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POSTILLE INEDITE DI ER WIN ROHDE In una copia della terza edizione dei Poetae Lyrici Graeci di Th. Bergk (Lipsiae 1866) - che la fortuna, ma più ancora la cortesia del prof. Riccardo Scarcia, ha messo a mia disposizione - sono leggibili, sul foglio bianco precedente il frontespizio, una serie di annotazioni attribuibili con ogni certezza alla mano del proprietario, Erwin Rohde ': Erwin Rohde Studphil. Kiel Decbr. 67 Feyóvam XvpiKOÌ Kai oi Kpaxxópevoi [nepiaÒópevoi falsch ed. Burbon. bei Wachsmuth Rhein. Mus. XX 380] 2 (d.h. noch in Hss. vorhandene, gelesene: s. Lobeck Agi. 567, h) èvvéa, Sv xà òvópaxa èoxì xavxa- 'AvaKpécov, 'AXicpàv, BaKxvhiStic, "IpVKOc, UivòapOQ, Zxrioixopoc;, Eipcovidrie;, laKtpcó, Kai deKaxri Kópivva. Tavxr\v ofJv xr)vÀ.vpiKt)vnoit]GivSeipexàpéXove: àvayivcócjKeiv, ei Kai pr) 7tapeÀ.dfìopev linde àKopepvfjpeOa èKeivcov péXr\. SCHOL. DIONYS. THRAC. p. 751, 25-752,3 [Bekk.], nach alteren Quellen. (Esfehlt zwischen 'AÀKpàvund BaKXvX.: 'AXKaìoc, wie auch ed. D (Vatic. 1766) hat: s. Bk. Ili p. 1167.) Ich vermisse folgendes melisches Fragment, bei Apollon. Dysc. de constr. Ili 22 p. 247, 24-25 Bk.: aìO' èycò, xpvcJocjxéQav' 'Atppoòixa, xóvde xòv nàXov u u - Aa^oir/v 12.Aug.70. (findet sich doch p. 882, unter die frgg. der Sappho, auf die aber doch aufier dem Metrum nichts hindeutet) 1 Queste (ed altre) annotazioni sono state l'oggetto della mia tesi di laurea (rei. prof.M.G. Bonanno, correi, prof. R. Scarcia): Un inedito di Erwin Rohde. Note in margine a Th. Bergk, Poetae Lyrici Graeci 3 (Lipsiae 1866). Desidero qui ringraziare sia il prof. Scarcia, per la fi- ducia e i consigli che mi ha dato, sia la prof. Bonanno, per l'aiuto e la pazienza con cui ha seguito il mio lavoro. Per quanto riguarda in particolare i problemi di decifrazione posti dall'inedito, desidero infine ringraziare il Direttivo di questa rivista. 2 Le parole da me poste tra parentesi quadre sono annotate su una riga superiore, legate da un breve tratto di penna alla parola rcpocTTÓpevoi.

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POSTILLE INEDITE DI ER WIN ROHDE

In una copia della terza edizione dei Poetae Lyrici Graeci di Th. Bergk (Lipsiae 1866) - che la fortuna, ma più ancora la cortesia del prof. Riccardo Scarcia, ha messo a mia disposizione - sono leggibili, sul foglio bianco precedente il frontespizio, una serie di annotazioni attribuibili con ogni certezza alla mano del proprietario, Erwin Rohde ':

Erwin Rohde Studphil. Kiel Decbr. 67

Feyóvam XvpiKOÌ Kai oi Kpaxxópevoi [nepiaÒópevoi falsch ed. Burbon. bei Wachsmuth Rhein. Mus. XX 380] 2 (d.h. noch in Hss. vorhandene, gelesene: s. Lobeck Agi. 567, h) èvvéa, Sv xà òvópaxa èoxì xavxa- 'AvaKpécov, 'AXicpàv, BaKxvhiStic, "IpVKOc, UivòapOQ, Zxrioixopoc;, Eipcovidrie;, laKtpcó, Kai deKaxri Kópivva. Tavxr\v ofJv xr)vÀ.vpiKt)vnoit]GivSeipexàpéXove: àvayivcócjKeiv, ei Kai pr) 7tapeÀ.dfìopev linde àKopepvfjpeOa xà èKeivcov péXr\.

