Psicologia generale manuale_di__legrenzi_158

525
MANUALE DI PSICOLOGIA GENERALE il Mulino a cura di PAOLO LEGRENZI

Transcript of Psicologia generale manuale_di__legrenzi_158

  • 1. MANUALE DI PSICOLOGIA GENERALE il Mulino a cura di PAOLO LEGRENZI

2. Psicologia 3. I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull'insieme delle attivit della Societ editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: http://www.mulino.it 4. Manuale di psicologia generale a cura d Paolo Legrenzi Seconda edizione il Mulino 5. ISBN 88-15-05732-3 Copyright 1994, 1997 by Societ editrice il Mulino, Bologna. vietata la ripro- duzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. 6. Introduzione, di Paolo Legrenzi P- I. Storia e metodi, di Riccardo Luccio 1. Introduzione 2. Lo sviluppo storico della psicologia scientifica 3. I metodi della psicologia 13 13 14 58 IL Emozioni e motivazioni, di Gian Vittorio Caprara 1. Introduzione 2. Tradizioni di pensiero e livelli di analisi 3. Le emozioni 4. Le motivazioni 5. Emozioni e motivazioni 75 75 76 80 95 107 - III. Percezione, di Walter Gerbino 1. Problemi 2. Codificazione 3. Organizzazione 4. Conclusioni 111 111 116 129 182 IV. Attenzione e coscienza, di Carlo Umilt 1. L'attenzione spaziale 2. L'attenzione selettiva 3. Un modello connessionista dell'effetto Stroop 4. Le risorse attentive 5. Processamento automatico o controllato 6. La memoria di lavoro e il Sistema attentivo supervisore 7. Attenzione e coscienza 185 185 197 213 221 227 233 239 7. INDICE V. Memoria, apprendimento e immaginazione, di Rossa- na De Beni p. 251 1. Tecniche di misurazione e di ricerca della memoria umana 251 2. Tipi di memoria 263 3. La metacognizione e le strategie di memoria 279 4. Il dimenticare 296 5. Immaginazione 308 6. Apprendimento 319 VI. Linguaggio, di Giovanni Battista Flores d'Arcais 1. La psicolinguistica 2. La comprensione del linguaggio 3. La produzione del linguaggio 4. Lo sviluppo e i fondamenti biologici del linguaggio 339 339 350 378 382 VII. Pensiero, di Giuseppe Mosconi 1. Problem solving 2. Ragionamento 3. Conclusioni 393 393 414 451 Glossario 457 Riferimenti bibliografici 469 Indice analitico 511 8. Questo volume fa parte di una serie di manuali scritti da autori italiani e pensati specificamente per la didattica dei corsi di laurea in Psicologia. L'articolazione dei nostri corsi non sempre coincide con quella dei paesi anglosassoni. Ad esempio, il contenuto di pur ottimi manuali sui processi cognitivi - come il Reed [1992; trad. it 1994] - troppo mirato rispetto al nostro insegnamento di Psicologia generale al primo anno del corso. Viceversa, un testo di psicologia in generale - come il Darley, Glucksberg e Kinchla [1991; trad. it. 1993] -pu risultare troppo esteso, in quanto include argomenti che costituiscono materie specifiche di altri insegnamenti (psicologia dello sviluppo, clinica, sociale, ecc). Proprio per questo l'edizione italiana del Darley suddivisa in due volumi, in modo che il primo corrisponda ai contenuti del corso di Psicologia generale. Tuttavia un volume progettato apposta e scritto da docenti che hanno esperienza della situazione italiana dovrebbe presentare dei vantaggi rispetto ad un manuale semplicemente diviso a met. Ad esempio, nel Darley come in molti altri manuali, il blocco emozione e motivazione fa da ponte tra un'esposizione dei processi cognitivi asettica e gli aspetti clinici e sociali, considerati come un prolungamento del funzionamento caldo della nostra mente. Il manuale italiano che qui si presenta, al contrario, vede nei processi motivazionali, per cos dire, l'energia che fa funzionare il motore e presenta successivamente i processi cognitivi come lo stu- dio dei modi di funzionare di questo motore. Fuor di metafora, lo schema di questo manuale cerca di realizzare quanto dice Caprara concludendo il secondo capitolo: la motivazione da considerarsi un costrutto sovraordinato a quello di emozione e a quello di cogni- zione... (cfr. infra, pp. 108-109). Questo secondo capitolo ha la funzione di cerniera tra l'introduzione storica e metodologica di Luc- cio e lo studio della cognizione. L'analisi dei processi cognitivi viene 9. INTRODUZIONE svolta con un taglio sostanzialmente sistematico, come in un qualsiasi manuale di scienze. Lo studio dell'emozione e della motivazione ri- prende invece l'approccio storico del capitolo iniziale. Tale approccio si rivela utile per capire il passaggio dalle liste di bisogni e istinti ai modelli, da Lewin in avanti, centrati sulla capacit della mente di darsi delle mete e di perseguire dei fini. I capitoli successivi, dedicati alla cognizione, analizzano gli strumenti di cui disponiamo per perse- guire questi complessi di mete e fini. I processi cognitivi, dai pi bassi ai pi alti non sono cio trattati come funzioni mentali indipendenti dal mondo in cui viviamo e dalla nostra interazione con esso. Gerbino ci introduce allo studio dei processi percettivi intesi co- me uno dei modi per controllare le nostre azioni nel contesto del ciclo percezione-azione. La visione non una registrazione passiva di quel che ci capita attorno: il requisito essenziale della rappresenta- zione percettiva non la veridicit ma l'adeguatezza all'azione (cfr. infra, cap. Ili, par. 1.1). L'esplorazione e la ricerca di informazioni utili all'azione sono processi strettamente connessi all'attenzione. L'impostazione teorica centrata sui rapporti tra motivazione, azione e processi cognitivi (intesi come supporto all'azione) non pu prescin- dere dall'analisi dei processi attentivi, dall'analisi cio dei meccanismi sottostanti la nostra capacit di concentrarci su alcune informazioni trascurandone altre. Tale analisi costituisce il filo conduttore di tutto il capitolo di Umilt. Un approccio sofisticato sul piano metodologico ha reso pos- sibile capire in modo dettagliato come mai in certi casi raccogliamo informazioni e prendiamo decisioni in modo consapevole e altre volte lo facciamo invece senza renderce -conto. Non alludiamo qui al fatto che talvolta siamo distratti, ma alla nostra capacit di rendere automatiche molte operazioni cognitive con evidenti vantaggi adattivi sia in termini di economia di risorse psichiche che in termini di effi- cacia e precisione. Viene cos esplorato in molti dei suoi aspetti un costrutto che pu sembrare il cuore della disciplina: la coscienza. Il capitolo di Umilt prezioso anche per un altro motivo. Difficilmente nei manuali ci si pu fare un'idea della cucina dello sperimentatore in psicologia, di come cio nei dettagli un ricercatore applichi le sue ricette in laboratorio, di come i risultati di un esperimento ci conducano ad impostarne di nuovi per rispondere a nuovi quesiti. Diventano cos chiari dall'interno la funzione e lo scopo dell'esperi- mento condotto in laboratorio. Molte nozioni della nostra psicologia ingenua, quelle che nella vita quotidiana usiamo in modo disinvolto (si pensi alle distinzioni: stare attenti oppure no, essere consapevoli oppure no, e cos via) nascondono problematiche molto complesse che solo una scienza sperimentale pu affrontare. Siamo cio troppo complicati per capire come funzioniamo con la semplice osservazione quotidiana di noi stessi e degli altri. Questa impostazione viene ripresa anche da De Beni, che inizia il suo capitolo proprio comparando l'approccio ecologico e le ricer- 10. INTRODUZIONE che di laboratorio. E lei stessa si sofferma a lungo sullo scarto tra i modi di funzionare della memoria, dell'apprendimento e dell'immagi- nazione e quella che la nostra concezione ingenua di tali meccani- smi. Bench i risultati di molti esperimenti non siano prevedibili, indubbio che, nel complesso, lo studio di questi meccanismi mentali superiori - dalla memoria all'immaginazione, dal linguaggio al pen- siero - si discosti meno (rispetto ai capitoli precedenti) da quello che un non addetto ai lavori si aspetterebbe dalla lettura di un ma- nuale di psicologia generale. La memoria, l'immaginazione, l'appren- dimento, il linguaggio, il pensiero sono il nucleo della vita mentale anche in una prospettiva ingenua, non scientifica. In sintesi, possiamo dire che questo manuale si caratterizza per l'opzione teorica sopra descritta e per il fatto di essere scritto intera- mente da studiosi italiani, tra i migliori specialisti in ogni settore. Si cercato di far s che questo secondo aspetto si traducesse in pregi e non in difetti. Nulla di essenziale stato tralasciato per il fatto che non c'era produzione italiana in un dato settore: questa serie di ma- nuali cerca di non essere mai sciovinista. Tuttavia l'avere come auto- ri degli specialisti italiani presenta due vantaggi. In primo luogo, l'in- sieme dei contributi da luogo ad una panoramica aggiornata sullo stato della ricerca psicologica italiana nel pi ampio contesto della situazione contemporanea delle discipline psicologiche. Molto mode- sto solo pochi decenni fa, oggi tale contributo comincia ad avere, almeno in alcuni campi, una certa consistenza. In secondo luogo, l'e- sposizione di questi lavori italiani, collocata in un pi ampio quadro teorico, permette agli studenti del corso di laurea (soprattutto a mol- ti studenti del biennio iniziale, che non padroneggiano ancora la let- teratura internazionale) un uso del manuale come guida per ulteriori approfondimenti. L'adozione da parte di autori diversi di questo stesso criterio pu dar luogo a stili espositivi apparentemente molto lontani. Si ve- dano, ad esempio, gli ultimi due saggi. Flores D'Arcais ha scritto un capitolo asettico, dato che la sua esposizione della psicolinguistica contemporanea analoga a quella che potremmo trovare in un otti- mo manuale anglosassone. L'aspetto pi utile, non solo dal punto di vista manualistico e didattico, consiste nella capacit dell'autore di non soffermarsi sui singoli modelli di comprensione e di produzione del linguaggio. Flores D'Arcais infatti riuscito ad estrarre gli aspetti centrali ed essenziali della ricchissima modellistica e a collegarli ai temi trattati negli altri capitoli. Mosconi ha scritto un capitolo molto pi personale, dato che le teorie e le ricerche classiche sul problem solving e sul ragionamento che peraltro trovano posto in questo come in qualsiasi altro manuale - sono filtrate attraverso la posizione dell'autore e dei suoi collaboratori. Ne risultata un'impostazione originale, centrata su un'esposizione che fa riferimento alle operazioni di una data persona che ragiona per risolvere problemi, piuttosto che su teorie o modelli. Questo libro si caratterizza anche per altri due aspetti. Il primo 11. 