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Capitolo quartoLA TUTELA DEL DIRITTO DI PROPRIETÀ

Antonella Barberini

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CAPITOLO IV La tutela del diritto di proprietà

Sezione I Le tecniche di tutela

Sommario 4.1. Considerazioni generali - 4.2. I rimedi posti a tutela delle situazioni di appartenenza - 4.3. La rilevanza della contrapposizione tra azioni reali ed azioni personali nel sistema di tutela del diritto di proprietà - 4.4. Il cumulo dei rimedi - 4.5. La tutela risarcitoria e la tutela compensativa della proprietà - 4.6. La tutela inibitoria.

Legislazione c.c. 439, 832, 840, 844, 872, 873, 874, 879, 892, 935, 937, 938, 939, 940, 948, 949, 950, 951, 1012, 1079, 1171, 1172, 1585, 2037, 2042, 2043, 2058, 2777, 2947 - c.p.c. 12, 15, 21, 612, 613, 614, 700 - c.p. 388, 650 - r.d. 21.6.1942, n. 929, marchio, art. 41 - l. 6.5.1940, n. 554, condominio, art. 1 - l. 22.10.1971, n. 865, espropriazione, art. 20 - l. 27.10.1988, n. 458, espropriazione, art. 3.

Bibliografia Bigiavi 1935 - Messineo 1965 - Arangio-Ruiz 1978 - Comporti 1985 - Santilli 1985 - Mattei 1987 - Castronovo 1991 - Di Majo 1993 - Gambaro 1995 - Bianca 1999 - Cervelli 2001 - Mattei 2001 - Salaris 2005.

4.1. Considerazioni generali.

Nel lib. III del codice civile, all’interno del tit. II dedicato alla proprietà, trova alloca-zione il capo quarto interamente dedicato alle azioni a difesa della proprietà: vi sono disciplinate l’azione di rivendicazione (art. 948 c.c.), l’azione negatoria (art. 949 c.c.), l’azione di regolamento di confini (art. 950 c.c.) e l’azione per apposizione di termini (art. 951 c.c.).Queste azioni rientrano nell’ampio schema delle azioni reali, volte, cioè, a far valere un diritto reale.Altre azioni reali sono previste nella disci-plina dei singoli diritti reali (ad es., l’azione confessoria, di cui agli artt. 1012 e 1079 c.c.) e nei rapporti di vicinato (ad es., la domanda di comunione forzosa del muro, di cui agli artt. 874-876 e 879-885 c.c.).Con l’azione di rivendicazione, di cui all’art. 948 c.c., il proprietario può rivendicare la

cosa da chiunque la possieda o la detenga; qualora il convenuto, dopo la domanda, abbia cessato di possederla o detenerla, sarà obbligato a recuperarla per l’attore a proprie spese o in mancanza a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli del danno. Tuttavia, se il proprietario consegue direttamente la cosa presso il nuovo possessore o detentore, è tenuto a restituire al precedente posses-sore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa.Con l’azione negatoria, disciplinata dall’art. 949 c.c., il proprietario agisce per ottenere la dichiarazione di inesistenza dei diritti affermati da altri sul proprio bene quando abbia motivo di temerne pregiudizio; inoltre, se sussistono anche turbative o molestie può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno.Il codice civile ha predisposto, inoltre, due azioni nominate in materia di confini.

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Per regolare il problema del regolamento dei confini, l’art. 950 c.c. prevede che, quando ci sia incertezza nel confine tra due fondi, ciascuno dei proprietari possa agire per ottenere che il confine venga stabilito giu-dizialmente; al riguardo è ammesso ogni mezzo di prova. Nell’ipotesi di insussistenza di altri elementi probatori idonei, il giudice potrà attenersi a quanto delineato in propo-sito dalle mappe catastali.Per disciplinare il problema dell’apposi-zione di termini, l’art. 951 c.c., stabilisce che quando i confini fra due fondi sono certi, ma mancano o sono divenuti irriconoscibili i segni materiali che li rendono visibilmente percepibili, ciascuno dei proprietari ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni.Tra le azioni poste dall’ordinamento a difesa del diritto di proprietà si annovera anche l’azione di mero accertamento, contenuta in tipiche ipotesi (ad es., nell’azione negatoria di cui all’art. 949, 1° co., c.c., e nell’azione di regolamento di confini, di cui all’art. 950 c.c.).L’azione di accertamento, a differenza delle altre azioni a difesa della proprietà, non è espressamente nominata dal codice civile e la sua definizione si deve alla dottrina ed alla giurisprudenza. Tale azione non è di condanna o costitutiva e presuppone la contestazione o la negazione del diritto di proprietà da parte di un terzo e non anche la privazione del possesso. Pertanto il pro-prietario si assume l’onere di provare che il diritto avanzato dal convenuto è inesi-stente, dimostrando il fondamento del pro-prio, salvo che l’inesistenza si appalesi come effetto normale del diritto di proprietà di cui egli si limita a domandare l’accertamento con efficacia erga omnes.Le azioni reali (o petitorie), concesse a difesa della proprietà e degli altri diritti reali, si distinguono dalle azioni possessorie, volte a far valere il possesso leso da atti di spoglio o molestie, e dalle azioni personali,

volte a far valere diritti personali, ossia pre-tese creditorie o rimedi a tutela di rapporti obbligatori.La differenza tra le azioni reali e le azioni personali risiede nella causa petendi.In particolare, il fondamento della domanda (causa petendi) delle azioni reali è la lesione di un diritto reale.Da tale fondamento consegue che la legit-timazione attiva spetta a chi assume di essere titolare di un diritto reale. Pertanto sarà dichiarata improponibile la domanda dell’attore che non agisce quale titolare di un diritto reale; mentre verrà respinta la domanda di colui che risulterà poi non essere titolare.Le azioni, in funzione di tutela del diritto reale, possono avere finalità di recupero, di ripristino e di risarcimento: in quest’ultimo caso l’attore deve assumere a fondamento della sua domanda la titolarità del diritto e chiedere il risarcimento come sostitutivo del mancato recupero o ripristino del bene.Se, invece, il fondamento della domanda di risarcimento è l’inadempimento o il fatto illecito del convenuto, essa ricade nell’am-bito delle azioni personali.Autorevole dottrina chiarisce la differenza tra l’azione aquiliana e l’azione reale.

Anche chi agisce con l’azione di responsabi-lità extracontrattuale assume normalmente di essere stato leso in un suo diritto, e il diritto di risarcimento è pur esso una forma di tutela del diritto reale. Ma sul piano sostanziale e pro-cessuale la distinzione delle azioni è netta, in quanto l’azione aquiliana è un rimedio contro l’altrui illecito, e richiede quindi di regola la prova di un atto doloso o colposo quale causa di danno, mentre l’azione reale è diretta contro la lesione della proprietà o altro diritto reale quale fatto obiettivamente antigiuridico che prescinde dal dolo e dalla colpa e dalla capacità del suo autore: essa richiede quindi la prova della titolarità del diritto e del fatto lesivo(Bianca 1999, 412).

La divisione tra azioni reali (in rem) e azioni personali (in personam) risale alle fonti

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La tutela del diritto di proprietà 4.1

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romane, in cui assurgeva a summa divisio, in quanto qualificata come la divisione fon-damentale delle azioni.Le azioni principali erano: l’azione di rivendica-zione, l’azione confessoria e l’azione negatoria.Gaio spiega che l’azione è reale quando con essa affermiamo che una cosa corpo-rale è nostra o che su di essa ci spetta un qualche diritto, mentre è personale se con essa agiamo nei confronti di qualcuno che è obbligato verso di noi.Il significato della distinzione tra azioni in

rem e azioni in personam interessava le stesse nozioni di diritti reali e diritti perso-nali, intese attraverso l’angolo visuale della tutela giudiziale.Nel sistema creato dalla giurisprudenza pre-toriale, infatti, l’esistenza e la misura degli interessi giuridicamente protetti erano date dalle azioni concesse agli interessati. Così, l’azione concessa a chi non era proprieta-rio secondo il diritto civile, per il recupero della cosa da chiunque posseduta, valeva a conferire, essa, una posizione sostanziale di garanzia e riconoscimento dell’interesse del soggetto a tenere la cosa in via esclusiva ed assoluta.Colui che, pur non essendo proprietario per lo ius civile, era tutelato dalle azioni concesse dal pretore, si diceva che fosse «in bonis». L’esse o habere in bonis era un’espressione che preludeva l’idea di una nuova proprietà (la c.d. proprietà pretoria o bonitaria).L’acquisto della proprietà civile era vincolato per le res mancipi al compimento dell’atto solenne, mancipatio o in iure cessio: ove questo non avesse avuto luogo, l’acquirente non diveniva dominus ex iure Quiritium.Ma, per ragioni inerenti alle più elementari esigenze del commercio, il pretore sentì di dover proteggere in certi casi l’acquirente sia contro i terzi, sia eventualmente contro lo stesso proprietario, come se il vizio di forma non esistesse.

Il caso privilegiato è quello di una res man-

cipi venduta e poi trasmessa al compratore mediante la semplice consegna (traditio). Per il principio del ius civile, il trasmit-tente rimaneva proprietario finché non si fosse compiuta a vantaggio dell’accipiente l’usucapione; e poteva nell’intervallo inten-tare vittoriosamente la rei vindicatio. Ma il pretore paralizza l’efficacia di questa azione accordando al compratore l’exceptio rei

venditae et traditae, mediante la quale egli rimane in possesso della cosa ed è assolto.Per il caso, poi, che durante lo stesso periodo di tempo un terzo ne sia venuto in possesso, non potendosi consentire all’acquirente la rei vindicatio, il pretore gli concede una formula fittizia detta (dal nome del magistrato giurista che la inventò) actio Publiciana, e consistente nell’invi-tare il giudice a ricercare soltanto se vi sia stata la vendita e la successiva tradizione, e a regolarsi in caso affermativo come se fosse decorso anche il termine dell’usucapione.Accade talvolta che la norma non consideri direttamente un dato fatto come presupposto della sua attuazione, ma giunga al risultato immaginando che in luogo del fatto real-mente accaduto se ne sia verificato un altro già preveduto da una norma precedente, sic-ché questa vi si applichi automaticamente. Quando ciò avviene, si parla di finzione giu-ridica (fictio iuris). Le formulae ficticiae, quindi, proteggono rapporti sconosciuti al diritto civile, ponendoli sotto il regime di altri rapporti già provveduti di tutela giudiziaria.Il diritto romano usò con larghezza questo mezzo nel tempo in cui il diritto pretorio venne correggendo le asprezze del diritto civile: il mezzo era appropriato perché, non potendo il pretore modificare i rapporti del ius civile, la via migliore per proteggere rapporti nuovi era appunto di fare in modo che il giudice si comportasse come se si fossero verificati i presupposti che il diritto civile esigeva.

