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250 © Giovanni Fioriti Editore s.r.l. Psichiatria e Psicoterapia (2013) 32, 4, 250-262 CORNICI ERMENEUTICHE DELLA NARRAZIONE E SVILUPPO DELLA RIFLESSIVITÀ NEL DIALOGO CLINICO Maria Francesca Freda, Raffaele De Luca Picione Introduzione In una prospettiva di senso comune il raccontare storie appare come un’attività spontanea e naturale delle persone. Esse, infatti, costantemente costruiscono storie a partire dalle loro esperienze e dagli eventi che vivono. Tuttavia, porre l’accento sulla naturalezza e la spontaneità del gesto narrativo può costituire un limite piuttosto che produrre delle opportunità poiché tale presunta congenita attività rischia di essere considerata e trattata come una produzione testuale quotidiana di scarso valore conoscitivo o di ridotta utilità in contesti professionali di aiuto, e non investigabile secondo i parametri di riferimento della prassi e della indagine scientifica. Non si tratta solamente di circoscrivere la qualifica di spontaneità e naturalezza alla narrazione, quanto di ridefinire lo statuto epistemologico dell’esperienza narrativa e delle implicazioni metodologiche che essa offre nei vari possibili setting di intervento. A partire dalle ultime decadi del secolo scorso fino a giorni nostri, la narrazione ha smesso di essere solo un oggetto di studio esclusivo di linguisti, semiologi ed etno-antropologi, suscitando l’interesse di quanti coloro impegnati in discipline quali la psicologia, psicoterapia, pedagogia hanno mostrato interesse e si sono approcciati con serietà scientifica a tali prassi linguistica (Polkinghorne 1998; Sarbin 1986; Spence 1982; Schafer 1980, 1992). La narrazione, seppur all’interno di un variegato insieme di teorie e modelli, viene riconosciuta come processo soggettivo di significazione, come esperienza epistemologica e di promozione dell’azione all’interno di una funzione intersoggettiva, culturale e contestuale (Bruner 1990) . Non basta quindi pensare che la narrazione sia un processo spontaneo che si attiva nelle persone allorquando riescono a giungere ad un adeguato processo di sviluppo linguistico. La narrazione non si configura come un contenitore di eventi, come una semplice catena di segni (parole) al fine di indicare uno specifico stato del mondo. La narrazione è approcciabile come un vero e proprio modello di funzionamento della mente che media ed organizza i processi di significazione della relazione sociale (Bruner 1986, Smorti 1994, Freda 2008). Una storia non è una mera successione di eventi, bensì una loro organizzazione attraverso un processo di costruzione di nessi, che va al di là degli aspetti ostensibili dell’esperienza, dando forma e luogo ad un processo di interpretazione del sé, del mondo e della loro relazione (Freda 2008, op. cit.). SOTTOMESSO MAGGIO 2013, ACCETTATO DICEMBRE 2013

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Psichiatria e Psicoterapia (2013) 32, 4, 250-262

CORNICI ERMENEUTICHE DELLA NARRAZIONE E SVILUPPO DELLA RIFLESSIVITÀ NEL DIALOGO CLINICO

Maria Francesca Freda, Raffaele De Luca Picione

Introduzione

In una prospettiva di senso comune il raccontare storie appare come un’attività spontanea e naturale delle persone. Esse, infatti, costantemente costruiscono storie a partire dalle loro esperienze e dagli eventi che vivono.

Tuttavia, porre l’accento sulla naturalezza e la spontaneità del gesto narrativo può costituire un limite piuttosto che produrre delle opportunità poiché tale presunta congenita attività rischia di essere considerata e trattata come una produzione testuale quotidiana di scarso valore conoscitivo o di ridotta utilità in contesti professionali di aiuto, e non investigabile secondo i parametri di riferimento della prassi e della indagine scientifi ca. Non si tratta solamente di circoscrivere la qualifi ca di spontaneità e naturalezza alla narrazione, quanto di ridefi nire lo statuto epistemologico dell’esperienza narrativa e delle implicazioni metodologiche che essa offre nei vari possibili setting di intervento.

A partire dalle ultime decadi del secolo scorso fi no a giorni nostri, la narrazione ha smesso di essere solo un oggetto di studio esclusivo di linguisti, semiologi ed etno-antropologi, suscitando l’interesse di quanti coloro impegnati in discipline quali la psicologia, psicoterapia, pedagogia hanno mostrato interesse e si sono approcciati con serietà scientifi ca a tali prassi linguistica (Polkinghorne 1998; Sarbin 1986; Spence 1982; Schafer 1980, 1992). La narrazione, seppur all’interno di un variegato insieme di teorie e modelli, viene riconosciuta come processo soggettivo di signifi cazione, come esperienza epistemologica e di promozione dell’azione all’interno di una funzione intersoggettiva, culturale e contestuale (Bruner 1990) .

Non basta quindi pensare che la narrazione sia un processo spontaneo che si attiva nelle persone allorquando riescono a giungere ad un adeguato processo di sviluppo linguistico. La narrazione non si confi gura come un contenitore di eventi, come una semplice catena di segni (parole) al fi ne di indicare uno specifi co stato del mondo. La narrazione è approcciabile come un vero e proprio modello di funzionamento della mente che media ed organizza i processi di signifi cazione della relazione sociale (Bruner 1986, Smorti 1994, Freda 2008). Una storia non è una mera successione di eventi, bensì una loro organizzazione attraverso un processo di costruzione di nessi, che va al di là degli aspetti ostensibili dell’esperienza, dando forma e luogo ad un processo di interpretazione del sé, del mondo e della loro relazione (Freda 2008, op. cit.).