10 INTRODUZIONE concerne la scelta di come trattare il rapporto tra teorie e dati speri- mentali. Alcuni testi introduttivi preferiscono offrire certezze, sot- tolineando come alcuni risultati sperimentali corroborino i modelli teorici presentati. Questa opzione - per quanto scorretta in quanto si risolve necessariamente in scelte faziose di cui il lettore ignora il senso - pu offrire un'opportunit didattica quando uno studente fa un solo esame di psicologia. In tal caso infatti sufficiente che impari in modo aproblematico quello che gli serve per la sua preparazione professionale diretta altrove. Nella formazione di uno psicologo, al contrario, adottare questa scelta per iniziare uno studente alla disciplina pu rivelarsi molto pi pericoloso. Lo studente che impara dei fatti poi indotto a credere che dalla evidenza e affidabilit di alcuni dati sperimentali scaturisca la prova di una data teoria. Questa convinzione, oltre che fuorviante, pu essere dannosa: in- fatti l'anticamera per una futura professionalit di routine, una visio- ne del mestiere dello psicologo come una persona che interviene con un sapere applicato standard che si fonda su un sapere di base con- solidato. Un approccio acritico alla professione trova le sue origini in un approccio acritico al sapere di base. Questa serie di manuali, al contrario, stata progettata nella con- sapevolezza che i fatti sono essi stessi limitati e condizionati dall'o- rientamento teorico del ricercatore, dalle sue credenze, motivazioni e aspirazioni, come scrive Camaioni [1994] nell'introduzione del Ma- nuale di psicologia dello sviluppo. Senza ritornare sulla relazione tra fatti e teorie, chiaramente discussa e approfondita da Camaioni, mi basti ricordare che quell'impostazione viene qui ripresa. In tutti i ca- pitoli con taglio sistematico, da quello di Gerbino fino a quello di Mosconi, si mostra continuamente co* lo stesso fatto possa venire interpretato in pi modi, come alcuni risultati sperimentali non permettano di dirimere tra pi modelli, come pi modelli siano in grado di spiegare lo stesso fatto, come l'aver corroborato una teoria non implichi necessariamente l'aver falsificato il punto di vista alter- nativo. Questo modo di procedere faticoso ma intellettualmente onesto. Lo studente riceve in cambio di uno studio pi impegnativo e complesso la possibilit di dialogare in modo paritetico con i ricer- catori di ogni settore. L'alternativa una psicologia basata su cer- tezze che non si trovano n nei laboratori dei ricercatori n nei contesti professionali. L'altro aspetto che caratterizza questo manuale riguarda i rap- porti tra teoria e applicazione. Ottimi manuali sui processi cognitivi - come il Reed [1992; trad. it. 1994], il cui sottotitolo appunto Teoria e applicazioni cercano di collegare i modelli teorici sui pro- cessi cognitivi ad alcune indicazioni relative ai pi importanti settori applicativi. Ancora una volta, questa scelta sarebbe stata condivisibile se la lettura di questo manuale non costituisse soltanto una prima tappa di un curriculum formativo con forti valenze applicative (nel triennio di specializzazione del corso di laurea). Si quindi preferito, data anche la vastit della materia, escludere ogni riferimento a que- 12. INTRODUZIONE 11 sto aspetto se non nel capitolo di De Beni, dove le indicazioni pra- tiche sono rivolte al lettore in quanto studente e non in quanto futuro psicologo (riguardano infatti le strategie per apprendere e ri- cordare) . Spero che questa scelta di rigore nel metodo e di apertura critica sul piano teorico sia apprezzata non solo e non tanto da chi fa ricer- ca ma da chi si preoccupa di formare i futuri psicologi. Mi auguro che lo sforzo comune abbia prodotto non solo un nuovo manuale ma anche un manuale nuovo. P.L. Prefazione alla seconda edizione La prima edizione di questo manuale stata utilizzata sia all'in- terno dei corsi di laurea in Psicologia, sia in altri corsi di laurea. Il lavoro di insegnamento e la verifica sul campo della didatticit del libro da parte di molti docenti hanno dato luogo a suggerimenti e consigli che ci hanno consentito di rendere il testo ancora pi utiliz- zabile e meglio fruibile. In questa seconda edizione abbiamo dunque ridotto all'essenziale le parti pi tecniche, allo scopo di mantenere il tono introduttivo che ogni buon manuale di primo livello dovrebbe avere. La scelta di una prospettiva pi ampia, che colloca la psicolo- gia generale nell'ambito delle scienze cognitive, implica il confronto tra tradizione sperimentale e metodi delle scienze cognitive, in primo luogo la simulazione. Come sottolineato nelle conclusioni al capitolo dedicato alla percezione (cap. 3), all'eclettismo teorico del movimento cognitivista si accompagnata l'integrazione di pi metodi di ricerca e di tradizioni disciplinari un tempo separati tra loro. Eclettismo teorico non significa per adozione di un approccio ateoretico. Al contrario; si tratta di spiegare, come nel caso della percezione, forza e limiti di due tradizioni di ricerca, quella empirico-probabilistica (Helmholtz) e quella economico-energetica (Gestalt). In questa prospettiva diviene necessario fornire alcuni elementi delle scienze cognitive, in particolare nel campo della linguistica (cap. 6) e in quello della coscienza e dell'inconscio (cap. 4). Lo sforzo di presentare il confronto critico tra teorie, metodi e dati - evidente in tutti i capitoli - aveva forse reso in alcuni punti la prima edizione di questo libro troppo densa. La revisione complessi- va cui stato sottoposto per questa seconda edizione l'intero volume ne fanno, ci sentiamo di affermare, uno strumento equilibrato e ag- giornato per comprendere i meccanismi fondamentali del funziona- mento della mente umana. P.L. Giugno 1997 13. 1. Introduzione II termine psicologia deriva dagli etimi greci psych e logos, scienza dell'anima. Non si tratta per di un termine greco, ma di un neologismo creato nel rinascimento, non chiaro da chi. Nel 1520 il poeta dalmata Marko Marulic scrisse un poemetto, Psichiologia, di cui rimasto solo il titolo, per cui non sappiamo cosa volesse inten- dere con la parola. I primi usi testimoniati del termine sono del 1575, con Freigius, e del 1583 con Taillepied; ma solo a partire dal 1590 che Rodolfo Goclenio lo rese di impiego comune. Di fatto, oc- corre aspettare il XVIII secolo perch si parli di psicologia in un senso analogo a quello odierno; in particolare, la distinzione di Chri- stian Wolff [1728; 1737] tra psicologia razionale e psicologia empirica, con la prima specificamente fllosofica e la seconda naturalistica, che verr poi largamente accettata, individuer quella bipartizione delle riflessioni psicologiche che sar alla base, oltre un secolo pi tardi, della separazione della psicologia scientifica dalla filosofia, e della sua autonomizzazione come scienza naturale. Questo capitolo non intende ripercorrere analiticamente tutti i passaggi che ci hanno portato dalle elaborazioni dei presocratici agli sviluppi attuali, che vedono, tra l'altro, una profonda commistione tra le teorizzazioni psicologiche e quelle della scienza dei calcolatori. Esso vuole piuttosto presentare allo studente gli aspetti fondamentali dello sviluppo storico della psicologia scientifica, e i principali metodi che essa adotta nel corso della ricerca. un obiettivo ambizioso per- ch possa essere portato a termine in un numero ridotto di pagine. Peraltro, lo scopo non quello di presentare n una storia della psi- cologia, n un elenco esaustivo dei metodi che la psicologia utilizza. Pi semplicemente, e pi concretamente, quello che si intende qui fare mostrare quali sono state le grandi categorie concettuali con cui la nostra disciplina si dovuta misurare. Con forse qualche eccesso di schematismo, uno dei pochi storici 14. 14 STORIA E METODI della psicologia italiana scrisse qualche anno fa un fortunato saggio sulle antinomie della psicologia [Marhaba 1976]. Egli vedeva nello sviluppo della psicologia contemporanea la presenza di una serie di problemi bipolari, a cui le diverse scuole psicologiche avevano cercato di dare risposte indirizzandosi preferibilmente verso l'uno o l'altro polo. Vi erano cos psicologie (prevalentemente) mecanomorfiche o piuttosto antropomorfche, riduzioniste o piuttosto antiriduzioniste, soggettiviste o piuttosto comportamentiste, e cos via. Sono, le cate- gorie di Marhaba, tutte pietre di paragone con cui dovremo fare an- che noi i conti. Di fatto, come vedremo, le cose sono tutt'altro che semplici, e molti degli psicologi pi rappresentativi hanno spesso da- to risposte contraddittorie, nel corso dello sviluppo del loro pensiero, a questi problemi. Di pi, come vedremo, spesso si tratta di polariz- zazioni solo, o in parte, apparenti. Lo stesso pu dirsi in certa misura dei metodi. La psicologia oggi una scienza della natura, una scienza empirica (in contrapposi- zione non alle scienze dello spirito, ma alle scienze cosiddette forma- li, come la matematica o la logica). Da questo punto di vista, la psi- cologia utilizza il metodo scientifico, proprio di tutte le scienze natu- rali. Ma all'adozione di questo metodo generale, fa riscontro l'uso di metodi particolari, in parte dovuti ai settori specifici di indagine che vengono affrontati, in parte alle opzioni teoriche dei vari ricercatori. Cos, se pu essere tentante sul piano schematico presentare i diversi metodi in opposizione, occorre immediatamente tenere presente il fatto che spesso non si tratta di metodi mutuamente esclusivi, ma vi sono larghi settori di sovrapposizione tra l'uno e l'altro. Questo capitolo cos organizzato. La prima parte, storica, pre- senter in primo luogo un abbozzo r biologico dello sviluppo della disciplina. La seconda parte passer invece in rapida rassegna i me- todi della psicologia. 2. Lo sviluppo storico della psicologia scientifica 2.1. Le condizioni per una psicologia scientifica Potr apparire curioso, ma prima di iniziare il nostro abbozzo dello sviluppo storico della psicologia scientifica, dobbiamo indivi- duare quelle che possiamo chiamare le condizioni che hanno reso possibile la nascita della psicologia come scienza. Occorre infatti te- nere presente che se la psicologia non riuscita a svilupparsi come scienza autonoma se non molto tardi - nella seconda met del secolo scorso - ci non dovuto al fatto che si trattasse di una scienza che doveva fare i conti con tecnologie nuoye, che sole consentivano di poter affrontare determinati problemi. E stato questo il caso dell'a- stronomia moderna, che non potuta decollare prima dell'invenzio- ne del cannocchiale; o della batteriologia, che ha avuto bisogno del microscopio. Per non parlare delle nuove scienze di questo secolo, 15. STORIAE METODI 15 a cominciare dalla cibernetica e dall'informatica. Come vedremo, lo studio dei processi e delle funzioni psichiche poteva richiedere vera- mente ben semplici strumentazioni, che non rendevano necessario il ricorso a una tecnologia avanzata. E del resto, sin dall'antichit clas- sica si indagava sui grandi temi che sarebbero poi stati oggetto di studio della psicologia scientifica. Se si vuole, il primo trattato di psi- cologia sistematica il De Anima di Aristotele, del 322 a.C, anche se per Aristotele l'anima pi un principio vitale, la forma della vita. E nei Parva naturalia Aristotele aveva dato una descrizione dei processi cognitivi, soprattutto di percezione e memoria, di straordinaria mo- dernit. Ma ancor prima di Aristotele, Alcmeone aveva posto la vita psi- chica gi nel cervello; Ippocrate aveva individuato delle precise rela- zioni tra attivit psichica e funzioni corporee, e la sua scuola aveva sviluppato una caratterologia basata su quattro tipi (sanguigno, colle- rico, melancolico e flemmatico), a seconda del prevalere di uno dei quattro umori (sangue, bile gialla, bile nera, flegma), corrispondenti ai quattro elementi di