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4.2 Cap. IV

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Ciò avviene ad esempio nell’actio Publiciana: chi aveva acquistato una res mancipi senza atto solenne, ma mediante semplice tradi-

tio, non diveniva formalmente proprieta-rio (dominus ex iure Quiritium), e non poteva esperire la rei vindicatio: diventava proprietario soltanto mediante il decorso di un certo tempo, per usucapionem; ma il pre-tore, che in certi casi vuole proteggere l’ac-quirente fin dal primo momento, gli concede un’azione fittizia, detta Publiciana, in forza della quale il giudice deve fingere compiuta l’usucapione: il giudice è tenuto a ricercare se sussiste la traditio in base ad una iusta

causa, e, in caso affermativo, a comportarsi come se fosse già trascorso il tempo necessa-rio per l’usucapione, trattando l’attore come dominus ex iure Quiritium.Oltre all’actio Publiciana che conferiva a colui che non era proprietario per il diritto civile una posizione sostanziale di ricono-scimento dell’interesse dominicale, per il diritto romano avere l’azione reipersecu-

toria significava, praticamente, avere il diritto sulla cosa. Dall’intendimento teorico di questo significato sarebbe nata la nozione sostanziale di diritto reale.Le fonti conoscevano anche le azioni miste (actiones mixtae), quali azioni insieme reali e personali. Esempi di azioni miste erano le azioni divisorie e la petizione di eredità.Nel panorama dottrinale emerge l’opinione espressa da un illustre autore (Gambaro 1995, 880) che, con persuasive argomen-tazioni, critica la validità della categoria delle azioni reali, denunciando l’idea che la summa divisio tra azioni reali ed azioni per-sonali rifletta la grande bipartizione sostan-ziale tra diritti reali e diritti di credito, e che ciascuna delle due classi di azioni ripeta le caratteristiche essenziali del tipo di diritto soggettivo corrispondente. Inoltre, sottoli-nea che le azioni reali derivano da un ordi-namento giuridico impostato su un sistema di azioni tipiche che nel diritto moderno è

stato sostituito dalla generale titolarità pro-cessuale dei diritti.Tuttavia, le azioni reali non vanno confuse col generale diritto di difesa processuale, in quanto esse sono poteri inerenti alla pro-prietà e agli altri diritti reali e ne integrano il contenuto (Bianca 1999, 413).Infatti, il principio della generale tutelabilità processuale dei diritti non esclude che l’or-dinamento predisponga determinati rimedi contro la violazione dei diritti.Si precisa che i rimedi processuali sono di natura sostanziale se fanno parte del conte-nuto del diritto, ampliando le facoltà spet-tanti al suo titolare.Pertanto le azioni reali sono rimedi di natura sostanziale esercitabili in via giudiziale: esse sono parte integrante del contenuto del diritto di proprietà e degli altri diritti reali. L’ordinamento, infatti, attribuendo un rimedio specifico al proprietario conforma tale posizione soggettiva relativamente al momento del conflitto circa l’attribuzione delle utilità sui beni.Ma le azioni reali, pur integrando il conte-nuto del diritto sostanziale, si caratteriz-zano per la loro funzione di rimedi contro le lesioni attuali o temute del diritto.Nella proprietà e negli altri diritti reali si impone, quindi, una distinzione afferente al contenuto. Va distinto il contenuto che identifica l’interesse tutelato, cioè i poteri conferiti al titolare per il soddisfacimento di un determinato interesse, dal contenuto che attiene alla tutela del diritto, cioè i poteri strumentali volti a ripristinare o sal-vaguardare la situazione sostanziale lesa o minacciata.

4.2. I rimedi posti a tutela delle

situazioni di appartenenza.

Il tipico rapporto di corrispondenza tra diritto di proprietà e azioni a difesa della proprietà espressamente nominate nel lib. III del codice, può ingenerare la «falsa

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La tutela del diritto di proprietà 4.2

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impressione» che queste rappresentino gli unici strumenti di tutela predisposti dall’ordinamento. Esiste, invece, una plura-lità di rimedi che concorrono a tutelare la proprietà. Il proprietario potrà disporre, in funzione delle varie circostanze, di rimedi risarcitori, restitutori, inibitori, nonché della possibilità di usufruire di azioni di mero accertamento.In particolare, il proprietario potrà esperire le azioni restitutorie che con quelle a difesa della proprietà hanno in comune il risultato pratico di conseguire il possesso del bene; le azioni possessorie che si propongono la reintegrazione di uno stato di fatto; le azioni di nunciazione; le azioni risarcitorie; le azioni inibitorie e le altre azioni comunque dirette all’accertamento positivo del diritto contestato, ferma restando la possibilità del ricorso alla normativa sull’arricchimento illecito.Pertanto queste azioni, a seconda delle circostanze e delle esigenze dei soggetti interessati al loro utilizzo, sviluppano, inte-grandolo, il sistema dei rimedi apprestati dalle azioni a difesa della proprietà.Tuttavia, questa ricca gamma di rimedi impone al proprietario alcuni onerosi adempimenti.In primo luogo, nel caso di beni immobili, si porrà il dilemma circa l’individuazione del foro competente per territorio, posto che nell’ipotesi di azioni reali immobiliari l’art. 21 c.p.c. indica come foro esclusivo, ancorché derogabile, il giudice del luogo dove è posto l’immobile (forum rei sitae), mentre per le azioni che pur concernono un bene immobile, ma che non sono classificate «reali» agli effetti della procedura si ritorna ai criteri generali di individuazione del giu-dice territorialmente competente.In secondo luogo, posto che nella prassi giu-diziale le azioni reali appaiono caratterizzate da una spiccata tipicità, sembrerebbe che si imponga al proprietario l’onere di indicare

quale tra i diversi rimedi tipici egli intende esperire. Tuttavia, questa parvenza di tipi-cità dei rimedi reali non comporta conse-guenze impegnative, grazie alla vigenza del principio del cumulo dei rimedi.Una parte di responsabilità di questa situa-zione viene tradizionalmente imputata al codice civile.A differenza del codice francese che in tema di azioni tace consapevolmente, il nostro codice civile consacra le azioni a tutela della proprietà, dedicando articoli appositi ad azioni nominate.Una parte della dottrina (Gambaro 1995, 872) ritiene che l’aver contemplato nel lib. III alcune azioni nominate per proteggere la proprietà e le situazioni di appartenenza possa dare la falsa impressione che esse esauriscano il catalogo dei bisogni di prote-zione del diritto di proprietà.Tale impressione è falsa perché nasce dall’idea per cui il diritto di proprietà si pre-senta, al momento in cui richiede tutela, come il diritto reale per antonomasia e, perciò, debba essere tutelato da azioni c.d. reali. Si instaura, in questo modo, un’equa-zione perfetta tra diritto reale e azioni reali.Ma si potrebbe intendere questa equazione anche in maniera speculare, e cioè imma-ginando che le vere estrinsecazioni del diritto di proprietà siano solo quelle in cui tale diritto può essere tutelato da azioni c.d. reali.Ma l’autore in esame ritiene che sia pro-prio l’equazione tra consistenza del diritto e natura della tutela che appare sistemati-camente insostenibile nel diritto positivo attuale.Infatti, il contenuto del diritto di proprietà appare varie volte conformato, per ragioni di pubblico interesse, in modo tale che la sua tutela venga espressa in forme risarcitorie e non reipersecutorie. A ciò si aggiunge la constatazione che la proprietà, immessa nei traffici del mercato, si sfilaccia in una serie

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di attributi che non sempre congiungono la realità della situazione di appartenenza (jus

in rem) con la forma reipersecutoria della tutela, posto che quest’ultima può essere concessa anche a diritti ad rem, ed inoltre, potendo la tutela che consente di pervenire ad impadronirsi della cosa essere concessa contro alcuni, ma non contro tutti.Da queste considerazioni si potrebbe infe-rire come la falsa idea della corrispondenza perfetta tra diritto di proprietà e le azioni nominate, contemplate nel lib. III del codice civile, sia una manifestazione di nostalgia verso la proprietà fondiaria statica che è stata sociologicamente la proprietà tipica dell’Europa dell’economia rurale, alla quale sola verrebbe riservata la vera qualifica di proprietà. Tuttavia, dopo l’avvento della prima rivoluzione industriale, ciò contraste-rebbe rispetto al modo di essere sostanziale della proprietà contemporanea (Gambaro 1995, 873).Il sistema dei rimedi apprestati dalle azioni a difesa della proprietà, nella loro singolarità, potrebbero, quindi, riflettere una conce-zione della proprietà individuale «colorata di nostalgia» verso la proprietà fondiaria statica, tipica di un’economia rurale ormai obsoleta, contraddetta dalla logica attuale del regime dei beni produttivi.Inoltre, può dirsi che la falsa impressione di esaustività delle azioni contemplate nel lib. III è stata favorita da una circostanza sopravvenuta.Si è accreditata, infatti, una saldatura sul piano dogmatico tra la nozione civilistica di proprietà ed i rimedi tipici che la tradizione romanistica appresta a sua tutela, saldatura che si esprime nella connessione tra diritti reali ed azioni reali.Lo scrittore in esame, imputa, però, la responsabilità maggiore alla dottrina, accu-sandola di perseguire unicamente l’armo-nia dell’edificio dogmatico costruito sul tema specifico delle azioni a tutela della

proprietà, tralasciando i bisogni di giustizia che sono alla base di qualunque sistema di tutela e che difficilmente possono essere colti al di fuori di un’ottica realistica dei rimedi disponibili di fronte alla lesione di una posizione soggettiva sostanziale ricono-sciuta dall’ordinamento.

4.3. La rilevanza della

contrapposizione tra azioni reali ed

azioni personali nel sistema di tutela

del diritto di proprietà.

