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Corriere del Mezzogiorno Mercoledì 1 Novembre 2017NA15

Cultura&Tempo libero

Il centenarioAll’Hart«Ilpiattodell’amicizia»inomaggioaMagdaSzabó

Il «piatto dell’amicizia» è, nella tradizioneungherese, il dono riservato agli ospiti ed aiviandanti in cerca di ristoro. Un’occasioneconviviale con inaugurare nuove amicizie,

nuovi sodalizi culturali. Come quello fraLalineascritta, il laboratorio di scritturacreativa fondato e diretto a Napoli dallascrittrice Antonella Cilento, e l’Accademiad’Ungheria di Roma. Insieme celebrano,oggi, il centenario della nascita di MagdaSzabó. L’evento, intitolato appunto «Ilpiatto dell’amicizia», è in programma alle18 al cinema Hart di Via Crispi. Ospiti dellaserata, condotta dalla Cilento, saranno il

direttore dell’Accademia d’Ungheria IstvánPuksás, la traduttrice Vera Gheno e laresponsabile della casa editrice AnforaMónika Szilágyi. Letture di Cecilia Lupoli eImma Villa: contributi video di Laura Bosio,Lisa Ginzburg, Matteo Marchesini, MartaMorazzoni, Marguerite Pozzoli, SimonettaSciandivasci, Nadia Terranova e AnnaToscano. In chiusura, alle 20, il film «Laporta» (2012) di Istvan Szabó.

U n laboratorio per imparareun metodo costante di ap-profondimento e insieme

di critica del proprio lavoro. Un la-boratorio «irregolare», gratuito,dove l’azione didattica diventaun’azione di esistenza e dove laformazione non è fine a sé stessama diviene, diceva Leo de Berar-dinis, lo stimolo a solleticare cor-de interne del pensiero e del-l’emozione, affinché diventinodelle epifanie pure e scarnificate.«Epifanie», infatti si chiama la

mostra che oggi, vernissage alle16, inaugurerà al Museo Arcos diBenevento. Curata da Antonio Bia-

succi, è il risultato di un progettoiniziale, nato nel 2012, proseguitopoi intorno a un tavolo, nello stu-dio dell’artista napoletano, per ol-tre due anni, dove il fotografo haincontrato un gruppo di giovaniartisti per raccogliere, condivideree sviluppare i loro lavori.«Oggi restituisco quello che mi

è stato dato — spiega Biasucci —perché non ha senso che sia io so-lo a salvarmi. Metto a disposizio-ne lemie conoscenze, affinché siadato spazio, tempo e possibilitàad altri di fare buona fotografia at-traverso un laboratorio ispirato adAntonioNeiwiller, regista napole-

tano scomparso venti anni fa, cheio considero miomaestro».Un «laboratorio irregolare»,

dunque, orientato a produrre im-magini essenziali, nelle qualil’autore può trovare una parte disé, «immagini che si aprono al-l’altro». «Epifanie», dal contenu-to e dalla forma eterogenea.Sguardi autonomi, guidati da ununico metodo, che mette insie-me otto esperienze di vita e ricer-che fotografiche diverse. Se Pa-squale Autiero racconta dellecontraddizioni inguaribili delSud tra il sacro e il profano, CiroBattiloro esplora l’umanità che

popola il Rione Sanità. Se Valen-tina De Rosa concentra l’obiettivosulle persone affette da grave di-sabilità, Maurizio Esposito è incerca di una geografia dell’ani-ma. Se Ivana Fabbrocino ricercala percezione del sé attraversol’autoritratto, Vincenzo Pagliucaè alla ricerca di case ai marginidello spazio, Valerio Polici di unviaggio nel proprio immaginarioe Vincenzo Russo della «riprodu-cibilità dell’opera d’arte».«Fare il Laboratorio» non signi-

fica diventare artisti, ma è il tenta-tivo di scoprire cosa è importante,aiuta a distinguere il fondamenta-

le dall’effimero, ad acquisire unaforma mentis, una metodologiache è funzionale perlomeno a rea-lizzare una fotografia che nonmente. Una fotografia, appunto,di se stessi. Applicando i metoditeatrali di Antonio Neiwiller, nel«laboratorio irregolare» il viaggiodi formazione porta il fotografo amirare all’interno di sé, ricercan-do una performance profonda,elaborata per sottrazione, che tra-sformi l’oggetto della ricerca stes-sa in soggetto dalla dimensioneuniversale. Fino al 26 novembre.

