Qualcosa inTOrno numero 2

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Numero 2 dicembre 2012

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Guida di TOrino

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Numero 2 dicembre 2012

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In questo numero

• Il Parco Michelotti, ovvero l’ex zoo di Torino

• Cit Turin

• Il Parco del Valentino

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Ex zoo di Torino

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Ricordo vagamente quella giornata. C'è anche una foto: io e mio fratello maggiore davanti ad una rete metallica o una gabbia, qualcosa del genere. Dentro un animale che potrebbe essere un cervo o una capra. O un dinosauro, per quanto ne so. Io avevo una bella gonna di blue jeans ondulata, una maglietta chiara e i codini. Adoravo quando mamma mi faceva i codini e me li fermava con degli elastici fatti a ciliegia. Ci penso, ma non mi viene in mente altro che un'immagine: le scimmiette. Una che puliva delicatamente l'altra, mangiandosi poi il risultato della spulciatura. Ricordo che mi avevano detto essere un gesto di profondo amore, per i primati. Ma non ricordo altro. Forse un ippopotamo che prendeva al volo un pesce. Ma chissà se queste immagini che mi colpiscono il cervello arrivano da dentro o da fuori. Chissà se davvero ricordo quel pomeriggio di tantissimi anni fa, passato allo zoo di Torino, Parco Michelotti, o se tutto è ricordo indotto dalle fotografie, da quelle immagini sgranate di un tempo che passa, passa e non torna indietro.

Ora, detto ciò urge una precisazione. Non amo gli zoo. Forse non li amavo nemmeno al tempo di quella fotografia, di certo non li amo adesso. Come non ho mai amato il circo che contempli la presenza di animali. Quindi, tutto sommato, che io di quella giornata ricordi soltanto due scimmie che si tolgono le pulci è tanto di guadagnato. 

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Ma mi è successo di tornare in quello zoo dopo più di vent'anni. E, lo sapevo, ma non c'è più nulla. E se prima poteva essere triste, per via della segregazione forzata di tanti animali, adesso, se è possibile, è ancora più triste. Là dove c'erano le otarie c'è un'enorme vasca vuota, là dove c'erano le tigri regna il silenzio. In ogni angolo del parco è il graffito che regna sovrano: scritte di protesta, scritte di denuncia, scritte di cerebrolesi hanno riempito le pareti del rettilario, le statue della balena, degli orsi, dei pinguini, risparmiando appena le giostre messe lì posteriormente per i più piccoli.

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Le panchine sulle quali ci si sedeva per vedere i salti in aria dei delfini, per guardare con calma gli elefanti, sono piene di foglie secche, ragnatele, polvere accumulata da un tempo infinito e da un abbandono totale. Chissà quante risa hanno scosso questi angoli, chissà quanti bambini hanno gridato: "Papà, guarda!" per anni, me compresa, indicando qualcosa che non avevano mai visto e forse non avrebbero visto mai più, fino a che ogni grido, ogni risata, non è stata inghiottita dal silenzio. Ci sono ancora i cespugli di canne di bambù e gli alberi su cui si arrampicavano le scimmiette. Ci sono i recinti e le vasche vuote. A guardarle ridotte così mi sono sembrate enormi cicatrici scoperte, segni di un tempo che fu e che (da un lato per fortuna, almeno per gli animali) non sarà più.

C'è chi parla di feste, iniziative e ne sono state organizzate tante, nel tempo, in questo che è poi uno spazio di verde bellissimo, proprio accanto al Po, dalla parte di Corso Casale.  Ma sembra passato molto, moltissimo tempo dall'ultimo mercatino solidale o dall'ultimo party per bambini. E mi chiedo se non sarebbe possibile, almeno, impedire un tale sfascio, una così perpetua incuria da parte di chi si fa portatore di messaggi fondamentali a colpi di spray. Basterebbe raccogliere le foglie, verniciare gli steccati, riattivare la fontanella, per vedere frotte di persone contendersi le panchine all'ombra degli alti alberi, per vedere persone come me, che magari ci sono state vent'anni prima, tornare allo zoo a leggere un libro di fiabe ai figli. Ma non si fa, perchè tutto costa e non ci sono mai  i soldi per niente. 

