizzazione” e misurazione delle prestazioni, come forme di subdola pressione sui ritmi di lavoro (non altrimenti di quanto è avvenuto nella storia dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali nel settore privato). L’apprezzamento dei vantaggi per una migliore produttività delle prestazioni della PA non solo per i consumatori in genere ma anche per gli stessi addetti della PA, è stato e sarà sempre difficile, se non diverrà effetto di una routine e non verrà accompagnata da una partecipazione diretta, anche economica, ai progressi accertati.

In Italia con la Legge 94 del 1997 (e il decreto legislativo che la attua) si sono fatti passi importanti verso una importante ristrutturazione del bilancio. Come detto si è cercato di costruire il bilancio (previsionale) attraverso la istituzione di “Unità previsionali di base”(UPB) , “stabilite in modo che a ciascuna UPB corrisponda un unico CRA, cui è affidata la relativa gestione”. Ma fino adesso, una presentazione del bilancio per CRA e UPB, se ha migliorato la classificazione ‘funzionale’ del bilancio, non ha migliorato la conoscenza delle relazioni fra spesa e risultati per ciascuna voce di spesa, sia ex ante che ex post. E questo potrà avvenire solo se si costruiranno dei Piani ex ante di risultati attesi per ciascuna voce di spesa, e dei Rapporti o dei Rendiconti ex post dei risultati ottenuti per ciascuna voce di spesa; in altri termini se preventivi e consuntivi di spesa, non conterranno per ciascuna voce di spesa una rendicontazione sui risultati, attesi o conseguiti.

Ma l’occhio sui risultati (attesi o conseguiti) può essere permesso solo dalla elaborazione dei Piani (pluriennali o annuali) di cui la nuova legge dovrebbe indicare il contenuto, dati i mezzi e le risorse a disposizione , ed anche il modo di misurarli, in termini di costo. Quindi è dubbio che una autentica riforma della contabilità, mirata a far valutare contemporaneamente spesa e risultati possa effettuarsi se non in connessione con la programmazione strategica – appunto – dei risultati e della spesa intimamente congiunti.20

20 Come detto all’inizio di questo capitolo, ho voluto anteporre alla critica delle impostazioni sbagliate finora seguite in Italia un chiaro modello di quello che si sarebbe potuto fare, e che tuttora si dovrebbe fare. Ciò allo scopo di mettere fin

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Passiamo ora a esaminare perché, a mio modo di vedere ,quanto si è fatto non è sufficiente per una corretta impostazione dell’introduzione della programmazione strategica in questo paese, quanto può essere emendabile, e quanto – invece – richiede una radicale ristrutturazione.

dall’inizio in maggiore chiarezza con quale modello in testa ho sviluppato le critiche contenute nei capitoli che seguono.

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Capitolo secondo Inadeguatezza della legislazione italiana

“riformistica”

Premessa dunque con il capitolo primo una illustrazione sommaria di una proposta/modello già da tempo da me sottoposta alle autorità italiane in diversi modi1, cercherò di essere più preciso circa le critiche che sento di dover fare all’impostazione delle riforme in materia di controllo di gestione e di ristrutturazione del bilancio che si sono tentate in questo Paese negli ultimi anni.

Nello sviluppare l’esame dei problemi della spesa pubblica in Italia sotto il profilo della sua programmazione e del suo controllo strategico, desidero partire dall’acquisizione degli indirizzi politici che il Parlamento e gli esecutivi degli ultimi dieci anni – sotto ogni colore politico – hanno formulato con un certo numero di atti legislativi.

Rivisiteremo insieme, innanzitutto, i passaggi più significativi della legislazione italiana sull’argomento, cercando di estrarne gli aspetti più direttamente e significativamente collegati all’argomento della programmazione e controllo strategici. 2

1 Innanzitutto tale proposta è stata sempre espressa nelle mie lezioni presso la Scuola Superiore della Pubblica Ammninistrazione e in numerosi convegni ed incontri di studio; ma anche attraverso mie personali pressioni e note dirette all’allora Ministro della Funzione Pubblica, quando stava apprestando nel 1996 e 1997, le note leggi “di riforma “ (L.1997/59, e DL 1999/286). Ora – per più ampie informazioni su un modello auspicabile di pianificazione strategica è a disposizione in italiano il mio libro: Introduzione alla pianificazione strategica in ambito pubblico (Firenze, Alinea 2004), nonché il Compendio di programmazione strategica nelle pubbliche amministrazioni (Firenze, Alinea 2005). 2 Si veda in appendice una selezione di passaggi “salienti”della legislazione riformistica degli anni ’90.

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Innanzitutto mi sembra dover osservare che tali “passaggi” avrebbero guadagnato in chiarezza e in capacità di innestare ulteriore applicazione, se fossero stati isolati e formulati in modo separato dal contesto normativo nel quale sono stati inseriti.

La loro formulazione sarebbe stata più incisiva se fosse stata concentrata sui problemi della programmazione e controllo strategico, e non frammista ad una miriade di altre disposizioni concernenti lo stato giuridico e contrattuale dei funzionari dello Stato, e mutamenti di procedure operative (dalla semplificazioni delle decisioni ai poteri e competenze dei soggetti, o addirittura l’introduzione dei metodi di comunicazione e di tecnologia informatica nei sevizi e nelle operazione pubbliche) che hanno poco a vedere con la programmazione e il controllo strategici, anche se possono essere degli ottimi strumenti di modernizzazione della stessa Pubblica amministrazione e forse permettono la programmazione e il controllo strategici in modi prima impensabili.

Comunque, a cose fatte, a legislazione vigente esistente, il confronto ad hoc del percorso fatto nella specifica materia della programmazione e del controllo strategici, (attraverso il susseguirsi storico recente degli interventi legislativi in proposito) permette di constatare quanto confusa fosse e tuttora sia la stessa “visione” di un rinnovamento dei metodi di gestione, e quanta insufficiente la maturazione di acquisire – al di là di dichiarazioni di principio – dei metodi di procedura più precisi ed incisivi, più capaci di tradursi in procedure e conoscenze di fatto.

Alla percezione di questo divario fra la farraginosa normativa italiana in oggetto e una auspicabile chiara introduzione della programmazione e controllo strategici in tutte le operazioni della Pubblica amministrazione (in particolare di quella sezione di essa che chiamamo “Stato”) basta un confronto fra i testi delle leggi italiane in questione (o anche della sintesi estrema fatta nell’Appendice N.1 ) e il testo della legge federale americana detta “del risultato”, del 1993 (GPRA, Government Performance and Result Act) che in non più di “10 pagine 10”, (Appendice n.2, nell’unica traduzione esistente3) ha

3 Tale traduzione è quella contenuta in Appendice alla relazione da me svolta nel 1997 alla XXXV Riunione scientifica della Società italiana di Economia , Demografia e Statistica sul tema ;”Politiche e tecniche di valutazione dell’attività della PA e delle politiche sociali (Alghero 29-31 maggio 1997) e pubblicata in Rivista Italiana di Economia , Demografia e Statistica, Vol.LI, n.1-2 1997.

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tracciato come normativa4, una serie di indicazioni operative che abbiamo già illustrato nel cap.1.

Quella Legge, in quelle dieci pagine, riesce perfino a stabilire un piccolo utilissimo glossario di concetti concernenti la programmazione e il controllo strategico, estremamente utile ad uniformare l’impiego di concetti e parole in tutti i singoli documenti di piano federali nati dall’applicazione del GPRA.

Una delle prime constatazioni è dunque che dalla legislazione esistente italiana, ben poco si trae per una corretta introduzione di linee di programmazione, controllo e valutazione della spesa pubblica in Italia, se non un generico – e neppure molto chiaro – mandato politico. Vediamone le ragioni.

1. Il Decreto legislativo n. 29 del 1993 L’inizio di una attenzione significativa ad una riforma dei metodi di

valutazione della spesa pubblica da parte del legislatore è nel Dl n.29/1993, che nel titolo mirava ad una “razionalizzazione” delle amministrazioni pubbliche. Dopo una serie di declaratorie generali mirate a “distinguere” il ruolo degli organi di governo aventi il ruolo di “definire gli obiettivi ed i programmi da attuare” e di “verificare la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti” (art.3, comma 1) , dal ruolo dei “dirigenti” cui spetta “l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo” e che sono “responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, delle gestione e dei relativi risultati”(art.3, comma 2), la legge ribadisce con solennità qualcosa che è ripetuto da tempo immemorabile e con significato tanto ovvio quanto generico che “le amministrazioni pubbliche… adeguano i propri ordinamenti al 4 Si noti che – come già detto nel cap.1 - tutti gli articoli di tale Legge sono stati votati come “emendamenti” del United States Code, che è, come noto, il Codice (come un nostro “testo unico”) che regola tutti gli atti e tutte le procedure dell’amministrazione federale Usa. Così facendo la GPRA ha introdotto la programmazione strategica e il controllo, in modo irreversibile, nel funzionamento della PA, attuando quella piccola rivoluzione definita del “reinventing government”, che rappresenta la vera riforma epocale della PA.

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principio della distinzione tra indirizzo e controllo da un lato, e attuazione e gestione dall’altro”.

A questa infinita litania – presente in quasi tutti gli atti legislativi che riguardano la PA – è difficile tuttavia trovare qualcosa che gli faccia seguito con qualche statuizione e normazione più pregnante e pratica riguardante come e con quali mezzi tra gli indirizzi e gli obiettivi dei politici e degli “organi di Governo” e la concreta azione mirata al risultato dei dirigenti e in genere delle amministrazioni operanti, si possa trovare la dovuta connessione operativa.

E’ incredibile come sia assente in coloro che formulano questo tipo di testi legislativi, la consapevolezza che qualsiasi obiettivo e programma di azione (deliberato dai politici nella loro suprema autorità decisionale) debba prima fare i conti (nell’espressione più cruda e banale del termine) con i mezzi a disposizione, le giornate uomo disponibili, le capacità tecniche mobilitabili , le risorse finanziarie , e tutto ciò espresso in “progetti” in cui si calcolano le modalità attraverso cui tutti questi fattori vengono combinati per produrre il risultato atteso.

“Progetti” e “programmi”, per quanto difficili ed imperfetti siano, sono la condizione primaria affinché le decisioni dei politici - che nelle dichiarazioni di principio vogliamo tenere così separate da quelle di tipo operativo dei dirigenti-gestori,- possano avere un senso utile, non si traducano solo in frasi e “pensieri del desiderio”, ma possano avere una minima possibilità di fattibilità.

Ma perché questo avvenga occorre che i due momenti del sistema decisionale – con buona pace di coloro che sostengono la separatezza dei ruoli – non siano poi così…separati: occorre che siano in permanenza in connessione, in un sistema circolare in cui si adatti costantemente la strategia dei fini con la disponibilità e la validità degli strumenti; e che questo avvenga in quel processo o rapporto concatenato obiettivo/strumento che è alla base della programmazione, correttamente intesa (quando nella letteratura volgare della politica – ahimé adottato anche da una ignobile accademia - si chiamano “piani”, “programmi” etc. solo elenchi di aspirazioni, magari anche singolarmente definite al dettaglio, ma senza una analisi simultanea delle possibilità, degli strumenti, dei mezzi a disposizione , e quindi delle fattibilità).

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Nell’art. 14 (comma 1.a) si precisa come “il Ministro…definisce obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emana le conseguenti direttive generali per l’attività amministrativa e per la gestione”; e (comma 1.b) “effettua, ai fini dell’adempimento dei compiti definiti” ….“l’assegnazione ai dirigenti preposti ai Centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni delle risorse…”

Se questi obiettivi, piani e programmi del Ministro non sono – come si diceva sopra – solo degli elenchi di aspirazioni, senza raccordo con gli strumenti e le risorse, ma degli autentici obiettivi, piani e programmi, allora questo lavoro di definizione, di “ingegnerizzazione” (o di progettazione delle azioni), non può che essere portato a termine che dagli stessi uffici e dirigenti preposti poi all’attuazione di tali obiettivi, piani e programmi. Il Ministro potrà scegliere tra alternative (fattibili) e vie preferibili, ma ciò su cui sceglie non può non essere che il risultato finale di un processo di programmazione (detto di “programmazione strategica”) senza il quale ogni velleità di stabilire astratti ruoli diversi tra “indirizzo/controllo” e “attuazione/gestione” e ogni velleità di introdurre metodi appropriati di valutazione dei risultati finiscono in un bel niente.

E qui c’è da domandarsi: si è diffuso - rispetto ai più importanti programmi di spesa pubblica, almeno dall’epoca del Dl n.29 ad oggi - un sistema di decisione cooperativa tra il momento decisionale e il momento valutativo delle fattibilità e dei costi-benefici,?

Ma il Dl n.29 nel suo art.18 introduce anche i “criteri di rilevazione e analisi dei costi e dei rendimenti” che è argomento fondamentale per ogni politica di valutazione dei programmi di spesa pubblica. E sostiene: “i dirigenti generali adottano misure organizzative idonee a consentire la rilevazione dei costi e dei rendimenti dell’attività amministrativa, della gestione e delle decisioni organizzative”.

In effetti, senza la conoscenza dei costi e dei rendimenti si va poco lontano in ogni tipo di gestione. Ma ciò che è sorprendente è che – malgrado il tema lo si incontra in numerose statuizioni passate di riforma della PA , ancora si presenta in questo decreto l’argomento come una nuova importante questione di cui occuparsi e su cui impegnarsi; senza manifestare il minimo stupore di essere nella condizione di raccomandare ciò. E a buon ragione! Perché l’amministrazione italiana è una amministrazione in cui – nella stragrande maggioranza delle sue strutture, centrali e periferiche, non

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si è avuta mai nessuna attenzione e consuetudine alla rilevazione dei costi, nessun tentativo di fissare dei costi standard, nessuna presenza di studi e rilevazioni dei rendimenti, cioè del rapporto fra input di fattori e prodotto di servizi e prestazioni. L’assenza di questa dimensione concettuale è il segno che quando si invoca l’ “efficienza” nella PA e nei suoi documenti legislativi ci si riferisce sempre ad una parola astratta, mai suffragata - neppure nelle intenzioni – da una concreta nozione delle modalità attraverso le quali si può “misurare” tale “efficienza”. Si tratta di cosa ignota nella nostra PA – almeno nel suo autentico, e non vuoto e retorico, significato.

Pertanto leggere il Dl n.29 del 1993 – l’anno stesso in cui negli Usa il Congresso varava la GRPA (vedi documento n.2 dell’Appendice) – permette di capire tutta la distanza di “mentalità” tra il legislatore italiano e quello statunitense, di qualsiasi colore o parte politica essi siano!

Continuando nell’esempio, il Dl n.29 statuisce: “ Il Dipartimento della funzione pubblica può chiedere all’Istituto nazionale di statistica [l’Istat] la elaborazione di norme tecniche e criteri per le rilevazioni ed analisi di cui al comma 1[sopra riportato] e all’’Autorità per l’informatica nella PA la elaborazione di procedure informatiche standardizzate allo scopo di evidenziare gli scostamenti dei costi e dei rendimenti rispetto a valori medi e “standard” (comma 2 dello stesso art.18).

Questa è una bella e buona dichiarazione “legislativa”di impotenza ordinaria degli uffici e dipartimenti della PA riguardo al conoscere e rilevare i propri costi prima di spendere, e quindi – prima ancora di sapere che cosa si ottiene dalla propria spesa – di sapere quanto si spende. Ciò che fa allibire è la capacità di dare per scontato, per naturale, da parte del legislatore che i dirigenti non sappiamo quello che spendano, e non sappiano confrontare quindi, quanto spendono con il risultato della loro spesa (ciò che farebbe qualsiasi buon padre di famiglia che abbia una minima consapevolezza dei suoi compiti e dei suoi rischi).

Che il Dipartimento della funzione pubblica (e i suoi dirigenti) chiedano aiuto a chicchessia (Istat o autorità per l’informatica) per essere aiutati “tecnicamente” è più che bene (benché c’è da domandarsi se queste richieste di assistenza tecnica non sarebbe bene chiederle a organismi con il compito ad hoc di fare questo e non ad organismi che hanno come fine principale altri tipi di assistenza, sia

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informativa che elaborativa). Ma che gli uffici della PA chiedano di essere “informati” sui propri costi operativi è insensato! La fonte della rilevazione dei costi sono gli organismi stessi che spendono, e il compito di guardarsi in giro – magari con l’aiuto di organismi o persone tecnicamente preparate a questo – per sapere se c’è qualcuno, con compiti e missioni similari, che raggiunge livelli di minore costo per risultato a parità di condizioni e di qualità, è un compito dell’organismo stesso che spende, (e del dirigente relativo) in permanente ed organica concertazione con i “politici” (Ministro, etc.) che gli hanno affidato il compito, impartendo “direttive” e “indirizzi”, (cari agli astratti politologi del diritto pubblico!).

Dall’art 20 di questo decreto n.29, a parte la fraseologia delle ovvietà che si incontrano nei documenti legislativi [come per esempio:“i dirigenti generali ed i dirigenti sono responsabili dell’attività svolta dagli uffici ai quali sono preposti, della realizzazione dei programmi e dei loro progetti loro affidati in relazione agli obiettivi dei rendimenti e dei risultati della gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, incluse le decisioni organizzative e di gestione del personale” (art. 20, comma 1); [c’è da chiedersi: che cosa starebbero a fare se non per fare questo?] tutto quello che si ricava, è un generico invito (ma invito benedetto!) : “Nelle amministrazioni pubbliche , ove già non esistano, sono istituiti servizi di controllo interno, o nuclei di valutazione, con il compito di verificare , mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa. I servizi o nuclei determinano, almeno annualmente, anche su indicazione degli organi di vertice, i parametri di riferimento del controllo” (art.20, comma2).

Qui il dettato del Dl n.29 ricupera un po’ di senso. In poche righe (circa sei, forse pochine, ma se si è chiari ed incisivi talvolta bastano) si dice quelli che avrebbero dovuto essere i compiti dei famosi Secin, (“Servizi di controllo interno”) praticamente fondati da questo decreto: 1. verificare la realizzazione degli obiettivi, mediante valutazioni

comparative dei costi e dei rendimenti; 2. verificare la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche

e l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa.

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Se gli obiettivi di cui al punto 2 sembrano ancora del tutto vaghi e decisamente imprecisi, in quanto non si dice che cosa si intende per “corretta ed economica gestione” e come valutare l’ “imparzialità e il buon andamento” dell’azione amministrativa, quello di cui al punto 1) sia pure generico, rappresenta un invito preciso: a valutare la realizzazione, in primo luogo, degli obiettivi di ciascun organismo in questione, “mediante analisi “comparate” (ma rispetto a chi e a che cosa?) dei costi e dei rendimenti della detta realizzazione

Quest’ultimo compito sarebbe ben chiaro, a condizione tuttavia che si verifichi la presenza ordinata e sistematica degli obiettivi dell’amministrazione e dei programmi da essa gestita, quegli obiettivi richiamati nell’art. 14 come oggetto dell’indirizzo politico-amministrativo, e dall’art.18 come oggetto della realizzazione, di cui si deve valutare il costo e i rendimenti.

Senza una definizione sistematica di tali obiettivi, cade la ragion d’essere dell’analisi di fattibilità delle azioni, e cade la possibilità stessa di una valutazione pertinente e finalizzata. Rispetto a che cosa infatti si misurerebbe l’efficacia dell’azione programmatica?

C’è da domandarsi se Ministri, dirigenti, Secin, Dipartimento della funzione pubblica, Ragioneria generale dello Stato, Corte dei conti, etc. abbiano fatto qualche cosa dopo il Dl n.29 per applicare quanto genericamente disposto dal decreto stesso in materia di indirizzo politico-amministrativo, criteri di rilevazione dei costi e dei rendimenti, e verifica dei risultati. Il Gruppo di studio ritiene che si ha l’impressione che si sia fatto ben poco. Ma una buona parte delle responsabilità stanno nella stessa stesura delle normazioni del Dln. 29, che sono da un lato generiche e dall’altro pleonastiche; e in definitiva avare di indicazioni più dettagliate di metodo (del tipo espresse con molta chiarezza, e assai minori quantità di pagine scritte, dalla legge americana del GPRA, v.Doc. 2 dell’App.).

2. La legge n.59 del 1997. Nel 1997, la Legge n.59, pur avendo come principale oggetto altri

argomenti (la devoluzione agli enti locali e la semplificazione delle procedure) ritorna sull’argomento della programmazione e valutazione dei risultati, ma in termini ancora meno incisivi del Dl n.29.

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Si ritorna a dare delega al Governo per decreti diretti a “riordinare i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’ attività svolta dalle amministrazioni pubbliche” (comma c dell’art 11)

Poiché quanto in proposito era stato prescritto dal D.l. n.29 era andato quasi totalmente a vuoto, ci si sarebbe dovuti aspettare che questa volta fossero maturate nella volontà del legislatore delle indicazioni un po’ più precise e cogenti (anche se si trattava solo di legge-delega).

E nell’art.17/comma 1 della stessa Legge, si snocciolano ancora una serie di “principi e criteri” cui il Governo “si atterrà” nell’attuazione della delega, che richiamano praticamente le stesse istruzioni “declamate” nel Dl.n.29. Commentiamole brevemente: • “prevedere che ciascuna amministrazione organizzi un sistema

informativo-statistico di supporto al controllo interno di gestione, alimentato da rilevazioni periodiche, al massimo annuali, dei costi delle attività e dei prodotti”. [Si ripete il concetto che ciascuna amministrazione fornisca notizie

sui propri costi, ma non si dice per quali attività e per quali risultati (quelle programmate o quelle casuali in corso?); l’assenza di un riferimento costante nel richiedere la rilevazione dei costi ad una attività di programmazione e perciò alla definizione degli obiettivi, per il conseguimento dei quali si hanno dei “costi” ha praticamente indebolito non solo il concetto ma anche la pratica motivazione del “sistema informativo-statistico” richiesto] • prevedere e istituire sistemi per la valutazione, sulla base di

parametri oggettivi, dei risultati dell’attività amministrativa e dei servizi pubblici favorendo l’adozione di carte dei servizi e assicurando in ogni caso sanzioni per la loro violazione, e di altri strumenti per la tutela dei diritti dell’utente e per la sua partecipazione, anche in forme associate, alla definizione delle carte dei servizi e alla valutazione dei risultati; [Lasciando da parte il fatto che si inzeppa in questo solo

sottocomma (del comma 1 dell’art.17) una tale quantità di istruzioni (carta dei servizi, partecipazione degli utenti alla loro definizione, e alla valutazione dei programmi) che sembra spropositata rispetto ad una ordinata trattazione della materia, il difetto essenziale del sottocomma è che dimentica un elemento prioritario alla valutazione dei programmi, ed è quello della loro definizione e selezione. Si

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continua un vecchio metodo in base al quale si pensa di “valutare” senza prima “programmare” (quasi che si possa valutare senza prima conoscere gli obiettivi dei programmi messi in essere).] • prevedere che ciascuna amministrazione provveda periodicamente

e comunque annualmente alla elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati. [Stessa musica male impostata: indicatori di che cosa? come si fa a

elaborare degli indicatori se non in stretta relazione ai programmi e agli obiettivi programmatici perseguiti? Gli indicatori non hanno vita propria: sono misuratori del successo di ciò che si ha e che si intende avere o raggiungere, rispetto agli obiettivi che si sono formulati. Per questo si chiamano “indicatori di programma”! E si distinguono dagli “indicatori (sociali o economici) di stato”, che misurano lo stato delle cose su una serie di dati scelti non in funzione di ciò che si vuole conseguire, ma in considerazione di un concetto generale di “benessere” elaborato indipendentemente dalle circostanze che lo determinano; indicatori che hanno al massimo lo scopo di confrontare ex post (statisticamente) i risultati non diretti ma genericamente indiretti di eventuali attività di governo, ma che sono in generale più influenzati dalle circostanze (di sviluppo, di reddito pro-capite, di cultura, etc.) che dall’azione programmata dei governi!

E così per la “valutazione comparativa dei costi, rendimenti ed economicità”. Innanzitutto il confronto è valido solo se si fa a parità di condizioni strutturali esterne, altrimenti ha un significato ben limitato. Esso inoltre serve come “benchmarking”, a stimolare gli operatori e i programmatori a imitare realizzazioni di eccellenza, sempre a parità di condizioni e circostanze di contorno. Ma valutazioni e indicatori di programma, hanno la loro efficacia se si usano – caso per caso – in un processo di programmazione delle azioni, come strumento di verifica e controllo dei programmi messi in essere, e parlare di essi senza riferimento a detto processo di programmazione , è uno straparlare, un parlare a vanvera, di chi non ha nessuna idea di che cosa sia un modo serio di programmare. Altro che stabilire i “principi e i criteri direttivi” dell’innovazione da introdurre! Non c’è da meravigliarsi, poi, se le amministrazioni cui ci si rivolge con questi principi e criteri direttivi, non sappiano da che parte incominciare per fornire le informazioni richieste sui “costi” (in se), sugli “indicatori di efficienza, efficacia e economicità”(in se), sui

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“parametri oggettivi” (in se); e non sappiano applicare tali strumenti alle loro attività routinieres ; attività che non sono mai ri-controllate e ri-programmate, nei modi giusti, e mai inserite in un sistema di obiettivi e in una struttura di programma approfondita e vagliata alla luce delle possibilità, delle risorse, e dei mezzi a disposizione, e distribuita nel tempo con indicatori e traguardi adeguati Non c’è da meravigliarsi in altri termini che tutte le belle frasi in cui si esprimono i principi e criteri direttivi degli atti legislativi, restino lettera morta, e vengano ripetuti tali e quali, dai successivi documenti legislativi.] • collegare l’esito dell’attività di valutazione dei costi, dei

rendimenti e dei risultati alla allocazione annuale delle risorse; [A parte la non chiarezza dell’espressione forse troppo sintetica, è

legittimo supporre che il legislatore qui volesse dire che occorre una verifica periodica (annuale) dei costi, dei rendimenti e dei risultati, ciò che è ovviamente necessario per ogni attività di monitoraggio; ma persiste qui l’assenza di riferimento ai piani e programmi che dovrebbero essere l’oggetto della verifica o del controllo dei costi e della gestione in genere, o di rendimento, o di risultato]. • costituire presso la PCM una banca dati sull’attività di

valutazione, collegata con tutte le amministrazioni attraverso i sistemi di cui alla lettera a) ed il sistema informatico del Ministero del Tesoro/Rag. Gen. dello Stato, e accessibile al pubblico, con modalità da definire con regolamento da emanare (ai sensi dell’art.17 , comma 2, della Legge 1998/400). [Altro mega-obiettivo generale, del tutto auspicabile, ma del quale

ci si guarda bene dal dire in che modo realizzarlo, se non in riferimento alle virtù intrinseche dello strumento “informatico”; e senza dire soprattutto quali dati, e con quale tipo di analisi, si sarebbe dovuto raccogliere].

3. La Legge n.94 del 1997.

Poiché con la Legge n.59 si faceva entrare in ballo, oltre che un “sistema informativo-statistico” (non meglio identificato) presso “ciascuna amministrazione”, (art. 17, comma 1 lettera a,) anche “il sistema informatico del Ministero del Tesoro –RGS”), (stessi art. e comma, lettera e) che poggiava su una antica tradizione di costruzione di una lettura complessiva di tutte le spese della PA, nello sforzo di

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dargli un senso, si è pensato bene di rivedere e ristrutturare la stessa presentazione dei dati del bilancio secondo nuovi schemi e nuove classificazioni, possibilmente più significative, ai fini – come si ripete spesso -di esercitare una politica pubblica della spesa.

Si è così promossa una Legge, quella n.94 del 1997 (detta “Ciampi”dall’allora Ministro del Tesoro e Bilancio), attraverso cui si è cercato di ottenere una lettura della spesa pubblica, più legata alla valutazione delle destinazioni della spesa pubblica. La Legge si intitola allo scopo di modificare le norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio e di dare delega al Governo per l’individuazione delle unità previsionali di base del bilancio dello Stato”.