Empedocle; caratterologia che sotto diverse forme sarebbe sopravvissuta sino all'et moderna. E dopo Aristotele, vi sarebbero state le sorprendenti descrizioni del sistema nervoso di Erofilo ed Erasistrato, che sarebbero riusciti a distinguere con due millenni di anticipo su Bell e Magendie i nervi sensoriali da quelli motori; e vi sarebbero stati, in epoca romana, contributi straordinari sul piano dei processi cognitivi (lo pseudo-Cicerone della Rhetorica ad Herennium, Quintiliano...), sul piano naturalistico (Plinio il vec- chio), medico (Galeno), e cos via. Il pensiero classico aveva gettato le basi perch la psicologia po- tesse svilupparsi come le altre scienze naturali. I problemi della mente erano stati affrontati sul piano puramente filosofico, ma anche nello studio naturalistico delle funzioni cognitive come percezione, lin- guaggio, pensiero, memoria; nei rapporti tra mente e corpo, con un primo tentativo di dare una rappresentazione dei rapporti tra funzio- ni del sistema nervoso (anche se ancora prevaleva in molti l'idea che fosse il cuore il centro motore della vita psichica) e funzioni mentali; nelle interrelazioni tra patologie somatiche e processi della mente. Indipendentemente dalla profonda crisi che attravers tutto il sa- pere occidentale dopo la caduta dell'impero d'Occidente, il cristiane- simo avrebbe prodotto una decisiva battuta d'arresto delle specula- zioni propriamente psicologiche. Infatti, per il pensiero cristiano non solo medioevale, ma sino ai primi del seicento, vi era una forte inter- dizione allo studio dell'uomo, sia da un punto di vista mentale che da un punto di vista corporeo. Da un punto di vista mentale, infatti, si affermava che i problemi che si incontravano dovevano riguardare necessariamente la natura dell'anima, e andavano quindi lasciati al- l'indagine dei teologi. Dal punto di vista corporeo, poi, l'uomo vi- sto s facente parte della natura, ma in posizione privilegiata, al cul- mine di una struttura gerarchica rigida, che lo pone immediatamente sotto Dio. Ci rende in certa misura empi gli studi anatomici e fisio- 16. 16 STORIA E METODI logici; la dissezione dei cadaveri verr proibita sino al XVII secolo, e i contravventori rischieranno le dure condanne dei tribunali dell'In- quisizione. Con umanesimo e rinascimento inizia per un rivolgimento di questa concezione. Vi una nuova collocazione dell'uomo nella natu- ra, che al meglio testimoniata dalla famosa epistola sulla dignit dell'uomo di Pico della Mirandola [1494]: l'uomo viene posto (sia pure con infinite contraddizioni) al centro della riflessione, non pi visto in ottica trascendente, ma semmai partecipe egli stesso degli attributi della divinit. Ma ci non consente ancora una sua analisi scientifica. Il passo successivo, compiuto da Cartesio, consister nello scindere il corporeo dal mentale, aprendo cos anche un dibattito filosofico-scientifico che proseguir in modo appassionante sino ai giorni nostri. Cartesio introduce una distinzione radicale tra res cogitans, il pen- sante, e quindi la mente, l'anima, e res extensa, ci che occupa uno spazio fisico, il corpo. Da un punto di vista ontologico, dell'essenza, cio, di ci che compone queste due entit, si tratta di cose assoluta- mente distinte, irriducibili l'una all'altra. La prima propria dell'uo- mo, la seconda comune all'uomo e agli animali. Cartesio ritiene infatti che il corpo possa essere visto come una macchina, per esem- pio uno di quei robot idraulici che all'epoca stupivano le corti euro- pee. E la scoperta da parte di Harvey, nel 1628, della circolazione del sangue rinforzava questa idea. Ma Cartesio ha anche cominciato a vedere la regolazione da parte del sistema nervoso di questo mec- canismo; e a lui va dato a buon diritto il merito di aver iniziato lo studio degli atti riflessi, che nello stesso secolo verr poi sviluppato dalla scuola medica iatromeccanica it?1 '>.na. Ma se il corpo qualcosa di meccanico, allora nessuno ne pu vietare un'indagine naturalistica. Veniva cos ad essere superata la prima interdizione che la Chiesa aveva posto allo studio dell'uomo: lo studio, almeno, del corpo. Rimaneva per il problema fonda- mentale dell'anima (che Cartesio vedeva curiosamente interagire con il corpo a livello della ghiandola pineale, l'epifisi, una ghiandola endocrina di cui all'epoca non si conosceva la funzione). Cartesio immaginava che nella mente potessero esistere idee non solo deri- vate dai sensi o generate direttamente dalla mente, ma anche idee innate, connaturate alla mente, come l'idea di Dio, di s, gli assiomi della matematica... La corrente filosofica a cui Cartesio dava inizio verr detta razio- nalismo, e si svilupper particolarmente nel continente europeo. Ad essa si opporr strenuamente un'altra scuola filosofica, l'empirismo, che avr il suo massimo sviluppo in Inghilterra e in Scozia. Gli em- piristi negheranno l'esistenza delle idee innate, e sosterranno che tutto ci che presente nella mente dell'uomo deriva dall'esperienza, in primo luogo dall'esperienza sensoriale. Ma agli empiristi si deve il merito di aver superato l'altra interdizione della Chiesa, effettuando quella che Kantor [1969] ha chiamato la secolarizzazione dell'ani- 17. STORIA E METODI 17 ma. Locke [1690], uno dei massimi rappresentanti di questa scuola, afferm infatti la liceit di studiare le facolt della mente umana, se non se ne poteva studiare l'essenza. L'ontologia dell'anima, cio, ve- niva lasciata ai teologi, ma le sue funzioni diventavano oggetto di studio filosofico-scientifico. Era cos compiuto l'ultimo passo, e pote- va iniziare a svilupparsi una psicologia propriamente scientifica. Va tra l'altro sottolineato il fatto che questi rivolgimenti avveni- vano tra il XVI e il XVII secolo, l'epoca di Bacone, di Keplero, di Galileo, di Mersenne; l'epoca, cio, della nascita della scienza nel senso moderno del termine. Ma se le altre discipline, dalla fisica alla chimica, dall'astronomia alla biologia, avrebbero subito cominciato a svilupparsi in tale senso, per la psicologia sarebbe occorso almeno un altro secolo e mezzo per costituirsi come scienza autonoma. I motivi di questa ulteriore difficolt della nostra disciplina, ri- spetto alle altre, non trovano concordi gli studiosi che se ne sono occupati. Certo, il fatto che i filosofi empiristi e razionalisti avessero consentito di aggirare i divieti della Chiesa non significava un imme- diato rivolgimento di prospettive: certe acquisizioni dovevano matu- rare, e diventare vero e proprio patrimonio condiviso della comunit degli studiosi. Si pensi che ancora alla fine dell'ottocento l'Universit di Cambridge rifiutava di istituire un laboratorio di psicofisica, rite- nendo che sarebbe stato un insulto alla religione porre l'anima umana su delle scale di misurazione [Hearst 1979, Ti. Certo, era ancora molto incerto l'oggetto di studio che avrebbe dovuto avere la psicologia (n, come vedremo, oggi la cosa si granch chiarita): la coscienza? La mente? Il comportamento? Ma soprattutto, era ben lontana ancora la possibilit di trattare i processi psicologici come qualcosa di' naturalistico. In altri termini, la difficolt per il decollo della psicologia come scienza era sostanzialmente questa: una psico- logia scientifica si sarebbe potuta costruire una volta che si fosse tro- vato il modo di misurare gli eventi psichici. Come avrebbe detto il grande Kant [1786], la psicologia non avrebbe mai potuto essere una scienza, poich i principi a priori della matematica non avrebbero mai potuto sussumere i suoi temi, cosa che rendeva impossibile la misurazione e la sperimentazione. 2.2. La mente e il cervello Come abbiamo detto, la concezione secondo cui l'attivit psichi- ca ha come corrispettivo materiale, somatico, l'attivit cerebrale, con- cezione che oggi ci sembra scontata, abbastanza recente nella storia dell'umanit, se vero che ancora nel XVI secolo Cisalpino afferma- va, riecheggiando idee ampiamente diffuse, che il motore della vita mentale era il cuore. certo che a partire dal XVII secolo nessuno mette pi in dubbio il primato del cerebrale; ma la storia, rilevantis- sima, dei rapporti tra mentale e attivit del sistema nervoso tutt'al- tro che lineare. 18. 18 STORIA E METODI Nella concezione cartesiana, la res extema sostanzialmente una macchina, una sorta di robot idraulico, il cui funzionamento peral- tro regolato da una serie di azioni riflesse, grazie alla struttura del sistema nervoso. Le conoscenze del sistema nervoso sono per asso- lutamente insufficienti perch si possa andare al di l di una pura affermazione di principio. Sar solo nel 1751, con R. Whyatt, che verr compiuto un progresso decisivo. Egli infatti dimostr che asportando il cervello della rana permanevano i movimenti riflessi, che invece cessavano quando, mantenuto il cervello, veniva asportato il midollo spinale. Ricordiamo che un arco riflesso costituito da un ramo afferente, che conduce le informazioni sensoriali dalla perife- ria dell'organismo al centro, e da un ramo efferente, che dal cen- tro giunge alla periferia, per dare gli opportuni ordini ai centri effet- tori (muscoli, ghiandole...). Whyatt dimostrava cos che la congiunzione tra ramo afferente e ramo efferente si poteva avere a livello spinale, senza l'intervento del cervello, ma comunque a livello centrale; e quindi, non era un'attivit puramente periferica. Il discorso dei riflessi sarebbe poi stato com- pletamente chiarito solo agli inizi di questo secolo, con il grande Charles Sherrington [1906], che avrebbe dimostrato l'integrazione e il controllo centrale delle azioni riflesse, aprendo nuove prospettive allo studio del funzionamento del sistema nervoso. Comunque, gi a met del XIX secolo un neurofisiologo russo, Ivan M. Secenov [1863], aveva proposto, in un saggio che fu colpito dalla censura zarista per il suo chiaro impianto materialistico, che tutta l'attivit psichica poteva essere interpretata sulla base del meccanismo semplice dell'arco riflesso. Questo avrebbe aperto la strada alla reflessologia russa, sviluppatasi impetuosamente nel "colo successivo. Un altro passo avanti determinante ru la cosiddetta legge di Bell e Magendie. Questi due scienziati scoprirono indipendentemente, il primo nel 1811, il secondo nel 1822, che nei nervi periferici le vie sensoriali erano indipendenti da quelle motorie. Molti nervi periferi- ci, infatti, originano dal midollo spinale con due radici, una ante- riore e una posteriore, che si unificano poi in un tronco unico. Ora, se si recide la radice anteriore, il segmento corporeo innervato perde ogni possibilit di movimento, poich si instaura una paralisi flaccida dei muscoli a valle, mentre la sensibilit rimane intatta. Se invece si recide la radice posteriore, la motilit non viene ?h&2X&, mentre la zona corporea innervata perde qualsiasi sensibilit. L'importanza della legge di Bell e Magendie pu non apparire immediatamente evidente; peraltro con essa per la prima volta si af- fermava un'attivit non indifferenziata nel sistema nervoso, e si po- nevano le premesse per affermare una serie di funzioni specifiche dell'attivit neurofisiologica, che sarebbe poi stata alla base della dot- trina dell'energia nervosa specifica (cfr. infra). Doveva peraltro tra- scorrere un cinquantennio perch due ufficiali medici dell'esercito prussiano, Fritsch e Hitzig, dimostrassero per la prima volta una rappresentazione corticale della motricit corporea. 