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E così si perdono le cose, così si perdono i ricordi. Qualche giorno fa però è saltata fuori una proposta ambiziosa:  lungo le rive del Po dovrebbe  sorgere un’area multiuso, con verde attrezzato e solarium, giochi per i bambini, laboratori polivalenti, la biblioteca, un teatro e attrezzature sportive. Dovrebbe diventare la prima area verde urbana totalmente ecoefficiente, con tutte le attività alimentate da energia «carbon zero» e tutte le strutture governate da un sistema intelligente di controllo e regolazione dei consumi. In Parco Michelotti dovrebbero trovare posto un mix di energie pulite: dall’idroelettrico al riscaldamento geotermico; dal fotovoltaico al raffrescamento eolico. Ecco, se tutto ciò dovesse realizzarsi, io andrò personalmente a chiedere scusa all'amministrazione comunale. Ma nel frattempo no. Nel frattempo cerco di ricordare cosa c'era in quella gabbia dietro le mie spalle in quella foto di tanti anni fa .

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CitTurin

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Cit Turin (che in piemontese significa "piccola Torino") è uno dei quartieri storici della città. I suoi confini sono dati da Corso Inghilterra, Corso Francia, Corso Vittorio Emanuele II e Corso Ferrucci. Ho deciso di arrivarci da Corso Francia, al cui inizio svetta l'altissimo palazzo di mattoni rossi che vedete in questa prima foto.Questo edificio è noto come Torre BBPR, unica testimonianza dell'architettura post-razionalista di scuola milanese della città. Commissionata dalla Reale Mutua Assicurazioni, è stata progettata nel 1959 dal noto Studio BBPR ed inaugurata nel 1961.Ho sempre pensato che Corso Francia si chiamasse così perchè arriva in Francia. Ma poi ho pensato che allora anche Corso Inghilterra, Corso Svizzera, Corso Buenos Aires e Corso Unione Sovietica (tralasciando il fatto che l'Unione Sovietica non esiste più dal 1991) dovrebbero avere quei nomi perchè portano a quelle destinazioni. Mi si è creato un gomitolo in testa. Mi sono sentita un pò autistica. Penso che la mia teoria non abbia fondamento.

Comunque. Il quartiere si è sviluppato alla fine del XVIII secolo ma gli insediamenti nella zona hanno origini ben più antiche, tanto che nei confini del quartiere sono stati ritrovati reperti di una necropoli d'età preromana. L'etimologia del nome è controversa. La spiegazione più convincente è quella che associa il nome al fatto che l'attuale quartiere fosse il primissimo borgo fuori dalle mura della città in epoca medioevale, lungo la via Francigena.

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Essendo un'unità amministrativa indipendente ma praticamente attigua alla città, avrebbe assunto il nome di "piccola Torino". Altre teorie si rifanno al progetto urbanistico del '700 che prevedeva questo borgo come del tutto autosufficiente rispetto alla città. Un'altra spiegazione collega il toponimo alle dimensioni del quartiere (è il più piccolo della città) ma la spiegazione non è storicamente accettabile, in quanto nel passato il quartiere centro era diviso in contrade di dimensioni notevolmente più piccole dei confini di Cit Turin.Cit Turin è da sempre considerato un quartiere residenziale di prestigio. La presenza di lussuosi palazzi d'epoca, di uno dei più rinomati mercati della città, di vie commerciali di pregio ed infine, più recentemente, la costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia e della neonata linea metropolitana, hanno reso questo quartiere uno dei più ricercati e costosi.

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Uno si questi palazzi è la bellissima Casa Fenoglio - Lafleur, che costituisce uno dei maggiori esempi dello stile liberty che ha avuto una stagione ricca e produttiva proprio qui a Torino. L'intero quartiere infatti (ma non solo, ogni angolo della città) ha impressa l'impronta inconfondibile di questo stile allegro e raffinato al tempo stesso, che personalmente amo moltissimo. In particolare, di questa casa, adoro il pronunciato bow-window con vetratura policroma ed il sinuoso intreccio in ferro battuto. Per farsi un'idea di quanto successo abbia avuto a Torino questo stile architettonico, basta andare su Wikipedia e cercare "Liberty a Torino". Il risultato della ricerca è un lunghissimo elenco di palazzi uno più bello dell'altro, sparpagliati tra le vie, in un'infinita mappa di luoghi da vedere. Potrei, come prossimo progetto di vita, dedicarmi ad andarli a cercare e fotografare uno per uno per poi raccontarvi qui e farvi scegliere quale, secondo voi, è il più bello. Ma io penso che in cima alla lista resterebbe questa davvero unica Casa Fenoglio- Lefleur.

