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Una situazione di psicologia dell’emergenza in un Centro di Salute Mentale Dott.ssa Sabrina Bonino Membro del Gruppo Regionale Psicologi per le Grandi Emergenze in Sanità Pubblica Dipartimento di Salute Mentale ASL 2 Savonese

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Una situazione di psicologia dell’emergenza in un Centro

di Salute Mentale

Dott.ssa Sabrina BoninoMembro del Gruppo Regionale Psicologi per le Grandi Emergenze in Sanità PubblicaDipartimento di Salute Mentale ASL 2 Savonese

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Il Dipartimento di Salute Mentale come parte del Servizio Sanitario Nazionale si trova a fronteggiare situazioni nuove dovute all’immigrazione ed ai conflitti in atto nel mondo oltre che situazioni di emergenza dovute a catastrofi naturali.

La nostra quotidianità, la cornice di normalità entro cui ci muoviamo nella vita e nel lavoro, gli assi cartesiani che ci orientano nel nostro essere nel mondo si rompono nelle situazioni di emergenza.

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Proseguendo con quella che può essere una visione della nostra realtà Padre Alex Zanottelli parla di questo nostro mondo come di un “… meraviglioso acquario in cui guizzano costosissimi pesciolini esotici. A scrutarlo centinaia di milioni di bambini dal volto scuro che guardano affascinati l’acquoso ed esotico luccichio. Fino a quando la parete di vetro proteggerà il banchetto degli esotici pesciolini? Per assicurarci che la parete di vetro sia davvero infrangibile e ci protegga eternamente da quei visi sognanti di bimbi affascinati noi investiamo somme astronomiche in armi:U.S.A. ed Europa nel 2003 programmano di spendere 750 miliardi di dollari …”

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Tutto questo può sembrare lontano da quello che è il lavoro nella quotidianità di dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale quali noi siamo, ma penso che queste siano nuove prospettive ormai imprescindibili dato che noi ed i nostri pazienti viviamo in questo periodo storico e da questo ne siamo influenzati, nel momento in cui ci troviamo ad occuparci di pazienti che non sono sempre vissuti nell’”acquario” e noi non possiamo non tenere conto di ciò.

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Manuel Benasayag è uno psicoanalista argentino che è stato lui stesso vittima del regime dei militari. Egli scrive”… il miglior modo di condannarsi al male è di vivere come se si fosse estranei alla situazione,io sono responsabile di ciò che non ho scelto - non ho scelto di vivere in Argentina al tempo dei militari- è una frase folle.

Io sono l’Argentina dei militari. L’unica domanda da porsi è : dal momento che sono l’Argentina dei militari da quale parte si

può costruire qualcosa?”

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L’attenzione all’altro è un’attitudine ed un’abitudine tipica della psicologia , della psichiatria e delle professioni sanitarie in generale.

Le persone coinvolte in situazioni catastrofiche vengono chiamate vittime proprio perché sono in una relazione con gli altri che di solito le esclude e rende inascoltata la loro voce.

Perchè? Perché tutta la vicenda della vittima ha un carattere di sventura, di catastrofe,di ciò che non (mi) può succedere, è l’Impensabile, l’Impossibile.

Chi è finito nella condizione di vittima è escluso da tutto ciò che non (mi) può succedere, è l’Impensabile, l’Impossibile.

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Chi è finito nella condizione di vittima è escluso da tutto ciò che ammettiamo possa capitare nell’ordine delle cose.

Perciò la vittima è espulsa, ma soprattutto è destinata a non essere mai creduta e va incontro a sempre nuove espulsioni, perché la sua disgrazia non dovrebbe esistere.

La verità è che noi facciamo di tutto per non essere coinvolti dalla realtà della sofferenza che è toccata alle vittime, fino a fare come se non esistessero.

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“Il valore della pianificazione diminuisce con la complessità dello stato delle cose”.

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Così 2000 anni fa, con una frase che raccoglieva una visione del mondo unitaria fra il percorso della natura e la gestione della cosa pubblica, l'imperatore Ottaviano Augusto coglieva pienamente l'essenza dei concetti che oggi indirizzano la moderna pianificazione di emergenza che si impernia proprio su concetti come semplicità e flessibilità.

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Per Psicologia dell’Emergenza intendiamo le reazioni psicologiche,gli interventi preventivi e terapeutici ad eventi catastrofici quali terremoti,alluvioni, incedi, conflitti civili, guerre, etc.

