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A cura di:Claudio Borghi Aquilini

Con prefazione di:Alberto Bagnai

Con postfazione di:Matteo Salvini

Illustrato dalle vignette di:Alfio Krancic

Tutta la verità sulla più grande truffa ai danni dell’Italia.Come e perché è necessario superare l’Euro

per tornare a crescere.

UN’ALTRA EUROPA È POSSIBILE

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M i è stato chiesto di scrivere una prefazione a “Oltre l’Euro per tornare grandi”:

compito gradito, che mi onora, ed è anche semplice da assolvere. Basterà

dire che chi crede seriamente nella democrazia ha un modo molto efficace per

dimostrarlo: diffondere informazioni corrette, mettere il demos, cioè tutti noi, in condizio-

ne di conoscere per deliberare. “Oltre l’Euro per tornare grandi” fa esattamente questa

operazione.

La prefazione potrebbe finire qui, ma aggiungo qualche considerazione per evi-

denziare alcune cose che forse non tutti i lettori intravedono fra le poche righe appena

lette.

Intanto, mi preme sottolineare, nella mia veste di economista accademico, che

ad oggi non risultano pervenute da parte dei miei colleghi confutazioni serie e argomen-

tate delle informazioni contenute in questo libriccino, e un motivo c’è: le tesi qui esposte

sono avvalorate da centinaia di lavori scientifici, il che costringe chi vuole controbattere

a ricorrere agli argomenti ad hominem, agli attacchi personali. Perché uno dei paradossi

del nostro meraviglioso e martoriato Paese è questo: che nel suo dibattito venga stigma-

tizzato come “eretico” (e, non dimentichiamolo: “populista”) chi sta divulgando i risultati

di ricerche assolutamente ortodosse, svolte da docenti di Harvard, Cambridge, Oxford, e

così via.

La passione civile e la vocazione didattica di chi ha concepito l’opera si ve-

dono proprio da questo: invece di ricorrere all’autorità di autori tanto prestigiosi quanto

incomprensibili ai più, si è scelto di rendere accessibile la semplice logica economica di

argomenti che nella letteratura specialistica sono spesso presentati in modo complesso

per meri motivi di marketing accademico. Non sempre è così: l’articolo più importante

nella teoria delle unioni monetarie è di un tale (Mundell) che ha preso il Nobel per un lavoro

privo di formule. Ma gli epigoni, si sa, qualcosa devono pur fare per giustificare la propria

esistenza: di solito scrivono formule.

Il testo non è solo efficace nel presentare le basi economiche del ragionamento:

fa anche strame degli argomenti propagandistici, mettendo a nudo la vacuità di certe for-

mule (“le riforme”) e la slealtà con la quale i media prezzolati fanno leva su paure irrazionali

(“la benzina”).

Oltre l’Euro per tornare grandi [ 5 ]

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Prefazione [ 5 ]

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Aggiungo che, con semplicità e umiltà, il testo propone temi di ricerca sui quali

sarebbe ora che cominciassero a interpellarsi certi paludati economisti accademici, ab-

bandonando per un attimo la loro occupazione favorita: farsi i complimenti a vicenda (per

dirla come l’immortale Mr. Wolf di Pulp fiction). Fra questi temi vorrei evidenziare lo studio

serio degli incentivi ad abbandonare l’Unione Europea da parte dei singoli Paesi membri.

Nelle mie parole noterete una certa amarezza. Mi pesa constatare come la dignità della

scienza economica venga vilipesa (non solo in Italia) da tanti colleghi accademici che dan-

no numeri a casaccio per motivi venali o per mero conformismo, e debba essere difesa

da un economista applicato come Claudio Borghi (per quanto dotato di una formidabile

esperienza di mercati): questo è per me un fallimento professionale. Mi duole ammettere

che questa operazione di verità, che nella sua essenza tutela gli interessi delle classi più

deboli, quelle che l’Euro ha ulteriormente impoverito, venga portata avanti da un partito

etichettato come “conservatore”: questo per me è un fallimento politico. Mi amareggia

sottolineare che una simile operazione molti l’hanno aspettata invano da certe forze che

a parole dicevano di voler combattere il progetto europeo. Li conoscerete dai loro frutti, è

scritto, e la vita politica italiana ci sta offrendo tanti esempi di questa limpida verità.

Verità: una parola profondamente e autenticamente politica, perché solo la ve-

rità può renderci liberi. Ribadisco il punto: questo è un testo di verità. Approfondendolo

e diffondendolo contribuirete a rendere migliore, perché più libero, il mondo nel quale

conviviamo. Sono grato a chi vorrà farlo, esortandolo a non scoraggiarsi per le inevitabili

delusioni, come sono grato, e tutti dobbiamo essere grati, a chi ha concepito e realizzato

questo progetto.

Alberto Bagnai @AlbertoBagnai

http://goofynomics.blogspot.it

[ 6 ] Oltre l’Euro per tornare grandi

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Basta €uro! Una domanda al giorno per un mese

L’Euro è la causa principale della crisi? Perché?

Per tanti motivi, ma i principali sono che un’unica moneta per Stati diversi non può funzionare e crea disoccupazione. Senza il controllo sulla propria moneta, uno Sta-to in difficoltà non può tentare di contrastare le crisi. Senza il controllo sulla propria

moneta, uno Stato non può avere nessuna autonomia e si riduce nella condizione di un Paese del Terzo Mondo, costretto a supplicare per ottenere il denaro di cui ha bisogno. La fine della democrazia e della libertà. Nessun popolo può dirsi padrone a casa propria se non ha il controllo della mo-neta e dei confini. Guarda caso, proprio ciò che l’Unione Europea, ha sottratto.

Vediamo il perché con qualche esempio.

Di solito, uno Stato con un’economia molto forte ha anche una moneta forte, perché tutti la vogliono per poter acquistare i prodotti di quel Paese. La forza della moneta fa “alzare i prezzi” dei prodotti di questo Stato che, quindi, diventano meno convenienti e tutto torna in equilibrio. Uno Stato con un’economia debole, invece, avrà anche una moneta debole perché i suoi prodotti sono meno richiesti. Se la moneta si svaluta è come se scendesse tutto il “listino prezzi” dei prodotti di quello Stato, che diventano così più convenienti e più richiesti, e si tende a ristabilire l’equilibrio anche in questo caso. Con l’Euro si ha uno strano caso in cui un Paese debole (come la Grecia) si ritrova la stessa moneta di un Paese forte (come la Germania): il “listino prezzi” della Grecia risulterà quindi troppo caro mentre quello dei prodotti tedeschi sarà troppo basso. Il risultato è che in Grecia si muore di fame mentre in Germania si registra il record di esportazioni. Un caso simile fu quello dell’Argentina che bloccò per molti anni il prezzo della propria moneta a

1.

Una domanda al giorno per un mese

Oltre l’Euro per tornare grandi [ 7 ]

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quello del Dollaro, finendo nel 2001 al fallimento, con le conseguenze di quel disastro che (unite ad altri errori) si fanno sentire ancora oggi, pensiamoci: tutti i Paesi dell’Europa per i quali l’Euro rappresenta una valuta più forte del valore della propria moneta nazionale, sono nelle stesse condizioni: povertà e disoccupazione da record, indipendentemente dal colore dei governi, dal livello di tasse e spesa pubblica, o dal maggiore o minor livello del debito pubblico. Se tante persone entrano in un ristorante e tutte quelle che hanno

ordinato una particolare pietanza finiscono all’ospedale è probabile che la colpa sia del cibo. Nel “Ristorante Europa da Mer-

kel” stanno tutti male, tranne chi non ha ordinato la “pietanza Euro”, come il Regno Unito o i gestori del ristorante (Germania). Prendiamo come esempio i due altri Stati maggiori: l’Italia e la Francia. Fino ad ora si sono difese ma la moneta troppo forte ren-de ogni giorno meno convenienti i loro prodotti

(il “listino prezzi” è troppo alto) e la disoccupazione è destinata irrimediabilmente a salire perché i loro

cittadini compreranno sempre più prodotti esteri di quanto sarebbe giusto. E i

prodotti esteri - sembra una banalità ma a volte non ci pensiamo -, sono fabbricati da aziende e operai esteri e quindi in questi Stati il lavoro

scompare. Se scompare il lavoro scompaio-no anche i soldi per importare i prodotti e pagare le pensioni, e si finisce alla fame. L’unico modo che

questi Stati hanno per importare di meno è l’austerità, quindi comprimere i consumi con il bastone delle tasse e dei tagli, politica suicida che porta a fallimenti e disoccupazione.

