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    23 aprile | quinta serata

    @ Galleria Ono, Bologna

    Susanna Bacci

    Andrea Cavalieri

    Emanuela Kalb

    Elvis Malaj

    Marta Paris

    Domitilla Pirro

    Maria Clara Restivo

    Francesca Ricci

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    8x8 Un concorso letterario dove si sente la voce

    Oblique Studio 2013

    I partecipanti alla serata del 23 aprile 2013:Susanna Bacci, Le signorine Biagiotti;Andrea Cavalieri, La cena;Emanuela Kalb, La ragazzina;Elvis Malaj,Mrika;Marta Paris,Non voglio parlare di lei;Domitilla Pirro, Sote;Maria Clara Restivo, Di scorta;Francesca Ricci, Francesco.

    Uno speciale ringraziamento alla casa editrice CartaCanta, madrina della serata,e ai giurati Chiara Partisani, Giovanni Previdi, Alberto Sebastiani e Jean alon.

    I caratteri usati per il testo sono lAdobe Caslon Pro e il Rockwell.Oblique Studio | via Arezzo 18 | 00161 Roma | www.oblique.it | [email protected]

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    Susanna Bacci

    Le signorine Biagiotti

    A rotta di collo, ra curve e contro curve, senza renare mai.Madre mia aiutami i reni non unzionano.i prego, ti prego, ammi la grazia, non armi morire ora.Il cancello sulla curva era aperto, un attimo e si era ritrovata nel

    feno appena alciato del giardino.O Signore ti ringrazio ma sono in ritardo mi devo ricor-

    dare di are un voto speriamo che don Franco non abbia gicominciato.

    Mentre si aollava la mente di mezze parole, con il cuore ingola, ancora ansimante e sbandando gi di nuovo, a rotta di collo.Le consegne avvenivano nel retro della sagrestia. utte le mat-

    tine, verso le sei, poco prima della messa, don Franco metteva adisposizione i locali dove i portaordini della Buratti, di sopra Pon-te a Moriano, si incontravano con quelli della Valenti, della piana.Poche parole, magari un biglietto, per dare indicazioni agli abitan-ti sulle azioni che sarebbero avvenute in giornata o per scambiarsinotizie sui movimenti delle truppe tedesche; la linea gotica era l apochi passi, ancora ben presidiata nonostante larrivo degli ameri-cani a Lucca.

    Incontri ulminanti, sul flo dei secondi; non erano ammessiritardi.I repubblichini della zona, italiani assoldati per pochi spiccioli,

    si erano prestati a ar da sentinelle e a denunciare al comando tede-sco chiunque sostenesse i partigiani. Di rimando le azioni di sabo-taggio erano continue: interruzione delle linee teleoniche, chiodi

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    e vetri sulle strade di maggior transito, cartelli indicatori spostati,delatori scoperti e ucilati.

    Una lotta corpo a corpo ra paesani che si requentavano fno algiorno prima e che ora erano disposti a tradire per un pezzo di pane.

    Nelle campagne di tutta la Garagnana, a ridosso della linea,fno a Marlia e a Ponte a Moriano, la reazione era stata pressochimmediata dopo larmistizio, con nuclei di resistenza orti di qual-che moschetto e bomba a mano.

    Don Franco era stato ra i primi ad aderire alla Resistenza.Le parrocchie come la sua, piccole, sparse nella campagna,incassate ra granturco e noccioli, erano diventate postazioni permedicazioni di ogni genere, gestite dalle donne pi mature, im-provvisate inermiere e confdenti.

    A turno, giorno e notte, si alternavano al capezzale dei par-tigiani e dei civili eriti, un modo per essere vicine, per essere alcorrente dei movimenti dei loro mariti, fgli, parenti imboscati enon morire dansia nellattesa.

    E poi cerano le ragazze, quelle pi giovani, non molte ma ve-loci e talvolta pi intuitive.

    Adele ed Emilia Biagiotti erano ra quelle.Non che ossero state accettate subito, cera qualche di denzaperch la amiglia era nota in zona per le simpatie asciste. A casaloro per si era installato il tribunale militare alleato, requisendo ilterzo piano della villa, e questa era una garanzia; lo stesso generaledormiva l a casa. Gli avevano allestito un piccolo appartamentinoaccanto allu cio e la sera scendeva a cena con la amiglia.

    Adele era scappata di soppiatto da casa alle prime luci dellalba,aveva una paura matta e si era messa daccordo con Emilia cheavrebbe inventato una scusa fno a che non osse tornata.

    Doveva assolutamente avvertire don Franco, la notizia era terribile

    o cos le era sembrato. Dalla fnestra della loro camera da letto, chedava sulla strada, era sembrato che qualcuno bisbigliasse in tedesco.Verstecken Adele aveva inteso qualcosa di simile.Brevi rumori di passi leggermente di corsa che passavano ra-

    dente il muro della casa. Sembrava volessero circondarla ma non sipoteva distinguere nulla se non come un ruscio di oglie.

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    Le signorine Biagiotti

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    Com possibile che i tedeschi siano qui, ma non lo sanno cheabbiamo gli americani in casa?, e poi, con un lampo di lucidit:Ma quali americani? C solo il generale, un paio di soldati diguardia orse proprio questo lobiettivo, attaccare il comandoquando ancora sguarnito. Adele era assorta e conusa.

    Poi tutto ermo, allimprovviso pi nulla, silenzio.Cosa vorranno are? Lo diciamo alla mamma? Emilia aveva

    quindici anni e se la stava acendo addosso dalla paura.

    Adesso non vorrai mica metterti a piangere, vero?Ancora un paio di curveAlla parrocchia don Franco stava parlando con il Ramacciotti

    e il ori.Avevano saputo che pattuglie tedesche erano sparpagliate nei

    dintorni per azioni di sabotaggio.Adele, appena arrivata, butt la bicicletta per terra, entr trae-

    lata e tutto dun fato raccont cosa aveva sentito, che li aveva vististrisciare lungo il muro sotto le sue fnestre, che pensava avesserocircondato la casa, che era uscita passando dal retro per non arsivedere, sfdando anche le sgridate della madre se lavesse scoperta.

    Poi, ricordandosi che era caduta nel feno della villa, arugliche per caso il cancello era aperto e che era viva per miracolo.Strano che non abbiano attaccato, la situazione era ideale, il

    Ramacciotti, pensando nervosamente al da arsi, lui che era coman-dante di una squadra e che di azioni di sabotaggio era un vero maestro.

    Il ori impacciato come sempre davanti alle ragazze: Graziesignorina signorina meglio che si medichi la erita.

    Poi, il Ramacciotti tornato al presente: utto bene in villa?Ci sono stati spari? Laccompagniamo, venga con noi per, haavuto un bel coraggio con i tedeschi in giro.

    La situazione sarebbe potuta precipitare da un momento allal-

    tro e bisognava dare lallerta a tutte le squadre in zona. In un atti-mo landirivieni di portaordini si ece renetico, l nella sagrestia eil telegrao incandescente, coperto solo dalla voce di don Francoche iniziava a dire messa.

    Il Ramacciotti e il ori scortarono di gran retta a casa Ade-le, preoccupata di ci che lavrebbe aspettata e gi si immaginava

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    la scena: sangue sul ginocchio, i vestiti sporcati dalla caduta e gliocchi della madre addosso che le avrebbero volentieri perorato lostomaco e, invece, ricevette le congratulazioni del generale.

    Anche lui aveva sentito dei rumori ma dalla parte della villaBernardini, dallaltra parte della strada.