I destinatari dell’intervento possono essere:

• vittime dirette o di primo livello• vittime indirette o di secondo livello • vittime-soccorritori o di terzo livello• testimoni dei fatti• soccorrittori

Che cos’è la Psicologia dell’Emergenza ?

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Le vittime alle quali più comunemente si presta attenzione sono:

● le vittime di primo livello, rappresentate dalle persone che hanno subito direttamente l’evento critico● le vittime di secondo livello rappresentate dai parenti delle vittime di primo livello● le vittime di terzo livello, rappresentate dai soccorritori, professionisti e volontari, chiamati ad intervenire sulla scena dell’evento traumatico, che a loro volta riportano danni psichici per la traumaticità delle situazioni a cui debbono fare fronte.

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In Psicologia dell’ Emergenza ha anche un particolare rilievo lo studio ed il trattamento del trauma psichico, inteso come stato conseguente ad uno o più eventi, interiori o esterni, che hanno colpito la persona. L’ impatto dopo un evento può essere diretto, se il soggetto sperimenta personalmente l’evento traumatico, o indiretto, se a vivere l’eventotraumatico è una persona cara con cui il soggetto si identifica o di cui tema la perdita.

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Di cosa si occupa la Psicologia dell’ Emergenza

La Psicologia dell’ Emergenza ha come propria finalità lo studio, la prevenzione e il trattamento dei processi psichici, delle emozioni e dei comportamenti che si determinano prima, durante e dopo gli eventi critici.Oggetto di studio e di intervento in questo settore della psicologia sono tanto il singolo individuo di cui tende a ripristinare e a tutelare l’assetto cognitivo ed emozionale per preservarlo dall’azione destabilizzante dell’angoscia traumatica, quanto la comunità nel suo complesso, per la prevenzione ed il superamento di quei fenomeni psichici che si determinano nei grandi gruppi umani, come la sindrome da disastro, il panico collettivo, l’esodo di massa…

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Questo doppio livello di intervento evidenzia come la psicologia dell’emergenza si articoli in due ambiti generali, quello delle emergenze individuali e quello delle emergenze collettive o di massa.

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Organizzare l’emergenza

Attualmente la legislazione internazionale, nazionale, regionale, propone dei modelli organizzativi standardizzati per affrontare i diversi tipi di emergenze dove si delineano i ruoli, le funzioni e le aree di intervento delle diverse istituzioni e delle diverse professioni chiamate ad agire in modo coordinato ed efficace.Questo avviene attraverso documenti chiamati “linee guida”, “criteri di massima”, “piani di intervento”… che successivamente andremo ad esaminare.Per organizzare l'emergenza si intende una situazione in cui occorre innescare un processo di apprendimento delle proprie risorse per ottimizzarle al fine della gestione del proprio stress, significa proporre un’organizzazione di intervento.

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Noi pensiamo che il contesto organizzativo e le linee guida possano essere considerate un contenitore che a fronte della complessità ed arcaicità dei meccanismi mentali attivati dalle catastrofi non può definire risposte comportamentali, funzionali preordinate, ma linee organizzative generali la cui funzione è di proteggere o riparare il vissuto di continuità intrapsichica ed interpersonale e perciò anche individuale, familiare e di comunità.Infatti il successo di una organizzazione dipende dalla sua capacità di realizzarsi anche modificandosi in itinere, se, strada facendo, si incontrano delle variabili diverse da quelle ipotizzate.Organizzare, quindi, significa innestare un processo sperimentale, tarando metodologie e tecniche ad hoc, come in un armonico articolato diagramma di flusso.

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Le notizie di cronaca di questi ultimi anni hanno messo in evidenza come gli individui, di fronte a catastrofi naturali, attentati o incidenti, siano disorientati, inermi, incapaci di soluzioni.

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Anche in Lombardia la terra può tremare

“Alluvione al Nord, la bassa in ginocchio: viaggio nelle zone disastrate” Entro Natale torneranno tutti a casa. Ci vorrà una tassa straordinaria

San Zenone e il disastro annunciato Il sindaco: “Senza argini dal 51”

Le lacrime del parroco: “Siamo esausti”

Anche la Spagna colpita dal terrorismoMadrid è nel caos

Ora diteci cosa dobbiamo fareIl diluvio costerà 500 milioni

di euroUn boato e la montagna frana Pioggia, crolli e sfollati, incubo alluvione al Nord

