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RECENSIONI 357 Pindaro, I Peoni. Testo, traduzione, scoli e commento a cura di GIACOMO BONA, Cuneo 1988, LIV-347 pp. Delle opere di Pindaro a noi note solo grazie a frammenti, che cioè non rientrano nel tradizionale corpus degli Epinici, abbiamo varie eccellenti edizioni critiche (quelle di Bowra, Oxonii 1947 2 , di Puech, Paris 1952 2 , di Snell-Maehler, Leipzig 1975 4 , e infine di Maehler, Leipzig 1989), ma scarseggiano commenti che mettano in luce le peculiarità del linguaggio poetico e siano d'ausilio per le in- dubbie difficoltà interpretative. B. ha inteso colmare tale lacuna per quanto ri- guarda i Peani, di ventisei dei quali ora, grazie ad importanti scoperte papiracee, possediamo frammenti più o meno cospicui. Il volume si apre con un'introduzione dedicata all'inquadramento letterario e ad un'accurata rassegna dei papiri; segue l'edizione critica dei componimenti, ognuno dei quali è preceduto da una premes- sa e dallo schema metrico, e seguito da apparato, scoli, traduzione, commento; la parte conclusiva è dedicata ai pochi frammenti pervenuti solo grazie alla tradizio- ne indiretta. L'apparato è denso di notizie e indicazioni, il commento più selettivo e imperniato sui principali problemi interpretativi; le scelte testuali evidenziano per lo più una saggia cautela, che induce B. ad accogliere solo poche integrazioni, assolutamente sicure; la traduzione rende l'originale con limpidezza (ben diver- samente da quella poetica, spesso arduamente comprensibile, di Leone Traverso [Firenze 1956]). Dissensi su singoli punti sono inevitabili, in un testo tanto irto di problemi e diffi- coltà: essi non sminuiscono il valore complessivo dell'opera. Non mi convince ad es. la traduzione di I 3s. (ìScòv / 6óvapiv oÌKÓ0exov) «dopo aver constatato le risorse riposte nella casa»: B. afferma (p. 12) che l'interpretazione di Puech (en contemplant les ressources dont sa maison dispose) «non rende l'aoristo greco»: mi sembra che qui il participio aoristo non indichi anteriorità, ma un'azione concomitante e strettamente connessa alla principale, che di norma in italiano è introdotta da 'per [o 'con'] il fatto che' (per casi analoghi, cf. J.M. Stahl, Kritisch-historische Syntax des griechischen Verbums, Heidelberg 1907, 212-216). Non capisco inoltre perché con l'interpretazione di Puech avremmo un «avaro che gode nel rimirare quanto possiede», e non una persona serena per la consape- volezza delle risorse presenti nella sua casa. In realtà si tratta di un passo rilevante anche dal punto di vista ideologico, perché, di contro alla rappresentazione di una vecchiaia piena di mali, disonore e incognite, si ha quella di un'età tranquilla e appunto serena, grazie sia a qualità morali (eò0opia aKia^éxco / vóqp' CXKOXOV èn[\] péxp'), sia ad una certa agiatezza economica: è la concezione che troverà la sua più famosa e completa espressione nella Repubblica di Platone (I 329a-d). B. ha ragione nell'affermare (p. 11) che qui il concetto di 'serena vecchiaia', enunciato in O. 5, 22, si trova «scomposto nelle

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RECENSIONI 357

Pindaro, I Peoni. Testo, traduzione, scoli e commento a cura di GIACOMO BONA,

Cuneo 1988, LIV-347 pp.

Delle opere di Pindaro a noi note solo grazie a frammenti, che cioè non rientrano nel tradizionale corpus degli Epinici, abbiamo varie eccellenti edizioni critiche (quelle di Bowra, Oxonii 19472, di Puech, Paris 19522, di Snell-Maehler, Leipzig 19754, e infine di Maehler, Leipzig 1989), ma scarseggiano commenti che mettano in luce le peculiarità del linguaggio poetico e siano d'ausilio per le in­dubbie difficoltà interpretative. B. ha inteso colmare tale lacuna per quanto ri­guarda i Peani, di ventisei dei quali ora, grazie ad importanti scoperte papiracee, possediamo frammenti più o meno cospicui. Il volume si apre con un'introduzione dedicata all ' inquadramento letterario e ad un'accurata rassegna dei papiri; segue l'edizione critica dei componimenti, ognuno dei quali è preceduto da una premes­sa e dallo schema metrico, e seguito da apparato, scoli, traduzione, commento; la parte conclusiva è dedicata ai pochi frammenti pervenuti solo grazie alla tradizio­ne indiretta. L'apparato è denso di notizie e indicazioni, il commento più selettivo e imperniato sui principali problemi interpretativi; le scelte testuali evidenziano per lo più una saggia cautela, che induce B. ad accogliere solo poche integrazioni, assolutamente sicure; la traduzione rende l'originale con limpidezza (ben diver­samente da quella poetica, spesso arduamente comprensibile, di Leone Traverso [Firenze 1956]).