    Aveva subito allertato i suoi al campo e chiesto rinorzi al comando.I tedeschi, eettivamente, si erano nascosti negli scantinati della

    villa, in quel momento disabitata, ma apparentemente non sembrava-

    no dare cenni di vita. Solo allarrivo delle squadre partigiane comincia-rono gli spari, mitragliate a ripetizione che si sentivano da casa.Le ragazze adesso seguivano con il naso incollato alla fnestra

    della loro camera, cos vicino non lavevano mai vista unazione diguerra. Certo, era pericoloso stare l ma era pi orte il bisogno dimemorizzare tutto, di arsi unidea da che parte stare.

    Lazione alla fne and in porto con laiuto di un carro armatoamericano. Loro, i tedeschi, erano una decina, armati fno ai denti,una delle tante pattuglie che organizzavano azioni di sabotaggioinfltrandosi nei boschi della zona con il compito di tirare in trap-pola i partigiani e di sguarnirne le postazioni.

    Nessun erito in quellazione ma il ori era stato catturato. Sullastrada poi, approfttando di un punto solitario, era saltato addossoal soldato di scorta, erendolo e disarmandolo. Questo episodio sa-rebbe diventato il suo pezzo orte: lo raccontava e lo riraccontavapieno di particolari eroici che gli valsero, poi, la sua bella medagliaal valore.

    Dichiariamo aperta la seduta.Il comandante Sante Buratti era in piedi.Il Comitato di liberazione nazionale d lettura della relazione

    delle squadre dazione partigiane nella zona di Ponte a MorianoLa sala era stipata, avrebbero letto gli encomi e consegnato le

    medaglie.Adele ed Emilia erano in prima fla. Dal momento dellagguatosi erano messe a disposizione come staette ma in casa acevanofnta di ignorarlo.

    trasporto darmi, servizi di collegamento, venivano attuati dagiovani donne: ra le prime, le signorine Adele ed Emilia Biagiotti.

    Susanna Bacci

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    Pure le signorine Fratelli, Rossi, Gessj, Marcucci e Pacetti si sonodistinte per il loro coraggio e sentimento del dovere

    Poi la consegna della tessera di staetta, poi la oto ricordo

    Le signorine Biagiotti

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    Andrea Cavalieri

    La cena

    Ci vedremo al citoono, io e mio ratello. Lavr aspettato per nonsalire da solo, fngendo di essere appena arrivato anchio, e di averappena citoonato. Mamma sar indaarata in cucina tra le polpet-te al sugo da sornare e le patate, e cos risponder con la sua voceenergica solo dopo che avremo citoonato di nuovo. La porta della-scensore incisa di scarabocchi si chiuder dietro di noi, stridendo,e poi dentro mio ratello mi chieder se ho visto lultima partita, ediscuteremo dei motivi per cui non riusciamo pi a vincere. Mamma

    avr lasciato la porta accostata allo stipite, ma mio ratello busserlo stesso e lei urler dalla cucina che aperto. Io spinger la portaprima ancora di sentire la risposta, e vedr la gatta corrermi incontrocon la coda ritta in aria e subito strusciarsi con tutto il corpo sullemie gambe, e poi su quelle di mio ratello, prima di ripassare ogniangolo di casa col suo odore.

    Mamma uscir dalla cucina sudata, strofnandosi le mani nelgrembiule, correndo verso di noi a piccoli passi. Sorrider comesempre quando ci vede entrare in casa. Abbraccer prima me chesono il piccolo, mi dar un bacio sul collo e poi si ritrarr perchla mia barba corta lavr pizzicata, e mi dir di tagliarmela una

    buona volta; poi abbraccer mio ratello, gli passer una mano trai capelli e gli dir che sta benissimo con quel taglio che io apo-stroer da banchiere. E intanto star gi seguendo il proumoche viene dalla cucina, schivando ad ogni passo le intrusioni dellagatta tra le mie gambe, e quando mi aaccer sapr di trovarlol, ad aspettarci.

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    Allora mi ermer ad un passo dalluscio, e lascer la gatta en-trare prima di me e miagolare la sua ame al padrone. Mammami star gi guardando e per evitarmi limbarazzo torner velo-cemente in cucina. Entreremo insieme, io e mio ratello, e miopadre sar seduto a capotavola e dopo averci guardato a lungo, cisorrider. Mamma gli dir che gli abbiamo atto una sorpresa, e apap brilleranno gli occhi azzurri. Uno dopo laltro, io e mio ra-tello ci piegheremo per baciargli la guancia, gli chiederemo come

    sta, e mamma prender la parola al posto suo, come sempre, e dirche oggi stato bene, e che la gatta lha incastrato sulla poltronaper tutto il pomeriggio, fnch la signorina non ha deciso che dicoccole ne aveva ricevute abbastanza.

    La tovaglia bianca colorata di limoni, i bicchieri arrotondaticome donne incinta, i piatti da esta, tutto sar l come sempre.Ci siederemo alla tavola come non ossimo mai andati via da quel-la cucina, riconosceremo il braccio ricurvo dello schienale che dabambini ci premeva sulle spalle, e staremo attenti a non sbatterecontro lo sgabello nascosto sotto al tavolo, da trentanni, e mai unavolta che sia stato usato. La gatta prender posto proprio l sotto,

    nasconder le zampe nel petto e ci scruter come un aro che lanciarotonde occhiate al mare.Mamma attirer lattenzione di tutti perch avr bisogno di

    spazio per posare la teglia umante, e io e mio ratello stringeremoi piatti alla buona. Mi chieder come diavolo a mia madre a tene-re a mani nude quella teglia bollente senza urlare, e quando lavrposata ar una smorfa cercando di non dare nellocchio, ma io lavedr. Poi allungher quella stessa mano verso di me per prendereil mio piatto, visto che sono il pi piccolo e la prima porzione toccasempre a me, e mentre sceglier le patate pi abbrustolite perchsa che le preerisco, guarder con tenerezza mio ratello, come a

    giustifcarsi. Poi toccher a lui, poi a pap, e infne mamma pren-der le restanti per s, poche, perch gi star pensando che nonsaranno abbastanza per la seconda porzione mia e di mio ratello.

    Ci guarderemo negli occhi con un sorriso lieve e ripeteremobuon appetito, prima di assaggiare e sentire le lamentele di miamadre che trover dietti a non fnire, mentre io le dir che sono

    Andrea Cavalieri

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    sopra la porta, allora mia madre dir che dobbiamo andare senndomattina non ci sveglieremo per il lavoro, e mio ratello tireruori il cellulare e dir che vero, si atto tardi. Ci alzeremo esistemeremo alla meglio i resti nei piatti, ma mamma ci ermerimmediatamente, protestando che avr tutto il tempo per arlo.Allora prenderemo le chiavi della macchina, le infleremo in tascaacendole tintinnare, e ci guarderemo intorno di nuovo per esseresicuri di non aver dimenticato niente. Mamma si avviciner a pap

    e gli slaccer il bavaglio dal collo, lo poser sul tavolo, gli accarez-zer le spalle e ci dir: salutate pap.E io guarder mio ratello aspettando che si muova per primo,

    perch il maggiore, mentre mamma si toglier e ci ar spazio.Mio ratello si chiner su pap e lo abbraccer orte, gli dar unbacio sulla guancia e mio padre strizzer gli occhi azzurro acqua alungo. Poi toccher a me, e sentir, e avr il corpo immobilizzatodalla paura e le mani nascoste nelle tasche. Cercher di ingoiare ilmagone che avr in gola, mi avviciner senza guardare mio padrenegli occhi e dimprovviso le mie braccia lo avvolgeranno, primauna goamente e poi laltra insieme, e le mie guance toccheranno

    le sue. Sentir le sue lacrime scivolare dalle palpebre serrate, e luisentir le mie, tirer su il muco, e rimarremo cos mentre mia ma-dre si volter per nascondersi e mio ratello continuer a fssarci. Eper la prima volta, mentre scioglier il mio abbraccio dal suo collo,sussurrer che gli voglio bene, e lo ripeter due volte ancora, chegli voglio bene. Poi mi girer e uscir dalla cucina senza voltarmi.La gatta scender dal suo trespolo per anticiparmi alla porta din-gresso, e anche mio ratello mi seguir, dopo aver dato un bacio amamma.

