Quaderni MA 2012

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Q u a r t o Q u a d e r n o I Racconti di Monumenti Aperti Un Revox e una Gretsch rosso scuro di Paolo Fresu 1974 di Davide Catinari Discretta FilleDeu di Rossella Faa

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I quaderni dei racconti di Monumenti Aperti 2012

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Q u a r t o Q u a d e r n o

I Racconti di Monumenti Aperti

Un Revox e una Gretsch rosso scurodi Paolo Fresu

1974di Davide Catinari

Discretta FilleDeudi Rossella Faa

Musica Maestro!

Che suoni si sentono per la città. Quelli in arrivo dalle finestre aperte delle case nelle settimane di primavera o estive: impianti stereo per appas-sionati o televisori per sordi. Quelli della strada: ancora impianti stereo, accelerate, frenate, im-properi gridati a finestrini aperti. E ancora: litigi, saluti, addii. E che suoni si sono sentiti nelle passate edizio-ni dei “Racconti di Monumenti Aperti”: hanno accompagnato, supportato, abbellito l’incedere delle letture e delle recitazioni nei giorni in cui le narrazioni hanno preso vita nei luoghi storici (tappe dei percorsi dell’antica Cagliari da risco-prire), protagonisti dell’affabulazione portata al pubblico degli stessi scrittori.

Francesco Abate

I Racconti di Monumenti ApertiQuarto Quaderno

COD. ISBN978-88-6469-173-2

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Q u a r t o Q u a d e r n o

I Racconti di Monumenti Aperti

Un Revox e una Gretsch rosso scurodi Paolo Fresu

1974di Davide Catinari

Discretta FilleDeudi Rossella Faa

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I Racconti di Monumenti ApertiQuarto Quaderno

© 2012 Imago Mundi Associazione Culturale onlus

ideato e curato da_Giuseppe Murru

coordinamento scrittori_Francesco Abate

progetto grafico e impaginazione_MangioDesign

illustrazione di pag. 28_Giorgia Atzeni (per gentile concessione dell’autrice e dell’Unione Sarda)

illustrazione di pag. 30_Luca Paciolus (per gentile concessione delle Edizioni Tiligù)

foto di copertina e di pagg. 6, 10, 11, 29 e 33_Manuel Putzolu

foto di pagg. 8 e 14_Agostino Mela

foto di pag. 18_Devoto Oddone e Emilio Stefano Garau (per gentile concessione di Ilisso Edizioni)

foto di pag. 32_Alessandro Cani (per gentile concessione dell’autore)

stampa e allestimento_Publiedil Service

allestimenti audio_TiConZero

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SOMMARIO

Musica Maestro!Francesco Abate

Un Revox e una Gretsch rosso scurodi Paolo Fresu

1974di Davide Catinari

Discretta FilleDeudi Rossella Faa

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4I RACCONTI DI MONUMENTI APERTI

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abilità e sensibilità. Serviva, come in ogni edizione, intanto, uno sguardo straniero, la voce di chi cagliaritano non è e con la città può avere in partenza un rappor-to di diffidenza destinato a tramutarsi in compli-cità. Ed ecco perché Fresu. Ancor di più la scelta è ricaduta su di lui nel momento in cui la sua dichiarazione d’intenti è stata accolta con com-mozione e gratitudine. Perché nel suo racconto emerge su tutto non il ricordo ma l’amore vivo per un musicista che tanto è stato caro, Billy Se-chi. Lo è stato alla città e ai suoi abitanti, jazzofili o no, batteristi o no, amici o semplici conoscenti che, prima di un’ingiusta malattia, avvistavano Sechi armeggiare fra piatti e tamburi, poi domi-nare dietro una batteria. Era il 1982, era la cripta di San Domenico. Era “Billy, con la sua Greith rossa”.Poi serviva l’occhio vispo di chi a Casteddu (che in questi giorni celebra i suoi monumenti) non c’è nata ma ci ha così tanto vissuto quasi da consumarla (ma senza farsi consumare), da es-sere considerata figlia naturale, anzi biddanoe-sa, cioè tassello di quella Villanova che quartiere storico è, e dai cui lombi derivano buona parte dei cagliaritani da quando ancora i rioni erano quattro insieme a Castello, Stampace e Marina.

Che suoni si sentono per la città. Quelli in arrivo dalle finestre aperte delle case nelle settimane di primavera o estive: impianti stereo per appas-sionati o televisori per sordi. Quelli della strada: ancora impianti stereo, accelerate, frenate, im-properi gridati a finestrini aperti. E ancora: litigi, saluti, addii. E che suoni si sono sentiti nelle passate edizio-ni dei “Racconti di Monumenti Aperti”: hanno accompagnato, supportato, abbellito l’incedere delle letture e delle recitazioni nei giorni in cui le narrazioni hanno preso vita nei luoghi storici (tappe dei percorsi dell’antica Cagliari da risco-prire), protagonisti dell’affabulazione portata al pubblico degli stessi scrittori. Così, pensa che ti pensa, quest’anno la scelta è caduta proprio su chi del mestiere del musicante campa e si grati-fica, e ci gratifica. Se negli anni passati la musi-ca è stata co-protagonista, per il 2012 è invece regina assoluta dato che a porgere le narrazio-ni, a scriverle e musicarle, sono tre volti noti del panorama sonoro: il trombettista Paolo Fresu, il cantante rock Davide Catinari e la voce jazz Rossella Faa.Perché questa scelta? Perché tutti e tre in questi ultimi anni hanno dimostrato di gradire continue incursioni nel campo della scrittura dimostrando

Musicamaestro!

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di Francesco Abate

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Quindi Rossella Faa. Perché la sua voce suaden-te e sfrontata, ironica e spinosetta ma anche glassata, racconta storie de is bascius, cioè di cagliaritanità verace, cinica, sdraiata su un let-to di insolenza perennemente servita con una massiccia dose di ironia e di sani baccagà. Allora Rossella si muove al passo di una blatta per le zone di Stampace che sono sì del santo martire Efisio da Antiochia ma anche della Grotta Mar-cello, in piazza Yenne, che fu, di sicuro sino alla metà degli anni Ottanta, la grotta di Alì Babà e i 40 Danzatori, dato che al suo fresco si sono ce-lebrate le più belle e memorabili serate danzanti dal Dopoguerra in poi. Città di blatte la sua, in una moderna e abrasiva versione della “Fattoria degli animali” orwelliana formato insetto im-mondo quale è appunto sa pretta niedda.

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Se negli anni passati la musica è stata co-protagonista, per il 2012 è invece regina assoluta dato che a porgere le narra-zioni, a scriverle e musicarle, sono tre volti noti del panora-ma sonoro.

Serviva una voce rock. Serviva Davide Catinari perché non ha più la sfrontatezza spocchiosa dell’età ragazzina ma la sfrontatezza saggia dell’età adulta. E poi perché Cagliari è la sua cifra e la memoria recente è la sua forza. Un passato prossimo: un marzo del 1974, in fondo non molto tempo fa, eppure quella che Davide rievoca è una storia vera, una cronaca, che tanti suoi figli dei palchi a propulsione elettrica non

conoscono neppure. Racconta di un concerto, la Premiata Forneria Marconi, e di un teatro, il Massimo di viale Trento, che diventò un cam-po di battaglia con eccessi su ambo i fronti. In pratica, da una parte un gran fetta di pubblico decisa a godere gratis dello spettacolo dall’altra le forze dell’ordine ad impedirlo. In teoria però andava in scena un visione contrapposta del mondo e la riproposizione di uno scontro che ormai infiammava ad ogni occasione le piazze italiane di quegli anni. Ad esagerare, racconta-no le cronache, fu chi doveva garantire l’ordine, come titolò in quei giorni a chiare lettere L’Unio-ne Sarda per nulla preoccupata di scontentare la questura e la prefettura di quel periodo. Un osservatore speciale Nando Mura, allora ragaz-zino oggi giornalista con la schiena dritta, l’anno scorso (in occasione del ritorno del PFM) scrisse e ricordò: “Al Teatro Massimo ne successero di tutti i colori perché allora era usanza, quasi un obbligo, cercare di entrare gratis e la commo-zione dei fan era stata accesa dai lacrimogeni delle forze dell’ordine. Ma erano anarchici, non portoghesi”.