Con tale Legge si sono indicati, di nuovo, “principi e criteri direttivi” per una delega ad emanare un Dl avente come scopo (art.5, comma 1, lettera da a a h):

− “rendere più razionali, significative e trasparenti le scelte del Governo e del Parlamento sulla acquisizione delle entrate e sulla ripartizione delle risorse fra le destinazioni di spesa all’interno di esse, sulla loro destinazione finale, avuto riguardo alla identificazione delle connesse responsabilità della gestione”;

− “razionalizzare la gestione finanziaria e l’azione amministrativa, collegando la ripartizione delle risorse per funzioni alla identificazione dei Centri di responsabilità amministrativa (CRA) e alla disciplina del procedimento; a tal fine saranno analiticamente riconsiderati gli oggetti dei capitoli di spesa, secondo il contenuto economico, riorganizzando, ove necessario, la normativa che fa da supporto all’autorizzazione di bilancio, anche attraverso l’abrogazione di norme desuete e assorbite;

− “individuare in modo certo il responsabile delle unità previsionali e dei relativi procedimenti;”

− “determinare, per ciascuna Upb,(unità previsionale di bilancio) l’autorizzazione ai pagamenti sulla base dell’integrazione tra flussi informativi provenienti dal Servizio di tesoreria prov. dello Stato, dal Sistema informativo della Direz.Gen.del Tesoro e dal Sistema informativo della Rag. Gen, dello Stato;

− “ridefinire il sistema della Tesoreria unica in modo da prevederne, per le regioni e gli enti locali, il graduale

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superamento in connessione con il progressivo conferimento di ulteriori funzioni ed entrate proprie;

− “riorganizzare i conti di Tesoreria in modo che essi siano raccordabili con la gestione dei capitoli di bilancio e delle Upb….Tale riorganizzazione deve consentire il raccordo…..tra il conto di cassa del settore statale e l’indebitamento netto della PA;

− “disciplinare la procedura di formazione del bilancio sulla base di un esame delle esigenze funzionali e degli obiettivi concretamente perseguibili nel periodo cui si riferisce il bilancio, con esclusione del criterio della spesa storica incrementale;

− “introdurre, ai fini della gestione e della rendicontazione, una contabilità analitica per “centri di costo”.

Indubbiamente con tale Legge si orienta la politica pubblica

(Parlamento e Governo) a prendere coscienza delle complessive interdipendenze economiche che si hanno tra un assorbimento di risorse e l’altro (fra settori di destinazione ); e a costruire una rilevazione dei dati concernenti le spese più consona a quella presa di coscienza.

Chiedere istituzionalmente una maggiore vicinanza fra la destinazione “funzionale” della spesa e la contabilità che la registra è certamente una condizione essenziale per una valutazione “politica” della spesa stessa.

Pertanto: benvenute la creazione di Unità previsionali di bilancio (Upb) nella contabilità del Bilancio,e l’istituzione in tutte le amministrazioni di “Centri di responsabilità amministrativa” (CRA) al fine di individuare le appropriate Unità operative e responsabili del modo stesso in cui si spende e del modo in cui si deve trovare il modo di dare un significato e una misura dei risultati di tale spesa! E ciò è ben stabilito dai commi a), b), e c) dell’art.5, comma 1 di detta Legge.(Le altre lettere del comma 1, sono, per così dire , delle implicazioni tecniche, ai principi e criteri dei primi tre commi).

Ma in tale impostazione, del tutto corretta, è incluso un effetto strisciante e pericoloso, che – mi sembra - non deve essere trascurato o sottovalutato. Include il fatto che, una volta apparentemente ristrutturati i conti dello Stato secondo criteri più razionali, ritrovate le giuste categorie funzionali per conoscere la destinazione della spesa,

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(in termini di ammontari di spesa in moneta), si tenda ad allontanarsi dal principale scopo sia della rilevazione dei costi, sia dell’uso degli indicatori di programma, sia della stessa celebrata riclassificazione della spesa in moneta: e cioè lo scopo di sapere come e quanto quella spesa raggiunge degli obiettivi programmatici.

In altre parole, si tratta di sapere se ad una aumento o una diminuzione dell’ammontare della spesa registrata in una categoria di spesa, corrispondano effettivamente un aumento o una diminuzione dei risultati ottenuti con quella spesa rispetto agli obiettivi che quella spesa in teoria deve proporsi e ai programmi che l’hanno messa in essere. Dimenticare questo apparente dettaglio, cambia radicalmente il quadro e il significato dell’operazione riformistica, e rappresenta il rischio più grande per una riforma: di essere solo una riforma apparente, sulla carta, una specie di maquillage alla contabilità di stato; e rischia di distrarre dall’operazione profonda del “reinventing government”, quella di sapere scegliere fra alternativi effetti reali, o risultati possibili, della spesa, e non solo fra nominalistiche quantità in moneta, magari meglio classificate e registrate statisticamente, ma di cui non si conoscono né effetti né risultati.

Non si può negare che di questo rischio il legislatore della Legge n.94 non fosse anche consapevole. Infatti il comma 2 dello stesso art.5 dice: “In funzione degli obiettivi di cui al comma 1, il decreto [cui mira la delega] provvederà altresì a ristrutturare il rendiconto generale dello Stato prevedendo la suddivisione in capitoli delle Upb, in modo da consentire la valutazione economica e finanziaria delle risultanze, di entrata e di spesa, evidenziando le entrate realizzate e i risultati conseguiti in relazione agli obiettivi stabiliti negli strumenti di programmazione economico-finanziaria e di bilancio, agli indicatori di efficacia e di efficienza ed agli obiettivi delle principali leggi di spesa, nonché introducendo, per il conto del patrimonio, un livello di classificazione che fornisca l’individuazione dei beni dello Stato suscettibili di utilizzazione economica, anche ai fini di una analisi economica della gestione patrimoniale.”

Orbene, è proprio il modo in cui questa consapevolezza è espressa che rende perplesso e dubbiosi sul valore da dargli.

Si dice infatti che il decreto (delegato) ristrutturando il rendiconto generale dello Stato con la suddivisione in capitoli delle Upb, consentirebbe “la valutazione economica e finanziarie delle risultanze, di entrata e di spesa, evidenziando le entrate realizzate e i

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risultati conseguiti in relazione agli obiettivi stabiliti negli strumenti di programmazione economico-finanziaria e di bilancio, agli indicatori di efficacia e di efficienza ed agli obiettivi delle principali leggi di spesa”.

Così affermando, si lascia pensare che si abbia chiara la condizione essenziale che ogni valutazione della spesa, (quella singola di ogni programma di spesa, come quella complessiva che guarda panoramicamente a tutti i programmi di spesa o li confronta), la si possa fare solo “in relazione agli strumenti di programmazione e agli indicatori di efficacia e di efficienza”. E questo è l’aspetto positivo dell’argomento scritto dal legislatore.

Ma dall’altro lato, non è detto esplicitamente che senza la suddetta “relazione” la ristrutturazione sancita dalla Legge n. 94, perde ogni significato. Ci si estende nel descrivere lo strumento (ristrutturazione istituzionale e perfino sistema informativo del Tesoro/RGS) senza dire molto sul modo in cui assicurare quella “relazione” della contabilità con gli obiettivi della programmazione e gli indicatori con cui misurarne il conseguimento. E questo è per contro l’aspetto negativo dell’argomento, che lascia pensare che non si è capito niente di quella “relazione”, o che si creda sufficiente l’aggregata registrazione delle spese in moneta per giudicare se gli “obiettivi” sono raggiunti o no!

Se si aggiunge – a questi motivi di diffidenza – il fatto che per “obiettivi di programmazione” si intendono (senza maggiore precisione) “quelli “stabiliti negli strumenti di programmazione economico-finanziaria”e che per quanto riguarda gli indicatori di efficacia e di efficienza, non c’è una migliore identificazione su che base costruirli, allora aumentano i motivi di sospetto che si navighi ancora nelle acque di una concezione ancora insufficiente di che cosa sia la programmazione auspicata,. Certo se gli obiettivi ai quali riferire la valutazione della spesa sono il DPF o le principali Leggi di spesa, siamo ancora lontani dall’aver capito che cosa è la programmazione, e quindi si giustificano anche le insufficienze della Legge n.94.

Il DPF, lungi – almeno per il momento – da essere un documento di programmazione, è semplicemente un documento di spartizione delle risorse pubbliche disponibili, ispirato a vincoli monetari aggregati, come quello del deficit di bilancio. Riterrei che esso potrà diventare un vero Documento annuale di decisione programmatica, solo quando anziché il punto di partenza del processo di programmazione, ne sarà il punto di arrivo (o almeno solo un punto di passaggio politico

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importante) in un processo ciclico. Cioè quando si saranno creati i veri “strumenti di programmazione” (i piani strategici dei Ministeri ed Enti pubblici) che registreranno una maggiore, veritiera corrispondenza fra somme monetarie di spesa e risultati non monetari della spesa. (cioè risultati autentici).

Le leggi di spesa, finora , non sono state altro - nella generalità dei casi – che degli elenchi di servizi e interventi, e di statuizioni relative a modalità di esecuzione, con scarsissimi riferimenti ai loro costi economici (progettuali) e al loro “Perth” temporale, che dovrebbe essere alla base di ogni programma pubblico. Certo non sono oggetto di quella “relazione”fra spesa prevista e risultato atteso, in base alla quale procedere alla valutazione delle politiche di spesa, cui sembra devota la Legge n.94.

Si deve mirare ad una situazione in cui quando una legge, un programma politico, un intervento deliberato chiede soldi allo stato e al contribuente, questi soldi siano già corrispondenti ad un progetto, ad un programma, in cui siano definiti i risultati che si attende di ottenere con quell’ammontare di soldi; e ciò in base a preventivi calcoli di fattibilità e di costi da sostenere per unità di risultato, e non solo in base a cifre campate per aria.

Di come costruire questo necessario collegamento fra costi (soldi) e risultati in ogni tipo di spesa pubblica, si ritornerà meglio ovviamente, nel prossimo capitolo terzo, ma resta il fatto che attualmente in Italia quando il potere politico decide un fondo per una spesa, sulla spinta della relativa popolarità di un problema (spesse volte passeggero) la richiesta del fondo è raramente accompagnata da una analisi dei costi e dei risultati attesi dall’impiego di quel fondo. E ciò fa perdere di valore molti degli argomenti che creano quel collegamento solo “nominalmente”, con l’assegnare una “etichetta” ad una spesa in questione, senza né conoscere, né controllare che cosa c’è nella bottiglia o recipiente così etichettato.

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4. Il Decreto legislativo. N.279 del 1997

I motivi di perplessità e di rischio di fuorviare da una corretta

introduzione della programmazione (che costituisce il bisogno largamente riconosciuto di riformare la gestione della PA), diventano ancora più forti alla lettura del decreto legisl.n.279 con il quale si attua, nello stesso anno, la delega della Legge n.94. Con questo decreto si attuano nel 1998 le Ubp e i Cra previsti dalla Legge n.94. E si indicano, con uno speciale “allegato tecnico” “i capitoli nei quali è disaggregata ciascuna Upb ai fini della gestione e della rendicontazione, nonchè il carattere giuridicamente obbligatorio o discrezionale delle spese, con il rinvio alle relative disposizioni legislative; sono indicati, altresì, i tempi di esecuzione dei programmi e dei progetti finanziati nell'ambito dello stato di previsione” (vedi nell’art.2).

C’è da domandarsi: non sarebbe stato il caso di approfittare dell’occasione per rendere ancora più esplicite, con opportuni allegati tecnici, le modalità attraverso le quali ogni amministrazione avrebbe dovuto costruire, dei veri e propri “bilanci di programmazione”, dopo aver, naturalmente, introdotto la programmazione stessa?

Ma la concezione di una contabilizzazione della spesa in termini di programmazione dei risultati e di costruzione – amministrazione per amministrazione – di bilanci di programmazione (program o performance budgeting) , non era ancora maturata all’epoca. Né a questo scopo sembrano rispondere con chiarezza le disposizioni dell’art. 10 del DL, quando si cerca di mettere in piedi “un sistema di contabilità economica fondato su rilevazioni analitiche per centri di costo”, che in applicazione a quanto già previsto dalla legge n.29 del 1993 (già commentata ) “collega le risorse umane, finanziarie e strumentali impiegate con i risultati conseguiti e le connesse responsabilità dirigenziali, allo scopo di realizzare il monitoraggio dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'azione svolta dalle singole amministrazioni. Queste ultime provvedono alle rilevazioni analitiche riguardanti le attività di propria competenza secondo i criteri e le metodologie unitari previsti dal sistema predetto, al quale adeguano anche le rilevazioni di supporto al controllo interno, assicurando l'integrazione dei sistemi informativi e il costante aggiornamento dei dati.”

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Tutte belle cose , ma che senza un riferimento a dei programmi specifici e metodologicamente corretti non possono decollare, o – se decollano – lo fanno su una pista sbagliata, quella di una scarsa significatività consequenziale e programmatica dei dati raccolti e delle misurazioni effettuate (come sopra si è argomentato).

Il “piano dei conti” suggerito alle amministrazioni (nella Tabella B allegata al DL n.279) risente di questa ambiguità: infatti, tale piano dei conti, se preceduto da sistemi di costruzione dei “bilanci di programma” potrebbe anche raccogliere dati importanti ed interessanti; ma senza tali bilanci diventa inutile e fuorviante (cioè assume il carattere di quel “maquillage”di cui abbiamo parlato commentando gli articolati della Legge n.94 (art.5).

Ed anche i “centri di costo” diventano non molto chiari nella loro funzione: “i centri di costo sono individuati in coerenza con il sistema dei CRA, ne rilevano i risultati economici e ne seguono l'evoluzione, anche in relazione ai provvedimenti di riorganizzazione….. I servizi esprimono le funzioni elementari, finali e strumentali, cui danno luogo i diversi centri di costo per il raggiungimento degli scopi dell'amministrazione. Essi sono aggregati nelle funzioni-obiettivo che esprimono le missioni istituzionali di ciascuna amministrazione interessata. In base alla definizione dei servizi finali e strumentali evidenziati nelle rilevazioni analitiche elementari, il Ministro competente individua gli indicatori idonei a consentire la valutazione di efficienza, di efficacia e di economicità del risultato della gestione…”

A parte . la scarsa chiarezza del dettato, ne risulta nel complesso una difficile nozione di come procedere alla rilevazione e alla valutazione dei costi, che può derivare appunto da una persistente assenza di riferimento agli obiettivi e ai programmi da cui i costi derivano. Né è sufficiente rinviare ai Secin la patata che bolle “Nelle amministrazioni pubbliche il servizio di controllo interno è l'organismo di riferimento per le rilevazioni e le analisi dei costi e dei risultati della gestione.” (art.12, punto 3).

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5. Il Decreto legislativo. N.286 del 1999 E’ solo con il 1999 che arriva il Decreto legislativo (n.286) di

applicazione di quell’art. 11 (che abbiamo già visto e commentato) della Legge n.59 che mirava a “riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti, e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche”.

Mi sembra che questo possa essere considerato come l’atto legislativo più avanzato verso la architettura di un sistema di programmazione strategica, ma ancora fortemente confuso e insufficiente.

Si chiede alle amministrazioni di dotarsi di strumenti adeguati a: • garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione

amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile); • verificare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione

amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati (controllo di gestione);

• valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale (valutazione della dirigenza);

• valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti (valutazione e controllo strategico). Sembra ancora di stare alla enunciazione di intenzioni non molto

differenti e non meglio precisate di quelle della legislazione precedente, e soprattutto nell’assenza di ogni riferimento ai programmi e alla programmazione (salvo che per l’ultimo punto, quello del “controllo strategico”, ma che sviluppa un concetto – come si dirà – assai limitato).

Infatti, il DL n.286 sviluppa una sorta di codificazione dei “controlli interni” che mettendo sullo stesso denominatore (del controllo) tipologie molto interdipendenti di controllo, rischia di far divergere forme di controllo che dovrebbero essere assai più integrate. Infatti nell’art. 1 questo Dl, (che dovrebbe essere applicativo dell’art. 11 della Legge n.59), si statuiscono praticamente quattro tipi di controllo interno : 1) il “controllo di regolarità amministrativa e contabile”; 2) il

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“controllo di gestione”; 3) la “valutazione della dirigenza”, 4) “la valutazione e controllo strategico”.

E sempre nell’intenzione, che direi ossessiva, di distinguere ciò che pertiene alle funzioni politiche e a quelle amministrative il Decreto distingue il controllo di regolarità amministrativa da tutti gli altri, e “fa divieto di affidare” tale controllo a strutture addette agli altri tipi di controllo; afferma come principio generale, che “l’attività di valutazione e controllo strategico supporta l’attività di programmazione strategica e di indirizzo politico-amministrativo (di cui al decreto n.29 del 1993)”…Tale attività, pertanto, “è svolta da strutture che rispondono direttamente agli organi politico-amministrativo”.

Mentre il “controllo di gestione” mirato a “ottimizzare il rapporto fra costi e risultati”, è svolto da “strutture che rispondono ai dirigenti posti al vertice dell’unità organizzativa interessata”.

Infine, il testo legislativo aggiunge, in modo evasivo, su un problema certamente di grande importanza e ben individuato, che “le funzioni di cui alle precedenti lettere sono esercitate in modo integrato”. Frase alquanto enigmatica.

Questo, comunque, è il primo testo legislativo italiano al quale si strappa la presenza del termine di “programmazione strategica” (e, secondo chi scrive, è già qualcosa!).

Ma non si considera ancora questo termine come il termine di riferimento nuovo, cui riferire e alla luce del quale riconsiderare, l’intero bagaglio di “controlli” e di “valutazioni” sostanzialmente economici e di merito di cui il bagaglio culturale e politico ha fatto negli ultimi decenni una indigestione, senza dare alcun sostanziale cambiamento nei metodi di gestione della PA.

Mi sembra che al legislatore si dovrebbe chiedere di più: piuttosto che enunciazioni di “principi e criteri direttivi”, tanto generici quanto infruttuosi, si deve far produrre al legislatore delle indicazioni operative generali e delle linee guida e di programmazione strategica che le amministrazioni (sia i Ministri e gli altri capi di amministrazioni nella loro funzione politico-amministrativa, che i dirigenti maggiormente responsabili di applicare e attuare le direttive) devono seguire per giungere a dei “prodotti” di programmazione strategica (piani e programmi, di diversa taglia e di diversa temporalità) il più possibile omogenei nel metodo e nello stile, al fine di creare un minimo comune linguaggio e visione tecnico-operativa

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delle procedure di gestione amministrativa. [Un riferimento esemplificativo generale sono le poche pagine della Legge federale americana GPRA, che è riprodotta nel Documento n.2, dell’ Appendice e che non si capisce bene quali ostacoli (di natura istituzionale o di semplice amore per la routine) si possano opporre ad una sua semplice adozione da parte del legislatore italiano. (se non quelli di voler ad ogni costo complicare le cose , che è segno spesso di incompetenza e di scarsa chiarezza di visione)].

Ritornando poi a parlare solo di valutazione e controllo strategico (e non di programmazione strategica, ciò che marca una differenza sostanziale metodologica e non solamente un scelta nominalistica) l’art. 6 del DL n.286 in esame, sancisce:

“1. L'attività di valutazione e controllo strategico mira a verificare, in funzione dell'esercizio dei poteri di indirizzo da parte dei competenti organi, l'effettiva attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed altri atti di indirizzo politico. L'attività stessa consiste nell'analisi, preventiva e successiva, della congruenza e/o degli eventuali scostamenti tra le missioni affidate dalle norme, gli obiettivi operativi prescelti, le scelte operative effettuate e le risorse umane, finanziarie e materiali assegnate, nonché nella identificazione degli eventuali fattori ostativi, delle eventuali responsabilità per la mancata o parziale attuazione, dei possibili rimedi.

“2. Gli uffici ed i soggetti preposti all'attività di valutazione e controllo strategico riferiscono in via riservata agli organi di indirizzo politico, con le relazioni di cui al comma 3, sulle risultanze delle analisi effettuate. Essi di norma supportano l'organo di indirizzo politico anche per la valutazione dei dirigenti che rispondono direttamente all'organo medesimo per il conseguimento degli obiettivi da questo assegnatigli.

3. Nelle amministrazioni dello Stato, i compiti di cui ai commi 1 e 2 sono affidati ad apposito ufficio, operante nell'ambito delle strutture di cui all'articolo 14, comma 2, del decreto n. 29, denominato Servizio di controllo interno[Secin] e dotato di adeguata autonomia operativa. La direzione dell'ufficio può essere dal Ministro affidata anche ad un organo collegiale, ferma restando la possibilità di ricorrere, anche per la direzione stessa, ad esperti estranei alla pubblica amministrazione, ai sensi del predetto articolo 14, comma 2, del decreto n. 29. I servizi di controllo interno operano in collegamento con gli uffici di statistica istituiti ai sensi del decreto

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legislativo 6 settembre 1989, n. 322. Essi redigono almeno annualmente una relazione sui risultati delle analisi effettuate, con proposte di miglioramento della funzionalità delle amministrazioni. Possono svolgere, anche su richiesta del Ministro, analisi su politiche e programmi specifici dell'amministrazione di appartenenza e fornire indicazioni e proposte sulla sistematica generale dei controlli interni nell'amministrazione

Ben venga questa distribuzione di compiti e di competenze fra i

diversi soggetti, ma penso che se non si precisano nello stesso tempo, i contenuti sostantivi delle analisi, valutazioni, controlli, etc, indicati, le attività delle “strutture” cui si confida di operare, restano ferme, perché tali strutture non sanno da che parte cominciare per assolvere i loro compiti, così bene ripartiti.

Ogni Ministro, ogni responsabile di Centro di responsabilità e, in particolare, ogni Secin o equivalente struttura creata per il controllo, non partono perché non è stato detto loro i passi operativi tecnici da seguire.

E se partono, ognuno parte con metodi arrangiati, personalizzati, uno diverso dall’altro, dipendenti dal tipo di competenza tecnica che sono riusciti a raccattare all’interno della loro struttura o con la collaborazione di consulenti esterni raccogliticci. Alle strutture dovrebbero arrivare delle indicazioni tecniche di come operare, degli schemi di azioni da mettere in campo, onde facilitare l’acquisizione dei metodi che non possono non avere anche una rilevanza politica, perché rivelano la fattibilità operativa degli obiettivi espressi in termini di enunciazioni o desiderata generali e non suffragati da una loro “ingegnerizzazione”.5

5 Negli Usa, il GAO dopo il varo della legge GPRA (1993) si è trasformato – per conto del Congresso e per la attuazione della stessa -in un organismo di controllo dell’esecuzione dei piani strategici e di performance, ma prima di tutto in un organismo di assistenza tecnica per le diverse aAgenzie e Dipartimento su come elaborare tali piani, fornendo manuali, esperti, scambi di informazionei e quant’altro per aiutare le amministrazioni singole ad uscire dall’incompetenza in cui le aveva sommerse la nuva Legge. Da chi sono stati aiutati i Secin in Italia ad assolvere i compiti che assegnavano loro la leggi? (Ho predisposto in appendice al mio libro Introduzione alla pianificazione strategica in ambito pubblico una “Guida alla letteratura ufficiale , soprattutto federale, in materi di assistenza alla attuazione della legge, che è immensa. Ci basterebbe un attrezzato servizio di traduzione di una selezione di questa letteratura, per sopperire alle profonde

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Quindi solo da un ben definito sistema di programmazione, scaturisce la correttezza e fattibilità di alcune scelte politiche, che altrimenti rimarrebbero – come in effetti rimangono nella generalità dei casi – non attuate.

E rispetto al complesso di azioni da introdurre per realizzare il controllo strategico, espresso in modi così generici e superficiali, anche l’attribuzione dei compiti ai differenti soggetti evocati dal DL n.286 tende a rimanere alquanto astratto.

Per es. l’art 7 introduce i compiti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, identificandoli in: • una Banca dati costituita presso di essa, “accessibile in via

telematica e pienamente integrata nella rete unitaria della pubblica amministrazione, alimentata dalle amministrazioni dello Stato, alla quale affluiscono, in ogni caso, le direttive annuali dei Ministri e gli indicatori di efficacia, efficienza, economicità relativi ai centri di responsabilità e alle funzioni obiettivo del bilancio dello Stato.”. [Perfetto: ma quali sono i dati da far confluire, e come rilevarli, in conformità dei programmi in essere?]

• un Comitato tecnico-scientifico, istituito presso di essa, dai compiti non sufficientemente chiari. Potrebbe essere questo Comitato la fonte più efficace per elaborare i metodi e le linee guida della programmazione strategica, da suggerire al Parlamento per render più incisivi eventuali atti legislativi, o direttamente alle amministrazioni, per ottenere quegli avanzamenti metodologici che abbiamo ritenuto necessari. Ma ciò non è detto nel DL in esame.6

esigenze di informazione, formazione e guida tecnica alla vera introduzione della programmazione strategica in tutte le amministrazioni! Al posto degli sgangherati e approssimativi corsi di formazione, per i quali non disponiamo neppure di adeguati docenti, dove l’apprendimento, come risultato, è lontano dall’essere assicurato, e si sprecano alla grande tempo, energie, e soldi per risultati insignificanti!. 6 L’ambizione del DL circa l’attività di tale Comitato è elevata, se nel definire la composizione di esso, è detto che dovrà essere “composto da non più di sei membri, scelti tra esperti di chiara fama, anche stranieri (!), uno in materia di metodologia della ricerca valutativa, gli altri nelle discipline economiche, giuridiche, politologiche, sociologiche e statistiche”. Tuttavia nell’indicare a quale disciplina dovrebbero appartenere tali esperti si menzionano solo delle discipline “tradizionali”, ciò che ha in partenza compromesso l’ambizione manifestata. Al punto che da tale Comitato tecnico-scientifico non è uscito ormai da parecchi anni neppure un solo documento di elaborazione e metodo della programmazione strategica, che pure era il compito principale dello stesso

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• un “Osservatorio” , destinato a fornire “indicazioni e suggerimenti per l'aggiornamento e la standardizzazione dei sistemi di controllo interno, con riferimento anche, ove da queste richiesto, alle amministrazioni pubbliche non statali”…. “tenuto anche conto delle esperienze in materia maturate presso Stati esteri e presso organi costituzionali, ivi compreso il CNEL. [Qui non si capisce bene la differenza di ruoli fra il Comitato tecnico-scientifico (di cui al punto b) e questo Osservatorio]. Cosi pure l’art. 8, precisa la natura e i compiti della “Direttiva

annuale del Ministro”: 1. “La direttiva annuale del Ministro di cui all'articolo 14, del

decreto n. 29, costituisce il documento base per la programmazione e la definizione degli obiettivi delle unità dirigenziali di primo livello. In coerenza ad eventuali indirizzi del Presidente del Consiglio dei Ministri, e nel quadro degli obiettivi generali di parità e pari opportunità previsti dalla legge, la direttiva identifica i principali risultati da realizzare, in relazione anche agli indicatori stabiliti dalla documentazione di bilancio per centri di responsabilità e per funzioni-obiettivo, e determina, in relazione alle risorse assegnate, gli obiettivi di miglioramento, eventualmente indicando progetti speciali e scadenze intermedie. La direttiva, avvalendosi del supporto dei servizi di controllo interno di cui all'articolo 6, definisce altresì i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e valutazione dell'attuazione.

2. Il personale che svolge incarichi dirigenziali ai sensi dell'articolo 19, commi 3 e 4, del decreto n. 29, eventualmente costituito in conferenza permanente, fornisce elementi per l'elaborazione della direttiva annuale.

Questa sembra essere una delle statuizione del decreto in esame fra le più utili. Questa statuizione fa della direttiva annuale del Ministro, il documento programmatico fondamentale sul quale articolare buona parte delle iniziative di valutazione e controllo sostantivo della nuova Comitato secondo la legge. (Se si fa eccezione della direttiva di cui parleremo con lode nel capitolo 4, di paternità ignota, e che stata rapidamente dimenticata da tutti, compresi i membri del Comitato; quella direttiva, e di cui non v’è traccia nei numerosi incontro con i Secin, avviliti in un cicaleggio di discorsi “di famiglia” concentrati sulle “competenze”: competenze del Ministro verso di Direttori generali, dei Direttori generali verso i Secin, dei Secin verso il Ministro, e via discorrendo, senza alcun decollo di veri piani strategici nelle amministrazioni, neppure come esercizi di apprendimento).

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gestione della PA. E’ troppo importante che venga evocato un strumento di fondo per attivare il processo di programmazione strategica e a cui riferire tutte le indagini sugli indicatori di programma o di prestazione, e tutte le analisi (e rilevazioni) sui costi e benefici, per diminuire il valore dell’esistenza di un simile documento, e per dare senso a tutte le procedure del Piano.

Tuttavia è impossibile non riconoscere che per quanto indispensabile, tale documento ministeriale ha il limite di avere un orizzonte temporale solo annuale. Buona parte dei programmi pubblici hanno un orizzonte pluriennale; spesso di imperfetta scansione, ma sicuramente pluriennale. L’ottica annuale, sia nella programmazione pubblica che nella funzionalità dei parametri e dei risultati è sicuramente limitativa; rende monca e di debole significato la scansione stessa annuale, e le sue determinazioni. Infatti presuppone a monte dei programmi e piani pluriennali (inesistenti allo stato esplicito), che non vengono valutati, quando se ne valuta la porzione annuale.

Il Piano “annuale” (giacché a ciò si riduce ad essere, e giustamente, la direttiva del Ministro) potrebbe mantenere tutta la sua importanza e significato, se inquadrato coerentemente in un Piano (o direttiva) pluriennale per ogni Ministero, il che non esclude ogni tipo di flessibilità nel passare dall’esame pluriennale a quello annuale. Così avviene nel governo federale americano – in base alla GPRA – che ha prescritto a ciascun Dipartimento o Agenzia federale sia un Piano pluriennale (“non inferiore ai 5 anni”) sia un Piano annuale di prestazioni, in linea con gli obiettivi del Piano quinquennale.