“Via tutti, scende la frana”e in Valtellina torna la paura

A rischio il 70 per cento delle scuolemai fatte le prove di emergenza Morti e dispersi in tutto il Nord

è alluvione

Emergenza caldo troppi morti in corsia non vi assicuriamo più

San Giuliano: il futuro fa paura

E' una catastrofe: facciamo chiarezza sulle competenze

E’ guerra Attentato alle torri gemelle

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I traumi possono essere così classificati ed interconnessi:

Individuali Naturali

Collettivi da Aggressività Umana

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Problemi emotivi e cognitivi colpiscono il traumatizzato. Questi problemi sono noti con la sigla PTSD (disturbo post-traumatico da stress); i sintomo classici più visibili in queste circostanze sono: ipervigilanza, ipersensibilità, ricordi ricorrenti ed intrusivi dell’evento, incubi, stress patologico intenso, comportamenti di fuga, sintomi di depressione compresi disturbi del sonno, dell’appetito e irritabilità.Le sensazioni sono angoscianti, il futuro sembra quasi inesistente, vi è una perdita di interesse nelle attività abituali ed una diffusa sensazione di smarrimento.

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Anche coloro che sono coinvolti nel processo di assistenza e di soccorso necessitano di servizi di supporto psicologico e tecniche psicoterapeutiche.L’intervento deve essere strutturato sia sulla singola persona che sulla popolazione che ha subito il trauma.Ci sono diversi momenti di intervento: sensibilizzazione, informazione e formazione del personale specializzato per una psicologia dell’emergenza.Un ruolo importante nella risoluzione dell’evento catastrofico è svolto dal soccorritore sia specialista, sia volontario.

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I Ruoli e le Funzioni delle professioni sanitarie e sociali

Dall'analisi della legislazione si è verificato che non sempre sono citate in modo preciso le funzioni ed i ruoli delle professioni coinvolte nella gestione dei diversi eventi catastrofici e nei successivi piani di intervento, ma sono sempre citate funzioni generiche psicologiche di facilitazione della comunicazione, di prevenzione primaria, secondaria e terziaria.

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Da un excursus fatto sulla legislazione in vigore:

1992 legge n. 225 "Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile." Pubblicata nella G.U. del 17 marzo 1992, n. 64 e modificata dal D.L. 26 luglio 1996, n. 393 1992 “Criteri e requisiti per la codificazione degli interventi di emergenza” Ministero della Salute1993 “Piano provvisorio del soccorso sanitario nelle grandi emergenze” Dipartimento Protezione Civile- Servizio Emergenza Sanitaria 1996 Linee Guida della Conferenza Stato-Regioni dell’11 aprile 1997 “Linee guida sull‘organizzazione sanitaria in caso di catastrofi sociali” Dipartimento della Protezione Civile- Servizio Emergenza Sanitaria 1997 “Metodo Augustus” Dipartimento della Protezione Civile

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1998 “Pianificazione dell'emergenza intraospedaliera a fronte di una maxi-emergenza” Presidenza del Consiglio dei Ministri2001 "Criteri di massima sull'organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi” Pubblicata nella G.U. n. 81 del 6 aprile Presidenza del Consiglio dei Ministri 2002 “Piano Italiano Multifase per una pandemia influenzale” Ministero della Salute 2003 “Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione alla tutela della pubblica incolumità nell’attuale sitazione internazionale” Pubblicata nella G.U. n. 74 del 29 marzo Presidenza del Consiglio dei Ministri2006 “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” Ministero della Salute2006 “Criteri di massima sugli interventi psico-sociali da attuare nelle catastrofi” Pubblicata nella G.U. n. 200 del 29 agosto Presidenza del Consiglio dei Ministri

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Si è visto che la normativa sull’argomento inizia ad essere piùdettagliata nel 1992 con la legge n. 225 del 24 febbraio con la quale vengono definiti criteri ed indirizzi uniformi sui requisiti organizzativi e funzionali della rete di emergenza nazionale per affrontare situazioni di “calamità naturali, catastrofi o altri eventi che per intensità ed estensione debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”.Nel 1996 il Ministero della Sanità pubblica l'atto di intesa tra Stato e Regioni per l' approvazione delle linee guida sul sistema di emergenza sanitaria con l'attribuzione alle regioni di maggiori competenze e responsabilità nell'ambito della pianificazione e della organizzazione dei servizi sanitari; nel giugno 1997 il Dipartimento della Protezione Civile pubblica le “Linee guida sull'Organizzazione Sanitaria in caso di catastrofi sociali”, e sempre nel 1997 la Protezione Civile indica con il “Metodo Augustus” le linee guida per la pianificazione di protezione civile a livello provinciale e comunale;