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Billy Sechi e Paolo Fresu nel 1986

PAOLO FRESU

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Non che fossi prevenuto, ma una leggera idiosin-crasia nei confronti dei cagliaritani dentro di me c’era.Si sa, quelli dei paesi ce l’hanno a volte con quelli della città e io a Berchidda ero nato, mica in una capitale!In realtà non avevo nessun motivo per nutrire un minimo astio verso quelli di Casteddu. Più che un’antipatia, infatti, era una sottile paura sotto-cutanea. Quella verso il posto vasto, che era più grande di Sassari, e quella verso il luogo in cui non ero mai stato, dove c’erano addirittura i filobus. Perché, se tanto mi dà tanto, i filobus stavano an-che a Roma e a Milano e dunque Cagliari non solo era grande, bensì immensa. Perché sennò, che ci stavano a fare i filobus, se la gente poteva spostarsi a piedi, come nel mio paese dove, da Riu Zocculu a Sa Rughe, ci mettevi cinque minuti se non ti fer-mavi al bar in piazza?!È con questo chiodo fisso che vi approdai in una fredda mattina di febbraio. Partimmo dalla stazio-ne di Berchidda che era notte. Saremo stati una ventina, tutti classe ’61. Ricordo solo che mio pa-dre mi accompagnò con la cinquecento familiare bianca piena di sacchi di mangime e di bidoni per il latte, che era buio pesto e che a un certo punto mi svegliai che il treno stava transitando a Campeda. Fuori c’era la neve ed io non ne avevo mai vista così tanta.Evidentemente mi riappisolai, perché la fotografia successiva è l’arrivo alla stazione di Cagliari con,

UN REVOX E UNA GRETSCH ROSSO SCURO

Un Revox e una Gretsch rosso scuro

di Paolo Fresu

nel grande piazzale, i suoi filobus e con i tassina-ri con lunghe Peugeot scassate colore ainu fuen-dhe, indefinite come “un asino che fugge”, che ci chiedevano se dovevamo andare alla caserma di Calamosca per la visita militare e se serviva un passaggio. Evidentemente ce l’avevamo stampato in faccia!Sapevo tre cose di Cagliari: che era grande, che c’erano i filobus e che per la visita di leva si andava a donne e si diventava grandi. Io a donne non ci andai e anzi ripartii dalla città pri-ma degli altri, perché fui fatto rivedibile per insuffi-cienza toracica, e perché l’unica notte che passai in una pensione mezza stella di via Porcile, mi bastò e mi avanzò.Tornai in paese che ero grande lo stesso e la legge-ra idiosincrasia nei confronti dei cagliaritani rimase intatta.Non ricordo di esservi risceso prima di avere cono-sciuto Billy. È lui che mi fece amare Cagliari.Si presentò a casa mia che erano le undici di sera. Una sera di agosto bollente di quelle che senti solo il brusìo delle cicale e le voci dei vicini che cenano con le finestre e le porte aperte con le grida dei bambini che giocano a pallone.Squillò il campanello e, aperto il portone, mi trovai davanti un giovanotto alto e vispo con tanto di baf-fi e con in mano solo una valigetta ventiquattrore. Mi sorrise e gli sorrisi. Mi disse che era un batteri-sta, che amava Elvin Jones e Billy Cobham (da que-sto il suo soprannome) e che stava ritornando da

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PAOLO FRESU

Siena dove aveva frequentato un seminario di jazz e dove gli avevano parlato di un trombettista di un paesino sardo, forse “Berchidda”, che suonava bene la tromba.«Di Berchidda?» - aveva chiesto lui incredulo. «Di Berchidda o qualcosa del genere» - gli avevano ri-sposto a Siena dove ero stato l’anno precedente come allievo. «Ma Berchidda non è quel posto di cui si dice che sono strani?» - pensò tra sé e sé.Ciò nonostante, il pensiero non gli tolse la curiosità di conoscermi e di venire a trovarmi.Aveva viaggiato da Livorno con la nave diurna e, arrivato a Olbia, aveva preso il primo treno per Chi-livani, era sceso alla stazione in una sera buia e si era incamminato a piedi verso il paese. Un indige-no lo aveva caricato in macchina e lo aveva por-tato, senza battere ciglio, davanti al portone della nostra casa come che fosse la cosa più normale, alle undici di sera.Da allora, grazie a Billy, la città con i filobus diven-ne la “mia” prima vera città (scoprii che Sassari era molto più piccola e quei mezzi di locomozio-ne cittadini non li aveva) e iniziai ad amarla fino a quando non mi portò per mano dentro il fantasti-co mondo del jazz che io pensavo esistesse solo in continente.Su Meriagu, il Rockhouse, l’Ottocento… erano le interminabili jam session nei locali e ogni tanto, ci scappava un concerto pagato decentemente, in città o nell’hinterland, che mi permetteva di mette-re un po’ di benzina nella mia 128 sport rossa. Per percorrere i 240 chilometri che separavano il Capo di sopra da quello di sotto e che separavano me dal sogno del jazz. Certo, con Billy non frequentava-mo né chiese né musei ma quando entrai la prima volta nella Cripta di San Domenico rimasi allibito. Il quartiere di Villanova lo conoscevo abbastanza perché c’era qualche ristorantino che, di tanto in tanto, assumeva la fisionomia del jazz club quasi

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come fossimo a New York o Parigi, ma nonostan-te avessi sempre visto la Chiesa dei Domenicani dall’esterno, non mi era mai balenata l’idea di sbir-ciarvi dentro.L’Associazione TeatroCorpoScena vi aveva organiz-zato una mostra dal titolo “Acque traversate” con le opere di tre artisti spagnoli e il nostro “Oltre…” con il sottotitolo “Monologhi e dialoghi in musi-ca”. Era il 19 dicembre del 1986 e Cagliari si prepa-rava per il Natale mentre io creavo, senza saperlo, la mia prima opera multimediale. Anzi la nostra, mia e di Billy. La batteria la trasportammo con un taxi perché lui non guidava e la mia 128 Sport gia-ceva da qualche anno in chissà quale campagna logudorese a fare da deposito per mangimi. In quel luogo, smontata a pezzi tra tom, grancassa, pedali e piatti posti davanti al crocifisso ligneo, la batteria dava l’idea di un oggetto estraneo dimenticato da qualche distratto. Sulla sinistra rispetto all’ingresso,

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UN REVOX E UNA GRETSCH ROSSO SCURO

vi erano delle opere d’arte perfettamente illumi-nate. Queste erano di pittori madrileni e catalani contemporanei che, nella geografia storico/artisti-ca del luogo, richiamavano l’originaria architettura gotico-iberica dell’antico convento distrutto du-rante un pomeriggio di guerra del ’43.Billy montava certosinamente la sua “Greith” ros-so scuro con gesti lenti e misurati, mentre io pren-devo tempo e cercavo di capire cosa avrei potuto fare in quel posto carico di religiosità e di storia. Mi ero portato, oltre alla tromba e al flicorno, una cor-netta, una tromba tascabile simile a quella di Don Cherry e un registratore Revox che avrebbe dovu-to passare le basi musicali sulle quali noi avremo suonato. Inoltre il programma di sala riportava una poesia naïf di mio padre. Naturalmente in sardo.In confronto alla maestosità del luogo le opere d’arte moderne sembravano poca cosa. Nonostan-te queste fossero materiche all’interno della Cripta sembravano perdere spessore e solo rilette forse nell’attiguo chiostro del XV e XVI secolo avrebbero potuto riguadagnare luminosità e vita tra le im-mense agavi e il prato verde con il pozzo centrale.Pilar, Salvatore e Juan, i tre artisti spagnoli appena conosciuti, sembravano contenti di essere lì, a mi-surarsi con le poche opere sacre sopravvissute ai bombardamenti e con il sincretismo architettonico gotico-rinascimentale della cappella del Rosario. Da parte mia sentivo la necessità di dare a quel-lo strano concerto una definizione nuova. Il titolo “Oltre…”, con tre puntini finali, testimoniava una confusione di fondo. Perché, se da un lato racchiu-deva la mia necessità di andare “oltre” il tradizio-nale concetto fruitivo del concerto, dall’altra pote-va aprire nuove porte verso lo sconosciuto e che io intravvedevo appena. Fu Billy a svelarmi il senso. «Perché non ti porti qualche base preregistrata sul-la quale suonare?» - mi suggerì al telefono. «Otti-ma idea» - pensai.