Quali difficoltà ad applicare questa visione del medio periodo anche in Italia ?

L’art. 9 ugualmente precisa come il sistema di controllo di gestione e il sistema di valutazione e controllo strategico delle amministrazioni statali si devono avvalere di un “sistema informativo-statistico unitario, idoneo alla rilevazione di grandezze quantitative a carattere economico-finanziario”.

Ma in questo caso il Decreto non si ferma alla enunciazione generica , come è avvenuto nel caso delle altre definizione del “controllo di gestione” o del “controllo e valutazione strategica”. Questa volta il documento legislativo si avventura in un elenco dei diversi contenuti e dati che dovrebbero comporre tale “sistema informativo-statistico”, ai fini del sistema di controllo.Tali contenuti e

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dati vengono presentati come dei sotto-sistemi, diciamo “sostantivi”, che suonano così: • “sistemi e procedure relativi alla rendicontazione contabile della

singola amministrazione; • sistemi e procedure relativi alla gestione del personale (di tipo

economico, finanziario e di attività - presenze, assenze, attribuzione a centro di disponibilità);

• sistemi e procedure relativi al fabbisogno ed al dimensionamento del personale;

• sistemi e procedure relativi alla rilevazione delle attività svolte per la realizzazione degli scopi istituzionali (erogazione prodotti/servizi, sviluppo procedure amministrative) e dei relativi effetti;

• sistemi e procedure relativi alla analisi delle spese di funzionamento (personale, beni e servizi) dell'amministrazione

• sistemi e procedure di contabilità analitica.” A questo punto si rafforzano le perplessità sui rischi della

impostazione corrente, risultante dal DL 286 (degno erede della legislazione precedente, che abbiamo fatto oggetto di analisi). E’ mia opinione infatti che se si difetta (da un lato) sulle procedure sostantive della programmazione, e se si abbonda (d’altro lato) in dettagli sulla natura e la qualità dei dati da inserire in un sistema informativo statistico, significa che ancora non si è capito che: • la raccolta dei dati non può e non deve avere vita autonoma, o vita

propria, ma deve essere subordinata agli (e deve essere costruita in funzione degli) obiettivi sostantivi dei programmi intrapresi, e della strutturazione ed ingegnerizzazione, di quei programmi;

• quindi, che questi suddetti sistemi di dati non possono e non devono essere elaborati prima della strutturazione di ciascun programma (che è il primo passo della introduzione alla programmazione strategica intesa correttamente) come supporto conoscitivo della elaborazione dei programmi; ma al contrario essi devono essere definiti ed elaborati dopo che si siano strutturati ed ingegnerizzati i programmi e i loro obiettivi, e si siano chiariti i tipi di dati necessari per il monitoraggio dei programmi; e che:

• analogamente, gli indicatori o misuratori di programma, non possono e non devono essere elaborati prima della struttura di

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programma di cui essi debbono aiutare a misurare l’attuazione e l’efficacia. C’è, in tutto questo, un gran “mettere le carrozze davanti ai cavalli”,

quasi che la programmazione strategica con i suoi programmi, con le sue strutturazioni, possa emergere dall’analisi dei dati, mentre è solo dopo che essa è stata impostata si potrà sapere quali sono i dati utili o necessari da tenere sotto controllo ai fini della sua “attuazione”.

Quindi l’imperativo prioritario per la legislazione sarebbe dare istruzione su come “elaborare i programmi”, come dovrebbero essere articolati, e essere presentati per essere plausibili ed operativi, per includere la possibilità di valutarne la fattibilità. E all’interno dei programmi si dovrebbe richiedere che siano indicati i modi per misurare la loro esecuzione con i traguardi temporalizzati da raggiungere.

Discettare sui “sistemi di dati” da costruire senza riferimento ai programmi d cui tali dati dovrebbero consentire la lettura e le decisioni, significa fuorviare sia il concetto che la pratica della pianificazione. Significa spingere verso la creazione di “sistemi di dati” che possono rivelarsi inutili e poco significativi, e spesso ingombranti, e ancora più spesso inducenti a stabilire correlazioni “spurie” fra i fenomeni.

6. Sguardo conclusivo sull’insieme della legislazione italiana sulla materia Dall’insieme dell’ esame condotto, mi sembra che si sia obbligati a

concludere che la legislazione italiana, anche quella più “riformistica” rispetto all’ordinamento funzionale della PA, è ancora del tutto insufficiente rispetto ad un netto cambiamento di rotta nella direzione di una “gestione finalizzata al risultato” (result-based management) , che è ormai lo scopo dominante di riforma della PA in tutto il mondo avanzato.

La legislazione italiana, malgrado la sua farraginosità, i suoi concetti ridondanti, i suoi capziosi riferimenti ad un preteso tecnicismo giuridico, inutile e defatigante, le sue “innovazioni” che si consumano solo con l’impiego di parole prese a prestito dall’inglese, ma non sostanziate di concetti e di pratiche, non fa che ripetere in tutto il suo succedersi (dal decreto n.29/1993, all’ultimo decreto n.286 del

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1999), sempre le stesse poche cose, chiamate “principi e criteri direttivi”; che sono ormai così noti e arcinoti, da dare, se ripetuti stancamente, senza progressi ed effetti operativi ulteriori, un inevitabile sentore di “aria fritta”.7

7 Invano un pugno di esperti presso la Scuola Superiore della Pubblica Ammnistrazione, alla fine degli anni 90, hanno tentato di introdurre un insegnamento di programmazione strategica, approfittando di un corso-concorso per dirigenti dei gradi più elevati, nel quale si cercò di popolarizzare delle linee di guida più precise capaci di stimolare le esperienze più approfondite e innovative della materia. Dopo un brillante esordio, il corso-concorso venne abolito per ragioni ignote ed incomprensibili (si dice per il conservatorismo degli alti gradi della amministrazione e l’opportunismo dei politici del momento.), e con esso furono aboliti i primi ed isolati tentativi di introdurre – per via didattica – la programmazione strategica nell’amministrazione italiana.

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Capitolo terzo La ristrutturazione del bilancio: luci e ombre

della esperienza italiana 1. La ristrutturazione del bilancio dello Stato in alcune leggi

recenti italiane e le sue insufficienze

Dal 1997 si è cercato in Italia1 di venire incontro alle esigenze cui si è accennato nei precedenti paragrafi mediante una importante ristrutturazione del bilancio.

Si è cercato di costruire il bilancio (previsionale) – come già visto nel capitolo secondo - attraverso la istituzione di “Unità previsionali di base”(UPB) , “stabilite in modo che a ciascuna UPB corrisponda un unico ‘centro di responsabilità amministrativa, cui è affidata la relativa gestione”(Legge 94)

Questa disposizione sembra quanto mai opportuna, perché sembra alludere al fatto che nella formazione del bilancio previsionale tradizionale, i Capitoli di spesa non fossero sicuramente gestiti da una esplicita responsabilità amministrativa e gestionale.

Lo stesso articolo 1 dispone inoltre, - dopo molte ulteriori definizioni sul carattere e le modalità della formazione del bilancio previsionale – che “in apposito allegato, le UPB sono ripartite in capitoli, ai fini della gestione e della rendicontazione”. Pertanto l’aggregazione in UPB che sembra preludere ad una migliore valutazione delle performance, si ritorna poi sempre ai capitoli, “ per la gestione e la rendicontazione”. Capitoli che – viene aggiunto in modo non del tutto chiaro dalla legge - “sono determinati in relazione al rispettivo oggetto per l’entrata e secondo il contenuto economico e funzionale per la spesa”. Lasciando da parte l’ “oggetto” dell’entrata 1 Sopratutto attraverso la Legge 3-4-1997 n.94 e il decreto legislativo che la attua.

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(forse si poteva essere più espliciti per i normali lettori), non è ben chiaro neppure che cosa si intenda per “contenuto economico e funzionale per la spesa”. La legge sembra disinteressarsi di precisare quale è questo “contenuto”, e chi lo definisce.

Più in là – art.4 – la legge in questione dispone che le spese dello Stato (per il momento tralasciamo le entrate) verranno ripartite in: 1. “Funzioni-obiettivo”, individuate con riguardo all’esigenza di

definire le politiche pubbliche di settore e di misurare il prodotto delle attività amministrative , ove possibile anche in termini di servizi finali resi ai cittadini;

2. UPB, “ai fini dell’approvazione parlamentare” [la ripartizione per funzioni-obiettivo non può riguardare il Parlamento?]

3. capitoli, secondo l’oggetto, il contenuto economico e funzionale, nonché secondo il carattere “giuridicamente obbligatorio o discrezionale” della spesa medesima.;

Questo quanto al Piano dei conti rinnovato. Il successivo art.5 che delega al Governo il compito di emanare con

un decreto legislativo i modi di attuazione degli indirizzi della legge, elenca tra i “principi e criteri” della ristrutturazione un punto che sembra alludere ad “obiettivi programmatici”: “il criterio #g è quello di “disciplinare la procedura di formazione del bilancio sulla base di un esame delle esigenze funzionali e degli obiettivi concretamente perseguibili nel periodo cui si riferisce il bilancio…”

Successivamente, (art.5 comma 2) si chiarisce anche che i criteri se applicati dovrebbero “consentire la valutazione economica e finanziaria delle risultanze, di entrata e di spesa, evidenziando le entrate realizzate e i risultati conseguiti in relazione agli obiettivi stabiliti negli strumenti di programmazione economica-finanziaria e di bilancio”, agli indicatori di efficacia e di efficienza ed agli obiettivi delle principali leggi di spesa.”

Ma tutti gli altri principi e criteri di ristrutturazione indicati seguono altri criteri, senza mai far riferimento agli obiettivi programmatici. Per es.: il criterio #b di “razionalizzare la gestione finanziaria e l’azione amministrativa, collegando la ripartizione delle risorse per funzioni alla identificazione dei centri di responsabilità amministrativa e alla disciplina del procedimento…”; oppure il criterio #c di “individuare in certo modo il responsabile dell’UPB e dei relativi procedimenti”;

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oppure il criterio #d di “ introdurre ai fini della gestione e della rendicontazione, una contabilità analitica per “centro di costo”.

Insomma le operazioni avviate con questa legge sono tutte ottime operazioni per riordinare la lettura del bilancio in modo da rendere chiare le connessioni tra spese e responsabilità di spesa, tra spesa e gestione, tra spesa e funzioni. Ma la costruzione stessa del bilancio (previsionale ovviamente) è fatta sulla base …del bilancio stesso cosi come funzionalmente ridefinito. 2. Quale genere di “obiettivi”?

E’ vero, è detto che l’intenzione è di “evidenziare” (e non “valutare” perché la valutazione implicherebbe ben altro impegno) i risultati in relazione:

a) agli obiettivi stabiliti negli “strumenti” della programmazione economico-finanziaria e di bilancio,

b) agli indicatori di efficacia e di efficienza, c) alle principali leggi di spesa

Ma di quali strumenti di programmazione economico-finanziaria si

parla? Vi è solo il documento annuale che passa sotto il nome di DPEF, il quale – a ben vedere, è, da sempre, tutt’altro che un documento programmatico. Infatti esso consiste da un lato di generiche dichiarazioni di intenzioni, valevoli per quanto riguarda l’anno in corso, con qualche riferimento alle intenzioni ancora più generiche per gli anni a venire; e dall’altro consiste in una distribuzione di miliardi (compatibili nel loro insieme con alcuni vincoli macroeconomici e macrofinanziari, sui quali per il momento non voglio dire niente, e che hanno però attirato finora tutta l’attenzione) senza né dire né sapere (sarebbe la condizione minima per definirlo un documento di programma o di piano) quali risultati (dati i mezzi concessi) da attendersi dal loro impiego.

Per sapere questi risultati, si sarebbe dovuto fare (da anni) la strada inversa: partire dagli obiettivi, passare alle azioni necessarie per conseguirli, ai costi necessari per ottenerli, alle misure con le quali misurarli, e infine ad attribuirgli (DPEF annuale) coscientemente, cioè con presumibile valutazione dei risultati da attendersi, ma anche della

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scarsità dei mezzi disponibili, i mezzi finanziari per ottenerli. Questo processo è l’unico che meriterebbe il nome di “piano” o di “programma complessivo di azioni”.

Ammetto che il processo di programmazione che abbiamo sommariamente descritto è un ciclo; e come tale potrebbe in linea di principio essere “approcciato” da ogni punto, ed essere poi percorso in tutte le sue fasi. Ma se questo è vero, la condizione è che in ogni punto lo si voglia attaccare, sia chiara la consapevolezza dell’intero ciclo e di tutte le sue essenziali fasi: consapevolezza che si stenta a riconoscere nei documenti ufficiali e nelle leggi esecutive italiane che si sono occupati di controllo di gestione, da molti anni.

Sono molti anni infatti che in Italia si adotta lo stesso giro, ma di una vera programmazione strategica non se ne vede neppure l’ombra. Il DPEF è sempre lo stesso: da un lato parole, dall’altro spesa non meglio qualificata da risultati, sempre a causa del fatto che non si sono realizzati, nell’esperienza “ciclica”, i risultati del momento della “reingegnerizzaione” dei programmi in funzione degli obiettivi, il momento della misurazione –attraverso appropriati indicatori e misuratori, delle performances o prestazioni pertinenti quei programmi, tutte premesse pregiudiziali per poter poi stabilire un nesso, una relazione tra l’ammontare della spesa da iscrivere o proporre in bilancio e il risultato concreto ottenuto.

3. Che tipo di indicatori? E poi ancora: di quali “indicatori di efficacia e di efficienza” si

parla? Non esiste possibilità di misurare l’”efficacia” se non in relazione

all’obiettivo che si persegue. Se manca l’obiettivo, o se non è espresso con precisione, e se non viene esplicitato con quale misuratore si vuole misurarne il conseguimento, non viene forse meno anche la base stessa per misurare l’efficacia?

L’efficacia è sempre rispetto a qualcosa, il qualcosa che si vuole ottenere.

E perfino per misurare l’ “efficienza” è saggio trovarne la misurazione su attività che siano prima riconosciute come obiettivo esplicito di programmazione. Non credo sia importante realizzare successi notevoli di efficienza, di economicità, di produttività, in

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attività che non sono di interesse primario per il potere pubblico che spende; in attività che non riscuotono molto l’interesse né da parte dei beneficiari, né da parte dei programmatori politici.

Partire dagli obiettivi di programma costituisce dunque sempre partire con il piede giusto per rendere efficace ogni tipo di misurazione delle prestazioni pubbliche, che è una esigenza ormai universalmente sentita. 4. Un bilancio scarsamente significativo degli obiettivi di

prestazione Rimane dunque nella attuale pratica italiana come base di

programmazione la terza delle fonti da “evidenziare” (secondo la legge in esame): “le principali leggi di spesa”.

Ciascuna di tali leggi, infatti, non può non avere un sistema di “obiettivi” cui attendere e per il perseguimento dei quali si eroga un certo ammontare di mezzi finanziari. Sta nella stessa logica di ogni singola legge di spesa definire quali sono gli obiettivi della sua stessa proposta di legge. Così ciascuna legge di spesa diventa praticamente la sola fonte dalla quale partire per un esame degli “obiettivi di spesa” di Governo.

Ma cosi facendo ci si ritrova “da capo a dodici”. In che cosa consiste tanta sbandierata novità? Abbiamo delle amministrazioni e enti dello stato, ognuno dei quali vive in funzione di cose da fare che gli derivano da antichissime funzioni e da qualche nuova funzione affidatagli cammin facendo dalle diverse “leggi di spesa”. La spesa è quella che è, si tratta solo di articolarla più razionalmente secondo delle funzioni astratte, la cui qualità e natura viene valutata, scelta e proposta in se stessa, sulla base del coacervo di spese che provengono dai bilanci passati e non come conseguenza di una analisi nuova del costo dei risultati attesi. E si tratta di introdurre una analisi delle voci di spesa per conoscere meglio i costi: scorporandoli e riaccorpandoli per conoscere meglio tale spesa e metterla in relazione con le “risultanze” a posteriori di essa.

Ma questa non è ancora una vera analisi di programma, perché non parte da obiettivi ristrutturati, rivalutati e “reingegnerizzati” da un nuovo processo di programmazione strategica.

Così come posto dalla “legge n.94/1997”, tutto il problema del bilancio sembra diventare un problema di “presentazione” del bilancio

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non secondo obiettivi programmatici, ma secondo funzioni generiche, il più possibile disaggregate (in Italia sono state chiamate “funzioni-obiettivo”). Tutto il problema sembra ridursi al vecchissimo problema di migliorare e introdurre una più analitica “classificazione funzionale” delle spese e delle entrate, e non quello di giungere ad una definizione delle spese necessarie – dopo un ripensamento su ciascuna di esse – per conseguire dei risultati e quali.

Tutto il problema sembra ridursi ad una specie di maquillage che si fa alle spese correnti per dare l’illusione che ci sia la possibilità di riferirle a degli obiettivi programmatici, mentre si tratta solo di una classificazione funzionale di ciò che avviene già, di ciò che si spende già. Il bilancio detto “previsionale” in questo modo ha ben poco di previsionale e programmatico: è un bilancio consuntivo con qualche ritocco in più o in meno su alcune voci.

Tutto si riduce ad essere un problema non di scelta politica del Governo e del Parlamento, come si dice, e si vorrebbe, ma solo un problema statistico. Un problema di coerenza statistica tra “voci di spesa” e “funzioni-obiettivo”, definite in modo esogeno al programma di governo.

Ma così non si risolve il problema di una coerenza contabile fra le scelte politiche (che ogni governo deve saper fare) e il vero “costo di opportunità”di tali scelte, che può venire da un nuovo, ricalcolato costo delle vere azioni che discendono dal processo di programmazione strategica attuato all’interno delle Upb (o “centri di spesa” o “centri di responsabilità amministrativa ”, come si voglia) che si sono costituiti.2 Insomma così si sceglie su cifre sbagliate, su cifre non veritiere dei veri costi. 2 Qui ovviamente non si fa menzione delle buone intenzioni da cui è stata ispirata la “legge n.94” (e successivi decreti attuativi) e che essa ha anche positivamente attuato, come per esempio la unificazione sotto un unico “centro istituzionale e operativo”di voci di bilancio prima articolate in modo non connesso ad una unica responsabilità. Questa mini-riforma è di grande importanza. Essa è ispirata dalla logica necessità di individuare le unità di programmazione, di responsabilizzazione, e quindi di spesa, in maniera chiara e integrata. Ciò è nella linea giusta della programmazione strategica e della sua applicazione, che da tempo si è sempre riferita per articolare il suo processo al concetto astratto e unitario di “Unità di pianificazione”. Ma appunto il non essere arrivati a formulare una chiara definizione dell’Unità di pianificazione, ma averla chiamata unità (o centro”) di “bilancio” o di “spesa” o di “responsabilità” denota di aver visto le cose solo da un punto di vista, quello del bilancio, che nel ciclo di processo della pianificazione strategica è un punto importantissimo ma che, per svolgere il suo

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Pertanto, così facendo, non si mette in grado il Governo e il Parlamento di sapere quanto costa in termini di risorse impiegate ed eventualmente in moneta complessiva, l’ottenimento di certi risultati, ma quanto è costato, nel passato (e per di più e solo in moneta complessiva), una certa spesa classificata per una certa funzione, che solo in uno sforzo di astrazione può essere il proxy di un obiettivo. E’ sulla base di questa “falsa apparenza” statistica, che si va a decidere su quanto aumentare, quanto lasciar fermo e quanto tagliare (in moneta complessiva) di questa o quella voce del bilancio (detto previsionale) per l’esercizio successivo. Ma queste decisioni non hanno necessariamente un impatto su quelle azioni, su quelle risorse, su quelle attività e il loro svolgimento, su cui le decisioni sono portate a decidere.

A questo si riduce l’arrogante3 “Documento di programmazione”(DPEF) che da tempo, ogni anno, decide in Italia come dovranno spendersi i soldi della collettività nell’esercizio successivo!

5. Le analisi pregiudiziali di un “bilancio di programma” (performance budgeting).

Ho detto falsa apparenza statistica perché non è detto che

l’ammontare complessivo in moneta corrisponda ad un andamento reale della spesa.

Infatti, si potrebbero avere dei risparmi in moneta senza e forse nessuna diminuzione del livello reale dei servizi. Si potrebbe avere una espansione della spesa in moneta, senza alcun effetto sui risultati attesi. Nessuno lo sa, nessuno lo può sapere, se prima non si mette il naso dentro il rapporto tra l’obiettivo e il sistema di prestazioni (reali) che servono ad ottenerlo (Gli esperti di pianificazione ormai chiamano questo processo: “ingegnerizzazione” o “reingegnerizzazione” dell’obiettivo). Senza passare attraverso questo processo analitico tra obiettivi e catena di prestazioni, la spesa in

ruolo efficacemente, viene dopo e non prima le fasi proprie della pianificazione. (Si veda in proposito il citato Compendio di programmazione strategica per le pubbliche amministrazioni (Archibugi, 2005). 3 Lo definisco “arrogante perché pretende di essere programmatico, quando di veramente programmatico non ha niente!

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moneta, per quanto “ristrutturata” in un nuovo sistema di contabilità, non ci dice nulla.

Potrebbe esserci l’illusione che studiando e proponendo un appropriato indicatore di risultato a livello di ciascuna spesa, potremmo avere una idea del rendimento di quella spesa. Questo tipo di indicatore “indiretto” potrebbe funzionare molto in generale, e solo per quelle tipologie di spesa alquanto semplici, che permettono un semplice passaggio tra obiettivo e prestazioni.

Ma nella stragrande quantità dei casi di spesa pubblica, il suddetto passaggio dall’ obiettivo al risultato non è diretto: vi è un rapporto concatenato tra obiettivo e strumento che produce più di un livello di azione. Uno strumento per raggiungere un obiettivo, può diventare esso stesso un obiettivo per un strumento di livello inferiore, e questo a sua volta un obiettivo per uno strumento di livello ancora più inferiore, e così via.

Nella rappresentazione generale delle strutture di programma si parla comunemente di “finalità” per il primo livello, di “obiettivi strategici” per il secondo livello, di “obiettivi operativi” per il terzo livello, di singole azioni per il quarto, e via discorrendo. Ma si tratta sempre di una rapporto obiettivo/strumento, e le denominazioni dipendono dal tipo e dal livello di programma (e di spesa conseguente) che si rappresenta.

Ora, per ciascuno di questi rapporti, e livelli, c’è da misurare il conseguimento, il risultato (l’outcome). E questo si può fare elaborando e introducendo, caso per caso, degli appropriati indicatori. L’attenzione massima va posta sulla parola “appropriati”. Perché in questi casi è facile inventare indicatori fantasiosi, direi fasulli, che non rispettano un rapporto vero di causa-effetto fra le operazioni che vorrebbero rappresentare.

Tentare di saltare questa concatenazione, e stabilire un indicatore complessivo per una voce di spesa che racchiude tanti fattori in se stesso non analizzati, significa inventare (e, non sia mai!, usare) indicatori fasulli.

Questo è fatto, talora, da molti che giocano con i numeri e producono, senza avvedersi, degli indicatori che gli statistici seri chiamano “spuri”.

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6. Il rischio di un rapporto indiretto fra indicatore endogeno di

input e un indicatore esogeno di output Questo è quello che può succedere quando si cercano rapporti tra

spesa/bilancio e spesa/performance con indicatori di prestazione generale tratti da statistiche generali, e non da una vera sequenza di programmazione strategica. In quest’ultima infatti gli indicatori esistenti o no (in questi ultimi casi richiesti o escogitati per proxy) provengono direttamente dalla sequenza stessa, e dalla concatenazione della struttura di programma delle varie “unità di pianificazione” in questione.

In questo ultimo caso, che è il caso corretto di procedere, la individuazione degli indicatori nasce direttamente dall’analisi stessa di programma: missione→ strutturazione di programma → scelta di appropriati indicatori (appunto) → reingegnerizzazione del programma e, infine,→ determinazione dei risultati e dei costi4. E’ solo in base all’intera sequenza di valutazione, implicita nell’intero processo che possono emergere indicatori appropriati e non indicatori “spuri”. Essi si chiamano “indicatori di programma”.

Nell’altro modo, quello che potrebbe sembrare un modo indiretto di trovare indicatori che permettano comunque di valutare il rapporto fra mezzi (finanziari o bilancio) e risultati, si rischia molto e ci si inoltra in un sistema di valutazione irto di trabocchetti e trappole. Il problema critico si pone sotto diversi aspetti che meritano una certa analisi.

4 Al processo andrebbe aggiunta la fase del monitoraggio in itinere, molto importante, con la quale dovrebbe ricominciare il ciclo. La fase della scelta degli appropriati indicatori e quella della re-ingegnerizzazione sono per verità parallele: talora, e sotto molti punti di vista, la scelta degli indicatori andrebbe fatta dopo che con la re-ingegnerizzazione si sono definite meglio prima le politiche e le modalità atraverso cui si attueranno i complessi concatenati obiettivi della struttura di programma; talora sarebbe bene prima assegnare un indicatore e misuratore a tutti i livelli della strutturazione di programma, prima di addentrarsi nella specificazione delle azioni (re-ingegnerizzazione) da portare avanti per l’attuazione di quegli obiettivi.

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7. Gli indicatori fasulli

Prima di tutto occorre precisare che la critica fatta più sopra

all’approccio detto “indiretto” (così detto per intenderci) , non significa che una certa rilevazione ex post fatta su degli ammontari di spesa di bilancio registrati (come spesa o costi in input) per confrontarli con delle statistiche di servizi resi in output (“indicatori sociali”), non possa essere un elemento di valutazione (molto “alla larga”) dell’efficienza di una amministrazione. Il rapporto fra input e output che ne nasce, che sarebbe un indicatore di efficienza, potrebbe servire sempre all’ingrosso a possibili confronti internazionali, e a discussioni quasi accademiche. Insomma, costituisce sempre un dato conoscitivo che potrebbe anche essere interessante.

Ma bisogna stare solo molto attenti a non dargli significati diversi da quelli che ha. Oppure bisogna stare attenti a non utilizzarlo per valutazioni e per decisioni che hanno bisogno di ben altro approccio conoscitivo.

Il rapporto suddetto è solo un rapporto ex post fra un ammontare di azioni passate di una amministrazione, di cui non si conosce niente quanto a concrete modalità di effettuazione (ingegnerizzazione), ma di cui si conosce solo il costo complessivo in moneta, e il risultato conosciuto tramite una statistica esistente (o da costruire) che rappresenta appunto un indicatore che può essere considerato un buon proxy del risultato atteso (un buon indicatore di risultato).

Il dato del costo complessivo dell’operazione magari proviene da una forma di ristrutturazione delle voci di bilancio (di spesa) con dei risultati attesi; si tratta del passaggio dalla struttura di bilancio tradizionale ad una struttura di bilancio che ha meglio riaccorpato le voci di costo (mediante appunto aggregazioni, disaggregazioni e consolidamenti), in modo che esse siano meglio confrontabili con dei “risultati”, (necessari per confrontarli in modo accettabile con i costi, confronto che ci dà appunto l’efficienza, o, più propriamente, un indicatore di efficienza).

In altri termini occorre esaminare con cura fino a qual punto si possano utilizzare delle connessioni fra gli “indicatori di programma” e degli eventuali “indicatori sociali” nati per significare lo stato del benessere in diversi campi e sotto diversi punti di vista confrontabili. Questo esame accurato deve essere svolto mediante studi ad hoc,

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capaci di accertare le relazioni fra “indicatori di programma” e “indicatori sociali” (nell’accezione qui sopra usata). Fino a che tale conformità, tale congruenza, fra indicatori di programma e indicatori sociali non è accertata, in che modo potrebbero gli indicatori sociali esprimere i risultati dei programmi? 8. La vera fonte degli indicatori di risultato sono solo i piani

strategici delle amministrazioni Infatti tali risultati come li concepiamo? Rispetto a che cosa sono

“risultati”? Da dove li ricaviamo, non come numeri, ma come voci significative di riferimento? Quale è la loro fonte?

Certamente non possiamo andare a prenderli dalle statistiche più o meno esistenti, più o meno da domandare agli enti di raccolta dati.

I risultati, se devono essere rapportati alle decisioni, alle azioni, ai programmi, devono essere ricavati, nella loro concezione, formulazione e modo di misurazione, dalla analisi degli stessi obiettivi che hanno animato le azioni dei programmi, dagli stessi programmi di azioni di cui rappresentano l’esito, perché altrimenti è un confronto fra cose diverse, non confrontabili, distanti fra loro, e che possono nascondere fattori esogeni al rapporto costi-risultati che vogliamo approfondire, e che darebbero indicatori spuri.