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    Emanuela Kalb

    La ragazzina

    Mi ero dimenticato di cambiare le lenzuola, quella settimana.Allungai un braccio a occhi chiusi e la ragazzina era ancora l,

    accanto a me. Girai pigramente la testa verso il suono che uscivasottile dalle sue labbra. Il giorno era gi nella stanza, piegato suluton come un ospite inopportuno.

    Dormiva raggomitolata su un fanco, il viso verso di me. Respi-rava leggera, come chi si appena addormentato. Guardai lora:troppo presto. Chiusi gli occhi e cercai di dormire ancora.

    Anche lultima aveva la sua et, orse un po pi piccola. Non misentivo in colpa, in ondo erano loro a cercarmi. Questa me lavevapresentata un amico, si erano conosciuti per caso davanti alla scuo-la dove andava. Le si era ermato il motorino e lui laveva aiutata aarlo partire. simpatica, mi aveva detto, come se osse possibile ilcontrario. Quella sera eravamo seduti a un tavolo in un locale in-sieme ad altri e parlavamo del nulla. La ragazzina mi stava accanto,sforandomi la gamba con la sua. Si era girata verso di me, come semi avesse notato in quel preciso istante. I tuoi occhi, aveva detto.

    Poi mi aveva preso per mano sotto il tavolo e il contatto con le suedita mi era arrivato dritto alluccello. eneva la bocca dischiusa,aveva le labbra piene di stupore.

    Questo mi piaceva di lei.Era come se la vita le osse passata accanto e lei avesse scelto di

    non guardarla.

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    Aprii gli occhi nella luce di mezzogiorno. I capelli lunghi sciolti sulcuscino, la pelle olivastra, la magrezza esasperante, le davano lariadi una schiavetta. Mi veniva voglia di stringerla fno a arle male.

    Quando mi aveva detto quanti anni avesse ho sentito una vertigi-ne. Ma mi aveva guardato da sotto in su con fducia. Qualche oraprima, mentre la tenevo per i fanchi accompagnando i suoi movi-

    menti sopra di me, mi ero sentito smarrito. Le avevo detto, alloradove sono tutti questi anni di dierenza?Dico sempre cose stupide quando mi sto perdendo.Aveva sorriso continuando a ondeggiare su di me, sforandomi

    il viso con una mano; poi laveva lasciata scivolare sul mio collo esul bicipite, seguendo le linee del tatuaggio che avevo atto qualchetempo prima. Una phi. Senza smettere di muoversi si era chinata emi aveva leccato il disegno bluastro, piano, come osse una erita.

    Pi tardi me lero stretta contro e le avevo detto: raccontamiuna storia. E lei: ne so una, ti dico come fnisce. Avevo risposto:non voglio sapere come fnisce, fnisce sempre male, per quello

    non leggo mai le cose fno alla fne. Mi ermo quando sta andandotutto bene.Non mi aveva ascoltato e mi aveva detto che la storia fnisce con

    uno che si spara in testa. E perch?, avevo chiesto. Aveva scrollatole spalle e si era girata di schiena. Le avevo seguito la linea dellacolonna vertebrale col dito.

    Da come fnisce scopri che magari era tutto diverso quando iniziato: laveva detto voltandosi un istante, sorrideva ma gli occhino, erano rimasti immobili.

    Avevo iniziato a arle domande stupide sul tizio che si spara in te-sta, e lei rispondeva solo s o no, e alla fne venuta uori una storiadi uno che si uccideva perch la moglie gli aveva dato da mangiarecarne umana. Ah, e lui era cieco. Ma come ti venuta in mente, leavevo chiesto. Non mia, mi aveva detto, un indovinello aristo-telico. Raccontamene una tua, dissi.

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    Unaltra volta, aveva risposto. E poi aveva continuato: perchuna phi? Non avevo voglia di spiegarle la storia della sezione aureae della successione di Fibonacci, cos le avevo risposto: mi piaceva.Nessun signifcato? No, avevo detto, uno quando a le stronzate lea bene fno in ondo.

    Ho ame, disse. E si alz. Nella luce grigia del giorno sembrava

    ancora pi magra. Mi misi a sedere sul uton satto, la eci avvici-nare e le abbracciai le gambe, baciandola sul pube liscio.Mi prese la testa tra le mani e mi spinse via ridendo. Raccolse le

    mutandine e il vestito e se li infl in retta; poi si pass le dita trai capelli molte, molte volte.

    Devi andare a scuola stasera? S, sbu. urno di sera e com-pito in classe.

    Italiano? No, latino, rispose guardando uori dalla fnestra.

    Mi sdraiai incrociando le braccia dietro la testa e mi ricordai di

    quando andavo al liceo del mio paese. Mi ricordai delle botte rice-vute perch a scuola andavo bene e mettevo la camicia e i pantalonistirati, anzich magliette di band e jeans strappati. Era durata qual-che mese, poi avevo preso coraggio e avevo pestato uno di quelli chemi inastidivano. Sia lui che gli altri avevano smesso di tormentar-mi. Da quel giorno avevo iniziato a vestire di nero. Prima sempre,ora un po meno. Guardai la maglietta bianca sul pavimento. A meil latino piaceva. Non quanto la matematica, ma mi piaceva.

    Stasera studi?, mi chiese. S, ho un esame tra poco, Equazionidierenziali. Nice, disse, un giorno mi ai vedere. Pensai che erogi uori corso da un anno e sentii quella nausea.

    S, pensai. Un giorno.

    Vuoi arti una doccia?, le chiesi. No, rispose, e cera malizia nellasua voce, ma solo un poco. La accio a casa, aggiunse pi dolce,non c nessuno.

    La ragazzina

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    Avrei voluto dire qualcosa, ma allimprovviso mi sembrava tut-to troppo reale, troppo duro.

    Guardai uori dalla fnestra.Pioveva.Me la immaginavo correre ridendo nel grigio del pomeriggio

    col vestito azzurro radicio e le gambe magre schizzate di ango.

    Sembri una ragazzina, le dissi.

    Sulla ronte le si disegn una ruga spessa che tagliava la linea dellesopracciglia scure, come una croce.

    Lo sono ancora, da qualche parte, disse inflandosi la ede.

    Guardai la porta a lungo dopo che se nera andata.Poi, chiusi gli occhi.