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Attraversando Corso Francia e procedendo verso le montagne, si transita davanti ad un altro edificio davvero degno di uno sguardo. Ho sempre pensato che fosse un palazzo davvero unico nel suo genere. Per una città come questa, lo è di sicuro. Si chiama Palazzo della Vittoria e anche se a sentirlo chiamare così potremmo pensare di ritrovarci davanti un rozzo e squadrato edificio di stile fascista, in realtà questa costruzione è chiamata anche "Palazzo dei Draghi" e appena lo si vede si capisce il perchè.

Lo stile è un mix di liberty e medievale che fa pensare ad una scenografia di film fantasy. Ogni volta che lo vedo, giuro, mi metto a pensare a cose tipo Re Artù e Merlino, Ginevra e Lancillotto, Avalon, la Terra di Mezzo... E' bellissimo, giuro. Bellissimo. Il largo portone che dà su Corso Francia fa pensare anche un pò ai palazzi di Gaudì. O forse sono io che, lì di fronte, davvero non riesco a tenere a bada la mente. Ma per me l'arte, l'architettura, devono darmi un'emozione, altrimenti non le capisco. Ed io capisco molto meglio un palazzo del genere che un quadro d'arte contemporanea.

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Il centro del quartiere Cit Turin è costituito senza dubbio dalla piazza principale, denominata Giardini Martini ma, in pratica, è universalmente nota comePiazza Benefica. La "Benefica" era un istituto di carità che si occupava di orfani che aveva sede proprio su questa piazza. Qui si svolge un famosissimo mercato mattutino, dove (parlando fuori dai denti) se hai un portafoglio un pò spessino puoi acquistare capi firmati e borse alla moda con forti sconti (ma mai abbastanza forti per le mie tasche), se invece hai un portafoglio sottile, puoi farti un giro e strabuzzare gli occhi nel vedere che vendono le fragole a quattordici euro al chilo. Roba da matti. Nel centro della piazza c'è poi da vedere un'installazione contemporanea: si tratta dell'operaTotalità di Costas Varotsos, in cui lastre di vetro triangolari sovrapposte l’una sull’altra compongono una struttura verticale che si avvita verso l’alto, come un turbine inquieto e prossimo al volo. La vasca d’acqua ai piedi della scultura accoglie la luce in un gioco di trasparenze e riflessi che rimbalzano sulla superficie frastagliata del vetro, rafforzando l’impressione di un movimento ascendente e in teoria sarebbe anche bella (soprattutto sotto il sole) se non fosse diventata il nido preferito dai piccioni.

Degna di nota è anche la bellissima chiesa che si affaccia sulla piazza. Si tratta della Parrocchia di Gesù Nazareno, edificata verso la fine del 1800 seguendo il gusto neo gotico dell'epoca. La facciata è in mattoni rossi ed è splendido l'effetto di contrasto che dà questo materiale con le decorazioni in litocemento chiaro.

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Ora, amici miei, se sono andata in Corso Francia, non ho potuto fare a meno di passare da Piazza Statuto e dato che ci sono passata, ora vi annoio ancora un pochino raccontandovi due cosette su questa piazza (contenti?!). Lasciamo perdere per una volta i semplici dati storici e scivoliamo rapidamente nell'aspetto che, turisticamente parlando, più interessa ai visitatori di Torino. Ossia: che Piazza Statuto faccia parte di un certopercorso magico, che sia in qualche modo legato a strane tradizioni oscure e inquietanti (come direbbe Lucarelli: paura, eh?!). Già dall'epoca romana questa occidentale parte della città, dove tramonta il sole e iniziano le tenebre, fu considerata una zona infausta. Per questo motivo verso il pendìo che attualmente porta a confluire con Corso Regina Margherita, venivano crocefissi i condannati e tumulati i defunti. Questa zona fu nominata appunto vallis occisorum (da cui il nome della zona Valdocco) e iniziava una vasta necropoli che andava dall'attuale Corso Francia fino alle attuali Via Cibrario e Corso Principe Eugenio.