D’altra parte sarebbe improbabile ottenere la facile disponibilità esterna di tutti i dati necessari a costruire indicatori di risultato per ciascuno dei programmi di azione di cui vogliamo misurare l’efficienza e l’efficacia. Anche la stessa costruzione e disponibilità dei dati deve essere generata dallo stesso processo di programmazione strategica (ove sia correttamente concepito, avviato e permanentemente reiterato nella sua ciclicità).

La disponibilità dei dati deve essere generata nel momento in cui si scelgono degli obiettivi di programma, e sulla base di questi obiettivi, si elaborano ad hoc i misuratori di conseguimento o di risultato per ciascuno di quegli obiettivi di programma.

Si tenga conto inoltre che molti degli stessi obiettivi di programma, ai livelli più operativi della strutturazione di programma, saranno

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obiettivi espressi anche in termini quantitativi; perciò già dovrebbero incorporare in se stessi l’assunzione di indicatori di risultato.5

Se si procedesse con il “piede giusto” all’introduzione del processo di programmazione strategica in tutte le singole amministrazioni, nel corso di qualche anno (secondo le diverse capacità e ritmi dell’introduzione stessa) tutti avrebbero a disposizione, per i principali programmi pubblici, a) una struttura di programma b) degli indicatori modellati su di essa e sull’ ingegnerizzazione o

reingegnerizzazione cui ha dato luogo, c) una consolidata massa di dati e di parametri di costi e di risultati su

cui si potrebbe finalmente confidare per le operazioni di valutazione.

Così prenderebbe maggiore legittimazione la costruzione di più stabili funzioni-obiettivo per l’intera contabilità di stato. Queste funzioni rappresenterebbero perciò non il prodotto aprioristico di una classificazione intellettuale, su cui ci si è messi d’accordo fra diverse istituzioni centrali per presentare i bilanci e leggerli secondo certe astratte categorie di finalità, bensì un sistema di conti che rifletterebbe effettivamente le spese in connessione ai concreti obiettivi che ogni amministrazione si è data e ha perseguito.

9. Il ruolo delle amministrazioni centrali Potrebbe venir voglia di dire che le risposte delle singole

amministrazioni e delle singole “unità di programmazione” (quindi di spesa e di responsabilizzazione”) sono così di scarsa qualità e

5 Vorrei aggiungere che se poi qualche studioso, o centro di ricerca o operatore diverso dall’operatore pubblico volessero costruirsi un facsimile di obiettivi dettagliati del programma del Governo, e/o di qualsiasi delle sue Agenzie, per procedere a delle valutazioni “per simulazione” ipotetica di eventuali risultati nell’efficienza e nell’efficacia della spesa, e utilizzarle per considerazioni politiche o operative sue proprie, potrebbe benissimo farle. Ma sarebbe da raccomandargli di tener ben presente che il suo è un esercizio molto distante da quell’analisi di programma nata direttamente dalle amministrazioni nella introduzione che facessero di un processo di programmazione strategica ufficiale. E che i risultati dell’esercizio potrebbe essere anche molto discordanti da quelli di una eventuale applicazione futura di una programmazione strategica.

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competenza presso le amministrazioni che la procedura raccomandata sarebbe impraticabile.

Ebbene questo non dovrebbe essere motivo per sostituire la carenza nelle singole amministrazioni, con assunzione centrale [si chiami essa Presidenza del Consiglio (PCM) o Ministero del Tesoro o Corte dei Conti] dell’applicazione di siffatta analisi di programma, per conto delle Amministrazioni (salvo che non ci si voglia introdurre nella effettuazione di esperienze-“pilota”). Semmai dovrebbe essere motivo per fornire chiare istruzioni (e fino adesso è stato proprio questo il punto carente delle suddette amministrazioni centrali) su come fare, su come procedere nell’introduzione di processi di programmazione strategica all’interno delle amministrazioni stesse, di fornire schemi operativi e modulari (magari anche chiari vademecum e manuali), di fare opera di assistenza tecnica, e – ciò che sarebbe il servizio più importante di tutti - di fare un’opera intensa di formazione e aggiornamento sui processi di programmazione strategica articolate − sia per i massimi dirigenti delle varie Unità di programmazione, − sia per tutto il personale che è comunque importante coinvolgere e

conquistare al nuovo metodo, − sia per la formazione specialistica di personale interno o esterno,

per essere aiutati alla gestione permanente delle linee guida dell’amministrazione centrale (PCM). E si potrebbe, negli anni successivi, apportare al sistema di

classificazione dei conti solo quelle variazioni rilevanti provenienti da significative variazioni avvenute nell’applicazione del processo di programmazione strategico all’interno delle singole amministrazioni.

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Capitolo 4: Una iniziativa ufficiale di un certo valore

Il quadro culturale e legislativo nel quale si è faticosamente inserito

il problema - universalmente sentito ed auspicato - di una “riforma” della PA, soprattutto nel senso di una riforma dei metodi di gestione basata sui risultati e sulla misurazione delle prestazioni, e l’introduzione della programmazione strategica, non è dunque fra i più confortanti. Come constatato nei capitoli secondo e terzo, le buone intenzioni non sono state suffragate né da una impostazione corretta, né da chiarezza di idee, né da adeguata informazione.

Tuttavia in questo quadro si è registrata una iniziativa ufficiale di un certo valore, questa volta in piena linea con i principi e metodi della programmazione strategica, ma alla quale non è stato dato alcun seguito ed è ricaduta nell’inerzia generalizzata. Ne parleremo in questo capitolo.

Tale iniziativa è costituita da una “Direttiva” della Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCM), (emanata in data 8 novembre 2002, una “direttiva” mirata a fornire “Indirizzi per la programmazione strategica e la predisposizione delle direttive generali dei Ministri per l’attività amministrativa e la gestione per l’anno 2003”.1

Tale direttiva, pur redatta in uno stile burocratese insopportabile, (proprio quello che era stato stigmatizzato e contestato da una precedente direttiva ugualmente encomiabile della PCM, ma che non riguardava la programmazione strategica, bensì lo “stile” in cui si dovevano redarre ….i documenti ufficiali della PA) contiene un “annesso” presentato come “Linee guida” che costituisce effettivamente una certa inversione di rotta nell’approccio all’annoso

1 Tale direttiva è qui riprodotta come Appendice 3 a questo scritto.

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problema di come introdurre nell’amministrazione italiana dei sistemi nuovi di “controllo interno”, di “controllo di gestione”, e dei sistemi di “controllo e valutazione strategici”.

Innanzitutto, per la prima volta – come già rilevato - appare finalmente l’espressione “programmazione strategica” come obiettivo dell’azione di Governo2, in qualsiasi modo e verso qualsiasi direzione diretta. In tale “direttiva” infatti è detto che, [visti una serie di atti politici e amministrativi precedenti, come nel rituale della letteratura burocratica ufficiale] e ritenuta la necessità di definire ulteriori indirizzi per armonizzare i processi di programmazione strategica nei ministeri e proseguire nell’azione intrapresa al fine di migliorare – in termini di chiarezza comunicativa – la qualità delle direttive generali dei Ministri sull’attività amministrativa e sulla gestione, con immediato riferimento a quelle che saranno emanate per l’anno 2003” viene emanata detta direttiva, avente come titolo: Indirizzi per la programmazione strategica e la predisposizione delle direttive generali dei ministri per l’attività amministrazione e la gestione per l’anno 2003.[ p. 493 corsivo mio].

Questo documento ha il pregio di chiedere a tutti i Ministri un coerente sistema di obiettivi di azione articolati funzionalmente secondo una logica operativa moderna (che è alla base da decenni, appunto della disciplina della pianificazione strategica, e che si chiama “strutturazione di programma”).

Nel documento per la prima volta si parla di introdurre nei Ministeri un “processo di programmazione strategica” come fattore di “importanza fondamentale per l’efficace organizzazione del complesso delle attività finalizzate a definire l’indirizzo politico ed attuarlo mediante concreti atti e comportamenti amministrativi”.4

2 Dopo un fugace unico cenno nel decreto 286 del 1999 (nell’art.1), cui non ha fatto seguito – come visto nel cap. 2 – nello stesso DL alcun ulteriore specificazione e chiarimento. 3 Il testo verrà citato nell’edizione pubblicata in allegato ad un documento del Comitato tecnico scientifico in materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazione dello Stato, Processi di programmazione strategica e controlli nei Ministeri: stato e prospettive, gennaio 2003. 4 Riterrei molto importante utilizzare la stessa formulazione letterale del documento in esame, giacché la semantica, in questo caso ha la sua importanza, e si vorrebbe che l’analisi non fosse dissociata da essa. Le citazioni più consistenti saranno stampate in corpo inferiore e per blocchi tipografici, e quelle inserite nel

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E afferma inoltre: “sulla scorta di una approfondita analisi delle esperienze maturate nell’ultimo biennio, successivamente all’entrata in vigore del DL 1999, n.286, appare ora opportuno definire, nelle sue diverse fasi, il momento centrale di tale processo, vale a dire il procedimento di predisposizione della direttiva annuale del ministro.”

1. Fasi e procedure della programmazione strategica La direttiva della PCM pertanto delinea quali dovrebbero essere tali

“fasi”; e ne elenca tre: 1).la formazione delle priorità politiche; 2).la proposta degli indicatori strategici; 3).il consolidamento degli obiettivi strategici.

1.1. La “formulazione delle priorità politiche”. Tale formulazione avverrebbe (da parte del Ministro) “alla luce

delle scelte operate dal Governo nel Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), nei disegni di legge finanziaria e di bilancio, nella più recente legislazione di settore ovvero altre iniziative legislative in itinere.”

E questo “primo atto di indirizzo” “costituisce “l’impulso del procedimento di predisposizione della direttiva e dovrà essere comunicato ai titolari del Centri di responsabilità amministrativa [i CRA, già da tempo istituiti con il Decreto legislativo n. 29 del 1993] entro il 31 ottobre 2002” Questa fase viene chiamata dal documento in esame “fase discendente”.

1.2. La “proposta degli obiettivi strategici”. Questa proposta avviene, da parte dei CRA, “eventualmente

costituiti in conferenza permanente come previsto dall’art. 8 comma 2 del DL 1999/286”. Si indica che essa consista in “un numero contenuto di obiettivi strategici, anche a carattere pluriennale, destinati a concretizzare le priorità politiche, indicando i conseguenti obiettivi operativi nonché i programmi di azione a questi correlati”. Nella direttiva si precisa però – e questa è un aspetto da tenere ragionamento, oltre che marcate da “virgolette”, si preferisce riportarle anche in corsivo, per marcarne la semantica originale.

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presente, per la nostra ulteriore analisi di questo documento – che “i titolari dei CRA conducono a termine questa fase formulando proposte al Ministro, previa verifica delle risorse umane, finanziarie, materiali e tecnologiche effettivamente disponibili”. Questa fase viene chiamata “fase ascendente”.

1.3. Il “definitivo ‘consolidamento’ degli obiettivi strategici”. Questa fase è quella rappresentata dall’emanazione, da parte del

Ministro, della direttiva generale sull’attività amministrativa e sulla gestione [del suo Ministero] per l’anno in corso (nel caso della direttiva in esame: il 2003). Dice in proposito la direttiva in questione: “con essa si definisce conclusivamente il quadro delle priorità politiche delineate all’inizio e le traduce in obiettivi strategici dell’azione amministrativa, articolati in obiettivi operativi e nei relativi programmi di azione, recanti l’indicazione delle risorse umane e finanziarie necessarie per la loro realizzazione”.

“Particolare attenzione” - aggiunge il testo del documento – dovrà essere posta…nella prosecuzione e nella intensificazione delle linee di azione finalizzate a realizzare le quattro politiche inter-settoriali indicate dalla direttiva (15-11-2001) per il 2002. In particolare queste quattro politiche intersettoriali riguardano: 1. la politica di semplificazione amministrativa (attraverso il ricorso

sempre più ampio all’analisi di impatto della regolazione, lo snellimento delle strutture organizzative, etc.);

2. la digitalizzazione delle amministrazioni; 3. il contenimento e la razionalizzazione della spesa (attraverso l’e-

procurement, nuove tecnologie per la razionalizzazione dei processi produttivi,l’implementazione delle analisi dei costi demandate agli uffici di controllo della gestione, il potenziamento dei sistemi informativi…per un rigoroso monitoraggio della gestione finanziaria);

4. la qualità dei servizi ( attraverso sistemi di verifica della soddisfazione degli utenti).

Ma - al di là di queste “politiche” trasversali, già ampiamente sollecitate dalla lunga serie di indirizzi e normative degli anni precedenti - per la prima volta, come si diceva, si delinea, in questa specifica Direttiva, un “processo” di “programmazione strategica” ,

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fondato – come si dirà commentando le “linee guida” di cui la direttiva è corredata – su un semplice, comprensibile classificazione di concetti–base della disciplina.

Nella Direttiva in questione si cerca di applicare concretamente questo processo ad un quadro operativo amministrativo esistente e “sulla scorta” dei tentativi e disposizioni di miglioramento formulate dai governi precedenti (i “piccoli passi” che ho sopra indicato, soprattutto quelli della legislatura precedente, e che sono stati analizzati criticamente nel capitolo 3 precedente, ma da essi non applicati secondo un veritiero, esplicito e consapevole, processo di programmazione strategica.

La Direttiva è corredata da alcune “Linee guida” su cui si tornerà nel prossimo paragrafo, ineccepibili dal punto di vista della chiarezza operativa (anche se problematiche nella loro fattibilità).

Inoltre la Direttiva stabilisce che sarà compito del “Servizio di controllo interno” (SECIN) di ogni Ministero (introdotto con il Dl n.29, se non prima) di fornire “l’assistenza tecnica necessaria al Ministro per attivare ed orientare il processo di programmazione nelle sue diverse fasi”; e che il Secin stesso dovrebbe “fornire al Ministro rapporti intermedi almeno quadrimestrali sullo stato di attuazione della direttiva, contenenti valutazione e proposte volte a consentire gli aggiustamenti che si ritenessero necessari per il conseguimento degli obiettivi nei tempi prefissati.”

Dei “rapporti almeno quadrimestrali” sullo stato di attuazione della direttiva sembrano abbastanza fuori di ogni ragionevolezza. Per preparare tali rapporti si impiegherebbe forse più tempo e risorse che per applicare la direttiva stessa. Questa frenesia di controllo sui tempi sembra qualcosa che appartiene o alla sfera delle ossessioni individuali, o ad un genere di rendicontazioni a breve, motivate da ragioni di propaganda politica, che non ad un seria governabilità dei tempi amministrativi.

Potrebbe altresì esserci dietro un malinteso sull’impianto generale della programmazione strategica, connesso al fatto che, così impostata, essa è tempificata nell’orizzonte temporale di un anno al massimo (da una direttiva annuale all’altra) senza alcuna visione, - anzi, più propriamente, strategia - di più lungo periodo (anche se nella Direttiva, avente un orizzonte annuale, si potranno fissare (come si vedrà più sotto) “degli obiettivi strategici pluriennali, nel qual caso sarà necessario identificare le scadenze temporali di attuazione”.

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Ma l’assenza di una esplicita prospettiva pluriennale5, di medio e lungo periodo è appunto l’elemento ancora difettoso del modo in cui la Direttiva in esame introduce la programmazione strategica nella PA italiana. Ed è su questo punto che differisce radicalmente dall’esperienza americana.

La Direttiva in esame stabilisce inoltre che “tutte le amministrazioni dovranno dotarsi di efficaci sistemi di valutazione dei dirigenti” (così come già previsto dalla direttiva precedente per il 2002) nonché di “sistemi di controllo di gestione, base propedeutica indispensabile per la corretta e puntuale valutazione”. E aggiunge che: “è necessario che conclusa la fase progettuale iniziatasi nell’anno in corso, si passi immediatamente ad una prima sperimentazione dei sistemi di valutazione”; e che “ ogni amministrazione dovrà presentare al Dipartimento della Funzione pubblica entro il 31 dicembre 2003, una dettagliata relazione sull’esperienza maturata.”

La Direttiva in questione inoltre conclude sostenendo che “la qualità” delle direttive generali dei Ministri dipende , in misura decisiva dal “grado di sintesi” di due “caratteristiche strutturali” del documento, frutto di “due diverse prestazioni” dei soggetti coinvolti nel processo di programmazione strategica: la “coerenza esterna e la coerenza interna”. Usiamo in proposito le stesse utili parole della Direttiva:

La coerenza esterna mira ad assicurare il raccordo tra le priorità

politiche e le politiche di interesse del Ministero prese in considerazione nei documenti generali del Governo”.

La coerenza interna mira ad assicurare il coordinamento e la compatibilità del complesso degli obiettivi ordinati dalla direttiva in un sistema gerarchico nel quale, a seguito del processo di negoziazione tra vertice politico e vertici amministrativi: • le priorità politiche vengono tradotte in obiettivi strategici

dell’azione amministrativa e della gestione; • gli obiettivi strategici vengono a loro volta articolati in obiettivi

operativi, assegnati a singole strutture o ad insieme di strutture; • gli obiettivi operativi danno luogo a programmi di azione, che

indicano: i risultati attesi, i soggetti coinvolti, i tempi di 5 Come per esempio quella prevista per i piani strategici inclusi nella legge GPRA federale americana, la qualche sancisce che i piani strategici non devono avere una prospettiva inferiore ai cinque anni.

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completamento previsti, le principali attività pianificate, gli indicatori adottati per la misurazione del conseguimento degli obiettivi e le risorse da impiegare. Livelli crescenti di coerenza sia interna che interna saranno

conseguibili tanto più rapidamente quanto maggiore sarà l’impegno posto dalle amministrazioni: • nel prevedere e incentivare attività formative sulla dirigenza

pubblica tese ad assicurare lo sviluppo delle competenze in materia di programmazione, controllo e valutazione:

• nell’assicurare ai Servizi di controllo interno una composizione equilibrata, tale da garantire la presenza nelle amministrazioni delle necessarie competenze gestionali e organizzative. I Servizi di controllo interno devono essere rapidamente messi in grado sia di costituire un sostegno per il vertice politico, in fase di verifica della qualità e della coerenza degli obiettivi proposti dalle strutture amministrative, sia di fornire ai dirigenti, ove richiesto, un supporto metodologico;

• nel costruire una base di conoscenza comune sugli strumenti tecnici a supporto del processo di programmazione (livelli di obiettivi, indicatori di riferimento, schede per l’elaborazione dei programmi di azione);

• nel dotarsi di sistemi, strumenti, risorse e procedure per attivare concretamente il processo di programmazione e controllo della gestione. Nel breve commento alla legislazione sulla materia fatto nel cap.2

si è cercato cercato di spiegare l’insufficienza - e per taluni aspetti perfino la pericolosità – di una impostazione che sembra introdurre il “controllo di gestione” delle attività di spesa pubblica senza una chiara strutturazione di programma delle stesse.

Non è inutile ripercorrere criticamente, ma brevemente, i trapassi più significativi che a mio avviso si sono avuti dalla precedente alla attuale impostazione.

Tali passaggi sono essenzialmente da identificarsi nella impostazione tecnica che la nuova direttiva dà alla creazione di un “sistema di obiettivi e di indicatori”.

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2. Il sistema di obiettivi e di indicatori e le “Linee guida” della

direttiva La nuova Direttiva infatti, nelle sue “linee-guida”, chiede che le

direttive dei ministeri (ciò che, dal punto di vista tecnico, equivale a qualsiasi agenzia pubblica operativa, che assuma il ruolo di una “Unità di programmazione strategica”, Udp, come normalmente è già da tempo denominata in sede didattica nei corsi di pianificazione strategica, ahimé abbandonati, presso la SSPA) siano concepite “come sistema di obiettivi e di indicatori”. Il testo delle linee-guida così si esprime:

La direttiva [di ciascun Ministro] costituisce il documento

attraverso il quale il Ministro definisce le priorità politiche e conseguentemente assegna ai titolari del Centro di Responsabilità Amministrativa (CRA) [quelli istituiti con la Legge n.94 del 1997, detta “Ciampi”] un insieme coerente di obiettivi e di risorse. Secondo la normativa vigente, l’entità delle risorse attribuite ai titolari del CRA viene indicata nel bilancio dello Stato; gli obiettivi assegnati nella direttiva, che deve essere emanata entro 10 giorni dall’approvazione del bilancio, devono quindi essere compatibili con tali risorse.

La direttiva ha un ruolo essenziale nel nuovo modello di amministrazione e in particolare nel garantire la separazione tra indirizzo politico e attività gestionale. Il vertice politico, infatti: • attraverso l’assegnazione degli obiettivi, esplicita il proprio

indirizzo politico alla amministrazione; • attraverso l’associazione agli obiettivi di un sistema di indicatori,

ha la possibilità di monitorare effettivamente i risultati dell’azione amministrativa. L’elaborazione della direttiva richiede quindi chee si riponga

particolare attenzione alla definizione di un sistema di obiettivi che siano tra loro connessi, congruenti e gerarchizzati e all’identificazione di un corrispondente sistema di indicatori e di valori-obiettivo ad essi riferiti, che misurino, con buon livello di approssimazione, il grado di raggiungimento degli obiettivi medesimi. [Direttiva PCM, 8-11-2002, Linee guida par.1].

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Già questo passaggio merita qualche commento. Viene in esso affermato che con una direttiva così impostata si garantisce “la separazione tra indirizzo politico e attività gestionale”.

Ma viene anche affermato che è la direttiva del Ministro che “assegna” gli obiettivi – di evidente carattere annuale – perché connessi alle risorse di bilancio che vengono assegnate solo annualmente, obiettivi che devono “quindi, essere compatibili con tali risorse”; e inoltre che tali obiettivi devono essere “tra loro connessi, congruenti e gerarchizzati”; e infine che insieme alla definizione di tali obiettivi, la direttiva deve procedere “all’identificazione di un corrispondente sistema di indicatori e di valori-obiettivo ad essi riferiti, che misurino, con buon livello di approssimazione, il grado di raggiungimento degli obiettivi medesimi”.

Tutto ciò dunque: - definizione degli obiettivi, analisi di compatibilità con le risorse, analisi di congruenza e di subordinazione fra gli obiettivi fra loro, e last but not least, identificazione degli indicatori e dei valori-obiettivo – fa parte di ciò che, con chiarezza e logica pertinenza, nella Direttiva in questione e nelle Linee guida in essa contenute, è considerato l’indirizzo politico, e non fa parte dell’attività gestionale.

All’analisi gestionale, per contro, competono i problemi di attuazione della direttiva del Ministro.

Si potrebbe dire –come normalmente si dice in sede didattica - che il processo di programmazione strategica si compone di due momenti chiari e distinti (ma intimamente connessi nel processo stesso): il momento della elaborazione del piano e quello della attuazione, del piano 6.

Ma se fa parte dell’indirizzo politico (quello del Ministro) la elaborazione di tutte quelle cose che la Direttiva PCM e le Linee-Guida richiedono alla direttiva del Ministro di “elaborare” e contenere7, non possiamo non chiederci: chi per conto del Ministro fornirà tutte queste definizioni ed elaborazioni, costituenti l’indirizzo

6 Si veda in proposito alcuni miei lavori didattici (Archibugi, 1980, p.48; Archibugi 2003, p.86-87). 7 Qui c’è da domandarsi: perché non chiamare tale “direttiva”, semplicemente “piano” (plan) –come fa la GPRA federale americana, che ha la stessa valenza temporale di un anno, e che prevede gli stessi contenuti, ( ma con più ordine e precisione ) della direttiva italiana del PCM.

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politico, se non la stessa amministrazione che dovrà poi gestirle ed attuarle?8

D’altra parte è più che logico che gli elementi di fatto, le informazioni, soprattutto in materia di “analisi dei costi”, su cui fissare (e per la durata di un solo anno, purtroppo!) la capacità di realizzare gli obiettivi, può solo provenire dai dirigenti dell’amministrazione interessata, sulla base della loro esperienza in corso; e ciò soprattutto se l’orizzonte del che fare? è di un solo anno. Per quanto innovazioni e cambiamenti di indirizzo si possano immaginare ed introdurre, una direttiva (o piano) annuale non potrà, per essere realistico, (e non essere solo un elenco desideri senza riscontro e conformità con le risorse e la realtà operativa esistente) che fondarsi su una piena conoscenza dell’apparato esistente: le sue capacità, i suoi mezzi, i suoi tempi, i suoi indicatori di conseguimento. E questa conoscenza la possono avere solo i dirigenti e i funzionari in carica nel servizio in questione.

Qui dunque deve essere precisato e chiaramente inteso che l’indirizzo politico si scorpora in due segmenti: l’uno proviene dagli organi di governo nel loro complesso (Parlamento, Programma di Governo, PCM), un altro proviene dalla stessa amministrazione, anche se è richiesto che sia sancito dal Ministro, in quanto fattore politico intermedio fra politica e amministrazione. Tuttavia è difficile che questo secondo segmento dell’indirizzo politico – per quanto forte sia l’autorità politica del Ministro, non sia – e non debba essere – dipendente dalla analisi di fattibilità della stessa amministrazione; analisi di fattibilità che è un misto indistinguibile e inscindibile di politica ed amministrazione e che si articola in una serie complessa e multipla di “passaggi” operativi, in cui si ripeterà spesso il mix di politica e amministrazione, in una serie concatenata di obiettivi/mezzi.9

8 Certamente il Ministro potrebbe ricorrere a qualche consulting esterna, ma anche tale ente esterno non potrebbe prescindere (sempre nell’arco temporale così limitato) dall’ appoggiarsi, -per elaborare e definire gli obiettivi conformi alle risorse, le valutazioni di congruenza, gli indicatori di conseguimento e i valori-obiettivo (cioè targets) - alle informazioni, alla analisi dei costi, alla realtà di fatto, all’operatività in corso nelle stesse strutture operative ministeriali che dovrebbero poi prestare il risultato indicato dal piano (o direttiva) stesso. 9 Qui dunque si ritorna al falso problema della separatezza delle competenze “politiche” e “amministrative”, di cui abbiamo preso le mosse nel cap.1.

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Questa serie concatenata di obiettivi/mezzi d’altra parte è quella che finalmente è chiesta “politicamente” dalla Direttiva PCM.

Ma è difficile immaginare in questo caso una netta distinzione fra “indirizzo politico” e “attività gestionale”, che piace tanto alle distinzioni astratte dei giuristi, ma che nella realtà operativa è piuttosto una “araba fenicia”: tutti ne parlano, ma non sta da nessuna parte10.

Ed è qui infatti che se ne vanno a gambe all’aria tutte quelle dotte distinzioni dei giuristi fra la funzione di indirizzo politico e la funzione gestionale. O, se vogliamo essere meno caustici, è qui che quelle distinzioni si rivelano utili solo per astratte definizioni didattiche ma assai poco utili per ispirare e regolare l’operatività. Giacché, in concreto, il rapporto politica/gestione si manifesta in una serie continua e concatenata di obiettivi/strumenti, in cui è praticamente impossibile – se non caso per caso e contrattualmente (cioè “politicamente”) - definire il confine fra ciò che è indirizzo e ciò che è gestione.

Man mano che le amministrazioni risponderanno, in modo sempre più competente, alla necessità delle nuove procedure e dei nuovi metodi, esse potranno costituire un mezzo più diretto e più efficace di attuazione anche dell’indirizzo politico, e far perdere a quest’ultimo il carattere, prevalente fino ad oggi, di inefficacia rispetto alla sua traduzione in operazioni e in risultati.

E’ mia opinione, dunque, che le direttive del Ministro, richieste dalle Linee-guida per l’introduzione della programmazione strategica annesse alla Direttiva PCM per l’anno 2003, sono certamente direttive “politiche”, ma non possono che essere formulate solo dopo che l’amministrazione, in uno sforzo di adeguamento “tecnico-amministrativo” ai criteri e metodi della programmazione strategica, ne abbia saggiato la loro inter-connessione, la loro congruenza , la loro “gerarchizzazione”.

Chi può fare questo, e farlo diventare indirizzo politico, se non la stessa amministrazione (naturalmente se attrezzata e capace per farlo)?

Inoltre - si è visto – le Linee-guida richiedono che nell’elaborazione della direttiva ministeriale si ponga particolare attenzione “all’identificazione di un corrispondente sistema di indicatori e di valori-obiettivo”, riferito al sistema di obiettivi di cui sopra. E ciò per 10 Questa difficoltà l’abbiamo spesso incontrata anche nel commentare la legislazione italiana sull’argomento (cap.2).

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misurare, sia ex ante che ex post, e “con un buon livello di approssimazione, il grado di raggiungimento degli obiettivi medesimi”.

E’ dunque raccomandabile perciò, (e questo è un ovvio principio della programmazione strategica) che non si definiscano degli obiettivi – a ciascun livello della scala gerarchica (che in programmazione strategica si chiama “struttura di programma”) senza che quell’obiettivo sia corredato di un indicatore o misuratore (che in programmazione strategica si chiama “indicatore o misuratore di programma”) che ne permetta la misurazione.