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Proprio in Catalogna avevo appena fatto uno spet-tacolo con un mimo e composto una partitura dal titolo Mämût che avevo registrato qualche mese prima con il Quintetto in seno al quale, in tempi non sospetti, aveva militato lo stesso Billy.Le storie si intrecciavano: le geografie con i luoghi, gli anni con i suoni. Siena con Cagliari, grazie alla valigetta ventiquattrore di Billy, e la Catalogna con le cappelle quattrocentesche voltate a crociera co-stolonata e i capitelli fito-zoomorfi del Chiostro di San Domenico.

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Toscana, Sardegna e Spagna s’incontravano in quel luogo come mille volte era stato nel passato nel nostro romanico-pisano e poi nel gotico-aragone-se, che si possono ammirare nelle nostre Basiliche perse nella campagna tra le greggi.Niente di nuovo rispetto alla storia passata. Eccet-to per la presenza di una batteria rosso scuro e di giovane ragazzo con la pocket trumpet che veniva da un paese del nord che forse non amava più di tanto Cagliari o che ne aveva avuto paura appro-dandovi in una fredda mattina di febbraio molti anni prima.Non ricordo come andò, ma posso credere che sia stato il luogo a suggerire il percorso creativo di quello spettacolo indefinibile. So anche che molto è nato da quella sera e che l’intreccio delle relazio-ni e dei rapporti tessuti nella Cripta di San Domeni-co ha contribuito allo sviluppo di molte delle cose maturate successivamente: il progetto dell’arte contemporanea di Berchidda con i primi murales e i primi manifesti del festival Time in Jazz ad opera di Pilar e Salvatore e la costruzione del pensiero sul jazz sardo che Billy ha contribuito a fare crescere lasciandolo nelle mani delle nuove generazioni.Il pomeriggio del giorno dopo aveva la luce di un dicembre mite e dal Bastione le barche in porto sembrava si potessero toccare con un dito tanto l’aria era tersa. Salutando Pilar, Salvatore e Juan, che a loro volta agitavano le mani dal ponte della Tirrenia, non sapevo ancora che quel titolo dato al nostro progetto estemporaneo sarebbe stato quel-lo giusto e che quei tre puntini discreti posti alla fine avrebbero lasciato intendere un’infinita serie di diramazioni, tra Sardegna e continente e tra lo stesso e il mondo, passando proprio per la Spagna e poi salpando gli oceani.Se dalle macerie del 13 maggio del 1943 era rinato San Domenico, io iniziavo a vivere in quel Natale del 1986 che era “oltre” me stesso e non me ne

rendevo conto. Un po’ come il jazz che cancella le distanze tra i continenti e anche tra il Capo di so-pra e quello di sotto. Eliminando finalmente l’ata-vica paura dei filobus che incarnavano la metafora del micro e del macro, del mondo conosciuto e di quello sconosciuto.

La bobina della “Scotch” è rimasta nella libreria dello studio di Berchidda per tutto questo tempo. Studio che, fino a pochi anni fa, era proprio come allora, con decine di cassette per la frutta impilate l’una sull’altra a diventare così librerie e contenitori per libri e dischi. Sulla sinistra un pianoforte vertica-le di marca sconosciuta comprato a rate dai miei e, sulla destra, un’altra libreria ordinata dal catalogo di Postal Market con sopra quel telefono grigio che era il mio cordone ombelicale con il mondo.

PAOLO FRESU

E’ con quel telefono che negli anni ‘70 chiudevo i contratti con i comitati delle feste patronali della Gallura, che appresi del primo premio come mi-glior talento del jazz italiano nel 1984 e che nel 1985 pronunciai il si, con le gambe tremanti, al presidente di Siena Jazz che mi invitava a fare parte del corpo docente degli stessi seminari dove, solo

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UN REVOX E UNA GRETSCH ROSSO SCURO

tre anni prima, ero stato allievo. Assieme a Billy con il quale vi ritornai l’anno successivo al nostro incon-tro berchiddese di una notte d’estate. Era il 1982.Sul dorso della scatola quadrata è riportata la di-citura “Oltre… Cripta di San Domenico”, scritta a mano con una calligrafia molto più chiara di quella di ora e all’interno ho ritrovato due fogli con il pro-babile programma di quella serata: il primo riporta in calce l’intestazione dell’Hotel Ambasciatori di Firenze mentre il successivo quello di un albergo della North Carolina, per precisione l’Hotel Europa a Chapel Hill. Ancora una volta nuove geografie da tessere con la memoria degli anni.Osservando attentamente quel tratto sottile, mi rendo conto che questo racconta, più di qualsia-si altra cosa, i cambiamenti impercettibili di quegli anni. Le “o” e le “e”, che nella scrittura di oggi sono allungate e lineari, allora erano grasse e ro-tonde; le “elle” e le “t” erano linee che si staglia-vano prepotentemente verso l’alto e oggi sono, invece, diventate un’unica linea dritta come a di-mostrare la necessità di un continuum senza frat-ture. Dovessi sforzarmi per trovare un nesso mu-sicale, quei tratti calligrafici testimonierebbero lo sviluppo di una storia che è nata con quel viaggio per la visita militare e la mano di Billy tesa verso il mondo. A indicare una via normale che, nel tem-po, diviene tortuosa e che, con gli anni, si allunga e si stende per divenire impercettibilmente uguale come fosse un piatto encefalogramma. Da quel 19 dicembre del 1986 quella bobina non è mai stata più aperta né ascoltata. Del resto non possiedo più neanche il Revox per poterla sentire, mentre ne ri-cordo benissimo i gesti e i suoni. Quel “clac” degli interruttori per farla partire e per mandare avanti e indietro il nastro, oltre all’odore nitido dei macchi-nari e al luccichio del frontale in metallo sorretto da una cassa in legno chiaro.L’altra immagine impressa nella mia mente è quella

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di un piccolo cilindro che ponevo nella puleggia che comandava le due bobine, dimezzando così la velocità del brano in ascolto e permettendomi di trascrivere, senza troppe difficoltà, gli assolo di Miles Davis e di Chet Baker.Sono le prime note del tema di Round About Mid-night di Thelonious Monk a catapultarmi immedia-tamente in quegli anni. L’incertezza di quel fa naturale suonato da Miles che, dopo il primo si bemolle che invece era si-curo e che portava alla conferma del sol bemolle sull’accordo minore, era lì a svelare il mistero del jazz attraverso la voce interiore di quella sordina che parlava come fosse la sua voce rauca.Oppure le repentine variazioni della versione dal vivo a Juan-les-Pins di Autums Leaves che ascoltai per giorni e giorni prima di riuscire a mettere in successione sul pentagramma la raffica di note che sgorgavano dalla tromba di Miles come un fiume in piena. Oppure, ancora, la voce screziata di Chet in una delle sue mille versioni di My Funny Valen-tine e il successivo assolo alla tromba che sapeva di canto quanto il canto sapeva di emozionante strumento. I pistoni diventavano le corde vocali e un’inflessione minima, col vibrato o con il soffio dell’aria che si miscelava col suono, diventava un mondo gigantesco che, solo nota dopo nota e tra-scrizione dopo trascrizione, avrei carpito grazie al mio Revox a velocità dimezzata.Ho riascoltato quella bobina ora, dopo ventisei anni e dopo averla messa nelle mani esperte di un tecnico esperto che possiede ancora un vecchio registratore a nastro. L’ha riversata su un banale cd che forse ne ha cancellato involontariamente il mistero e parte della storia che vi era contenuta.Mentre volo da Bologna a Elmas ascolto quel ma-teriale con il mio iPhone: il timbro dei brani è fred-do come quella mattina di febbraio in cui arrivai a Cagliari per la prima volta, quando invece il ricor-