Da un’analisi compiuta sui termini che più frequentemente vengono impiegati nel lin-guaggio giurisprudenziale emerge la pre-ponderanza di due aggettivi qualificativi: «reale» e «personale».Questi termini sono spesso usati come cop-pia antagonista al fine di qualificare una determinata situazione soggettiva.Approfondendo lo studio, emerge che la coppia qualificatoria e antagonista «reale» e «personale» è legata ad un nesso indissolu-bile: essa collega il momento rimediale con quello sostanziale.Tuttavia, i criteri utilizzati per sistematiz-zare gli esiti di tale operazione di qualifica-zione sono più di uno. Pertanto, per poter definire gli ambiti di rilevanza della qualifi-cazione che viene attribuita alle azioni poste a tutela della proprietà, occorre separare il problema della competenza territoriale da quello attinente alle caratteristiche dei rimedi sostanziali.Tale duplicità di indagine si rende necessaria perché ai fini dell’applicazione del criterio del forum rei sitae si usa la stessa nomen-clatura che si utilizza per separare i rimedi ex proprietate dai rimedi ex contractu o ex delicto, ricorrendo cioè alla contrapposi-zione tra azioni reali e azioni personali.Tuttavia, tale sistema di classificazione non trova giustificazione perché questa opposi-zione non ha lo stesso significato nell’area processuale ed in quella rimediale.

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Per ciò che riguarda la competenza per terri-torio, il nostro codice civile attuale ha eredi-tato il criterio del forum rei sitae dal codice di procedura civile francese del 1807. L’art. 59 prevedeva che, nel caso di controversie attinenti alla situazione dei beni corporali, dovesse essere designato come territorial-mente competente il giudice del luogo in cui si trovava la cosa oggetto del litigio, in quanto era quello che poteva più agevolmente com-piere perizie ed osservazioni locali.Il legislatore distinse tra azioni personali, reali e miste, assegnando la cognizione delle prime al criterio generale del foro del con-venuto, mentre le seconde al criterio del forum rei sitae.L’aver adottato una nomenclatura classifica-toria identica a quella usata per distinguere i rimedi che nascevano dai diritti reali e dai diritti di credito creò grande confusione.Alla base della scelta del criterio identifica-tivo del giudice competente vi era lo scopo di assicurare la più efficace ripartizione del lavoro tra uffici giudiziari. Sennonché, posta al servizio di tale scopo, la contrapposizione tra azioni reali ed azioni personali mutava senso, poiché divenivano personali tutte quelle azioni che, per quanto basate sul diritto di proprietà, non avessero connes-sione con la collocazione fisica della cosa nello spazio.Pertanto, per la giurisprudenza francese le azioni reali divennero solo le azioni riferite a controversie sul possesso di beni immobili, mentre quando il diritto di proprietà o altro diritto reale dava origine ad una domanda non afferente ad un bene immobile, le azioni erano da considerarsi personali. In partico-lare, furono personali le azioni ex proprie-

tate che si risolvevano nella domanda di una somma di denaro e, pertanto, le questioni relative alla proprietà di un bene mobile non erano considerate «reali».La dottrina evidenziò come l’opposizione si realizzasse tra azioni immobiliari e azioni

mobiliari, e non tra azioni reali ed azioni personali. Tale dato rimase acquisito nel codice di procedura civile francese del 1975, con l’aggiunta che le azioni immobiliari, per poter adattarsi al criterio del forum rei

sitae, dovevano essere quelle reali.Il collegamento tra azioni personali, per cui era competente il giudice del domicilio del convenuto, ed azioni reali, per cui valeva il principio del forum rei sitae, passò dal codice di procedura civile francese in Italia, dove, i redattori del codice Sardo, tradus-sero l’originaria nomenclatura in quella che anzitutto opponeva le azioni mobiliari alle azioni immobiliari, legando quindi al codice di procedura civile italiano del 1865 il chia-rimento che in materia di competenza per territorio si procedeva ad una classificazione diversa rispetto all’opposizione romanistica tra diritti reali e diritti di credito.La soluzione suggerita al momento della redazione del primo codice processuale unitario era stata quella di eliminare ogni riferimento al carattere reale e personale dell’azione, rendendo sempre competente il giudice del luogo in cui si trova il bene immobile, riconoscendo perfettamente razionale la regola del forum rei sitae per tutte le azioni immobiliari, così reali come personali.Ma occorre bilanciare i benefici della cer-tezza nell’individuazione del giudice com-petente per territorio con quelli della utilità delle parti litiganti.Infatti, anche rispetto agli immobili possono sorgere controversie che non hanno atti-nenza con la situazione materiale del fondo e non è razionale che per esaminare la vali-dità o l’invalidità di un contratto traslativo ci si debba recare dal giudice del luogo in cui si trova l’immobile anche quando entrambe le parti hanno il loro domicilio in un altro luogo.Autorevole dottrina (Bigiavi 1935, 78 ss.) sostiene che l’azione tendente ad ottenere

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la restituzione di un immobile trasferito sulla base di un negozio annullato, risolto o rescisso non deve essere giudicata dal Tribunale del luogo in cui è situato quest’ul-timo, ma rappresenta una condictio che deve essere conosciuta dal giudice del luogo di conclusione del contratto o da quello del domicilio del convenuto.Le dispute dottrinali e giurisprudenziali hanno, purtroppo, smarrito il punto di rife-rimento di questa materia rappresentato dal problema specifico che si deve risolvere. In tal modo hanno finito per sovrapporre alla confusione della nomenclatura la confu-sione dei concetti.L’autore in esame (Gambaro 1995, 879) ritiene che alla base di ciò ci sia il tentativo di mantenere il legame tra la classificazione delle azioni reali immobiliari che deve essere adottata al fine di dirimere le questioni circa la competenza per territorio, con la summa

divisio sostanziale tra diritti reali e diritti di credito. Legame che, inevitabilmente, fa riaffiorare l’opposizione romanistica tra azioni reali ed azioni personali, che aveva, però, tutt’altro scopo.La qualificazione di un’azione ai fini della competenza non ha un legame con la natura del rimedio in sé e ciò è chiarito dalla circo-stanza che la rivindica mobiliare è un’azione personale ai fini dell’art. 21 c.p.c., mentre essa è un’azione reale per ogni altro scopo.Non va esente da questa critica neppure il linguaggio usato nelle massime giurispru-denziali che, ricco di riferimenti all’opposi-zione tra azioni reali ed azioni personali, ma, per converso, privo di indicazioni circa la natura della controversia, finisce per sugge-rire che la qualificazione di un’azione come reale o personale, anziché essere cangiante in funzione dei diversi problemi di volta in volta affrontati, sia un’operazione avente valenza universale. A questo proposito si può indicare la pronuncia con la quale la Cassazione ha ritenuto che

la domanda diretta ad ottenere la rimozione di una situazione lesiva del diritto di proprietà, non accompagnata dalla contestuale richiesta di declaratoria del diritto reale, esorbita dai limiti della negatoria servitutis e può assu-mere la veste dell’azione di reintegrazione in forma specifica di natura personale(Cass. 18.7.1991, n. 7984, CED, 1991).

La giurisprudenza sostiene che, anche ai fini della individuazione del giudice compe-tente, la natura dell’azione debba dedursi dall’esame congiunto della pretesa dell’at-tore e delle eccezioni del convenuto. In par-ticolare, la Cassazione ha sostenuto che, nel caso di azione diretta ad ottenere il rilascio di un immobile occupato senza titolo o a titolo precario, la contestazione del diritto di proprietà dell’attore, anche se effettuata dal convenuto unicamente per far respin-gere la domanda, trasforma l’azione per-sonale in azione reale, dal momento che il giudice deve decidere sulla sussistenza del diritto di proprietà vantato da una parte e negato dall’altra. Tuttavia, non si può rite-nere esente da critica il criterio per il quale l’individuazione del giudice competente venga a dipendere dalle eccezioni sollevate dal convenuto.

Nel caso di azione diretta ad ottenere il rilascio di un immobile occupato senza titolo o a titolo precario, la contestazione del diritto di pro-prietà dell’attore, anche se effettuata dal con-venuto, con la deduzione un suo contrastante diritto dominicale, unicamente per far respin-gere la domanda, trasforma l’azione personale in azione reale, dal momento che il giudice deve decidere sulla sussistenza del diritto di pro-prietà vantato da una parte e negato dall’altra; ne consegue che per individuare il giudice com-petente a conoscere della controversia deve farsi ricorso alla disciplina contenuta nell’art. 15 c.p.c. e non a quella contenuta nell’art. 12 stesso codice(Cass. 26.9.1991, n. 10073, MGI, 1991).

In realtà, conclude lo scrittore in esame (Gambaro 1995, 880), ai fini dell’individua-zione del giudice competente per territorio ex art. 21 c.p.c., le cause relative a diritti

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La tutela del diritto di proprietà 4.3

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reali su beni immobili sono solo quelle che attengono al contenuto di tali diritti, nelle quali, quindi, le parti disputano circa l’am-piezza del diritto di usare e di godere del bene immobile che pertiene ad esse o ad una di esse, mentre non sono cause relative a diritti reali quelle relative all’esistenza o meno di un titolo che conferisca un diritto reale su un immobile, poiché in tal caso la causa petendi non è il diritto reale in sé, ma l’atto o il fatto che è causa di attribuzione del diritto ad un soggetto.Inoltre, lo schema dogmatico classificato-rio, imponendo di suddividere le azioni tra azioni reali ed azioni personali, suggerisce che questa summa divisio tra i rimedi riflette la grande bipartizione sostanziale tra diritti reali e diritti di credito e che perciò ciascuna delle due classi di azioni ripete le caratteristiche essenziali del tipo di diritto soggettivo corrispondente.E ciò contribuisce ad accrescere il senso di smarrimento.Passando dal problema della competenza territoriale a quello delle caratteristiche dei rimedi sostanziali, si sottolinea come l’indicazione circa la corrispondenza tra la summa divisio tra i rimedi e la summa

divisio sostanziale tra diritti reali e diritti di credito abbia valenza universale, tanto da ritenere che una qualsiasi azione reale debba riflettere i caratteri di assolutezza, immediatezza ed esclusività tipiche dei diritti reali in genere e del diritto di pro-prietà in particolare.In primo luogo, la simmetria tra le caratte-ristiche del diritto reale e quelle dell’azione «reale» riguarda il profilo della legittima-zione passiva. Si pone in evidenza che, come il diritto reale concerne l’appartenenza di una cosa ed è opponibile a tutti, così l’azione reale si rivolge contro chiunque contrad-dica tale appartenenza; viceversa l’azione personale è simmetrica ai diritti di cre-dito che sono orientati verso una persona