SOTTOMESSO MAGGIO 2013, ACCETTATO DICEMBRE 2013

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Studiare la narrazione attraverso diversi assi del processo di significazione

Passare da una prospettiva ingenua in cui l’uomo è rappresentato come un “natural storyteller” a una in cui la narrazione viene considerata come uno specifico processo umano di conoscenza e mediazione relazionale tra la soggettività, la alterità e la cultura offre la possibilità di usare la narrazione come dispositivo metodologico di ricerca e di intervento psicologico e clinico. Perché tale passaggio avvenga in direzione di un uso metodologico e non meramente tecnico, vengono richieste però una serie di osservazioni e precisazioni che permettano di cogliere la complessità del dispositivo narrativo e la sua variabilità, non solo in termini quantitativi o sintattico-linguistici, ma soprattutto la sua variabilità qualitativa in termini di processo psicologico semiotico, semantico e pragmatico.

Per comprendere la complessità del processo narrativo è necessario assumere una prospettiva in grado di cogliere aspetti e processi specifici, quali per esempio il processo di riduzione polisemica delle parole, tratte dal codice linguistico, attraverso la loro attualizzazione in una struttura di legami (de Saussure 1916), parliamo dello specifico uso contingente dei dispositivi simbolici che nel loro continuo dispiegarsi generano traiettorie di senso che gradualmente danno forma ad un significato e allo stesso tempo vincolano le possibilità di dispiegarsi di significati alternativi.

La narrazione, infatti, come processo di significazione intra-inter-soggettivo costituisce un spazio semiotico in continua trasformazione in cui avvengono continui cambiamenti di significato, il loro consolidamento o la loro cessazione (Lotman 1985, 2005). La narrazione è un processo dialettico che media tra tante possibili versioni di un evento (Freda e De Luca Picione, in press), si organizza in ragione di scenari psicologici impliciti e dall’assunzione di specifici punti di vista sull’esperienza. In questo senso, la narrazione non è una descrizione della realtà, ma un processo di costruzione di nessi di verosimiglianza realizzati da un soggetto attraverso le sue esperienze relazionali. Tali nessi di significazione, non regolati necessariamente da esatte funzioni logiche determinate (quali per esempio i classici principi aristotelici di identità, di non contraddizione e del terzo escluso) hanno un carattere di aleatorietà, di relazione parte/tutto, di situatività, di generalizzazione, di temporalizzazione soggettiva dell’esperienza, di riduzione della polisemia in funzione di una pertinenza contestuale (Freda 2008, Salvatore e Freda 2011, De Luca Picione e Freda 2012).

Come già proposto altrove (Freda 2008, Freda e Milito Pagliara 2012), lo studio dell’intreccio di diversi assi del processo di significazione ci permette di osservare il costituirsi del processo narrativo. La significazione, infatti, è un processo ambiguo e non lineare (Barthes 1966), in quanto il rapporto tra significato e significante è fondato su una dialettica organizzata da livelli e da rapporti di adiacenza in cui una piatta identificazione della relazione tra referente e significato appare limitante. La narrazione, quale processo semiotico interpretativo di esperienze, mostra una collaborazione dialogica intersoggettiva e contestuale che mette in gioco il soggetto narrante nella sua relazione con l’altro all’interno di un’ampia cornice culturale di riferimento e di una contingente e ristretta cornice contestuale che definisce la pertinenza del discorso (Salvatore e Freda 2011, De Luca Picione e Freda in press). Da una logica oggettuale si passa a una logica soggettiva ed intersoggettiva di studio del testo narrativo. La narrazione cioè non si esaurisce nel

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Maria Francesca Freda, Raffaele De Luca Picione

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suo ruolo di segno che veicola un significato “nascosto dietro il testo” ma si costituisce come un dispositivo semiotico generativo di senso che costruisce connessioni variabili tra un significante ed un significato, attraverso diverse componenti, diversi livelli e diverse funzioni, definite in ragione dell’uso e del posizionamento assunto nella relazione discorsiva (Freda 2008).

Al fine di disarticolare tali elementi per un lavoro di lettura, ascolto e uso clinico delle diverse dimensioni del processo narrativo ci risulta utile esplorare diversi assi di analisi la cui origine è prettamente collocabile all’interno delle discipline semiotiche: asse paradigmatico, asse sintagmatico, asse pragmatico e asse patemico (Freda 2008, Freda e Milito Pagliara 2012).

I primi due assi, paradigmatico e sintagmatico, rappresentano delle prospettive di studio ormai classiche per la linguistica e la semiotica (de Saussure 1916, Jakobson 1963). Il primo offre un focus di lettura e di analisi sull’uso dei segni come referenti di un significato: tale asse paradigmatico contribuisce all’organizzazione semiotica lungo una direzione verticale in cui le associazioni linguistiche sono definite in absentia, poiché un significante sta per un significato secondo un principio di sostituibilità semantica, in cui un significato può trovare diversi segni per esprimerlo.