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del 1998 sono le linee guida per la “Pianificazione dell'emergenza intraospedaliera a fronte di una maxi-emergenza” della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con il decreto del 13 febbraio 2001 la Presidenza del Consiglio dei Ministri indica il modello di pianificazione sanitaria che dovra' essere messo in atto per fronteggiare le emergenze e coordinare gli interventi di soccorso nel testo "Criteri di massima sull'organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi". Nel 2006, seguendo le indicazioni dell'OMS del 2005, il Ministero della Salute emana il “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” che aggiorna e sostituisce il precedente “Piano Italiano Multifase per una pandemia influenzale”, pubblicato nel 2002.

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Nel 2006 sulla G.U. n. 200 del 29 agosto viene pubblicata la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13 giugno 2006 “Criteri di massima sugli interventi psico-sociali da attuare nelle catastrofi”

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Nel documento del 2006 “Criteri di massima sugli interventi psico-sociali da attuare nelle catastrofi” si evidenzia:

● il ruolo del personale ASL nelle situazioni di emergenza● la formazione del personale● indicazioni per il traige psicologico e psichiatrico

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Ruolo del personale ASLVediamo come sia necessario ricercare una collaborazione costante con tutti gli altri soggetti coinvolti nella gestione dell'emergenza e con le istituzioni della comunità, verificando la disponibilità delle strutture presenti (servizi sanitari pubblici, servizi di salute mentale, servizi socio-assistenziali, strutture sanitarie private).E' opportuno inoltre facilitare l‘accesso ai servizi sanitari e sociali; fornire documentazione sulle persone a cui si è prestata assistenza in condizioni di emergenza e sugli interventi attuati; rendere disponibili ai Servizi richiedenti le informazioni sulle valutazioni relative ai fattori di rischio e di vulnerabilità individuali e collettivi allo scopo di attuare revisioni periodiche e follow-up a lungo termine.

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I professionisti che operano in campo psicosociale, devono essere adeguatamente formati e svolgere attività che sono proprie di un contesto di emergenza collettiva. Tra queste si possono elencare:

● attività informative rivolte alla popolazione sulle tecniche di gestione dello stress e sulle reazioni a situazioni critiche,● attività di ricongiungimento con i familiari,● raccolta di dati per la valutazione post-emergenza,● informazioni connesse ai bisogni pratici della popolazione.

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Aree e momenti di interventoAppare superfluo evidenziare la sofferenza ed il bisogno psichico generale nella grande emergenza; l'intervento va impostato con l'obiettivo primario di migliorare e rendere più attuali e vicini ai bisogni reali ed alle difficoltà del contesto gli interventi:

●nella prevenzione●nello screening e nella sorveglianza●nella terapia

In generale sono oggetto dell'intervento psichico:

●popolazione (prevenzione)●pazienti e parenti (sorveglianza e terapia)●personale (prevenzione, sorveglianza, terapia)

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Dopo un iniziale momento in cui si affrontano le prime fasi della situazione di emergenza esiste una presa in carico a lungo termine delle persone colpite.

Alla Missione di Pace Antica Babilonia in Iraq hanno partecipato diversi militari che vivono in Liguria e sono stati coinvolti nell’attentato di Nassiriya nel novembre 2003.All’interno del Servizio di Salute Mentale di Finale Ligure mi sono trovata a dovermi occupare di quattro persone, vittime di primo livello, che presentano sintomi da PTSD da trauma da combattimento, e di una vittima di secondo livello madre di un carabiniere deceduto.Presenteremo adesso il caso clinico di una vittima indiretta di una situazione di guerra, Maria, e di una vittima diretta di un trauma da combattimento, Marco.

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Mutamenti del setting psicoterapeutico in una vittima indiretta e di una vittima diretta di una

situazione di guerra

Il caso di MariaMaria è una signora di 58 anni, si presenta in ambulatorio, inviata dal medico di famiglia con un’impegnativa per una valutazione psicologica per depressione reattiva, attraverso il C.U.P.A. Ha un aspetto modesto ma curato. Dopo essersi presentata con il proprio cognome da nubile, mi dice il cognome da coniugata facendosi immediatamente riconoscere come la madre di Giovanni, morto qualche mese prima in una situazione di guerra dove il proprio sacrificio è riuscito a salvare altre vite. Questo fatto ha avuto molta eco nelle cronache nazionali ed internazionali e ha coinvolto nel lutto la popolazione del paese dove ha sede il C.S.M. dove presto servizio.