determinata in quanto il bisogno di tutela che esse esprimono presuppone la viola-zione di un obbligo di cooperazione dove-rosa di soggetti determinati.Autorevole dottrina (Di Majo 1993, 74) cri-tica queste posizioni, chiedendosi quanto della distinzione tra le actiones si sia per-petuato nei moderni ordinamenti giuridici, che non sono più impostati su di un sistema di azioni tipiche.In secondo luogo, si ritiene che mentre nelle azioni reali l’attore deve far valere solo la sua titolarità ed eventualmente la lesione di una norma di attribuzione, nel caso di azioni personali occorre riferirsi alla situazione di conflitto all’interno di rapporti specifici.Ma, in questo secondo caso, è evidente che si tratta di differenza tra azioni di accerta-mento ed azioni di altro tipo piuttosto che di criterio distintivo tra azioni reali ed azioni personali; mentre o schema delle azioni ambulatorie, nelle quali cioè la legittima-zione passiva circola con l’eventuale circo-lazione della cosa, presenta una coincidenza con l’azione di rivendicazione, ma di per sé non è logicamente deducibile dalla sua essenza, come invece si pretende. Infatti, lo schema ambulatorio è applicabile anche al di fuori della tutela della proprietà e con-cerne l’efficacia della tutela in forma speci-fica anziché il carattere reale del diritti fatto valere.Tuttavia, è opportuno chiarire che l’ambulato-rietà dell’azione concerne solo gli eventi che si verificano prima della domanda giudiziale, poiché dal momento in cui l’azione è iniziata vale il principio per cui tutti i diritti – assoluti o relativi, reali o personali – possono essere fatti valere nel processo solo nei confronti di una persona determinata che assume la posi-zione di convenuto.Questi due esempi indicano, per l’autore in esame (Gambaro 1995, 882), che i caratteri distintivi tra azioni reali ed azioni personali non vengono mai compiutamente analizzati,

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tanto che le azioni vengono anche classifi-cate in base al loro trattamento processuale. Infatti, è in base al collegamento tra actio e disciplina del processo e tra actio e provve-dimento del giudice che si suole distinguere tra azioni esecutive, azioni inibitorie, azioni di cognizione e azioni preventive; nonché, in seno al processo di cognizione, tra azioni di accertamento, di condanna e costitutive.Di tutt’altra natura appaiono quindi sia l’op-posizione tra azioni reali ed azioni personali, sia le sottodistinzioni che operano in seno alla classe delle azioni reali. Qui con i nomi romani di rivendicazione, negatoria ecc., si trovano sottoclassi che tipizzano il rimedio di volta in volta a disposizione del proprieta-rio e che pretendono di restituire il nesso tra azione e diritto fatto valere.Un’analisi compiuta sulle singole azioni con-duce a rilevare come il connotato della rea-lità contrapposto a quello della personalità, venga di volta in volta rintracciato secondo criteri diversi.Ai fini della qualificazione dell’azione di rivendicazione si sostiene che essa possieda un doppio carattere: reale e personale.In particolare, essa è reale quando la causa

petendi è rappresentata dalla sussistenza del diritto di proprietà in capo all’attore, ed il petitum sia il ricongiungimento del pos-sesso alla proprietà. In assenza di questi due presupposti l’azione è personale.Inoltre, essa potrà avere carattere restituto-rio ove la causa petendi sia rappresentata dall’inefficacia, sopravvenuta od originaria, del titolo derivativo che conferisce al conve-nuto il jus detentionis, mentre il petitum è sempre rappresentato dalla restituzione della cosa. L’azione potrà, invece, assumere carat-tere risarcitorio quando, qualunque sia la causa petendi, l’attore non chieda la restitu-zione della cosa, ma l’equivalente pecuniario.È in base a questo schema che si afferma che, poiché le azioni si individuano in base alla causa petendi ed al petitum, sussiste

l’azione di rivendicazione quando la causa

petendi è rappresentata dalla titolarità del diritto di proprietà, ed il petitum dalla con-danna alla restituzione della cosa.Se ne deduce che, in mancanza di uno di questi due elementi, si è fuori dalla fattispe-cie dell’azione di rivendicazione.L’art. 948, 1° co., c.c. precisa che il proprie-tario può rivendicare la cosa da «chiunque» la possiede o detiene.In tal senso l’azione di rivendicazione va distinta dalle altre azioni di carattere resti-tutorio relative a situazioni possessorie legittimamente sorte sulla base di un titolo proveniente dallo stesso proprietario, ma ormai prive di giustificazione, poiché, per esempio, il preesistente rapporto contrat-tuale si sia estinto ovvero sia stato annullato, sciolto o rescisso. Si tratta di ipotesi in cui l’azione, come suole dirsi, ha carattere per-sonale, poiché può essere esercitata soltanto nei confronti del soggetto che era «parte» del rapporto, né è richiesta la prova da parte dell’attore della titolarità del diritto.L’azione di rivendicazione ha, invece, carat-tere reale, poiché consegue alla riafferma-zione del diritto di proprietà, rivolgendosi nei confronti di qualunque «terzo» che abbia acquistato il possesso o la detenzione del bene al di fuori di un preesistente rapporto con il proprietario del medesimo (Cass. 14.6.1976, n. 2218, RFI, 1976).La giurisprudenza ha precisato che identico è il risultato pratico perseguito, cosicché le azioni possono proporsi in via alternativa, anche implicita; se è stata promossa sol-tanto una di esse, questa può trasformarsi in corso di giudizio (nella specie: nel giudizio d’appello) nell’altra, in relazione alle ecce-zioni del convenuto.

L’azione di rivendicazione e quella di restitu-zione, pur differenziandosi, perché mentre la prima, di natura reale, tende al riconoscimento del diritto di proprietà dell’attore e al consegui-mento del possesso sottrattogli contro la sua

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volontà, la seconda, di natura personale, pre-suppone che la detenzione della cosa sia stata trasferita al convenuto dall’attore o dal suo dante causa in forza di un rapporto successi-vamente venuto meno, sono entrambe dirette allo stesso risultato pratico del recupero del possesso del bene, con la conseguenza che possono essere proposte in via (anche implici-tamente) alternativa, ovvero che, essendo stata promossa espressamente soltanto una di esse, questa possa trasformarsi in corso di giudizio (nella specie: nel giudizio di appello) nell’altra in relazione alle eccezioni del convenuto(Cass. 28.1.1985, n. 439, MGI, 1985).

In proposito, la giurisprudenza, ha affermato spesso, in maniera forse troppo generica, che l’esercizio dell’azione di rivendicazione presuppone che lo spossessamento sia avve-nuto «senza la volontà» del proprietario: ciò fa sorgere il problema relativo all’ammissibi-lità di ricorrere all’azione di rivendicazione, anche nei casi in cui sia possibile esercitare una comune azione restitutoria.La giurisprudenza, nell’individuare l’azione di restituzione, di natura personale, usa una formula tramandata, che lascia residuare non poche incertezze. Si parla infatti di detenzione della cosa trasferita al convenuto dall’attore o dal suo dante causa «in forza di un rapporto successivamente venuto meno». Ci sono, tuttavia, azioni restitutorie di natura personale che operano soprattutto per il caso in cui il trasferimento volontario della detenzione «della cosa» dall’attore al convenuto avvenga (non già in forza, bensì) in difetto di un rapporto come nel caso della ripetizione dell’indebito e, più in generale, del rimedio nei confronti dell’arricchimento senza causa.Diverso è il criterio in base al quale si giunge ad individuare il connotato della realità con-trapposto a quello della personalità nel caso dell’azione negatoria.Infatti, ai fini della qualificazione dell’azione negatoria, che rappresenta il principale e più completo tra i rimedi posti a tutela del diritto di proprietà, la giurisprudenza

precisa che occorre distinguere tra azione negatoria reale e le analoghe azioni di natura personale, sulla base del diritto vantato dal convenuto.In particolare, se il convenuto pretende di esercitare un diritto reale sul fondo dell’at-tore, questi può esperire l’azione negatoria ex art. 949 c.c. che è tipicamente azione reale; se, invece, le molestie e le turbative non sono collegate alla pretesa di esercitare un diritto reale, colui che agisce per respin-gerle può ricorrere soltanto ad un’azione di risarcimento del danno mediante reintegra-zione in forma specifica.Il criterio che conduce a far dipendere dalla replica del convenuto l’identificazione della natura dell’azione si ritrova in numerose pronunce della giurisprudenza.

La domanda di rimozione di una conduttura idrica, che l’attore assume essere stata abusi-vamente installata sul proprio fondo da parte del proprietario di un fondo vicino, anche se accompagnata da richieste risarcitorie, va qualificata actio negatoria servitutis (avente come contraddittore il proprietario del preteso fondo dominante), e non azione di risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica, in quanto, per la natura dell’opera, tale da determinare, nel suo uso normale, l’asservimento del primo fondo al secondo, la domanda deve ritenersi intesa a difendere in prospettiva la libertà del fondo dall’acquisto per usucapione della corrispondente servitù(Cass. 15.6.1982, n. 3637, MGI, 1982).

Sempre in tema di negatoria servitutis.

La negatoria servitutis è diretta non solo all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù, ma anche al conseguimento della ces-sazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere l’effettiva libertà del fondo; ne consegue che la conte-stuale domanda concernente la rimozione di opere lesive del diritto di proprietà, inerendo allo stesso oggetto della negatoria, deve rite-nersi inclusa nel contenuto e quindi nel valore di questa, da determinarsi secondo il criterio fissato dalla legge, senza che trovi applicazione il principio del cumulo delle domande(Cass. 6.12.1986, n. 7267, MGI, 1986).

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In tema di servitù di passaggio.

L’actio negatoria servitutis è diretta non solo all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù (nella specie di passaggio) ma anche all’eliminazione – al fine di ottenere l’effettiva libertà del fondo – della situazione antigiuridica posta in essere dal terzo; ne consegue che rien-tra nello schema di detta azione la domanda diretta nello stesso tempo ad ottenere la rimo-zione delle opere lesive del diritto di proprietà realizzate dal terzo e la cessazione del passag-gio abusivo(Cass. 6.12.1988, n. 6632, MGI, 1988).

In tema di servitù prediali, la distribuzione dell’onere della prova dispensa l’attore dal provare l’esistenza del preteso diritto.

L’azione negatoria è rivolta ad una pronuncia che accerti la libertà dell’immobile posseduto; l’attore in negatoria deve provare la proprietà e non anche la libertà del fondo, gravando sul convenuto l’onere di provare l’esistenza del preteso diritto(Cass. 28.11.1991, n. 12762, GI, 1993, I, 1, 452).