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14I RACCONTI DI MONUMENTI APERTI

do di quella sera nella Cripta di San Domenico è nitido, caldo e vivo. Sa di jazz e di Spagna.Più che alla memoria sonora, è grazie a quella calli-grafica se tutto ha ritrovato una sua collocazione e se Billy, con la sua Greith rossa, ha ricomposto nella mia mente la storia di quegli anni.Padre Giancarlo mi accompagna a visitare la cripta e il chiostro. È una bella mattina di febbraio che potrebbe ricordare quel lontano Natale del 1986. Un giardiniere taglia l’erba mentre un signore di-stinto entra e chiede se può confessarsi.Mi chiede gentilmente di aspettare e si scusa con me. Conclusa la confessione mi fa da cicerone con l’odore dell’erba appena falciata e, dopo avere vi-sto la Cappella del Rosario, mi porta sul terrazzo da dove si vede tutta Cagliari.«A che ora sarà la lettura» - chiede.«Nel pomeriggio - rispondo. Io purtroppo non ci sarò - aggiungo - ma ci saranno tutti quelli che hanno vissuto questa storia: Billy, Pilar, Salvatore, Juan, e il mio vecchio Revox senza il quale non avrei mai capito la bellezza del silenzio. Tra que-ste mura, le note di Miles e di Chet e una Gretsch rosso scuro».

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La banda del paese e i maggiori premi inter-nazionali, la campagna sarda e i dischi, la sco-perta del jazz e le mille collaborazioni, l’amo-re per le piccole cose e Parigi. Esiste davvero poca gente capace di mettere insieme un tale abbecedario di elementi e trasformarlo in un’incredibile e veloce crescita stilistica. Pao-lo Fresu c’è riuscito proprio in un paese come l’Italia dove - per troppo tempo - la cultura jazz era conosciuta quanto Shakespeare o le tele di Matisse, dove Louis Armstrong è stato poco più che fenomeno da baraccone di insa-ne vetrine sanremesi e Miles Davis scoperto “nero” e bravo ben dopo gli anni di massima creatività. La “magia” sta nell’immensa na-turalezza di un uomo che, come pochi altri, è riuscito a trasportare il più profondo signifi-cato della sua appunto magica terra nella più preziosa e libera delle arti.

A CIELO APERTO

Paolo Fresu

UN REVOX E UNA GRETSCH ROSSO SCURO

Il racconto verrà letto da Ignazio Sechi (Billy Sechi eventi) nel Chiostro di San Domenicosabato 5 maggio alle ore 17,00.

Musiche di Paolo Fresu

RINGRAZIAMENTIL’associazione Billy Sechi eventi creata di recente per date un proseguo all’attività jazzistica e divulgativa di Roberto “Billy”

Sechi, batterista scomparso prematuramente, intende pro-muovere, incentivare e divulgare attività musicali con particola-

re attenzione ai giovani talenti che desiderano approfondire lo studio e la pratica della musica jazz. A tal fine organizza

rassegne concorsi e manifestazioni artistiche per convogliare l’attenzione e la partecipazione di chiunque volesse, avendo

potenzialità espressive e creative nella musica jazz: uno spazio, un’occasione per far conoscere la propria musica.

Un ringraziamento particolare va a:Marcellino Garau e Fabrizio Casti che hanno “amorevolmen-te” estratto dal vecchio nastro Revox di Paolo, le tracce audio

originali e hanno loro restituito una “nuova vita digitale”; a Francesca Spissu per aver proposto un racconto

scritto da Paolo.alla Comunità dei Padri Domenicani per averci ospitato

nel Chiostro.

Un ringraziamento va all’amico Agostino Mela per avere ritro-vato e messo a disposizione il prezioso materiale cartaceo di

quella sera, a Luca Nieddu per avere recuperato la bobina tra le mille cose di casa e a Marcellino Garau per averla riversata

sul nuovo supporto sonoro.

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Davide Catinari con i Dorian Gray

DAVIDE CATINARI

I RACCONTI DI MONUMENTI APERTI

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1974

1974 di Davide Catinari

Quanto picchia questo sole di Marzo. E’ una primavera strana, fra il sapore dei pomerig-gi davanti ai libri o dei collettivi disertati per il bianco della sabbia del Poetto. L’adolescenza è una stagione ingrata e spero che le sue cicatrici diventino medaglie, prima o poi. I buoni propo-siti fatti all’inizio di quest’anno si stanno trasfor-mando in ossessioni notturne. La vita strappata in due dal desiderio di andare o restare. Cagliari è una città che non ti trattiene, ma ti rimette al tuo posto se decidi di accettarla. Pensieri troppo importanti per un ragazzo che rivendica solo il suo diritto di sbagliare. Credo di essermi mes-so d’impegno per esercitarlo, ma non so se gli errori siano serviti a qualcosa. A diciott’anni Il tempo non ha fretta di disilluderti e neanche di prepararti al momento in cui comincerai a farlo. Quello che la scuola e il movimento non sono riusciti a fare potrebbe farlo la musica. Per la mia generazione la musica è importante, sicu-ramente più di questa dannata macchina che ci sta mollando per strada mentre andiamo al Massimo, per cercare di entrare al concerto di stasera. E’ la prima volta che vado a vedere un complesso pop dal vivo, fino a oggi i dischi, la radio, le riviste e qualche sporadico passaggio televisivo a tarda notte erano stati sufficienti. Roberto scende dall’auto per primo, seguito da

me, Giovanni e Carla.“Torneremo a prenderla dopo il concerto, oggi non voglio perderlo”. La sera prima ci eravamo riusciti in pieno perché la riunione al centro si era allungata sino alle sette, ma il rinvio dello spettacolo pomeridiano per il mancato arrivo della nave con la strumen-tazione aveva sanato il dispiacere. Sapevamo che molta gente era rimasta fuori e che erano stati chiamati Polizia e Carabinieri, così come intuivamo che quelli che non erano entrati ieri sarebbero tornati stasera. “Hai portato tutto ?” “Sì Giovanni, tranquillo” Giovanni è nervoso, glielo si legge in faccia. Roberto stava per dimenticarsi i volantini e per poco non finiva in rissa. Le decisioni del colletti-vo trascendono la distrazione perché la militan-

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za non è una camicia appesa al cuore, ma una medicina necessaria contro l’oppio dei popoli. “Spero di non incontrare tuo fratello - mi dice Roberto, mentre la salita di Via Pola comincia a farsi sentire“.“Mio fratello per me è come morto…arruolarsi in Polizia...ma hai presente il nostro quartiere? E poi perché mai dovremmo incontrare Sergio?“ “Magari lì a Taranto non si trova bene, lo sai che noi isolani lasciamo sempre un pezzo di cuore in questo grande sasso, anche se non sembra”

DAVIDE CATINARI

18I RACCONTI DI MONUMENTI APERTI

“Tanto anche se fosse tornato non ce lo avreb-be detto, in famiglia ha litigato con tutti, senza eccezioni” .

“Sois dove sta andando?” “Mi scusi Direttore, ero in bagno” “Le ho ripetuto di non spostarsi dall’ingresso, non ha visto quanta gente c’è la fuori? Ho chia-mato la Questura. Fra poco saranno qui per sor-vegliare gli accessi, ma nel mentre pensiamo a fare il nostro!”

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“Vado, vado, signor Direttore” La fine del corridoio porta dritta al botteghino, davanti al cartello “tutto esaurito”. Quei passi nel silenzio nervoso di un teatro ancora vuoto, sono come tonfi irreali, che fanno maledire la propria professione, specie se si è maschera di sala a un concerto di musica pop. Due masche-re per mille persone in attesa fuori dal teatro. Una proporzione omerica.“Hai visto quanti sono, Efisio… “ “Non preoccuparti Gianni, fra poco saranno qui anche i carabinieri..”