L’asse sintagmatico si riferisce alla concatenazione e associazione dei segni in sintagmi lungo un’organizzazione orizzontale definita in presentia. Secondo tale prospettiva, il senso di un sintagma si va definendo attraverso il progressivo costruirsi di rapporti di vicinanza e distanza tra segni, così come di congiunzione e opposizione (Greimas 1966).

L’uso dei due assi sopramenzionati all’interno di una prospettiva di studio strutturalista, ha permesso di cogliere le relazioni tra i segni all’interno di un sistema linguistico e di avviare uno studio semiotico capace di cogliere la convenzionalità sociale e l’arbitrarietà culturale dei nessi tra significati e significanti. Tuttavia un focus di analisi limitato a questi due assi ha posto e continua a porre diverse questioni critiche, quali per esempio che la lingua non si può considerare un sistema chiuso determinato esclusivamente dai rapporti strutturali al suo interno; inoltre nello studio di una lingua non si può escludere il soggetto come colui che si trova ad usare e a vivere nelle sue relazioni tali dimensioni strutturali linguistiche. In termini narrativi siamo indotti a chiederci “chi” sceglie i significanti a disposizione e “come” li organizza (Benveniste 1959) in relazioni momento per momento.

Nel corso degli anni ‘60, ‘70, tali questioni hanno condotto a prendere in considerazioni altri aspetti della prassi linguistica, contribuendo ad alimentare la svolta narrativa in psicologia.

L’asse pragmatico (Austin 1962, Searle 1969) infatti tende a privilegiare il testo nella sua funzione comunicativa piuttosto che predicativa. La narrazione, come produzione linguistica viene cioè letta come una funzione di regolazione dello scambio e della pratica discorsiva. All’interno di un discorso non si producono solo informazioni tra interlocutori passivi, ma si producono vere e proprie azioni attraverso i processi di significazioni delle pratiche linguistiche sociali.

L’asse patemico (dal termine greco pathos, passione) è volto a considerare il ruolo degli affetti e delle emozioni in qualsiasi processo di significazione. Per Greimas (1987), la ricezione del significato e la forza di un atto linguistico sono intessute di passionalità. La proposta di questo asse è volta a superare la dicotomia tra pensiero ed emozione, riconoscendo la loro stretta interconnessione e riconsiderando il ruolo delle emozioni come fondamentale matrice

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Narrazione e sviluppo della riflessività nel dialogo clinico

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relazionale, interpersonale ed ermeneutica (Greimas e Fontanaille 1991, Matte Blanco 1975, Fornari 1976, Carli e Paniccia 2003, Salvatore e Freda 2011, De Luca Picione e Freda 2012) e non più come perturbazione/interruzione/rottura dei processi cognitivi e razionali del discorso.

Le cornici ermeneutiche e discorsive del processo narrativo nel dialogo clinico

La multidimensionalità del processo narrativo letta attraverso diverse prospettive assiali ci consente di cogliere il processo narrativo della significazione come distinto in diverse cornici ermeneutiche e discorsive di complessità e struttura diverse.

Utilizzando la classificazione di Genette (1972), distinguiamo tra storia, racconto e narrazione/discorso:

• La storia è quella dimensione del testo che si riferisce ai fatti narrati come insieme degli avvenimenti nel loro succedersi logico e temporale. La storia ci offre il contenuto del racconto, la prospettiva temporale della storia è quella del tempo cronologico e l’interlocutore è trattato come “altro” estraneo ai fatti;

• Il racconto è un insieme strutturato di azioni e situazioni, in cui una successione di avvenimenti reali o fittizi viene intrecciata in una configurazione unitaria che costituisce contesto semiotico nella definizione del rapporto tra le singole parti ed in quello tra le parti ed il tutto (Freda 2008, Freda 2011). Il racconto è il narrato, la prospettiva temporale del racconto è soggettiva, in cui il presente è considerato fine e prodotto dell’intreccio degli eventi narrati, l’interlocutore del racconto partecipa alla sua costruzione attraverso la sua continua collaborazione interpretativa;

• La narrazione/discorso è l’azione stessa del narrare una storia a qualcuno attraverso un racconto. L’atto narrativo si colloca lungo l’asse discorsivo di produzione di testi. Entro questa cornice ermeneutica, la dimensione pragmatica di costruzione narrativa della relazione con l’interlocutore, nell’hic et nunc dello scambio discorsivo, organizza una prospettiva che salda il passato nel presente e orienta il suo sviluppo nel futuro. La relazione con l’interlocutore è costruita dallo stesso andamento discorsivo.