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La piazza fu poi sede della beatissima, ovvero della ghigliottina e nel 1865 teatro di sanguinosi scontri in occasione dei tumulti per il trasferimento della capitale. Questi precedenti storici contribuirono alla credenza che la piazza avesse un qualcosa di malefico, fino a farne, nell'ambito delle leggende sulla Torino magica, il vertice del triangolo della magia nera (gli altri sarebbero Londra e San Francisco). Per la precisione, si ritiene che il vertice di tale triangolo cada nel punto indicato da un piccolo obelisco con un astrolabio sulla sommità, situato nell'aiuola del piccolo giardinetto di fronte al Monumento del Traforo del Frejus. Il monumento che si erge al centro della piazza è infatti dedicato ai caduti durante la realizzazione del traforo ferroviario del Frejus. Consiste in una piramide di enormi massi provenienti proprio dallo scavo del traforo; la piramide è sovrastata da un Genio alato, sotto il quale trovano posto le figure marmoree dei Titani abbattuti. Il tutto è un'allegoria del trionfo della ragione sulla forza bruta, nello spirito positivista dell'epoca in cui fu realizzato. Tuttavia, nella tradizione popolare a questo significato originario se ne è sovrapposto un altro, secondo cui il monumento celebra invece le sofferenze patite dai minatori dell'epoca per realizzare l'opera. Io sinceramente lo vedo da quest'ultimo punto di vista.

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Il ParcoDel Valentino

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Quando il lungo e rigido inverno lascia il posto alle prime giornate di sole, il Parco del Valentino si riempe. In ogni angolo si vedono alberi fioriti bianchi, rosa e gialli, aiuole sprizzanti colori allegri, si sentono profumi dolci, odore di panini alla piastra e di fiume. Ma soprattutto si vede gente, ovunque. I prati sono puntinati di persone, zaini, coperte, palloni. I ragazzi amano sedersi al parco per fare qualunque cosa: suonare la chitarra, bere una birra, leggere, studiare, ascoltare la musica e persino cimentarsi con gli esercizi di flauto traverso. Ho visto un ragazzo che pareva un asceta. Era vestito stile figlio dei fiori, pantaloni di cotone larghi, camicia ampia e capelli lunghi e poco curati. Stava seduto in cima ad una collinetta, con le gambe incrociate e uno spartito davanti. Cercava di suonare il flauto, ma si vedeva che non era ancora pratico: si guardava le dita, controllava la posizione mille volte, prima di soffiare. Però era curioso, a vedersi. Curioso che in mezzo a tutti i ragazzi della sua età che pensano alla griffe, al vestito alla moda, ci fosse anche lui, leggermente stonato, ma decisamente unico.

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Il Parco del Valentino è sicuramente il parco pubblico più famoso del capoluogo piemontese. I lavori per la costruzione di questo bellissimo parco prendono il via dal Castello del Valentino nel XVI secolo. Il Castello  fu acquistato da Emanuele Filiberto di Savoia. L'origine del suo nome è incerta. Il primo documento in cui compare il nome Valentinium è del 1275; qualcuno fa risalire il suo nome a san Valentino perché le reliquie di questo santo, martire giovinetto del '200, sono conservate dal 1700 in una teca di cristallo nella chiesa di san Vito (sulla collina prospiciente al Parco del Valentino) qui trasferite in seguito alla distruzione di una chiesetta vicina all'attuale parco. Alcuni studiosi affermano che, in un singolare intreccio di memoria religiosa e mondanità, si soleva un tempo celebrare nel parco fluviale torinese, proprio il 14 febbraio (ora festa degli innamorati) una festa galante in cui ogni dama chiamava Valentino il proprio cavaliere.