In pratica è come se gli Stati Europei, invece di “essere una squadra”, fossero messi su un ring di pugilato gli uni contro gli altri indipendentemente dal peso. Il “peso massimo”, cioè la Germania, vince, gli altri perdono. Sempre per rimanere in tema di sport, è come se si mettesse un pesante zaino uguale per tutti sulle spalle dei concorrenti di una corsa: chi è più grosso e forte sarà avvantaggiato, mentre chi è piccolo e agile sarà in grossa difficoltà così appesantito e non potrà mai vincere.

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Anche il controllo della moneta come “arma” contro le crisi è fondamentale. Uno Stato che può “stampare moneta” e che ha un’industria ben sviluppata e prodotti normal-mente richiesti, se è in difficoltà, può spendere di più per sostenere la propria economia, senza preoccuparsi di dover trovare il denaro a prestito. Può anche comperare i propri titoli di debito evitando la salita dei tassi. Se quest’azione dovesse far scendere il tasso di cambio della moneta, tanto meglio, perché, come abbiamo visto, una moneta più conve-niente significa una maggior richiesta per i prodotti di quel Paese che diventerebbero più appetibili, creando così posti di lavoro e un nuovo equilibrio. Uno Stato che non ha una moneta propria, come invece accade per chi ha scelto di avere l’Euro, se è in difficoltà si ritrova a fare i conti con il famigerato “spread”, vale a dire che nessuno vuol comprare i suoi titoli. Gli altri Paesi, quindi, per “salvarlo” e prestargli i soldi che non riesce a procurarsi da solo, cominciano ad imporgli inutili e dannose politiche di austerità. Gli Stati in crisi quindi si ritrovano sempre più tasse, sempre meno spese e con interessi sempre più alti da pagare: vanno ancora di più in difficoltà e la crisi peggiora. La divergenza dei risultati economici dei Paesi con o senza Euro, dopo gli shock è stata impressionante. Pensiamo al Regno Unito: quando nel 2008 ci fu la crisi delle banche, a seguito del fallimento della banca americana Lehman Brothers, era in forte difficoltà perché la sua principale industria è proprio quella finanziaria. Ebbene, il Regno Unito riuscì ad assorbire la crisi facendo comperare alla propria Banca Centrale i titoli di Stato necessari per finanziarsi, la Sterlina si svalutò fortemente senza far salire lo spread sui titoli, e la sua economia si è ripresa senza aver dovuto subire ordini e condizioni da alcuno. Gli Stati dell’Europa periferica, invece, sono ancora in ginocchio, e chi non lo è lo sarebbe se non avesse ricevuto enormi somme camuffate da “prestiti” via fondi salva-Stati.

Senza l’Euro diventeremmotutti ricchi?

No, ovviamente per competere nei mercati internazionali occorre molto lavoro e ci vogliono molti miglioramenti perché in ogni Stato ci sono grandi ineffi-cienze. Se bastasse avere una moneta propria per essere ricchi sarebbe

troppo bello. Molte cose non semplici devono essere fatte, come ad esempio, rendere la giustizia più rapida, abbassare le tasse, aiutare le imprese perché producano meglio, ridurre la burocrazia, fare più ricerca e così via. Tuttavia, il peso di una moneta sbagliata è notevolmente superiore rispetto a questi altri fattori. Si tratta di quella che si dice una “con-dizione necessaria ma non sufficiente”. Non possiamo certo pensare di uscire dall’Euro e metterci a prendere il sole: bisognerà faticare ma senza una nostra moneta correttamente valutata, anche con la fatica, non otterremmo nulla.

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Oltre l’Euro per tornare grandi [ 9 ]

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Se eliminiamo l’Eurousciamo anche dall’Europa?

Posto che le nazioni geograficamente e storicamente europee saranno sem-pre in Europa con qualsiasi moneta, se si intende “Unione Europea” probabilmente no. Un mercato di centinaia di milioni di persone è troppo importante per tutti. Non

dimentichiamo che sono tanti gli Stati che fanno parte dell’Unione Europea pur non aven-do l’Euro, dal Regno Unito, alla Svezia, alla Polonia. Se, però, poi una nazione dovesse decidere di uscire anche dall’Unione Europea probabilmente non sarebbe una tragedia: il Regno Unito, a seguito del referendum sull’uscita dalla UE, non ha subito nessuna delle terribili conseguenze che venivano minacciate, anzi, tutti i dati economici (dalla spesa dei consumatori alla produzione industriale) hanno fatto registrare forti incrementi e la Borsa è rapidamente salita a valori massimi, al contrario degli altri mercati dei Paesi rimasti nell’UE.

Il caso della Brexit è indicativo delle enormi bugie che la propaganda “europei-sta” diffonde: prima del referendum si era arrivati persino a dire che la vittoria dei favorevoli

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all’uscita dalla UE avrebbe causato “la fine della civiltà occidentale” (Donald Tusk, presi-dente del Consiglio Europeo): ebbene, a novembre, dopo alcuni mesi dal referendum e a seguito di una forte svalutazione della Sterlina, la disoccupazione in Gran Bretagna è scesa al 4,8% (minimo da 11 anni), le vendite al dettaglio sono in crescita del 7,4%, il PIL è in crescita del 2,4% e l’inflazione è ancora sotto l’1% annuo.

Del resto, anche Paesi come la Svizzera o la Norvegia, pur senza avere l’Euro e non facendo parte dell’Unione Europea, non sono certo isolati dal mondo. Anzi, uscire dall’Unione Europea restituirebbe finalmente a tutti le “mani libere” per poter gestire in autonomia e libertà, sia ad esempio per le politiche sull’immigrazione, sia con le regole per rendere più facile la vita alle imprese, penalizzate da vincoli europei necessariamente non adatti alla particolarità di ogni singolo Stato. In buona sostanza, un accordo è auspicabile e sicuramente molte cose possono essere meglio gestite insieme dai Paesi europei, ma solo in caso di accordo unanime, senza che la libertà del singolo Stato debba essere compromessa. Quello che mette in pericolo le relazioni pacifiche fra gli Stati è la privazione della sovranità monetaria in presenza di bilanci statali separati. In pratica è la differenza fra abitare in villette separate e in un condominio: mentre nel primo caso la piena proprietà della propria casa consente di vivere tranquillamente con i vicini, nel secondo caso gli interessi contrapposti sono origine di continue liti e cause legali. Le relazioni tra gli Stati europei, una volta eliminato il sopruso di Bruxelles e Francoforte, potranno solo migliorare, su una base di uguaglianza, dignità e libertà.

Riprenderemmo la vecchia moneta? Avrà ancora lo stesso valore del 2001?

No, in teoria potremmo chiamare la nuova moneta come preferiamo perché tanto sarà una cosa diversa dalla vecchia, ma nulla ci impedirebbe di mantenerne il nome. Quanto al valore, la cosa più

comoda sarebbe convertirla 1 a 1 con l’Euro, perché così non ci sarebbero problemi per fare i conti, come invece ci furono quando si passò all’Euro e vennero decisi quei rapporti confusi per la nuova moneta. Attenzione, la conversione non indica il “cambio” e può es-sere decisa come preferiamo: 1 a 1 è semplice, ma se si volesse si potrebbe fare anche 10 a 1, 5.000 a 1 o 1.234 a 1. Poi, dopo la conversione, il valore della nuova moneta nei confronti delle altre lo deciderà il mercato, ma per noi, a quel punto, il cambio non sarà invasivo per la vita di tutti i giorni, come oggi non lo è più di tanto per un normale cittadino il sapere quanto valga l’Euro nei confronti del Dollaro, della Sterlina o delle altre valute

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mondiali. Quindi, in sostanza, se avevamo uno stipendio di 1.000 euro, esso diventerà di 1.000 fiorini (o scudi o lire), un bicchiere di vino al ristorante invece di costare 4 euro costerà 4 fiorini e, se pagavamo 300 Euro di mutuo al mese, pagheremo 300 fiorini.

Se convertiamo 1 a 1 un euro con la nuova moneta non è che allora non cambierà niente?

Cambia moltissimo, invece, perché se dopo la conversione la nostra moneta troverà il proprio valore di mercato corretto nei confronti di altre monete, i nostri prodotti diventeranno più convenienti per un cliente estero, costerà di meno per gli stranieri

fare vacanze da noi, e diventerà più appetibile realizzare prodotti in Italia invece di deloca-lizzare la produzione fuori dall’area Euro. Certo, costerà di più fare viaggi in Germania e i prodotti esteri realizzati in Paesi a moneta forte diventeranno più cari (anche se, di solito, dopo una svalutazione le imprese estere, pur di non perdere clienti, mantengono i prezzi invariati). Sarà, però, più facile trovare lavoro e l’economia ripartirà. Meglio un portafoglio pieno di monete di giusto valore che uno vuoto nella vana attesa di monete sopravvalu-tate.