Melania Guida© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lamostra fotografica alMuseoArcos di Benevento

Tante «Epifanie» dal laboratorio irregolare di BiasucciIl metodo

● AntonioBiasucciapplica imetodi teatralidi AntonioNeiwiller nel«laboratorioirregolare» difotografia

● Mostra alMuseo Arcosfino al 26novembre

L’intervista IlvicedirettoredelCorrieredellaSera:«Dobbiamochiederci sestiamotrasmettendoqualcosaainostri figli»

Genitori senza voceUnsaggiodiPolito sulle trasformazionidella famiglia

Il libro

● Si intitola«Riprendiamoci i nostri figli» ilsaggio diAntonio Politoedito daMarsilio

● Polito èvicedirettore

del «Corrieredella Sera»; hapubblicato«Intervista sulNuovo Secolo,conversazionecon lo storicoEricHobsbawm»(Laterza);«Dopo lademocrazia»,con RalfDahrendorf(Laterza);«Contro ipapà» (Rizzoli)

G enitori in costante bisognodi conferme dai figli: li vo-gliono sedotti e innamoratiinvece che educarli alle com-

plessità della vita. Genitori lasciatialla deriva dalla scuola, dalla politi-ca, dalla religione e da tutte quelleagenzie educative che in passatoerano un punto di riferimento per lefamiglie. Riprendiamoci i nostri fi-gli (Marsilio) di Antonio Polito non èun manuale per genitori “quasi per-fetti” ma un romanzo asciutto e poe-tico che affonda la penna e lo spiritonell’urgenza di «rifondare una nuo-va autorità», unica alternativa possi-bile alla cultura del narcisismo cheha abdicato alla trasmissione di mo-

delli, esperienze evalori.Nel suo libro si

parla di educa-z i o n e c o m eemergenza na-zionale.«Essere genitori

non è un prodottomeccanico. I figlisono degli indivi-dui, eredima indi-pendenti e auto-nomi. Denunciol’assoluta solitudi-

ne in cui siamo costretti ad operare.Nelle generazioni precedenti i valoritrasmessi al di fuori del nucleo fami-liare erano gli stessi. E questo non hamai impedito le emancipazioni. An-che noi baby boomer, nati nel de-cennio tra gli anni ’50 e ’60 , nel ’68 cisiamo ribellati. Ma abdicando ad unmodello per un ideale».Quindi oggi la ribellione non c’è

perché non esiste più il modello diriferimento?«Sono i genitori a non saperlo.

Anche perché vengono smentiticontinuamente. Se dico a mio figliodi non tornare alle quattro del matti-no perché non ha l’età giusta, la suarisposta è: ‘’Ma tutti i miei compagnidi classe lo fanno!”. Che credibilitàho io come padre se mio figlio michiede di comprargli l’hoverboard ementre io argomento che dobbiamorispettare il codice stradale che lo

vieta vediamo sfrecciare davanti anoi suoi coetanei che lo guidano?Questa è la solitudine di cui scrivo».E che trasforma i genitori in pro-

tagonisti di un talent i cui giudicisono i figli?«Se tutto quello che c’è intorno

lancia messaggi diversi il nostro pre-mio per diventare buoni genitori èl’approvazione dei nostri figli. Sonoloro a dare il verdetto finale. Il rim-provero è un rischio, ci dipinge e, co-sa più grave, ci fa sentire dei cattivigenitori».Il nemico numero uno: il narcisi-

