Quanto mi dai se mi sparo?
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Transcript of Quanto mi dai se mi sparo?
Quanto mi dai se mi spar ?
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Quanto mi dai se mi spar ?A cura di camilla Martinelli
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La mostra, visitabile dal 16 al 25 Marzo 2015 presso la
Galleria The Workbench di Milano, presenta le opere
di Silvia camporesi, Arnold Mario Dall’o, hannes
egger, Ulrich egger, Tony Fiorentino, Lorenzo Di Lucido,
Fabrizio Perghem, Luca reffo, Antonio riello.
A cura di camilla Martinelli e realizzato in collaborazione
con lo spazio espositivo kunsthalle eurocenter Lana
(bolzano), il progetto accosta l’opera di artisti che hanno
esposto o collaborato con la stessa kunsthalle e lascia
dialogare espressioni molto differenti tra loro. Ispirate allo
spirito provocatorio del titolo, alcune opere sono state
realizzate appositamente per l’occasione e intessono un
dialogo speciale con gli spazi altamente caratterizzati della
galleria milanese.
La mostra richiama il titolo di un libro uscito nel 1995
scritto dal noto cantautore italiano Sergio endrigo.
D’ispirazione decisamente autobiografica, „Quanto
mi dai se mi sparo?“ racconta di un cantante famoso che
raggiunta la soglia dei cinquanta, viene snobbato dalle
major, e per campare è ridotto a fare serate nelle balere di
provincia, a suonare e risuonare sempre gli stessi pezzi.
con questo romanzo Sergio endrigo mette su carta
la testimonianza di un’epoca non più interessata
a seguire e valorizzare il cantautorato italiano, ma
attenta piuttosto alla moda, alle dinamiche di mercato.
Il protagonista del libro di endrigo reagisce a questa
situazione escogitando un piano: per farsi notare annuncia
che il suo suicidio avverrà a termine di un concerto. La
notizia impazza sui media e lui torna improvvisamente
alla ribalta. Si separa dalla moglie e dal figlio e in attesa
dell’evento vive un ultimo mese tra eventi e celebrità.
chicca: Silvio berlusconi gli propone di condurre un
programma in prima serata purché non si spari.
Una messa in scena a tratti grottesca che la dice
lunga sulla vita di tanti artisti e sull’eterno conflitto tra
creatività e mercato.
Più che riferirsi esplicitamente alla diegesi di
endrigo, il titolo della mostra evoca l’ambito che le
opere esposte vanno ad esplorare. La solitudine,
la desolazione che corpi e luoghi suggeriscono, parla
di finitudine, conflitto, sacrificio e violenza, e del
legame perverso che questi temi intrattengono con la
spettacolarizzazione della loro resa in immagine.
L’arte esprime le insoddisfazioni che governano
il mondo, trasfigurandole in sprazzi di bellezza,
curiosità, piacere, sì, forse la parola chiave è ancora
e sorprendentemente “piacere” anche nel godimento
del brutto. Perché nel brutto, nella visione del tragico, ci
sentiamo vivere più intensamente, godiamo nel provare il
dolore degli altri, consapevoli di essere “in salvo”.
oggi abbiamo esorcizzato il pericolo, disinnescando
armi originali, imitandole, imbellettandole,
costituendo un reliquiario fatto di strumenti del
dolore. Il tutto assume un’estetica ipervisibile, diventando
innocuo, perdendo funzione “pratica” e assumendo funzione
“estetica”. e in queste immagini sappiamo sì immedesimarci
con una certa empatia, eppure esibiamo un interesse
disinteressato tipicamente postmoderno a cui ci hanno
ben addestrato i media, dopo averci resi avvezzi ad ogni
scena di violenza, ingiustizia, seguita da un minuto di
p-u-b-b-l-i-c-i-t-à. Sensazione-disincanto, orrore-slogan.
Un cortocircuito allucinato e allucinatorio che fa
balenare alla coscienza ogni tipo di imperativo.
L’espressione “Quanto mi dai se mi sparo?”
sembra altresì interpretare la posizione “scomoda” che
trovano a rivestire molti artisti di oggi. Il creativo della vita
moderna, vive l’urgenza di ottenere un riscontro concreto,
fondamentalmente riconducibile alla benedizione del
„circuito dell’arte“. Musei, gallerie, spazi espositivi, ma anche
l’attenzione dei mass media o dei social, con i „like“ cliccati
su facebook, fa una buona parte.