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Ci sarà l’inflazione? Dovremo far la spesa con la carriola di banconote che valgono come carta straccia?

Assolutamente no, l’inflazione non è la svalutazione: in nessuno dei recenti casi di svalutazione in Paesi evoluti è seguita l’iperinflazione. Lo Yen giap-ponese, per esempio, si è svalutato fortemente nel 2012 nei confronti

dell’Euro e del Dollaro, ma non si è vista inflazione, così come non si è vista nel Regno Unito o in Svezia quando svalutarono moltissimo nel 2008 e, neppure nella stessa Italia, quando nel 1992 uscì dal Sistema Monetario Europeo con il valore della Lira che calò bruscamente. L’inflazione, addirittura, si ridusse legger-mente. Lo stesso Euro si è svalutato fortemente nei confronti del Dollaro gli anni scorsi, eppure non vi è stata traccia di inflazione.

Dopo il referendum sulla Brexit la Sterlina si è svalutata fortemente, i dati economici sono migliorati ulteriormente e, nonostante la propaganda conti-nuasse a suggerire aumenti dei generi di prima necessità, la realtà è stata un’in-flazione inferiore all’1%, quindi meno di quell’obiettivo del 2% presentato come “salutare” dalla stessa Unione Europea. In ogni caso, nessun Paese produttore/trasformatore come quelli europei deve preoccuparsi di un’eccessiva svaluta-zione: se la nuova moneta dovesse calare troppo, i suoi prodotti diventerebbero così convenienti da invadere i mercati. Saranno gli stessi concorrenti a “soste-nere” il prezzo della nuova moneta per evitare di rendere troppo competitiva l’industria dello Stato che sta svalutando. Ricordiamolo perché la differenza è sostanziale: c’è inflazione quando i prezzi salgono ma, a meno di casi particolari tipo gli shock petroliferi degli anni ’70 o le crisi dei Paesi in via di sviluppo, se i prezzi salgono vuol dire che la gente ha i soldi per comprare cose. Viceversa, se i prezzi rimangono stabili e gli stipendi scendono, come sta succedendo ora, per un cittadino è come se i prezzi salissero ma con l’aggiunta di una situazione di disoccupazione drammatica. La svalutazione misura semplicemente una discesa del cambio della nostra moneta contro altre valute. Le due cose (inflazione e svalutazione) non coincidono mai.

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I miei risparmi si dimezzerebbero? Diventerò più povero per colpa della svalutazione?

Ovvio che no. Non si può fare un discorso generale, perché ognuno ha risparmi investiti in modo diverso, però basti pensare alle tipiche forme di risparmio di cui parliamo qui di seguito.

a) La casa

La casa è un bene reale, quindi non si “svaluta” cambiando moneta. Se noi do-mani adottassimo una qualsiasi moneta scelta a caso fra mille, la casa sarebbe sempre quella e il suo valore verrebbe semplicemente definito con una nuova unità di misura. È da escludersi quindi che la casa “perda un pezzo” o che venga qualcuno a tirare su un muro nel salotto per dimezzarla. C’è, anzi, da pensare che un’economia in ripresa possa far ripartire il mercato ed aumentare il valore dei nostri appartamenti. Può essere che inizial-mente anche il prezzo delle case in zone non “internazionali” cali se rapportato ad un’altra valuta, ma ciò potrebbe (eventualmente) danneggiare solo, ad esempio, un cittadino italia-no che volesse vendere la propria casa in Italia per acquistarne una in Germania. È invece ovviamente assurdo pensare che la casa “si dimezzi” in rapporto al mercato domestico. Frasi tipo: “il valore di una casa di 100mq si dimezzerà e con il ricavato della vendita si potrà a malapena comperare una casa di 50mq” sono una palese sciocchezza perché, se anche per caso scendesse il valore della nostra casa, scenderebbe anche il valore delle altre case e in termini relativi non cambierebbe nulla. Vendendo una casa di 100mq si potrà ancora comperare un’altra casa di 100mq. In ogni caso una ripresa dell’economia anche dopo una svalutazione porta sempre benefici al valore degli immobili

b) Gli investimenti in titoli e fondi

I titoli possono essere azionari e obbligazionari, domestici ed esteri, spesso ac-quistati per mezzo di fondi di investimento o di gestioni patrimoniali. Le azioni, come la casa, sono beni reali e quindi non si svalutano: se ho 10 azioni di una società, che rap-presentano il 10% di quella società, ciò non cambia qualsiasi sia la moneta si scelga di usare. Dobbiamo pensare alle azioni come a delle quote di possesso: l’industria di cui si possiede una quota rimane uguale indipendentemente dal cambio di moneta in circola-zione. Anzi, è probabile che le azioni di società industriali possano apprezzarsi perché una moneta corretta le renderebbe più competitive. Le obbligazioni e i titoli di Stato, invece ,

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rappresentano un credito in denaro e quindi la moneta in cui sono denominati è importan-te. Le obbligazioni estere non verranno toccate e rimarranno come sono perché il debitore è straniero. Pertanto, se noi cambiamo moneta non necessariamente lo farà anche lui, per chi le detiene potrebbero addirittura rappresentare una rivalutazione verso la nuova mone-ta. Stesso discorso per i fondi di investimento internazionali che, inoltre, essendo di solito molto diversificati, avrebbero impatti minimi. Titoli di Stato e obbligazioni domestiche, in-vece, verranno convertiti nella nuova valuta ma non necessariamente perderanno potere d’acquisto, perché, come abbiamo ricordato prima, svalutazione non vuol dire inflazione e anche il prezzo, una volta rimossa l’incertezza di una banca centrale che non garantisce pienamente i titoli, potrebbe beneficiarne. Chi temesse in ogni caso l’arrivo dell’inflazione può liberamente tutelarsi con l’acquisto di titoli ad essa indicizzati.

c) Oro e oggetti di valore

Anche in questo caso si tratta di beni reali per i quali è del tutto indifferente quale sia la valuta nazionale. Una moneta d’oro ha lo stesso valore in tutto il mondo.La verità è che è proprio con l’Euro che i risparmi stanno andando in fumo perché i valori e i prezzi crollano a causa della depressione, perché aggrediti da continui aumenti di tasse imposte dall’Europa e, ora, sotto la nuova minaccia del bail-in bancario.Dopo aver impiegato centinaia di miliardi per salvare le proprie banche, la Germania (con l’assenso di europarlamentari e governi di molti Stati, complici o ignoranti) ha imposto che, d’ora in avanti, in caso di difficoltà per una banca debbano pagare i creditori: in ap-parenza sembrerebbe un argomento ragionevole, se non fosse che i “creditori” in questo caso sono i normali cittadini risparmiatori, che potrebbero vedersi espropriati dei propri beni investiti in normalissime obbligazioni bancarie o, addirittura, dei soldi depositati nei conti correnti. In sostanza si pareggiano le perdite della banca prelevando dai risparmi. Come si è visto dai primi esperimenti della nuova regola sul modello Banca Etruria (decisi in modo totalmente incurante dei disastri passati seguiti al fallimento di Lehman Brothers e Washington Mutual) un sistema di questo tipo getta nel panico i risparmiatori che non hanno modo di sapere se la loro banca sia sicura o meno e rischia di far partire una vera e propria fuga dai titoli finanziari e dai depositi. Il risultato è in ogni caso distruttivo per i risparmi che rischiano di essere espropriati dal bail-in o decimati dal crollo dei valori dei titoli causato dal panico.

Un sistema ragionevole dovrebbe prevedere la totale garanzia per i risparmi non speculativi, prestata dalla banca centrale che ha il compito e i poteri di vigilanza, preveden-do al contempo pene severissime per i banchieri colpevoli di aver dolosamente dilapidato denaro. L’Euro ha espropriato gli Stati del controllo sulla moneta e quindi ha messo a rischio i risparmi di centinaia di milioni di cittadini.