In particolare:

L’azione negatoria di cui all’art. 949 c.c. è proponibile non solo contro chi vanti pretese configurabili come ius in re aliena ma anche contro chi si affermi proprietario del bene (senza averne il possesso)(Cass. 11.11.1992, n. 12123, AC, 1993, 293).

L’evidente anomalia del criterio che conduce a far dipendere dalla replica del convenuto l’identificazione della natura dell’azione conduce, a volte, a rovesciarlo, sfruttando il carattere negativo della negatoria: perciò esso viene talvolta descritto come quello in forza del quale è azione reale l’azione in cui l’attore agisca per far accertare la libertà del fondo da un diritto reale.

La domanda diretta ad ottenere la rimozione di una situazione lesiva del diritto di proprietà, non accompagnata dalla contestuale richiesta di declaratoria del diritto reale, esorbita dai limiti della negatoria servitutis e può assu-mere la veste dell’azione di reintegrazione in forma specifica di natura personale(Cass. 18.7.1991, n. 7984, MGI, 1991).

Tuttavia, lo spostamento dell’angolo visuale non consente di riportare entro confini di normalità il criterio in base al quale iden-tificare la natura dell’azione, in quanto l’interesse a richiedere la declaratoria dell’esistenza del diritto di proprietà libero da pesi altrui sussiste solo quando il conve-nuto abbia preteso di esercitarne qualcuno, pertanto, è sempre la pretesa del convenuto che si riflette sulla qualificazione dell’azione intrapresa dall’attore.Va subito chiarito che non è così, ma la giu-risprudenza, in tema di immissioni non ini-bibili, ha comunque affermato che, poiché il convenuto non pretende di esercitare un diritto reale sul fondo altrui, ma si limita a negare il carattere intollerabile dell’immis-sione, l’attore può esigere solo un risar-cimento del danno, ovvero è costretto a vantare un credito relativo ad una somma di denaro, e ciò rende personale la sua azione.Diverso è il carattere delle due azioni di confine.Nel caso dell’azione di regolamento di con-fini si suole dire che essa è sempre un’azione reale: tale qualificazione è data sulla sola base della causa petendi perché l’attore può anche non indicare nel proprio petitum di agire per la restituzione di una cosa.L’azione di apposizione di termini, invece, è qualificata azione personale in base al solo petitum che non può essere altro che la somma di denaro che rappresenta il con-corso del vicino nelle spese necessarie per ripristinare i termini mancanti o scomparsi.Inoltre, l’affermazione che nelle azioni reali la causa petendi è data dalla titolarità della proprietà o di altro diritto reale viene inte-grata dall’indicazione dell’onere della prova che grava sull’attore.Nel caso della rivendicazione l’onere della prova si assolve risalendo ad un acqui-sto a titolo originario. Posto che ciò non trova sempre corrispondenza nel diritto applicato, si discute, allora, se le azioni di

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La tutela del diritto di proprietà 4.3

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rivendicazione siano due anziché una. In ogni caso né l’azione negatoria, né l’azione di regolamento di confini cessano di essere azioni reali, ancorché l’attore non debba produrre un acquisto a titolo originario, e che quindi la sua causa petendi è un diritto di proprietà a titolo derivativo.Tale ragionamento conduce a ritenere criti-cabile l’idea che i concetti di causa petendi e di petitum rappresentino validi criteri di identificazione delle azioni.L’esistenza della categoria delle azioni reali, e quindi la sua contrapposizione con le azioni personali, troverebbe la sua testi-monianza nel codice civile, che ne elenca una serie di tipi particolari e che, proprio per questo motivo, possono raggrupparsi in una apposita classe. Tuttavia, manca la con-dizione di legittimità logica per poter enu-cleare la classe delle azioni reali, in quanto i singoli elementi dell’insieme sono carenti di caratteristiche comuni.In verità, la categoria delle azioni reali ha la sua radice nell’idea che, se i rimedi si model-lano sulla sostanza del diritto soggettivo che proteggono, è logico che ne riflettano l’es-senza: ciò ha condotto ad assumere la rei-vindicatio come criterio per la definizione del concetto di proprietà.L’identificazione del jus vindicandi come nucleo essenziale della definizione concet-tuale del dominium risale ai glossatori: dominus dicitur qui rei vindicationem

habet; ma la stessa trasposizione si ritrova nei primi commentatori del Code Napoléon.Ciò ha influito sulla mentalità giuridica, la quale assume che lo jus vindicandi è sempre in evidenza nel concetto di pro-prietà, tanto che pensando al diritto di pro-prietà il pensiero corre alla rivendicazione: ciò conduce a ritenere che la proprietà è tutelata con azioni reali tipiche ed a con-cludere che quando il proprietario agisce in base ad azioni personali egli si spoglia di questa sua qualità ed entra nel processo in

un’altra veste, che prescinde dalla posizione proprietaria.Secondo l’autore in esame (Gambaro 1995, 885), sta proprio in questa conclusione la ragione del fraintendimento.I discorsi classificatori acquistano rilevanza pratica quando si istituisce una equivalenza tra il petitum e la qualificazione dell’azione: ciò ha condotto la giurisprudenza a ritenere reale l’azione in cui si chiede la restituzione della cosa o la cessazione delle molestie che ne impediscono il pieno godimento e, per converso, a ritenere personale l’azione con la quale l’attore chiede la condanna del convenuto al pagamento di una somma di denaro.

Il titolare di una servitù può agire in giudizio sia per farne accertare la esistenza e il contenuto, sia per fare cessare eventuali impedimenti o tur-bative, nonché per chiedere la rimessione delle cose in pristino, oltre a risarcimento del danno; ma, mentre la domanda di riduzione delle cose in pristino stato, ove si tratti di violazione posta in essere dal proprietario del fondo servente, può essere proposta, per il carattere reale della relativa azione dall’attuale titolare della servitù e contro l’autore della violazione, solo se e in quanto costui abbia ancora quella proprietà, la domanda, diretta a ottenere il risarcimento dei danni subiti dal fondo dominante, è esperibile, tenuto conto del carattere personale della rela-tiva azione, anche dal soggetto che abbia perso la qualità di titolare della servitù, purché abbia subito i danni quando ancora la conservava, e contro l’autore della violazione da cui è deri-vato il danno, anche se non sia più proprieta-rio del fondo servente, limitatamente ai danni maturati sino al momento in cui ha avuto luogo il trasferimento della proprietà di detto fondo(Cass. 26.2.1986, n. 1214, MGI, 1986).

Tuttavia, tale equivalenza, se richiede che venga qualificata come personale l’azione in cui si manifesti la pretesa dell’attore a ricevere una somma di denaro, impone poi all’attore di fondarla su un titolo diverso dal mero diritto di proprietà.Si introduce, in questo modo, nella tutela del diritto di proprietà una distorsione. Infatti, si finisce per qualificare l’azione mediante il

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petitum, ossia attraverso la natura della pre-tesa esposta in giudizio e da essa si procede ad indicare i caratteri del diritto sostanziale che deve essere fatto valere per sorreggerla.Dal punto di vista pratico, ciò diminuisce la tutela della proprietà perché, ogni volta che il proprietario si limita a chiedere un ristoro monetario, sembrerebbe imporgli di presen-tarsi come vittima di un atto illecito, e quindi a convenire in giudizio solo l’autore di esso, a provarne la colpa o il dolo, ed a soggiacere ai limiti prescrizionali brevi che concernono il risarcimento del danno da atto illecito.Alla base di tale distorsione c’è un errore di metodo che si realizza quando si deduce la qualificazione dell’azione da una «essenza» del diritto fatto valere, che è lontana dai caratteri attuali della proprietà. Infatti, non c’è corrispondenza tra le caratteristiche delle due categorie di azioni con i caratteri dei diritti reali e dei diritti di credito.Ciò è facilmente dimostrabile. Per le azioni personali è ormai acquisito che l’esecuzione specifica non è collegata alla diade diritti assoluti – diritti relativi. Per le azioni reali basta richiamare le norme positive dalle quali emerge che la proprietà è tutelata con rimedi non recuperatori o inibitori, bensì risarcitori e tuttavia in modo assoluto. Tali sono le ipotesi della tutela risarcitoria contro le immissioni intollerabili ex art. 844, 2° co., c.c.; del diritto al doppio del valore del suolo nella accessione invertita ex art. 938 c.c.; del diritto al prezzo della materia in caso di spe-cificazione ex art. 940; della rivendicazione che consegue il solo valore monetario della cosa ex art. 948. Tali norme dimostrano che esistono casi contemplati dall’ordinamento vigente in cui il proprietario non consegue la restituzione della cosa che gli apparteneva, né fa ricorso ad azioni reali tipiche, tuttavia agisce in quanto proprietario.Tuttavia, va rilevato che, generalmente, lo schema classificatorio è il prodotto di una tradizione culturale ed i riferimenti a questa

si riducono spesso a riferimenti al diritto romano; ma in tal modo si finisce per negare la sussistenza attuale della costruzione giu-ridica classificatoria.Infatti, il diritto romano era un sistema basato sulla tipicità delle azioni ed il pen-siero giuridico ha potuto raggruppare i diversi tipi di azioni in classi.Nonostante in area romanistica il criterio della tipicità delle azioni sia stato superato da molti secoli, i giuristi romanisti hanno verso il passato una venerazione così grande che riescono a classificare i diversi tipi di azioni secondo lo schema tramandato dalle fonti, quando i tipi hanno cessato di esistere già da molto tempo. Né si può credere che sparite le actiones tipiche romane possano restare in vigore le categorie delle actiones.Le controversie sulla teoria dell’azione avevano diviso la nostra dottrina proces-sualistica: c’era chi riconosceva all’azione autonomia concettuale rispetto alle figure di diritto sostanziale, e perciò classificava le azioni solo in funzione del loro trattamento processuale, e chi, invece, riteneva che solo i diritti potessero essere raggruppati in classi omogenee. Si giunse alla conclusione che le azioni dovevano essere classificate in riferi-mento alla natura del provvedimento giudi-ziale cui miravano, ma si poteva ammettere una loro classificazione collegata al diritto da tutelare o alla natura del bene. Così nella dottrina processualistica tornò a campeg-giare la summa divisio tra azioni personali, corrispondenti ai rapporti obbligatori, ed azioni reali corrispondenti ai diritti reali.Il crescente disagio manifestato dalla dot-trina verso la contrapposizione tra azione reale ed azione personale viene espresso con particolare incisività da un autore recente (Di Majo 1993, 73) che si chiede quanto della distinzione tra actiones si sia perpe-tuata nei moderni ordinamenti giuridici, che non sono più impostati su un sistema di azioni tipiche, caratterizzate da una propria

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disciplina e statuto. A ciò si aggiungono gli equivoci insiti nella pretesa identificazione tra actio e diritto soggettivo. Il risultato è l’incongruenza di cui sono vittime quella dottrina e quella giurisprudenza che conti-nuano a ritenere che le azioni si identificano mediante il doppio elemento del petitum e della causa petendi, senza chiedersi se ciò che è valido in funzione di classificazioni di tipo processuale, lo sia anche in funzione di classificazioni che pretendano di collegare il diritto al rimedio (Cass. 9.4.1975, n. 1302, RTDPC, 1978, 392).In tema di immissioni, la giurisprudenza ritiene l’art. 844 c.c. suscettibile di interpre-tazione estensiva.