SCHOL. DIONYS. THRAC. p. 751, 25-752,3 [Bekk.], nach alteren Quellen. (Esfehlt zwischen 'AÀKpàvund BaKXvX.: 'AXKaìoc, wie auch ed. D (Vatic. 1766) hat: s. Bk. Ili p. 1167.)

Ich vermisse folgendes melisches Fragment, bei Apollon. Dysc. de constr. Ili 22 p. 247, 24-25 Bk.:

aìO' èycò, xpvcJocjxéQav' 'Atppoòixa, xóvde xòv nàXov u u - Aa^oir/v

12.Aug.70.

(findet sich doch p. 882, unter die frgg. der Sappho, auf die aber doch aufier dem Metrum nichts hindeutet)

1 Queste (ed altre) annotazioni sono state l'oggetto della mia tesi di laurea (rei. prof.M.G. Bonanno, correi, prof. R. Scarcia): Un inedito di Erwin Rohde. Note in margine a Th. Bergk, Poetae Lyrici Graeci3 (Lipsiae 1866). Desidero qui ringraziare sia il prof. Scarcia, per la fi­ducia e i consigli che mi ha dato, sia la prof. Bonanno, per l'aiuto e la pazienza con cui ha seguito il mio lavoro. Per quanto riguarda in particolare i problemi di decifrazione posti dall'inedito, desidero infine ringraziare il Direttivo di questa rivista.

2 Le parole da me poste tra parentesi quadre sono annotate su una riga superiore, legate da un breve tratto di penna alla parola rcpocTTÓpevoi.

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«eiusdem, si non poetriae, certe metri hoc est, aiO'», etc, bei Gelegenheit des Versus der Sappho (paivexai poi Kf)voc - bei Apollon. de pron. 75a., vorsichtig Bekker. Anm. p. 184.

Leop. Schmidt, Supplementum quaestionis de Pindaricorum Carminum Chronologia. Ind. Schol. Marburg. hib. 1880/81.

12 S.gr.4°.

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POSTILLE INEDITE DI ERWIN ROHDE o i o

In alto a destra è immediatamente visibile la nota di possesso, recante, oltre al nome, la data (Kiel Decbr. 67) e la qualifica di studente della facoltà di filosofia (Studphil.): all'epoca Rohde - come ci informano le fonti biografiche - era infatti studente a Kiel, dove si era appena trasferito e dove, nel marzo '69, concluse gli studi universitari.

Subito sotto la nota di possesso sono leggibili tre annotazioni: la prima ri­guarda uno scolio all'Ars grammatica di Dionisio Trace, la seconda un frammento melico citato da Apollonio Discolo nel De constructione e dagli studiosi attribuito a Saffo, mentre la terza è la semplice citazione di un articolo di Leopold Schmidt sulla cronologia dei carmi di Pindaro. L'autonomia di ciascuna annotazione ri­spetto alle altre è sottolineata, a parte la diversità di argomento, da un segno orizzontale tra la prima e la seconda, e da un certo spazio tra la seconda e la terza, la quale, inoltre, si distingue dalle precedenti per il colore blu dell'inchiostro e per una certa alterità di calligrafia. È evidente che le tre note furono vergate da Rohde in tempi diversi, come del resto dimostrano, rispettivamente per la seconda e la terza, la data 12. Aug. 70, leggibile proprio in calce al frammento melico nel corso della seconda, e il fatto che la terza è sicuramente successiva al 1880, dal momen­to che il saggio di Schmidt era premesso all'indice delle lezioni previste per il semestre invernale 1880/1881 all'Accademia di Marburg.

Vedremo, dunque, come tali brevi note rappresentino una testimonianza degli studi compiuti da Rohde in momenti piuttosto distanti tra loro, riferibili sia alla giovane età sia al pieno della sua maturità scientifica. Si tratta di piccole anno­tazioni, il cui esame - in relazione alla biografia dell'autore - consente tuttavia di trovare alcune significative conferme alle notizie già disponibili sull'orienta­mento degli studi e degli interessi di Rohde nell'arco della sua vita3.