    Emanuela Kalb

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    Elvis Malaj

    Mrika

    La bicicletta le d una sensazione di libert. Laveva trovata casual-mente nel garage del palazzo dove hanno preso in a tto lappar-tamento. Cos come oggi, nelle ultime settimane lha guidata tuttii giorni. Per oggi uscita di mattino, gli altri giorni dormiva oaceva fnta di dormire. Al semaoro dove Mrika si erma poggian-do un piede per terra e laltro sul pedale pronto a spingere, c ilsole che sugge agli alberi fancheggianti la strada. Il sole c statoquasi sempre in queste settimane di vacanza che giunge al termi-

    ne, dopodomani partono. I raggi cominciano a mescolarsi tra leruote della bici che accelerano il movimento proiettando unombraimpercettibile leggermente sumata sulla strada, e il vento carezzail viso di Mrika e il collo, dove delle perline appese sbandano conun ritmo morbido. Lindita e gli altri stamattina sono entrati nellastanza dove lei dorme e sono andati al letto di Indrit ancora insonno, cercando di non are rumore ma qualche risolino sommessose lo acevano scappare, col pennarello gli hanno disegnato e scrit-to parole sconce sulla accia, perch ieri Indrit aveva rotto lunicospecchio e aveva detto che tanto non serviva a niente. Indrit si svegliato e ha beccato tutti intorno alla sua accia con il pennarello

    in mano. Mrika rimasta al suo letto rivolta dallaltra parte fnchle risate e gli insulti sono usciti dalla stanza, poi si alzata. Indritsi messo davanti al televisore e nello schermo spento si vistoriesso un organo genitale maschile disegnato sulla guancia. Inquel mentre di schiamazzi Mrika scesa e ha preso la bicicletta.Con la bici ha percorso la cittadina in lungo e in largo, c una

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    piccola spiaggia oltre il molo con il suo solito pugno di barche,dove le onde vengono con un movimento languido sulla sabbiae con altrettanta calma se ne vanno. Dopo la strada con gli alberideve prendere un viale che scende lento, e la bici non ha bisognodi essere pedalata. Aveva atteso con impazienza questa vacanza,quando Lindita glielha proposto non ha titubato aatto nella ri-sposta. Gli ci voleva una vacanza. Aveva bisogno di staccare un pola mente, di respirare altra aria, cambiare ambiente, se non avesse

    avuto in mente questo viaggio chiss come avrebbe sopportato lostress degli ultimi tempi che si era creato al lavoro. Lindita hapreparato tutto, conosce molta gente, ha invitato Indrit cosicchanche Mrika potesse scopare, riuscita a trovare una casa abba-stanza grande, e gi il secondo giorno ha saputo trovare dellerba.Il primo giorno appena hanno scaricato i bagagli che tutti eranogasati, Mrika ha preso la bici ed andata. E per tutta la vacanzanon ha atto altro che prendere la bici e andarsene. Ha lavoratoper tutto lanno aspettandosi la vacanza e una volta qui passatosolo qualche giorno e gi voleva che fnisse per andarsene. Quandohanno atto sesso, dopo che Indrit lha baciata e poi gli ha preso la

    mano acendola sdraiare sul letto, Mrika non ha visto lora che luivenisse cosicch lei potesse andarsene. Agli altri sembrato stra-no il suo comportamento, non andata alla esta, non andata aballare, uscita con loro s e no quattro volte, a parte quando sonoandati in spiaggia. A Lindita gli ha anche parlato male quando hainsistito che lei non restasse a casa. In realt lei vuole divertirsi, venuta apposta, ma non ci riesce.

    Lo sregamento del disco con la gomma dei reni produce un f-schio, perch Mrika ha premuto i reni. Nellinsegna sul muro leg-ge il nome del locale dove Lindita ha detto che sono andati quandolei aveva risposto che si sentiva stanca. Il locale sembra bello. Ma

    lei non lha inventato, era davvero stanca. Non mai stata cosstanca come in questa vacanza. Forse sono i pensieri lucidi, perchla mattina cos, o orse il risentimento di Lindita, per Mrika glialtri giorni non si sentita inelice come oggi.

    E, orse ancora perch i pensieri sono lucidi, comincia a peda-lare con un po di rabbia, non veloce, solo con un po di rabbia, e

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    Marta Paris

    Non voglio parlare di lei

    Mia cugina smise di truccarsi per lanciarmi dallo specchio unoc-chiata indecirabile.

    Non voglio parlare di lei.Perch?Perch non mi va!A quel punto si gir di scatto acendomi un sorriso, come per

    assicurarsi che non me la ossi presa. Non ne voleva mai parlare,ma un po le somigliava. Certe volte mi sembrava di rivederla a

    tratti, sua madre, in un gesto del braccio, o magari in una posairrequieta, quando muoveva le dita in modo renetico, tamburel-lando lindice e il medio tra mento e collo. Sua madre si era river-sata in lei senza uniormit. Una discendenza da rintracciare perdisarmonie.

    Alcuni mesi prima la sera del suo ventitreesimo compleanno mia cugina mi aveva rivelato che voleva andarsene da casa perchtemeva di rientrare un giorno e trovare la madre impiccata; il tonocon cui laveva detto mi aveva atto pensare a quello di una donnavecchia. La verit che mia zia a una corda non ci si sarebbe ap-pesa mai.

    Almeno dimmi se le cose vanno meglio!Come noSorrise con la bocca imbronciata e gli occhi ridotti a due es-

    sure antipatiche. Quellespressione sarcastica sul volto di miacugina non centrava niente. Durante ladolescenza aveva presounabitudine estranea alla sua natura: aveva scelto il genere di

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    protesta che lavora in maniera sotterranea, attraverso quotidiane,inesorabili pressioni. I fdanzati della madre per parecchio tempoli aveva chiamati pap. Poi, a un certo punto, aveva smesso.

    Che dici, bianca o viola?Mi domand; nel rattempo, per gioco, si teneva dritta su un

    piede solo.Viola.Per addosso a le pieghe.

    Per sei fssata.Le due camicie erano sistemate sopra al letto una accanto allal-tra coi bottoni chiusi fno ai colletti, ben piegate come sul ban-cone di un negozio. Mia cugina venerava la perezione, tanto piquando non si rendeva necessaria. Mostrava il medesimo impegnomaniacale che mia zia nei giorni buoni dedicava a qualunquecosa, alla casa, ai vestiti, alla macchina, al denaro.

    Si port lindice alle labbra per armi segno di stare zitta. Unattimo dopo lo punt alla tempia mimando il gesto della pistola.Intanto sorrideva.

    Mi sa che oggi giornata, disse.

    Fino a quel momento avevo percepito solo rumori striduli chemi erano arrivati alle orecchie in maniera conusa. Mia zia avevainiziato a vagare per la casa sbattendo piatti, bicchieri, soprammo-bili, maltrattando qualunque cosa le capitasse tra le mani. La portadella cameretta, invece, la schiuse con una certa cautela.

    Ah, qui si pensa a prepararsi? E i piatti chi cazzo li a?Mia cugina tir uori una voce solida, calibrata, continu a pas-

    sarsi il rimmel senza girare lo sguardo.Mamma, a sporcare non siamo state noi. A pranzo eravate tu

    e Carlo, da soli.Mia zia si blocc a un passo dallenorme tappeto peruviano. In-

    dossava una lunga vestaglia a fori che le nascondeva le pantoole.Al collo la solita catenina di cuoio intrecciato. Agli angoli dellabocca notai i residui di un rossetto color pesca che probabilmentesi era messa al mattino.

    Ecco qua i tuoi ringraziamenti Sono stanca, io mi sono alza-ta allalba e ho lavorato, hai capito? Ho lavorato, io!

