Quinta lezione Venerdì 19 febbraio 2010 1 dott.ssa A. Decataldo.

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Quinta lezione

Venerdì 19 febbraio 2010

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La Germania è uno dei pochi stati europei che non subisce l’influenza del Positivismo, ma che, di contro, è la culla di due correnti, lo Spiritualismo e il Neovitalismo, che rivendicano la legittimità dei valori spirituali, la pienezza e l’autenticità della vita nella molteplicità delle sue manifestazioni soggettive, irriducibili alla sola ragione.

Alla fine del XIX secolo l’unica scienza sociale sviluppata in Germania è la storiografia, ma gli studiosi iniziano a interrogarsi relativamente alla nuova disciplina nata in Francia (la sociologia) nel tentativo di definirla in termini diversi rispetto a quanto fatto dal Positivismo francese.

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Le diverse correnti del Neocriticismo, infatti, ripropongono l’obiettivo di una esplorazione critica delle possibilità e delle modalità del conoscere, capace di estendersi e di includere anche le cosiddette scienze morali.

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La nascita del dibattito sul metodo nell’ambito delle scienze sociali risale al 1883, anno in cui Wilhem Dilthey (1833-1911) pubblica un saggio dal titolo “Introduzione alle scienze dello spirito”, in cui si interroga circa l’inadeguatezza del metodo delle scienze naturali per discipline come quelle sociali dotate di caratteristiche loro proprie.

Dilthey è un esponente dello Storicismo tedesco, che si fa promotore di un programma di ritorno a Kant esprimendo la necessità di una fondazione filosofica di quelle che egli definisce scienze dello spirito.

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L’obiettivo che Dilthey intende perseguire consiste nel liberare queste scienze da ogni prospettiva metafisica attraverso la definizione di una critica della ragione storica e nel costituirle nella loro autonomia come campo di conoscenza valida.

Per realizzare questo programma è necessario esaminare criticamente i giudizi avanzati nell’ambito delle scienze dello spirito senza ridurli al modello delle scienze naturali.

Dilthey, infatti, distingue le scienze della natura da quelle dello spirito, negando quanto affermato dai Positivisti circa l’esistenza di una scienza unica dotata di un metodo unico.

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La differenza fra questi due tipi di scienza è sia di natura ontologica (l’oggetto che studiano) sia di natura metodologica (il metodo con il quale studiano tale oggetto).

Dilthey insiste, però, sull’impossibilità di considerare l’ambito intellettivo (campo di applicazione delle scienze della natura), affettivo e della volontà (campo di applicazione delle scienze dello spirito) come facoltà distinte, ma ritiene, bensì, che siano atteggiamenti compresenti in ogni manifestazione della vita: l’Erlebnis (l’esperienza vissuta) ne rappresenta la realtà unificante.

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Naturalmente persiste anche per questo autore la necessità di trovare un fondamento di oggettività per le scienze; soprattutto l’oggettività delle scienze dello spirito deve avere un fondamento diverso rispetto a quella ormai consolidata delle scienze della natura.

Il problema fondamentale per Dilthey è, infatti, quello di garantire a tutte le scienze “la necessità oggettiva, che è il carattere fondamentale del sapere”.

Come Kant aveva trovato un fondamento del sapere per le scienze della natura individuando il loro carattere di necessarietà e universalità nell’ideazione delle categorie, così Dilthey vuole trovarlo per quelle dello Spirito: Kant, infatti, aveva fornito una versione parziale dell’uomo mettendone in luce solo le sue capacità raziocinative, mentre l’uomo è anche volontà e affettività.

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La distinzione fondamentale tra scienze della natura e scienze dello spirito risiede esattamente nel fatto che mentre le prime trattano di oggetti che accadono nel mondo fisico, le seconde studiano fatti che si verificano nel mondo dell’uomo.

La natura è esterna all’uomo, il mondo delle scienze fisiche è estraneo all’uomo ed è scandito da regole che non investono il vivere dell’uomo.

Pertanto, le esperienze nelle scienze della natura non sono conoscibili nella loro interezza perché restano separate dall’uomo, distanti da esso: le scienze della natura cercano di individuare nessi causali, restando fuori da ciò che accade nel fenomeno studiato.

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Pertanto la conoscenza delle scienze della Natura è precaria, estraniata, difficile, si ipotizzano andamenti dai quali l’uomo è fuori.

Nelle scienze dello spirito, di contro, si studia l’uomo stesso e, quindi, la distanza tra l’oggetto di studio e il soggetto è minima; quando si ha a che fare con le scienze dello Spirito si è coinvolti empaticamente nell’oggetto d’analisi.

La conoscenza delle scienze dello Spirito è, perciò, garantita dall’immediato percepire.

