Ricordi di una scolara vecchia - classics.unibo.it

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<EIKASMOS» IX ( 1998 Ricordi di una scolara vecchia Non di un 'vecchio scolaro', che la mia amicizia (è ardito chiamarla così, ma non trovo parola diversa) con Augusto Campana (divenuto subito Nino) e il mio discepolato risalgono a non più di vent'anni addietro (era, eredo, l'estate del '78). Avevo 'scoperto' una traduzione iliadica in un manoscritto della Nazionale di Firenze e, su amichevole suggerimento di Vittore Branca e di Scevola Mariotti (anche lui da poco conosciuto), mi recai, per un consulto di identificazione grafica - trepidante, perché autodidatta nel settore e non più in verde età, il che avrebbe aggravato le mie colpe - a casa Campana. E la trepidazione scomparve all'istante. Ho più volte riflettuto su cosa potè accentuare nei miei confronti la disponibilità ed amabilità di Nino, che poi constatai assolutamente consuete. Ho deciso (non so quanto giustamente) che due furono i motivi che mi 'raccomandarono' a lui: avergli il mio cognome rivelato esser io, per ascendenza paterna, della sua terra (e la simpatia, in quest'eventualità, non fu certo suggerita da gretto campanilismo, ma da un'ipotizzabile contiguità e affinità di sentire) e, soprattutto, l'esser stata allieva (particolarmente cara, per il solo fatto di esser stata l'ultima) di Manara Valgimigli. a cui lo legava il comune ricordo dei genitori, entrambi di Modigliana; per cui, quindi, l'attenzione dedicatami poteva in qualche modo configurargli quale un'ideale continuità di magistero, e per così dire il riannodarsi, sia pure ai livelli più modesti, di quegli intrecci e di quelle discendenze culturali alla cui individuazione era sempre sensibilissimo. Di Nino hanno detto molti: della sua cultura, dell'erudizione sconfinata, dell'insaziabile curiosità, del segno lasciato in molteplici campi, documentandone il precocissimo impegno di studioso e bibliofilo, e gli intellettualmente e umanamente coerentissimi - sempre intensi e discreti - percorsi successivi; e moltissimi potrebbero dire moltissimo altro. Questo volu- me, d'altra parte, per la varietà delle voci e l'univocità insieme del quadro che ne emerge, è in tal senso estremamente significativo. Io posso solo ricordare i con- sigli innumerevoli, e che definir preziosi è dir poco e banale, lo scrupolo delle correzioni (persino nell'interpunzione, su cui mi vantavo di essere esatta, avendo io 'fatto le elementari* in un'epoca in cui la precisione nella punteggiatura era ritenuto requisito tacito e imprescindibile), l'essenzialità cui guidavano le sue revisioni stilistiche (io. che mi vantavo di esser sintetica, dovetti convincermi che Intervento tenuto a Roma (6 agosto 1998), nell'ambito della presentazione del volume AA.VV . Testimonianze per un maestro (Roma 1997). Su A. Campana, si veda a p. 444.

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<EIKASMOS» IX ( 1998

Ricordi di una scolara vecchia

Non di un 'vecchio scolaro', che la mia amicizia (è ardito chiamarla così, ma non trovo parola diversa) con Augusto Campana (divenuto subito Nino) e il mio discepolato risalgono a non più di vent'anni addietro (era, eredo, l'estate del '78). Avevo 'scoperto' una traduzione iliadica in un manoscritto della Nazionale di Firenze e, su amichevole suggerimento di Vittore Branca e di Scevola Mariotti (anche lui da poco conosciuto), mi recai, per un consulto di identificazione grafica - trepidante, perché autodidatta nel settore e non più in verde età, il che avrebbe aggravato le mie colpe - a casa Campana. E la trepidazione scomparve all'istante. Ho più volte riflettuto su cosa potè accentuare nei miei confronti la disponibilità ed amabilità di Nino, che poi constatai assolutamente consuete. Ho deciso (non so quanto giustamente) che due furono i motivi che mi 'raccomandarono' a lui: avergli il mio cognome rivelato esser io, per ascendenza paterna, della sua terra (e la simpatia, in quest'eventualità, non fu certo suggerita da gretto campanilismo, ma da un'ipotizzabile contiguità e affinità di sentire) e, soprattutto, l'esser stata allieva (particolarmente cara, per il solo fatto di esser stata l'ultima) di Manara Valgimigli. a cui lo legava il comune ricordo dei genitori, entrambi di Modigliana; per cui, quindi, l'attenzione dedicatami poteva in qualche modo configurargli quale un'ideale continuità di magistero, e per così dire il riannodarsi, sia pure ai livelli più modesti, di quegli intrecci e di quelle discendenze culturali alla cui individuazione era sempre sensibilissimo. Di Nino hanno detto molti: della sua cultura, dell'erudizione sconfinata, dell'insaziabile curiosità, del segno lasciato in molteplici campi, documentandone il precocissimo impegno di studioso e bibliofilo, e gli intellettualmente e umanamente coerentissimi - sempre intensi e discreti -percorsi successivi; e moltissimi potrebbero dire moltissimo altro. Questo volu­me, d'altra parte, per la varietà delle voci e l'univocità insieme del quadro che ne emerge, è in tal senso estremamente significativo. Io posso solo ricordare i con­sigli innumerevoli, e che definir preziosi è dir poco e banale, lo scrupolo delle correzioni (persino nell'interpunzione, su cui mi vantavo di essere esatta, avendo io 'fatto le elementari* in un'epoca in cui la precisione nella punteggiatura era ritenuto requisito tacito e imprescindibile), l'essenzialità cui guidavano le sue revisioni stilistiche (io. che mi vantavo di esser sintetica, dovetti convincermi che

Intervento tenuto a Roma (6 agosto 1998), nell'ambito della presentazione del volume AA.VV . Testimonianze per un maestro (Roma 1997). Su A. Campana, si veda a p. 444.