Oltre l’Euro per tornare grandi [ 15 ]

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Quando in Europa c’erano le monete nazionali, anche negli anni di forte inflazione, come ad esempio gli anni ‘80, il tasso di risparmio era fra i primi al mondo. I record della borsa si sono avuti nel 2001. Da quando c’è l’Euro la Borsa è ancora più un azzardo con volatilità estreme. I prezzi delle case, che in molti Stati periferici erano illusoriamente saliti nei primi anni della moneta unica, ormai scendono da anni. Persino i titoli di Stato sono diventati meno sicuri e chi ha provato a venderli nei giorni in cui lo spread era ai massimi ha avuto amare sorprese. Neppure il conto corrente bancario è più fonte di sicurezza perché si è passati da un sistema in cui la Banca Centrale garantiva i risparmi dei cittadini ad uno in cui i cittadini garantiscono con i propri risparmi la Banca Centrale. Ne vale la pena?

Magari avessi risparmi! Ho un mutuo e il conto in rosso. Le rate saliranno?

No, la stragrande maggioranza dei mutui sono a tasso fisso (e quindi non cambiano) o a tasso variabile legato al tasso Euribor, che è una media eu-ropea. In tutti e due i casi un cambio di moneta da parte di uno Stato non

avrebbe effetto, anzi, dato che anche il mutuo verrà convertito in nuova moneta come tutti i contratti domestici, qualora dovesse verificarsi una moderata inflazione (cosa comunque per nulla scontata, come si diceva prima), per chi ha un mutuo sarebbe molto conveniente perché la quota residua da pagare varrebbe progressivamente sempre di meno.

E le materie prime? E la benzina? Dicono che se svalutiamo costeranno una fortuna, è vero?

No, innanzitutto noi non usiamo mai “materie prime” e anche la benzina non è petrolio greggio. Tutti i beni che consumiamo sono trasformati industrial-mente e la maggior parte dei costi dei prodotti è data proprio da queste

trasformazioni e trasporti mentre il valore della “materia prima” è di solito minimo. È para-dossale che si faccia terrorismo su petrolio e materie prime ancora adesso quando i prezzi di questi beni sono ai minimi di sempre. I prezzi delle materie prime oscillano normalmente tantissimo, di solito con percentuali molto superiori a quella che sarebbe una svalutazione pur forte, eppure non ce ne accorgiamo assolutamente. Pensiamo al petrolio: la quotazio-ne al barile è passata in breve tempo da oltre cento dollari a meno di 30. Una svalutazione del 10% oggi porterebbe ad un’oscillazione del prezzo di acquisto di tre dollari a fronte di

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un movimento “naturale” di più di 70. Delle conseguenze dei prezzi se ne accorgono ec-come, invece, proprio i Paesi che hanno basato la loro economia solo sulle materie prime: in caso di discesa dei prezzi sui mercati internazionali possono aversi crisi fortissime e non facilmente sanabili nemmeno con forti svalutazioni. La differenza fra uno Stato che realizza “prodotti” rispetto a uno che si basa sulle materie prime è che mentre per il primo, in caso di difficoltà, la moneta ha, come detto pri-ma, una funzione equilibratrice, per il secondo non c’è modo di contrastare un eventuale crollo del prezzo delle materie prime da cui dipende dato che, essendo le risorse minerali prezzate in dollari, esse non risentono della svalutazione. La discesa del prezzo del petro-lio nel 2015 ha dimostrato proprio questo: mentre il prezzo dei prodotti finiti per noi non si è certo dimezzato, i Paesi esportatori di petrolio come Russia, Venezuela e, persino Arabia Saudita, hanno dovuto fare i conti con un crollo dei loro introiti. La verità è che gli stati Europei sono Paesi trasformatori: importano materie prime e/o energia ed esportano prodotti finiti. È il caso perfetto in cui il cambio flessibile ha massimo impatto. Immaginiamo che nella realizzazione di un prodotto in un Paese europeo il peso di energia e materie prime sia addirittura del 50% (difficilmente accade). Supponiamo che la moneta di quello Stato svaluti del 20%. Ebbene, se fatto 100 euro il costo di un prodotto, le materie prime e l’energia costassero il 20% in più, invece di 50 costerebbero 60 e quindi il prodotto complessivamente ora costerebbe 110. Per i mercati esteri tuttavia questo prodotto costerebbe il 20% in meno perché 110 è il costo nella mo-neta locale che si è svalutata del 20%, quindi il prodotto sui mercati esteri costerebbe 88 euro, diventando molto più competitivo, persino nel caso abbastanza estremo di un costo delle materie prime pari alla metà del totale.

Non è che l’Euro non c’entra nulla e la colpa è di corruzione, casta e evasione?

Le cose che non vanno in Europa sono sicuramente tante, ma non tutte, per odiose che possano essere, sono cause della crisi. Evasione, casta politica inefficiente e corruzione ci sono sempre state anche quando le cose anda-

vano bene e affliggono Paesi che pure sono in forte crescita economica: assurdo pensare che, per esempio, in Cina, Corea o India siano tutti dei santi. In particolar modo è ingenuo sperare in scorciatoie, come fanno quelli che lasciano intendere che senza la corruzione ci sarebbero decine di miliardi di PIL in più o, senza l’evasione, ce ne sarebbero centinaia: semplicemente saremmo in un mondo più giusto, ma non ci sarebbe un centesimo in più di gettito. Il perché è semplice: molti Stati europei, in particolare Francia e Italia, già incas-

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sano con le tasse più di qualsiasi altro Stato al mondo in rapporto a quanto producono (forse solo qualche piccolo Stato assistenziale nordico tassa di più i propri cittadini, a fronte di servizi ottimi, ma nessuno dei grandi Stati) e sono al limite teorico dell’imposizio-ne. Non a caso i recenti aumenti di IVA in Italia hanno portato un calo del gettito. Se con una bacchetta magica l’evasione scomparisse, con le attuali aliquote moltissime attività chiuderebbero, annullando l’effetto della “magìa”. L’unica cosa che si potrebbe fare è cercare di far pagare a tutti le tasse abbassando in parallelo le aliquote: si avrebbe così una distribuzione più equa ma non ci sarebbe gettito aggiuntivo.

Corruzione e altre nefandezze sono reati e, come tali, vanno perseguiti ma allo stesso modo in cui vanno perseguiti i furti e gli omicidi: di certo non sono le cause della crisi.

Non può essere che la colpa sia della spesa pubblica improduttiva?

Che gli Stati spesso spendano male le loro risorse è cosa nota, tuttavia se una spe-sa è interna difficilmente diventa “improduttiva”: se anche si pagasse uno per non fare nulla, costui alla fine con i soldi dello stipendio comprerebbe cibo, vestiti e altri

beni da produttivi lavoratori privati. Chi ha un negozio o una fabbrica non sa da dove ven-gono i soldi dei clienti che gli comprano la merce, per loro la differenza è avere clienti o no. Sarebbe molto meglio evitare questo passaggio e lasciare direttamente nelle tasche di chi lavora i soldi o, quanto meno, spendere in modo assennato, tuttavia il semplice taglio della spesa non compensato non aiuterà nessuno a vendere più prodotti e quindi a rimettere in moto l’economia. La Francia, ad esempio, spende più della media ma, se si è in reces-sione, tagliare la spesa e alzare le tasse è un sistema certo per far andare peggio le cose. Pensare che le cose possano andare diversamente è assurdo: sarebbe come pensare che una famiglia spenda di più se si riduce lo stipendio del capofamiglia. La spesa pubblica va tagliata e le tasse vanno alzate quando si sta crescendo. L’America è uscita dalla crisi facendo così: ha tagliato le tasse, ha aumentato la spesa pubblica e ha fatto “stampare” denaro alla sua Banca Centrale. Solo in un secondo momento, una volta “rimesso in moto il motore”, ha potuto procedere tagliando di nuovo la spesa. Stando nell’Euro e con le regole europee non possiamo fare nessuna di queste cose e, per di più, ci ritroviamo fuori mercato a causa della moneta sopravvalutata. Per noi, e soprattutto per l’industria dei principali distretti produttivi, è come pensare di vincere una gara di corsa con le gambe legate.

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La Germania va meglio perché è più efficiente, mentre il resto d’Europa è corrotto e pigro. È così?