Superiamo la chiesa dell’Annunziata dirigendo-ci verso il Massimo, che dopo il fior fiore della prosa dell’ultimo mezzo secolo sta per conosce-re il rumore degli anni settanta. Siamo in tanti e tutti molto giovani. Il picco di affollamento è sotto la tettoia dell’edificio, dove la gente si accalca aspettando l’apertura della biglietteria. Studenti, operai, la massa critica di una demo-crazia ferita, lo scenario di una cerimonia triba-le che desidera solo un palco per accendersi, non importa quale. Mi piacerebbe pensare alla stessa atmosfera di di Woodstock, ma pioggia, fango, pace e amore non fanno parte di questo film. Qui ristagna l’odore della provincia bor-ghese e sonnolenta, ammalata dell’incapacità di tradurre un presente che non comprende.Roberto si ferma a parlare con qualcuno, Gianni e Carla iniziano a distribuire i ciclostilati “Ripren-diamoci la musica, la musica è di tutti”. Parole come pietre, ideologia e mercato. La musica è di tutti, almeno quella che mi piace. Il loro ulti-mo disco non mi ha fatto impazzire ma a giu-dicare da ciò che sento qui intorno devo essere stato troppo critico.

“Forse andranno in America!” Ma come - penso - non c’erano già stati? “Venite un attimo ragazzi” Roberto ci chiama da parte e con un filo di voce ci dice che qual-cuno gli ha passato un’informazione. “Ho saputo che stasera potrebbe arrivare l’antisommossa..e anche la “politica”...fonte sicura”.“Ah sì ? Ma siamo in troppi per loro. Guarda, la strada è già ingombra” Ci accalchiamo con tutti gli altri, spingendo quelli davanti a noi per cercare di arrivare vicino all’ingresso del Teatro. Ci sono volti conosciuti, visti e rivisti fra le ore di scuola e i pomeriggi al collettivo studentesco, mischiati con qualche decina di anarchici e autonomi, spina dorsale di ogni manifestazione degna di memoria. E la musica? Ah già, siamo qui per un concer-to. Vallo a dire alle divise blu che stanno arri-vando…”La musica non si paga, la musica è di tutti!”

“Scusate se disturbo le vostre prove, ma là fuori c’è già molta gente. Non potreste intervenire, magari parlarci… voi fate parte del complesso, credo che vi ascolterebbero, o no?”Il Direttore parla con Mandelli, agente e porta-voce del gruppo, appena arrivato da Milano. “Temo che un mio intervento non servirebbe a granché, signor Direttore. Là in mezzo ci sono gli autoriduttori, quelli non vogliono pagare il biglietto, dialogare con loro è impossibile. Or-mai è così in tutta Italia. Ma sono sempre una minoranza, vedrete che non succederà nulla.”“Spero che lei abbia ragione, Mandelli. Perdoni l’interruzione.” “Ci mancherebbe, qui ognuno fa il suo lavoro!”

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“Li hai sentiti Efisio?” “Sì Gianni, mi sa che i milanesi non faranno nul-la per calmarli. Vedrai che ci passeremo noi..”

Sono quasi le sei, ma la scansione dei minuti è assolutamente relativa e ingannevole, in situa-zioni come questa. La Polizia è arrivata in forze e sta organizzando un blocco davanti all’ingres-so. “Allora, che si fa? ““Non preoccuparti, Carla. Li vedi gli autonomi? Lascia fare a loro. Continua a fare quello che stai facendo.” Roberto indica un gruppetto di ragazzi inten-to a sbriciolare il muro diroccato dello stabile sul lato opposto del Viale Trento, quasi davanti all’ingresso del teatro. Si preparano allo scon-tro, come se avvertissero l’aria ferma che prece-de una lotta. Scelgono le pietre con cura, come cecchini che oliano il fucile aspettando un nuo-vo bersaglio. Quello alto con i lunghi capelli ricci e l’eskimo strappato è Aldo, oratore sopraffino, leader delle assemblee d’istituto, l’incarnazione del flusso di coscienza che sa esprimere il disagio generazionale con le parole giuste. “Non fatevi impressionare. Non possono caricarci e nean-che bloccare il concerto. Sanno bene che non possono lasciare fuori tutta questa gente anco-ra per molto.”

“Non possiamo aprire, signor Direttore. Sono troppi.” “Tenga la posizione Sois…e lei signor Efisio… non vede che c’è la Polizia ? Li faccia entrare…in fretta.”“Buonasera, sono il tenente Arcari.” L’ufficiale

e il Direttore parlano per qualche minuto. “Il battaglione mobile e due squadre in tenuta antisommossa saranno qui fra poco.Temiamo che la situazione possa degenerare. La preghe-rei di aprire il botteghino e di fare entrare solo chi ha già il biglietto. Noi faremo lo smistamen-to e vedrà che non ci saranno problemi.”“Aprire? E’ sicuro di volerlo fare, tenente ?” “E’ l’unico modo per tenerli sotto controllo e fare il concerto. Se quelli lì non dovessero suo-nare…non mi assumerei la responsabilità di garantire l’ordine pubblico. Ieri sera abbiamo avuto problemi e non vogliamo fare il bis.”

Nella maggioranza di miei coetanei scorgo an-che molti ragazzi sopra i venti, confusi come tanti altri fra le divise dei militari, ancora distin-guibili nella marea di teste accalcate davanti al teatro. I metri quadri liberi diminuiscono e la pressione dalle ultime file verso l’ingresso au-menta la tensione fra i due schieramenti, divisi da pochi passi e qualche odore sospetto. Viale Trento è ormai bloccato e Via Pola è invasa da un flusso continuo di passi diretti verso il Mas-simo. La frustrazione di chi non è entrato ieri sera è pari alla determinazione di non perdere il concerto di oggi, ad ogni costo. Qualcuno inizia a entrare ma il grosso della folla copre ancora l’ingresso. Siamo pigiati, il respiro comincia a mancare. “Che fa quello?” Un tizio con una giacca di pelle estrae veloce-mente una specie di frustino e colpisce la schie-na di un ragazzo al nostro fianco. Roberto e Giovanni cercano di bloccarlo ma lui si divincola furiosamente e sparisce nella calca. “Uno sbirro ! Uno sbirro in borghese. Che ba-

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DAVIDE CATINARI

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DAVIDE CATINARI

stardi...!” Il rumore della sua corsa è coperto dall’urlo “La musica è di tutti”, un mantra che si espande come un’onda lunga, sbattendo sulle camio-nette che bloccano la strada fra Via Sauro e Via-le Trento. La folla è ormai troppo numerosa per

essere arginata dalla polizia, l’aria è elettrica.

“State indietro! State indietro!”L’avvertimento arriva troppo tardi. Le prime file continuano a premere sugli agenti e sono quasi a ridosso dell’ingresso, non c’è più spazio per trattare. Qualcosa attraversa l’aria per cadermi vicino. E’ un tubo fumante, sembra un candelotto.“Lacrimogeni!”. Il gas si diffonde quasi istantaneamente, insie-me al rumori dei bastoni dei sassi e delle rotelle d’acciaio che sbattono sul ferro delle volanti e degli elmetti antisommossa.La polizia fa il vuoto sotto la tettoia del tea-tro, senza riuscire a trattenere tutti quelli che ormai hanno oltrepassato l’ingresso, superato il cordone di sicurezza di fronte alla bigliette-ria e sono già entrati . Azione, reazione. Parte una seconda raffica di contundenti, più concen-trata della prima, ma i poliziotti non arretrano. Cerchiamo di spostarci verso il centro del viale, coprendoci il viso con sciarpe e maglioni. Ven-gono lanciati altri candelotti in direzione della massa di persone che continua ad avanzare verso l’ingresso, così compatta da sembrare inarrestabile. La sensazione di sfrenata e pura adrenalina rallenta le lacrime che rendono i contorni più sfumati, mentre gli occhi comincia-no a chiudersi per il gonfiore. Il campo visivo è ridotto a pochi metri, da bruciare velocemente prima che l’antisommossa possa riorganizzarsi . Sento il disordine nel battito cardiaco, confuso nel brivido muto e irreale della vertigine. La folla alle nostre spalle si è improvvisamente diradata ma ormai il nostro gruppo è quasi arrivato alla porta. La polizia carica nuovamente, c’è molta