Ogni narrazione costruisce significato attraverso la comunicazione di un contenuto e cioè di una storia, organizzato in un racconto, per mezzo di una narrazione (Freda 2008). La distinzione summenzionata ci consente di osservare in tal modo l’intreccio di diverse funzioni psicologico-ermeneutiche. In primis, una funzione psicologica referenziale, realizzata dalla cornice ermeneutica della storia che permette di parlare del mondo, di ciò che accade fuori dal testo e di mettere tali eventi/fatti in comune con l’interlocutore. La cornice ermeneutica della storia permette alla relazione di generare dei contenuti condivisibili. Inoltre rileviamo una funzione psicologica di intreccio, in cui la narrazione, attraverso la cornice ermeneutica del racconto, parla di se stessa dei nessi che costruiscono il messaggio, della sua coerenza e del suo autore. La cornice ermeneutica del racconto permette di introdurre nella relazione la marca soggettiva del narratore in quanto lascia emergere una prima differenziazione tra i fatti narrati e colui che enuncia e costruisce la storia. Ciò è condizione di partenza anche del processo di collaborazione interpretativa il quale genera un campo relazionale in cui è possibile raccontare e raccontar-si. Infine osserviamo una funzione psicologica enunciativa, in cui la narrazione nel suo farsi atto, si

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connota quale proposta relazionale, definisce i reciproci posizionamenti e imprime una direzione alla relazione e ai suoi possibili sviluppi (ibidem).

Nella relazione clinica, la funzione psicologica della referenzialità assume un’importante funzione di accoglienza permettendo la messa in comune tra clinico e suoi interlocutori di una storia, di fatti/eventi che appartengono all’esterno, del setting, al là e allora della relazione. La funzione psicologica di intreccio permette di dare luogo e tempo alla soggettività, allargando la prospettiva temporale. In termini narrativi, il testo non è in grado di rappresentare l’intera esperienza vissuta ma ne “taglierà alcune porzioni”, “ne ricucirà alcuni lembi”, ne riorganizzerà alcune parti e ne costituirà di nuove attraverso la definizione di un posizionamento, di un punto di vista. Il processo di mediazione simbolica creando la possibilità di “mettere una distanza” tra sé e la propria esperienza permette che la narrazione dia inizio ad una funzione fondamentale: la sospensione dell’agito al fine di promuovere una nuova traiettoria di sviluppo. Allargando la finestra temporale della comprensione dei processi relazionali si consente di non rispondere in termini di reazione momento per momento, ma di organizzare le relazioni intersoggettive in una prospettiva di costruzione e sviluppo nel tempo. Allargando la prospettiva di campo cogliamo le relazioni tra la storia e il background (lo sfondo contestuale) che l’ha generata. L’assunzione di uno sguardo binoculare tra singolo testo e intertesto (quale funzione di connessioni di diversi testi prodotti dallo stesso autore in tempi diversi o da più individui all’interno di una organizzazione) rende possibile osservare non solo il “narrato” ma anche il “narrandum” permettendo di cogliere nessi tra le parti del singolo racconto e tra le parti ed il tutto.

Abbiamo infine una funzione psicologica enunciativa in cui il “là e allora” delle esperienze narrate si fa atto narrativo nell’ “hic et nunc” della relazione. Si verifica e si consente in questo modo la contestualizzazione del processo narrativo che da processo di significazione di un là e allora, e da processo di soggettivazione del suo autore, si fa “proposta relazionale” intersoggettivamente costruita. La narrazione diventa in questo modo una funzione della relazione, orientando lo sviluppo dello stesso scambio e confronto discorsivo. Il focus di tale processo psicologico è la contestualizzazione intesa quale connessione semiotica della significazione soggettiva dell’esperienza con il suo farsi discorso nel contesto attuale della relazione narrativa.

In tal modo il processo narrativo, letto come processo psicologico di connessione semiotica volto alla costruzione di nessi tra le parti e tra le parti ed il tutto, e come processo di contestualizzazione ovvero di connessione intersoggettiva tra testo e contesto, diventa un interessante e formidabile dispositivo dell’intervento clinico volto a promuovere il processo riflessivo e la trasformazione di stagnanti bacini di significato. Infatti, la sclerosi del processo di significazione rende poco flessibili i legami relazionali con gli altri attraverso la staticità e la ripetizione di specifiche modalità di raccontare e significare le proprie esperienze.

La narrazione come processo metodologico clinico dell’intervento viene proposta, in questo contributo, con lo scopo di articolare il rapporto tra narrazione e riflessività, mentre resterà sullo sfondo il rapporto tra emozionalità e processo narrativo altrove sviluppato (Freda 2008). Discuteremo dunque, nei prossimi paragrafi, la narrazione in ambito clinico, quale dispositivo semiotico finalizzato alla promozione del processo riflessivo (Freda et al. in press) fondata sulla collaborazione interpretativa, sulla valenza intersoggettiva e sulla ri-formulazione della proposta relazionale che essa veicola.

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Narrazione e sviluppo della riflessività nel dialogo clinico

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In questo senso se la narrazione può essere considerata una trasformazione narrativa dell’esperienza (Corrao 1987 1991), la relazione clinica si fa luogo di una trasformazione dell’esperienza narrativa nella relazione (Freda 2008).

Riflessività e narrazione

L’interesse di un approccio clinico volto a promuovere la riflessività come processo che realizza una trasformazione del sistema di relazioni intra-inter-soggettive ci induce a considerare la narrazione come possibile strumento di avvio e implementazione del processo riflessivo (Freda et al. in press).