Il castello deve la sua forma attuale ad una Madama Reale, la giovanissima Maria Cristina di Borbone (sposa di Vittorio Amedeo I di Savoia e figlia di Enrico IV, primo re di Francia di ramo borbonico). Proprio alla Francia guarda lo stile di questo splendido palazzo: quattro torri angolari cingono l'edificio a forma di ferro di cavallo, con un'ampia corte a pavimento marmoreo. I tetti con due piani mansardati (solo dei falsi piani) sono tipicamente transalpini e tutto lo stile architettonico riflette i gusti della giovane principessa. I lavori durarono quasi 30 anni, dal 1633 al 1660 su progetti di Carlo e Amedeo di Castellamonte: la duchessa Maria Cristina vi abitò fin dal 1630 ammirando gli affreschi di Isidoro Bianchi di Campione d'Italia e gli stucchi dei suoi figli Pompeo e Francesco. E proprio a lei si deve lo scenico arco di ingresso sulla facciata con lo stemma sabaudo.

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Sulla figura della nobildonna francese circolavano voci maligne, che narravano di un Castello del Valentino luogo di incontri amorosi con gentiluomini e servitù che finivano in fondo ad un pozzo gettati dalla nobile amante, la quale sembra che si fece costruire anche un passaggio sotterraneo, vera e propria galleria che attraversava anche il letto del Po, per collegare il Castello alla Vigna Reale, teatro d'incontri amorosi tra lei e il suo consigliere Filippo d'Agliè. Nel XIX secolo il castello subì piccoli cambiamenti architettonici e di connessione nel tessuto urbano cittadino, ma venne anche depredato del suo splendido arredo secentesco dai soldati francesi napoleonici. Seguirono anni di abbandono e di degrado, quando nel 1860 venne scelto per la facoltà di Ingegneria torinese. L'abbandono del castello, però, ne è stato paradossalmente la sua fortuna: alcune infiltrazioni d'acqua hanno rovinato alcuni affreschi ma nel complesso il disinteresse per il palazzo ne ha conservato intatto il patrimonio di fregi e affreschi delle sale, tutti originali del '600. Oggetto di restauri in questi ultimi anni, il Castello sta ritrovando l'antico splendore. Le sale del primo piano vengono riaperte una ad una e ospitano uffici di rappresentanza della Facoltà di Architettura. Il 12 maggio 2007 ha riaperto la splendida sala dello Zodiaco, col suo affresco centrale che raffigura mitologicamente il Fiume Po con le fattezze di Poseidone.

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Nel 1884, poi, in occasione dell' Esposizione Universale, viene costruito anche l'incantevole Borgo Medievale. Questo borgo è per me un posto magico. La prima volta in cui sono stata a Torino ero in gita scolastica. Avrò avuto una decina d'anni, non ricordo bene. Quando eravamo entrati dal ponte levatoio del castello ero rimasta incantata ed affascinata da questo angolo di mondo. Ed è così ancora oggi, ogni volta che ci vado. Adoro i negozietti di souvenir che si accoccolano sotto il basso porticato degli edifici di mattoni rossi. Mi piace guardare le armature, le spade, le lance e dare una carezza al gatto enorme che si stende sempre su una delle vetrinette basse, quella con i gioielli a forma di gufo. Qui il tempo sembra essersi fermato e regna una quiete meravigliosamente fresca, ristoratrice. Certo, c'è da dire che, essendo stato costruito per la suddetta Esposizione Universale, questo castello non è affatto medievale nel senso storico del termine. 

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Tutto il borgo è infatti una riproduzione di esempi di architetture presenti in Piemonte e Valle d'Aosta: il cortile della Rocca è una copia fedele del Castello di Fénis, la fontana del melograno è copiata da quella del Castello di Issogne, mentre la chiesa del borgo dalla chiesa di Avigliana. La linea di difesa è quella del Castello di Verrès, la stanza da pranzo del castello di Strambino, l'anticamera baronale e la gran sala affrescata come nel castello di Manta, e quella nuziale è ricalcata sul tipo del castello di Challant, con il mistico motto "FERT" spiccante nell'azzurro della stanza. Comunque sia, a me piace lo stesso, proprio come se fosse stato abitato da re e cortigiane, perchè in fondo è come girare due regioni italiane in pochi passi.

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