Nessuno è titolato a dare lezioni di efficienza. L’impresa italiana (in particolare del Nord, ma non solo) e le produzioni di eccellenza francesi sono sempre state un modello per il mondo e, finché c’era la possibilità di competere ad armi pari, i lavo-

ratori hanno sempre fatto ogni tipo di orario e di turno battendo sistematicamente la con-correnza. In compenso la società riconosciuta colpevole del più grande caso di corruzione internazionale della storia è tedesca. La verità è semplicemente che la Germania ha una moneta sottovalutata e, quindi, i suoi prodotti costano meno di quanto costerebbero in Marchi, mentre noi abbiamo una moneta sopravvalutata e, quindi, i nostri prodotti costano di più di quanto che costerebbero se avessimo la nostra moneta. Se un’impresa ha un vantaggio vende di più e può permettersi di fare ricerca e innovazione, realizzando prodot-ti più belli e solidi che vendono ancora di più. Se un’impresa è in svantaggio competitivo, invece, deve tagliare i costi e risparmiare sui materiali, così che i suoi prodotti diventano di minore qualità e vendono ancora di meno. Non dimentichiamo poi che le regole che l’Eu-ropa fissa per fare impresa sono estremamente complesse e fatte su misura per imprese di grandi dimensioni: per l’impresa medio-piccola italiana, ad esempio, gli obblighi sono intollerabili e costosissimi da gestire.

Anche Stati con economie molto simili alla Germania, e che quindi non sareb-bero interessati da svalutazione ritornando alla propria moneta nazionale, sono a rischio perché gli shock possibili sono molteplici e, senza possibilità di aggiustamento. Chiunque è a rischio, basta vedere cosa accade alla Finlandia, in recessione cronica con l’Euro, mentre la Svezia, andata in crisi nel 2008, ha potuto rimettersi subito in piedi grazie al cambio flessibile della Corona svedese.Gli aiuti di Stato poi sono sempre stati proibiti per noi e consentiti alla Germania: Berlino ha salvato le sue banche con 300 miliardi di euro, mentre agli altri viene imposta l’esecuzione dei risparmiatori. I tedeschi fanno i propri interessi e il loro punto di vista è comprensibile: siamo noi che dobbiamo cominciare a fare i nostri!

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È vero che il debito pubblico è la causa della crisi?

Tutti i Paesi che sono andati in difficoltà per primi, come l’Irlanda e la Spagna, non avevano alcun problema di debito pubblico.

In compenso, il Giappone che ha un debito pubblico più che doppio rispetto alla media europea non è in crisi come noi, ha tassi negativi sul proprio debito e può permettersi politiche di sviluppo aggressive. Anche la Germania ha un pesante debito pubblico, anzi, sin dall’esordio della moneta unica la Germania lo aumentava infrangendo i trattati che la obbligavano a mantenere il debito al di sotto di una certa soglia. Non dimentichiamo poi che la Germania può “nascondere” molto del suo debito in una banca pubblica che si chiama KFW: se si contasse anche quello non ci sarebbe una grande differenza tra il debito tedesco e quello dei Paesi più indebitati e, in ogni caso, è superiore in valore assoluto. Spesso facciamo l’errore di demonizzare il debito pubblico dimenticando che a fronte di un debito c’è sempre un credito e il debito rappresenta il risparmio dei cittadini.Se uno Stato ha un debito espresso nella propria moneta ed ha sovranità monetaria non potrà mai non onorarlo, perché potrà sempre “stampare” il denaro necessario alla resti-tuzione del debito. Si pensi per esempio al “Quantitative Easing”: la BCE ha stampato si-nora 1.100 miliardi per acquistare sul mercato titoli di Stato dell’Eurozona, questa cifra è già entrata nell’economia senza provocare alcun aumento dell’inflazione. Ebbene, sarebbe possibile per la BCE semplicemente cancellare il debito acquistato e non vi sarebbe alcuna conseguenza: il debito sparirebbe nel nulla nello stesso modo in cui dal nulla è stato creato il denaro per acquistarlo. Un titolo di Stato è come se fosse una banconota con un tasso

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Percentage of the GDP (Debito governativo della Spagna, percentuale rispetto al PIL)SPAIN GOVERNMENT DEBT TO GDP

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di interesse: se i tassi sono zero non vi è differenza pratica fra le due cose e, infatti, il debito può essere sostituito da denaro creato dalla BCE senza effetti pratici nell’economia. La Lega ha presentato un atto al Parlamento Europeo proprio per domandare la cancellazione del debito riacquistato dalla BCE sul mercato (ovviamente non quello ancora detenuto dagli investitori) in modo da rendere palese a tutti il fatto che il debito pubblico non è un problema.

Se in molti Stati la crisi è scoppiata per lo spread evidentemente il debito pubblico è importante. Non è così?

IN realtà eravamo in crisi già da prima, ma non ce ne accorgevamo perché la debolezza delle nostre imprese era camuffata dall’afflusso di denaro a debito (questa volta privato). Lo spread dei Paesi periferici è esploso non certo per i

livelli di debito, l’inizio del “domino” è stata la decisione di Sarkozy-Merkel di far “fallire” la Grecia abbattendo il valore dei suoi titoli di Stato in mano ai risparmiatori. A quel punto tutti gli investitori mondiali hanno cominciato a vendere i titoli irlandesi, poi quelli portoghesi, poi quelli italiani e spagnoli semplicemente perché pensavano che avrebbero fatto la fine dei titoli greci. Anche lo spread sui titoli francesi e finlandesi aveva cominciato a salire mentre l’Inghilterra, grazie al fatto che aveva una Banca Centrale che garantiva il debito ricomprandoselo, non ha mai avuto problemi di spread. Gli interventi di Monti e degli altri governanti imposti da Bruxelles hanno poi peggiorato le cose: lo spread è sceso solo a seguito delle azioni della Banca Centrale Europea che, seppur con gravissimo ritardo, ha annunciato la propria intenzione di garantire il debito.

Quindi se la BCE garantisse il debito e gli spread si azzerassero saremmo a posto?

Purtroppo no: il “quantitative easing” della BCE funge in pratica da pseudo-garanzia per i titoli di Stato, che infatti hanno rendimenti addirittura negativi, ma gli effetti di una moneta troppo forte rispetto a quello che sarebbe giusto permangono.

Ciò significa che, se i cittadini di uno Stato che normalmente avrebbe un valore corretto della propria moneta inferiore a quello dell’Euro, invece di essere strozzati, tornassero a spendere, comprerebbero in maggioranza prodotti esteri e la differenza fra importazioni e esportazioni dovrebbe essere finanziata da ulteriore debito. In pratica si indebolirebbero ancora di più e, se in futuro la BCE dovesse cambiare idea, sarebbero in ginocchio.

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Neppure la Grecia e l’Irlanda vogliono abbandonare l’Euro, perché noi sì?

Grecia e Irlanda hanno ricevuto cifre elevatissime sotto forma di prestiti in pratica a fondo perduto, pagati anche da noi. Si è trattato di una specie di “risarcimento” per evitare che il sistema andasse in pezzi. Se la Grecia fosse uscita dall’Euro

prima di ricevere gli aiuti avrebbe avuto solo il danno e non il risarcimento. Stati importanti come l’Italia, la Francia o l’Austria invece pagano e basta e non ricevono nulla da nessu-no. Anche se il bilancio dell’Unione Europea è piccolo, le cifre pagate da molti Stati per parteciparvi sono ingenti: negli ultimi 15 anni solo sommando le quote pagate da Italia e Francia, al netto dei fondi ricevuti, si totalizzano quasi 200 miliardi. Non solo, la mutualiz-zazione dei crediti verso i Paesi dell’Europa periferica è stata per molti un vero furto: l’Italia, ad esempio, aveva solo circa il 3% dei crediti totali verso Grecia, Spagna, Irlanda e Porto-gallo ma è stata chiamata a “salvare” questi Stati (in realtà abbiamo salvato soltanto i loro creditori) con una quota pari al 20% perché l’Europa ha trovato conveniente mettere tutto “sul conto del condominio”. Le risorse comuni impegnate per i “salvataggi” europei che nulla hanno risolto sono state superiori ai 300 miliardi di Euro. Senza buttare questi soldi (che probabilmente non verranno mai restituiti) quante cose si sarebbero potute realizzare per il lavoro, l’istruzione e la sanità?

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Perché l’Euro danneggia in particolare le regioni industriali degli Stati che avrebbero una moneta più

debole?

Con le valute nazionali le regioni industriali o in generale più avanzate (Catalogna, Nord Italia, Rhône-Alpes, Provenza) di Stati mediamente più deboli avevano una situazione bilanciata perché, a fronte di maggiori contribuzioni al bilancio genera-

le, potevano essere “aiutate” da una moneta più vantaggiosa. Consideriamo per esempio il caso dell’Italia del Nord: qui l’industria ha sempre avuto un grande vantaggio dalla Lira perché si trattava di una moneta sottovalutata rispetto alla forza economica e industriale dele regioni settentrionali. In pratica il Nord Italia con la Lira era nella stessa posizione di vantaggio che la Germania ha adesso con l’Euro.