Riferendoci alla distinzione espressa poco fa tra storia, racconto e discorso, riteniamo che la narrazione sia una condizione necessaria, ma non sufficiente, per lo sviluppo di un processo riflessivo. Intendiamo dire che la narrazione si pone come un possibile processo metodologico e non come obiettivo ultimo dell’intervento clinico. Non è la narrazione in sé, lasciata libera di ri-prodursi come processo diluviante di connessioni linguistiche a essere il fine dell’intervento clinico nella nostra prospettiva, e non è neanche la costruzione di una “buona storia” in sostituzione di altre, ma è la narrazione tesa alla riflessività che gradualmente arriva ad inserire nel proprio “testo” la dimensione relazionale e contestuale (“con-testo”) che la produce.

Il tendere verso un rapporto riflessivo tra testo e con-testo ci richiede di argomentare i rapporti tra la narrazione e la riflessività, senza ritenere questi due costrutti come sinonimi o pensare che essi indichino due processi psicologici sovrapponibili.

Il termine riflessione (adoperato in filosofia, in psicologia, in pedagogia, ecc) designa quell’attività e quel processo psichico attraverso il quale un soggetto pensante è capace di ottenere conoscenza di sé. Il processo psicologico riflessivo riparte il soggetto allo stesso tempo in osservante ed osservato attraverso un rimando su di sé del pensiero. Riteniamo che sia importante sottolineare che tale separazione tra osservato e osservatore è possibile solo attraverso la rappresentazione per segni. Il rapporto tra il soggetto e la propria esperienza cessa di essere un flusso indistinto e continuo e viene ri-organizzato dalla mediazione simbolica (Freda et al. in press, De Luca Picione e Freda submitted).

La narrazione intesa come processo semiotico è un mediatore simbolico proteso a ri-organizzare il senso della propria esperienza nel mondo. Il dispositivo narrativo, in tal senso, si presta a essere inteso come un processo semiotico volto alla costruzione e alla rielaborazione delle proprie esperienze attraverso l’utilizzo delle rappresentazioni atte a simboleggiarle (Valsiner 2001, 2004).

Tuttavia questa azione di ri-piegamento riflessivo su di sé della produzione semiotica presenta livelli diversi, la cui complessità e organizzazione qualitativa è di ordine crescente.

Infatti, da un livello di simbolizzazione in cui la realtà appare come totalmente scissa dalla propria soggettività e reificata attraverso la credenza che i segni usati siano i referenti oggettivi di ciò che si vuole indicare e che esiste di per sé, si può giungere gradualmente all’osservazione della propria implicazione nelle relazioni con gli altri all’interno delle istituzioni sociali e culturali entro le quali si agisce.

Riprendiamo la distinzione tra storia, racconto e narrazione e osserviamo come vi siano dei

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Maria Francesca Freda, Raffaele De Luca Picione

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processi riflessivi di diversa portata realizzati attraverso le specifiche connessioni narrative.Quando una persona produce una narrazione di una sua esperienza, la storia prodotta gli

rimanda una conoscenza oggettiva (assunta come tale!) del mondo. La storia cioè presenta una visione del mondo non discussa, ritenuta una conoscenza come data per scontata. Quando il narratore si riconosce come autore del racconto e incomincia a riconoscere se stesso nell’opera inizia il processo di riflessione. Questo è un movimento riflessivo poiché la storia è riconosciuta quale prodotto semiotico, processo soggettivo di intreccio e di costruzione di un’interpretazione degli eventi tra le tante possibili. Sin qui ci muoviamo alla ricerca del significato narrativo.

Un ulteriore sviluppo qualitativo (cioè relativo all’organizzazione dei nessi semiotici) avviene allorquando viene colto riflessivamente il nesso tra la costruzione del significato e la funzione che tale significato assume nell’imprimere una direzione, un senso alle relazioni ed in particolare alla stessa relazione narrativa (De Luca Picione e Freda 2012). Ciò significa cogliere riflessivamente la direzione e la traiettoria nel tempo che lo stesso processo semiotico imprime al contesto intersoggettivo.

La riflessività pertiene al riconoscimento della peculiarità e delle modalità della struttura semiotica in uso in una rete di relazioni. Tale rete di relazioni deve essere pensata non come una mappa di connessioni già data e assoluta, ma come una ricostruzione continua di nessi nel tempo (Freda et al. in press, De Luca Picione e Freda in press).

La questione del tempo diventa per il dispositivo narrativo un focus specifico del lavoro. Bisogna passare dalle dimensioni sature di bisogno, necessità e dovere a quelle insature di possibilità, opportunità, potenzialità, capacità. Tale passaggio può avvenire solo ritenendo il tempo come un aspetto non già-dato ma come una temporalità che si costituisce attraverso la soggettività (Freda e De Luca Picione in press) e la sua attualizzazione nel qui e ora della relazione (Freda 2008).

In sintesi, nella relazione tra riflessività e processo narrativo osserviamo che in prima istanza è necessaria la rappresentazione segnica che rende l’esperienza un “oggetto percepibile e pensabile” che assuma cioè una forma, emergendo dall’indifferenziato. In termini narrativi è ciò che abbiamo definito storia.

Attraverso tale semiosi iniziale, il soggetto si può riconoscere in essa cogliendo la sua attività di racconto. Cioè il soggetto si-riflette nel suo racconto, sa che tale racconto parla di lui e per lui.