19. STORIA E METODI 19 Lo sviluppo delle neuroscienze doveva comunque contribuire allo sviluppo della psicologia scientifica soprattutto su un altro piano: la corrispondenza tra funzioni cerebrali e attivit mentali. Un particolare rilievo, da questo punto di vista, ha l'attivit scientifica di una curiosa figura di scienziato, l'austriaco Franz Jo- seph Gali [1825]. Gali (anche con la collaborazione dell'allievo Spurzheim) stato uno dei pi importanti e seri neuroanatomisti dell'inizio del secolo scorso. A una lodevole attivit di ricerca anato- mico-funzionale, Gali associava un'attivit speculativa, che lo portava a proporre una psicologia delle facolt, con cui si sosteneva una divi- sione funzionale della mente sulla base delle attivit psichiche svolte. Si trattava di una suddivisione che oggi si direbbe verticale [Fodor 1983]: in altri termini, secondo questa ipotesi, il pensiero matemati- co, ma anche la sublimit, la vaghezza, la fiacca, ecc, come facolt psicologiche, sarebbero separate completamente le une dalle altre. La concezione opposta sostiene che vi sono dei processi orizzontali, al servizio di tutte le facolt, come la memoria, la percezione, ecc. Al contrario, per una teoria alla Gali, la memoria musicale, per esem- pio, non avrebbe alcun rapporto con la memoria per la matematica. Sin qui, nulla di scandaloso. Di recente, concezioni analoghe, co- me vedremo, sono state proposte in modo molto autorevole. Il pro- blema, con Gali, fu il tentativo, in una dottrina detta frenologia, di combinare la psicologia delle facolt con un'analisi neuro-anatomo- funzionale del cervello. Sosteneva Gali che ogni facolt avesse una sua sede cerebrale specifica; di pi, che l'esercizio di una facolt (o anche una sua dotazione innata) comportasse uno sviluppo particola- re, in senso di accrescimento fisico, dell'area cerebrale relativa; di pi ancora, che tale zona cerebrale quantitativamente accresciuta, pre- mendo contro la scatola cranica, la deformasse. La conseguenza sa- rebbe stata la presenza sulla scatola cranica di asimmetrie (le boz- ze, quelle che nel linguaggio comune sono rimaste come bernocco- li: avere il bernoccolo della matematica, ecc.) che avrebbero con- sentito, da un'ispezione del cranio, la determinazione delle predispo- sizioni dell'individuo. Questo aspetto dell'opera di Gali non venne mai accolto con particolare entusiasmo dalla comunit scientifica, ma ebbe di contro un notevole successo nell'opinione pubblica. La morte di Gali (nel 1827) scaten i suoi nemici, e particolarmente accanito si dimostr Flourens, nemico di ogni localizzazione cerebrale delle attivit psi- chiche, che ebbe buon gioco nel ridicolizzare la frenologia di Gali. Purtroppo, in questo modo venne seppellito nel ridicolo anche quanto di buono Gali aveva detto - e non era poco! Si doveva attendere il 1861, quando Broca scopr il centro cerebrale del linguaggio articolato (rilevando che chi aveva un certo tipo di lesione perdeva la capacit di articolare il linguaggio, pur conservando tutte le altre funzioni linguistiche, a cominciare dalla comprensione), perch il discorso della localizzazione cerebrale delle funzioni mentali potesse riaprirsi. Venivano cos progressivamente individuati altri centri, la cui 20. 20 STORIA E METODI lesione corrispondeva alla perdita di altre funzioni mentali, del lin- guaggio (le cosiddette afasie), della rappresentazione cognitiva di co- se o eventi (le agnosie), della capacit pratica di compiere azioni, ser- vendosi o meno di utensili (le aprassie), ecc. 2.3. La misurazione dell'attivit psichica: i tempi di reazione e la psi- cofisica II tempo e la mente Come si detto, alla fine del XVIII secolo era comune l'opinio- ne (sostenuta anche da Kant) dell'impossibilit di una misurazione dei fatti psichici. Furono molti i tentativi di aggirare l'ostacolo, tra cui quello di Herbart, che cerc di creare un calcolo del mentale, con una meccanica (statica e dinamica) basata sulla forza relativa degli elementi psichici. Ma lo stesso Herbart [1824] riteneva che la psicologia non pu fare esperimenti con esseri umani, e non esistono apparecchiature adatte allo scopo. Gli studiosi che aderivano alle posizioni materialistiche (in con- trapposizione con il vitalismo, che dominava a livello accademico) cercavano di vincere questo ostacolo, chiedendosi se all'attivit psi- chica potesse corrispondere una qualche altra variazione rilevabile su base materiale. Cos, una dimostrazione della materialit dell'intel- letto venne, ad esempio, data rilevando che nel sistema nervoso, durante lo svolgimento del fatto psichico, si produce calore [Schiff 1866]. E, secondo Herzen [1879], un atto psichico una forma di movimento e ogni atto psichico deve *>ere legato dunque alla pro- duzione di una certa quantit di calore perch sappiamo che qualsia- si forma di movimento legata alla produzione di quella forma spe- ciale che dicesi calore.... La dimostrazione della produzione di calore nel sistema nervoso durante l'attivit psichica aveva un'importanza determinante, perch equivaleva alla rilevazione della modificazione di un parametro fisico, in relazione causale con lo svolgersi dell'attivit psichica. Ora, la pro- duzione di calore come equivalente fisico era un parametro troppo grossolano, senza la sensibilit sufficiente a consentire di determina- re, in base alla sua variazione, le concomitanti variazioni nello svol- gersi dell'attivit psichica. Ma in realt, vi era un altro parametro fisico in rapporto causale con lo svolgersi degli eventi psichici che poteva essere, e veniva di fatto studiato, in quel periodo: il tempo. Non furono per gli psicologi ad occuparsene, ma gli astronomi [Sanford 1888; Ribot 1879, cap. Vili]. Occorre premettere che all'e- poca il passaggio degli astri veniva determinato con il metodo di Bradley, detto anche occhio-orecchio. Sull'oculare del telescopio era applicato un retino, con un filo visibile al centro, e nella stanza vi era un pendolo che batteva i secondi. L'astronomo aveva come punto di riferimento il filo al centro. Egli doveva prestare attenzione 21. STORIA E METODI 2 1 al momento esatto in cui il corpo celeste osservato traversava questo filo, e apprezzare la sua distanza dal filo dal momento del battito del pendolo immediatamente precedente, e di quello immediatamente successivo l'attraversamento del corpo. Il compito tutt'altro che semplice, e oggi non ci meraviglierem- mo certo degli scarti che possono verificarsi tra osservatori diversi. A Maskelyne, direttore dell'osservatorio di Greenwich, dovette invece apparire scandaloso che, rispetto alle sue osservazioni, l'assistente Kinnebrook mostrasse un ritardo compreso tra i 500 e gli 800 ms. Il risultato fu il licenziamento del povero Kinnebrook [Maskelyne 17951. Nel 1816, questa vicenda venne incidentalmente a conoscenza di un altro astronomo, F.W. Bessel, di Knigsberg. Egli allora si chiese se le rilevazioni effettuate dai pi famosi astronomi erano con- cordanti, o di fatto differenti, e cominci a confrontare i suoi tempi di rilevazione con quelli di altri famosi astronomi, come Walbeck, Struve, e soprattutto Argelander. Egli pot cos vedere che di nor- ma, da un osservatore all'altro, si avevano differenze valutabili in me- dia sui 300 ms, che potevano giungere per sino ad 1 s. Inoltre, si avevano fluttuazioni a seconda del momento della giornata, dell'at- tenzione, di particolari condizioni psicofisiche, come la fatica, ecc. Ci che comunque metteva in evidenza Bessel nelle sue pubblicazioni era l'esistenza di un fattore soggettivo, che influiva sul tempo della rilevazione. Tale fattore sarebbe stato chiamato, con un'espressione diventata subito popolarissima, equazione personale [Bessel 1822, iii ss.]. Come diceva Ribot [1879, 301], si cominciava a misurare, nel- la sua durata e con le sue variazioni, con l'aiuto di strumenti esatti, lo stato specifico della coscienza. Verso la met dell'ottocento, altri studiosi, i fisiologi, si rivolsero alle ricerche cronometriche, per misurare la velocit di conduzione degli impulsi nervosi [per una rassegna, cfr. Buccola 1883, cap. III]. Occorre sapere che i vitalisti, con il grande fisiologo Johannes Miiller in testa, negavano la possibilit di misurare la velocit degli impulsi nervosi, assunta come pressoch infinita (Die Zeit... ist unendlich klein und unmessbar [1844, 583]), ma erano sempre pi numerosi i fisiologi della nuova generazione, in larga parte suoi allievi (come i quattro grandi, C. Ludwig, E. du Bois-Reymond, E. Briicke e H. von Helmholtz, che stipularono un famoso patto antivitalistico) che rifiutavano l'imposizione di questo limite, e ritenevano possibile una misurazione. Questa fu realizzata, con il ricorso alla cronometria, da Helmholtz [1850-52]. Egli utilizzava un preparato muscolo-nervoso del gastrocnemio di rana, e stimolava il nervo a diverse distanze, misurando il tempo che intercorreva tra la stimolazione e la contra- zione. Le stime ottenute da Helmholtz sono tra i 26,4 e i 27,25 ms. Si dimostr cos che la conduzione richiedeva un tempo definito e misurabile con ragionevole precisione. Un passo avanti si ebbe con Exner [1873]. Questi - a cui si deve l'espressione ancor oggi in uso di tempo di reazione (prima si parlava di tempo fisiologico) - misurava le diverse durate che si 22. 22 STORIA E METODI avevano tra la stimolazione della cute del soggetto con corrente fara- dica in un certo punto del corpo (per esempio, il piede), e in un altro punto del corpo (per esempio, la mano). Egli assumeva una velocit di transito dell'impulso nervoso nei nervi periferici pari a 62 ms. Inoltre computava le differenze di tempo di reazione tra la sti- molazione sul piede (distante di media 130 cm dal midollo: 174,9 ms) e sulla mano (distante 98 cm: 128,3 ms). Infine, tenuto conto che a livello di midollo spinale la distanza tra i punti di afferenza dei nervi provenienti dalla mano e dal piede di 33 cm, ricavava una velocit nell'attraversamento del midollo di 7,97 ms. L'analisi di Exner, che pure aveva rilevato l'influenza di fattori di vario ordine sui tempi di reazione (come l'attenzione, l'et, l'alcool, ecc), rimaneva comunque a livello prevalentemente fisiologico, e ben poco concedeva allo psichico. In realt, per, una decina d'anni prima un grande ricercatore olandese, Frans Cornelis Donders, assie- me al suo allievo Johann Jacob De Jaeger, aveva compiuto a Utrecht il passo decisivo, creando quel metodo sottrattvo, che Wundt avrebbe poi impiegato largamente a Lipsia, come strumento fondamentale, a fianco dell'introspezione, per l'analisi della vita psichica. Secondo Donders, gli esperimenti del tipo di quelli di Helmholtz sulla velocit degli impulsi nervosi erano criticabili. Egli infatti ritene- va che la stimolazione in punti diversi, e con intensit presumibil- mente anche diversa (non essendo controllabile con esattezza), pote- va dar luogo a processi mentali differenti, a cui potevano quindi es- sere attribuite le differenze tra i tempi. Di qui, l'idea di controllare piuttosto la complessit dei processi mentali facendo ricorso a misu- razioni