Per semplicità diciamo che la forza economica del Nord era “dieci” mentre quella del Sud era “due”. Una stessa moneta che valeva per queste due aree così diverse era una media tra i valori che avrebbero avuto una moneta del Nord (10) e una moneta del Sud (2). La Lira valeva quindi “sei”. Questo valore era troppo alto per il Sud che, quindi, si deindustrializzava, mentre era molto basso per il Nord che, quindi, poteva esportare molto facilmente i propri prodotti. Le industrie del Nord, grazie alla Lira, si presentavano sui mercati internazionali con un “listino prezzi” scontato, i prodotti venivano acquistati da tutti e la disoccupazione non esisteva. Il “costo” di questo vantaggio per il Nord era quello di compensare il Sud (che non poteva competere) con forti trasferimenti fiscali. Con l’Euro questo vantaggio è sparito, le imprese chiudono o spostano la produzione in Paesi più convenienti ma le tasse e i trasferimenti fiscali sono rimasti perché, se per il Sud la Lira era troppo cara, figuriamoci l’Euro.

La Germania in questo momento è come era il Nord Italia con la Lira, con la differenza che non trasferisce nulla alle altre regioni, ossia agli altri Paesi europei, che si stanno velocemente “meridionalizzando”. I trasferimenti fiscali non sono mai la soluzione giusta: sebbene quelli interni degli Stati sovranazionali fornissero un equilibrio, essi non possono certo essere presi come modello, dato che l’esperienza dimostra che gli squilibri in questo modo si perpetuano anziché ridursi. Per questo motivo, una volta riconquistata la sovranità monetaria, nulla impedisce di co-gliere la lezione dell’esperimento fallito dell’Euro per provare strade opposte, con monete legate ad aree valutarie omogenee, anche se ciò dovesse significare due monete in uno stesso Stato. In questo modo le regioni più povere diventerebbero competitive e non ci sarebbe più bisogno di forti trasferimenti fiscali.

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C’è relazione fra l’Euroe l’invasione di immigrati?

Certo che c’è: il sistema dell’Eurozona ha come unico meccanismo di bilanciamen-to degli squilibri di competitività la compressione del costo del lavoro, e l’impor-tazione di forza lavoro a basso costo è uno degli strumenti più brutali e efficaci di

compressione salariale.

Provate a pensarci: se un determinato prodotto viene realizzato da qualche parte nel mondo ad un prezzo inferiore a quello in cui viene prodotto in uno Stato X, ecco che le esportazioni di quello Stato diminuiscono, quindi vi è meno richiesta della sua moneta. La richiesta inferiore fa scendere il prezzo della moneta di quello Stato verso la moneta dello Stato più competitivo e quindi il “listino prezzi” dei prodotti dello Stato X scende, ripristinan-do la parità e mantenendo conveniente la produzione domestica. Con l’Euro questo aggiu-stamento è impossibile e quindi l’unico modo di recuperare competitività è quello di abbas-sare i salari. Ovviamente non è facile convincere un lavoratore ad essere pagato di meno, perciò, prima di riuscirci, i Paesi dell’Europa meridionale - e sempre più anche la Francia -, sono costretti a sopportare altissimi livelli di disoccupazione. Il crollo della domanda interna e il livello non ottimale delle esportazioni fa chiudere e delocalizzare molte fabbriche costrin-

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gendo milioni di lavoratori alla disoccupazione e quindi ad accettare, per disperazione, bassi salari. La Germania, invece, avvantaggiata dalla moneta più debole, aveva una situazione di piena occupazione, così rischiava di trovarsi dalla parte opposta di questa situazione, vale a dire con la necessità di aumentare i salari data la forte richiesta di lavoro. Per evitare anche questo minimo aggiustamento la Signora Merkel ha sempre incoraggiato progetti di immi-grazione, così da contenere i salari aumentando l’offerta di forza lavoro. Molte forze politiche in tutta Europa hanno assecondato questo progetto destabilizzante convinti di poterne trarre gli stessi vantaggi. Il risultato è stato il via libera ad una vera invasione, nata quindi da un invito più o meno esplicito da parte dell’Europa a maree di disperati attirati qui dal miraggio del lavoro e della ricchezza. Purtroppo quello che inizialmente sembra un vantaggio per lo Stato più forte si rivela disastroso per tutti gli altri, e alla fine lo sarà per tutti. Se la Germania dice: “Accettiamo un milione di immigrati all’anno e li faremo lavorare nelle nostre industrie” non può pensare che dal mondo ne partirà solo il numero richiesto. Si metteranno in marcia diversi milioni di persone che finiranno in Stati in cui il lavoro non c’è perché, come abbiamo detto prima, a causa dell’Euro vi è un livello troppo alto di disoccupazione. Un immigrato che arriva dove c’è disoccupazione può fare tre cose:

Si sostituisce al lavoratore locale accettando una paga inferiore e co-stringendolo alla disoccupazione o, a sua volta, ad emigrare. In questo modo si realizza una sostituzione della popolazione distruttiva per il tessuto sociale.

Non trova lavoro e quindi per mantenersi deve essere sussidiato con denaro pubblico, provocando quindi un aumento generaliz-zato delle tasse necessarie per pagare cibo, casa e servizi a un numero sempre maggiore di immigrati inattivi. Le tasse più alte rendono il Paese meno competitivo e la situazione peggiora.

Delinque. In questo caso la tassa per il mantenimento dell’immigrato viene concentrata sulle vittime dei furti di questi disperati che, ve-nendo derubati, forniscono il denaro necessario al loro sostentamento. In nessun caso vi è quindi un aspetto positivo di un flusso migratorio incontrollato in uno Stato con già un’elevata disoccupazione.

Si capisce, quindi, perché, man mano che il flusso diventa ingestibile, gli Stati eu-ropei stanno provando a chiudere le frontiere, realizzando così un sistema di dighe e tappi all’interno del quale il flusso degli immigrati rimane intrappolato con forti rischi di rivolte e disordini.

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Senza l’Euro gli Stati non avranno più bisogno di comprimere i salari ad ogni costo e anche la Germania non sarà più tentata di “invitare” ancora i migranti per cercare in ogni modo di svalutare il lavoro

I tecnocrati di Bruxelles sono certamente consci che ci sarebbero altre scelte possibili ma volontariamente continuano ad insistere sul tema della svalutazione del lavoro. Come detto prima, questo sistema però si traduce in una perdita fortissima del potere di ac-quisto per chi lo subisce: una svalutazione fa perdere potere di acquisto (e non sempre) solo nei confronti dei beni di importazione, il taglio dello stipendio lo fa perdere nei confronti di ogni spesa, anche quelle che non c’entrano nulla con l’importazione, come il parrucchiere, i vestiti, la pizza e la bolletta del telefono. Non solo, se ho dei debiti (ad esempio un mutuo) con il cambio di moneta e la svalutazione non mi accadrà nulla di male, mentre se subisco il taglio dello stipendio la rata rimarrà la stessa diventando in proporzione più pesante ri-spetto ai miei guadagni. Infine va considerato che anche nel caso in cui io sia un lavoratore autonomo, se tutti i lavoratori dipendenti si impoveriscono perché i loro stipendi vengono tagliati, anche i miei guadagni si ridurranno perché avrò meno clienti per i miei prodotti o i miei servizi.

È ciò che sta accadendo ora. “Quelli che comandano” (la famosa Troika: Com-missione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale – nessuno di essi eletto dai cittadini) stanno quindi imponendo una ricetta dolorosissima e piena di controindicazioni gravissime. Ovviamente ci sono poi fortissimi interessi in gioco. Si pensi per esempio a chi ha puntato sulla delocalizzazione o alle imprese che si sono specializza-te nell’importazione di prodotti fabbricati all’estero realizzando finora grandi profitti. Questi soggetti si opporranno fortemente al recupero della competitività produttiva domestica degli Stati dell’Eurozona, è comprensibile, ma accontentare le loro pretese sarebbe come voler rimanere ammalati per compiacere il farmacista, che così può guadagnare di più.

Se calassero anche i prezzi insieme agli stipendi non sarebbe una soluzione?

I prezzi non si adeguano mai velocemente verso il basso e, come si diceva, i debiti rimangono grandi come prima e quindi, in proporzione, più pesanti (il creditore è in teoria avvantaggiato, ma se il debitore fallisce non è una buona notizia per chi gli ha

prestato denaro). Non solo: se si va stabilmente in deflazione, cioè in un periodo in cui i prezzi delle cose scendono, i consumatori cercheranno di ridurre il più possibile le spese attendendo i cali dei prezzi, ma così facendo i consumi calano ancora di più, aumentando la recessione.