La norma dell’art. 844 c.c. deve essere interpre-tata estensivamente nel senso di riconoscere la legittimazione attiva, oltreché al proprietario del fondo che subisce le immissioni, al titolare di un diritto reale di godimento su di esso(Cass. 11.11.1992, n. 12133, FI, 1994, I, 205).

Ne consegue che:

il titolare di un diritto personale di godimento (qual è, tra gli altri, il promissario acquirente di un immobile immesso anticipatamente nella disponibilità del bene) può ottenere l’inibi-zione dell’attività immissiva facendo ricorso all’art. 1585 comma 2, nonché, in via analo-gica, all’art. 844 c.c. peraltro, ove l’eventuale accoglimento della domanda inibitoria com-porti l’adozione di modifiche nelle strutture dell’immobile, da cui le propagazioni derivano, in misura tale da incidere sull’oggetto e perciò sull’essenza stessa del diritto reale immobiliare del vicino, deve essere consentita la prosecu-zione di siffatte immissioni, salvo indennizzo(Cass. 11.11.1992, n. 12133, FI, 1994, I, 205).

Per ciò che riguarda quest’ultimo aspetto è necessario porre in rilievo come il criterio di coerenza tra diritti e rimedi richiede che i diritti siano intesi a partire dalle utilità che essi racchiudono e non nella loro struttura formale.Infatti, il principio della generale tutelabi-lità delle posizioni giuridiche riconosciute dall’ordinamento ha senso solo se inteso in

riferimento alla protezione delle utilità che competono ad un soggetto in virtù della loro distribuzione. Ne consegue che i rimedi ex

proprietate aderiscono alla conformazione concreta dello specifico diritto di proprietà che è fatto valere. Pertanto il proprietario non può agire con azione negatoria per far cessare molestie ed intrusioni che la confor-mazione del suo diritto non gli consente di respingere.Così, ad esempio, nel caso previsto dall’art. 1, l. 6.5.1940, n. 554, il quale stabilisce che i proprietari di uno stabile o di un apparta-mento non possono opporsi alla installa-zione nella loro proprietà di antenne esterne destinate al funzionamento di apparecchi radiofonici appartenenti agli abitanti dello stabile o degli appartamenti stessi, nonché alla loro manutenzione.

Il locatore non è responsabile nei confronti del condominio dei danni che il conduttore pro-vochi sulle cose comuni per l’installazione o la manutenzione dell’antenna autonoma desti-nata alla ricezione dei programmi radiotele-visivi (nella specie, la cassazione ha ritenuto che il diritto personale ed autonomo all’instal-lazione dell’antenna spetta all’abitante dell’ap-partamento indipendentemente dalla qualità di condomino)(Cass. 25.2.1986, n. 1176, GI, 1987, I, 1, 133).

Per l’autore in esame (Gambaro 1995, 891), a ciò si deve aggiungere che anche la modu-lazione dei rimedi fa parte integrante della strategia di conformazione di un diritto che un ordinamento può porre in atto. Le azioni reali sono allora rimedi di natura sostanziale esercitabili in via giudiziale: esse entrano nel contenuto del diritto di proprietà e degli altri diritti reali. Attribuendo al proprietario un rimedio specifico – recuperatorio, inibi-torio, risarcitorio – l’ordinamento conforma tale posizione soggettiva relativamente al momento del conflitto circa l’attribuzione sulle utilità dei beni.Tuttavia, conformare una posizione sogget-tiva significa conferire ad essa il suo modo

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4.4 Cap. IV

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di essere, stabilendo le modalità mediante le quali essa può essere legittimamente eserci-tata, e quindi modificarne la natura.Pertanto, ciò che ha senso distinguere nel mondo attuale sono le pretese ex proprie-

tate dalle pretese che si fondano su altro titolo.La pretesa ex proprietate è la pretesa al rispetto del diritto di proprietà così come esso è conformato dall’ordinamento. Tale pretesa, in termini di domanda giudiziale, richiede sempre l’accertamento del diritto di proprietà, e poiché tale accertamento è richiesto dalla natura della pretesa, si dovrà accertare quale precisa utilità proprietaria si voglia mantenere integra.Così, il rispetto delle distanze legali tra edi-fici da origine ad una pretesa ripristinatoria, mentre il rispetto di altre prescrizioni urba-nistiche ed edilizie da origine al solo risar-cimento del danno, senza la possibilità di chiedere la riduzione in pristino.In altri termini, colui che subisce un pre-giudizio dal fatto che il vicino abbia edifi-cato oltre i limiti di altezza consentiti, può ottenere il ristoro monetario, ma non può ottenere il rimedio in forma specifica che gli conferirebbe, invece, una signoria completa sui luoghi che non gli appartengono.Tuttavia, ciò che viene dedotto in giudizio è pur sempre il diritto di proprietà e la sua lesione, tanto è vero che il quantum del risarcimento viene commisurato alla con-creta situazione proprietaria lesa.La stessa regola vige in materia di immis-sioni intollerabili, ma che non possono essere inibite.La tutela viene considerata oggettivamente, escludendo la rilevanza dell’elemento sog-gettivo dell’illecito, perché non si verte in materia di torto aquiliano, ma di tutela della proprietà, pertanto queste pretese non pos-sono essere trattate come azioni personali ex delicto, come invece si legge spesso nelle massime giurisprudenziali.

4.4. Il cumulo dei rimedi.

Nel nostro sistema le azioni reali si cumu-lano con le azioni personali; di conseguenza il proprietario che sia parte di un rapporto giuridico negoziale può usufruire anche dei rimedi posti a tutela della posizione contrattuale.Nel caso della proprietà, il criterio del cumulo dei rimedi è un riflesso della regola sostanziale per cui al proprietario compe-tono sia i rimedi che si collegano al momento statico, sia i rimedi che dipendono dal nego-zio in cui si è manifestato il suo potere di disporre.In materia di cumulo di tutele si possono configurare tre aree. La prima attiene al cumulo tra azione reale ed azione personale ex contractu; la seconda riguarda il cumulo tra azioni personali ex delicto ed azioni ex

proprietate; la terza afferisce al cumulo tra azione ex proprietate e azione di restitu-zione dell’indebito o azione di arricchimento senza causa.Il cumulo tra azione reale ed azione personale ex contractu è costantemente affermato in giurisprudenza. Così, chi abbia effettuato il deposito di un proprio bene potrà otte-nerne la restituzione sia invocando il sem-plice fatto di essere proprietario della res, sia invocando il credito alla restituzione del bene depositato che nasce dal contratto di deposito. Saranno le circostanze di fatto ad indicare il rimedio più conveniente da invo-care e la scelta rimediale operata dall’attore non potrà essere contestata dal convenuto.A questo riguardo si possono citare alcune massime della giurisprudenza di legittimità.In materia di contratti stipulati dalla p.a.

L’invalidità, per vizi attinenti alla formazione e alla manifestazione di volontà di un ente pub-blico, dell’atto con cui tale ente attribuisce ad altro soggetto il godimento di una cosa di sua proprietà incide soltanto sul momento trasla-tivo-costitutivo del diritto, ma non condiziona negativamente il diritto dell’ente stesso alla

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La tutela del diritto di proprietà 4.4

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restituzione della cosa oggetto del contratto, ed il correlativo esercizio dell’azione personale per ottenerla e non comporta, quindi l’onere per l’ente, che intenda riottenere la cosa, di esercitare l’azione reale(Cass. 28.5.1981, n. 3506, MGI, 1981).

In materia di azione di rivendicazione, legit-timato passivamente è colui che detiene il bene di fatto o in base ad un rapporto contrattuale.

A norma dell’art. 948 c.c., legittimato passiva-mente all’azione di rivendica (che è, per sua natura, reale e non personale) è chiunque di fatto, comunque, possegga o detenga il bene rivendicato, onde abbia la facultas resti-

tuendi; tale legittimazione, pertanto, ricorre anche nei confronti del detentore, che abbia ottenuto la consegna della cosa, in base ad un rapporto contrattuale, dallo stesso richiedente, ove quest’ultimo, anziché avvalersi semplice-mente della cessazione del predetto rapporto e dell’obbligo di restituzione in esso compreso, intenda invece ottenere il riconoscimento del suo diritto di proprietà ed il recupero del pos-sesso (accollandosi, in tale ipotesi, il più gravoso onere della prova sia del suo diritto dominicale, sia del possesso da parte del convenuto)(Cass. 14.2.1987, n. 1613, MGI, 1987).

Anche se identico è il risultato pratico che l’attore intende conseguire attraverso i due rimedi, esistono tra l’una e l’altra opzione alcune differenze.La richiesta di restituzione del bene pre-suppone che la detenzione di esso sia stata trasferita al convenuto dall’attore stesso, o dal suo dante causa, in forza di un rapporto successivamente venuto meno. Gli elementi della pretesa avanzata dall’attore, alla cui prova è condizionato l’accoglimento della domanda sono: il negozio costitutivo del rapporto ed il fatto che esso abbia perduto efficacia, come nel caso di nullità origina-ria, invalidità sopravvenuta, decorrenza del termine di durata, esercizio della facoltà di recesso, ecc.Tale principio si ritrova, oltre che nella già citata Cass. 14.2.1987, n. 1613, MGI, 1987, in numerose altre pronunce della Cassazione.

In materia di vendita con riserva di proprietà.