differenziali dei tempi necessari allo svolgimento di processi mentali di diversa complessit. Se .' atti complichiamo il compito che il soggetto deve eseguire, la differenza tra i tempi di reazione semplici e quelli composti (come verranno chiamati quelli che metto- no in gioco processi mentali complessi) ci dar una misura oggettiva e quantitativa degli ulteriori processi mentali in gioco. In questo con- siste il metodo della sottrazione creato da Donders e poi largamente applicato negli anni seguenti nei laboratori di psicologia, particolar- mente in quello di W. Wundt a Lipsia. Donders individu tre tipi fondamentali di tempo di reazione. I tempi a, semplici, corrispondono a una situazione in cui a uno sti- molo deve seguire una risposta. I tempi b, composti, consistono in una situazione nella quale al soggetto viene somministrato uno stimo- lo scelto in un insieme di due o pi stimoli prefissati; il soggetto deve a sua volta fornire delle risposte differenziate a seconda dello stimolo che gli stato presentato. I tempi e, anch'essi composti, si hanno con la somministrazione di uno stimolo da un insieme prefis- sato di due o pi stimoli, come nel caso precedente; in questo caso, per, il soggetto deve rispondere a uno solo degli stimoli. I risultati dimostrano che i tempi a sono pi brevi, seguono i tempi e, e infine i tempi b, che sono i pi lunghi di tutti. Per sottrazione, la differen- za tra e e indica la lunghezza del processo mentale necessario a 23. STORIA E METODI 23 discriminare tra stimoli. La differenza tra e e b indica invece la lun- ghezza del processo mentale necessario a discriminare tra risposte. Per la prima volta, cos, a dei processi mentali veniva fatta corri- spondere una misurazione oggettiva in termini di parametri fisici. La semplicit e l'eleganza del metodo lo fecero rapidamente imporre. Donders, invece, non prosegu a lungo in questo ordine di studi. Le idee alla base di questi esperimenti cominciarono a nascere in lui verso il 1850. I primi esperimenti sono del 1862. Nel 1865 pubblic un primo lavoro e present con l'allievo De Jaager una comunicazio- ne in proposito all'Accademia Reale delle Scienze, comunicazione che De Jaager [1865] svilupp poi in una sua dissertazione, poco nota, e solo recentemente tradotta in inglese [Brozek e Sibinga 1970]. Infine nel 1868 Donders pubblic il suo lavoro complessivo sull'argomento. interessante rilevare che a pochi anni dalla morte di Donders il suo nome scomparve quasi del tutto dalla storia della psicologia. Anche sfogliando i manuali di storia della psicologia, almeno sino a qualche tempo fa, le citazioni del suo nome sono sbrigative (quando non del tutto assenti) e associate quasi sempre a Wundt. I tempi di reazione sarebbero stati confinati nei gabinetti di psicotecnica, come prova cosiddetta psicoattitudinale, assieme a batterie di altre prove di performance, o carta-matita, per la selezione e l'orientamento di particolari categorie di lavoratori. Solo negli anni della seconda guer- ra mondiale, con Craik, e soprattutto nel dopoguerra, con il nascere e l'affermarsi della psicologia cognitivista, ne sarebbe stata riscoperta l'importanza. La psicofisica La misurazione dei fatti psichici avveniva negli stessi anni a par- tire da una prospettiva affatto diversa, con la simultanea nascita della psicofisica. Anche in questo caso sarebbe stato uno scienziato prove- niente da un settore apparentemente lontano dalla psicologia a farsi iniziatore di questo campo di indagini, tuttora oggi vivissimo: il fisi- co Gustav Theodor Fechner [1860]. Professore a Lipsia dal 1834 al 1839, Fechner era stato un fisico di rilievo nella prima met del secolo. Una grave malattia agli occhi (che si era provocato fissando imprudentemente a lungo il sole per studiare le immagini postume retiniche) lo costrinse per lunghi anni all'inattivit e all'oscurit. In questo periodo, Fechner, influenzato anche dalla filosofia indiana, svilupp una sua dottrina filosofica, che aveva anche degli aspetti mistici che oggi ci appaiono irrimediabil- mente datati, ma che all'epoca (ricordiamo che un suo contempora- neo era, per esempio, Schopenauer) presentavano un indubbio fasci- no. Volendo schematizzare, possiamo dire che Fechner [1851] rite- neva che l'anima fosse una caratteristica derivante dall'organizza- zione della materia, e che quindi ogni materia, per quanto semplice, 24. 24 STORIA E METODI ne fosse dotata. Non solo, quindi, gli uomini e gli animali, ma anche le piante, e il mondo inorganico, e i sistemi in cui questo si organiz- za, dai pianeti alle pietre. In un sistema come questo, avrebbe acquistato enorme rilievo la possibilit di determinare una relazione esprimibile in forma mate- matica chiara, di valore universale, che riuscisse a mettere in relazione stabile il mondo dello spirito con quello della materia. Una relazione del genere avrebbe avuto per Fechner la stessa importanza della legge di Newton sulla gravitazione universale, o quella di Coulomb sulle cariche elettriche. E fu una tale legge che Fechner ritenne di aver trovato, derivandola da una relazione scoperta qualche decennio prima dal fisiologo e anatomista Weber. Nel 1834, infatti, Weber, studiando il tatto e l'udito, aveva fatto una scoperta che avrebbe poi avuto una notevole importanza per gli sviluppi futuri della psicologia (alla quale, peraltro, Weber non pen- sava minimamente). Egli aveva rilevato che se si presenta a un sog- getto in una certa modalit sensoriale (tatto, udito, vista, ecc.) uno stimolo di una data intensit R, e si cerca poi di vedere di quanto questo stimolo deve essere fatto variare perch il soggetto percepisca l'avvenuta variazione, questa differenza appena percepibile (AR) non costante, ma dipende dal valore iniziale di JR. Di fatto, quello che costante il rapporto K (detto costante di Weber) tra AR e R: v .. AR K ~ X In altri termini, se partiamo da uno stimolo di intensit poniamo 10, e se per poterne apprezzare la variazione dobbiamo portarlo da 10 a 11 (AR = , K = 0,1), con lo .isso tipo di stimolo partendo da 20 dovremo aumentarlo di 2, da 3u di 3, e cos via. L'idea di Fechner fu di non considerare una scala discreta di intervalli percepibili tra intensit di stimoli, ma di vedere come pote- va variare la sensazione S al variare continuo dell'intensit della sti- molazione. Il risultato la famosa legge di Fechner: S = | log R + C dove C la costante di integrazione. In altri termini, secondo questa legge la sensazione si accresce con il logaritmo dell'intensit dello sti- molo. Possiamo subito dire che le ricerche condotte su tutte le mo- dalit sensoriali hanno potuto dimostrare la validit della legge di Fechner a un livello di approssimazione decisamente soddisfacente, salvo che per i valori pi alti e pi bassi delle scale di intensit. Indipendentemente dalle concezioni filosofche misticheggianti di Fechner, si pu affermare che con la formulazione di questa legge Fechner apriva un capitolo di notevole rilievo della scienza moderna, quello della psicofisica, che avrebbe dato luogo poi a un numero rile- vantissimo di applicazioni, dal campo industriale a quello medico, 25. STORIA E METODI 25 ecc. Solo per fare un esempio, si pensi che la scala pi in uso delle intensit del suono, la scala dei decibel (dB), una scala appunto logaritmica, basata sulla legge di Fechner. Un compito che si pose immediatamente la psicofisica consistette nel determinare per le varie modalit sensoriali il valore della costante di Weber, e i valori minimi e massimi di intensit degli stimoli che potessero essere percepiti. Queste determinazioni vengono dette valori di soglia, rispettivamente differenziale e assoluta. La soglia differenziale in pratica quello che sopra abbiamo indicato con il simbolo AR: possiamo dire che questo lo scarto di valore che consente di percepire il 50% delle volte il cambiamento di intensit di uno stimolo. Da questo si giunge poi alla costante di Weber per la modalit sensoriale data. Per soglia assoluta si intende invece il valore di uno stimolo che ne consente in assoluto la percezione il 50% delle volte. Si distingue una soglia inferiore (il valore minimo) da una su- periore (il valore massimo): si osservi infatti che stimoli eccessiva- mente intensi possono non essere pi percepiti, o a volte essere per- cepiti come appartenenti a un'altra modalit sensoriale: per esempio, quando un suono troppo intenso da luogo a una percezione non pi acustica, ma dolorifica. Prima di chiudere il paragrafo, vale la pena di ricordare che, malgrado la generale soddisfazione per la buona approssimazione dei dati empirici alla legge di Fechner per i valori intermedi delle scale di intensit, gli psicofisici hanno pi volte tentato di superare questa formulazione, ritenuta non del tutto soddisfacente. Sono stati soprat- tutto tre gli approcci di rilievo seguiti, sui quali non potremo dare che pochi cenni schematici: la teoria del livello di adattamento (TLA) di Helson [1964], la teoria della detezione del segnale (TDS) di Green e Sweets [1966] e la cosiddetta nuova psicofisica di S.S. Stevens [1951]. In due parole, la teoria del livello di adattamento afferma che la sensazione non pu essere rilevata in astratto, indipendentemente dalla storia (recente) della stimolazione a cui stato sottoposto un soggetto in quella modalit sensoriale. Cos, se il soggetto ha avuto prima dell'esperimento (o nella parte iniziale di questo) un'esposizio- ne a stimoli molto intensi, tender a ritenere meno intensi degli sti- moli di valore medio che gli dovessero essere presentati; e viceversa, se il soggetto stato sottoposto a stimoli di debole intensit, tender a valutare come pi intenso lo stimolo di valore intermedio. In altri termini, l'esposizione crea un certo livello d'adattamento, e il giudi- zio (la sensazione) viene formulato non in astratto, ma in riferimento a questo livello. La teoria della detezione del segnale invece un tentativo di ap- plicare alla psicofisica la teoria della decisione statistica. Per spiegare di cosa si tratta opportuno fare un breve esempio. Immaginiamo di trovarci in una situazione di determinazione della presenza o del- l'assenza di uno stimolo (un segnale) rispetto a un rumore di fondo (l'espressione rumore va utilizzata per ogni modalit sensoriale, 26. 