La stessa nota di possesso ci introduce in un momento particolare della sua esistenza. Nell'inverno '67-'68 Rohde si era appena trasferito a Kiel da Lipsia, dove aveva vissuto un periodo ricco di studi e di interessi, per di più segnato dall'intensa e stimolante amicizia con Friedrich Nietzsche. Segue, proprio nel suddetto inverno, un periodo di isolamento vissuto nella nuova città universitaria, poco dopo il distacco dall'amico e sodale, con il quale aveva compiuto un esal­tante viaggio estivo nella foresta boema e bavarese. Al contrario di Lipsia, Kiel gli offriva «kein Theater, so gut wie keine Musik», e tra i compagni egli lamen­tava di non trovare alcuno che gli fosse particolarmente congeniale: «Ich war,

3 Per le notizie biografiche su Rohde mi sono basata essenzialmente su O. Crusius, Erwin Rohde, ein biographischer Versuch, Tubingen-Leipzig 1902, F. Schòll, Rohde, in Allgemeine Deutsche Biographie, LUI, Berlin 1907, 428-430, nonché H. Cancik, Erwin Rohde, in Classical Scholarship. A Biographical Encyclopedia, edited by W.W. Briggs and W.M. Calder III, New York & London 1990, 395-404.

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durch nicht grade beglùckende Naturanlager, immer paucorum hominum; hier werde ich fast nullius hominis», scriveva in una lettera a Nietzsche 4. I Cogitata, ossia i diari di appunti personali e di studio che Rohde aveva preso a scrivere da qual­che tempo, come nota Crusius 5, nel periodo di solitudine a Kiel divennero par­ticolarmente ricchi e meditati: tale solitudine fu dunque per lui occasione di approfondimento e maturazione.

La prima delle tre note che ci accingiamo ad esaminare è costituita dalla trascrizione (ragionata) dello Schol. Dion. Thrac. 751,25 Bekker (=21,17 Hilgard), tratto da un passo sulla natura musicale della poesia lirica, nel quale si elencano i nove poeti lirici 'canonici' (cui è aggiunta, decima, la poetessa Corinna), e si spiega che la poesia lirica andrebbe letta cantando, anche se si lamenta la già avvenuta perdita delle musiche che la accompagnavano. Lo scolio infatti com­menta l'espressione r\ Xvpud] 7toir|oic peÀiKÓK di Apollonio Discolo, in un passo dove si danno istruzioni sul modo per eseguire la lettura dei vari generi letterari, in un'epoca in cui evidentemente la lettura era l'unica modalità di fruizione pos­sibile 6.

L'interesse di Rohde per lo scolio sembra ruotare sia intorno a questioni di contenuto, sia intorno ad alcune questioni testuali. In effetti, tale scolio dovette attrarlo, in primo luogo, in quanto testimonianza sia sul 'canone' dei poeti lirici greci, sia - come dimostra il fatto che la frase circa l'avvenuta perdita della musica è sottolineata - sullo stato della tradizione della poesia lirica all'epoca dello scoliasta. Dal punto di vista testuale, l'attenzione di Rohde - oltre che sulla mancanza nel Vaticanus gr. 14 del nome di Alceo, presente invece nel Vaticanus gr. 1766 7 - si sofferma su 7tpcmópevot, sottolineato e corredato di due annota-

4 Cf. Crusius, o.c. 24, n. 1. Crusius, o.c. 24, n. 2.

6 In particolare il passo trascritto da Rohde fa parte di quella raccolta di scolii che l'ultimo editore, A. Hilgard (Grammatici Graeci, I 3. Scholia in Dionysii Thracis artetn grammaticam, Lipsiae 1901), chiama commentarium Melampodeum seu Diomedeum, dai nomi a cui dai vari codici viene attribuita la paternità della raccolta, tramandata in forma continua da alcuni, come il Vindobonensis 240 (F), mentre, per esempio, nel Vaticanus gr. 14 (C), gli stessi scolii appaiono mescolati ad altri di diversa provenienza. L'edizione di I. Bekker (Anecdota Graeca I, II, III, Berolini 1814, 1816, 1821), da cui Rohde trascriveva il passo, pubblicava sostanzialmente il testo del codice C, servendosi anche del cod. Hamburgensis C 13 (H) - che discende da C - e aggiungendo varianti e supplementi da altri manoscritti, tra cui, per esempio, il Vaticanus gr. 1766 (D), che nel nostro caso forniva un'importante integrazione al testo (vedi infra). L'edizione di Hilgard si basa invece sul codice C con il ricorso all'autorità di F per rivendicare allo stesso commentario quegli scolii melampodei che in C non recano l'indica­zione dell'autore.