In verità, in programmazione strategica, degli obiettivi di programma fissati senza corrispondente indicatore di programma, non meriterebbero il nome di obiettivi di programma, ma di aspirazioni, desideri, intenzioni, propositi generali, etc., e cosi pure gli “indicatori di programma” hanno poco a che fare con gli indicatori sociali, o indicatori tout court, se non sono riferiti a “obiettivi” di cui essi servono a misurare le politiche di conseguimento11.

Questo concetto congiunto “obiettivo/indicatore” insieme a quello, ugualmente essenziale di “obiettivo/mezzo” (sono entrambi presenti nelle Linee-guida di cui stiamo parlando) sono i due perni su cui si poggia la programmazione strategica, se vuole essere considerata tale.

Nelle Linee-guida si tratta di direttive politiche che non riguardano solo il merito delle scelte politiche ma il metodo. Riguardano quello che riterrei la rfiforma che è “madre di tutte le riforme”, la riforma dei rapporti di governabilità, la riforma che consente che le altre riforme, - quali che siano, - mettano i piedi. Quella riforma che , in definitiva, può permettere alla stessa macchina politica di funzionare in modo efficace.

Ed è quella riforma che – come quelle “istituzionali”, le quali si dice riguardano le “regole del giuoco della politica”, che oggi sono assai più sotto l’attenzione dell’opinione pubblica – ha titolo e necessità di essere considerata una riforma bipartisan, che coinvolga la gran maggioranza degli schieramenti politici che si riconoscono nelle regole democratiche.

Ecco perché sono persuaso che - piuttosto che attraverso delle direttive annuali del PCM e quelle, di rimbalzo delle direttive annuali dei Ministri, - la programmazione strategica avrebbe meritato di 11 Si vedano alcune opere didattiche (in italiano, un mio Compendio di pianificazione strategica in campo pubblico, Alinea Firenze 2005)

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essere introdotta nella Pubblica amministrazione italiana con una legge bipartisan, formulata da una Commissione mista del Parlamento, come è avvenuto negli Stati Uniti.12

Ma la via scelta per introdurre la pianificazione strategica in Italia - per quanto difettosa e non esente da rischi di arenarsi - va finalmente aiutata. E le Linee-guida della direttiva del PCM vanno popolarizzate e sostenute a livello dirigenziale, creando intorno ad esse tutti gli opportuni strumenti di sostegno, fra i quali, per primi, quelli di una adeguata attività formativa, esterna ed interna alla amministrazione, per dotare e permettere a quest’ultima di portare a termine i compiti assegnati dalle Linee guida.

3. La direttiva ministeriale come “sistema di obiettivi e di indicatori”

Come primo passo, dunque, abbiamo visto, la direttiva ministeriale

è concepita come “un insieme coerente di obiettivi e risorse”. 3.1. Il sistema degli obiettivi Il sistema di obiettivi fissati dalla direttiva – secondo le Linee guida

in esame – è articolato in: 1. obiettivi strategici 2. obiettivi operativi 3. programmi di azione.

Si tratta di tre livelli di una “struttura di programma” (anche se quest’ultima non è mai menzionata nelle Linee guida)

Gli obiettivi strategici sono definiti dal Ministro in coerenza con le

priorità politiche individuate, sulla base del Documento di programmazione economico-finanziaria, dei disegni di legge

12 La GPRA del 1993, firmata a cose fatte da Clinton (nell’agosto 1993) era stata approvata dal Congresso a gennaio 1993, ed elaborata nell’anno precedente l’amministrazione” repubblicana da una Commissione mista del Congresso composta da 15 democratici e 15 repubblicani, e presieduta da un senatore repubblicano (William Hold). E’ una legge rivoluzionaria, la vera matrice del “reinventing government”.

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finanziaria e di bilancio, della più recente legislazione di settore ovvero di altre iniziative legislative eventualmente in itinere. Gli obiettivi strategici possono essere anche pluriennali, nel qual caso sarà necessario identificare le scadenze temporali di attuazione.

Gli obiettivi operativi costituiscono gli obiettivi di azione amministrativa relativi al ciclo annuale di bilancio ed alle risorse assegnate ai CEA. Rappresentano specificazioni degli obiettivi strategici, delle politiche intersettoriali prioritarie (semplificazione amministrativa, informatizzazione dell’amministrazione, razionalizzazione della spesa miglioramento della qualità dei servizi) o, anche obiettivi di miglioramento del funzionamento delle attività correnti dei CRA. Sono in cascata rispetto agli obiettivi strategici e devono essere declinati dal Responsabile di CRA in programmi di azione.

I programmi di azione rappresentano lo strumento per raggiungere gli obiettivi operativi e devono contenere (cfr scheda allegata alle Linee guida): • i tempi di completamento del programma; • il responsabile del completamento del programma; • le altre strutture, interne all’amministrazione o esterne ad essa,

che possono influenzarne la realizzazione; nel caso di strutture interne, in particolare, andranno formalizzate le modalità do coordinamento dei diversi interventi e l’eventuale ruolo che il responsabile del programma dovrà assumere nelle fasi del coordinamento, anche in deroga alle normali linee gerarchiche e organizzative;

• le principali fasi del programma, le relative scadenze e gli obiettivi intermedi, ricorrendo ai sistemi di rappresentazione tipici del Project management (Pert, Diagrammi di Gantt). [Linee guida p.54] Il sistema degli obiettivi deve assicurare :

La coerenza esterna. Gli obiettivi strategici indicati nella direttiva devono essere rappresentativi delle politiche di interesse del Ministero prese in considerazione nei documenti programmatici generali del Governo. Nel caso di politiche pubbliche che interessano più Ministeri , inoltre, si deve assicurare la sintonia tra le priorità

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indicate nelle direttive dei Ministri coinvolti, identificando la opportune modalità di coordinamento e le relative responsabilità;

La coerenza interna tra i diversi livelli degli obiettivi affinché si possa, con adeguata certezza, affermare la realizzazione dei progetti che costituiscono un programma di azione garantisce il perseguimento dell’obiettivo operativocce sovrintende al programma d’azione stesso. Il raggiungimento degli obiettivi operativi, a sua volta, consente il raggiungimento degli obiettivi strategici

La verifica della coerenza interna ed esterna di tutto il quadro degli obiettivi, dei programmi di azione e dei progetti, è uno dei compiti chiave del Servizio di controllo interno. .[vedi testo completo delle Linee-guida nel Doc.n.3 dell’Appencice].

3.2 Il sistema degli indicatori Secondo le Linee guida in questione, “ad ogni obiettivo

strategico/operativo (cfr. Schede in allegato) deve essere associato un indicatore quantitativo (di realizzazione, di risultato, di impatto) e il valore che si intende raggiungere per tale indicatore (valore-obiettivo).

Le Linee guida articolano gli indicatori nelle seguenti tipologie: 1. Indicatori di realizzazione finanziaria, che misurano

l’avanzamento della spesa prevista 2. Indicatori di realizzazione fisica, che misurano il grado di

realizzazione del progetto o dell’intervento; 3. Indicatori di risultato, che misurano il grado di raggiungimento

dell’obiettivo che il progetto o l’intervento si propone di conseguire;

4. Indicatore di impatto, che esprimono l’impatto che il raggiungimento degli obiettivi genera sul sistema di riferimento (PA, collettività)

Nelle Linee di guida si osserva molto correttamente e molto

opportunamente: E’ importante sottolineare che gli obiettivi strategici definiti dal

Ministro sono quantificati da indicatori di risultato e di impatto, mentre gli obiettivi operativi sono misurati da indicatori di realizzazione (fisica e finanziaria) e, in alcuni casi, anche da

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indicatori di risultato. In genere , gli obiettivi operativi non sono quantificati da operatori di impatto [ibidem]

Le Linee guida della PCM, stabiliscono con questo sistema di

indicatori un importante principio, largamente trascurato nei sistemi correnti di valutazione dei piani, programmi e progetti. Che la valutazione dei piani e progetti (come anche delle “politiche”, a livello macroeconomico), per la quale normalmente gli indicatori di programma vengono utilizzati, non può e non deve prescindere da un sistema di obiettivi coerente e gerarchizzato (struttura di programma) e dal suo relativo, “associato”, sistema di indicatori.

Infatti, associare un indicatore di realizzazione ad un obiettivo strategico spesso nasconde il significato concreto della quantificazione, la rende vaga e insignificante, perché l’indicatore è troppo contingente, troppo effimero e operativo per fornire dati utili ad una valutazione generale del successo di una strategia generale. E all’estremo opposto, associare un indicatore di impatto ad un obiettivo operativo o ad un programma di azione, significa realizzare una correlazione troppo rischiosa e fuorviante, a causa della possibile influenza di fattori estranei al rapporto obiettivo/indicatore su cui ci si è basati.

Le linee guida aggiungono anche che “la definizione di un indicatore associato ad un obiettivo può anche risultare di particolare complessità nel caso in cui alcuni obiettivi siano difficilmente traducibili in indicatori quantitativi di facile misurabilità ed univocità”. E che “in questi casi si potrà ricorrere, in alternativa agli indicatori quantitativi, a: • indicatori di tipo binario (si/no) • indicatori di tipo qualitativo (alto/medio/basso) • indicatori proxi, in grado di misurare il raggiungimento di un

obiettivo mediante un complesso di indicatori non direttamente riferiti all’obiettivo stesso”

4. La struttura della Direttiva ministeriale Le linee guida del PCM forniscono anche importanti chiare

istruzioni su come strutturare il documento della Direttiva ministeriale

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(per più completa visione vedi il documento della PCM riportato come l’Appendice n. 3).

La Direttiva dovrebbe essere articolata in cinque sezioni: I Sezione: Le priorità politiche del Ministro. Sono indicate in questa sezione le linee di intervento su cui il

Ministro intende focalizzare l’azione dell’amministrazione per l’anno di riferimento.

II Sezione: Gli obiettivi dell’azione amministrativa del Ministero. Tale sezione prevede i seguenti punti:

1. definizione degli obiettivi strategici del Ministero in relazione alle priorità politiche;

2. definizione del sistema degli obiettivi operativi e loro declinazione nei programmi di azione, evidenziando anche l’eventuale coinvolgimento di altri Ministeri

3. individuazione degli indicatori e quantificazione dei relativi valori-obiettivo

III Sezione: Definizione del sistema di monitoraggio

dell’attuazione della direttiva e individuazione delle connessioni con l’attuazione del programma di governo.

Il monitoraggio della direttiva dovrà essere coordinato dai Servizi di controllo interno e si articolerà in: • monitoraggio intermedio, relativo a periodi infra-annuali,

finalizzato a: rilevare il livello attuale di realizzazione (finanziaria e/o fisica) dei programmi di azione; identificare gli eventuali scostamenti rispetto ai livelli di realizzazione previsti al fine di introdurre i necessari interventi correttivi

• monitoraggio finale, alla fine dell’esercizio, con la funzione di rilevare il livello effettivamente conseguito per gli indicatori di realizzazione e di risultato relativi a ciascun obiettivo; confrontare tale livello con il valore–obiettivo predefinito per evidenziare eventuali risultati insoddisfacenti; verificare, nel caso dei programmi di azione che non siano stati completati, o degli obiettivi pluriennali, il grado di realizzazione (finanziaria e/o fisica). Le Linee guida raccomandano “di cogliere tutte le opportunità

offerte dalla rete intranet delle amministrazioni, per semplificare i flussi informativi connessi con l'attività di monitoraggio.

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IV sezione. Introduzione del sistema di valutazione dei dirigenti. La direttiva dei Ministri per l'anno 2003 deve indicare le modalità

di sperimentazione del sistema di valutazione dei dirigenti, (secondo le linee contenute nella direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15 novembre 2001). In particolare, in questa sezione devono essere specificati:le caratteristiche essenziali del modello di valutazione che verrà sperimentato; le principali fasi della sperimentazione; i soggetti coinvolti nella sperimentazione e i ruoli relativi; le connessioni con il sistema di controllo strategico e con il sistema di controllo di gestione.

V sezione. Indicazioni su iniziative ed attività di carattere

formativo previste nell’anno. Il processo di cambiamento delle Pubbliche Amministrazioni deve

basarsi sulla diffusione di una cultura dei risultati e su una formazione mirata, strutturata anche sotto forma di sostegno e accompagnamento.

In questa sezione si tratta quindi di: • prevedere e incentivare interventi formativi sulla dirigenza

pubblica tesi ad assicurare lo sviluppo delle competenze in materia di programmazione, controllo e valutazione in stretta coerenza con quanto previsto nella Direttiva 13 dicembre 2001 del Ministro per la Funzione Pubblica sulla “formazione e valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni”;

• costruire una base di conoscenza “comune”, a disposizione di tutte le amministrazioni, sugli strumenti tecnici a supporto del processo di programmazione (livelli di obiettivi, indicatori di riferimento, schede per l’elaborazione dei programmi di azione).

5. Ruolo dei soggetti coinvolti nella predisposizione e nell’attuazione della Direttiva

Le Linee guida definiscono anche i ruoli e i compiti dei soggetti

coinvolti nel procedimento, considerandolo giustamente un “elemento chiave” nella costruzione delle direttive, “ con dirette ricadute sulla corretta attuazione.

In particolare:

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5.1 Ruolo dei Ministri: I Ministri sono direttamente responsabili della definizione delle

priorità politiche. Consolidano di conseguenza gli obiettivi strategici su un arco temporale, annuale o pluriennale; definiscono, per tali obiettivi, gli indicatori di risultato e d’impatto ed i relativi valori-obiettivo.

5.2.Ruolo e compiti dei responsabili dei CRA. Propongono un insieme di obiettivi strategici coerenti con le

priorità politiche individuate dal Ministro traducendoli in obiettivi operativi e in programmi di azione. Parallelamente: collaborano con il Servizio di controllo interno ai fini della verifica della coerenza (interna e esterna) degli obiettivi operativi e, con il supporto dello stesso Servizio, individuano gli indicatori per la misurazione del raggiungimento degli obiettivi operativi.

5.3. Ruolo e caratteristiche dei Servizi di controllo interno. I Servizi di Controllo Interno supportano il Ministro nella

comunicazione dell’indirizzo politico e nel governo del processo di programmazione strategica del ministero. Il Servizio di controllo interno ha il compito di:

a. nella fase di costruzione della direttiva: • facilitare il procedimento di predisposizione della direttiva • fornire un supporto metodologico e tecnico ai responsabili dei

CRA • verificare la corretta predisposizione della direttiva, con

particolare attenzione alla coerenza esterna ed interna • predisporre il sistema di monitoraggio per il controllo

dell’attuazione della direttiva

b. nella fase di attuazione della direttiva, • garantire l’applicazione del sistema di monitoraggio, segnalando

al Ministro nodi e criticità rilevati • raccordarsi con i Servizi di controllo interno degli altri Ministeri

per impostare, costruire ed implementare, con il coordinamento

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del Comitato tecnico scientifico della Presidenza del Consiglio dei Ministri, azioni di benchmarking fra le diverse amministrazioni dello Stato

• fornire l’apporto necessario per le iniziative di carattere formativo.

6. Individuazione delle priorità politiche e determinazione degli obiettivi nella Direttiva annuale.

Il procedimento di individuazione delle priorità politiche e di

determinazione degli obiettivi nella direttiva annuale si articola, in conformità alla direttiva del Presidente del Consiglio, nelle seguenti fasi:

Prima fase: Definizione delle priorità politiche da parte del

Ministro. Indirizzo politico. Il Ministro individua le priorità politiche. Questo primo atto di

indirizzo costituisce l’impulso del procedimento di predisposizione della direttiva e dovrà essere comunicato ai titolari dei centri di responsabilità amministrativa entro la fine di ottobre (“fase discendente”).

Seconda fase: Proposta di obiettivi strategici e declinazione degli

obiettivi operativi da parte dei CRA. I titolari dei CRA - eventualmente costituiti in conferenza

permanente come previsto dall’articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 – sottopongono al Ministro, supportato dal Servizio di controllo interno, gli obiettivi strategici, anche a carattere pluriennale. Tali obiettivi, opportunamente contenuti nel numero, concretizzano le priorità politiche e sono corredati dagli obiettivi operativi nonché dai relativi programmi di azione. I titolari dei CRA formulano le proprie proposte al Ministro, previa verifica della disponibilità delle risorse umane, finanziarie, materiali e tecnologiche effettivamente disponibili (“fase ascendente”).

Terza fase :Definitivo “consolidamento” degli obiettivi strategici.

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Il Ministro – definito conclusivamente il quadro delle priorità politiche delineate all’inizio e valutate le proposte dei dirigenti titolari di CRA - determina gli obiettivi strategici dell’azione amministrativa. Emana quindi la direttiva generale annuale sull’attività amministrativa e sulla gestione.

Le “Linee guida” includono anche delle “Schede esemplificative

per la descrizione degli obiettivi strategici, operativi dei Programmi di azione”, che possono essere di grande utilità a chi si propone di costruire le direttive dei Ministri , ma anche per qualsiasi programma, a qualsiasi livello esso si collochi; esse inoltre e come costituiscono una testimonianza seria – sia pure al solo livello di vertice – di andare in concreto verso la “pratica” di una introduzione della programmazione strategica che non sia solo di facciata e verbosa. (vedi tali Schede nel testo delle linee guida riprodotte nel documento n.3 dell’Appendice.)

A questo punto, dopo avere esposto il giusto apprezzamento del

documento in questione relativo alle Linee guida allegato alla direttiva del PCM, si rimane molto sorpresi quanto a: come e perché la stessa PCM non abbia ulteriormente agito per mettere in migliori condizioni operative le compagini ministeriali cui sono state e sono tuttora indirizzate le linee guida; e si rimane anche sorpresi del fatto che poco o niente si sia fatto sempre da parte della PCM per controllare la partenza della redazione dei piani strategici richiesti con la direttiva e le Linee guida in ogni comparto o CRA dei diversi Ministeri, soprattutto con una attività formativa adeguata, o di assistenza tecnica.

Sorprende il fatto, insomma, che in questi ultimi anni, le Linee guida siano state come disattese dalla stessa PCM che le ha emanate.

Di queste Linee guida, non si è parlato più nelle rendicontazioni e nei rapporti tra PCM e Ministeri, e nel Comitato scientifico preposto all’attuazione dei controlli di gestione, quasi che si operasse un disconoscimento dell’impostazione, assolutamente innovativa, che tali Linee guida rappresentavano nel contesto della applicazione delle “leggi di riforma” su cui si basava la innovazione stessa (quelle esaminate nel cap.2).

E non si sono neppure ulteriormente arricchite tali Linee guida, assolutamente sintetiche, di ulteriori specificazioni, di manuali di applicazione, di esemplificazioni, di studio di casi, che avrebbero

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dovuto aiutare tecnicamente e didatticamente quella applicazione nelle strutture ministeriali. Si sarebbe potuto e dovuto produrre un fervente attivismo nella redazione di opuscoli ancora più articolati delle “schede esemplificative” e con qualche esperienza pilota, che potesse servire da benchmarking. E si sarebbe dovuto esercitare una costante opera di critica e di correzione da parte della PCM dei documenti provenienti dai Ministeri, alla luce delle Linee guida. [Come è avvenuto nel governo federale americano, in cui il GAO (l’agenzia di controllo della spesa pubblica dipendente dal Congresso, e, in minor misura, l’OMB l’agenzia di coordinamento della spesa pubblica dipendente dalla Casa Bianca, hanno emesso (e pubblicato) dal 1997 in poi centinaia di documenti di critica dei piani strategici e dei piani di performance dei vari Dipartimenti e Agenzie del Governo federale, alla luce delle istruzioni impartite dalla legge GPRA.]

Qui da noi, invece, si è creato intorno alle Linee guida un muro di silenzio fatto di ignavia, ignoranza, incompetenza, disinformazione, che ha avuto il ruolo di sabotare la innovazione e la sperimentazione riformistica, e far ritornare le cose nella routine ordinaria, nel “già conosciuto” da parte di coloro che avevano invece il compito di rompere la routine ordinaria, con un grande sforzo di nuovo apprendimento.

L’unica spiegazione possibile, che purtroppo rende sostanzialmente nullo il rimpallo permanente di responsabilità che inevitabilmente succede quando si disattende qualcosa che era universalmente richiesta, è la insufficiente preparazione “tecnica” in materia degli stessi organi ed esperti che avevano il compito di promuovere e gestire la trasformazione. E la loro assuefazione pigra alla funzione di esercitare quel minimo e molto appariscente protagonismo senza sostanza, nei convegni e nelle tavole rotonde, che in questo paese sembra il ruolo privilegiato per “parlarsi addosso” senza mai studiare meglio i problemi e le tecniche che gli “esperti” stessi dovrebbero fornire. (ma molto utile a fare una effimera carriera politica e amministrativa).

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Riferimenti bibliografici

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Archibugi Franco et alii (1996). Lezioni di pianificazione strategica, (Lezioni per la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione “)

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Archibugi Franco,(2000), The Associative Economy: Insights beyond the Welfare State and into Post-Capitalism. Macmillan, London-New York 2000. (trad. italiana: L’economia associativa: sguardi oltre il Welfare State e nel post-capitalismo, Comunità-Einaudi, 2002)

Archibugi Franco (2002). Un quadro contabile per la programmazione economica e la politica economica strategica. Roma, Centro di studi e piani economici.

Archibugi Franco (2002). Da burocrate a manager. Le vie difficili della riforma della gestione pubblica (Ristampa 2002). Roma, Centro di studi e piani economici.

Archibugi Franco, (2003) Teoria della pianificazione: dalla critica politologia alla ricostruzione metodologica. Alinea editrice, Firenze

.Archibugi Franco, (2005) Introduzione alla pianificazione strategica in ambito pubblico. Alinea editrice, Firenze

Archibugi Franco, (2005) Compendio di programmazione strategica per le pubbliche amministrazioni. Alinea editrice, Firenze

Barzelay Michael (1992). Breaking Through Bureaucracy: A New Vision for Managing in Government. Berkeley, University of California Press.

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Kettl Donald F. and DiJulio John J., Ed. (1995). Inside the Reinvention Machine: Appraising Govermental Reform. Washington DC, Brookings Institution.

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Appendici

Appendice n.1 Passaggi significativi della legislazione italiana concernente nuovi

metodi di programmazione e valutazione strategica e contabilizzazione dei risultati (1993-1999)

Appendice n.2 La legge americana del GPRA

(Government Performance and Result Act)

Appendicen.3 Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri (8 Novembre

2002), su: Indirizzi per la programmazione strategica e la predisposizione delle direttive generali dei Ministri per l’attività

amministrativa e la gestione per l’anno 2003

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Appendice n.1 Passaggi significativi della legislazione italiana

concernente nuovi metodi di programmazione e valutazione strategica e contabilizzazione dei risultati (1993-1999)

Da:

Decreto legislativo 1993/29 Legge 1997/59 (“Bassanini”) Legge 1997/94 (“Ciampi”) Decreto legislativo 1997/279 (“Bassanini”). Decreto legislativo 1999/286 (applicativo dell’art.11 della Legge 97/59)

***

Decreto legislativo 1993/291

“Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego”

Passaggi significativi Art. 3 Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità [comma 1] “Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare: a. le decisioni in materia di atti normativi e l’adozione dei relativi atti di

indirizza interpretativo ed applicativo; b. la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per

l’azione amministrativa e per la gestione; c. la individuazione delle risorse umane, materiali ed economiche finanziarie

da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale”.

etc. [comma 2] “Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di 1 Integrato e modificato da: L.97/59; L.97/127; DL 97/396; DL. 98/59; DL. 98/80; DL 98/387; L. 98/448.

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controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati”. (omissis) [comma 4]. “Le amministrazioni pubbliche, i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica, adeguano i propri ordinamenti al principio della distinzione tra indirizzo e controllo. Da un lato, e attuazione e gestione dall’altro”. Art.14. Indirizzo politico-amministrativo [comma 1] “Il Ministro esercita le funzioni di cui all’art.3, comma 1. A tal fine periodicamente, e comunque ogni anno entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio, anche sulla base delle proposte dei dirigenti di cui all’art.16; a. definisce obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emana le

conseguenti direttive generali per l’attività amministrativa e per la gestione b. effettua, ai fini dell’adempimento dei compiti definiti ai sensi della lettera

a), l’assegnazione ai dirigenti preposti ai Centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni delle risorse di cui all’art. 3, comma 1, lettera c) del presente decreto, ivi comprese quelle di cui all’art.3 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n.279, ad esclusione delle risorse necessarie per il funzionamento degli uffici di cui al comma 2; provvede alle variazioni delle assegnazioni con le modalità previste dal medesimo decreto legislativo 7 agosto 1997, n.279, tenendo altresì conto de procedimenti e sub-procedimenti attribuiti ed adotta gli altri provvedimenti ivi previsti”.

[comma 2]. “Per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 1 il Ministro si avvale di uffici di diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto e di raccordo con l’amministrazione, istituiti e disciplinati con regolamento adottato ai senso del comma 4bis della legge 23 agosto 1988,n.400. A tali uffici sono assegnati, nei limiti stabiliti dallo stesso regolamento: − dipendenti pubblici anche in posizione di aspettativa, fuori ruolo o comando; − collaboratori assunti con contratti a tempo determinato disciplinati dalle

norme di diritto privato; − esperti e consulenti per particolari professionalità e specializzazioni, con

incarichi di collaborazione coordinata e continuativa. Per i dipendenti pubblici si applica la disposizione di cui all’art.17, comma 14, della legge 15 maggio 1997,n.127.” [segue] Art.18. Criteri di rilevazione e analisi dei costi e dei rendimenti [comma 1] “Sulla base delle indicazioni di cui all’art. 64 del presente decreto, i dirigenti generali adottano misure organizzative idonee a consentire la

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rilevazione dei costi e dei rendimenti dell’attività amministrativa, della gestione e delle decisioni organizzative.” [comma 2] Il Dipartimento della funzione pubblica può chiedere all’Istituto nazionale di statistica la elaborazione di norme tecniche e criteri per le rilevazioni ed analisi di cui al comma 1, e all’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione, la elaborazione di procedure informatiche standardizzate allo scopo di evidenziare gli scostamenti dei costi e dei rendimenti rispetto a valori medi e “standard”.” Art. 20. Verifica dei risultati [comma 1]. “I dirigenti generali ed i dirigenti sono responsabili dell’attività svolta dagli uffici ai quali sono preposti, della realizzazione dei programmi e dei progetti loro affidati in relazione agli obiettivi dei rendimenti e dei risultati della gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, incluse le decisioni organizzative e di gestione del personale. All’inizio di ogni anno, i dirigenti presentano al direttore generale, e questi al Ministro, una relazione sull’attività svolta nell’anno precedente.” [comma 2] “Nelle amministrazioni pubbliche, ove già non esistano, sono istituiti servizi di controllo interno, o nuclei di valutazione, con il compito di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa. I servizi o nuclei determinano almeno annualmente, anche su indicazione degli organi di vertice, i parametri di riferimento del controllo.” [comma 3]. “Gli uffici di cui alla comma 2 operano in posizione di autonomia e rispondono esclusivamente agli organi di direzione politica. Ad essi è attribuito, nell’ambitodelle dotazioni organiche vigenti, un apposito continegente di personale. Può essere utilizzato anche personale già collocato fuori ruolo. Per motivate esigenze le amministrazioni pubbliche possono altresì avvalersi di consulent esterni, esperti in tecniche di valutazione e ne controllo di gestione.” [comma 4] “I nuclei di valutazione, ove istituiti, sono composti da dirigenti generali e da esperti anche esterni alle amministrazioni. I casi di particolarecomplessità, il Presidente del Consiglio può stipulare anche cumulativamente per più amministrazioni, convenzioni apposite con soggetti pubblici o privati particolarmente qualificati” [comma 5] “I servizi e nuclei hanno accesso ai documenti amministrativi e possono richiedere , oralmente o per iscritto, informazione agli uffici pubblici. Riferiscono trimestralmente sui risultati della loro attività agli organi generali di direzione. Gli uffici di controllo interno delle amministrazioni territorialie periferiche riferiscono altresì ai Comitati du cui al comma 6”

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[comma 6] “I comitati provinciali delle pubbliche amministrazioni e i comitati metropolitani (di cui a….. [omissis] si avvalgono degli uffici di controllo interno delle amministrazioni territoriali e periferiche” Art. 63. Finalità [relative al “Controllo della spesa] [comma 1] Al fine di realizzare il più efficace controllo dei bilanci, anche articolati per funzioni e per programmi, e la rilevazione dei costi, con particolare riferimento al costo del lavoro, il Ministero del Tesoro, di intesa con la PCM-Dip.Funzione pubblica, provvede alla acquisizione delle informazioni sui flussi finanziari relativi a tutte le amministrazioni pubbliche. [comma 2]. “Per le finalità di cui al comma 1 tutte le amministrazioni pubbliche impiegano strumenti di rilevazione e sistemi informatici e statisticidefiniti o valutati dall’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione… [omissis] Art. 64. Rilevazione dei costi [comma 1] “Le amministrazioni pubbliche individuano i singoli programmi di attività e trasmettono alla PCM-Dip.Funzione Pubblica, al Min. Tesoro e al Min. Bilancio e PE, tutti gli elementi necessari alla rilevazione ed al controllo dei costi.” [comma 2] “Ferme restando le attuali procedure di evidenziazione della spesa ed i relativi sistemi di controllo, ……il Min.Tesoro ……definisce procedure interne e tecniche di rilevazione e provvede, in coerenza con le funzioni di spesa riconducibili alle unità amministrative cui compete la gestione dei programmi, ad una articolazione dei bilanci pubblici a carattere sperimentale.”