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Con questa modalità di presentazione improvvisa mi fa rivivere lo sconvolgimento della sua vita, riproponendo il trauma improvviso, come è stata improvvisa per lei la notizia della perdita del figlio. Sembra essere un test di prova per vedere se sono preparata e riesco a regger la situazione, l’impotenza collegata al dolore per un lutto non riconducibile al lavoro abituale sulle patologie tipico di quell’ambulatorio. Mi chiede se forse non ci siamo già conosciute in passato in occasione dei funerali del figlio vista la grande partecipazione della cittadinanza alle esequie.

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Si presenta quindi non come Maria ma come madre di Giovanni, crea una confusione nel setting per affermare che ha diritto ad uno stato di paziente speciale, fino a quando riesce ad essere la madre di Giovanni è come se questo non fosse completamente morto e mi chiede di non occuparmi di lei ma del suo dolore per la morte del figlio. Inoltre l’enfatizzazione del racconto del funerale, dettagliata sugli aspetti più esteriori ed eclatanti della cerimonia quali il picchetto d’onore militare, la presenza di politici ecc, sembra avere una funzione narcisistica di sostegno come se la vita della memoria del figlio permetta a questo, in qualche modo, di non morire.

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Subito dopo mi chiede se sono madre e mi sento di risponderle che ho un figlio maschio di tre anni (superando gli aspetti consueti della relazione con il paziente perché ho la sensazione che stia cercando qualcuno disposto a condividere il trauma) e mi sollecita ad averne altri perché se succede qualche cosa … Mi chiede di essere riconosciuta nel suo dolore catastrofico e aiutarla a tenerlo vivo dentro di lei. Due sogni ed un episodio di vita quotidiana che racconta nelle sedute successive possono aiutarci a capire questo desiderio di tenere fermo il tempo per non perdere del tutto il figlio e non perdere la propria funzione materna. Il primo sogno che porta non è suo ma di una sua amica: Giovanni indossa una maglietta con una scritta che indica “termine” e suggerisce di avvisare i genitori che il videoregistratore di casa è rotto. Maria ha conservato senza avere mai avuto il coraggio di guardarle, le videocassette dei funerali di stato a Roma, a cui tra l’altro non ha partecipato, e le interviste ed i dibattiti televisivi riguardanti la morte del figlio.

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Verifica che il videoregistratore, non usato da tempo, è rotto come affermato da Giovanni in sogno. Le sembra di avere attraverso questo sogno un canale di comunicazione con il figlio e contemporaneamente è arrabbiata perché l’ha sognato una sua amica e non lei, non è venuto a trovarla!L’episodio di vita quotidiana riguarda il giorno del compleanno di Giovanni. Maria è andata al mercato per comprare dei fiori da mettere sulla tomba del figlio, casualmente il venditore li avvolge in un foglio di giornale del periodo in cui Giovanni è morto, con una sua foto. Maria è molto angosciata e le sembra di avere conferme su come tutto sia finito e la vita del figlio sia ridotta ad una foto sul giornale.

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Nel secondo sogno Giovanni fa footing lungo il fiume vicino casa, nevica ed ha le mani arrossate per il freddo e si ferma da lei per dirle di andare a prendere i guanti che sono riposti in una scatola nell’armadio. Inizialmente interpreto questo sogno come un suo desiderio di essere ancora madre e prestare attenzione alle cure primarie, un rimpianto per il rapporto avuto con Giovanni bambino, ma probabilmente le mani arrossate sono le sue e mi chiede di farle da madre, di ripercorrere la funzione materna che permette di conoscere gli oggetti e di entrare in relazione con loro, oggetti collaterali, pre-transizionali (Bollas, 1987). Inoltre le mani rosse possono evocare il sangue, infatti Maria ha cercato di sapere se il corpo del figlio sia rimasto integro o meno nell’attentato. I guanti possono servire a contenere o non vedere ciò che non si può né vedere né pensare. Sembra sentire il bisogno di fare rivivere in me un’ immagine di Giovanni vitale.