26 STORIA E METODI non solo uditiva). Il soggetto ha cos un compito di rilevazione {de- tection: di qui il brutto anglismo detezione, ormai purtroppo entra- to nell'uso) consistente nell'affermare o meno l'esistenza del segnale. Gli si presentano cos quattro possibilit: dire s, il segnale esiste, quando questo esiste realmente (hit, H); dire s, il segnale esiste, quando vi solo rumore di fondo (falso allarme, FA); dire no, il segnale non esiste, quando questo esiste realmente (omissione, O); dire no, il segnale non esiste, quando questo non esiste realmente (rifiuto corretto, RC). Ora, la TDS (e un significato analogo ha la cosiddetta teoria della scelta di Luce [1959]) consente di distinguere, dal rapporto tra questi quattro tipi di risposte, due fattori che inter- vengono nel processo di rilevazione: il primo legato alla sensibilit del sistema (che viene espresso con l'indice statistico d'), il secondo legato al criterio soggettivo impiegato nel compito, e consistente nell'avere un atteggiamento pi d'azzardo (gambler) o pi prudente {conser- vative). Chi azzarda, infatti, preferir fare pi H che RC, ma in que- sto modo aumenter anche il numero degli FA; chi prudente, cer- cher soprattutto gli RC, ma questo lo porter ad aumentare le O. Anche per il criterio possibile calcolare un indice statistico, che viene chiamato beta. Un esempio convincente possiamo averlo pensando a un opera- tore radar di una base militare, che debba distinguere su uno scher- mo se la scintilla che ha visto apparire solo rumore di fondo, o una nave nemica in avvicinamento. Evidentemente, la sua decisione sar molto pi azzardata se penser che la base pu avere a disposi- zione un numero illimitato di proiettili, mentre sar assai pi pru- dente se rimasto un unico proiettila e non ci si pu permettere di sbagliare. Secondo i teorici della TDu-alla psicofisica classica sfug- gito il fatto che sensibilit e criterio sono sempre profondamente in- terconnessi, per cui essa, non distinguendo tra questi due fattori, ha sempre attribuito alla sola sensibilit risultati che andavano viceversa interpretati in modo pi complesso. Giungiamo infine alla nuova psicofisica di S.S. Stevens, forse il pi grande teorico della misurazione di questo secolo, anche al di l dell'ambito strettamente psicologico. Secondo Stevens i metodi che si usano nella psicofisica classica non riescono a giungere direttamente al giudizio sensoriale del soggetto. Dei metodi di rilevazione diretta (e vedremo quali sono quelli che egli suggerisce) permettono di rilevare che la funzione che meglio descrive il rapporto tra giudizio sensoriale (Y) e intensit di stimolazione I una funzione potenza, della forma Y = kr, dove k e n sono costanti che dipendono dal tipo di stimolo prescelto. TLA, TDA e la nuova psicofisica di Stevens sono comunque tutti sviluppi di questo secolo. invece opportuno che riprendiamo il discorso da dove lo avevamo cronologicamente interrotto: la nascita 27. STORIA E METODI 27 ufficiale della psicologia scientifica nel laboratorio di Wundt a Lipsia. 2.4. La psicologia scientifica e il laboratorio Energia nervosa specifica e inferenza inconscia Si afferma solitamente che la data di nascita della psicologia scientifica il 1879, data in cui Wilhelm Wundt, padre indiscusso della psicologia moderna, fond il primo laboratorio di psicologia sperimentale a Lipsia. Ora, se tutte le date di questo tipo sono arbi- trarie, perch tracciano una cesura in un processo che certamente iniziato prima, questa in particolare stata oggetto di numerose criti- che. Questo primo laboratorio, infatti, era stato preceduto certa- mente da altri laboratori, in cui, come del resto abbiamo visto, mol- tissimi studiosi, da Donders a Fechner a Exner a Helmholtz, allo stesso Wundt, avevano condotto ricerche di psicologia sperimentale. Si dice che il laboratorio di Wundt sia stato il primo propriamente psicologico in una sede universitaria, ma anche questo vero solo in parte. Il laboratorio nacque come istituzione privata, finanziata dallo stesso Wundt, e pass formalmente all'universit solo nel 1881. Di pi, la cattedra nel cui ambito operava era di Filosofia, e non di Psicologia [Bringmann, Balance e Evans 1975]. Peraltro, se vogliamo dire che con il laboratorio di Wundt a Lipsia la psicologia ricevette una sorta di consacrazione ufficiale, in termini di riconoscimenti for- mali da parte della comunit scientifica, e in termini di diffusione di quanto la psicologia andava producendo, allora questa data va consi- derata legittimamente la data di nascita ufficiale della psicologia scientifica. Ma chi era Wundt? Il suo albero genealogico scientifico ci porta veramente alle radici della nascente scienza psicologica. Si tratta di un filo diretto che va dal grande neurofisiologo Johannes Ml-ler, al suo allievo fisiologo e fisico Hermann Helmholtz, all'allievo di questi, infine, Wilhelm Wundt. Dei primi due abbiamo in parte gi parlato nel paragrafo precedente. Vale comunque la pena di spende- re qualche parola ancora, per inquadrare meglio la figura di Wundt che qui pi ci interessa. Johannes Miiller, lo abbiamo ricordato, era un vitalista. Egli enunci peraltro un principio che era almeno in parte incompatibile con un credo vitalista (anche se presumibilmente non se ne rese con- to): il principio dell'energia nervosa specifica [Miiller 1827; 1840; per la rilevanza del principio per la nascente psicologia, cfr. Romano 1990]. Il principio dell'energia nervosa specifica afferma che la natura degli impulsi che un nervo trasmette ai centri nervosi che ha a valle (per esempio, gli impulsi che un nervo sensoriale trasmette dai recet- tori periferici al cervello) non dipende dalla natura dell'agente che ha 28. 28 STORIA E METODI dato origine alla stimolazione, ma da quella del nervo in questione. Questo in pratica significa che, per esempio, il nervo ottico trasmette sempre al cervello impulsi visivi, anche se stato stimolato meccani- camente, o elettricamente; e lo stesso dicasi per il nervo acustico, ecc. Nelle mani di Helmholtz [1863; 1867], questo principio fu negli anni sessanta alla base della psicologia della percezione, e soprattutto alla base di due teorie, una visiva e una acustica, che ancor oggi conservano gran parte del loro valore: la teoria della percezione del colore e quella della percezione delle altezze tonali. In breve, Helm- holtz (come mezzo secolo prima di lui aveva detto, pi a livello in- tuitivo che sostanziale, l'inglese Thomas Young) sosteneva che la percezione del colore derivava dall'esistenza nella retina di tre tipi di coni, cellule sensibili alla lunghezza d'onda della luce (ricordiamo ra- pidamente che i recettori retinici sono pi in generale di due tipi: i coni, appunto, molto addensati centralmente, responsabili della visio- ne diurna, o fotopica, e della percezione cromatica; e i bastoncelli, pi diffusi alla periferia della retina, responsabili soprattutto della vi- sione notturna, o scotopica, e incapaci di distinguere i colori). Secondo Helmholtz, i coni si dividevano in tre categorie, in base alla loro sensibilit a tre colori, rosso, blu, violetto. Come nella stampa a colori cosiddetta in tricromia, in cui dalla mescolanza in proporzioni opportune di soli tre pigmenti colorati opportunamente scelti possono ottenersi tutti i colori rimanenti, cos, secondo Helmholtz, la mescolanza in proporzioni opportune degli impulsi provenienti dai coni dei tre tipi suddetti avrebbe portato alla percezione dei colori di tutti gli altri tipi. qui evidente l'influenza del principio dell'ener- gia nervosa specifica: le cellule dei t-- tipi possono rispondere solo nei termini del tipo di impulsi a cui ^-no specificamente deputate. anche evidente come questa teoria possa poi spiegare adeguatamente i deficit di percezione cromatica, o discromatopsie. Per esempio, nel cosiddetto daltonismo (l'incapacit di distinguere il rosso dal verde - il nome deriva da quello del celebre chimico inglese Dalton, che ne era affetto, e che un secolo prima di Helmholtz formul una teoria della percezione cromatica che anticipava molti elementi della teoria di questi), l'assenza congenita delle cellule preposte alla percezione del rosso che porta all'incapacit di distinguere questi colori. E sempre al principio dell'energia nervosa specifica si richiama la teoria della percezione dell'altezza tonale, che pure conserva tut- tora una sua parziale validit. Ricordiamo brevemente che i recet- tori sensibili all'altezza tonale si trovano nell'orecchio interno, nella chiocciola, entro il cosiddetto organo di Corti, al cui interno vi so- no le cellule ciliate, impiantate lungo tutto questo dotto su una membrana basilare, e dotate all'estremit opposta di ciglia che si inseriscono su un'altra membrana, detta tettoria. Il suono giunge a quest'organo trasmesso meccanicamente dal timpano alla catena de- gli ossicini, e di qui alla finestra ovale, che imprime un moto a un liquido che rempie tutto l'orecchio interno. Ora, si badi che a se- 29. STORIA E METODI 29 conda dell'altezza del tono, l'onda sonora avr una diversa frequen- za, maggiore per i toni pi acuti, minore per i toni pi bassi. Questa frequenza si traduce in oscillazioni di corrispondente fre- quenza diversificata del liquido endococleare; queste oscillazioni si trasmettono alla membrana basilare, e ci produce un movimento delle cellule ciliate, con conseguente stiramento delle ciglia, che si traduce in impulso nervoso. Ora, la teoria di Helmholtz affermava che in base al principio dell'energia nervosa specifica, ogni cellula ciliata trasmetteva informa- zioni relative a una data altezza tonale. Il meccanismo era reso effi- ciente dal fatto che, a seconda dell'altezza del suono che giungeva all'orecchio, l'oscillazione della membrana basilare era massima in punti diversi della coclea (precisamente verso la base per i suoni acuti e verso il vertice per i gravi). E proprio verso la base sarebbe- ro state presenti le cellule ciliate responsabili della trasmissione degli impulsi relativi ai suoni pi acuti, e verso il vertice quelle dei suoni gravi. A parte queste due teorie, che vanno tenute presenti se non altro per il grande ruolo che hanno esercitato sullo sviluppo delle ricerche nei settori corrispondenti, Helmholtz va comunque ricordato come uno dei pi conseguenti teorici empiristi della percezione. Tutt'oggi vi sono importantissimi teorici della percezione che, come Julian Hochberg [per esempio, 1978], si riferiscono esplicitamente alla sua teoria. E pi in generale, neohelmholtziani vanno pi o meno consi- derati tutti i teorici, specie in ambito cognitivista (cfr. infra), che ab- bracciano teorie di tipo costruttivistico raziomorfo, invocando cio nell'attivit percettiva una preventiva analisi di ci a cui potrebbero probabilisticamente corrispondere gli stimoli in arrivo all'organismo, in base all'esperienza passata, o ritenendo il compito percettivo assi- milabile a un'attivit di problem solving. Molto noto, anche per le sue capacit di grande divulgatore, tra i sostenitori attuali di que- sto modo di vedere le cose l'inglese Richard Gregory [1970]. evi- dente che le concezioni helmholtziane sono state criticate da chi ipo- tizza dei principi organizzativi strutturali innati della percezione; tra i contemporanei di Helmholtz, il compito di controbattere quasi su ogni punto le idee che esprimeva venne assunto da un grande psico- fisiologo praghese, Ewald Hering. In questo secolo, come vedremo, fu soprattutto la psicologia della Gestalt ad opporsi all'ancora vivissi- ma influenza helmholtziana. Ma cosa diceva Helmholtz di cos grave per i suoi awersari? L'idea alla base della sua teoria della percezione era tutto sommato relativamente semplice [Helmholtz 1878]. Egli sosteneva che l'e- sperienza passata fa s che si tenda a correggere le percezioni at- tuali attraverso un atto di giudizio, una vera e propria inferenza in- conscia che ognuno di noi inconsapevolmente compie di fronte a una percezione. Un esempio che ben chiarisce questo modo di vedere le cose dato dalle cosiddette costanze percettive. evidente che nella nostra 30. 