Solitudine ed esclusione spingono ad inventarsi chissà
cosa per reclamare attenzione. Ma la vita in solitudine
non è altro che uno dei frutti della „vetrinizzazione
sociale“. L’amplificazione della funzione esercitata dalle
vetrine dei negozi nei confronti delle merci esposte, si
proietta sullo stesso individuo e diventa oggetto della messa
in scena quotidiana, soprattutto attraverso l’uso dei media.
e allora, cosa può l’artista contemporaneo? come
fare per destare l’attenzione? occorre uccidersi,
nascondersi per rivelarsi? Trasfigurare questioni
spinose? Spettacolarizzare la sofferenza? o fare della
propria morte un’ultima definiva performance?
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ArnoLD MArIo DALL’o
Frame (empty)
2012
Materiali vari, colore, colla, resina
90 x 68 x 10 cm
Una folla di soldatini oscuri e intenti a sparare popola la cornice „vuota“ di
Arnold Mario Dall’o. Mai ci aspetterebbe di scorgere un alfabeto formale di
questo genere, la rivelazione del motivo avviene di prossimità dell’opera,
nell’esplorazione del dettaglio. Frame fa parte di una serie di lavori per i quali
l’artista si è servito di centinaia di soldatini in materiale plastico, di quelli che
vengono comunemente utilizzati in un gioco per adulti dedicato alla guerra.
I soldatini sono stati dipinti e accostati ad altrettante migliaia di foglioline
verniciate. emerge una vegetazione fatta indistintamente di corpi e foglie,
un’orgia caotica rigorosamente orchestrata nel rispetto della forma complessiva.
Un feticcio lucido ed esteticamente „bello“, che incornicia il vuoto, rendendo
quanto più presente il processo tipicamente contemporaneo d’interpretazione in
chiave ludica o decorativa di contenuti dal carattere tragico.
Arnold Mario Dall’o è nato nel 1960 a Merano. Vive e lavora a Merano e Skibbereen (Ir).
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ULrIch eGGer
cosa mi dai se mi sparo
2015
Fotoprint su plexiglass
88 x 60 cm
Il volto è quello dello stesso artista, mentre il vestito arancione che indossa,
rimanda al campo di prigionia americano simbolo della lotta al terrorismo:
Guantanamo. Una tuta fatta recentemente indossare dai terroristi dell’Isis agli
ostaggi occidentali condannati a morte e mostrati attraverso video che hanno
profondamente scosso l’opinione pubblica, palesando un’azione di propaganda
ormai strutturata. Facendo proprio questo vestito, l’artista accomuna la
sua condizione a quella di un ostaggio, di un’identità scomoda, ma mette in
cortocircuito anche i concetti stessi di vittima e carnefice. L’opera è la prima
di una serie che contempla lo sviluppo di un progetto presentato per la prima
volta in occasione di questa mostra. Alcune cartoline accompagnano la foto,
qui l‘artista invita il pubblico a contattarlo per farsi fare un ritratto con lo stesso
vestito arancione. Facendosi soggetto artistico, gli interessati „aderiranno“ al
progetto, ma diventeranno in un secondo momento anche i protagonisti di una
nuova mostra personale dell’artista.
Ulrich egger è nato nel 1959 a S. Valentino alla Muta (bZ). Vive e lavora a Merano.
TonY FIorenTIno
Dominium Melancholiae
2014
Vetro, acqua, zinco, acetato di piombo
150 x 50 x 50 cm
La malinconia, sentimento spesso associato proprio al temperamento degli
artisti, nati „sotto saturno“, é uno dei quattro umori teorizzati anticamente da
Ippocrate. Un „umore“, termine che richiama non a caso una sostanza liquida,
dal greco ygrós, „umido, bagnato“. La famosa incisione del Dürer intitolata
Melancholia I (1514), è il dato da cui Fiorentino prende le mosse per mettere in
scena uno stato emotivo implacabile, e il sentimento negativo viene esorcizzato
attraverso la sua stessa spettacolarizzazione artistica. Una lastra di zinco delle
misure corrispondenti a quelle della famosa incisione del maestro tedesco,
è stata lavorata dall’artista e successivamente immersa in una vetrina colma
d’acqua mista ad acetato di piombo. La combinazione degli elementi innesta una
reazione chimica che trasforma la piccola scultura in un elemento metamorfico
in costante divenire. Sulla scultura prolifera una sorta di manto spugnoso scuro,
che ne ridefinisce in maniera lenta ma incessante l’aspetto nel tempo.