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Queste richieste di Maria mi portano a chiedermi fino a che punto noi ci possiamo identificare con i pazienti? In situazioni traumatiche come questa il problema non è pensare ma la riviviscenza delle immagini dolorose del trauma che agiscono anche nella mente del terapeuta. Sembra voler fare rivivere cosa vuol dire essere senza difese nel mondo.Inoltre mi chiede di condividere due pensieri impensabili per me e per lei, cioè quanto riesca a pensare alla morte di mio figlio ed al cadavere di Giovanni. Il senso di impotenza che provo è uno dei criteri per definire il trauma e la notizia relativa alla morte di Giovanni è così terrifica che si inscrive in una parte della mente arcaica, non pensante (Freud, 1926; Baranger, 1990).

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Il caso di MarcoMarco si presenta telefonicamente al Servizio insieme ad un collega chiedendo di venire entrambi presi in carico da me. Non hanno seguito la prassi consueta della presa in carico perchè conoscevano un’ amministrativa dell’ASL e presso di lei si sono informati sul fatto che ci fosse qualcuno che si occupasse in modo specifico di situazioni analoghe alle loro. Inoltre erano al corrente che la signora Maria era una mia paziente e che mi occupavo di psicologia dell’emergenza. Marco ha 46 anni, è un uomo piacente, vestito in modo sportivo e giovanile, quasi trasgressivo per un carabiniere. Racconta in modo sofferto come sia arrivato al Servizio perché era stato seguito da una collega di Genova consulente dell’Arma che si è poi trasferita e ha cercato un riferimento più vicino a casa e al di fuori delle prestazioni sanitarie fornite dai Carabinieri anche perché intende uscire dall’arma.

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Sembra attraverso questo modo di arrivare al servizio, suo e del collega, chiedere un’attenzione particolare collocandosi come un paziente eccezionale, questa richiesta viene accolta da me e dal responsabile del servizio e dai colleghi che non pensano neanche di applicare la prassi ma accettano questa proposta di invio diretto. Le persone che presentano PTSD dopo eventi straordinari quali questi, non hanno nella storia precedente labilità emotive o difficoltà psicologiche particolari. Cerchiamo di non assegnargli per quanto possibile un’immagine di paziente psichiatrico, infatti non viene visto presso gli studi del Servizio di Salute Mentale ma presso gli ambulatori di Psicologia collocati all’interno dell’Ospedale Santa Corona che offrono un contesto di accoglimento della sofferenza, in quanto ospedalieri, senza connotarsi psichiatricamente in modo marcato. Tuttavia l’equipe sembra agire analogamente a quanto accade nei traumi descritti da Borgogno (1999) operando un meccanismo di difesa rispetto alla grande angoscia e alla possibilità dell’espressione di contenuti orribili che questo paziente suggerisce.

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I colleghi hanno chiamato questi pazienti “i miei carabinieri”, sottolineando il fatto che potessero essere seducenti, scherzando sull’attenzione che prestavo a loro ed in alcuni momenti dicendo che loro non avevano diritto ad essere seguiti dal Servizio di Salute Mentale in quanto l’Arma ha dei servizi propri specialistici, dimenticando che hanno il diritto di tutti i comuni cittadini di rivolgersi ad un curante del SSN.Da quando Marco è seguito ho condiviso i contenuti dei suoi colloqui e di quelli dei suoi colleghi solo con lo psichiatra che prescrive la terapia farmacologia a lui e agli altri, oltre che con un supervisore esterno.

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Marco è figlio di un maresciallo della pubblica sicurezza, frequenta il Liceo Scientifico e i primi anni di Giurisprudenza entrando nell’Arma dei Carabinieri per assolvere gli obblighi di leva nel solco della weltanschaung familiare, dove decide di fermarsi, proseguendo nella carriere sino a raggiungere il grado di maresciallo capo.E’ sposato ed ha due figli un maschio del 1985 ed una femmina del 1989.Nei colloqui descrive spesso in modo dettagliato le dinamiche dell’attentato, i corpi dei colleghi che ha dovuto proteggere dallo sciacallaggio umano e dei cani randagi e ricomporre nella confusione delle ore seguenti.Queste immagini si sono costituite nella sua mente come un fattore scatenante di un trauma psichico, anche sulla pregressa condizione di trauma cumulativo quotidiano connesso con le stressanti condizione ambientali siano esse logistiche che relazionali.