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confusione. Per fortuna siamo ancora in tanti e alcuni di noi riescono a passare. Roberto supera in velocità il blocco all’ingresso proiettandosi ol-tre la barriera di agenti, mentre Giovanni viene respinto verso l’esterno. Mi giro a cercare Carla, ma non la vedo. La biglietteria è lì a pochi passii, ingombra di gente che cerca di entrare nono-stante il muro di divise che protegge l’accesso al corridoio e alla sala. Disordine senza argini, corpi che sbattono l’uno sull’altro nel tentativo di trovare un riparo dalla scia dei lacrimogeni. Qualcuno avanza impugnando il biglietto e si fa strada davanti a noi, mentre la polizia cer-ca di respingerci nuovamente verso l’esterno. Siamo bloccati in pochi metri, in mezzo a due file di agenti, ancora non perfettamente consci di ciò che sta accadendo. Dall’esterno arriva il rumore di altri botti mentre sembra che il con-certo stia per iniziare. Sento dei suoni provenire dall’interno del teatro, attutiti dalle tende che proteggono l’accesso in sala. Una folata di gas invade l’ingresso, schegge di pianto isterico ve-late dal rumore sordo dei manganelli. Roberto viene spinto verso il banco della biglietteria, batte la testa e si accascia. La situazione è fuori controllo, sono schiacciato fra la folla e la poli-zia, che sta filtrando il passaggio del pubblico. Cerco di raggiungerlo, spingendo di lato un agente che lo copre. Faccio appena in tempo a sentire “Attento…ne hai uno alle spalle! “, poi un colpo mi spezza il respiro, piegandomi la schiena . Il secondo arriva mentre cado a terra. Tento invano di rialzarmi perché qualcuno mi copre il viso, atterrandomi verso il pavimento . “Non muoverti!“ E’ la voce di Sergio, mio fra-tello, ed’è l’ultima cosa che percepisco prima di essere colpito un’altra volta e trascinato di forza

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dentro il teatro. “ E’ lui? “ “Sì tenente, mio fratello. Collabora con noi, è in libertà vigilata. Sa che deve darci una mano e lo farà, non è vero? “ Pensavo alla mia famiglia, che avevo tradito mentendo sul fatto che non fossi più in con-tatto con Sergio, pensavo al giudice che avrei dovuto rivedere per quella condanna in sospeso che ora mi avrebbe certamente affibbiato, pen-savo agli amici che in questo momento erano ancora fuori dal teatro, convinti che mi avessero già preso o che stessi guardando il concerto, nel migliore dei casi.Nella scala delle menzogne più accettabili non c’è posto per una che valga la libertà. Per que-sto motivo non avevo paura di deludere Sergio, che si sarebbe aspettato da me un altro com-portamento, come concordato. Conosceva per-

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fettamente la situazione e non aveva esitato a ricattarmi, millantando un suo intervento per la riduzione della mia pena. Sapevo che diffi-cilmente gli avrebbero dato retta dopo quello che aveva fatto. Sergio sostenne di non essere ubriaco quando il partì il colpo verso il suo su-periore, ma conoscendolo nutro forti dubbi su come possano essere andate realmente le cose. L’espulsione dalla Digos aveva risvegliato l’istin-to mai sopito del bullo di quartiere che sacrifica il fratello per rifarsi un nome. Un nome , solo un nome.“Là fuori c’è anche Marras, vero? Intendo Aldo Marras , l’anarchico.” “Il tenente ti ha fatto una domanda , ti convie-ne rispondere.” “Marras? Non so chi sia, c’era tanta gente là fuori… non credo credo neanche di conoscer-lo.” “Sei sicuro? Ci risulta che non è così. Sai bene di chi sto parlando…..” “Ah sì? Beh , comunque... non l’ho visto” “Ma potresti riconoscerlo se lo vedessi? “Ab-basso il capo e tiro un sospiro.”“Mi sembra che suo fratello non abbia alcuna voglia di collaborare” “E’ solo confuso, Signore. Sa bene quello che rischia… allora questo Marras? “ Sergio mi schiaffeggia con violenza, sorpreso e frustrato dalla mia reticenza. Mi colpisce in viso due o tre volte finché sanguino, poi mi scalcia sullo stomaco facendomi cadere all’indietro. Ho fatto la mia scelta. L’ho fatta nello stesso istante in cui ho deciso di venire qui, stasera. Alzo lo sguardo cercando di capire dove mi ab-biano portato. Prendo fiato e, senza reagire, mi giro verso l’ufficiale.

“Dove siamo adesso?” “Che t’importa di dove siamo?” “Non sono mai stato in questo teatro prima” L’ufficiale si gira verso Sergio e gli dice qualco-sa all’orecchio, facendo in modo di farsi sentire anche da me. “Si sbrighi, faccia il suo dovere. Mi sembra che qui abbiamo finito. Non credo ci sia nulla da fare.” Mentre mi alzo lentamente incrocio lo sguardo di mio fratello, cercando di capire se il vero per-dente sia chi fugge da se stesso o chi spera di non trovarsi mai. Solo quando tira fuori le manette per metter-mele ai polsi mi accorgo della musica che arriva dal basso. “Ma allora siamo in platea? Al primo piano, giusto? “ “Allora sei proprio uno stronzo. A che ti serve avere un fratello in polizia se ti comporti come un fallito? Ti farai due anni, due anni almeno” “Posso vederlo da qui?“ Senza dire nulla Sergio scosta la tenda rossa che copre l’ingresso in platea. La sala è avvolgen-te, il colpo d’occhio è bellissimo. Ora capisco perché lo chiamano Massimo. E’ il mio primo concerto e dura solo qualche istante, come la felicità, quando è vera e improvvisa. “La musica è di tutti”, di tutti quelli che ora sono con me in un furgone blu, che si allontana a sirene spie-gate, nella notte.

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Musicista, autore, operatore culturale, .Fondatore dei Crepesuzette, una delle prime band new wave italiane, nel 1989 avvia il progetto Dorian Gray, con cui pubblica sette album e realizza diversi tour in Italia e all’estero, fra cui quel-lo del 1992 in Cina Popolare, il primo di una band europea. Autore di program-mi radio per Rai 3 Sardegna nel bien-nio 1984/85 e per Radio 3 Rai nel 1991, collabora con diversi periodici e riviste di cultura e musica fra cui “Stress” e il magazine universitario “Facoltà di Pen-siero”, di cui è fondatore e ideatore. Nel 1999 vince il Premio Lunezia, che Fernanda Pivano gli conferisce per il testo del brano “Spleen” e nello stes-so anno la SIAE lo segnala fra i migliori autori italiani. E’ uno dei protagonisti del libro “Indypendenti d’Italia, ex-cursus sulla la storia degli artisti, delle etichette e dei movimenti della musica indipendente italiana, edito nel 2007 da Zona Editrice .Nel 2009 riceve il PIMI - premio italiano musica indipendente - istituito dal dal pool dei giornalisti musicali del Mei di Faenza, come riconoscimento per l’al-bum dei Dorian Gray “Forse Il sole ci Odia”. E’ fondatore, presidente e direttore ar-tistico, della cooperativa Vox Day, che nel corso degli ultimi vent’anni si è af-fermata fra le più conosciute realtà di cultura e spettacolo, grazie a eventi di livello internazionale e rassegne tema-tiche sulla musica d’autore (KME).

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Davide Catinari

Il racconto verrà letto da Davide Catinari e Stefano Ledda

nel Teatro Massimo (Sala Minimax)domenica 6 maggio alle ore 11,00

Musiche Dorian Gray

RINGRAZIAMENTIUn sentito ringraziamento va alla direzione del Teatro

Stabile della Sardegna e a tutto il personale, per aver ospi-tato la lettura del racconto nel Teatro Massimo con tanto

affetto e professionalità.