Legge 97/59 (“Bassanini 1”) “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti

alle regioni ed enti locali, per la riforma della PA e per la semplificazione amministrativa”

Passaggi significativi: Art.11: delega a Governo per “decreti diretti a”: comma c) “riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di

monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche”

Art.16: Il Comitato scientifico (di cui art.2 comma 3 Legge 1993/537) “individua ….i progetti più strettamente finalizzati alla modernizzazione delle

p.a., all’efficacia e all’efficienza dei servizi pubblici nel quadro di una

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ottimizzazione e razionalizzazione dell’utilizzazione delle risorse finanziarie. Il Comitato procede altresì alla verifica di congruità dei costi di attuazione dei progetti selezionati ed alla eventuale riduzione della spesa autorizzata”.

“…I progetti non selezionati o per i quali non sia stata accettata la ri-determinazione dei costi non possono avere ulteriore esecuzione. Con decreto del Ministro per la funzione pubblica è dichiarata la revoca dell’approvazione dei predetti progetti ed è determinato il rimborso delle spese per le attività già svolte e per i costi sostenuti relativamente ad essi”.

Art. 17/comma 1: Nell’attuazione della delega il Governo si atterrà ai seguenti “principi e criteri direttivi”: a) prevedere che ciascuna amministrazione organizzi un sistema informativo-

statistico di supporto al controllo interno di gestione, alimentato da rilevazioni periodiche, al massimo annuali, dei costi delle attività e dei prodotti;

b) prevedere e istituire sistemi per la valutazione, sulla base di parametri oggettivi, dei risultati dell’attività amministrativa e dei servizi pubblici favorendo l’adozione di carte dei servizi e assicurando in ogni caso sanzioni per la loro violazione, e di altri strumenti per la tutela dei diritti dell’utete e per la sua partecipazione, anche in forme associate, alla definizione delle carte dei servizi e alla valutazione dei risultati;

c) prevedere che ciascuna amministrazione provveda periodicamente e comunque annualmente alla elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati;

d) collegare l’esito dell’attività di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati alla allocazione annuale delle risorse;

e) costituire presso la PCM una banca dati sull’attività di valutazione, collegata con tutte le amministrazioni attraverso i sistemi di cui alla lettera a) ed il sistema informatico del Ministero del Tesoro/Rag. Gen. dello Stato, e accessibile al pubblico, con modalità da definire con regolamento da emanare (ai sensi dell’art.17 , comma 2, della Legge 1998/400).

f) (omissis) Art.17/comma2. “il Presidente del Consiglio dei Ministri presenta annualmente una relazione al Parlamento circa gli esiti di cui al comma 1.”

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Legge 97/94 (“Ciampi”) “Modifiche alla legge 5 agosto 1978, n.468, e successive

modificazioni e integrazioni, recante norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio. Delega al Governo per l’individuazione delle unità previsionali di base del bilancio dello Stato”

Passaggi significativi Art 5/1. Il Governo è delegato a emanare…un decreto legislativo diretto a “ad individuare le Unità previsionali di base (Upb) del bilancio [nero nostro]. Il decreto si uniformerà ai seguenti principi e criteri direttivi”…..: a) rendere più razionali, significative e trasparenti le scelte del Governo e del

Parlamento sulla acquisizione delle entrate e sulla ripartizione delle risorse fra le destinazioni di spesa e, all’intermo di esse, sulla loro destinazione finale, avuto riguardo alla identificazione delle connesse responsabilità della gestione;

b) Razionalizzare la gestione finanziaria e l’azione amministrativa, collegando la ripartizione delle risorse per funzioni alla identificazione dei Centri di responsabilità amministrativa (CdR) (nero nostro) e alla disciplina del procedimento; a tal fine saranno analiticamente riconsiderati gli oggetti dei capitoli di spesa, secondo il contenuto economico, riorganizzando, ove necessario, la normativa che fa da supporto all’autorizzazione di bilancio, anche attraverso l’abrogazione di norme desuete e assorbite;

c) Individuare in modo certo il responsabile delle unità previsionali e dei relativi procedimenti;

d) Determinare, per ciascuna Upb, l’autorizzazione ai pagamenti sulla base dell’integrazione i tra flussi informativi provenienti dal Servizio di tesoreria prov. dello Stato, dal Sistema informativo della Direz.Gen.del Tesoro e dal Sistema informativo della Rag. Gen, dello Stato;

e) Ridefinire il sistema della Tesoreria unica in modo da prevederne, per le regioni e gli enti locali, il graduale superamento in connessione con il progressivo conferimento di ulteriori funzioni ed entrate proprie;

f) Riorganizzare i conti di Tesoreria in modo che essi siano raccordabili con la gestione dei capitoli di bilancio e delle Upb….Tale riorganizzazione deve consentire il raccordo…..tra il conto di cassa del settore statale e l’indebitamento netto della PA;

g) Disciplinare la procedura di formazione del bilancio sulla base di un esame delle esigenze funzionali e degli obiettivi concretamente perseguibili nel periodo cui si riferisce il bilancio, con esclusione del criterio della spesa storica incrementale;

h) Introdurre, ai fini della gestione e della rendicontazione, una contabilità analitica per “centri di costo”.

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Art.5/2. In funzione degli obiettivi di cui al comma 1, il decreto provvederà altresì “a ristrutturare il rendiconto generale dello Stato prevedendo la suddivisione in capitoli delle Upb, in modo da consentire la valutazione economica e finanziaria delle risultanze, di entrata e di spesa, evidenziando le entrate realizzate e i risultati conseguiti in relazione agli obiettivi stabiliti negli strumenti di programmazione economico-finanziaria e di bilancio, agli indicatori di efficacia e di efficienza ed agli obiettivi delle principali leggi di spesa, nonché introducendo, per il conto del patrimonio, un livello di classificazione che fornisca l’individuazione dei beni dello Stato suscettibili di utilizzazione economica, anche ai fini di una analisi economica della gestione patrimoniale.” Art.6/2. “Con la stessa procedura e nel rispetto dei medesimi criteri e principi direttivi” …sono emanate “norme regolamentari per il finanziamento e la gestione dei programmi comuni a più amministrazioni, anche mediante la confluenza in un unico fondo degli stanziamenti autorizzati…, e .la semplificazione e l’accelerazione delle procedure di spesa e contabili che disciplinano i programmi comuni”.

Decreto legislativo 1997/279. “Individuazione delle unità previsionali di base del bilancio

dello Stato, riordino del sistema di tesoreria unica e ristrutturazione del Rendiconto generale dello Stato”

Passaggi significativi Art. 1(Unità previsionali di base) “1. A decorrere dall'anno finanziario 1998 il bilancio di previsione dello Stato e' ripartito, per l'entrata e per la spesa, in Unita' previsionali di base (Upb) (nero nostro), che formano oggetto di approvazione parlamentare. Le Upb costituiscono l'insieme organico delle risorse finanziarie affidate alla gestione di un unico Centro di responsabilita' amministrativa (Cdr). La determinazione delle Upb deve assicurare la piena rispondenza della gestione finanziaria agli obiettivi posti all'azione amministrativa dello Stato, nell'ambito del criterio della ripartizione delle risorse per funzioni, individuate con riferimento agli obiettivi generali perseguiti dalle politiche pubbliche di settore ed all'esigenza di verificare la congruenza delle attività amministrative agli obiettivi medesimi, anche in termini di servizi finali resi ai cittadini.”

2. Per l'entrata, le Upb sono articolate per titoli (ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 3 aprile 1997, n. 94), e, nel loro ambito, per tipologia del cespite. Per le entrate tributarie, le Upb sono ulteriormente distinte secondo che il gettito derivi dalla gestione ordinaria dei tributi ovvero dalla specifica attività di accertamento e di controllo degli uffici finanziari.

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3. Per la spesa, le Upb sono ripartite secondo che si riferiscano alla spesa corrente, a quella in conto capitale ed al rimborso di prestiti. La ripartizione per spese correnti e spese in conto capitale esprime l'aggregato delle corrispondenti Upb di livello inferiore, individuate ai sensi di quanto stabilito dal comma 4, oggetto del voto parlamentare. 4. Le Upb per la spesa corrente sono articolate in unità per spese di funzionamento, per interventi, per trattamenti di quiescenza e altri trattamenti integrativi o sostitutivi di questi ultimi, per oneri del debito pubblico e per oneri comuni. Le componenti delle spese di funzionamento, comprese quelle di personale, sono indicate, di norma, ai soli fini conoscitivi, ad eccezione delle ipotesi in cui le speciali caratteristiche della spesa ne renda necessaria l'articolazione in Upb a se stanti, tenuto conto dei requisiti previsti dal comma 1. Le Upb per la spesa in conto capitale sono articolate in unità per spese di investimento, per oneri comuni e, in via residuale, per le altre spese. 5. In applicazione dell'articolo 17, comma 4, della legge 5 agosto 1978, n. 468 e successive integrazioni e modificazioni, il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, di concerto con il Ministro competente, individua le Upb per l'applicazione di provvedimenti legislativi pubblicati successivamente alla presentazione del bilancio di previsione. 6. Il livello di responsabilita' amministrativa, in relazione al quale sono determinate Upb, è individuato in modo da assicurare il costante adeguamento della struttura del bilancio dello Stato agli ordinamenti legislativi ed alle altre normative di organizzazione dell'amministrazione dello Stato, tenuto conto, fra l'altro, di quanto stabilito dalla legge 15 marzo 1997, n. 59. L'individuazione delle Upb persegue, sul piano contabile, gli obiettivi e le finalità di riforma delle pubbliche amministrazioni e di semplificazione amministrativa, con particolare riguardo a quanto stabilito dalle leggi 7 agosto 1990, n. 241, e 15 marzo 1997, n. 59, nonché dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive integrazioni e modificazioni, e dal decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367. 7. Il contenuto delle Upb e le modificazioni eventualmente introdotte nel numero e nell'articolazione delle unità stesse rispetto all'anno precedente sono illustrati negli allegati tecnici che integrano le note preliminari a ciascuno stato di previsione. Nell'allegato tecnico sono indicati, tra l'altro, i capitoli nei quali è disaggregata ciascuna Upb ai fini della gestione e della rendicontazione, nonchè il carattere giuridicamente obbligatorio o discrezionale delle spese, con il rinvio alle relative disposizioni legislative; sono indicati, altresì, i tempi di esecuzione dei programmi e dei progetti finanziati nell'ambito dello stato di previsione. Sono inoltre enucleate, nell'ambito delle spese di investimento, quelle destinate alle regioni in ritardo di sviluppo ai sensi dei regolamenti dell'Unione europea. 8. Per l'anno finanziario 1998 le Upb di entrata e di spesa, che formano oggetto di approvazione parlamentare, sono individuate, ai fini di cui al comma 9, nella tabella A allegata al presente decreto legislativo. 9. La determinazione delle Upb è effettuata con il disegno di legge di approvazione del bilancio dello Stato, con il quale si provvede alle eventuali modifiche o integrazioni rispetto alla classificazione dell'esercizio precedente. In

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appositi allegati al disegno di legge di bilancio sono indicati, divisi per stati di previsione, le predette Upb e le funzioni obiettivo di cui al comma 1.

Art.3(Gestione del bilancio) 1. Contestualmente all'entrata in vigore della legge di approvazione del bilancio il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, con proprio decreto, d'intesa con le amministrazioni interessate, provvede a ripartire le Upb in capitoli, ai fini della gestione e della rendicontazione. 2. I Ministri, entro dieci giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio, assegnano, in conformità dell'articolo 14 del citato decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni, le risorse ai dirigenti generali titolari dei Cdr delle rispettive amministrazioni, previa definizione degli obiettivi che l'amministrazione intende perseguire e indicazione del livello dei servizi, degli interventi e dei programmi e progetti finanziati nell'ambito dello stato di previsione. Il decreto di assegnazione delle risorse è comunicato alla competente ragioneria anche ai fini della rilevazione e del controllo dei costi, e alla Corte dei conti. 3. Il titolare del Cdr è il responsabile della gestione e dei risultati derivanti dall'impiego delle risorse umane, finanziarie e strumentali assegnate. 4. Il dirigente generale esercita autonomi poteri di spesa nell'ambito delle risorse assegnate, e di acquisizione delle entrate; individua i limiti di valore delle spese che i dirigenti possono impegnare ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni. 5. Variazioni compensative possono essere disposte, su proposta del dirigente generale responsabile, con decreti del Ministro competente, esclusivamente nell'ambito della medesima Upb. I decreti di variazione sono comunicati, anche con evidenze informatiche, al Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per il tramite della competente ragioneria, nonché alle Commissioni parlamentari competenti e alla Corte dei conti. Art. 4 (Gestione unificata delle spese strumentali) 1. Al fine del contenimento dei costi e di evitare duplicazioni di strutture, la gestione di talune spese a carattere strumentale, comuni a più Cdr nell'ambito dello stesso Ministero, può essere affidata ad un unico ufficio o struttura di servizio. 2. L'individuazione delle spese che sono svolte con le modalità di cui al comma 1, nonchè degli uffici o strutture di gestione unificata, è effettuata dal Ministro competente, con proprio decreto, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. 3. I titolari dei Cdr ai quali le spese comuni sono riferite provvedono a quanto necessario affinchè l'ufficio di gestione unificata, possa procedere, anche in via continuativa, all'esecuzione delle spese e all'imputazione delle stesse all'Upb di rispettiva pertinenza.

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Art. 10 (Sistema di contabilità economica delle pubbliche amministrazioni Al fine di consentire la valutazione economica dei servizi e delle attività prodotti, le pubbliche amministrazioni adottano, anche in applicazione dell'articolo 64 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, e dell'articolo 25 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni e integrazioni, un sistema di contabilità economica fondato su rilevazioni analitiche per centri di costo. Esso collega le risorse umane, finanziarie e strumentali impiegate con i risultati conseguiti e le connesse responsabilità dirigenziali, allo scopo di realizzare il monitoraggio dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'azione svolta dalle singole amministrazioni. Queste ultime provvedono alle rilevazioni analitiche riguardanti le attività di propria competenza secondo i criteri e le metodologie unitari previsti dal sistema predetto, al quale adeguano anche le rilevazioni di supporto al controllo interno, assicurando l'integrazione dei sistemi informativi e il costante aggiornamento dei dati. 2. Le componenti del sistema pubblico di contabilità economica per centri di costo sono: il piano dei conti; i centri di costo e i servizi erogati. 3. Il piano dei conti, definito nella tabella B allegata al presente decreto legislativo, costituisce lo strumento per la rilevazione economica dei costi necessario al controllo di gestione. 4. I centri di costo sono individuati in coerenza con il sistema dei Cdr, ne rilevano i risultati economici e ne seguono l'evoluzione, anche in relazione ai provvedimenti di riorganizzazione. 5. I servizi esprimono le funzioni elementari, finali e strumentali, cui danno luogo i diversi centri di costo per il raggiungimento degli scopi dell'amministrazione. Essi sono aggregati nelle funzioni-obiettivo che esprimono le missioni istituzionali di ciascuna amministrazione interessata. In base alla definizione dei servizi finali e strumentali evidenziati nelle rilevazioni analitiche elementari, il Ministro competente individua gli indicatori idonei a consentire la valutazione di efficienza, di efficacia e di economicità del risultato della gestione, anche ai fini delle valutazioni di competenza del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica ai sensi dell'articolo 4-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468, aggiunto dall'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 1997, n. 94. Per le altre amministrazioni pubbliche provvedono gli organi di direzione politica o di vertice. Art. 11 (Raccordo tra contabilità economica e contabilità finanziaria)

Al fine di collegare il risultato economico scaturente dalla contabilità analitica dei costi con quello della gestione finanziaria delle spese risultante dal rendiconto generale dello Stato devono essere evidenziate le poste integrative e rettificative che esprimono le diverse modalità di contabilizzazione dei fenomeni di gestione.

Art. 12 (Armonizzazione dei flussi informativi)

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1. Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, adottano le misure organizzative necessarie per la rilevazione e per l'analisi dei costi e dei rendimenti dell'attività amministrativa e della gestione dei singoli centri di costo, secondo il sistema pubblico di contabilità economica di cui all'articolo 10. 2. Le rilevazioni e le risultanze della contabilità economica sono utilizzate dalle amministrazioni interessate e dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, al quale i dati sono comunicati dalle amministrazioni, ove possibile con evidenze informatiche, per il tramite delle competenti ragionerie, anche ai fini della formulazione dei progetti di bilancio, della migliore allocazione delle risorse, della programmazione dell'attività finanziaria, del monitoraggio degli effetti finanziari delle manovre di bilancio e della valutazione tecnica dei costi e degli oneri dei provvedimenti e delle iniziative legislative nei settori di pertinenza delle competenti amministrazioni. 3. Nelle amministrazioni pubbliche il servizio di controllo interno è l'organismo di riferimento per le rilevazioni e le analisi dei costi e dei risultati della gestione.

Decreto legislativo 1999/286 (applicativo dell’art.11 della Legge 1997/59)

Art. 1 (Principi generali del controllo interno)

1. Le pubbliche amministrazioni, nell'ambito della rispettiva autonomia, si dotano di strumenti adeguati a:

a. garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile);

b. verificare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati (controllo di gestione);

c. valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale (valutazione della dirigenza);

d. valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti (valutazione e controllo strategico).

2. La progettazione d'insieme dei controlli interni rispetta i seguenti principi generali, obbligatori per i Ministeri, applicabili dalle regioni nell'ambito della propria autonomia organizzativa e legislativa e derogabili da parte di altre amministrazioni pubbliche, fermo restando il principio di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, di qui in poi denominato "decreto n. 29":

a. l'attività di valutazione e controllo strategico supporta l'attività di programmazione strategica e di indirizzo politico-amministrativo di cui agli articoli 3, comma 1, lettere b) e c), e 14 del decreto n. 29. Essa è

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pertanto svolta da strutture che rispondono direttamente agli organi di indirizzo politico-amministrativo. Le strutture stesse svolgono, di norma, anche l'attività di valutazione dei dirigenti direttamente destinatari delle direttive emanate dagli organi di indirizzo politico-amministrativo, in particolare dai Ministri, ai sensi del successivo articolo 8;

b. il controllo di gestione e l'attività di valutazione dei dirigenti, fermo restando quanto previsto alla lettera a), sono svolte da strutture e soggetti che rispondono ai dirigenti posti al vertice dell'unita' organizzativa interessata;

c. l'attività di valutazione dei dirigenti utilizza anche i risultati del controllo di gestione, ma è svolta da strutture o soggetti diverse da quelle cui e' demandato il controllo di gestione medesimo;

d. le funzioni di cui alle precedenti lettere sono esercitate in modo integrato; e. è fatto divieto di affidare verifiche di regolarità amministrativa e contabile

a strutture addette al controllo di gestione, alla valutazione dei dirigenti, al controllo strategico.

3. Gli enti locali e le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura possono adeguare le normative regolamentari alle disposizioni del presente decreto, nel rispetto dei propri ordinamenti generali e delle norme concernenti l'ordinamento finanziario e contabile. 4. Il presente decreto non si applica alla valutazione dell'attività didattica e di ricerca dei professori e ricercatori delle università, all'attività didattica del personale della scuola, all'attività di ricerca dei ricercatori e tecnologi degli enti di ricerca. 5. Ai sensi degli articoli 13, comma 1, e 24, comma 6, ultimo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, le disposizioni relative all'accesso ai documenti amministrativi non si applicano alle attività di valutazione e controllo strategico. Resta fermo il diritto all'accesso dei dirigenti di cui all'articolo 5, comma 3, ultimo periodo. 6. Gli addetti alle strutture che effettuano il controllo di gestione, la valutazione dei dirigenti e il controllo strategico riferiscono sui risultati dell'attività svolta esclusivamente agli organi di vertice dell'amministrazione, ai soggetti, agli organi di indirizzo politico- amministrativo individuati dagli articoli seguenti, a fini di ottimizzazione della funzione amministrativa. ….In ordine ai fatti così segnalati, e la cui conoscenza consegua dall'esercizio delle relative funzioni di controllo o valutazione, non si configura l'obbligo di denuncia al quale si riferisce l'articolo 1, comma 3, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Art. 4. (Controllo di gestione)1. Ai fini del controllo di gestione, ciascuna amministrazione pubblica definisce:

a. l'unità o le unità responsabili della progettazione e della gestione del controllo di gestione;

b. le unità organizzative a livello delle quali si intende misurare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa;

c. le procedure di determinazione degli obiettivi gestionali e dei soggetti responsabili;

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d. l'insieme dei prodotti e delle finalità dell'azione amministrativa, con riferimento all'intera amministrazione o a singole unità organizzative;

e. le modalità di rilevazione e ripartizione dei costi tra le unità organizzative e di individuazione degli obiettivi per cui i costi sono sostenuti;

f. gli indicatori specifici per misurare efficacia, efficienza ed economicità; g. g) la frequenza di rilevazione delle informazioni.

2. Nelle amministrazioni dello Stato, il sistema dei controlli di gestione supporta la funzione dirigenziale di cui all'articolo 16, comma 1, del decreto n. 29. Le amministrazioni medesime stabiliscono le modalità operative per l'attuazione del controllo di gestione entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente decreto, dandone comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con propria direttiva, periodicamente aggiornabile, stabilisce in maniera tendenzialmente omogenea i requisiti minimi cui deve ottemperare il sistema dei controlli di gestione. 3. Nelle amministrazioni regionali, la legge quadro di contabilità contribuisce a delineare l'insieme degli strumenti operativi per le attività di pianificazione e controllo. Art. 5 (.La valutazione del personale con incarico dirigenziale) 1. Le pubbliche amministrazioni, sulla base anche dei risultati del controllo di gestione, valutano, in coerenza a quanto stabilito al riguardo dai contratti collettivi nazionali di lavoro, le prestazioni dei propri dirigenti, nonché i comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi assegnate (competenze organizzative). 2. La valutazione delle prestazioni e delle competenze organizzative dei dirigenti tiene particolarmente conto dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione. La valutazione ha periodicità annuale. Il procedimento per la valutazione è ispirato ai principi della diretta conoscenza dell'attività del valutato da parte dell'organo proponente o valutatore di prima istanza, della approvazione o verifica della valutazione da parte dell'organo competente o valutatore di seconda istanza, della partecipazione al procedimento del valutato. 3. Per le amministrazioni dello Stato, la valutazione è adottata dal responsabile dell'ufficio dirigenziale generale interessato, su proposta del dirigente, eventualmente diverso, preposto all'ufficio cui è assegnato il dirigente valutato. Per i dirigenti preposti ad uffici di livello dirigenziale generale, la valutazione è adottata dal capo del dipartimento o altro dirigente generale sovraordinato. Per i dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni ed ai quali si riferisce l'articolo 14, comma 1, lettera b), del decreto n. 29, la valutazione è effettuata dal Ministro, sulla base degli elementi forniti dall'organo di valutazione e controllo strategico. 4. La procedura di valutazione di cui al comma 3, costituisce presupposto per l'applicazione delle misure di cui all'articolo 21, commi 1 e 2, del decreto n. 29, in materia di responsabilità dirigenziale. In particolare, le misure di cui al comma 1, del predetto articolo si applicano allorché i risultati negativi dell'attività amministrativa e della gestione o il mancato raggiungimento degli obiettivi

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emergono dalle ordinarie ed annuali procedure di valutazione. Tuttavia, quando il rischio grave di un risultato negativo si verifica prima della scadenza annuale, il procedimento di valutazione può essere anticipatamente concluso. Il procedimento di valutazione è anticipatamente concluso, inoltre nei casi previsti dal comma 2, del citato articolo 21, del decreto n. 29. …… Art. 6. (La valutazione e il controllo strategico)1. L'attività di valutazione e controllo strategico mira a verificare, in funzione dell'esercizio dei poteri di indirizzo da parte dei competenti organi, l'effettiva attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed altri atti di indirizzo politico. L'attività stessa consiste nell'analisi, preventiva e successiva, della congruenza e/o degli eventuali scostamenti tra le missioni affidate dalle norme, gli obiettivi operativi prescelti, le scelte operative effettuate e le risorse umane, finanziarie e materiali assegnate, nonché nella identificazione degli eventuali fattori ostativi, delle eventuali responsabilità per la mancata o parziale attuazione, dei possibili rimedi. 2. Gli uffici ed i soggetti preposti all'attività di valutazione e controllo strategico riferiscono in via riservata agli organi di indirizzo politico, con le relazioni di cui al comma 3, sulle risultanze delle analisi effettuate. Essi di norma supportano l'organo di indirizzo politico anche per la valutazione dei dirigenti che rispondono direttamente all'organo medesimo per il conseguimento degli obiettivi da questo assegnatigli. 3. Nelle amministrazioni dello Stato, i compiti di cui ai commi 1 e 2 sono affidati ad apposito ufficio, operante nell'ambito delle strutture di cui all'articolo 14, comma 2, del decreto n. 29, denominato Servizio di controllo interno[Secin] e dotato di adeguata autonomia operativa. La direzione dell'ufficio può essere dal Ministro affidata anche ad un organo collegiale, ferma restando la possibilità di ricorrere, anche per la direzione stessa, ad esperti estranei alla pubblica amministrazione, ai sensi del predetto articolo 14, comma 2, del decreto n. 29. I servizi di controllo interno operano in collegamento con gli uffici di statistica istituiti ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322. Essi redigono almeno annualmente una relazione sui risultati delle analisi effettuate, con proposte di miglioramento della funzionalità delle amministrazioni. Possono svolgere, anche su richiesta del Ministro, analisi su politiche e programmi specifici dell'amministrazione di appartenenza e fornire indicazioni e proposte sulla sistematica generale dei controlli interni nell'amministrazione Art. 7.(Compiti della Presidenza del Consiglio dei Ministri)1. Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è costituita una banca dati, accessibile in via telematica e pienamente integrata nella rete unitaria della pubblica amministrazione, alimentata dalle amministrazioni dello Stato, alla quale affluiscono, in ogni caso, le direttive annuali dei Ministri e gli indicatori di efficacia, efficienza, economicità relativi ai centri di responsabilità e alle funzioni obiettivo del bilancio dello Stato. 2. Per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri si avvale di

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un apposito comitato tecnico scientifico e dell'osservatorio di cui al comma 3. Il comitato e' composto da non più di sei membri, scelti tra esperti di chiara fama, anche stranieri, uno in materia di metodologia della ricerca valutativa, gli altri nelle discipline economiche, giuridiche, politologiche, sociologiche e statistiche. Si applica, ai membri del comitato, l'articolo 31 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e ciascun membro non può durare complessivamente in carica per più di sei anni. Il comitato formula, anche a richiesta del Presidente del Consiglio dei Ministri, valutazioni specifiche di politiche pubbliche o programmi operativi plurisettoriali.