Quando il soggetto interconnette il suo racconto al sistema relazionale e contestuale in cui ha preso forma, la sua produzione testuale assume il valore di discorso cioè di relazione che si sta costituendo e in cui è possibile introdurre novità (ibidem). È proprio in quest’ultimo passaggio che riteniamo emerga il processo della riflessività, interesse specifico dell’intervento clinico.

La riflessività in termini clinici riteniamo sia un processo semiotico trasformativo in cui il soggetto costruisce una gerarchia semiotica (cioè un organizzazione di segni composta da diversi livelli di generalizzazione e di astrazione) in cui sono presenti sia rappresentazioni di “cosa” (cioè esposizione di “fatti”), sia rappresentazioni di “processo”. La centralità del processo riflessivo consiste nel riconoscimento della propria soggettività all’interno di una rete dinamica relazionale intersoggettiva. Riconoscer-si in un processo riflessivo intersoggettivo significa tenere presente la propria prospettiva di veduta ed il modo in cui essa direziona, dà senso ai processi relazionali. La trasformazione clinica è una trasformazione che avviene attraverso una

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Narrazione e sviluppo della riflessività nel dialogo clinico

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relazione di connessione tra il qui e ora e il là e allora. L’uso della narrazione come dispositivo di intervento clinico conduce il soggetto a

riconoscere la propria marca soggettiva nella produzione narrativa. Riconoscere cioè la propria funzione costruttiva del racconto. Potremmo dire che tale riconoscimento inizia per riflessione nell’immagine del proprio testo. Fino a giungere al modo in cui il soggetto tratta la storia quale riflesso di sé elaborando la funzione della marca soggettiva all’interno di una cornice relazionale intersoggettiva, contestuale e istituzionale di sviluppo.

Le due facce discorsive della narrazione: continuità e discontinuità

Un’interessante riflessione sulla narrazione come processo semiotico di connessione è la funzione di articolazione della continuità e discontinuità del processo di significazione. Questo aspetto, nella nostra opinione, pone le basi di ogni possibile intervento psicologico e clinico.

Pensiamo per esempio a come spesso le persone attraverso una pratica ripetitiva ed abitudinaria realizzino delle narrazioni che si configurano come modo saturo di significare le proprie esperienze attraverso una omogeneizzazione e rifiuto di ogni diversità, novità, alterità. Tali narrazioni, definite “narrazioni dominanti” (Hermans e Dimaggio 2004, Ribeiro e Gonzales 2011, Freda 2011), generano una certa chiusura ad ogni ulteriore possibile processo di significazione e ri-significazione delle esperienze. In alcune circostanze può accadere che il soggetto racconti una storia dando luogo a una iper-specificazione dei dettagli di un singolo evento perdendo di vista l’orizzonte di senso in cui l’evento si è realizzato, oppure ci si può imbattere in modalità narrative caratterizzate da connessioni circolari e chiuse su stesse, caratterizzate da una intensa ripetitività di temi, contenuti, questioni, ma senza variazioni o cambiamenti.

L’intervento clinico come modalità non di ripristino dell’equilibrio spezzato, della riparazione meccanica della rottura avvenuta, tende a trasformare il processo narrativo in termini riflessivi per cogliere il nesso dell’evento in una traiettoria esperienziale che si forma nel tempo. La riflessività, intesa come processo semiotico intersoggettivo a disposizione di un’opera testuale permette al narratore di ri-co-costruire un progetto narrativo organizzando i singoli episodi e interconnettendoli. La riflessività narrativa è un’implementazione delle relazioni tra soggetto, alterità, contesto e prospettiva temporale.

Tuttavia bisogna osservare che il fenomeno della stasi narrativa non riguarda solo la dimensione storica e di intreccio del singolo soggetto, poiché anche la dimensione discorsiva intersoggettiva può portare con sé una valenza ipostatizzante. Vogliamo, dunque, mettere in evidenza che la stessa dimensione discorsiva intersoggettiva ha sempre una componente ambivalente ed antagonista protesa verso la stabilità, la fissità, l’organizzazione collusiva di simbolizzazioni che incanalano i testi prodotti all’interno della propria cultura e delle proprie istituzioni sociali di appartenenza.

Il riconoscimento di questa dimensione sociale omeostatica della narrazione ci porta a considerare come alcune forme di discorso abbiano una funzione intersoggettiva di riproduzione e di reiterazione delle fondamenta delle famiglie, delle comunità e delle istituzioni sociali al fine di una rassicurazione contro l’ansia del cambiamento, la paura dello sconosciuto e dell’ignoto, la paura della perdita della rassicurante rappresentazione sociale condivisa della realtà.

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Maria Francesca Freda, Raffaele De Luca Picione

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L’intervento clinico che utilizza la narrazione in un setting istituzionale non può fare a meno di riconoscere la cornice contestuale che genera narrazioni come discorsi già dati, già costituiti, già preconfezionati dalla cultura locale istituzionale.

È lungi da noi attribuire a tale matrice collusiva un valore negativo evidenziando esclusivamente gli aspetti di sclerosi psicologica e di sviluppo, poiché qualsiasi istituzione sociale necessita sempre di un fondamento collusivo, di una simbolizzazione affettiva condivisa che regge e regola le azioni e gli scambi tra le persone (Carli e Paniccia 2003, Freda 2008).