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Il problema è che adesso c’è la Cina. Non possiamo competere con chi paga i lavoratori un euro all’ora/mese/anno. È vero?

A parte che la Cina c’è sempre stata e che da sempre abbiamo convissuto con oggetti a basso prezzo “made in Hong Kong” o simili. Tuttavia, numeri alla mano, il principale esportatore interno dell’Eurozona è la Germania, non la Cina. Nella

maggior parte dei casi il diretto concorrente di un’industria europea è Berlino, non Pechi-no. Conoscete qualcuno che nel commercio si metta ad eseguire quello che il suo con-corrente gli dice di fare? Poi non stupiamoci dei risultati. In ogni caso è paradossale che chi denuncia l’eccessivo costo dei nostri prodotti sia poi favorevole all’Euro, che aggrava questa differenza.

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Il costo del lavoro è solo una parte del problema ma noi non abbiamo fatto ricerca, innovazione, infrastrutture,

riforme ecc. È così?

Primo: non è vero. Le infrastrutture ci sono, e i dati sugli investimenti indicano che la Germania ha fatto molto poco rispetto ad altri Stati europei in questo senso; inoltre basta visitare moltissime aziende pur collocate Stati in difficoltà per trovare dei

modelli di organizzazione e innovazione. Tuttavia, la questione è un’altra: qualsiasi siano i motivi per i quali buona parte dell’industria Europea non tedesca si è trovata fuori mercato (veri come: Germania che ha compresso i salari, eccessiva inflazione e rigore mentre altri spendevano a debito per riformare il lavoro e sostenere banche e industrie ecc., oppure falsi come: gli altri sono biondi, noi siamo lazzaroni, c’è la Cina ecc. ecc.) è stupido pensa-re di rimetterci in pari “facendo lo stesso” dei nostri concorrenti. La distanza da colmare è troppa, e poi i concorrenti reagirebbero, col vantaggio ulteriore di poter beneficiare di tassi di finanziamento molto più bassi dei nostri.

È sempre bene prendere esempi da chi ha avuto successo ma prima di poter giocare ad armi pari occorre riallineare il cambio in modo da trovarci sulla stessa linea dei nostri concorrenti. È giusto che un atleta si alleni, ma non ci si allena bene a stomaco vuoto e, anche se, nonostante tutto, si fosse volenterosi e allenati, non si può pensare di correre i cento metri partendo cinquanta metri indietro. Allo stesso modo ci sono tante riforme che sarebbe corretto fare, ma ogni riforma seria necessita di tempo e denaro. Con l’Euro non l’avremo mai.

Se svalutassimo poi non risolveremmo i nostri problemi, che verrebbero messi sotto il tappeto. È vero?

I n realtà è vero il contrario: i nostri problemi e difetti si sono moltiplicati con l’Euro. Se una moneta propria costringesse davvero uno Stato a riforme benefiche, oggi, dopo quasi quindici anni di Euro, saremmo riformatissimi. L’”anestesia” dell’Euro e dell’Europa, in-

vece, agisce proprio nel senso di rendere meno importanti le scelte dei governi nazionali. I mercati finanziari, attentissimi a quello che fanno i governi dei Paesi indipendenti, non hanno mai mandato alcun segnale ai governi europei e ancora adesso lo spread si muove seguendo le parole della BCE, non certo di Renzi o Hollande... La Spagna è rimasta senza governo per un anno eppure, finché la BCE compra il debito, nessuno spread la soffoca. Per questo motivo i governi non saranno mai incentivati a prendere decisioni giuste ma

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semplicemente a cercare di compiacere gli “eurodetentori” del vero potere, anche se essi sono (come abbiamo visto) avversari commerciali. Se chi era al volante in passato ha guidato male, la soluzione non è quella di costruire una macchina senza sterzo, altrimenti alla prima curva si finisce contro il muro. È proprio quello che è successo all’economia dell’Eurozona: impedire ad un governo la necessaria flessibilità comporta come risultato che, finché non ci sono problemi sembra che “la macchina” vada bene anche se si stanno facendo le cose sbagliate, mentre non appena si incrocia un problema, il sistema si rom-pe e ne fanno le spese i cittadini. In ogni caso, se uno teme che poi, “stando bene” non risolveremmo i nostri problemi, non capisce (o non vuol capire) che “stare male” è proprio il problema che deve essere risolto.

Se facessimo le riforme e se tagliassimo il cuneo fiscale forse diventeremmo competitivi senza bisogno di uscire dall’Euro. Può essere?

“Fare le riforme” non vuol dire nulla, ogni volta che si cambia una legge o un regola-mento si sta facendo una riforma: alcune portano miglioramenti, altre fanno peggio. Le riforme sostanziali costano molti soldi che con i vincoli europei non ci potremmo

mai permettere (la Germania per le sue riforme del mercato del lavoro ha aumentato il suo rapporto debito/PIL di 5 punti in periodo di crescita, noi ci siamo già impegnati a ridurlo anche in periodo di recessione con il fiscal compact) senza contare che è da ingenui pen-sare che potremmo raggiungere i risultati di chi è in vantaggio di dieci anni. Non solo, non è detto che dobbiamo per forza voler diventare tedeschi o cinesi: dobbiamo essere liberi di poter vivere a modo nostro in casa nostra.

Per lo stesso motivo, con il taglio del cuneo fiscale (che pure sarebbe cosa uti-le) non si otterrà nulla di sostanziale: i Paesi che sono andati per primi in crisi sono stati quelli (come l’Irlanda) dove il cuneo fiscale era minimo: per ottenere un taglio sostanziale a favore della competitività occorrerebbe azzerarlo, ed è impossibile perché sparirebbero gettito fiscale e contributi in un sistema dove la mancanza di denaro, anche momentanea, nelle casse dello Stato non può essere finanziata “stampando denaro”. Chi ha sovranità monetaria può permettersi politiche di stimolo dell’economia con forti detassazioni, nel nostro caso tali politiche ci sono precluse. Il taglio del cuneo fiscale potrebbe essere solo irrilevante e finanziato con altre misure recessive.

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Magari “battendo i pugni sul tavolo” ci consentirebbero di spendere senza bi-sogno di uscire dall’Euro. È possibile?

A parte che non c’è nessun tavolo su cui battere i pugni (e se ci fosse stata la volon-tà da parte dell’Europa di evitare questa situazione l’avremmo evitata), se anche ci dicessero di dimenticarci gli impegni e di ridurre le tasse (impossibile), avremmo

sempre il problema della moneta troppo forte. È la stessa questione prima accennata quando si diceva del perché una BCE che garantisca il debito non risolverebbe il problema di fondo della moneta artificialmente forte.

Ma non è una bella cosa avere una moneta “forte”?

No! È una bella cosa se è forte anche l’economia, ma, come detto prima, un’e-conomia debole con una moneta forte è come un guerriero con una spada talmente pesante da non riuscire nemmeno ad alzarla. L’ideale sarebbe

averla del giusto peso: più leggera si può fare e consente maggior agilità, troppo pesante è un suicidio. La moneta troppo forte fa sì che i prodotti esteri risultino molto convenienti. Sembra una bella cosa ma i prodotti esteri hanno una spiacevole caratteristica: sono fatti all’estero! Quindi è ovvio che all’interno poi si creerà disoccupazione. Risultano convenienti anche i viaggi all’estero e ovviamente ogni viaggio rappresenta denaro che se ne va ad arricchire qualche altro Paese. Se potessimo spendere di più compreremmo prodotti esteri invece di prodotti domestici e si aprirebbe la forbice fra le nostre importazioni e le espor-tazioni: questa differenza deve essere pagata da qualcuno e dovremmo cercare denaro facendo altro debito. Nel frattempo sempre più imprese chiuderebbero o delocalizzerebbero e alla prossima crisi saremmo in ginocchio, molto peggio di quanto già non lo siamo oggi.

Immaginiamo se con la Polonia si decidesse di fare un’operazione simile a quella che fece la Germania Ovest con la Germania Est: allora ci volevano 4 marchi dell’Est per un marco dell’Ovest e si utilizzò invece il cambio 1 a 1, incenerendo la competitiva industria dell’Est per buttarla interamente nelle mani delle grandi industrie dell’Ovest. Anche lo Złoty polacco ha al momento un valore simile a quello del Marco della Germania Est: se si deci-desse di far entrare la Polonia nell’Euro cambiando lo Złoty 1 a 1, l’effetto sarebbe quello di una rivalutazione del 300%; ciò significa che qualsiasi prodotto realizzato in Polonia diven-terebbe del tutto fuori mercato dalla sera alla mattina. Le esportazioni crollerebbero, tutte le

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fabbriche chiuderebbero venendo trasferite altrove e il Paese cadrebbe in ginocchio nel giro di pochi mesi

In molti dicono che la soluzione potrebbe essere “Più Europa”. È Vero?