    Marta Paris

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    Quelle di mia zia non erano urla acili da compiere. Riusciva aconcepirle in estrema contraddizione con leleganza del suo porta-mento. Le sue dita erano gracili bacchette che tracciavano nellariapercorsi imprevedibili.

    Ma, che hai litigato con Carlo?Lo strillo successivo mi ece leetto di uno schiao. In

    quellattimo odiai mia cugina e la sua smania di provocazioni.In quellattimo non minteressava quanto proondi o dolorosi

    ossero i suoi motivi.Si vede che si meritava questo continuava a urlare mia zia si vede che si meritava una fglia testa di cazzo. Una fglia che laprendeva in giro, una fglia che pensava a mettersi lo smalto ai pie-di. In ogni caso, ne aveva la certezza, entrambe le loro vite eranosegnate, questione di geni e di destino. Per lei era sola, non avevanessuno con cui sogarsi. Era stua, le aceva male tutto, le venivada vomitare.

    Non era la prima volta che assistevo a una scenata del genere.Mia zia era nata ansimante. Nata stua. Da bambina mi domanda-vo il perch, ma la risposta col tempo aveva smesso di interessarmi.

    Si accomod sulla sedia a dondolo puntando i gomiti contro leginocchia e rimanendo per un po con la testa tra le mani. Prima distendersi sul letto sciolse i lunghi capelli corvini che ecero risaltareil pallore del volto in maniera pi intensa del solito. Subito doporaggomitol un braccio sopra la ronte il suo vistoso reticolo divene vibrava a tratti lungo il polso: pareva una tarantola azzurraincisa su una superfcie di marmo bianco.

    Mia cugina guard sua madre dallo specchio. Conoscevo benequella sua rara espressione, mi aceva sentire in colpa. Un pome-riggio di parecchie estati prima io avevo dodici anni e lei undici glielavevo vista are per la prima volta. Quel giorno le avevo

    chiesto di giocare a pallavolo, ma lei preeriva ingannare il tempotormentando una mantide religiosa con uno stuzzicadenti; poi eraarrivata Pallina, la gatta del vedovo Chiarini, un signore taciturnoche abitava due piani sopra al mio. Anche Pallina aveva iniziato aperseguitare linsetto mentre mia cugina seguiva la scena con unsadico luccichio nelle iridi. Allimprovviso si era distesa a pancia

    Non voglio parlare di lei

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    in gi sullasalto il naso a un millimetro dai resti della mantide e mi aveva guardata. Il labbro superiore rintanato nella bocca,le pupille imbambolate; un istante dopo era scoppiata in lacrime.Siccome ero arrabbiata per la storia della pallavolo, le avevo dettoche stava acendo il pianto del coccodrillo. Poi me ne ero andata.

    Mamma, potresti evitare almeno davanti a Giulia?!Cara, guarda che Giulia non come te.Mia zia inizi a espormi per flo e per segno tutti i suoi proble-

    mi. Narrava di trascurabili vicende quotidiane ponendo laccento suidettagli spiacevoli e inflando nei racconti numerose considerazionisul sesso, lamore e i massimi sistemi. Di requente tirava uori ri-essioni che trovavo argute, condivisibili: in quei casi mi ispirava unaetto destabilizzante, ma non sapevo mai cosa risponderle. ra-scinava la mano sopra la ronte, inventava pose su pose, tutte degnedi uneroina daltri tempi. Ma sebbene le piacesse crederlo, in leinon cera alcuna Madame Bovary. Nessuno dei suoi atteggiamentiriusciva a persuadermi che centrasse linedia dei giorni. La atica dicercare a tutti i costi un tormento non era unalternativa alla mo-notonia. Mentre continuava a parlare senza sosta, la cosa che mi

    urgeva era evitare il suo sguardo. Il suo sguardo corrispondeva a unmagnifco taglio docchi, a un nocciola immacolato che si rosicchia-va il bianco tuttintorno.

    Quando pens che avesse detto abbastanza prese a fssare unpunto ai suoi piedi; si accovacci sul pavimento di resina, grattsenza convinzione una macchia che non venne via. Prima di alzarsimi dedic un sorriso tirato, poi si avvicin alla fglia e le ece unacarezza.

    Non appena usc dalla stanza, mia cugina si allontan dallospecchio e si sedette sul letto dandomi le spalle.

    Anche per oggi la sua scenata lha atta.

    La voce era pacata e ironica come sempre. Quindi non mi pre-occupai.Fin di prepararsi ancora pi lentamente, trascinandosi in mo-

    vimenti cadenzati, metodici. Non si volt per tutto il tempo.

    Marta Paris

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    Domitilla Pirro

    Sote

    Da sotto al palco colano Te Boys e io ho fnito la doppio maltoe uori Roma sbocca, e non so pi se il sale delle noccioline oquello che vai dicendo, che santo e bono e giusto e pare vero,pare tuo, ma mi ciuccio via le dita come lanima tua dal cazzo. Eradue anni a. Io me lo ricordo il sapore, Sote. Soter salvatore Soterliberante liberato Soter che minchia di nome che chai. Fosse statomeno bigotto quel rompipalle di te padrita, a questora ti potevochiamare uri senza arti incazzare. Ma pure il nome speciale ci

    dovevi avere. Mi piaci ancora che mi stracci la pancia, Sote. E ame stasera Federica mi sta sul cazzo. Al Circolo con te ci volevovenire da sola, ma ce la dobbiamo portare dietro per orza chguarda come la guardi, porco. Pezzo di merda Soter. AmoramaroSoter. re lettere e penso a sot-tomessa, sot-toposta, sot-tantrenodite a Roma voi cugghiuni. Ci sono rimasta sotto, io, Soter. ireggo ancora il gioco perch a are la arsa sbracata da amica mi-gliore imparo da anni: come con Michi Loiodice alloratorio, chelui stava in classe di Diego ratemo e certe volte studiavamo tuttiassieme in cameretta, e io pesavo quasi uguale a mo ma lo guar-davo lo stesso coma ccristu. E a me lui non mi cacava proprio ma

    giocava a basket che pareva infnito, saltava fno dentro il canestrosaltava. E io sempre appresso a lui, zitta e babba, chiatta sonnata,che era gi il periodo che mi sgherzavano tutti, che ero gi laca-podgliaero.

    E uguale te, se non abbocco o fngo, non richiami, e mi servi dasfatare. Pure se mi strizzi locchio adessoorastanotte mentre Fede

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    ti si recula addosso e io vi guardo dondolando su Rue Morgue. Maquando ci hai invitate, oggi dopopranzo, cazzo acevo dicevo dino? Va te aire enculercanto, quanto canto. ante le so a memoria.Guarda come ride Fede minchiona, che ha capito quanto mi rode.Guarda come la guardi tu, malecarne. Lo so come lo ate. Ormais imparata tutte le parole magiche la essa, ma ai colleghi suoidelluni mica ci presenta. Viene a are la reak di notte, mi re-ga il tascabile di Prvert pure se non ci capisce unamata minchia

    cos con te pu darsi un tono. Si comincia a are un nome dentroal baraccone. Lo so. Ma per quello non mi incazzo. per te. sempre per te Sote.Esse esse ci, sanosicuroconsensualeripeteva primaal cell., dovevi sentirla sto pomeriggio che cercava di convincerelaltra ndrocchia dellamica sua a beccarci tutti insieme al Pigneto.E invece no, quella si caca sotto. Allora stanotte le basto io che leconviene pure, che a latu a mmia cha il gioco acile, sicca siccapare. Per prima tu mi hai guardata pi in basso, Sote. ho visto. che prima di uscire ho ripassato il rossetto color sargeniscu: tudici cocomero, io penso che pensi alla pancia invece no. Mi ricordoti piaceva la bocca. Questa bocca. La volevi tanto, per prima; lhai

    voluta due volte. Stasera di nuovo, magari. Pure se adesso c lei.Fede cha il culo met del mio, le braccia un quarto, le guancedi meno. Ma niente minne. Che se lo strizzo sto corpetto c chiride, chi mi fssa, io non ho pazienza pensavo ma invece. Mi sivede tutto, poi ho il collare novo che avevamo ordinato insieme.A me mi piace. Ancora mi piace vederti negli occhi il guinzaglio.Ma tardi. Perch stasera ride a ogni minchiata che vomiti, Fedeparieddra Fede porella Fede ntuppata; e poi mi ha detto tutto, da un po che le insegni, a me non mi vuoi pi, orse non mi volevimanco allora. E a me viene ame solo a vederti.