Un grazie di cuore a Raffaella Venturi per l’aiuto nella ricerca iconografica.

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GIANLUCA FLORIS

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Rossella Faa in concerto

ROSSELLA FAA

I RACCONTI DI MONUMENTI APERTI

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DISCRETTA FILLEDEU

tizia orrenda: «Con un carico di merci, arrivato dalle lontane Americhe, è sbarcata in città una grande Blatta rossa, Raimunda Periplaneta è il suo nome».Discretta ne aveva già sentito parlare, anche perché le notizie brutte viaggiano più veloci dei telegiornali, e con le sue amiche aveva già avuto qualche discussione: «ci porterà via il lavoro, dobbiamo mandarla via» - dicevano loro.Discretta, che non gradiva gli eccessi, rispon-deva: «bisogna ricordare i tempi in cui anche i nostri genitori sono andati fuori a cercare fortuna, non si può mandare via nessuno, il mondo è di tutti». «Ma Quella è un’eccentrica, si veste di rosso, è bionda, ha le ali e VOLA!» - dicevano loro.«Non dovete prenderla così, magari è una brava persona» - diceva loro cercando di am-mansirle.«Tu non vuoi capire! Quella lavora anche di giorno, non rispetta il patto con gli umani e si fa vedere in giro. Vedrette, gli umani si arrab-bieranno e ci faranno fuori tutte!» Discretta, pensando che le amiche esagerasse-ro, le aveva ascoltate senza dire altro.

Quel giorno, però, la TV disse che in molti ave-

C’era una volta un grande mare azzurro con una piccola isola, a sud di quell’isola una pic-cola città con un bel porto che, con leggera pendenza, saliva ad una grande piazza in cui si affacciavano le cucine di una piccola taver-na chiamata da tutti “La Grotta”.Dietro i fornelli di quella cucina, nascosto e riservato, c’era un delizioso rifugio: era il nido di una piccola Blatta nera, Discretta FilleDeu era il suo nome… e questa è la sua storia.

Discretta, nella sua semplicità, sapeva di vivere in un posto bello e accogliente, ed ogni gior-no rendeva grazie al suo Dio per la fortuna che le aveva concesso.Durante il giorno Discretta stava ritirata den-tro casa: non stava bene che una come lei si facesse vedere in giro, non era educato. Quando, però, calavano le prime ombre della sera, Lei si preparava con cura e, appena buio, usciva di casa per andare al lavoro.Questo consisteva nel raccogliere le briciole di pane e farina che la padrona della taverna non riusciva a spazzar via. Era un buon lavoro che le dava da vivere, inoltre era utile perché aiutava a tener pulito il pavimento.

Un brutto giorno la televisione diede una no-

di Rossella Faa

DiscrettaFilleDeu

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vano visto Raimunda camminare per strada con il suo abito rosso.«Dunque è vero! Raimunda lavora durante il giorno! Ha infranto il patto con gli umani!» - pensò Discretta col cuore che le batteva. La Tv disse che un Signore aveva provato a scacciarla, ma lei aveva aperto le ali ed era vo-lata via, spaventando a morte il malcapitato ed infilandosi dentro un tombino delle fogne. Il servizio finiva con: «Non si era mai vista una cosa del genere. Se il Sindaco non prenderà provvedimenti dove andremo a finire?».

Discretta capì che la sua vita era in pericolo. Quella notte ci fu una riunione a casa FilleDeu,

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ROSSELLA FAA

le amiche sembravano possedute: chi pian-geva, chi temeva stragi, così Discretta, non sapendo cosa consigliare, distribuiva briciole fritte e rosolio di patata (il pasto dei funerali).

Nei giorni che seguirono, le voci su Raimun-da Periplaneta volarono di bocca in bocca e il Sindaco dichiarò pubblicamente: «non si può far niente contro le Blatte. Io poi non ne ho mai visto una. I media esagerano come al so-lito!».«Si fa presto a dire Blatte, non siamo mica tutte uguali» - urlavano le sue amiche com-mentando: «noi Nere ce ne stiamo da parte e non ci facciamo vedere, è quella là, la Bionda,

I RACCONTI DI MONUMENTI APERTI

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La canzone venne trasmessa e tutti la sentiro-no. Dopo qualche giorno molti la cantavano: “Sciadada nara’ sa canzoi, sciadada...”Anche la Sindachessa la sentì. C’è da dire che la Sindachessa non si fidava di suo marito.La sfiducia generò la gelosia, la gelosia gene-rò l’insicurezza e così accadde che interpretò male le parole di quella canzone e si convinse che suo marito la tradiva. Era quello che Discretta voleva, anche se si era sentita un po’ in colpa all’idea di spaventare così una povera donna, ma poi aveva pensato: «in fondo la Sindachessa potrebbe anche sce-gliere di non credere alle mie parole… e se de-cidesse di crederci sarebbe comunque una sua scelta…» e così s’era messa l’anima in pace.

Lungo la strada che da casa sua, a fianco alla chiesa di S. Efisio, portava sino al palazzo del Comune, la first lady vide qualcuno girarsi a guardarla, altri canticchiare il motivetto riden-do tra i denti, mentre, una signora più indi-screta degli altri, vedendola, la fermò per dir-le: «mi dispiace troppo, ma sa, sono cose che succedono! Anche mio marito…». La Sinda-chessa tirò dritto senza fermarsi, più infuriata che mai.

se ne sta sempre in giro a dar noia a tutti, scostumata!»Discretta non sapeva cosa fare. Fu li che si ricordò di sua nonna, Riservata FilleDeu, che le aveva insegnato tante cose e, in quel mo-mento terribile, le parve di sentirne la voce: «se vuoi che un maschio faccia una cosa, non andare a dirgli di farla perché non lo farà mai. Devi convincere sua moglie che quella che vuoi tu è la cosa giusta e vedrai che poi lei saprà come convincerlo».

Fu così che prese la sua decisione: chiamò le sue amiche, spiegò loro il suo piano, poi si chiuse in casa a lavorarci su.Per giorni e giorni scrisse, cancellò e riscrisse, provò e riprovò sulla vecchia fisarmonica di famiglia e alla fine la canzone era pronta.Era una canzone di denuncia, ma con una me-lodia struggente e un ritornello ballerino che sfidavano anche l’orecchio più stonato a farsi una cantatina.Il testo, però, era la cosa più importante per-ché, con parole semplici, diceva al cuore di tutti ciò che stava accadendo in città: «poveri-na la moglie del Sindaco, poverina,la gente dice che Raimunda, la Bionda, ogni notte va a casa del Sindaco.Poverina sua moglie ché non sa che suo mari-to è uno sporcaccione».

Con l’aiuto delle sue amiche Discretta riuscì a registrare per bene la canzone e a portarla a Radio Pressi, la radio che tutti ascoltavano in città.

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DISCRETTA FILLEDEU

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ROSSELLA FAA

La Sindachessa ascoltò le scuse di suo marito e, come era prevedibile, non credette a niente e capì soltanto: 1) che suo marito aveva una Blatta bionda per amante2) che non la considerava neanche un gran ché.Ah ah! Questo la fece arrabbiare ancora di più, la fece infuriare e disse: «mi prendono in giro perché sono cornuta e, in più, a te non

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Arrivata al palazzo del Comune convocò suo marito in riunione straordinaria.Il Sindaco ascoltò la sua Signora sempre più preoccupato dai lampi che accendevano i suoi occhi di femmina oltraggiata. «Cos’è questa storia che mi fanno le canzoni e le mettono alla radio? E questa Bionda?»La discussione prendeva dei toni che il po-ver’uomo non aveva previsto e iniziò a balbet-tare: «una b-bionda... e chi è?»«A chi vuoi darla a bere?»Il Sindaco ascoltò sua moglie trincerato dietro un silenzio pensieroso. «Hanno detto che è bionda, che veste solo in rosso ed è molto elegante e hanno detto che viene a casa nostra tutte le notti e beve solo Anisette! Il mio liquore di anice è sparito!»Il Sindaco ascoltava senza capire. Poi la signo-ra disse il nome della forestiera: «Raimunda Periplaneta si chiama!» Lui allora capì: sua moglie era stata tratta in inganno dalle parole di quella canzone che tutti canticchiavano.Dopo un momento di giudizioso silenzio fece quello che fanno tutti i maschi stupidi: invece che accogliere la parte offesa in un abbraccio consolatorio, rassicurante, evitando le scuse come la peste; invece che manifestare com-prensione per la vergogna provata dall’altro, si mise a ridere, e continuò, gongolandosi di fronte alla gelosia della moglie, cercando di spiegarle, razionalmente, che Periplaneta era il nome di una bionda, si… ma non c’era nien-te di cui preoccuparsi: «sarà pure bionda, ma è soltanto una blatta».