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Infatti secondo la letteratura internazionale potevano essere considerati fattori preventivi un lavoro sulla percezione dello stress prima della missione e la possibilità di fare attività fisica, avere cibo adeguato, e dormire per almeno quattro ore consecutive periodicamente. Le immagini visive, olfattive e sonore dell’attentato tornano ripetutamente nella mente in modo coatto sia come incubi notturni sia come disadattamento nella vita quotidiana. Nella sintomatologia si esprimono disturbi dispercettivi tipici postbellici, visivi, sonori, olfattivi, che si esprimono in dispercezioni di immagini, suoni, odori del tempo di pace che nella mente del paziente vengono dispercepiti e vissuti come immagini, suoni, odori connessi a fatti collegati all’attentato e ai cadaveri di persone ricomposti. Queste dispercezioni ed incubi notturni esprimono lo stato di angoscia, di impotenza e di morte che domina la mente del paziente rendendone estremamente difficoltoso l’adattamento alla vita quotidiana in Italia.

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La sintomatologia descritta riporta: tono dell’umore deflesso con persistenti sentimenti di tristezza e di colpa, intolleranza alla frustrazione, distacco emotivo, riduzione degli interessi, stati di ansia intensa con importanti correlati neurovegetativi associati a ricordi intrusivi tipo flashback riguardanti l’evento traumatico in questione, disturbi del sonno caratterizzati da difficoltà nell’addormentamento, tensione muscolare, cefalea e disturbi digestivi.Emergono elementi riferibili alla presenza di condotte di evitamento degli stimoli associati con l’evento traumatico.Presenta stati di ansia libera con spunti di reattività fobica associati all’evento traumatico in questione.Tali disturbi provocano marcato disagio sociale e gravi difficoltà nell’adattamento affettivo.

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Il lavoro terapeutico fatto con Marco mi sembra che si presenti come un processo di riqualificazione dell’evento traumatico dove cerchiamo insieme di trovare un modo per elaborare l’esperienza vissuta dopo averla condivisa. Nei colloqui si alternano racconti della propria vita prima dell’attentato e delle difficoltà che incontra attualmente nella svolgimento delle attività quotidiane e nel rapporto con i figli e la compagna. Marco è sempre stato un uomo attivo, vivace, interessato al proprio lavoro e alla propria famiglia con interessi e attività normali. All’inizio della presa in carico non riesce a dormire se non per poche ore, è ingrassato di 20 kg, esce di casa unicamente per portare a passeggio il cane e provvedere per le necessità minime della vita. Si sente spesso con i colleghi con cui ha condiviso l’esperienza traumatica perché da loro si sente veramente capito.

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Nel corso dei colloqui sia lui che gli altri fanno riferimento ai fatti accaduti reciprocamente quel giorno, come se dovessi nella mia mente ricomporre un puzzle utilizzando più punti di vista e contenerlo perché potesse essere in qualche modo depositato ed io stessa potessi essere un testimone che li aiutava a narrare ciò che avevano vissuto. Marco racconta come il rientro in Italia sia stato connotato da un sentimento di solitudine, si è sentito poco accudito dall’Arma dentro cui aveva lavorato per molti anni trovandosi a mettere in discussione i valori che lo avevano guidato nella vita sino ad allora.

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Attualmente Marco presenta un netto miglioramento sintomatologico, un’attenuazione delle immagini intrusive, ed ha ripreso a condurre una vita abbastanza soddisfacente da quando ha deciso di allontanarsi dall’Arma dei Carabinieri e progettare una nuova vita: ha avviato un’attività commerciale con il figlio ed ha una compagna.

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Osservazioni conclusive

Di fronte a vittime di realtà di emergenza, secondarie o primarie, ci viene chiesto da queste di non porci in situazioni di differenza ma di condivisione.Reggere il limite nel nostro mestiere è sapere di non avere il potere di guarire ma accontentarci di un lavoro che permetta di ritrovare un minimo di funzioni vitali, perché il terapeuta ha condiviso il trauma è riuscito a reggerlo. Molto spesso dopo situazioni di emergenza si tende a dimenticare tutto ed i sopravvissuti sono sentiti come sgradevoli perché chiedono al nostro mondo interno di fare i conti con ciò che può accadere, su come i rassicuranti parametri spazio-temporali possono alternarsi irrimediabilmente, ed è propriamente questo il trauma delle vittime dirette.La situazione che stiamo considerando, dovuta all’aggressività umana, può essere considerata a cavallo tra l’individuale ed il collettivo perché ha colpito vittime dirette ed indirette.