7 In base al lavoro di recensione compiuto da Hilgard sappiamo ormai che in realtà il Vaticanus gr. 1766 - esplicitamente accantonato come sufficientemente rappresentato da F (cf. p. X n. 1) - non era certo l'unico esemplare a presentare integro il canone dei lirici greci: al contrario, l'omissione del nome di Alceo in C appare come un fatto isolato.

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zioni: nella prima Rohde interveniva sul significato che il termine avrebbe in questo contesto, rimandando a Lobeck 8, come a chi della questione si era già occupato con successo, e quindi traducendo: «noch in Handschriften vorhandene, gelesene». Si tratta di un significato evidentemente tecnico, individuato e chiarito anche da Meineke 9. In un secondo tempo (anche se forse nella medesima occa­sione) Rohde completò l'annotazione a rcpaTTÓpevoi riportando la varia lectio 7iepia5ópevoi, evidentemente erronea, fornita dal codice N (Neapolitanus Burbonicus II D 4) allora conosciuto tramite la pubblicazione di un articolo di Wachsmuth, apparso su «Rheinisches Museum» nel 1865, articolo che Rohde non manca di indicare10. Fino ad allora, dopo l'edizione di Bekker (1814-21) che si basava sostanzialmente sui codici C e H (vedi n. 6), si erano avuti solo limitati contri­buti ". La pubblicazione di N rappresentava quindi una novità di qualche im­portanza, anche perché, come sottolinea lo stesso Wachsmuth (p. 377), tale codice riporta il nome degli autori di numerosi scolii, così da rendere possibile, con una certa sicurezza, l'individuazione degli autori di quasi tutti gli scolii relativi ai primi sei paragrafi dell'Ars 12. Rohde, annotando la v.l. 7tepia8ópevoi (che rico­nosce come evidente corruzione, data l'assoluta non pertinenza del significato di jiepiaòu)), manifesta quindi la preoccupazione di aggiornare il testo fornito da Bekker con quanto potevano offrire le più recenti pubblicazioni: anzi, che tale

8 C.A. Lobeck, Aglaophamus, sive de Theologiae mysticae Graecorum causis, Regimonti Prussorum 1829, 567 h.

9 A. Meineke aveva affrontato il problema di tale uso di rcpdrcco già in Quaestionum Scaenicarum Specimen II, Berolini 1827, 2, rimanendo però incerto sul significato. In Fragmenta comicorum Graecorum, I, Historia critica comicorum Graecorum, Berolini 1839, 560 egli afferma di abbracciare l'interpretazione già indicata da Lobeck e da J. Geel, Bibliotheca critica, IV 20. In realtà il significato di «noch in Handschriften vorhandene» registrato da Rohde va distinto da quello proprio (individuato tramite un certo uso del termine 7ipd^ic come lexis) di «letti e interpretati». Su npdTTtó e il suo significato nel nostro scolio a Dionisio Trace tornerò in un articolo di prossima pubblicazione.

10 C. Wachsmuth, Handschrifdiche Mittheilungen zu den Scholien des Dionysius Thrax, «RhM» XX (1865) 375-389. Il Neapolitanus Burbonicus (N) rappresenta, insieme al Venetus Marcianus 489 (V), la collezione di scolii che Hilgard chiama Marciana ( I m). Presumibilmente la corruzione di Ttpaitòpevoi in rcepiaSópevoi si sarà formata nella tradizione di tale colle­zione: in un altro passo dello stesso commentario melampodeo (p. 20,1 Hilgard), in cui Kpdxxa) appare usato in modo analogo al nostro (Kpcrrivoc ó Kai Ttpcmòpevoc), di fronte al rcpaTTÓpevoc tramandato da tutti gli altri codici, il solo V presenta ancora una volta una lezione diversa, evidentemente corrotta: nXa.Tió\ievoQ (in N il passo manca).

" K.W. Goettling, Theodosius Alexandrinus: Grammatica, Lipsiae 1822, che aveva pubblicato una serie di note grammaticali con il nome di Teodosio, tratte dai codici Paris. 2553 e 2555, e J.A. Cramer, Anecdota Graeca e codd. manuscriptis Bibliothecarum Oxoniensium, IV, Oxonii 1837, 308-330, che aveva pubblicato annotazioni tratte dal cod. A (Londinensis Musei britannici Add. 5118).

12 Per la storia degli studi intorno a tali scolii, vedi Hilgard Vis.

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aggiornamento non superasse di molto tempo la pubblicazione dell'articolo di Wachsmuth (1865), dimostra la constatazione che l'appunto relativo è compreso fra la data «Decbr.67», posta in testa alla stessa pagina e risalente evidentemente all'acquisto del volume, e la data «12. Aug. 70», leggibile, come s'è detto, nel corso della seconda annotazione.