Quindi, mentre le leggi della natura hanno una loro regolarità, ciò che avviene nel mondo dello spirito è dotato di unicità perché alla stessa azione ogni uomo può dare un significato diverso.

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I due settori di indagine, comunque, presentano la loro sostanziale unità nella totalità psicofisica dell’uomo: esiste una fondamentale interdipendenza fra i fenomeni spirituali e quelli fisici.

Dal punto di vista metodologico, mentre le scienze della natura seguono il metodo della spiegazione causale (Erklaren), le scienze dello spirito seguono il metodo della comprensione (Verstehen).

La comprensione consiste nel cogliere immediatamente e intimamente connessioni di senso la cui pienezza e la cui autenticità sono garantite dall’Erlebnis.

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A differenza delle scienze della natura che aspirano all’individuazione di leggi, l’obiettivo delle scienze dello Spirito è la conoscenza del singolare.

La comprensione si connota in termini di empatia e intuizione, implica un ri-vivere e un ri-costruire, è autentico e immediato riconoscimento di sé, sia della propria esperienza interna sia di sé nell’altro.

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Wilhem Windelband (1848-1915) è un esponente del Neocriticismo e per lui istanza critica significa estensione del programma fondazionale kantiano con riguardo alla conoscenza storica.

A differenza di Dilthey, però, validità della conoscenza significa individuare le forme logiche del pensare in modo corretto.

Il pensare presuppone una coscienza avente degli scopi, ossia implica l’esistenza di elementi prescrittivi che ne scandiscano il procedere: essi sono i valori.

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I valori sono un aspetto fondativo e specifico per le scienze della cultura, mentre costituiscono una dimensione completamente assente nelle scienze della natura.

I valori sono assoluti, intersoggettivi e necessariamente comuni a tutti: rappresentano la chiave di lettura universale per studiare e comprendere la realtà.

L’assolutezza dei valori è una questione di fede.

La validità universale della conoscenza scientifica nel campo delle scienze dello spirito risiede proprio nel fatto che queste ultime si basano su valori trascendenti e validi universalmente.

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La scienza è un pensiero che possiede con validità universale e necessaria il valore della verità: la verità è il valore che disciplina il puro pensare e lo trasforma in conoscenza.

Windelband ritiene che la diversità fra le scienze della natura e quelle che egli chiama scienze della cultura sia di natura esclusivamente metodologica – prima differenza con Dilthey.

Qualunque fenomeno, secondo Windelband, può essere studiato sia da una prospettiva nomotetica sia da una prospettiva ideografica – seconda differenza con Dilthey alla cui base si pone la negazione, da parte di Windelband, di una differenza ontologica.

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Questo lo porta a sostenere che le scienze della cultura sono idiografiche, ossia studiano la singolarità, mentre quelle della natura sono nomotetiche, ossia studiano le regolarità al fine di individuare leggi.

Ma l’ideografico e il nomotetico, pur operando in modo parallelo e congiunto, non hanno possibilità di intersezione.

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Heinrich Rickert (1863-1936) estremizza e porta a compimento le tesi di Windelband partendo dalla prospettiva di pervenire a una teoria integrale della conoscenza, in cui il problema dei fondamenti e della relativa validità risulti in modo inequivocabile.

L’obiettivo è quello di costruire una logica generale della conoscenza e in questo ambito egli sostiene che la realtà gode di un’inesauribile molteplicità estensiva (infinita gamma di singolarità) e intensiva (inesauribilità di ciascuna singolarità).

Ciascuna singolarità è, infatti, esplorabile attraverso un’infinità molteplicità di percorsi e, pertanto, lo scienziato sociale ha bisogno di una guida per orientare lo studio di questa complessità.

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Tale guida è rappresentata dai valori, i quali possono essere assunti come criteri di selezione e permettono, così, di studiare quelle singolarità che hanno senso in rapporto a quei valori.

Lo studio della natura trova nel suo percorso dei limiti insuperabili che consistono nell’individuale, che nella sua irripetibilità non può essere colto dall’attitudine generalizzante della scienza naturale.

Al contrario, il reale nella sua individualità costituisce l’oggetto specifico della conoscenza storica.

Per Rickert non si tratta di due distinti ambiti del sapere, ma di due direzioni del lavoro scientifico.

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La relazione al valore è il criterio fondamentale di selezione in tale molteplicità e di valorizzazione di alcune singolarità rispetto ad altre.

I valori semplificano la realtà: guidano verso le singolarità degne di essere studiate.

Il valore per Rickert rappresenta l’elemento decisivo, il fondamento della teoria della conoscenza.

La validità della conoscenza stessa dipende dall’esistenza di valori assoluti, universali e necessari.

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Si tratta, però, di “valori con la V maiuscola” in quanto la relazione al valore non è un’operazione di valutazione delle singolarità.

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