    ste noccioline bruciano le dita, c il sale che fnito sopra al

    taglio sullindice, mangio pure la pelle, con la lingua tiro e tiroma pizzica di pi. E adesso dal palco rimbomba Sick on you e tustecchi non sai quanto ma ci provi lo stesso, e allora io alzo la voceperch mi d sempre astidio sentirti stonare, e schizzo su I aintsadistic / masochistic / you and me are through , ma va ccati canzonedi merda, rido per non urlare e alzo la Sony davanti alla accia, da

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    dietro la lente siete beddrazzi, nculu tie e iddra. Ma tu te la ricordila serata al Pop-porn, Sote? Che cera lesibizione di Davide, eil masterone colla boccia aveva atto are a Manu una grezza coiragazzetti di Roma re che flmavano; che lei teneva lishinawasotto al top e lui aveva atto una battuta di merda, e poi li avevanomessi su Youube e lei a momenti ci perde il lavoro, ch stavanotutti vestiti Esse Emme. E tu quella volta invece mi hai portata atrincare, mi hai parlato del Canto della perla, mi hai spiegato la luce

    del evere alle tre di notte, che mi pareva non osse esistita primadi te. Volevo che venissi a dormirmi sopra. Volevo sapere che ma-schera porti te mmane mprima, colle mutande gi gonfe mentresbadigli a met. Volevo vederti ridere allimpruisu perch tengo lapunta della lingua ammezzo ai denti mentre ti guardo prepararele corde. Volevo diventarti rossa cruda davanti. Invece ancora no.Quella volta no.

    Ma ti ricordi la sera a Prati, Sote, quando vanno tutti in panicoch la bondagetta di Steano a momenti schioppa, e tu invece tene otti e mi tiri via di orza, e poi ci preso a ridere e poi cerail Matusalem e il estino dimmerda coi burini di Assosex, fnch

    siamo inciampati a Fidene da me con la scusa della ciucca. Ceraluce dappertutto. Le lampadine dellIkea sopra al letto sono serpiepilettiche. Lhai detto tu. Poi hai detto che Mul viene dallarabo,vuol diremaestro, sarebbe il mullah. E io ti ho guardato un po zittacon le nocche mbucca e ho detto allora minsegni, e tu mhai presoil collo. Preso orte con la mano. Come il suo adesso. roia Fede-rica. i prego lascialo. Non ballate cos mi spaccate la gola.

    Andiamo uori che ho da umarevengo a schiodarvi per non mori-re; e tu appresso a me fnalmente, col rum e pera e laltra mano nel-la tasca dei jeans della zoccola mmalurata. Usciamo mentre MattDangerfeld attacca You cant hurt a memory, la pi bella quella vera

    quella adatta tacci sua; ma io non ne posso pi, me la perdo azzaDiu, lo so che parte viene adesso. Adesso quando ve ne andate,Sote, when you fnd a substitute / someone who can step in my shoes.Adesso il tempo di una canna e ti si carica, la puttana. Mentre tiguardo dalla rabbia mi si chiudono i polmoni. il corsetto. Mancalaria e siamo tra i tavoli, uori. Rialzo la Sony. La azza diddra

    Sote

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    si spacca sallarga e dice Vi porto in un posto vi va? Tutti insieme?Cazzo dice a recuttara. Io volevo solo te. Volevo ci spartissimo ica dopo le birre, e i codini dei cornetti la mattina alle cinque sulLungotevere, da quello che li a bollenti morbidi vicino alla Boccadella Verit, quando la fla la ai in mezzo ai rimmel scolati e aijeans col ondo sporco un po di piscio un po di ango. Invece no.C lei adesso. Allora andiamo. Chi guida? Guidi tu. Maestro tu.

    Io vi guardo dal sedile di dietro, ne accendo unaltra e aspetto. Il

    fnestrino un pozzo nero; la Salaria una pastoia sola, lunghissima.Il bivio sul raccordo lo manchiamo, non capisco. Di l si gira percasa mia ma tu vai dritto, davvero mi portate con voi davvero. Nonci credo che Fede mi a sto regalo. Stronza che sono. Mi scoppail core adesso. Eri mio tu. Maestro tu. Nostro tu. Parcheggia qui, escendiamo dallauto. Qui dove lavora Fede, a lusciera allEnavmica il colsenter comu a mmia. dove venite voi di notte. Lei melha raccontato subito, Sote, gi a giugno. Quando la odiavo dimeno. Quando lei era me e io lei. Non ci credo che mi a stu dunu.

    u a questora hai gli occhi che sanno, quelli di quando vuoi enon vuoi, quelli di quando ti scordi come mi chiamo e mi ai solo

    bimba hai visto? Sei contenta? e io mammazzerei dalla flicit. Ementre apri il portabagagli e esci le corde abbraccio Fede strittastritta,grazie Suby, ma perch. Lei ride solo, mi bacia il naso, mitira sotto alla sbarra dintra u garagge. Nascoste dietro la porta sulondo, abbassiamo la testa tra i tubi e le caldaie. Il metallo ridduiazzu. Poi arrivi te.

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    Maria Clara Restivo

    Di scorta

    Lavori con lui da due anni. Hai iniziato con leggerezza, assecon-dando il tuo corpo grande, come quando da bambini si sceglie unostrumento non per il suono ma per la orma. Piacere Angelo, sonoRoberto e il piacere mio. Cos sei diventato una scorta. Non saise per coraggio o incoscienza. Meglio non chiederselo, la paga alta. E poi le pistole ti sono sempre piaciute. Dopo la scuola tiermavi a guardarle nel negozio sotto il portico, di ronte alla sta-zione di Porta Susa. Eravate in tanti a fssare la vetrina e questo

    cancellava in te linibizione di chi si muove sentendosi giudicato.Siete sei in squadra. Matteo e Fabio hanno amiglia, vi dannoil cambio nei giorni di riposo e nel periodo di erie. Loro lo annoda tempo. Questa volta il rischio basso, un giornalista che parlatroppo non pesa come un magistrato, te lo dico io. i fdi, e vor-resti lo acesse anche tua madre. Ormai ha smesso di piangere, manel taschino delle camicie il santino di santa Rita ce lo trovi sem-pre. Santa Rita la protettrice delle cause perse. Prima ti arrab-biavi, ora la baci sulla testa ogni volta che la vai a trovare. Quandoarrivi e quando riparti.