Un intervento clinico si fonda sempre su una rottura di continuità (Freda 2008), su un fallimento della collusione come condivisione simbolica affettiva (Carli e Paniccia 2003). Di fronte ad un ostacolo che produce una rottura della costruzione semiotica già acquisita (ovvero ciò che qui stiamo definendo come “continuità”), si innesca una fase di perturbazione, di confusione, di disordine che richiede una nuova rielaborazione semiotica capace di contenere narrativamente l’esperienza della rottura, il bagaglio di conoscenze acquisite, e una nuova direzione di sviluppo di senso proiettata verso il futuro. In questa direzione, fare esperienza significa provare lo smarrimento (per la “rottura”, la discontinuità) e ricostituire una più ampia, generale traiettoria di sviluppo. La rottura della continuità semiotica richiede la costruzione di nuove formazioni semiotiche più ampie e complesse capaci di integrare il senso delle nuove esperienze con quelle passate. In una prospettiva psicologica attenta ai processi semiotici, la narrazione di un’esperienza non ha tanto il valore di descrizione di un evento, quanto del modo in cui il soggetto è capace di dare continuità alle sue esperienze di rottura, attraverso un testo semiotico capace non solo di sopportare ma soprattutto di sostenere le ambivalenze, le contraddizioni, le discontinuità. La narrazione del qui e ora non deve diventare ricapitolazione dei modi di raccontarsi nel là e allora, ma deve rivolgersi, incentivare, accogliere e sostenere la trasformazione.

Stiamo dicendo che in termini clinici, la narrazione clinica può e deve essere di più della ri-produzione istituzionale/sociale messa in parole da un individuo. In maniera graduale l’intervento clinico deve tendere a triangolare l’esperienza della narrazione-già-data con l’esperienza delle altre narrazioni possibili, potenziali, non realizzate ancora.

L’intervento clinico è orientato allo scopo di condurre il narratore a riconoscersi come attivo costruttore della propria esperienza, implicando il passaggio dall’essere narrati all’assumere una posizione attiva di narratore. Attraverso il graduale e progressivo raccordo del là e allora con il qui ed ora, la stessa relazione clinica può divenire un’esperienza di ri-connessione, di trasformazione dell’esperienza narrativa (Bakhtin 1979, 1981; Carli e Paniccia 2003; Freda 2008).

La riflessività messa in moto dalla narrazione in un setting clinico può facilitare lo shift dall’ “Io sono” (inteso in termini assoluti e a-contestuali) all’ “Io come organizzo le mie relazioni”, “Io come sto usando gli strumenti narrativi che ho a disposizione”, “Io come mi racconto insieme agli altri”. Essa si costituisce attraverso una dinamica di connessione intertestuale (in cui vengono confrontati i diversi testi prodotti in passato e/o in “con-testi” diversi – Freda 2008) e di collaborazione interpretativa e creativa di nuovi testi attraverso la dimensione discorsiva che si realizza nel qui-e-ora con l’alterità.

In definitiva la riflessività come processo semiotico ricorsivo può consentire un certo margine di libertà e di autonomia, rendendo possibile alla persona di veder-si come agens e come agendum allo stesso tempo. La persona può cogliersi contemporaneamente come agente

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Narrazione e sviluppo della riflessività nel dialogo clinico

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attivo e come agente passivo delle sue azioni. Il soggetto narra e viene narrato. Quando tale discrepanza trova una nuova sintesi semiotica, il narratore/agente ha a propria disposizione dei segni potenziali, che estendono il tempo di un eventuale scelta prima che essa sia agita. Il narratore agente ha cioè la possibilità di scegliere e produrre diverse narrazioni (discorsi) lungo le quali negoziare la propria azione con gli altri (De Luca Picione e Freda in submission).

Il processo riflessivo può consentire di sospendere una parte delle azioni della persona, in qualche modo già prescritte dalla dinamica collusiva, e di ripensare la direzione delle azioni in termini contestuali, attraverso il cambiamento di prospettiva generato dal proprio riposizionamento narrativo e interattivo.

Trasformazioni dell’esperienza narrativa come scopo dell’intervento clinico

L’intervento clinico nell’ipotesi che vi stiamo proponendo si configura come una specifica metodologia di consulenza volta a promuovere nel cliente competenza utile per gestire la crisi di decisionalità che ha generato la domanda (Freda 2008). Il processo di narrazione all’interno di tale cornice metodologica diventa un esercizio di significazione della propria esperienza attraverso la dialettica di coppie di opposizione dinamica tra fuori e dentro il setting, passato e presente, presente e futuro, tra verità storica e verità narrativa, tra pensiero ed emozioni, tra soggettività e intersoggettività, tra intersoggettività e campo (Freda 2008, Freda e De Luca Picione 2012, De Luca Picione e Freda 2012).

In questo modo non stiamo parlando della produzione di una singola narrazione, ma della esperienza di riformulazione della propria narrazione nel tempo, del discorso intersoggettivo tra testo e contesto.