Di che portata, oggi, le osservazioni di Rohde al nostro scolio? Dal punto di vista testuale non possono ovviamente dirci niente di nuovo, sia perché siamo ormai in grado di giovarci dell'edizione di Hilgard (1901) - che tiene conto di molti codici prima non disponibili - sia perché gli stessi dati forniti da Rohde provenivano da lavori altrui (l'articolo di Wachsmuth sul codice Neapolitanus Burbonicus, le conclusioni di Lobeck a proposito del significato di Ttprixxco, l'edizione di Bekker da cui è copiato il passo). Merito personale - e non insigni­ficante - risulta tuttavia l'aver attribuito, al Ttpocxxópevot dello scolio, quell'ac­cezione particolare di 7tpdxxa) già esaminata e illuminata da Lobeck e Meineke: tra i brani raccolti da entrambi costoro, infatti, lo scolio a Dionisio Trace non compariva.

L'aspetto comunque più attraente della prima annotazione è rappresentato dal preciso interesse che ne risulta, da parte del giovane Rohde, per la storia degli studi letterari nell'antichità, e in particolare per il loro lessico tecnico, come dimostra l'attenzione dedicata all'uso speciale di Ttpaxxópevoi.

Quanto all'occasione della nostra nota, sicuro è unicamente il periodo che la concerne, compreso tra il dicembre del 1867, data della nota di possesso, e l'ago­sto del 1870, data apposta alla nota seguente. In base a ciò, è suggestivo tuttavia ipotizzare che essa risalga al - o meglio, sia frutto del - viaggio che Rohde compì in Italia tra il marzo 1869 e il maggio 1870. Sappiamo infatti che, nel corso di tale viaggio, egli approfittò delle ricche biblioteche italiane, riservando particolare cura e scolii, lessici e simili «Schutthaufen», come li definisce Crusius ' .

La seconda annotazione, relativa ad un frammento citato da Apollonio Disco­lo, oggi unanimemente attribuito a Saffo (fr. 33 V.), consta in realtà di parti diverse, corrispondenti ad almeno due fasi differenti. In un primo tempo Rohde trascrisse il frammento, da lui forse notato per caso durante la lettura del De constructione di Apollonio, e creduto assente (probabilmente lo aveva cercato tra quelli di incerta attribuzione) nei PLG di Bergk. A questa fase appartiene la data 12. Aug. 70, leggibile precisamente in calce al frammento. Ma in seguito Rohde lo riconobbe evidentemente tra i frammenti di Saffo nell'edizione di Bergk, e aggiunse quindi, tra parentesi, un'annotazione di rettifica, criticandone però l'attribuzione, dal momento che niente, a suo avviso, riconduceva a Saffo tranne il metro. Aggiungeva infatti una citazione di Bekker, tratta dalle note al passo del De pronomine di Apollonio Discolo, dove è citata, come saffica, l'ode crxxivexcu

13 O.c. 42.

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poi Kfjvoc: Bekker avanzava cautamente l'ipotesi che, come quest'ode, anche il nostro a'O'èyd) KXA.., certamente nello stesso metro, fosse di Saffo 14. Chiara l'intenzione, da parte di Rohde, di sottolineare il carattere puramente ipotetico dell'attribuzione, ricordando come lo stesso Bekker, che era stato il primo ad avanzarla, si basasse unicamente - e con prudenza - sul fatto che i due frammenti osservano il medesimo schema metrico l5.

Sull'occasione specifica di tale annotazione è difficile avanzare ipotesi. Essa fu semplicemente dettata, in un primo tempo, dall'esigenza di colmare una pre­sunta lacuna di Bergk, probabilmente scoperta - come accennavamo - nel corso di una lettura di Apollonio Discolo (il che ci illumina comunque sul genere di testi che Rohde amava indagare), e, in seguito, dalla necessità di fare una rettifica. Tornando invece alla data, precisa, del 12 agosto 1870, essa ci rimanda al periodo immediatamente successivo al ritorno nella città natale di Amburgo dal viaggio in Italia (e da un breve soggiorno in Svizzera, dove Rohde aveva potuto rivedere l'amico Nietzsche) e immediatamente anteriore all'inizio della sua attività di insegnante a Kiel (inverno 1870). Siamo all'epoca della guerra franco-prussiana, a cui Rohde aveva dapprima deciso di partecipare come volontario, per poi ab­bandonare l'idea, dopo gli immediati successi dell'esercito prussiano 16.