3. L'osservatorio è istituito nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è organizzato con decreto del Presidente del Consiglio. L'osservatorio, tenuto anche conto delle esperienze in materia maturate presso Stati esteri e presso organi costituzionali, ivi compreso il CNEL, fornisce indicazioni e suggerimenti per l'aggiornamento e la standardizzazione dei sistemi di controllo interno, con riferimento anche, ove da queste richiesto, alle amministrazioni pubbliche non statali. Art. 8. (Direttiva annuale del Ministro)1. La direttiva annuale del Ministro di cui all'articolo 14, del decreto n. 29, costituisce il documento base per la programmazione e la definizione degli obiettivi delle unità dirigenziali di primo livello. In coerenza ad eventuali indirizzi del Presidente del Consiglio dei Ministri, e nel quadro degli obiettivi generali di parità e pari opportunità previsti dalla legge, la direttiva identifica i principali risultati da realizzare, in relazione anche agli indicatori stabiliti dalla documentazione di bilancio per centri di responsabilità e per funzioni-obiettivo, e determina, in relazione alle risorse assegnate, gli obiettivi di miglioramento, eventualmente indicando progetti speciali e scadenze intermedie. La direttiva, avvalendosi del supporto dei servizi di controllo interno di cui all'articolo 6, definisce altresì i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e valutazione dell'attuazione. 2. Il personale che svolge incarichi dirigenziali ai sensi dell'articolo 19, commi 3 e 4, del decreto n. 29, eventualmente costituito in conferenza permanente, fornisce elementi per l'elaborazione della direttiva annuale. Art. 9. (Sistemi informativi)1. Ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera a), della legge 15 marzo 1997, n. 59, il sistema di controllo di gestione e il sistema di valutazione e controllo strategico delle amministrazioni statali si avvalgono di un sistema informativo-statistico unitario, idoneo alla rilevazione di grandezze quantitative a carattere economico-finanziario. La struttura del sistema informativo-statistico basata su una banca dati delle informazioni rilevanti ai fini del controllo, ivi comprese quelle di cui agli articoli 63 e 64 del decreto n. 29, e sulla predisposizione periodica di una serie di prospetti numerici e grafici (sintesi statistiche) di corredo alle analisi periodiche elaborate dalle singole amministrazioni. Il sistema informativo-

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statistico è organizzato in modo da costituire una struttura di servizio per tutte le articolazioni organizzative del Ministero. 2. I sistemi automatizzati e le procedure manuali rilevanti ai fini del sistema di controllo, qualora disponibili, sono i seguenti:

a. sistemi e procedure relativi alla rendicontazione contabile della singola amministrazione;

b. sistemi e procedure relativi alla gestione del personale (di tipo economico, finanziario e di attività - presenze, assenze, attribuzione a centro di disponibilità);

c. sistemi e procedure relativi al fabbisogno ed al dimensionamento del personale;

d. sistemi e procedure relativi alla rilevazione delle attività svolte per la realizzazione degli scopi istituzionali (erogazione prodotti/servizi, sviluppo procedure amministrative) e dei relativi effetti;

e. sistemi e procedure relativi alla analisi delle spese di funzionamento (personale, beni e servizi) dell'amministrazione

f. sistemi e procedure di contabilità analitica. Art. 11. (Qualità dei servizi pubblici)1. I servizi pubblici nazionali e locali sono erogati con modalità che promuovono il miglioramento della qualità e assicurano la tutela dei cittadini e degli utenti e la loro partecipazione, nelle forme, anche associative, riconosciute dalla legge, alle inerenti procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi. 2. Le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfettario all'utenza per mancato rispetto degli standard di qualità sono stabilite con direttive, aggiornabili annualmente, del Presidente del Consiglio dei Ministri. Per quanto riguarda i servizi erogati direttamente o indirettamente dalle regioni e dagli enti locali, si provvede con atti di indirizzo e coordinamento adottati d'intesa con la conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. 3. Le iniziative di coordinamento, supporto operativo alle amministrazioni interessate e monitoraggio sull'attuazione del presente articolo sono adottate dal Presidente del Consiglio dei Ministri, supportato da apposita struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. E' ammesso il ricorso a un soggetto privato, da scegliersi con gara europea di assistenza tecnica, sulla base di criteri oggettivi e trasparenti. 4. Sono in ogni caso fatte salve le funzioni e i compiti legislativamente assegnati, per alcuni servizi pubblici, ad autorità indipendenti.

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Appendice n.2 La legge americana del GPRA (Government Performance

and Result Act)1

103° Congresso degli Stati Uniti di America 1° Sessione Washington, 5 Gennaio 1993 Una Legge per istituire la pianificazione strategica (strategic planning) e la misurazione delle prestazioni (performance measurement)2 nel Governo federale, e per altri scopi

1 Qui inserisco come documento, il testo della Legge americana GPRA, nell’unica traduzione integrale italiana (di F.Archibugi) esistente (almeno a conoscenza) inclusa nel mio libro: Da burocrate a manager: le vie difficili della riforma della gestione pubblica in Italia, Roma Edizioni del Centro di studi e piani economici, 2002. 2 [Nota di F.Archibugi] La traduzione italiana dei vocaboli inglesi performance e result (utilizzati in questa legge ed ampiamente diffusi in tutta la letteratura del genere amministrativo), presenta qualche difficoltà, che fa pensare ad una loro "intraducibilità" (talchè potrebbe essere forse opportuno il loro uso tal quale - come neo-logismo d'origine inglese o anglicismo - nella stessa lingua italiana). Infatti performance (che è, secondo l'Oxford Dictionary, l' atto di perform, che significa: eseguire, fare (un capo d'opera, qualcosa ordinata o che si è promesso di fare) si traduce in italiano - in mancanza, in questa lingua, di un suo corrispettivo di origine latina (che potrebbe essere "performare" o "performanza") con diversi vocaboli: eseguire/esecuzione, o adempiere/adempimento, o assolvere/svolgimento di un compito, etc., prestazione. Tutti vocaboli, però che mal si adattano al concetto di capacità realizzativa e di prestazione efficiente che è incluso nella parola performance quando applicata in particolare ad un fatto sociale ed istituzionale, come la amministrazione politica. Nella ridda delle opportunità linguistiche offerte alla traduzione (se proprio non si vuole - come sarebbe saggio - ricorrere ai neologismi, come avviene ormai in migliaia di casi, in cui l'inglese diventa "trans-linguistico", ma non solo l'inglese,) sceglieremmo per l'uso amministrativo e politico di performance la parola "prestazioni" (da usarsi in prevalenza al plurale, e spesso - per qualificare il concetto - con l'aggettivo "efficienti"). Per altre parole di non perfetta traducibilità, abbonderemo nel riportarle nella loro dizione inglese originale, tra parentesi.

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[approvata dal Senato e dalla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti di

America riuniti in Congresso] Sezione 1: titolo breve Questa Legge può essere chiamata come "Legge sulle prestazioni e i risultati della Pubblica Amministrazione" (Government Performance and Results Act - GPRA) del 1993. Sezione 2: Dichiarazioni e intenzioni a) Dichiarazioni: Il Congresso dichiara che − sprechi ed inefficienza nei programmi federali minano la fiducia del

popolo americano nella pubblica amministrazione e riducono la capacità del Governo federale di andare incontro in modo adeguato ai bisogni pubblici vitali;

− i dirigenti (managers) federali sono seriamente svantaggiati nei loro sforzi per migliorare l'efficienza e l'efficacia (efficiency and effectiveness) dei programmi, a causa di una insufficiente articolazione delle finalità programmatiche (program goals)3 e da una inadeguata informazione sulle prestazioni dei programmi (program performance); e

− la attività politico-decisionale del Congresso (congressional policy-making), deliberando alla cieca decisioni e programmi, è seriamente handicappata da una insufficiente attenzione alle prestazioni e ai risultati programmatici (program performance and results).

b) Intenzioni: Le intenzioni di questa Legge sono di: − migliorare la fiducia del popolo americano nelle capacità del Governo

federale, mettendo in modo sistematico le agenzie federali in condizioni di tenere conto dei risultati programmatici da acquisire;

− dare inizio ad una riforma delle prestazioni programmatiche (program performance reform) con una serie di progetti pilota concernenti la determinazione delle finalità programmatiche (program goals), la misurazione delle prestazioni programmatiche (measuring program performance) rispetto a tali obiettivi, e fornendo pubblicamente rapporti sul loro progresso;

− migliorare la efficacia e la resa di pubblico dominio dei programmi federali attraverso la promozione di nuove capacità di mettere a fuoco (new focus) sui risultati, la qualità di servizio, e il gradimento del pubblico;

− aiutare i dirigenti federali a migliorare l'erogazione dei servizi, chiedendo loro di pianificare il conseguimento degli obiettivi programmatici (plan for

3 In questa legge si fa spesso distinzione fra goals e obiectives. Abbiamo così tradotto in modo omogeneo goal con "finalità" e objective con "obiettivo".

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meeting program objectives), e fornendo loro adeguata informazione sui risultati programmatici e la qualità dei servizi.

− migliorare la attività decisionale del Congresso (congressional decisionmaking) fornendo una informazione più obiettiva sul conseguimento degli obiettivi legali e sulla relativa efficacia ed efficienza dei programmi e della spesa federali.

− migliorare la gestione interna (internal management) del Governo federale.

Sezione 3: Pianificazione strategica (strategic planning) Il capitolo 3 del titolo 5 del Codice degli Stati Uniti è emendato aggiungendo

dopo la sezione 305 la nuova seguente sezione: Sezione 306: Piani strategici.

a) Non più tardi del 30 Settembre 1997, il capo di ogni agenzia deve sottoporre al Direttore dell' Office of Management and Budget - OMB (Ufficio della Gestione e del Bilancio)4 e al Congresso un piano strategico per le attività programmatiche. Tale piano dovrà contenere:

− una "dichiarazione di missione complessiva" (comprehensive mission statement) che copra le principali funzioni ed operazioni della agenzia;

− le finalità e gli obiettivi generali, compresi le finalità e gli obiettivi connessi ai servizi prodotti (outcome-related), per le principali funzioni ed operazioni dell'agenzia;

− una descrizione di come le finalità e gli obiettivi debbano essere conseguiti, compresa una descrizione dei processi operativi, delle qualificazioni (skills) e delle tecnologie, e delle risorse, umane, di capitale, di informazione, ed altre, necessarie per conseguire quelle finalità e quegli obiettivi;

− una descrizione di come le finalità di prestazione (performance goals) inclusi nel piano richiesto dalla Sezione 1115(a) del titolo 31 ["piano delle prestazioni", vedi sotto] saranno messi in riferimento con le fnalità e gli obiettivi del piano strategico;

− una identificazione di quei fattori chiave esterni all'agenzia, e fuori del suo controllo, che possono influenzare in modo determinante il raggiungimento delle finalità generali e degli obiettivi; e

− una descrizione delle valutazioni programmatiche usate per determinare o riaggiustare le finalità e gli obiettivi generali, con un prospetto per le future valutazioni programmatiche.

4 L'OMB, insieme ad altri Uffici compongono la Executive Branch (branca esecutiva) della Casa Bianca, dipendendo direttamente dalla Presidenza (e Vice-Presidenza) e non hanno a capo un Segretario di Stato.

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b) Il piano strategico dovrà coprire un periodo non inferiore a cinque anni a partire dall'anno fiscale nel quale è stato consegnato, e dovrà essere aggiornato e revisionato almeno ogni tre anni.

c) Il piano di prestazioni richiesto dalla Sezione 1115 del Titolo 31 dovrà essere coerente con il piano strategico dell'agenzia. Un piano di gestione non potrà essere consegnato per un anno fiscale non coperto da un corrente piano strategico (di cui a questa sezione).

d) Nell'elaborazione (developing) di un piano strategico, l'agenzia dovrà consultare il Congresso, e dovrà sollecitare e prendere in considerazione i punti di vista e i suggerimenti di quegli enti potenzialmente colpiti da, o interessati a, tale piano.

e) Le funzioni e le attività di questa sezione dovranno essere considerate per loro natura funzioni pubbliche (governmental functions). La elaborazione dei piani strategici (di cui alla presente Sezione) dovrà essere portata a termine solo da dipendenti federali.

f) Ai fini di questa sezione il termine agenzia significa una agenzia Esecutiva definita sotto la Sezione 1105, ma non include la Central Intelligence Agency, il General Accounting Office, la Panama Canal Commision, il United States Postal Service, e la Postal Rate Commission.

Sezione 4. I piani e i rapporti di prestazione annuali (a) Contenuti e sottomissione del bilancio al Congresso La Sezione 1105(a) del Titolo 31 del Codice degli Stati Uniti, è emendata alla

fine secondo il seguente nuovo paragrafo: (29) dando inizio con l'anno fiscale 1999, ad un "piano di prestazioni" (performance plan) del Governo federale per tutto il bilancio generale come previsto sotto la Sezione 1115. (b) Piani e rapporti di prestazione Il Capitolo 11 del Titolo 31 del Codice degli Stati Uniti, è emendato con

l'aggiunta, dopo la Sezione 1114, delle seguenti nuove Sezioni: Sezione 1115. I Piani di prestazione (Performance plans). a. Nell'applicare le previsioni della Sezione 1105(a) (29), il Direttore

dell'Office of Managemnet and Budget richiederà a ciascuna agenzia di preparare un piano annuale di prestazione che copra ogni attività programmatica (program activity) inserita nel bilancio di tale agenzia. Tale piano dovrà: b. stabilire le finalità di prestazione (performance goals) per definire il

livello di prestazione da raggiungere da una attività di programma;

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c. esprimere tali finalità in una oggettiva, quantificabile, e misurabile forma, salvo che non sia autorizzata una forma alternativa, (in base alla sottosezione b);

d. descrivere brevemente i processi operativi, le qualificazioni e le tecnologie, nonchè le risorse umane, di capitale, di informazione, ed altre, necessarie per raggiungere gli obiettivi programmatici (performances goals);

e. fissare gli indicatori di prestazione (performance indicators) da usarsi per la misurazione o la valutazione dei principali prodotti, i livelli di servizio, e gli esiti di ogni ogni attività programmatica (program activity);

f. fornire una base per confrontare gli attuali risultati di programma con le prefissate finalità di prestazione; e

g. descrivere i mezzi da usarsi per verificare e validare i valori misurati.

b. Se una agenzia, in consultazione con il Direttore dell'Office of Management and Budget, determina che non è possibile esprimere le finalità di prestazione di una particolare attività di programma in un forma oggettiva, quantificabile e misurabile, il Direttore dell'OMB può autorizzare una forma alternativa.Tale forma alternativa dovrà tuttavia: − includere una dichiarazione descrittiva separata di:

i. un programma minimamente efficace; ii. un programma riuscito; oppure

− tale alternativa così come autorizzata dal Direttore dell'OMB , con sufficiente precisione, e in tali termini da permettere una accurata, indipendente, determinazione se la prestazione delle attività di programma incontrano, oppure no, i criteri della descrizione; o

− dichiarare perchè non è fattibile o praticabile ed esprimere le finalità di prestazione in qualsiasi forma della attività di programma in questione.

c. Ai fini di conformarsi nei rispetti di questa sezione, un'agenzia può aggregare, o disaggregare, o consolidare delle attività di programma, a meno che qualsiasi aggregazione o consolidamento non ometta o non minimizzi il senso di ogni attività di programma che costituisca una delle principali funzioni o operazioni dell'agenzia in questione.

d. Un agenzia può sottoporre insieme al suo piano annuale di prestazione un appendice che copra ogni porzione di piano che: − sia autorizzata, in base a criteri fissati con un' Ordinanza esecutiva, a

mantenersi segreta nell'interesse della difesa nazionale o della politica estera; e

− sia appropriatamente classificata come conforme a tale Ordinanza esecutiva.

e. Le funzioni e le attività della presente sezione sono da considerarsi per loro natura funzioni pubbliche. La elaborazione dei piani di prestazione (di cui alla presente sezione) deve essere eseguita solo da dipendenti federali.

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f. Ai fini di questa sezione e delle sezioni da 1116 a 1119, e delle sezioni 9703 e 9704, il termine: − "agenzia" (agency) ha lo stesso significato di tale termine come

definito nella sezione 306(f)del titolo 5; − "misura dell'esito" (outcome measure) significa un giudizio dei risultati

di una attività di programma comparati con le sue intenzioni; − "misura del prodotto" (output measure) significa la tabulazione,

calcolo o registrazione di una attività o sforzo (activity o effort) che possono essere espressi in modo quantitativo o qualitativo;

− "finalità di prestazione" (goal performance) significa un oggettivo traguardo di prestazioni espresso come tangibile e misurabile oggettivamente , a fronte del quale si possa misurare un effettivo conseguimento, inclusa una finalità espressa in uno standard quantitativo, un valore, o un tasso;

− "indicatore di prestazione" (performance indicator) significa un valore o un carattere particolari usati per misurare il prodotto o l'esito;

− "attività di programma" o "programmatica" (program activity) significa una specifica attività o progetto come elencata nel programma e nel prospetto finanziario del bilancio annuale del Governo degli Stati Uniti; e

− "valutazione di programma" (program evaluation) significa un giudizio, attraverso una misura obiettiva ed una analisi sistematica, del modo e del grado in cui i programmi federali conseguono obiettivi mirati.

Sezione 1116. Rapporti di prestazione programmatica (Program Performance Reports) a. Non oltre il 31 Marzo del 2000, e non oltre il 31 Marzo di

ciascun anno successivo, il capo di ogni agenzia dovrà preparare e sottoporre al Presidente e al Congresso, un rapporto sulle prestazioni di programma per il precedente anno fiscale.

b. 1. Ogni rapporto di prestazione programmatica dovrà esporre gli indicatori

di prestazione stabiliti nel piano di prestazioni (di cui alla sezione 1115), attraverso cui l'effettiva prestazione di programma conseguita è comparata con le finalità di prestazione espresse nel piano per quell'anno fiscale;

2. Se le finalità di prestazione sono specificate in una forma alternativa (di cui alla sezione 1115(b), il risultato di tale programma dovrà essere descritto in relazione a tali specificazioni, ivi compreso se le prestazioni sono venute meno rispetto ai criteri di un programma minimamente effettivo o riuscito.

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b. Il rapporto per l'anno fiscale 2000 dovrà includere i risultati per il precedente anno fiscale, il rapporto per l'anno fiscale 2001 dovrà includere i risultati effettivi per i due precedenti anni fiscali, e il rapporto per l'anno fiscale 2002 e tutti i successivi rapporti, dovranno includere i risultati per i tre precedenti anni fiscali.

c. Ogni rapporto dovrà: 1. fare una rassegna dei risultati nell'acquisizione delle finalità di

prestazione dell'anno fiscale; 2. Valutare il piano di prestazioni per il corrente anno fiscale

relativamente alle prestazioni acquisite nei riguardi delle finalità di prestazione nell'anno fiscale coperto dal rapporto;

3. spiegare e descrivere, nel caso in cui una finalità di prestazione non è stata raggiunta, (compreso anche il caso in cui le prestazioni di una attività di programma non rispondono ai criteri di una attività riuscita [di cui alla sezione 1115 (b)(1)(A)(ii)] oppure un corrispondente livello di acquisizione se è usata una diversa forma alternativa)

A. perchè la finalità non è stata raggiunta; B. i piani e i prospetti per conseguire la finalità di prestazione prestabilita; e C. se la prestazione non è praticabile e fattibile, perchè è così e quale azione viene raccomandata;

4. descrivere l'uso e giudicare la efficacia nel conseguire finalità di prestazione di ogni rinuncia di cui alla sezione 9703 di questo titolo; e

5. includere le sintesi delle conclusioni di queste valutazioni di programma portate a compimento durante l'anno fiscale coperto dal rapporto.

d. Un capo di agenzia può includere tutte le informazioni sulle prestazioni programmatiche richieste annualmente (ai sensi di queta sezione) in una dichiarazione finanziaria annuale richiesta ai sensi della sezione 3515 se ognuna di tali dichiarazioni non sia sottoposta al Congresso oltre il 31 Marzo dell'anno fiscale cui si riferisce.

e. Le funzioni e le attività di questa sezione sono da considerarsi per loro natura funzioni pubbliche. L'elaborazione dei rapporti di prestazioni programmatiche dovrà essere portata a termine solo da dipendenti pubblici.

Sezione 1117: Esenzione Il Direttore dell'OMB può esentare dai requisiti di cui alle sezioni 1115 e 1116

di questo titolo e alla sezione 306 del titolo 5, ogni agenzia che ha una uscita annuale di 20.000.000 di dollari o meno.

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Sezione 5: Responsabilizzazione e flessibilità manageriali Il Cap.97 del Titolo 31 del Codice degli Stati Uniti è emendato con l'aggiunta

dopo la Sezione 9702 della seguente nuova Sezione 9703: Responsabilizzazione e flessibilità manageriali (Managerial accountability and flexibility).

A cominciare dall'anno fiscale 1999, i piani di prestazione (Performance plans) richiesti ai sensi della Sezione 1115 possono includere proposte per delle esenzioni (waiver) a norme e controlli procedurali amministrativi, inclusa la specificazione di adeguati livelli di personale (personnel staffing levels), limitazioni nella compensazione o remunerazione, e proibizioni o restrizioni nei trasferimenti di fondi fra bilanci oggetto della classificazione 20 e sottoclassificazioni 11, 12, 31 e 32 di ogni bilancio annuale presentato ai sensi della Sezione 1105, in cambio di una responsabilizzazione o organizzazione specifica singola allo scopo di conseguire delle finalità di prestazione. Nella preparazione e presentazione del piano di prestazioni di cui alla Sezione 1105(a)(29), il Direttore dell'OMB dovrà esaminare e approvare ogni tipo di esenzione proposta. Una esenzione avrà effetto dall'inizio dell'anno fiscale per il quale l'esenzione è stata approvata. Ciascuna delle proposte di cui alla Sotto-sezione (a) dovrà descrivere gli effetti sulle prestazioni che risulteranno da una più estesa flessibilità, discrezione e autorità, manageriale ed organizzativa. Gli attesi miglioramenti dovranno essere confrontati con le prestazioni attuali correnti, e con i livelli proiettati di prestazioni che si sarebbero acquisiti indipendentemente da ogni esenzione. Ogni proposta comportante esenzioni delle limitazioni sulle compensazioni e remunerazioni dovrà esprimere precisamente il mutamento monetario negli ammontari delle compensazioni o remunerazioni, come indennità e premi, che risulteranno dal conseguimento, il superamento o il fallimento delle finalità di prestazioni. Ogni esenzione proposta nelle procedure o controlli richiesti imposti da una agenzia (diversa da quella proponente o diversa dall'OMB) non può essere inclusa in un piano di prestazioni a meno che non sia formalmente accettata dalla agenzia che ha fissato la norma, e tale accettazione non sia inclusa nel piano di prestazione della agenzia proponente. L'esenzione avrà effetto per uno o due anni secondo specificazione da parte del Direttore dell' OMB nella approvazione dell'esenzione. Una esenzione può essere rinnovata per un anno successivo. Dopo che una esenzione sia stata in vigore per tre anni consecutivi, il piano di prestazioni (di cui alla sezione 1115) può proporre che una esenzione, diversa da una esenzione da limitazioni su compensi e remunerazioni, diventi permanente. Ai fini di questa Sezione, si dovranno applicare le definizioni di cui alla Sezione 1115(f).

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Sezione 6: Progetti pilota (Pilot Projects) (a) Piani e rapporti di prestazioni Il Cap.11 del Titolo 31 del Codice degli Stati Uniti, è emendato attraverso la

inserzione dopo la Sezione 1117 (come emendata dalla Sezione 4 di questa Legge) della seguente nuova Sezione: Sezione 1118. Progetti pilota per le finalità di prestazioni.

Il Direttore dell'OMB, dopo consultazione con il capo di ogni agenzia, designerà non meno di 10 agenzie come progetti pilota per la misura delle prestazioni per gli anni fiscali 1994, 1995 e 1996. Le agenzie selezionate dovranno riflettere una serie rappresentativa delle funzioni e delle competenze nella misurazione e nell' illustrazione (reporting) delle prestazioni programmatiche (program performance). I progetti pilota nelle agenzie selezionate intraprenderanno la preparazione dei piani di prestazioni (di cui alla Sez.1115), per una o più delle principali funzioni e operazioni della agenzia. Sarà usato un piano strategico quando si prepareranno i piani di prestazione durante uno o più anni di progetto pilota. Non oltre il 1 maggio 1997, il Direttore dell'OMB dovrà presentare i piani al Presidente e al Congresso che: − valuteranno i benefici, i costi, e l'utilità dei piani e rapporti preparati dalle

agenzie pilota nell'andare incontro alle intenzioni della Legge per le prestazioni e i risultati della Pubblica Amministrazione (GPRA) del 1993;

− identificheranno ogni significativa difficoltà incontrata dalle agenzie pilota nel preparare i piani e i rapporti; e

− apporteranno ogni mutamento raccomandato nelle norme previste dal CPRA del 1993, Sez.306 del Titolo 5, Sezioni 1105, 1115, 1116, 1117 e 9703 di questo Titolo e questa stessa Sezione.

(b) Responsabilizzazione e flessibilità manageriale Il Capitolo 97 del Titolo 31 del Codice degli Stati Uniti, è emendato con

l'inserzione dopo la Sezione 9703 (così come modificata dalla Sezione 5 della presente Legge) della seguente nuova Sezione, Sezione 9704: Progetti pilota per la responsabilizzazione e flessibilità manageriale.

Il Direttore dell'OMB designerà non meno di 5 agenzie come progetti pilota nel campo della responsabilizzazione e flessibilità manageriale per gli anni fiscali 1996 e 1997. Tali agenzie dovranno essere selezionate fra quelle designate come progetti pilota ai sensi della Sez. 1118 e dovranno riflettere un insieme rappresentativo delle funzioni e delle competenze della Pubblica amministrazione nella misurazione ed illustrazione delle prestazioni programmatiche.

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I progetti pilota nelle agenzie designate includeranno esenzioni proposte in conformità a quanto previsto dalla Sez.9704 per una o più delle principali funzioni ed operazioni della agenzia. Il Direttore dell'OMB dovrà includere nel rapporto al Presidente e al Congresso (richiesto nella Sez.1118(c): 1. una valutazione dei benefici, dei costi, e della utilità di accresciute

flessibilità, discrezionalità ed autorità, manageriali ed organizzative, in cambio di prestazioni migliorate attraverso esenzioni; e

2. una identificazione di ogni significativa difficoltà incontrata dalle agenzie pilota nel preparare le proposte esenzioni

3. Ai fini della presente Sezione si applicano le definizioni di cui alla Sez. 1115(f).

c) Bilanci di prestazioni Il Capitolo 11 del Titolo 31 del Codice degli Stati Uniti, è emendato con

l'inserzione dopo la Sezione 1118 (così come modificata dalla Sez. 6 di questa Legge) della seguente nuova Sezione, Sezione 1119: Progetti pilota per bilanci di prestazioni.

Il Direttore dell'OMB, dopo consultazione con il capo di ogni agenzia, designerà non meno di 5 agenzie come progetti pilota per la misura delle prestazioni per gli anni fiscali 1998 e 1999. Almeno tre delle agenzie dovranno essere selezionate fra quelle designate come progetti pilota dalla Sez.1118, e dovranno riflettere una serie rappresentativa delle funzioni e delle competenze nella misurazione e nell' illustrazione (reporting) delle prestazioni programmatiche (program performance). I progetti pilota nelle agenzie selezionate dovranno coprire la preparazione dei bilanci di prestazione. Tali bilanci dovranno presentare, per una o più fra le principali funzioni ed operazioni della agenzia, i vari livelli di prestazione, inclusi le prestazioni connesse agli esiti, che possono derivare da differenti ammontari di bilancio. Il Direttore dell'OMB dovrà includere, come presentazione di bilancio alternativo nel bilancio presentato (ai sensi della Sez.1105) per l'anno fiscale 1999, i bilanci di prestazione delle agenzie designate per questo anno fiscale. Non oltre il 1 maggio 2001, il Direttore dell'OMB dovrà trasmettere al Presidente e al Congresso un rapporto sui progetti pilota dei bilanci di prestazione che dovrà: − valutare la fattibilità e la raccomandabilità (feasibility and advisability): − di includere un bilancio di prestazione come parte del bilancio di cui alla

Sez. 1105; − descrivere qualsiasi difficoltà incontrata dalla agenzie pilota nel predisporre

i bilanci di prestazione;

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− raccomandare se dovrà essere proposta una legislazione che preveda i bilanci di prestazioni e in generale ogni tipo di intervento legislativo in proposito; e

− proporre ogni modificazione raccomandabile nelle altre normative del GPRA del 1993, Sez. 306 del Titolo 5, sotto-sezioni 1105, 1115, 1116, 1117, e 9703 di questo Titolo, e questa stessa Sezione.

Dopo la ricezione del rapporto previsto nella sottosezione (d), il Congresso potrà specificare che un bilancio di prestazione sia sottoposto come parte del bilancio annuale (previsto dalla Sez. 1105). Sezione 7: Omissis [La Sezione 7 della Legge ripete per il Servizio Postale degli Stati Uniti, quasi

esattamente quanto prescrive per ogni agenzia federale quanto a preparazione, procedure e gestione di Piani strategici, Piani di prestazione, Rapporti di prestazione, Bilanci di prestazione. Il ruolo specifico assegnato al Servizio Postale dalla Legge dipende dal ruolo specifico che questo Servizio ricopre nel Codice degli Stati Uniti di cui la Legge GPRA rappresenta in tutte le sue parti un emendamento].

Sezione 8: Supervisione e legislazione del Congresso In generale: Niente in questa Legge deve costituire una limitazione della

capacità del Congresso di fissare, emendare, sospendere o annullare una finalità di prestazione (performance goal). Ogni azione di questo tipo dovrà avere l'effetto di sospendere quella finalità nel piano sottoposto ai sensi della Sez. 1105(a)(29) del Titolo 31 del Codice degli Stati Uniti

Il Rapporto, GAO: Non oltre il 1 Giugno 1997, il Controllore Generale degli Stati Uniti farà rapporto al Congresso sulla realizzazione di questa Legge, ivi inclus i programmi di realizzazione da parte delle agenzie federali oltre a quelle partecipanti come progetti pilota (di cui alle Sez. 1118 e 9704 del Titolo 31 del Codice degli Stati Uniti.