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IL DUELLO

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DISCRETTA FILLEDEU

importa nemmeno di Quella? Ma allora è pro-prio vero che sei uno sporcaccione! Scegli! O me o Raimunda!»

Il Sindaco tentò goffamente di negoziare una soluzione pacifica del conflitto, ma capì presto che non ci sarebbe stato spazio per nessuna replica sin che non avesse risolto il problema a monte. Quella notte incontrò i suoi amici più fidati per aver consiglio sul da farsi.«Ma come ti è saltato in mente di portarti l’amante a casa?» - disse uno.«È imbarazzante, potresti portarla fuori città e tenerla li per un po’» - disse un altro.Parlavano tra loro cercando una soluzione e non ascoltavano le sue ragioni. Tutti credevano che Raimunda fosse realmen-te la sua amante: l’avevano detto alla radio! «La radio non ha detto proprio niente!» - sbottò ad un tratto il poveretto stremato dallo sforzo di convincere anche loro che era tutta una macchinazione.«Come no? Certo che si! È di questo che stia-mo parlando!» - disse il suo amico più inti-mo.Il Sindaco urlò: «la radio manda continuamen-te una canzone che insinua, ma...»«Una canzone? Cosa centra una CANZONE?» - chiesero tutti in coro. Il Sindaco iniziò a piangere mentre diceva: «tutto parte da una canzone, ma come posso querelare un cantante per diffamazione?».Le lacrime scendevano da sotto gli occhiali

QUARTO QUADERNO

appannati mentre raccontava i fatti come era-no avvenuti: «qualcuno sta cercando di farmi fuori politicamente! È chiaro, come fate a non capire? Non è solo una canzone, è un com-plotto! È evidente! Forse qualcuno è davvero entrato in casa mia perché, effettivamente, il liquore di Anice di mia moglie è sparito. Ma posso giurare che non ho mai tradito mia mo-glie con una straniera».

Tra gli amici ci fu chi credette alle sue parole e chi no, ma tutti furono d’accordo sul fatto che bisognava trovare una soluzione.

Nei giorni che seguirono altre radio cittadine suonarono la canzone di Discretta e Radio Pressi le fece addirittura un’intervista.Lei fu molto abile nel dire e non dire. Non vo-leva mettersi nei guai, ma era molto determi-nata a raggiungere il suo scopo: convincere la Giunta Comunale ad allontanare dalla città Raimunda Periplaneta.

La Sindachessa in quei giorni concentrò le sue forze nel negare il cibo ed il sonno a suo ma-rito.La mattina andava nella piccola chiesa intito-lata a S. Efisio e stava li tutto il giorno sino a sera. Pregava perché il Santo ripulisse la città dal malcostume e salvasse il suo matrimonio. Due settimane di stenti bastarono a far capi-tolate il poveretto.Dopo l’ennesima notte insonne, il Sindaco an-nunciò alla sua Signora che: «abbiamo deciso di bandire una gara d’appalto per nominare

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ROSSELLA FAA

una ditta specializzata che risolva il proble-ma...».La Sindachessa non gli fece finire la frase e disse: «vuol dire che non hai ancora deciso neanche chi dovrà fare il lavoro sporco per te?».La mattina era piena di sole in piazza Jenne quando il Sindaco, spalle curve e barba lunga, passò davanti alla Grotta Marcello diretto al Palazzo comunale.

Discretta lo vide dalla piccola finestra del suo nido e capì che la battaglia era vinta.Allora si guardò attorno, nel suo delizioso ri-fugio, nascosto dietro i fornelli della cucina di una taverna che si affacciava su una grande piazza rivolta al porto di una piccola città, po-sta a sud di una piccolissima isola, cullata da un grande mare azzurro, e rese grazie al suo Dio per la fortuna di vivere in un posto così bello, pulito e accogliente.

I RACCONTI DI MONUMENTI APERTI

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Ha fatto studi musicali classici a Cagliari, città in cui vive. Ha collaborato in veste di cantante con Piero Marras, Andrea Pa-rodi, Elena Ledda, Alessandro Di Liberto, con il trio vocale Le Balentes (per cui ha composto testi e musiche dei CD Cantano, Balentes e Cixiri) con Paolo Alfonsi e San-dro Fontoni (con cui ha realizzato il CD In Corde) con Nicola Cossu e Giacomo Deiana (con cui ha realizzato il libro/CD Baa-Bà). Ha scritto per il teatro per le compagnie: Effimero Meraviglioso, Teatro Stabile del-la Sardegna, Teatro Impossibile, Riverrun, Teatro dall’Armadio, Teatro del Segno. Insegna canto moderno ai corsi invernali di Nuoro Jazz. Collabora a manifestazioni e trasmissioni di supporto alla valorizza-zione e diffusione della lingua sarda. Ora canta, compone, scrive racconti e fa giar-dinaggio.

Rossella Faa

DISCRETTA FILLEDEU

QUARTO QUADERNO

Il racconto verrà letto da Rossella Faa

nella Grotta Marcellodomenica 6 maggio alle ore 17,00

Musiche di Rossella Faa

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RINGRAZIAMENTIUn particolare ringraziamento va a Andrea Zucca per averci gentilmente ospitato nella Grotta Marcello, cui

questo racconto è anche dedicato, ed essersi prestato a questa “invasione” con tanta disponibilità.

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PRECEDENTI EDIZIONI

I RACCONTI DI MONUMENTI APERTII RACCONTI DI MONUMENTI APERTI

I Racconti di Monumenti Aperti è anche una collana di libri.Oltre a quelli contenuti nella presente edizione, sono stati pubblicati altri nove racconti, scritti da Marcello Fois, Michela Murgia e Gianluca Floris (primo volume), Enrico Pau, Mario Gelardi e Mas-similiano Medda (secondo volume), Paolo Maccioni, Vito Biolchini, a due mani con Armando Serri, e Giorgio Todde (terzo volume).I numeri arretrati possono essere richiesti contattando il numero 070.6402115.

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35QUARTO QUADERNO

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COMUNE DI CAGLIARI

PROVINCIA DI CAGLIARI

CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA

COORDINAMENTO DELLA RETE

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Q u a r t o Q u a d e r n o

I Racconti di Monumenti Aperti

Un Revox e una Gretsch rosso scurodi Paolo Fresu

1974di Davide Catinari

Discretta FilleDeudi Rossella Faa

Musica Maestro!

Che suoni si sentono per la città. Quelli in arrivo dalle finestre aperte delle case nelle settimane di primavera o estive: impianti stereo per appas-sionati o televisori per sordi. Quelli della strada: ancora impianti stereo, accelerate, frenate, im-properi gridati a finestrini aperti. E ancora: litigi, saluti, addii. E che suoni si sono sentiti nelle passate edizio-ni dei “Racconti di Monumenti Aperti”: hanno accompagnato, supportato, abbellito l’incedere delle letture e delle recitazioni nei giorni in cui le narrazioni hanno preso vita nei luoghi storici (tappe dei percorsi dell’antica Cagliari da risco-prire), protagonisti dell’affabulazione portata al pubblico degli stessi scrittori.

Francesco Abate

I Racconti di Monumenti ApertiQuarto Quaderno

COD. ISBN978-88-6469-173-2