Tony Fiorentino è nato nel 1987 a barletta. Vive e lavora a Milano.
LorenZo DI LUcIDo
Dromos (mi cancello)
2014
olio su tela
140 x 100 cm
„Ma come può esserci per me un’immagine di me? non sono fino alla fine
dell’universo, per me solo, coestensivo a tutto ciò che posso vedere, sentire,
capire, immaginare?“. Potremmo rifarci alle parole di Merleau Ponty per
guardare, o meglio, lasciare che si manifesti a noi Dromos. Un’opera in cui Di
Lucido sceglie di ritrarsi cancellandosi, farsi volto di nessuno e tanti volti allo
stesso tempo. Il termine greco designa un accesso lungo e scavato nel terreno
che conduce all’ingresso di una sepoltura, nel procedere verso la tomba le
pareti laterali aumentano d’altezza, accompagnando il cammino. La serie di
lavori che portano questo titolo è dedicata al tema delle origini strutturali della
pittura, ma palesa allo stesso tempo un chiaro intento annichilente. Di Lucido
interroga il sostrato dell’essere negando l’identità, l’apparire, scarnifica i dati
sorgivi della pittura per mostrarne l’ombra originaria, quasi un memento mori in
vita, un ammonimento all’essere-per-la-morte.
Lorenzo Di Lucido è nato nel 1985 a Penne, dove vive e lavora.
FAbrIZIo PerGheM
23.10.14 | 11:47 | Trento
Documentazione del lavoro
2014
Polaroid
courtesy l’artista
Le immagini in mostra sono tracce mnemoniche di un processo che ha visto
l’artista confrontarsi con il tema della Grande Guerra, testimonianze di un
rituale fatto di passaggi e intuizioni. Se si pensa che il progetto è nato dallo
studio di alcune immagini storiche che documentano scene di guerra in
alta quota, l’atteggiamento estetico richiama alla mente l’ultimo film di olmi
“Torneranno i prati”. In 23.10.14 la guerra si fa infatti espediente per riflettere
più che sul tema del conflitto, sul contrasto tra bellezza paesaggistica e senso
del pericolo. L’erba tagliata nei pressi della galleria dove è stato esposto e
“innescato“ il lavoro, è il dato naturale da cui l’artista è partito per creare un
vero e proprio ordigno esplosivo. Dopo aver realizzato una scultura in pirex,
vi ha inserito l’erba raccolta e l’ha sigillata, attivando una fermentazione per
effetto del degradamento dell’erba. Il tutto ha generato una reazione chimica
che ha fatto progressivamente aumentare la pressione all’interno del vetro, fino
a far potenzialmente esplodere la scultura-bomba, tanto „attraente“ ma affatto
„inoffensiva“.
Fabrizio Perghem è nato nel 1981 a rovereto (Tn). Vive e lavora a Milano.
LUcA reFFo
before nature
2015
olio su tela
30 x 40 cm
L’anima è una metafora dei sistemi di pensiero dell’uomo che resiste a ogni
tentativo di definizione. Uno dei modi per avvicinarvisi secondo lo psicologo
James hillman è un gesto estremo ma profondamente legato a una certa
meditazione sulla vita: il suicidio. „Se soltanto chi è vivo può morire, soltanto
chi muore è veramente vivo“. concepirne anche solo l’idea è accettazione di
un’evenienza concreta, una forma di autocoscienza del libero arbitrio. Ma è
anche esistere accompagnati dalla stessa coscienza del „negativo“ connaturato
alla vita. nel dipinto in mostra notiamo un trattamento pittorico che spinge oltre
questa suggestione, invertendo i chiaroscuri, sconvolgendo l’aspettativa. Un
lancio nel vuoto, un gesto sospeso nel suo compiersi, in una natura madre e
matrigna che accoglie e respinge, è un viaggio nell’indeterminatezza, eppure
ci dona la possibilità di esperire l’inconcepibile, di „sentire insieme“ un’azione
spettacolare, estrema, dal carattere paradossalmente seducente.
Luca reffo è nato nel 1973 a Padova. Vive e lavora a Milano.
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