Sezione 9: Addestramento L'Office of Personnel Management (OPM) (Ufficio della Gestione del

personale), in consultazione con il Direttore dell'Office of Management and Budget (OMB) e il Comptroller General degli Stati Uniti, dovranno elaborare una componente di addestramento nel campo della pianificazione strategica e della misurazione delle prestazioni (strategic planning and performance measurement training) per i propri programmi di formazione dirigenziale (managerial), o comunque fornire dirigenti (managers) con un orientamento verso lo sviluppo e

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l'uso della pianificazione strategica e la misurazione delle prestazione di programma.

Sezione 10: Applicazione della Legge Nessuna disposizione o emendamento previsti da questa Legge possono

costituire una base per: − creare qualsiasi diritto, privilegio, beneficio, o titolo per qualsiasi persona

che non sia un funzionario o dipendente (officer or employee) degli Stati Uniti di agire in questa capacità, e nessuna persona che non sia un funzionario o dipendente degli Stati Uniti agendo in questa veste potrà intraprendere alcuna azione civile in una corte degli Stati Uniti per far rispettare ogni disposizione o emendamento previsto da questa Legge; o

− soppiantare qualsiasi norma regolamentare, incluso qualsiasi requisito di cui alla Sezione 553 del Titolo 5 del Codice degli Stati Uniti.

Sezione 11: Emendamenti tecnici e di conformità Emendamento al Titolo 5, del Codice degli Stati Uniti: La Tavola delle Sezioni

del Cap. 3 del Titolo 5, Codice degli Stati Uniti, è emendata aggiungendo dopo la voce relativa alla Sezione 305 della seguente: 306: Piani strategici.

Emendamento al titolo 31, del Codice degli Stati Uniti: 1 Emendamento al Capitolo 11: La Tavola delle Sezioni del Cap.11 del Titolo

31, Codice degli Stati Uniti, è emendata aggiungendo dopo la voce relativa alla Sezione 1114 la seguente:

− 1115. Piani di prestazione. − 1116. Rapporti sulle prestazioni di programma − 1117. Esenzioni − 1118. Progetti pilota per le finalità di prestazione − 1119. Progetti pilota per il bilancio di prestazione

2 Emendamento al Capitolo 97: La Tavola delle Sezioni del Capitolo 97 del Titolo 31, Codice degli Stati Uniti, è emendato aggiungendo dopo la voce relativa alla Sezione 9702 la seguente: 9703: Contabilità e flessibilità manageriale. 9704. Progetti pilota per la contabilità e flessibilità manageriali.

3 Emendamento al Titolo 39 del Codice degli Stati Uniti: La Tavola dei Capitoli della Parte III del Titolo 39, del Codice degli Stati Uniti, è emendata aggiungendo a partire dalla fine la seguente nuova voce 2801.

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Appendice n.3 Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri (8

Novembre 2002), su: Indirizzi per la programmazione strategica e la predisposizione delle direttive generali dei Ministri per l’attività amministrativa e la gestione per l’anno 2003

Visto l’articolo 5 della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante “Disciplina

dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri”;

Visti gli articoli 4 e 14 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”;

Vista la legge 15 luglio 2002, n. 145, recante “Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’integrazione tra pubblico e privato”;

Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, recante “Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59” e, in particolare, l’art. 8 concernente la direttiva generale annuale dei Ministri sull’attività amministrativa e sulla gestione;

Visti i contratti collettivi nazionali di lavoro del personale del comparto dirigenza-area I, sottoscritti il 5 aprile 2001 e, in particolare, l’art. 35 del contratto per il quadriennio 1998-2001;

Vista la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15 novembre 2001, recante “Indirizzi per la predisposizione della direttiva generale dei Ministri sull’attività amministrativa e sulla gestione per l’anno 2002”;

Ritenuta la necessità di definire ulteriori indirizzi per armonizzare i processi di programmazione strategica nei ministeri e proseguire nell’azione intrapresa al fine di migliorare – in termini di coerenza e chiarezza comunicativa - la qualità delle direttive generali dei Ministri sull’attività amministrativa e sulla gestione, con immediato riferimento a quelle che saranno emanate per l’anno 2003;

Emana l’allegata direttiva:

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INDIRIZZI PER LA PROGRAMMAZIONE STRATEGICA

E LA

PREDISPOSIZIONE DELLE DIRETTIVE GENERALI DEI MINISTRI PER

L’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA E LA GESTIONE PER L’ANNO 2003

Premessa

Gli indirizzi per la predisposizione della direttiva generale dei Ministri sull’attività amministrativa e sulla gestione fissati nella direttiva emanata il 15 novembre 2001 hanno avviato una serie complessa e differenziata di attività, iniziative ed esperienze che, alla luce di un primo bilancio, fanno registrare alcuni promettenti progressi, con riguardo alla più tempestiva adozione delle direttive da parte dei singoli Ministri e ad una migliore definizione dei relativi contenuti.

Appare ora utile - anche in considerazione degli impegni che tutte le Amministrazioni dovranno affrontare per la preparazione e lo svolgimento del semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea - delineare ulteriori orientamenti che consentano, da un lato, di armonizzare i processi di programmazione strategica nei ministeri e, dall’altro, di proseguire nell’azione intrapresa al fine di migliorare la struttura e i principali requisiti di applicabilità – quali la coerenza e la chiarezza comunicativa - delle direttive generali dei Ministri sull’attività amministrativa e sulla gestione che dovranno essere emanate per l’anno 2003, entro 10 giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio.

1. Il processo di programmazione strategica nei ministeri

Il processo di programmazione strategica riveste un’importanza

fondamentale per l’efficace organizzazione del complesso delle attività finalizzate a definire l’indirizzo politico ed attuarlo mediante concreti atti e comportamenti amministrativi. Sulla scorta di una approfondita analisi delle esperienze maturate nell’ultimo biennio, successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, appare ora opportuno definire, nelle sue diverse fasi, il momento centrale di tale processo, vale a dire il procedimento di predisposizione della direttiva annuale del ministro.

Tali fasi sono:

1. Formulazione delle priorità politiche: il ministro individua le priorità politiche alla luce delle scelte operate dal governo nel documento di programmazione economico-finanziaria, nei disegni di legge finanziaria e di bilancio, nella più recente legislazione di settore ovvero in altre iniziative legislative eventualmente in itinere. questo primo atto di indirizzo costituisce l’impulso

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del procedimento di predisposizione della direttiva e dovrà essere comunicato ai titolari dei centri di responsabilità amministrativa entro il 31 ottobre 2002 (“fase discendente”).

2. Proposta degli obiettivi strategici: i titolari dei centri di responsabilità amministrativa - eventualmente costituiti in conferenza permanente come previsto dall’articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 - propongono al ministro un numero contenuto di obiettivi strategici, anche a carattere pluriennale, destinati a concretizzare le priorità politiche, indicando i conseguenti obiettivi operativi nonché i programmi di azione a questi correlati: i titolari dei centri di responsabilità amministrativa conducono a termine questa fase formulando le proprie proposte al ministro, previa verifica delle risorse umane, finanziarie, materiali e tecnologiche effettivamente disponibili (“fase ascendente”).

3. Definitivo “consolidamento” degli obiettivi strategici: il Ministro emana la direttiva generale sull’attività amministrativa e sulla gestione per l’anno 2003, con la quale definisce conclusivamente il quadro delle priorità politiche delineate all’inizio e le traduce in obiettivi strategici dell’azione amministrativa, articolati in obiettivi operativi e nei relativi programmi di azione, recanti l’indicazione delle risorse umane e finanziarie necessarie per la loro realizzazione. Particolare attenzione dovrà essere posta da parte di tutti i Ministri e di tutte le amministrazioni nella prosecuzione e nella intensificazione – in conformità alle previsioni del Documento di programmazione economico-finanziaria - delle linee di azione finalizzate a realizzare le quattro politiche intersettoriali indicate dalla direttiva del 15 novembre 2001. In particolare: • è necessario sviluppare ulteriormente la politica di semplificazione

amministrativa. Di fondamentale importanza appaiono, in questo campo, sia il ricorso sempre più ampio alle analisi di impatto della regolazione, sia lo snellimento delle strutture organizzative cui è finalizzata la riapertura della delega legislativa per la riforma delle pubbliche amministrazioni.

• occorre potenziare le iniziative volte alla digitalizzazione delle amministrazioni, secondo gli indirizzi che saranno definiti dal Ministro per l’innovazione e le tecnologie e nel quadro delle “Linee Guida del Governo per lo sviluppo della società dell’Informazione nella legislatura”;

• particolare cura richiedono le azioni necessarie per il contenimento e la razionalizzazione della spesa, che implicano: l’utilizzo dell’e-procurement, l’uso delle nuove tecnologie per la razionalizazione dei processi operativi, l’implementazione delle analisi dei costi demandate agli uffici di controllo della gestione, il potenziamento dei sistemi informativi dei Ministri per assicurare un rigoroso monitoraggio della gestione finanziaria;

• è indispensabile un forte impegno per il miglioramento della qualità dei servizi resi dalle pubbliche amministrazioni, a partire dall’ampliamento e potenziamento dei sistemi di verifica della soddisfazione degli utenti, anche attraverso il massimo utilizzo delle reti telematiche.

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Il Servizio di controllo interno fornisce al Ministro l’assistenza tecnica necessaria per attivare ed orientare il processo di programmazione nelle sue diverse fasi. Il Servizio fornisce, altresì, al Ministro rapporti intermedi almeno quadrimestrali sullo stato di attuazione della direttiva, contenenti valutazione e proposte volte a consentire gli aggiustamenti che si ritenessero necessari per il conseguimento degli obiettivi nei tempi prefissati.

Tutte le amministrazioni dovranno dotarsi di efficaci sistemi di valutazione

dei dirigenti, così come previsto dalla sopra richiamata direttiva del 15 novembre 2001, nonché dei sistemi di controllo di gestione, base propedeutica indispensabile per la corretta e puntuale valutazione. A questo riguardo è necessario che - conclusa la fase progettuale iniziatasi nell’anno in corso – si passi immediatamente ad una prima sperimentazione dei sistemi di valutazione. Ogni Amministrazione dovrà presentare al Dipartimento della Funzione Pubblica, entro il 31 dicembre 2003, una dettagliata relazione sull’esperienza maturata. 2. La qualità delle direttive generali dei Ministri sull’attività amministrativa e sulla gestione.

La qualità delle direttive generali dei Ministri sull’attività amministrativa e

sulla gestione dipende, in misura decisiva, dal grado di sintesi di due caratteristiche strutturali del documento, frutto di due diverse “prestazioni” dei soggetti coinvolti nel processo di programmazione strategica: la coerenza esterna e la coerenza interna.

La coerenza esterna mira ad assicurare il raccordo tra le priorità politiche indicate nella direttiva e le politiche di interesse del Ministero prese in considerazione nei documenti programmatici generali del Governo.

La coerenza interna assicura il coordinamento e la compatibilità del complesso degli obiettivi ordinati dalla direttiva in un sistema gerarchico nel quale, a seguito del processo di negoziazione tra vertice politico e vertici amministrativi: a) le priorità politiche vengono tradotte in obiettivi strategici dell’azione

amministrativa e della gestione; b) gli obiettivi strategici vengono a loro volta articolati in obiettivi operativi,

assegnati a singole strutture o ad insiemi di strutture; c) gli obiettivi operativi danno luogo a programmi di azione, che indicano: i

risultati attesi, i soggetti coinvolti, i tempi di completamento previsti, le principali attività pianificate, gli indicatori adottati per la misurazione del conseguimento degli obiettivi e le risorse da impiegare.

Livelli crescenti di coerenza sia esterna sia interna saranno conseguibili tanto

più rapidamente quanto maggiore sarà l’impegno posto dalle amministrazioni:

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a) nel prevedere e incentivare attività formative sulla dirigenza pubblica tese ad assicurare lo sviluppo delle competenze in materia di programmazione, controllo e valutazione;

b) nell’assicurare ai Servizi di controllo interno una composizione equilibrata, tale da garantire la presenza nelle amministrazioni delle necessarie competenze gestionali e organizzative. I Servizi di controllo interno devono essere rapidamente messi in grado sia di costituire un sostegno per il vertice politico, in fase di verifica della qualità e della coerenza degli obiettivi proposti dalle strutture amministrative, sia di fornire ai dirigenti, ove richiesto, un supporto metodologico;

c) nel costruire una base di conoscenza comune sugli strumenti tecnici a supporto del processo di programmazione (livelli di obiettivi, indicatori di riferimento, schede per l’elaborazione dei programmi di azione);

d) nel dotarsi di sistemi, strumenti, risorse e procedure per attivare concretamente il processo di programmazione e controllo della gestione.

Roma, 8 Novembre. 2002

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Silvio Berlusconi

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INDIRIZZI PER LA PROGRAMMAZIONE STRATEGICA E LA PREDISPOSIZIONE DELLE DIRETTIVE GENERALI DEI MINISTRI

PER L’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA E PER LA GESTIONE PER L’ANNO 2003

LINEE GUIDA

PREMESSA

Le presenti Linee Guida contengono le indicazioni tecniche per la redazione delle direttive generali dei Ministri per l’attività amministrativa e la gestione, descrivendo in dettaglio il procedimento indicato nella direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri. Date le caratteristiche proprie di ogni Dicastero, ci si propone di fornire un quadro di riferimento “a maglie larghe”, articolato nei seguenti punti:

• è precisata la natura della direttiva come insieme articolato di obiettivi assegnati ai centri di responsabilità amministrativa e dei relativi indicatori;

• viene definita la struttura di massima della direttiva;

• è specificato il ruolo dei soggetti coinvolti nella predisposizione e nell’attuazione della direttiva;

• sono descritte le procedure da adottare per la costruzione della direttiva.

1. La direttiva come sistema di obiettivi e di indicatori

La direttiva costituisce il documento attraverso il quale il Ministro definisce le priorità politiche e conseguentemente assegna ai titolari dei Centri di Responsabilità Amministrativa (CRA) un insieme coerente di obiettivi e di risorse. Secondo la normativa vigente, l’entità delle risorse attribuite ai titolari dei CRA viene indicata nel bilancio dello Stato; gli obiettivi assegnati nella direttiva, che deve essere emanata entro 10 giorni dall’approvazione del bilancio, devono quindi essere compatibili con tali risorse. La direttiva ha un ruolo essenziale nel nuovo modello di amministrazione e in particolare nel garantire la separazione tra indirizzo politico e attività gestionale. Il vertice politico, infatti: • attraverso l’assegnazione degli obiettivi, esplicita il proprio indirizzo politico

alla amministrazione;

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• attraverso l’associazione agli obiettivi di un sistema di indicatori, ha la possibilità di monitorare effettivamente i risultati dell’azione amministrativa.

L’elaborazione della direttiva richiede quindi che si ponga particolare attenzione alla definizione di un sistema di obiettivi che siano tra loro connessi, congruenti e gerarchizzati e all’identificazione di un corrispondente sistema di indicatori e di valori-obiettivo ad essi riferiti, che misurino, con un buon livello di approssimazione, il grado di raggiungimento degli obiettivi medesimi. 1.1. Il sistema degli obiettivi Il sistema degli obiettivi fissati dalla direttiva è articolato in: • obiettivi strategici; • obiettivi operativi; • programmi di azione. Gli obiettivi strategici sono definiti dal Ministro in coerenza con le priorità politiche individuate, sulla base del Documento di programmazione economico-finanziaria, dei disegni di legge finanziaria e di bilancio, della più recente legislazione di settore ovvero di altre iniziative legislative eventualmente in itinere. Gli obiettivi strategici possono essere anche pluriennali, nel qual caso sarà necessario identificare le scadenze temporali di attuazione. Gli obiettivi operativi costituiscono gli obiettivi di azione amministrativa relativi al ciclo annuale di bilancio ed alle risorse assegnate ai CRA. Rappresentano specificazioni degli obiettivi strategici, delle politiche intersettoriali prioritarie (semplificazione amministrativa, informatizzazione dell’amministrazione, razionalizzazione della spesa, miglioramento della qualità dei servizi) o, anche, obiettivi di miglioramento del funzionamento delle attività correnti dei CRA. Sono in cascata rispetto agli obiettivi strategici e devono essere declinati dal Responsabile di CRA in programmi di azione. I programmi di azione rappresentano lo strumento per raggiungere gli obiettivi operativi e devono contenere (cfr. scheda 3): • i tempi di completamento; • il responsabile del completamento del programma; • le altre strutture, interne all'amministrazione o esterne ad essa, che possono

influenzarne la realizzazione; nel caso di strutture interne, in particolare, andranno formalizzate le modalita' di coordinamento dei diversi interventi e l'eventuale ruolo che il responsabile del programma dovra' assumere nelle fasi di coordinamento, anche in deroga alle normali linee gerarchiche e organizzative;

• le principali fasi del programma, le relative scadenze e gli obiettivi intermedi, ricorrendo a sistemi di rappresentazione tipici del project management (Pert, Diagrammi di Gantt).

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Il sistema degli obiettivi deve assicurare: • la coerenza esterna. Gli obiettivi strategici indicati nella direttiva devono

essere rappresentativi delle politiche di interesse del Ministero prese in considerazione nei documenti programmatici generali del Governo. Nel caso di politiche pubbliche che interessano più Ministeri, inoltre, si deve assicurare la sintonia tra le priorità indicate nelle direttive dei Ministri coinvolti, identificando le opportune modalità di coordinamento e le relative responsabilità;

• la coerenza interna tra i diversi livelli degli obiettivi affinché si possa, con adeguata certezza, affermare che la realizzazione dei progetti che costituiscono un programma di azione garantisce il perseguimento dell’obiettivo operativo che sovrintende al programma d’azione stesso. Il raggiungimento degli obiettivi operativi, a sua volta, consente il raggiungimento degli obiettivi strategici. La verifica della coerenza interna ed esterna di tutto il quadro degli obiettivi, dei programmi di azione e dei progetti, è uno dei compiti chiave del Servizio di controllo interno.

1.2. Il sistema degli indicatori A ogni obiettivo strategico/operativo (cfr. schede 1 e 2) deve essere associato un indicatore quantitativo (di realizzazione, di risultato, di impatto) e il valore che si intende raggiungere per tale indicatore (valore-obiettivo).

Possono essere utilizzate le seguenti tipologie di indicatori di prestazione:

• indicatori di realizzazione finanziaria, che misurano l’avanzamento della spesa prevista;

• indicatori di realizzazione fisica, che misurano il grado di realizzazione del progetto o dell’intervento;

• indicatori di risultato, che misurano il grado di raggiungimento dell’obiettivo che il progetto o l’intervento si propone di conseguire.

• indicatori di impatto; esprimono l’impatto che il raggiungimento degli obiettivi genera sul sistema di riferimento (P.A., collettività).

E’ importante sottolineare che gli obiettivi strategici definiti dal Ministro sono quantificati da indicatori di risultato e di impatto, mentre gli obiettivi operativi sono misurati da indicatori di realizzazione (fisica e finanziaria) e, in alcuni casi, anche da indicatori di risultato. In genere, gli obiettivi operativi non sono quantificati da indicatori di impatto.

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La definizione di un indicatore associato ad un obiettivo può risultare di particolare complessità nel caso in cui alcuni obiettivi siano difficilmente traducibili in indicatori quantitativi di facile misurabilità ed univocità. In questi casi, si potrà quindi ricorrere, in alternativa agli indicatori quantitativi, a:

• indicatori di tipo binario (si/no);

• indicatori di tipo qualitativo (alto/medio/basso);

• indicatori proxi, in grado di misurare il raggiungimento di un obiettivo mediante un complesso di indicatori non direttamente riferiti all’obiettivo stesso.

2. La struttura della direttiva

La direttiva deve essere articolata in cinque sezioni: I sezione. Le priorità politiche del Ministro. Sono qui indicate le linee di intervento su cui il Ministro intende focalizzare l’azione dell’amministrazione per l’anno di riferimento. II sezione. Gli obiettivi dell’azione amministrativa del Ministero. Tale sezione prevede i seguenti punti: • definizione degli obiettivi strategici del Ministero in relazione alle priorità

politiche; • definizione del sistema degli obiettivi operativi e loro declinazione nei

programmi di azione, evidenziando anche l’eventuale coinvolgimento di altri Ministeri;

• individuazione degli indicatori e quantificazione dei relativi valori-obiettivo. III sezione. Definizione del sistema di monitoraggio dell’attuazione della direttiva e individuazione delle connessioni con l’attuazione del programma di governo. Il monitoraggio della direttiva dovrà essere coordinato dai Servizi di controllo interno e si articolerà in: • monitoraggio intermedio Relativo a periodi infra-annuali, finalizzato a: rilevare il livello attuale di realizzazione (finanziaria e/o fisica) dei programmi di azione; identificare gli eventuali scostamenti rispetto ai livelli di realizzazione previsti al fine di introdurre i necessari interventi correttivi • monitoraggio finale Alla fine dell’esercizio, con la funzione di rilevare il livello effettivamente conseguito per gli indicatori di realizzazione e di risultato relativi a ciascun obiettivo; confrontare tale livello con il valore–obiettivo predefinito per

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evidenziare eventuali risultati insoddisfacenti; verificare, nel caso dei programmi di azione che non siano stati completati, o degli obiettivi pluriennali, il grado di realizzazione (finanziaria e/o fisica). Si raccomanda di cogliere tutte le opportunita' offerte dalla rete intranet delle amministrazioni, per semplificare i flussi informativi connessi con l'attivita' di monitoraggio. IV sezione. Introduzione del sistema di valutazione dei dirigenti. La direttiva dei Ministri per l'anno 2003 deve indicare le modalità di sperimentazione del sistema di valutazione dei dirigenti, secondo le linee contenute nella direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15 novembre 2001. In particolare, in questa sezione dovranno essere specificati: • le caratteristiche essenziali del modello di valutazione che verrà sperimentato; • le principali fasi della sperimentazione; • i soggetti coinvolti nella sperimentazione e i ruoli relativi; • le connessioni con il sistema di controllo strategico e con il sistema di

controllo di gestione. V sezione. Indicazioni su iniziative ed attività di carattere formativo previste nell’anno. Il processo di cambiamento delle Pubbliche Amministrazioni deve basarsi sulla diffusione di una cultura dei risultati e su una formazione mirata, strutturata anche sotto forma di sostegno e accompagnamento. In questa sezione si tratta quindi di: • prevedere e incentivare interventi formativi sulla dirigenza pubblica tesi ad

assicurare lo sviluppo delle competenze in materia di programmazione, controllo e valutazione in stretta coerenza con quanto previsto nella Direttiva 13 dicembre 2001 del Ministro per la Funzione Pubblica sulla “formazione e valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni”;

• costruire una base di conoscenza “comune”, a disposizione di tutte le amministrazioni, sugli strumenti tecnici a supporto del processo di programmazione (livelli di obiettivi, indicatori di riferimento, schede per l’elaborazione dei programmi di azione).

3. Ruolo dei soggetti coinvolti nella predisposizione e nell’attuazione della direttiva

Un elemento chiave nella costruzione delle direttive – con dirette ricadute sulla corretta attuazione – è la definizione dei ruoli e dei compiti dei soggetti coinvolti nel procedimento. In particolare:

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1.Ruolo dei Ministri. I Ministri sono direttamente responsabili della definizione delle priorità politiche. Consolidano di conseguenza gli obiettivi strategici su un arco temporale, annuale o pluriennale; definiscono, per tali obiettivi, gli indicatori di risultato e d’impatto ed i relativi valori-obiettivo.

2.Ruolo e compiti dei responsabili dei CRA. Propongono un insieme di obiettivi strategici coerenti con le priorità politiche individuate dal Ministro traducendoli in obiettivi operativi e in programmi di azione. Parallelamente: collaborano con il Servizio di controllo interno ai fini della verifica della coerenza (interna e esterna) degli obiettivi operativi e, con il supporto dello stesso Servizio, individuano gli indicatori per la misurazione del raggiungimento degli obiettivi operativi.

3.Ruolo e caratteristiche dei Servizi di controllo interno. I Servizi di Controllo Interno supportano il Ministro nella comunicazione dell’indirizzo politico e nel governo del processo di programmazione strategica del ministero.

Il Servizio di controllo interno ha il compito di:

a. nella fase di costruzione della direttiva,

‐  facilitare il procedimento di predisposizione della direttiva

‐  fornire un supporto metodologico e tecnico ai responsabili dei CRA

‐  verificare la corretta predisposizione della direttiva, con particolare attenzione alla coerenza esterna ed interna

‐  predisporre il sistema di monitoraggio per il controllo dell’attuazione della direttiva

b. nella fase di attuazione della direttiva,

‐  garantire l’applicazione del sistema di monitoraggio, segnalando al Ministro nodi e criticità rilevati

‐  raccordarsi con i Servizi di controllo interno degli altri Ministeri per impostare, costruire ed implementare, con il coordinamento del Comitato tecnico scientifico della Presidenza del Consiglio dei Ministri, azioni di benchmarking fra le diverse amministrazioni dello Stato

‐  fornire l’apporto necessario per le iniziative di carattere formativo.

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4. Individuazione delle priorita’ politiche e determinazione degli

obiettivi nella direttiva annuale Il procedimento di individuazione delle priorità politiche e di determinazione degli obiettivi nella direttiva annuale si articola, in conformità alla direttiva del Presidente del Consiglio, nelle seguenti fasi: 1^ FASE Definizione delle priorità politiche da parte del Ministro. Indirizzo politico. • Il Ministro individua le priorità politiche. Questo primo atto di indirizzo

costituisce l’impulso del procedimento di predisposizione della direttiva e dovrà essere comunicato ai titolari dei centri di responsabilità amministrativa entro la fine di ottobre (“fase discendente”).

2^ FASE Proposta di obiettivi strategici e declinazione degli obiettivi operativi da parte dei CRA. • I titolari dei CRA - eventualmente costituiti in conferenza permanente come

previsto dall’articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 – sottopongono al Ministro, supportato dal Servizio di controllo interno, gli obiettivi strategici, anche a carattere pluriennale. Tali obiettivi, opportunamente contenuti nel numero, concretizzano le priorità politiche e sono corredati dagli obiettivi operativi nonché dai relativi programmi di azione. I titolari dei CRA formulano le proprie proposte al Ministro, previa verifica della disponibilità delle risorse umane, finanziarie, materiali e tecnologiche effettivamente disponibili (“fase ascendente”).

3^ FASE Definitivo “consolidamento” degli obiettivi strategici. • Il Ministro – definito conclusivamente il quadro delle priorità politiche

delineate all’inizio e valutate le proposte dei dirigenti titolari di CRA, determina gli obiettivi strategici dell’azione amministrativa. Emana quindi la direttiva generale annuale sull’attività amministrativa e sulla gestione.

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Scheda 1 – Scheda esemplificativa sugli obiettivi strategici

Obiettivo strategico:

Data di inizio prevista: ………………… Data di completamento prevista: ………………

L’obiettivo è pluriennale SI NO

L’obiettivo coinvolge altri Ministeri (se SI indicare quali) SI NO

Altri Ministeri coinvolti:

………………………………………………………………………

Sintetica descrizione della fase di competenza:

……………………………………………….

……………………………………………………………………………………

…………….

Referente responsabile:

………………………………………………………………………..

Indicatore: ……………………………………………………………………………………..

Valore obiettivo dell’indicatore: ………………………………………………………………

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Scheda 2 – Scheda esemplificativa sugli obiettivi operativi

CRA responsabile:

Obiettivo strategico di riferimento: ……………………………………………………………

Obiettivo operativo: ……………………………………………………………………………

Data di inizio prevista: ……………………… Data di completamento prevista: ……………

L’obiettivo è pluriennale SI NO

L’obiettivo coinvolge altri Ministeri (se SI indicare quali) SI NO Altri Ministeri coinvolti: ………………………………………………………………………. Sintetica descrizione della fase di competenza: ……………………………………………….. …………………………………………………………………………………………………. Referente responsabile: ………………………………………………………………………..

L’obiettivo coinvolge altri CRA (se SI indicare quali) SI NO Altri CRA coinvolti: ………………………………………………………………………….. Sintetica descrizione della fase di competenza: ………………………………………………. ………………………………………………………………………………………………… Referente responsabile: ………………………………………………………………………..

Indicatore di misurazione (relativo all’anno in corso): ………………………………………..

Valore obiettivo dell’indicatore (relativo all’anno in corso): …………………………………

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Scheda 3 – Scheda esemplificativa sui programmi di azione

Obiettivo operativo di riferimento Responsabile

Numero d’ordine della fase

Descrizione della fase

Risultato atteso

Data di inizio prevista

Data di completa-

mento prevista

Eventuali fasi

vincolate1

Altre struttur

e interess

ate

1 Indicare i numeri d’ordine delle altre fasi il cui inizio è vincolato dal

completamento della fase analizzata.

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