La terza nota è un semplice appunto: l'indicazione, come s'è detto, di un saggio di Leopold Schmidt sulla cronologia dei carmi di Pindaro 17, nel quale l'autore polemizzava contro l'opinione che Bergk aveva espresso a tal proposito, e per la prima volta, proprio nella terza edizione dei PLG. Anche quest'appunto sembra quindi dettato da un'esigenza di integrazione-obiezione a Bergk. Esso viene inol-

1 R

tre corredato dall'indicazione delle pagine (Seiten) e del formato Anche se non possiamo stabilire con certezza quanto tempo dopo la sua pub­

blicazione Rohde ebbe modo di leggere il lavoro di Schmidt, la data del 1880/81

14 Apollonii Dyscoli De pronomine Iiber prim. Ed. ab Imm. Bekker, «Mus. der Alterthumswissenschaft» («Museum antiquitatis studiorum») I fase. II (1811) 255ss. Rohde, nell'annotazione, fa riferimento alla ristampa in volume separato della stessa edizione (Berolini 1813).

15 II primo a seguire Bekker in questa ipotesi era stato proprio Bergk, dapprima nell'ar­ticolo De aliquot fragmentis Sapphonis et Ale ad, «RhM» III (1835) 218s. («Sapphonis esse puto fragmentum apud Apollon. de syntaxi p. 246»), quindi nelle varie edizioni dei Poetae Lyrici Graeci.

Crusius, o.c. 45. 17 L. Schmidt, Supplementum quaestionis de Pindaricorum carminum chronologia, in Indices

lectionum et publicarum et privatarum quae in Academia Marburgensi per semestre hibernum inde a d. XV. m. Octobrls MDCCCLXXX usque ad d. XV m. Martii MDCCCLXXXI habendae proponuntur.

18 Nell'originale, tra "12" e "S ." è evidente un trattino di penna, apparentemente un punto: punto che qui, peraltro, non avrebbe senso. Penserei ad un banale lapsus calami.

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costituisce comunque un'indicazione per noi interessante. In quegli anni, infatti, Rohde esercitava la propria attività di docente universitario a Tubinga, dove visse dal 1878 al 1886. Significativamente, proprio in quel periodo, i suoi studi si orientavano verso questioni di storia letteraria e, in particolare, di cronologia: e al 1881 risale, ad esempio, la pubblicazione delle Studien zur Chronologie der griechischen Literaturgeschichte 19, in cui sono presi in esame Omero ed Esiodo. La nostra annotazione si inscrive quindi perfettamente nel quadro di tali e noti studi, e nell'arco degli anni sopra indicati (a partire ovviamente dal 1881).

Lasciando da parte, delle tre annotazioni esaminate, la seconda (documento peraltro dell'attenta critica esercitata dal giovane Rohde sulle edizioni in circo­lazione), la prima e la terza si rivelano piuttosto importanti. Sono testimonianze (Luna giovanile, l'altra matura) di due aspetti di un unico interesse, che Rohde manifestò e sviluppò nell'arco della sua vita: intendo l'interesse per i vari aspetti della ricerca storico-letteraria nell'antichità (dalla terminologia, alla critica delle fonti, alle questioni cronologiche), il cui spirito è illustrato, e nel modo migliore, dallo stesso Rohde, a proposito del particolare uso di yéyove da lui individuato nei Biographica della Suda: «Eine wahrhaft kritische Geschichte der griechischen Literatur wird nicht eher geschrieben werden kònnen, als bis, wie ein fester Unterbau, eine Geschichte der literarhistorischen Forschung der Griechen selbst begriindet und ausgefuhrt sein wird»; di qui l'esigenza di una «zusammenhàngende Betrachtung der Arbeitsmethode jener alten Literarhistoriker, durch deren Glàser das hòhere Alterthum zu sehen wir nun einmal genòthigt sind» 20.