    I primi tempi trovi questo lavoro noioso. Pistola, auricolare,

    patente. Zitto e cammina. Guarda alto e cammina. Se non hai at-to il turno di notte, vai a prenderlo in albergo o nellabitazione delgiorno che casa non mai. i racconta spesso della sua passioneper gli alberi, ne conosce i nomi, ma sembra che abbia rinunciato amettere radici. napoletano. La colazione a lui piace arla al bar. unabitudine a cui non pu rinunciare: ca e cornetto, che a

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    Maria Clara Restivo

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    uria di orirteli hanno iniziato a piacerti sul serio. Girate lItalia dicontinuo, siete una macchia di mercurio schizzata uori da un ter-mometro bollente. Redazioni, talk show, biblioteche, inviti, esodiin macchina, ore di studio e poi di nuovo chilometri, interviste,comparse improvvise, incontri, libri su libri, ritardi e silenzi. Moltisilenzi. Ogni tappa, un silenzio che si aggiunge. La sera a te spettail controllo delle fnestre. Le stanze degli alberghi non vanno maiprenotate prima e occorre usare un altro nome. La camera di solito

    allultimo piano. u devi accertarti che le persiane non sianodiettose. E le devi abbassare prima che Roberto vada a dormire.Lui se lo scorda sempre.

    Le tue giornate sembrano pagine da soleggiare, ripetizioni dischemi gi visti. Poi fnisce che, a uria di suonare, impari costanzae passione. Quando tanta la gente che viene ad ascoltarlo, l ti sen-ti utile. Col vostro corpo riempite spazi e traiettorie. Hai disimpa-rato a tenere lo sguardo fsso su una sola persona: evitare gli occhi,puntare alle ronti. E rimanere concentrati. Lultima volta che seitornato a orino hai incontrato la tua ex. Aveva sopracciglia oltema curate, defnite bene. Nemmeno lei riuscivi pi a guardare. Si

    complimentata con te, siete rimasti in buoni rapporti. Dopo pocoti arrivato linvito al suo matrimonio. Avresti voluto esserci, maeravate in traserta a Napoli per il compleanno di Roberto. Anchelui fglio unico. La madre invita spesso a cena tutti voi, quandosiete nei dintorni. Prepara perciatelle nguacchiate. Le mastichi aocchi chiusi. E ai fnta che siano agnolotti. Prima di un impegnoimportante Roberto a stretching. Si piega sulle gambe, le disten-de; quando risale appoggia le mani al muro e a ondeggiare il collo:destra, sinistra e poi verso lalto e ancora gi. Gli state vicino anchein questo rito, ma lo sai il suo modo di isolarsi da tutto: sietele sue arterie, ma lui un cuore che pompa solo.

    Conosci le donne che ha avuto. Gli piace portarle uori a cena, nelleosterie nascoste tra gli anratti delle vie pi antiche o negli agritu-rismi, in quegli angoli dove limpressione di normalit sta nellillu-minazione a olio, nellodore di erba tagliata e lasciata a macerare

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    allaria. Posti deliziosi. A volte ti siedi a un tavolo vicino, vi fngeteclienti mentre lo seguite con occhi attenti. Stai davanti alla sua portaanche quando una di loro fnisce nel suo letto. Hai comprato tappidi cera anche se lui non te lha chiesto. Ogni tanto te ne lasci sci-volare uno e lo ai rotolare tra le dita come una biglia. Ne ha amatauna sola. Silvia, rossa e lentiggini. Era golosa di praline alla nocciola.Le portavi cioccolato ogni volta che tornavi a casa. Salutava tutticon un pizzicotto sulla guancia. E sapeva di gelsomino. Dallo scorso

    dicembre non si vista pi e gli occhi di Roberto hanno ripreso illoro solito nero. Qualche giorno a hai creduto di incontrarla vicinoa piazza Navona, via del Corallo. Era mattina presto. Gonna ampia,al ginocchio e capelli sciolti sulla schiena. Seguivi il rumore dei suoisandali sul ciottolato, doppiando quello stesso ritmo, per raggiun-gerla. Quando entrata nel bar, ti sei ermato uori. Hai chiesto unasigaretta e lhai umata piano, seduto su un gradino. Non ne toccaviuna da almeno due mesi. i venuto da sputare, ma non lhai at-to. Lavresti salutata velocemente, il tempo di un buetto e poi via.Magari le avresti chiesto che stava combinando l a Roma, lei che legrandi citt mi anno paura. Sareste potuti uscire a cena, un giorno

    di questi. Senza impegno, cos. Hai spento la cicca sotto alla suola elhai gettata dentro a un vaso di petunie. Hai guardato il locale e poisei andato via. Alle nove si parte, Milano lontana. E orse non eranemmeno lei.

    Oggi stato un giorno da massacro. Il mattino lo trascorretenegli studi Endemol a preparare quel nuovo programma. Di po-meriggio, unintervista in SantAmbrogio e la presentazione delnuovo libro dalla parte opposta della citt. Milano aatica il respi-ro e sporca la accia di nero. Milano stanca, Roberto lo dice sem-pre e tu gli dai ragione. Il vostro un lavoro di attese e in questoposto sembrano dilatarsi senza misura. rovi un albergo in zona

    Brera: lontano, ma in assoluto il quartiere che preerisce. Sce-gli una stanza che d su un viottolo pedonale. Dalla fnestra saleproumo di pane. Gli altri ti aspettano al ristorante allangolo dellastrada. Appoggi i gomiti sul davanzale. Una morettina sedutasu un motorino ermo e abbraccia un ragazzo. Lui le tiene unamano sul fanco, con laltra le sposta la rangia di lato. Il foraio,

    Di scorta

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    dallaltra parte della strada, li segue con lo sguardo mentre iniziaa sistemare i vasi dentro al suo chiosco, lento. Riconosci gli alberidi pesco e di ciliegio, gli anemoni, la sterlizia, i tulipani. Controlliche gli scuri si chiudano ermeticamente. Lanta destra un podura, ma con uno strattone riesci a tirarla verso di te. Poi la riapri.I due ragazzi si baciano. Non c retta. i viene voglia di umare.Dopo cena Roberto deve vedere degli amici, si incontrano in unlocale poco distante. C un salottino privato, prenotato a nome di

    Oreste Vannucci. Li attenderete nella sala principale, cononden-dovi con gli altri. Prenderai una coca-cola: gli alcolici non sonoconcessi in servizio, nemmeno una birra piccola. A fne serata, soloo in compagnia, lo riporterete in albergo. Di nuovo, prima di ar-lo entrare, ti accerterai che questa fnestra rimanga sigillata, cheil mondo uori non possa entrare in questa stanza. Dimenticarlaaperta sarebbe grave. Soprattutto in una citt come questa. Graveper te. Grave per lui. Potrebbero licenziarti, per una fnestra. gisuccesso. Il tuo teleono squilla. Gli altri ti aspettano al ristoranteallangolo della strada. Lo metti silenzioso e lasci che si illuminie si spenga. Si illumina e si spegne. i siedi ai piedi del letto, coi

    palmi delle mani appoggiati allaltezza dei fanchi ad accarezzareil copriletto trapuntato e la fnestra aperta ora un rettangolo daguardare, s lo guardi e non ti alzi, rimani l a fssare quel tempo incui lazzurro del cielo si a blu, mentre il foraio raccoglie le ultimepiantine e quei due si tengono stretti luno allaltra, tu resti l, da-vanti a quella fnestra, una fnestra aperta.