L’azione diretta a far valere il diritto alla resti-tuzione di un bene oggetto di un contratto di vendita a rate con riserva della proprietà, nei confronti dell’acquirente inadempiente all’ob-bligazione di pagamento del prezzo, ha natura non di azione reale di rivendica ma di azione contrattuale personale proponibile nelle forme del procedimento monitorio(Cass. 26.11.1991, n. 12654, MGI, 1991).

L’azione di rivendicazione si differenzia dall’azione di restituzione per natura e presupposti.

L’azione di rivendica e quella di restituzione, pur tendendo entrambe al risultato pratico di far recuperare il possesso della cosa, hanno natura e presupposti diversi, in quanto con la prima, di carattere reale, l’attore assume di essere proprietario della cosa e di non averne più il possesso, sicché agisce contro chiunque di fatto la possieda o la detenga, sia al fine di ottenere il riconoscimento del suo diritto di proprietà e sia al fine di conseguire il possesso della cosa stessa; mentre la seconda azione, di natura personale, ha il suo fondamento nel venir meno del titolo in base al quale la cosa sia stata trasferita, e con essa l’attore non mira ad ottenere il riconoscimento del suo diritto di proprietà, del quale non deve fornire la prova, ma tende ad ottenere la riconsegna della cosa stessa, onde si può limitare alla dimostrazione della avvenuta consegna in base ad un titolo e del successivo venir meno di quest’ultimo per qualsiasi causa(Cass. 30.11.1987, n. 8895, MGI, 1987).

L’azione di rivendicazione e l’azione di resti-tuzione, pur avendo natura diversa, sono dirette allo stesso risultato pratico.

L’azione di rivendicazione e quella di restitu-zione, pur differenziandosi, perché mentre la prima, di natura reale, tende al riconoscimento del diritto di proprietà dell’attore e al consegui-mento del possesso sottrattogli contro la sua volontà, la seconda, di natura personale, pre-suppone che la detenzione della cosa sia stata trasferita al convenuto dall’attore o dal suo dante causa in forza di un rapporto successi-vamente venuto meno, sono entrambe dirette allo stesso risultato pratico del recupero del possesso del bene, con la conseguenza che possono essere proposte in via (anche implici-tamente) alternativa, ovvero che, essendo stata

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promossa espressamente soltanto una di esse, questa possa trasformarsi in corso di giudizio (nella specie: nel giudizio di appello) nell’altra in relazione alle eccezioni del convenuto(Cass. 28.1.1985, n. 439, MGI, 1985).

La giurisprudenza specifica gli elementi che sorreggono la pretesa avanzata dall’attore: il negozio costitutivo del rapporto ed il fatto che questo abbia perduto efficacia.

L’azione di rivendicazione e quella di restitu-zione, pur differenziandosi perché, mentre la prima, di natura reale, tende al riconoscimento del diritto di proprietà dell’attore ed al conse-guimento del possesso sottrattogli contro la sua volontà, la seconda, di natura personale, pre-suppone che la detenzione della cosa sia stata trasferita al convenuto dall’attore o dal suo dante causa in forza di un rapporto successiva-mente venuto meno per invalidità, inefficacia, decorso del termine di durata, esercizio della facoltà di recesso, con il conseguente sorgere dell’obbligo di restituzione, sono entrambe dirette allo stesso risultato pratico del recupero del possesso del bene, con la conseguenza che possono essere proposte in via (anche implici-tamente) alternativa, ovvero che, essendo stata proposta espressamente soltanto una di esse, questa possa trasformarsi, in corso di giudizio, nell’altra, in relazione alle eccezioni del conve-nuto ed a determinate condizioni(Cass. 7.1.1983, n. 120, MGI, 1983).

Va tenuto presente, però, che la struttura della controversia dipenderà anche dalle eccezioni sollevate al convenuto. Si possono enucleare due diverse ipotesi.Se il convenuto contesta il fatto che l’effica-cia del rapporto sia venuta meno, l’oggetto di essa rimarrà puramente negoziale e si risol-verà in base all’accertamento dell’ineffica-cia, originaria o sopravvenuta, del contratto attributivo del diritto, reale o personale, di godimento vantato dal detentore.

Ancorché l’attore proponga azione di rivendica-zione ove il convenuto non opponga un diritto dominicale sul bene, bensì si limiti a dedurre un proprio diritto al godimento di tale bene, ossia un titolo giustificativo della detenzione, la condanna alla restituzione del bene a favore dell’attore può far seguito solo all’accertamento della inefficacia (originaria o sopravvenuta) del

contratto traslativo del diritto (reale o perso-nale) di godimento vantato dal detentore(Cass. 27.2.1987, n. 2116, MGI, 1987).

Se, invece, il convenuto non nega l’esistenza del contratto ed il venir meno della sua effi-cacia, ma eccepisce di aver acquisito un diritto proprio al godimento del bene, ad esempio, per usucapione, sarà quest’ultimo titolo ad essere oggetto di accertamento, senza che dalla contestazione in materia di proprietà possa derivare un aggravamento dell’onere della prova a carico dell’attore.

Il proprietario comodante può avvalersi, al fine di conseguire il rilascio del bene concesso ad altri in godimento, sia dell’azione di rivendica che della azione contrattuale di natura obbliga-toria; in questa seconda ipotesi, l’attore non ha l’onere di provare la proprietà del bene mede-simo, bensì soltanto l’esistenza del contratto di comodato e le sue implicazioni di carattere sog-gettivo, senza che possa rilevare al riguardo di tale regime probatorio che il convenuto abbia eccepito l’usucapione del bene in suo favore, in quanto tale pretesa, non è idonea a trasformare in reale l’azione tipicamente personale propo-sta nei suoi confronti(Cass. 16.8.1990, n. 8326, MGI, 1990).

Se il convenuto contesta il titolo di apparte-nenza del bene in capo all’attore, la contro-versia non cambia natura.Nel caso in cui l’attore agisca con l’azione di restituzione di un bene oggetto di un rap-porto contrattuale, la contestazione che il convenuto rivolge al titolo dell’attore, rimane sempre subordinata o alla contesta-zione dell’inefficacia del rapporto, ovvero all’affermazione di detenere in base ad un titolo o ad un rapporto non relativi all’at-tore e non dipendenti dal titolo di costui. Infatti, se l’attore ha successo nel provare l’esistenza del rapporto da cui trae origine la detenzione del convenuto e la sua inef-ficacia, l’azione di restituzione deve esser accolta e la cosa deve essere riconsegnata, essendo irrilevante in quel giudizio che l’at-tore rimanga poi esposto all’azione di riven-dicazione da parte del vero proprietario.

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La tutela del diritto di proprietà 4.4

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Schemi analoghi si realizzano quando l’at-tore chiede la consegna del bene che ha acquistato con negozio traslativo: in tal caso i ruoli si invertono in quanto è l’attore che invoca la validità e l’efficacia del negozio da cui trae il suo titolo ed il convenuto a contestarla.Passando alla seconda area di indagine, va rilevato che il problema del cumulo tra azioni ex proprietate ed azioni ex delicto appare più complesso.Resta fermo, anche in questo ambito, il fatto che la scelta spetta in primo luogo al pro-prietario attore.Sotto questo profilo, si sottolinea come la giurisprudenza faccia costante riferimento a questo principio nella materia della tutela del marchio. In tal caso, l’attività illecita con-sistente nella contraffazione di un marchio mediante l’uso di disegni distintivi iden-tici o simili a quelli legittimamente usati dall’imprenditore concorrente, può essere da quest’ultimo dedotta a fondamento sia di un’azione reale a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, sia di un’azione delittuale per concorrenza sleale, ove ne esistano i presupposti.

L’attività illecita, consistente nell’approvazione o nella contraffazione di un marchio, mediante l’uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall’imprenditore con-corrente, può essere da quest’ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un’azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul mar-chio, ma anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti(Cass. 3.7.1992, n. 8157, MGI, 1992).

L’azione di contraffazione ed usurpazione del marchio di natura reale, e l’azione di concorrenza sleale di natura personale, possono essere esperite congiuntamente o alternativamente.

L’azione di usurpazione o di contraffazione del marchio e quella di concorrenza sleale sono

diverse fra di loro per natura, presupposti ed oggetto, e tendono a risultati diversi: la prima è azione di revindica di carattere reale, posta a presidio del diritto all’uso esclusivo del segno distintivo, e cioè a difesa del diritto assoluto sul bene immateriale; la seconda ha carattere per-sonale e tende a reprimere gli atti di scorret-tezza professionale idonei a creare confusione con i prodotti e l’attività di un concorrente e a danneggiare l’impresa altrui(Cass. 22.2.1986, n. 1080, FI, 1986, I, 3064).

L’attività illecita può essere dedotta dall’im-prenditore concorrente a fondamento sia di un’azione reale, sia di un’azione delittuale.

Il titolare di un marchio registrato, od anche di fatto, ma tutelabile in relazione ad un uso che ne abbia realizzato la funzione individuatrice (in presenza dei requisiti di novità e liceità), può insorgere, avverso l’illecita contraffazione dell’imprenditore concorrente, sia con azione a tutela del diritto esclusivo all’uso del marchio medesimo, sia con azione di concorrenza sle-ale, per ottenere il risarcimento del danno, ove quel comportamento abbia creato confondibi-lità fra i prodotti; la prima azione, avendo carat-tere reale, è imprescrittibile (salva restando l’eventuale decadenza dal marchio, a norma dell’art. 41, r.d. 21 giugno 1942, n. 929, per effetto di sopravvenuta volgarizzazione, cioè di trasformazione del marchio in denominazione generica di un prodotto o merce); la seconda, esperibile alternativamente, od anche congiun-tamente, ha natura personale e si ricollega ad una successione e reiterazione di atti illeciti, con la conseguenza che, trovando applicazione la prescrizione di cui all’art. 2947 c.c., è riferi-bile al danno verificatosi nel quinquennio ante-riore alla domanda(Cass. 18.10.1985, n. 5131, MGI, 1985; GI, 1987, I, 1, 139; GDI, 1985, 99).

Sempre in materia di marchi.

Le azioni concesse a tutela dei brevetti e quelle in materia di concorrenza sleale hanno natura e presupposti diversi ed autonomi, le prime avendo carattere reale erga omnes ed essendo dirette alla protezione di diritti reali assoluti su beni immateriali ed alla rimozione degli effetti pregiudizievoli, mentre le seconde hanno carat-tere personale e sono dirette all’accertamento dell’illecito concorrenziale nelle sue varie mani-festazioni ed alla pronuncia sanzionatrice delle conseguenze dannose; ne consegue che, pur potendo le due azioni essere cumulate nello

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stesso giudizio, non necessariamente l’una è condizionata o dipendente dall’altra, nel senso che, come può esservi fatto illecito costituente violazione di brevetto senza comportare con-correnza sleale, così può esservi fatto di con-correnza sleale pur senza costituire violazione di brevetto(Cass. 28.10.1983, n. 6382, GI, 1984, I, 1, 1477; MGI, 1983; FP, 1983, I, 253).