A tal fine l’intervento clinico volto a usare la narrazione si definisce entro specifici principi metodologici, che ben lungi dal dichiarare una tecnica prescrittiva e procedurale si configurano piuttosto come un orientamento nella conduzione dell’intervento che è volto a cogliere e ad utilizzare l’estrema variabilità narrativa: sospensione dell’azione; adozione di uno sguardo binoculare tra testo ed intertesto; l’adozione di un registro di attenzione fluttuante, orientata a cogliere i processi di transizione tra codici; esercizio di connessioni semiotiche ai diversi livelli e lungo i diversi assi del testo narrativo, in direzione di riconoscimento dei nessi proposti e di costruzione di nessi inediti; l’esercizio di funzioni di contestualizzazioni intese come ancoraggio del testo ai modelli simbolici e culturali della relazione che lo hanno generato e che con il loro dispiegarsi contribuiscono a definire (Freda 2008, 2004).

In questo modo il processo di intervento è volto a ri-costruire ed elaborare il nesso tra testo e le categorizzazioni del problema che lo hanno generato, nonché a ricostruire il nesso biunivoco e mobile tra testo e con-testo, volto a una sua trasformazione.

L’intervento si dispiega attraverso una continua alternanza di registri discorsivi, in cui alla costruzione di un testo narrativo, che identifica una cornice di senso, si alternano fasi di istituzione di un registro meta-narrativo che assumono lo stesso testo ad oggetto di riflessione. In tal senso, può avvenire la trasformazione dell’Esperienza Narrativa entro l’hic et nunc della relazione clinica.

In definitiva, la narrazione con le sue cornici ermeneutiche date dalla storia, dal racconto e dal discorso può costituire un importante dispositivo semiotico di riflessione sull’esperienza e

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Maria Francesca Freda, Raffaele De Luca Picione

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di trasformazione della stessa che permette alla realizzazione dell’intervento di attraversare e di connettere i diversi livelli di realtà organizzati dal setting, rappresentati dall’oggetto-problema, dal dialogo clinico e dal suo divenire, nonché dalla relazione tra campo dell’intervento e contesto istituzionale che lo fonda (Freda 2008, Freda e Milito Pagliara 2012, Freda e De Luca Picione 2012).

Riassunto

Parole chiave: narrazione, intervento psicologico in un setting clinico, processo di significazione, riflessività, continuità e discontinuità, processi di trasformazione del significato

Il contributo intende discutere la narrazione come un dispositivo metodologico all’interno di un setting clinico di intervento psicologico. Gli autori presentano la narrazione come processo di significazione delle esperienze, realizzato sempre all’interno di un contesto culturale e generante una specifica proposta relazionale con l’interlocutore. Dal punto di vista psicologico e clinico l’interesse verte sulle possibilità di trasformazione del processo narrativo e non sulla produzione di prodotti narrativi coerenti e ben confezionati. Per comprendere la complessità e la dinamica del processo narrativo è necessario assumere prospettive in grado di cogliere aspetti, processi specifici e dinamiche di significazione. In considerazione di tali intenti vengono presentati nel lavoro direzioni di studio e di utilizzo delle narrazioni come strumento clinico. A partire dal contributo della disciplina semiotica, la narrazione viene osservata attraverso diversi assi di significazione (asse paradigmatico, sintagmatico, pragmatico e patemico) lungo i quali si può osservare la produzione del senso attraverso l’organizzazione del testo. Viene poi utilizzata in termini psicologici la distinzione tra storia, racconto e narrazione/discorso per distinguere diverse cornici ermeneutiche e le specifiche funzioni psicologiche attivate (referenziali, di intreccio e di enunciazione). Questa distinzione viene utilizzata per cogliere e discutere i processi riflessivi e i processi di trasformazione del rapporto tra continuità/discontinuità nel significare le proprie esperienze e la propria implicazione soggettiva all’interno delle relazioni.

HERMENEUTICS FRAMES OF NARRATIVE AND DEVELOPMENT OF REFLEXIVITY IN THE CLINICAL DIALOGUE

Abstract

Key words: narrative, psychological intervention within a clinical setting, process of meaning making, reflexivity, continuity and discontinuity, processes of transformation of meaning

The paper aims to discuss the narrative as a methodological device within a clinical setting for psychological intervention. The authors present the narrative as a process of meaning of the experiences. It is always achieved within a cultural context and generates a specific relational proposal towards the interlocutor. From the psychological and clinical point of view, the interest of this contribute concerns the several possibility of transformation of the narrative process, as the goal is not the production of coherent and well packaged narratives. In order to understand complexity and dynamics of the narrative process is necessary to assume perspectives able to capture aspects, specific processes and dynamics of signification. In the light of these intentions, directions for study and use of narratives as a clinical tool are presented in this work. Starting from the contribution of the semiotic disciplines, narrative is observed through different axes of signification (paradigmatic, syntagmatic, pragmatic, pathemic axis) along which it is possible to observe

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Narrazione e sviluppo della riflessività nel dialogo clinico

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the meaning making through the organization of the text. Furthermore, the distinction between history, telling and narrative/discourse is used in psychological terms to distinguish between different hermeneutics frames and the activating of specific psychological functions (referential, plot and enunciation). This distinction is used to grasp and discuss the reflexive processes and the processes of transformation of the relation between continuity/discontinuity in order to mean experiences and subjective implication within relationships.

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Maria Francesca Freda Dipartimento di Studi Umanistici - Università degli Studi di Napoli Federico II

Raffaele De Luca Picione Dipartimento di Studi Umanistici - Università degli Studi di Napoli Federico II

[email protected]@gmail.com