Tale sentito interesse, che accompagnerà Rohde per buona parte della sua carriera, nacque, come apprendiamo dalle notizie biografiche disponibili, piuttosto presto: basti ricordare che, tra il 1867 e il 1868, Rohde seguì a Kiel le lezioni di Alfred von Gutschmid sulla cronologia antica, e che oggetto del suo primo saggio, pubblicato nel 1870, furono le fonti del lessico di Polluce per le parti relative al teatro 21. La nostra annotazione sullo scolio a Dionisio Trace si configura quindi come un'ulteriore testimonianza della precocità di tale interesse, mentre l'ultima annotazione ci riporta al periodo di insegnamento a Tubinga (1878-1886), in cui l'orientamento, da sempre - per così dire - rivolto alla ricerca storico-letteraria antica, giunse a piena maturazione: è di questi anni il progetto di una Geschichte der literarischen Studien im Alterthum, mai realizzata, il cui lavoro preparatorio è testimoniato dall'«Antrittsrede» con cui si presentò a Tubinga, Uber die Methode

19

20

«RhM» XXXVI (1881) 380ss. e 524ss. (= Kleine Schriften, I lss.). Rohde, réyove in den Biographica des Suidas, «RhM» XXXIII (1878) 161 (= Kleine

Schriften I 115). 21 Rohde, De Julli Pollueis In apparatu scaenico enarrando fontibus. Accedo de Pollucis

libri secundi fontibus epimetrum, Leipzig 1870.

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der Forschung in griechischer Literaturgèschichte, e dalle citate Studien zur Chronologie der griechischen Literatur gè schichte. Ma soprattutto è degli stessi anni il celebre scritto sull'uso di yéyove nei Biographica della Suda, che - come giustamente sottolinea un classico della storia della filologia, il Sandys - rappre­senta il maggior risultato da lui raggiunto in questo campo 22. Oggetto del pro­blema, brillantemente risolto almeno per l'aspetto affrontato, è la terminologia degli antichi compilatori, la cui esatta conoscenza, da raggiungersi attraverso un esame sistematico e quanto più ampio possibile, è giudicata da Rohde presupposto indispensabile per una sicura comprensione delle stesse informazioni oltre che delle considerazioni reperibili in siffatti testi. Una convinzione che, nel saggio del 1878, permette appunto a Rohde di rispondere all'annosa questione del significato di yéyove (interrogandosi sul modo di lavorare degli antichi mediante l'uso di tavole cronologiche). Una convinzione tuttavia già formata o, comunque, più che in nuce, al tempo dell'annotazione ad un testo tecnico come il nostro scolio a Dionisio Trace: curiosamente, la specificità del linguaggio dello scolio trascritto da Rohde si ravvisa, oltre che nel 7tpaxxópevot, oggetto di attenzione particolare da parte del filologo, anche nel perfetto yeyóvaot, verbo non meno tecnico per indicare 'esistenza', cioè consistenza letteraria. Che nell'attività più giovanile (rappresentata, quanto alla nostra indagine, dalla prima annotazione) si possano già vedere le radici degli studi dell'epoca di Tubinga (per noi non di meno rap­presentata dalla menzione dell'articolo di Schmidt) suggerisce del resto un'ulte­riore circostanza. I due lavori che Rohde esplicitamente cita come punto di par­tenza del proprio studio su yéyove - F. Ritschl, Opuscula philologica, I, Ad litteras Graecas spectantia, Lipsiae 1866 ed A. Schòne, Untersuchungen iiber das Leben der Sappho, in Symbola Philologorum Bonnensium in honorem Friderici Ritschelii collecta, Lipsiae 1864-1867, 731-762 - videro la luce in un periodo di poco precedente a quello della nostra prima annotazione (senza contare che Ritschl era stato professore di Rohde a Lipsia).

Ci sembra ragionevole concludere questa 'marginale' indagine ribadendo l'ipotesi che le prime riflessioni di Rohde su una così precisa tematica, da lui lungamente prediletta, risalgano all'epoca da noi individuata, e dunque presentando le nostre pur brevi annotazioni, finora inedite, come tracce significative di una carriera 'storica' nel campo della filologia classica.

Roma C R I S T I N A P A C E

22 J.E. Sandys, History of Classical Scholarship, III, Cambridge 1908, 186: pur nella necessaria brevità del paragrafo dedicato a Rohde, egli indica il saggio su yéyovE come una delle sue tre opere fondamentali, accanto a Der griechische Roman and seine Vorlàufer, Leipzig 1876', 19002, 19143 e a Psyche. Seelencult und Unsterblichkeitsglaube der Griechen, Freiburg inBrisgau 18941, 18982.