30 STORIA E METODI percezione visiva ci che abbiamo direttamente a disposizione il cosiddetto stimolo prossimale, e cio l'immagine che la luce riflessa dalla superficie degli oggetti che ci circondano proietta sulla nostra retina. Non abbiamo per accesso allo stimolo distale, e cio alla lu- ce riflessa, n tanto meno all'oggetto riflettente. A questo (alla sua forma, grandezza, colore) risaliamo solo sulla base dello stimolo prossimale. Ora, lo stimolo prossimale varia continuamente, in base alla legge della geometria proiettiva, al variare della posizione reciproca tra l'osservatore e l'oggetto osservato. Solo per fare un esempio, l'imma- gine di un oggetto si rimpicciolisce quando l'osservatore se ne allon- tana, e si ingrandisce al suo avvicinarsi. E anche la forma cambia: un cerchio (o un quadrato) proietta un'immagine circolare solo se pre- sentato all'osservatore su un piano frontoparallelo, altrimenti sar sempre un'ellisse (e, rispettivamente, un trapezio). Eppure noi non vediamo gli oggetti ingrandirsi e rimpicciolirsi, li vediamo sempre della stessa grandezza, ma a distanze diverse; non vediamo i cerchi farsi ellissi e i quadrati trapezi: seguitiamo a vederli come cerchi e quadrati, ma inclinati. Questo fenomeno, noto appunto come costanza, tuttora lungi dall'essere chiaro: come vedremo, in questi ultimi anni i sostenitori della psicologia cosiddetta ecologica hanno tentato di darne un'inter- pretazione rivoluzionaria. L'interpretazione di Helmholtz era peraltro semplice: la costanza percettiva un tipico esempio di inferenza in- conscia. Il sistema percettivo, in base all'esperienza passata, compie una sorta di ragionamento inconsapevole, per cui, per restare nell'e- sempio, quando vede un oggetto e sa che questo lontano, corregge inconsapevolmente la grandezza pe /pita ingrandendola; e quando sa che vicino, rimpicciolendola. E Vosi via. Wilhelm Wundt La formazione di Wilhelm Wundt si svolse in questa tradizione teorica e sperimentale. Allievo di Helmholtz a Heidelberg, ne fu assi- stente sino al 1874, anno in cui and come professore di Filosofia induttiva a Zurigo, per spostarsi l'anno successivo presso la cattedra di Filosofia di Lipsia, posizione che occup per il resto della sua vita accademica. Mor nel 1920, a 88 anni, nel pieno ancora di una pro- duzione scientifica rimasta inuguagliata anche per estensione quanti- tativa. Fisiologo di formazione, e filosofo per destino accademico, Wundt chiam il suo sistema psicologia fisiologica [1873-74; 1896], espressione per lui virtualmente sinonimica di psicologia sperimentale. Si badi, per, che l'aggettivo fisiologico non rimandava assolutamente a una considerazione dei processi fisiologici che si svolgono nell'orga- nismo in corrispondenza dell'attivit psichica. Era psicologia fisiologi- ca, in quanto, per Wundt, da un lato utilizzava lo stesso metodo 31. STORIA E METODI 3 1 scientifico naturalistico della fisiologia (salvo, come vedremo, il rivol- gersi all'esperienza diretta, e non indiretta); e dall'altro, in quanto si rivolgeva alla fisiologia, e non alla patologia, della vita psichica: all'at- tivit normale, e non alle sue disfunzioni. L'oggetto di studio della psicologia era per Wundt l'esperienza diretta, o immediata. Le scienze naturali studiano invece l'esperienza mediata. Un esempio chiarir questa distinzione cruciale. Il fisico, come il biologo, o il fisiologo, e cos via, osserva degli eventi che si verificano nella natura, ma l'oggetto del suo studio non l'osserva- zione di questi eventi, bens l'oggetto della sua osservazione, sia compiuta direttamente attraverso i sensi, sia ulteriormente mediata da uno strumento. Se un fisico vuole determinare i rapporti che in- tervengono tra, poniamo, massa e volume di un certo corpo, ci che costituisce l'oggetto del suo studio non l'apprezzamento immediato della massa e del volume, ma la massa e il volume che sono stati apprezzati. Se un chimico osserva il colore che si produce in una reazione chimica, l'oggetto del suo studio non la percezione del colore, ma il colore percepito. Di contro, la percezione del colore proprio lo specifico oggetto di studio dello psicologo. Il metodo privilegiato per rilevare l'esperienza immediata sar al- lora Xintrospezione. Solo attraverso l'introspezione, infatti, l'individuo pu essere in grado di rilevare cosa avviene nel momento in cui im- mediatamente esperisce la realt. Ma l'introspezione presenta, e di questo Wundt perfettamente consapevole, anche delle difficolt. In primo luogo, l'introspezione, per sua natura, altera i suoi contenuti. questa, si direbbe oggi, una sorta di indeterminazione della perce- zione. I contenuti di coscienza sono gli stessi in presenza e in assenza di un atto di introspezione? impossibile saperlo, perch si dovrebbe essere consapevoli degli stati di coscienza in assenza di introspezione, il che per definizione impossibile. Ma vi di pi: nessuno pu constare quello che consta agli altri. Come possiamo sapere qual il reale contenuto di coscienza corri- spondente al resoconto verbale di un soggetto? Se questi mi dice di vedere un quadrato, come posso sapere che non stia di fatto veden- do qualcosa di affatto diverso? Entrambi i problemi apparivano inso- lubili. In realt, e fu questa la soluzione geniale di Wundt, entrambi potevano essere risolti, solo che si applicasse alla psicologia il metodo sperimentale. Infatti, il metodo sperimentale consente di determina- re, come vedremo nella seconda parte del capitolo, come varia la variabile dipendente al variare di quella indipendente. Ora, quello che conta cogliere la variazione, che si assume non sia influenzata n dalla presenza dell'atto di introspezione, n dall'eventuale diffe- renza di contenuti di coscienza tra soggetti. Di pi, quest'ultimo fat- tore pu essere ulteriormente minimizzato, solo che i soggetti siano quanto pi possibile prossimi socioculturalmente agli sperimentatori. E non per nulla, nel laboratorio di Lipsia, soggetti e sperimentatori finivano molto frequentemente per coincidere. Su queste basi, Wundt elabor una complessa teoria in cui, mol- 32. 32 STORIA E METODI to schematicamente, il processo psicologico poteva essere visto arti- colato in tre fasi: la prima, quella della percezione, consisteva in un processo attraverso cui le sensazioni, che avevano impressionato gli organi di senso, si presentavano in quanto tali alla coscienza; la se- conda, detta appercezione, consisteva in un processo attraverso cui, con un atto di sintesi creatrice, gli elementi delle sensazioni venivano identificati e organizzati in complessi; la terza, detta volont di reazio- ne, consisteva in un processo attraverso cui, grazie anche all'interven- to dei processi volitivi, si giungeva all'azione. Trascuriamo qui altri aspetti della teoria di Wundt, come la sua teoria dei sentimenti e delle emozioni, o come le sue ricerche, sviluppatesi particolarmente negli ultimi vent'anni della sua vita, sulla psicologia dei popoli [1900-1909], forse qualcosa di pi prossimo all'odierna antropologia culturale, pi che alla psicologia sociale. A fianco dell'introspezione, il metodo pi usato nel laboratorio di Wundt fu certamente quello dei tempi di reazione. In particolare, furono i Lange, allievi di Wundt, a sviluppare il metodo sottrattivo di Donders, che sembr per un certo periodo particolarmente adatto a verificare la teoria di Wundt. Peraltro, gli esperimenti di Wundt e dei suoi allievi sui tempi di reazione composti sono stati un fallimen- to - e su questo non solo gli storici della psicologia sono tutti sostan- zialmente d'accordo, ma lo stesso Wundt doveva almeno in parte convenirne, abbandonando a un certo punto questa linea di indagi- ne. Il giudizio negativo fu tra l'altro abbastanza precoce; gi nel 1893 Klpe criticava radicalmente questa linea di ricerca. Ma perch la scuola di Wundt fall cos clamorosamente nel ten- tativo di proseguire le ricerche sui tempi di reazione composti? Pos- siamo rispondere dicendo che Wundt, entusiasta della tecnica sot- trattiva di Donders, commise un errore metodologico nel forzarla per adattarla alla sua teoria. Cio, si direbbe oggi, le conferme cos ottenute alle sue ipotesi erano infalsificabili. Un esempio ci aiuter a capire come. In uno dei pi famosi esperimenti condotti a Lipsia, L. Lange [1888] aveva dimostrato che in un compito di tempo di rea- zione semplice, se il soggetto aveva l'istruzione di prestare attenzione allo stimolo, mostrava un tempo di reazione pi lungo che se avesse avuto l'istruzione di prestare attenzione alla risposta. Sulla base della teoria di Wundt, si dedusse che nel primo caso lo stimolo veniva appercepito, mentre nel secondo solo percepito. Per sottrazione, la differenza tra i due tempi (fissata in 1/10 di secondo circa) doveva corrispondere al tempo di appercezione. evidente che per trarre questa conclusione indispensabile ga- rantirsi dal fatto che il mutato atteggiamento del soggetto, indotto dalle istruzioni, non alteri qualitativamente la serie di operazioni mentali che devono essere compiute. Proprio su questo si fondava la critica di Klpe: nulla ci dice che nel secondo caso di Lange il sog- getto compie solo un'operazione mentale in meno, quella dell'apper- cezione, che nel primo caso. Di fatto, ha di fronte un compito diver- so. Lange non aveva fatto altro che dimostrare l'importanza dell'at- 33. STORIA E METODI 33 teggiamento (del set, come si preferisce dire oggi) nell'esecuzione di un compito. Lo strutturalismo La psicologia di Wundt viene spesso detta strutturalismo, mentre pi appropriato chiamarla psicologia fisiologica. Il termine struttu- ralismo (da non confondere con tutte le concezioni strutturaliste che hanno preso piede in altri settori del sapere nel corso di questo se- colo, dalla linguistica di Saussure all'antropologia culturale di Lvy- Strauss) venne invece coniato, in un famoso articolo, da quello che stato indubbiamente il pi fedele allievo di Wundt, e propugnatore delle sue idee negli Stati Uniti, lo psicologo di origine inglese Ed- ward B. Titchener [1898]. Per Titchener, lo scopo primario dello psicologo sperimentale quello di analizzare la struttura della mente [...] il suo compito la vivisezione, ma una vivisezione che dar risultati strutturali, non fun- zionali. Il metodo usato ancora una volta quello dell'introspezio- ne, ma l'addestramento che Titchener richiedeva ai suoi soggetti era particolarmente rigoroso. Infatti, secondo Titchener [1896], il compi- to fondamentale della ricerca era isolare i singoli elementi che vengo- no a comporre gli stati di coscienza. Iniziava cos un lavoro minuzio- sissimo di analisi, che avrebbe portato a isolare migliaia e migliaia di elementi sensoriali che potevano venire isolati come momenti di co- scienza non ulteriormente riducibili. Un concetto fondamentale elaborato da Titchener quello di er- rore dello stimolo. Con questa espressione, egli intendeva l'errore che commette il soggetto quando, nell'analizzare la propria esperienza di- retta, scambia gli elementi sensoriali primari con quella che la loro associazione dovuta all'esperienza; scambia gli oggetti con gli elementi che li costituiscono. Va rilevato che il concetto di errore dello stimolo sar poi ampiamente sviluppato nell'ambito della psicologia della Gestalt, particolarmente da Wolfgang Khler, che attribuir per a questa espressione un significato esattamente opposto: l'errore di scambiare l'esperienza percettiva con le caratteristiche degli stimoli che la costituiscono. Dalla sua cattedra di Cornell, Titchener esercit per pi di un trentennio (mor nel 1927) un dominio assoluto su buona parte della psicologia americana. Alla sua morte, nell'arco di poco pi di un an- no, la scuola strutturalista si dissolse completamente, a dimostrazione del fatto che i tempi erano, e da diversi anni, cambiati, e solo la straordinaria personalit del suo leader riusciva a tenerla apparente- mente ancora in vita. Evoluzionismo e funzionalismo Nel suo definire natura e compiti dello strutturalismo, Titchener 34. 