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Rispetto al setting può essere utile analizzare i seguenti aspetti che hanno portato a delle modificazioni rispetto alle modalità routinarie:

Il caso di Maria:1) le modalità di arrivo attraverso il C.U.P.A. con il cognome da nubile ed il porsi subito con quello da sposata a preannunciare il motivo che l’aveva condotto in ambulatorio, attraverso questo agito sembra che cerchi di farmi percepire il suo vissuto di spavento ed impotenza.2) mi chiede se ho un figlio per vedere se posso capire che cosa vuol dire perderlo.

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3) in uno degli ultimo colloqui mi chiede se sono credente probabilmente per capire quale speranza le posso dare, come se non ci possa essere orecchio umano che contenga questo dolore e solo Dio potesse darle speranza.4) nell’estate si rompe una gamba per una banale caduta ed allora è impossibilitata a muoversi, quindi effettuo una visita domiciliare che probabilmente risponde al suo bisogno psichico di farmi conoscere la stanza-mausoleo del figlio dove convivono medaglie al valore militare, bandiere, fumetti e dischi.

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Ripensando alla nostra relazione mi chiedo che cosa sono io per Maria e che cosa cerca?Sembra cercare le funzioni trasformative che possono offrirle, più un processo che un oggetto con cui relazionarsi (Winnicott, 1963). Ricorda le esperienze estetiche descritte da Bollas dove queste “..esperienze cristallizzano il tempo in uno spazio in cui soggetto ed oggetto sembrano vivere un incontro intimo… l’essere con, come forma di dialogo, permette al bambino un’elaborazione adeguata dell’esistenza prima di possedere la capacità di elaborarla con il pensiero” (Bollas, 1987).

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Il trauma subito sembra rievocare aspetti primari che passano attraverso la sensorialità, mi invita in un percorso che mi porta a vedere il figlio come lo vede lei perché quello che teme è che l’immagine del figlio si perda, prima di tutto dentro di lei e che così al di là della morte fisica ci sia una morte psichica e che in questo modo possa anche io avere una maternità verso Giovanni. Come il videoregistratore si è concretamente rotto nella sua vita e allora concretamente mi porta a vedere le cose. Posso probabilmente essere un oggetto contenitivo pre-transizionale dove vengo usata per delle funzioni (vedi domanda su mio figlio)non sono un oggetto altro ma verifica che io abbia le funzioni che le servono.

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Il trauma aspaziale e atemporale della morte di Giovanni porta parte della sua mente a restare scissa e a non accettarne la morte, un po’ come un amante lasciato non storicizza ma continua a inscrivere nel presente. La sua storia precedente è senza note rilevanti, è inscritta nel registro della normalità, questa povertà non fa altro che rivelare una carenza del processo di storicizzazione, cioè di costruzione degli eventi traumatici dove il lavoro di restituzione della temporalità è arduo e rischioso è il cammino che dobbiamo cercare di percorrere insieme per dare un significato a quanto è accaduto. Pensando alla situazione terapeutica come ad un “campo bipersonale” (Baranger, 1990) ad una vera e propria struttura risultante dall’incontro delle due vite mentali e delle identificazioni proiettive incrociate che si sviluppano tra paziente e terapeuta si evidenziano due punti “bastione” precipitazione delle resistenze della coppia:1) impossibilità di Maria di vedere l’immagine di un figlio distrutto-morto2) impossibilità che io riesca a vivere l’idea di mio figlio morto

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Giovanni è morto in un contesto molto particolare e questo permette a Maria di assumere il ruolo di madre dell’eroe e perpetuare la memoria nelle cerimonie commemorative e nella memoria di noi due.

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Il caso di Marco:1) Marco presa in carico senza filtri2) partecipa di un setting allargato con i colleghi per la condivisione e la possibilità di depositare il trauma

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Bibliografia

Willy e Madeline Baranger “La situazione psicoanalitica come campo bi-personale”, 1990. Raffaello Cortina EditoreMiguel Benasayag, Gerard Schmit “L’epoca delle passioni tristi”,2003.Editions La Decuvert,Paris,ed.Feltrinelli Milano ,2004MIguel Benasayag “Contro il niente”,2004 Bayard,ed.Feltrinelli 2005Christopher Bollas “L’ombra dell’oggetto”, 1987. Free Association Books, London, England, 2001, ed. Borla, RomaSigmund Freud “Inibizione, sintomo e angoscia”, 1926. OSF, vol.10.D.W: Winnicott “Comunicare e non comunicare: lo studio su alcuni opposti” in “Sviluppo affettivo e ambiente”, 1970. Armando Editore, Roma.F, Borgogno “La catastrofe ed i suoi simboli”