smo che ha sostituito i sentimenticon le emozioni, le regole dellaconvivenza con gli stati d’animo.«Così perdiamo l’occasione di

educarli al dolore e alla negazionecome opportunità da cui trarre inse-gnamenti. Non siamo avvocati difen-sori o fratelli maggiori ma genitori:non abbiamo diritto al loro amorema abbiamo il compito di educarli acrescere».Aquesto si aggiungonogli effetti

che la rivoluzione tecnologica hasulle ultime generazioni?«Non è facile educare un figlio

senza alleati. E se la scuola, la religio-ne, lo sport ci hanno lasciati soli ec-co che la piazza virtuale esprime al

meglio questa età dell’oro che vedenella giovinezza l’ acmedella società,in cui le conoscenze del passato noncontano, anzi diventano un fastidio-so ostacolo per una vita senza restri-zioni. Si è liberi quando si è giovani.E così scompaiono gli educatori, cheinvece ci insegnano a diventare adul-ti».Leimi parla. Io le scrivo. Così nel

libro si mettono a confronto glisms di papà Polito e quelli della fi-glia ventenne«Lei non usa la punteggiatura per-

ché considerata qualcosa che serve adare un’emozione, a segnalare unapausa, un’incertezza, un’apertura.Nella comunicazione digitale è per-cepita come aggressiva. È stato inte-ressante perme approfondire questedifferenze».Che si aggiungono alla dittatura

della spontaneità mutuata non so-lo dai social network?

«È la presunzione di innocenzache oggi prevale nel linguaggio tele-visivo: io racconto come può imbar-barire i sentimenti questomodo cosìbrutale di comunicarli. L’incapacitàdi usare consapevolmente le paroleha peggiorato i rapporti tra le perso-ne».Ma cosa perdono i nostri figli

perdendo la politica? Lo scrive inuno dei capitoli in cui c’è molto delPolito giornalista.«Uno dei modi di diventare adulti

nella generazione precedente è statala scuola di socialità: l’associazioni-smo, anche quello ideologico, servi-va a farti diventare grande. La politi-ca oggi invece è percepita come unaprofessione losca, che non ha nes-sun rapporto con un momento co-munitario, con un senso collettivo.Anche qui c’è lo stesso rifiuto, in no-me della purezza del giovane chenon deve essere contaminato dalpassato, dalla tradizione, dalla cono-scenza. Dove uno vale uno e nessunovale niente».Il libro chiude con una storia.

Quella di Edoardo Di Carlo, che in-sieme ad altri due bambini è statoper due notti sotto le macerie del-l’albergo di Rigopiano.«Mi ha colpito molto la storia di

questo ragazzino di otto anni che hatenuto per mano e raccontato fiabeai due più piccoli per farli resistere.Una reazione così matura. Edoardosi è comportato da adulto, diciamolala parolaccia. Serietà, senso di re-sponsabilità, capacità di compren-dere la situazione: hanno fatto ungrande lavoro educativo su di lui. Quic’è una trasmissione di valori. Que-sto ragazzo ha capito da dove potevavenire la luce e si è comportato diconseguenza».Consigli per i genitori?«È semplice. Per riprenderci dav-

vero questo ruolo dobbiamo chie-derci se il nostro tempo sta lascian-do loro qualcosa, se stiamo trasmet-tendo un patrimonio morale».Quando il genitore Polito saprà

di esserci riuscito?«Quando i miei figli mi diranno:

“Papà quanto è bella la vita”. Vorràdire che sono felici e che ho fatto unbuon lavoro».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Laura Valente

Crescita«Uno dei modi di diventare adulti nellagenerazione precedente è stata la scuoladi socialità: l’associazionismo, anche quelloideologico, serviva a farti diventare grande»

Scattod’autoreUna fotodi MimmoJodice