Come dire ad un avvelenato che ci vuole “più veleno”! Chi dice che ci vorrebbe un’Unione Europea ancora più stretta, che diventasse in tutto e per tutto equiva-lente ad uno Stato unitario, fa finta di non vedere che la Germania non si sogna

neppure di cedere la propria sovranità per dissolvere lo Stato in un’unione senza avere garanzie di poter mantenere l’ultima parola su tutto. Non hanno voluto farlo quando erano in posizione di debolezza, non lo vorranno mai fare ora che sono in posizione di forza. In uno Stato unitario le regioni ricche trasferiscono denaro alle regioni povere, e mai e poi mai la Germania accetterebbe di trasferire i soldi delle tasse dei cittadini tedeschi a favore di greci, italiani, spagnoli, irlandesi o portoghesi. Anche se poi lo volessero (e non vogliono) dovremmo essere uniti a rifiutare con forza quest’ipotesi! Abbiamo visto con l’esempio del Sud Italia che i trasferimenti di denaro non funzionano, non creano sviluppo, incentivano la criminalità e la rassegnazione porta a ricercare un posto di lavoro sussidiato. L’estensione di queste dinamiche a tutta l’Europa non tedesca è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.

Non sarebbe meglio decidere con un referendum?

È possibile, e anzi auspicabile, decidere con un referendum l’adesione all’Unione Europea come ha fatto la Gran Bretagna, ma tale consultazione deve poter essere fatta esattamente nelle stesse condizioni in cui gli inglesi l’hanno affrontata, vale

a dire su un piano di parità e senza costrizioni esterne, e ciò implica che prima si deve lasciare l’Euro e riprendere il controllo del sistema bancario.

Chi, come il Movimento 5 Stelle, dice di volere un referendum mentre si è an-cora nell’Euro, in realtà, probabilmente non vuol cambiare nulla esattamente, come ha fatto Tsipras in Grecia. Innanzitutto in Italia non è possibile fare un referendum sui trattati internazionali. Inoltre, anche supponendo per assurdo di farlo comunque, una campagna referendaria su una questione così complessa sarebbe viziata da ogni genere di terrori-

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smo mediatico, tale per cui le bugie sull’Euro, che già normalmente si vedono sui media, si moltiplicherebbero, con l’aggravante che i poteri finanziari europei non esiterebbero a lanciare fortissimi attacchi speculativi contro il nostro debito. Ai cittadini verrebbe data l’impressione che con il loro voto contro l’Euro provocherebbero un disastro e l’incertezza del risultato in un simile clima comporterebbe terribili agitazioni sui mercati, oltre a fughe incontrollate di capitali. Pensate alla differenza di condizioni fra lo svolgimento del referen-dum britannico e quello greco.

L’unico modo per riconquistare la nostra sovranità monetaria è per mezzo di un governo democraticamente eletto che agisca velocemente per decreto. Immaginate in che modo un governo favorevole all’Euro potrebbe mai gestire le procedure di uscita se un referendum dovesse indicare una volontà di uscita. Le azioni necessarie per cambiare moneta minimizzando i danni non sono semplici, ma un governo determinato ad agire ha tutti gli strumenti per poterlo fare, e sono noti tutti i passi necessari, compresi quelli legi-slativi. Non dimentichiamo che cambiare moneta non è un evento mai accaduto, per cui le procedure siano ignote: passare dalla Lira all’Euro non fu altro che questo. Ovviamente il processo di uscita sarebbe tanto più semplice quanto più coordinato con altri Paesi. Per questo è fondamentale allearsi con forze sovraniste di altri Stati europei.

I partiti “sovranisti” in Europa sono di ideologie molto diverse: come possono accordarsi?

La battaglia contro l’Euro è una battaglia di indipendenza e libertà. Indipendenza e libertà non sono né di destra, né di sinistra, bensì valori assoluti. Ritornare ad esse-re padroni a casa nostra è la condizione indispensabile per qualsiasi altra politica,

sia per chi è nazionalista, sia per chi invece sogna il federalismo. Una volta liberi poi ci sarà tutto il tempo per “rifare le squadre”. Chi non ha il controllo sulla propria moneta non sarà mai libero. Se in Europa le forze contrarie all’Euro riuscissero ad ottenere una forte affermazione, tutto diventerebbe più facile: a questo scopo ogni voto conta e un coor-dinamento fra i partiti avversi all’Euro in tutta Europa è la prova più evidente che, senza l’ostacolo della moneta unica, potrebbe esserci una diversa e sincera amicizia europea al di fuori delle attuali contrapposizioni.

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In molti dicono che l’Unione Europea ha portato la pace. Se abbandoniamo l’Euro ci sarà la guerra?

La pace c’è fra tutte le nazioni che si sono combattute nelle guerre mondiali e il maggior rischio per il mantenimento di questa pace è proprio l’Euro. Un sistema economico che mette popoli e nazioni gli uni contro gli altri, che costringe popoli a

pagare per altri ed impone sofferenze e privazioni con conseguenze economiche del tutto simili a quelle di un conflitto armato, origina odio fra Stati che avevano dimenticato questa parola. Fino a pochi anni fa nessun greco aveva alcun motivo di risentimento nei confronti della Germania: oggi se la Merkel vuole visitare Atene deve essere circondata dall’esercito schierato a difesa.

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Sento dire che molti famosi economisti, compresi alcuni premi Nobel sono contrari all’Euro. È vero? Chi sono?

È vero, sono almeno sette i premi Nobel per l’economia che hanno apertamente criticato l’Europa dell’Euro (Mirrlees, Stiglitz, Sen, Tobin, Krugman, Friedman e Pissarides). Ciascuno di essi ovviamente propone anche soluzioni alternative ma,

come abbiamo visto, le soluzioni alternative non sempre sono realisticamente possibili, e non sempre sono desiderabili. Molti economisti hanno, ad esempio, firmato una propo-sta (il “Manifesto di Solidarietà Europea”) dove si propone uno smantellamento “dall’alto” dell’Eurozona, con l’uscita dall’Euro della Germania come prima mossa. Peccato però che tutto ciò dipenda dalla volontà di altri Paesi. E se i tedeschi dicono di no? Tutti questi scenari alternativi diventeranno tanto più fattibili quanto più forti saranno i consensi dei movimenti totalmente contrari all’Euro.

Esistono altrettanti premi Nobel e famosi economisti convinti invece che l’Europa dell’Euro sia perfetta così?

NO.

Claudio Borghi Aquilini @borghi_claudio

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Q uando Robinson Crusoe torna sul relitto della nave per recuperare qualcosa di

utile alla sopravvivenza nell’isola deserta non sa che farsene del molto denaro

che trova in una cassettiera: “Spazzatura! - dice - Uno solo di questi coltelli mi è

molto più utile di questo mucchio di quattrini”.

Se non vogliamo anche noi ritrovarci presto nei panni del più famoso naufrago

della letteratura, è urgente ripensare senza dogmi la situazione in cui ci troviamo, anche

perché dalla nave dell’Unione Europea sono sempre più i passeggeri che si stanno affret-

tando alle scialuppe di salvataggio: non solo gli inglesi con la Brexit, ma anche una larghis-

sima fetta degli spagnoli, dei greci, dei portoghesi, dei francesi e, addirittura dei tedeschi,

che stanno facendo la fortuna di movimenti politici molto diversi tra loro, ma accomunati

dall’urgenza di riprendere il controllo della moneta per tornare padroni del proprio destino.

Anche in Italia siamo di fronte alla medesima scelta: fidarci ciecamente del “no-

stromo” Mario Draghi, del “fantasma” Gentiloni, di quel Renzi recentemente degradato a

“mozzo”, ma non per questo meno entusiasta di mandarci tutti alla deriva, oppure trovare

il coraggio di invertire radicalmente la rotta, come esposto nel libro che avete tra le mani.

Un’altra Europa è possibile!

Matteo Salvini facebook.com/salviniofficial

@matteosalvinimi

Oltre l’Euro per tornare grandi [ 37 ]

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Postfazione [ 37 ]

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Un ringraziamento particolare ad Alfio Krancic @AlfioKrancic

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Un ringraziamento particolare ad Alfio Krancic @AlfioKrancic

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