34 STORIA E METODI non svolgeva solo un ruolo definitorio, ma aveva anche degli obiettivi polemici. Il principale era indubbiamente quello di una psicologia funzionale e descrittiva, non interessata alla struttura della men- te, ma alle funzioni che questa svolge. Era infatti da questa direzione che provenivano, in Europa e in America, i pi robusti attacchi alla psicologia wundtiana. In Europa sarebbe stata soprattutto l'opera di Franz Brentano ad aprire le prime brecce nella costruzione struttura- listica, sul versante soprattutto descrittivo, come vedremo nel pros- simo paragrafo. In America, sarebbe stato particolarmente William James e la scuola che da lui deriv, il funzionalismo. curioso che in questo caso il nome alla scuola non sia stato dato dal suo fondatore, ma paradossalmente proprio da Titchener, il suo principale avversario, nell'articolo del 1898 sopra citato, in cui per la prima volta si parlava appunto di psicologia funzionale. Sareb- bero comunque stati due seguaci di James, John Dewey, in un famo- so articolo del 1896, e James Rowand Angeli, in un altro famoso articolo del 1907, a definire i termini della nuova scuola psicologica (entrambi docenti nell'Universit di Chicago, il centro del funzionali- smo americano). Ma gi nel 1890, quando ancora non si parlava di psicologia funzionalista, James aveva pubblicato i suoi famosissimi Principi di psicologia (tradotti anche in italiano nel 1905 da Giulio Cesare Ferrari), che sarebbero stati per molte generazioni il fonda- mentale testo di psicologia su cui si sarebbero formati tutti gli psico- logi americani. Parlando del funzionalismo, abbiamo spesso usato il termine scuola. Si tratta, peraltro, in certa misura di una forzatura. La psi- cologia funzionalista, per usare le parole di Angeli in apertura dell'ar- ticolo sopra citato, non altro che un punto di vista, un program- ma, un'ambizione. meno una scuola che un orientamento, un modo di vedere le cose. E ci non rende semplice indicarne le linee fondamentali. La prima cosa da dire che il funzionalismo stato profonda- mente influenzato dall'evoluzionismo. Quando nel 1859 comparve L'origine delle specie di Darwin, l'impatto che quest'opera ebbe su tutto il mondo scientifico fu enorme, e non soltanto in ambito natu- ralistico. Non rifaremo qui la storia delle polemiche, peraltro abba- stanza note, che videro le confessioni religiose schierate contro le nuove idee. Ricordiamo solo che l'evoluzionismo si coniug in parti- colare con il positivismo, la dottrina filosofica che doveva ben presto diventare dominante nel mondo scientifico. Per quel che riguarda la psicologia, l'importanza dell'evoluzioni- smo fu enorme. Innanzitutto, fu soprattutto grazie alla spinta evolu- zionistica che poterono sorgere una psicologia dell'et evolutiva e una psicologia animale. Le attivit psichiche, secondo gli evoluzioni- sti, subiscono anche loro un'evoluzione per selezione naturale, ed interessante ripercorrere tale evoluzione ontogeneticamente, nello svi- luppo dell'individuo, e filogeneticamente, nello sviluppo delle specie. L'uomo si adatta all'ambiente grazie alla sua attivit mentale svilup- 35. STORIA E METODI patissima, che sopperisce alle carenze fisiche; ma, come faceva rile- vare Darwin, soprattutto a proposito dell'espressione delle emozio- ni [1872], possibile ripercorrere la storia evolutiva anche di tanti comportamenti. In Inghilterra, patria di Darwin, furono soprattutto due studiosi in stretto contatto con questi a coniugare le idee evoluzionistiche con la psicologia: George John Romanes, suo intimo amico, e Francis Galton, che di Darwin era addirittura cugino. Quest'ultimo, uno dei pionieri dei test mentali, si dedic particolarmente allo studio dell'e- reditariet dei caratteri mentali [1889]. Romanes [1883] fu l'iniziatore della psicologia animale. Le sue ricerche ebbero un enorme successo, anche al di l dell'ambito stret- tamente scientifico, grazie ad una straordinaria efficacia narrativa. Di fatto, in larga misura egli privilegiava un approccio aneddotico, con esposizione di comportamenti spesso sorprendenti che vedevano ani- mali protagonisti, senza un particolare rigore critico nella raccolta del materiale. Di pi, la tendenza di Romanes (che doveva poi svilup- parsi in un tentativo di rintracciare un'intera storia naturale evolutiva filogenetica, che giungesse all'uomo [1889] - progetto che doveva rimanere incompiuto per la sua prematura scomparsa) era quella di rintracciare nel comportamento animale elementi umani. Tutto ci suscit la reazione critica di Lloyd Morgan [1884], che richiamava a un maggior rigore; in particolare, Morgan enunci il principio meto- dologico fondamentale, noto come canone di Lloyd Morgan, in base al quale si richiede che nessun comportamento che pu essere interpretato sulla base di processi mentali inferiori, venga spiegato come determinato da processi superiori. Determinazione delle funzioni mentali, anche con l'uso di stru- menti standardizzati (i test psicologici); evoluzione dei processi men- tali, come qualsiasi altro carattere biologico; adattamento dell'indivi- duo all'ambiente. Sono questi i tre caratteri della psicologia evoluzio- nistica inglese, che ritroviamo integri, se non accentuati, nel funzio- nalismo americano. A questi il funzionalismo aggiungeva di proprio 1) una critica radicale alla psicologia fisiologica di Wundt e allo strutturalismo di Titchener; 2) un'estensione della considerazione evolutiva allo sviluppo ontogenetico, con la fondazione della psicolo- gia dell'et evolutiva; 3) un forte accento pragmatista, con un inte- resse per la psicologia applicata, che viene appunto creata in ambito funzionalista. Vediamo questi tre aspetti. 1. La critica funzionalista allo strutturalismo era soprattutto ba- sata sulla critica al concetto di coscienza. Gi per James, parlare di contenuti di coscienza come di qualcosa di fisso, cristallizzato, cogli- bile attraverso un atto di introspezione, era privo di senso. La co- scienza un flusso continuo {stream of consciousness), e ogni tentativo di congelarne un istante destinato all'insuccesso, allo snatura- mento del suo carattere. Ma la critica era rivolta anche all'elementi- smo degli strutturalisti. E Dewey [1896] faceva rilevare - in un arti- colo che ebbe notevole rilievo e che viene da alcuni addirittura con- 35 36. 36 STORIA E METODI siderato la data di nascita del funzionalismo che gi addirittura a livello di arco riflesso non ha senso scindere questo in elemento effe- rente e elemento afferente, trattandosi di un'unit. 2. I funzionalisti sono stati i fondatori della psicologia dell'et evolutiva. Come lo sviluppo andava seguito lungo la gerarchia delle specie, cos il suo sviluppo andava rintracciato nel suo modificarsi nelle et dell'uomo. Il fondatore della psicologia dell'et evolutiva stato G. Stanley Hall, di cui vanno ricordati soprattutto gli studi sul l'adolescenza [1904]. Peraltro Hall (che era stato, come molti dei funzionalisti americani, da James a Cattell, anche lui allievo di Wundt, salvo poi non condividerne affatto le idee) va ricordato so prattutto come formidabile organizzatore, barone accademico di incredibile potere, con poco tempo rimastogli a disposizione per svolgere un'attivit scientificamente significativa. Personaggio di notevole spessore fu invece Baldwin, uno dei pi grandi teorici in assoluto della psicologia dei primi del novecento, il cui nome stato in larga misura dimenticato, forse anche per il suo precoce abbandono del mondo accademico nel 1909, a soli 48 anni; nel resto della sua vita visse prevalentemente in Francia, dedicandosi a un'attivit di conferenziere e pubblicista. Una sua conferenza a Pa- rigi influenz cos profondamente il giovane Jean Piaget, che le idee di Baldwin divennero uno dei pilastri su cui si sarebbe retto il siste- ma teorico del ginevrino. Baldwin poneva alla base dello sviluppo cognitivo le reazioni cir- colari, schemi d'azione che il bambino portato a ripetere per il solo piacere di ripeterle [1894; 1906]. Nel processo di adattamento al- l'ambiente, questi schemi d'azione si arricchiscono per accomodamenti, opposizioni e assimilazioni (ricordiamo che cardine della teoria di Piaget saranno sia le reazioni circolari, che l'adattamento per assimi- lazione e accomodamento). E anche il senso di s, che alla base dello sviluppo sociale, avviene per Baldwin [1894] attraverso gli stes- si processi, a cui si unisce {'imitazione. Notevolissima importanza, anche al di fuori della psicologia, ha avuto un contributo teoretico che Baldwin [1902] ha offerto alla teo- ria dell'evoluzione, e che stato per decenni al centro delle discus- sioni dei biologi, e che passa sotto il nome di effetto Baldwin. Esso consiste nel fatto che la selezione non avviene attraverso accop- piamenti casuali dei pi adatti, ma (sia pur modestamente, ma si- gnificativamente) squilibrata a favore di individui che hanno avuto esperienze comuni di adattamento. Nel dibattito odierno sull'evolu- zione, l'effetto Baldwin tuttora un elemento centrale [Gould 1977]. 3. Il terzo aspetto che differenzia profondamente la psicologia funzionalista dallo strutturalismo legato al problema delle applica zioni della psicologia. Titchener sosteneva la necessit di una psicolo gia pura, scienza esclusivamente sperimentale, che non avrebbe dovuto impegnarsi in attivit applicative. I funzionalisti, di contro, permeati dello spirito pragmatico della giovane America, che viveva un periodo di impetuoso sviluppo economico di cui ancora non era 37. STORIA E METODI 37 visibile la strordinaria portata, sostenevano la necessit di una psico- logia impegnata anche sul versante applicativo. Di qui lo sviluppo dei test psicologici (uno degli iniziatori fu un altro vecchio allievo di Wundt, James McKeen Cattell), e in generale della psicologia appli- cata al lavoro, all'arte, alla storia... Artefice principale delle applicazioni della psicologia fu uno straordinario personaggio, Hugo Mnstenberg, gi professore di Psi- cologia a Freiburg, anch'egli allievo di Wundt, che, entrato in con- trasto con questi, accett nel 1890 l'offerta di James di dirigere il laboratorio di psicologia di Harvard; salvo poi, appena giunto, dedi- carsi a tutto meno che alla psicologia sperimentale. Mnstenberg, che va considerato il vero creatore della psicologia del lavoro, mise al centro dell'attenzione per la prima volta i rapporti tra psicologia e vita reale [1899]. 2.5. La psicologia della Gestalt La reazione a Wundt in Huropa Gi nel 1874, lo stesso anno in cui usciva la Psicologia fisiologica di Wundt, Franz Brentan