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aveva ragione lui: perché dire in tre parole quel che si poteva dire in due?), la liberalità con cui mise a disposizione mia - come di tutti - i tesori (perché spesso si trattava di testi altrove pressoché irreperibili) della sua 'vaticanina' , il tempo dedicatomi (tutti concordano nel ritenere che Nino non aveva dimestichezza con la categoria del tempo, soprattutto quando si trattava di donarlo agli altri, e questo lo dichiarai implicitamente quindici anni orsono, quando, dedicandogli il mio volumetto sul Volterrano, richiamavo le parole di Seneca, per cui il tempo è unum, quod ne gratus quidem potest recidere, citazione che egli particolarmente apprezzò); posso solo ricordare quello che per me è, anche, il segno del grande Maestro, perché significa riconoscere che l 'allievo, longo secl pro.ximus interval­lo, percorre la stessa via. e con la stessa meta (e che a posteriori ho riconosciuto caratteristica di altri che ho avuto la fortuna di incontrare nel mio cammino: Valgimigli. appunto, Enrico Turolla, mio maestro liceale. Maria Vittoria - Pupi -Ghezzo, assistente prima e carissima amica poi): la pacatezza e la comprensione di fronte all'errore e all 'ignoranza, il non scandalizzarsene mai, e la volontà di guidare maieuticamente alla 'verità' , per minuscola che fosse. Ma di Nino ricordo soprattutto il privilegio delle sue abbandonate conversazioni a Santarcangelo, che si protraevano sino alle ore piccole - pur tra le raccomandazioni di Rosetta a «non far tardi» - su nel salotto del secondo piano, ultima e per fortuna lunghissima tappa prima del riposo nelle ospitali stanze di famiglia. Con qualche gratificazio­ne, talora, come quando mi chiedeva «vedi un po' qui tu. che sai di latino»: garbatissimo vezzo, che il latino lo sapeva molto meglio di me. Ricordo, con non rimarginato rimorso. Tessergli venuta involontariamente meno, quando nel no­vembre '94 mi cercò dappertutto per essere accompagnato al Convegno polizianeo eli Montepulciano, convegno molto importante per tutti, ma soprattutto fortemente simbolico per lui, che aveva partecipato, con una famosa relazione (Contributi alla biblioteca del Poliziano), a quello fiorentino del '54: tanto inesauribile era in lui la voglia di conoscere, controllare, verificare ... imparare! Oltre a tutto il resto, che in termini di sostegno scientifico ognuno capisce quanto sia stato forte, anzi determinante, io debbo a lui anche un percorso accademico senza trepidazioni (perché non era 'quella' la cosa importante), l'accettazione cordiale e serena tra i suoi allievi pisani, romani e urbinati (in nome suo mi unì un affetto sincero e profondo a Rita Cappelletto, limpidamente identico e in nulla velato neppure nella concorrenza concorsuale: e quale altro mai?). Cose, insomma, d'altri tempi - o a me sembrano tali? - che furono solo la proiezione immediata e pratica (lui che tutto era. fuor che pratico), naturalmente trasmessa agli altri, della sua persona, del suo modo di agire e, diciamolo senza ambagi, di accostarsi al 'prossimo II mio è certo un ricordo riduttivo e personale, ma quanti allievi, diretti e 'adottivi , potrebbero in gran parte riconoscersi in esso! E quanto altro, verosimilmente, potrebbero aggiungere! Perché la sua è stata una scuola (ed è verità che va ribadita con forza) davvero in senso socratico, ed estranea ad implicazioni accademiche. Certo, la condizione umana (l'istintivo egocentrismo in varia misura a tutti conni-

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ne) fa sì che di chi ci è venuto a mancare noi avvertiamo soprattutto quello che noi non abbiamo più. Le uniche lacrime autenticamente 'altruiste' -diceva Valgimigli - sono quelle dei eavalli di Achille dopo la morte di Patroclo: ma erano eavalli divini! Non credo, comunque, che ciò tolga nulla alla sincerità del rimpianto, e al desiderio di trasmettere prò virili parte il ricordo non solo della sua indiscussa dottrina, ma anche quello della sua disponibilità umana, e riaffermare, per quel che mi concerne, se pure a lui postuma, la testimonianza che questa sua estrema scolara possiede almeno un po' di quella merce, oggi tanto rara e sempre comun­que deperibilissima, che è la gratitudine. E, per finire pascolianamente, come pascolianamente ho iniziato: «Poiché ... il maestro, tutti sanno che è grande, ma soli quelli che gli vissero da presso ... soli specialmente i suoi giovani e vecchi scolari sanno anche che egli è più buono che grande».

Un corollario minimo. Quando lesse la mia premessa al volumetto sulla Memorialistica veneziana, in cui scandivo, con contenuto ma forse avvertibile coinvolgimento emotivo, le tappe dei miei studi, miscelandole con mie lontane memorie, così Nino commentò: «non ti conoscevo sotto questo aspetto». Oggi, forse, mi riconoscerebbe. E, soprattutto, anche se purtroppo non è qui a confer­marlo, come potè fare Carducci, dopo aver ascoltata la rievocazione del suo «vec­chio scolaro» («tutto vero, tutto vero ...»). spero, si riconoscerebbe.

Venezia R E N A T A F A B B R I