    Maria Clara Restivo

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    Francesca Ricci

    Francesco

    Quando Francesco morto devo ammettere che, con unsentimento che non so defnire ma che pi che ad altri si avvicinaalla conusione, la cosa che pi mi ha sconvolto stato vedere nelsuo corpo il mio, immobile e privo di vita; vedevo le mie mani steselungo i fanchi, i miei occhi chiusi, le palpebre distese.

    Ero l e mi vedevo immobile, come se stessi dormendo ma senza il

    rassicurante ondeggiare del torace nel susseguirsi del respiro, per-ch la calma un ripetersi di eventi regolari e delicati. Mentre tuttiaccanto a me gli piangevano addosso io lo guardavo senza provarenulla, continuando a vedere me in lui; mi guardavo le mani e poiguardavo le sue, mi guardavo le ginocchia e le rivedevo nelle sue.

    Io e Francesco abbiamo convissuto prima ancora di vivere, per unpo di tempo abbiamo condiviso lo stesso cibo, abbiamo dormitoattaccati, abbiamo passato giornate intere insieme e poi, in un belgiorno di aprile, dopo esattamente nove mesi, abbiamo deciso di

    comune accordo di uscire. Io sono venuto al mondo per primo, poi venuto uori lui, una copia di me, un mio duplicato: dallo stessoventre sono usciti in poche ore due esseri speculari in ogni singolaparte.

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    Da quel giorno iniziata la sflata del doppio, documentata dallacollezione di oto in cui, sorridenti, indossiamo ridicoli abiti ugua-li, che mia madre si divertiva a scegliere.

    Un giorno ci siamo resi conto di quale potere avessimo: noieravamo due in uno, avremmo potuto scambiarci, tuarci uno nellaquotidianit dellaltro quando saremmo stati stanchi della nostra.

    Iniziammo a scambiarci a scuola, allinizio per gioco, poi si svilup-p in noi il germe della strategia e cominciammo a sruttare il no-stro potere. Preparavamo gli esami a turno e ognuno di noi davalo stesso due volte per s e per laltro, riducendo il lavoro da are eraddoppiando i risultati. Lunica che non ci cascava mai era nostramadre, lei sapeva riconoscere i suoi gemelli, le bastava unocchiata,anche da lontanissimo, lei riusciva a vedere piccole dierenze, sia dava ai dettagli, era questo il suo segreto. Quando scopriva inostri giochi, allinizio innocenti, poi sempre pi machiavellici, nerideva e al contempo ci sgridava, dicendo che non era bello ingan-nare le persone e giocare a scambiarsi le identit.

    Io e Francesco le rispondevamo sorridendo che gli altri bambini gio-cavano a scambiarsi i vestiti, le bambine si divertivano ad indossaregli abiti delle mamme, i bambini le camicie e le cravatte dei padri;gli altri giocavano a are i grandi, i dottori o gli astronauti, le par-rucchiere o le attrici, noi giocavamo a are i gemelli, bastava unosguardo e in un attimo io diventavo Francesco e lui diventava Paolo.

    Un giorno decidemmo di are ci che nostra madre da anni ci am-

    moniva di non are: ci scambiammo una ragazza.Frequentavamo entrambi lultimo anno della acolt di Archi-tettura e u proprio un giorno a lezione che conoscemmo Giulia.Arriv allimprovviso a lezione gi iniziata, irrompendo rumo-rosamente nellaula, si scus per il ritardo e si mise a cercare unposto con lo sguardo fno a quando non si accorse che ce nera

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    uno proprio accanto a noi; si avvicin con un gran sorriso e cichiese: Posso mettermi qui?.

    Credo u quella rase che ci divise quando io e Francesco, senzarendercene conto, in modo per noi totalmente naturale nella sua in-naturalit, ci spostammo lasciandole un posto vuoto in mezzo a noi.

    Ci guardammo e non ci vedemmo pi, era scattata in noi una com-

    petizione accecante che non cera mai stata e in quellistante ci ren-demmo conto della realt: quella ragazza ci avrebbe divisi, perchc un tipo di elicit che non pu essere spartita.

    Giulia era di altezza media, corporatura minuta, con capelli corti eneri che le coprivano la accia in modo disordinato; esprimeva di-sordine in tutta la sua persona, ma non quel tipo di disordine dovesi perde tutto, il suo pi che disordine era un carnevale.

    Aveva un bel viso tondo, denti bianchissimi e poi aveva quel ta-glio particolare degli occhi come una mezzaluna rovesciata. Ogni

    giorno aveva un paio di scarpe diverse e strane e poi quegli impro-babili tatuaggi; il pi particolare di tutti era quel piccolo mondoche aveva esattamente in mezzo al seno.

    Francesco si mise insieme a Giulia, non so perch avesse sceltolui, me lo chiedevo ogni giorno guardandoli, vedendola entraresorridente insieme a lui in casa nostra. Li vedevo chiudersi insiemein camera di Francesco e desideravo essere lui, ma io ero gi lui ecerano specchi dappertutto a ricordarmelo in ogni istante.

    Lei lo guardava in quel modo e io pensavo che quegli occhi

    erano esattamente uguali ai miei, perch li aveva scelti?

    Ogni tanto guardavamo la tv tutti e tre insieme e io non mi sentivopi un terzo in quella stanza, mi sentivo Francesco, mi convincevodi osservare una scena in cui vedevo me stesso vivere.

    Francesco

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    Un giorno Giulia smise di venire a casa nostra, Francesco non midisse niente, non eravamo pi quei due gemelli che un tempo gio-cavano a scambiarsi.

    Nel giro di un paio di settimane realizzai che si erano lasciati,andai da lei, con la speranza di potermi prendere quella vita chefno ad ora avevo solamente potuto guardare.

    Appena mi vide Giulia scoppi a piangere e mi abbracci:credeva ossi Francesco e mi chiese di tornare insieme. Facem-

    mo lamore e u solo allora, nudi e stanchi distesi sul suo letto,che lei, con la testa appoggiata sul mio petto, not la macchiaovale che avevo vicino al cuore; quella macchia era solo mia,era lunica parte del mio corpo che non avesse un reciprocoe u proprio lei, il mio marchio di unicit, a tradirmi nel miotradimento.

    ornato a casa trovai Francesco ad aspettarmi, appena mi vide siscagli su di me; salii a casa sanguinante e triste e lo vidi andarsenerabbiosamente sul nostro scooter.

    Mi lasciai andare alla conusione e mi addormentai subito, an-cora sporco di sangue in viso.Fu verso le quattro di notte, che sentii squillare il cellulare e vidi

    sul display quel nome per il quale avevo distrutto tutto.

    Fui pervaso da mille speranze, non sapevo che rispondendo avreiperso tutte quelle che avevo. Ci sono parole che sono come un bi-glietto di sola andata verso una destinazione non scelta, dalla qualenon si potr pi tornare indietro, perch l non ci sono strade concui tornare indietro. Si parte allimprovviso, un viaggio che dura

    qualche attimo che si cristallizza nel tempo.

    Giulia piangeva disperata e io avevo di colt a capire cosa voles-se dirmi, le dicevo di calmarsi quando tra la conusione delle sueparole riuscii a cogliere il senso di ci che voleva dirmi: Francesco

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    aveva perso il controllo dello scooter e si era schiantato contro unpalo della luce mentre stava andando da lei.

    Avere un gemello essere in due sentendosi uno, qualcuno concui per tutta la vita ti verr naturale dividere tutto.

    Io e Francesco ci siamo scambiati la vita ridendo, ma mai avreipensato che lui avrebbe preso la morte per me.

    Francesco

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