Dissensi su singoli punti sono inevitabili, in un testo tanto irto di problemi e diffi­coltà: essi non sminuiscono il valore complessivo dell'opera. Non mi convince ad es. la traduzione di I 3s. (ìScòv / 6óvapiv oÌKÓ0exov) «dopo aver constatato le risorse riposte nella casa»: B. afferma (p. 12) che l'interpretazione di Puech (en contemplant les ressources dont sa maison dispose) «non rende l'aoristo greco»: mi sembra che qui il participio aoristo non indichi anteriorità, ma un'azione concomitante e strettamente connessa alla principale, che di norma in italiano è introdotta da 'per [o 'con'] il fatto che' (per casi analoghi, cf. J.M. Stahl, Kritisch-historische Syntax des griechischen Verbums, Heidelberg 1907, 212-216). Non capisco inoltre perché con l'interpretazione di Puech avremmo un «avaro che gode nel rimirare quanto possiede», e non una persona serena per la consape­volezza delle risorse presenti nella sua casa. In realtà si tratta di un passo rilevante anche dal punto di vista ideologico, perché, di contro alla rappresentazione di una vecchiaia piena di mali, disonore e incognite, si ha quella di un'età tranquilla e appunto serena, grazie sia a qualità morali (eò0opia aKia^éxco / vóqp' CXKOXOV èn[\] péxp'), sia ad una certa agiatezza economica: è la concezione che troverà la sua più famosa e completa espressione nella Repubblica di Platone (I 329a-d). B. ha ragione nell'affermare (p. 11) che qui il concetto di 'serena vecchiaia', enunciato in O. 5, 22, si trova «scomposto nelle

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varie componenti che lo rendono possibile», ma valeva la pena di ricordare il luogo platonico che tratta entrambi gli elementi, per dare grande rilevanza al primo e limitare la portata del secondo. In esso, tra l'altro, secondo alcuni studiosi (cf. H. Herter, «WJA» I [1975] 83-92), è ripresa l'etica di Democrito, basata proprio su quel concetto di eò0opia cui viene dato grande rilievo anche nei due luoghi pindarici. In IV 52 èpoì 5' òÀiyov 5éL5oxat 0d[pvoo wu B. accoglie il ©dpvoo di Snell, che era, a dire il vero, incerto fra la sua originaria proposta (0dpvoo néòov) e quella di Erbse (0dpvoo pèpoq): in realtà, se pare sicuro che qui si abbia una voce del sostantivo 0dpvo<; (anche alla luce del relativo scolio), il genitivo non lo è affatto. Se infatti è attraente l'ipotesi di un sostantivo concor­dato con òÀiyov, non si può neppure scartare il 0dpvoc, 5puóc, proposto da Grenfell-Hunt, che presenterebbe alcuni vantaggi: in primo luogo potrebbe più agevolmente spiegare l'assurdo explieit del verso nella citazione di Plut. Exil. 602f èpoì 5' òXiyov pèv ydq 8è5oxat, Ò0ev d5po<; (ma già Reiske leggeva d 5poc,); secondariamente, la quercia, sim­bolo di una vita rustica ma priva di ansie, si contrapporrebbe al cipresso dei versi prece­denti, che indica una vita densa di onori, ma anche di dolori. La quercia sarebbe tanto opportuna, che lo stesso B. traduce «(una macchia) di querce», mentre, se si accetta il genitivo, diventa arduo inserire tale albero. Qualche perplessità nutro anche a proposito di VI 12s., che B. traduce «E con cuore amico, come un fanciullo obbediente alla cara madre»: tornerei a 11 '«I have obeyed my heart as a child his kind mother and gone down» di Grenfell-Hunt, accolto da Sandys, Puech, Farnell e Fraccaroli; tale interpretazione mi pare confermata dagli altri passi pindarici, in cui 01 A.oq è attributo di parti del corpo o dell'essere (P. 3,61 vj/oxd, O. 1,4 qxop, mentre in P. 4,240 fyiXaq cìipeyov %eipaq indica propriamente il tendere le proprie mani, ma non è esclusa la connotazione di amicizia, come dimostra il contiguo èxaìpov). Non parlerei inoltre di contraddizione con quanto detto precedentemente, cioè con le specifiche motivazioni della venuta del poeta: l'ubbi­dire al proprio cuore non starà ad indicare tanto un «impulso spontaneo», quanto - più obiettivamente - l'ubbidire allo stato d'animo dovuto al desiderio di porre rimedio ad una situazione d'impotenza e di coprirsi di onore, di cui parla nel verso precedente. A propo­sito di VI 87, la traduzione «quante cose fece» non rende appieno il senso di èpt^e: interpreterei piuttosto «quante lotte fece». A p. 114, in schol. VI 183b l'èvvopdv di Snell pare molto probabile, se non sicuro. Talora, poi, nel commento sarebbe stata opportuna qualche breve annotazione di carattere stilistico: ad es. per il xópeoorc, di VI 9, che sembra presente, in àmbito letterario, solo qui, ed è poi chiosato dalla lessicografia (Suda X 398, Zon. 1857 T.). Concludo con la segnalazione di alcuni refusi: a p. 76 manca l'indicazione della Suda (o 1053), nonché un punto in alto dopo vana x9ovó<;, a p. 331 Smith è scritto con la minuscola.

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