In materia di contraffazione ed usurpazione del marchio occorre distinguere l’azione reale di usurpazione dall’azione personale di risarcimento.

In caso di contraffazione di marchio occorre distinguere l’azione reale di usurpazione, che prescinde dalla buona fede del soggetto attivo della violazione, dall’azione personale di risar-cimento, rispetto alla quale hanno rilevanza le situazioni soggettive dei responsabili, quali il dolo, la colpa e la buona fede(Cass. 6.6.1983, n. 3828, RCP, 1984, 372).

Nella stessa pronuncia, la giurisprudenza precisa che le situazioni soggettive sono irri-levanti ai fini dell’azione reale.

Le situazioni soggettive, quali il dolo, la colpa, la buona fede, di chi usa un marchio altrui senza averne il diritto, possono assumere rile-vanza solo ai fini dell’accoglimento o meno dell’azione (personale) di concorrenza sleale e di risarcimento del danno proposta contro il responsabile, ma sono del tutto irrilevanti ai fini dell’azione diretta ad impedire l’usurpazione o la contraffazione del marchio, che è un’azione di carattere reale avente ad oggetto immediato e diretto la tutela della titolarità esclusiva del bene immateriale destinato al servizio di un’im-presa, nei confronti di chiunque ponga in essere un fatto oggettivamente lesivo di quella titola-rità, indipendentemente dalla sua buona fede(Cass. 6.6.1983, n. 3828, MGI, 1983).

Va chiarito che, mentre la tutela aquiliana è sempre concessa al proprietario, purché ne esistano i presupposti, il cumulo di tutele si attua solo in riferimento alle ipotesi in cui sia disponibile contemporaneamente anche la tutela ex proprietate, sia di tipo risarcito-rio che recuperatorio.Il cumulo tra rimedio aquiliano e rimedio ex proprietate tende ad essere trascurato

dalla giurisprudenza che adotta un linguag-gio che suggerisce un’alternativa netta tra rimedi recuperatori, ai quali si attribuisce carattere reale e che quindi sarebbero i soli che derivano dalla proprietà, e rimedi risar-citori i quali sarebbero tutti ex delicto e quindi inquadrabili nello schema aquiliano.Per fare chiarezza, l’autore in esame (Gambaro 1995, 895) individua tre ipotesi di cumulo tra rimedi ex proprietate e rimedio aquiliano.La prima ipotesi, si manifesta quando il proprietario di un bene subisce turbative o molestie da parte di un altro, ovvero quando il proprietario di un bene viene sposses-sato: egli può agire per ottenere il semplice risarcimento del danno in quanto vittima di un illecito aquiliano e non si dubita che questo rimedio si cumuli con l’esperibilità dell’azione negatoria nel primo caso, e con l’esperibilità dell’azione di rivendicazione nel secondo caso.

Il titolare di una servitù può agire in giudizio sia per farne accertare l’esistenza e il contenuto, sia per fare cessare eventuali impedimenti o turba-tive, nonché per chiedere la rimessione delle cose in pristino, oltre a risarcimento del danno; ma, mentre la domanda di riduzione delle cose in pristino stato, ove si tratti di violazione posta in essere dal proprietario del fondo servente, può essere proposta, per il carattere reale della relativa azione dall’attuale titolare della servitù e contro l’autore della violazione, solo se e in quanto costui abbia ancora quella proprietà, la domanda, diretta a ottenere il risarcimento dei danni subiti dal fondo dominante, è esperibile, tenuto conto del carattere personale della rela-tiva azione, anche dal soggetto che abbia perso la qualità di titolare della servitù, purché abbia subito i danni quando ancora la conservava, e contro l’autore della violazione da cui è deri-vato il danno, anche se non sia più proprieta-rio del fondo servente, limitatamente ai danni maturati sino al momento in cui ha avuto luogo il trasferimento della proprietà di detto fondo(Cass. 26.2.1986, n. 1214, MGI, 1986).

Si realizza un’ipotesi di cumulo tra azione reale ed azione personale nel caso in cui il proprietario agisca per ottenere la rimo-zione di opere realizzate abusivamente.

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La tutela del diritto di proprietà 4.4

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Qualora il proprietario di un fondo agisca per la rimozione di opere abusivamente costruite da altri, sia che l’azione proposta abbia natura per-sonale, in quanto rivolta contro colui che, pur non vantando pretese di natura reale sul bene abbia posto in essere su di esso le anzidette attività lesive dell’integrità e del godimento, sia che l’azione debba inquadrarsi nello schema dell’actio negatoria, la prova della proprietà può essere fornita dall’attore con qualunque mezzo, incluse le presunzioni, mentre al conve-nuto, che deduca l’esistenza, in virtù di un rap-porto di natura obbligatoria o reale del diritto di compiere l’attività lamentata come lesiva, spetta di offrire la relativa dimostrazione(Cass. 28.11.1988, n. 6412, MGI, 1988).

In tema di accessione invertita.

L’art. 938 c.c., secondo cui, se nella costruzione di un edificio è occupata in buona fede una porzione del fondo attiguo ed il proprietario di questo non fa opposizione, l’autorità giudizia-ria, in base alle circostanze, può attribuire la proprietà dell’edificio e del suolo occupato al costruttore, il quale è tenuto a pagare al pro-prietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata ed a risarcirgli i danni, configura la nascita e l’imputazione di tali due rapporti obbligatori e la nascita e l’imputazione del nuovo rapporto di proprietà in capo al costruttore come vicendevolmente dipendenti; siffatta reciprocità causale degli effetti nor-mativi non è scindibile nell’attuazione per via di giurisdizione, perché, essendo imminente in ogni elemento del loro insieme, costituisce essenziale requisito di legittimità della pronun-zia del giudice, che, conseguentemente, non può accogliere la domanda diretta a far valere l’obbligazione indennitaria e quella risarcitoria suindicate in difetto del loro fattore generico, rappresentato dall’attribuzione al costruttore della proprietà dell’edificio e della superficie occupata, ai sensi dell’art. 938 cit.(Cass. 26.10.1981, n. 5593, MGI, 1981).

Nella particolare ipotesi di inosservanza delle distanze sul suolo cimiteriale.

Il concessionario di suolo cimiteriale è titolare, nei rapporti con altri privati, di una posizione di diritto soggettivo, tutelabile con tutte le azioni normalmente spettanti al proprietario per la difesa del diritto dominicale; pertanto, qualora la tomba realizzata dal predetto concessio-nario riceva turbativa o molestia, per effetto dell’esigua distanza osservata da un terzo nella

realizzazione di altra edicola funeraria in dif-formità delle prescrizioni della autorità con-cedente, deve riconoscersi al concessionario medesimo la facoltà di agire, in via personale, od in via reale, e, quindi anche con actio nega-

toria servitutis, per conseguire un ripristino dello stato dei luoghi, comprensivo di un even-tuale arretramento del nuovo manufatto, nei limiti in cui si renda necessario alla cessazione di quella situazione lesiva(Cass. 21.2.1981, n. 1052, MGI, 1981).

La seconda ipotesi esclude, invece, il cumulo tra rimedi ex proprietate e rimedi ex delicto e ricorre quando il diritto di pro-prietà sia estinto in virtù del medesimo fatto o atto che dà origine ad una pretesa risarci-toria di carattere aquiliano.La terza ipotesi è quella più complessa e ricorre quando la proprietà sia conformata in modo da essere tutelata solo con rimedi risarcitori. A differenza della seconda ipo-tesi, in questo caso il diritto di proprietà continua a sussistere in capo al proprietario, ma si esplica con una tutela conformata in modo tale che il suo titolare può ottenere solo un ristoro monetario.Tale ristoro, tuttavia, non è condizionato alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, inoltre non è esperi-bile solo contro l’autore dell’illecito, né vede come legittimato attivo la vittima di un ille-cito avvenuto in un determinato momento, ma il proprietario del bene al momento della domanda. In quest’ultimo caso non si ha quindi alcun cumulo tra azioni, ma un’azione ex proprietate il cui petitum è risarcitorio.La terza area che si può configurare in materia di cumulo riguarda la tutela della proprietà mediante azione di restituzione dell’indebito e mediante azione di arricchi-mento senza causa.Per ciò che concerne il rimedio rappre-sentato dall’azione di arricchimento senza causa, basta richiamare l’art. 2042 c.c. che ammette la proposizione di tale azione solo quando il danneggiato non può esercitare

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un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito.Nonostante il carattere sussidiario del-l’azione, è tuttavia sicuro che l’esperibilità di un’azione ex proprietate rende improponi-bile il ricorso a quella di arricchimento senza causa, escludendo così il cumulo.Circa il rimedio rappresentato dall’azione di ripetizione dell’indebito, la questione del cumulo tra questa ed i rimedi ex proprie-

tate che si sostanziano nell’azione di rivendi-cazione è sostenuta in giurisprudenza.

Nell’ipotesi in cui la cosa sia stata volontaria-mente consegnata ad altri nella convinzione che questi ne fosse il proprietario, il tradens che, accortosi dell’errore di tale convincimento, voglia affermare di essere egli il proprietario della cosa stessa, può esperire, a sua scelta, o l’azione di restituzione di cosa determinata ai sensi dell’art. 2037 c.c., ovvero l’azione di rivendicazione. Per la prima basta che l’attore dimostri che la cosa non è di proprietà del convenuto, sostenendo che il medesimo non ha alcun diritto a possederla o a detenerla, per la seconda deve, invece, provare di essere proprietario della cosa. La prima azione si pre-scrive in dieci anni, mentre l’azione di revindica è imprescrittibile(Cass. 12.2.1975, n. 556, FI, 1975, I, 2560; MGI, 1975).

Il problema si pone solo a proposito della fat-tispecie di cui all’art. 2037 c.c., restituzione di cosa determinata, ovvero di una condictio

indebiti proprietaria, ma si risolve conside-rando che la giurisprudenza non concepisce un’autonomia delle restituzioni ex negozio rispetto alle restituzioni ex indebito e di conseguenza non trova ragione per negare il cumulo tra azione di rivendicazione ed azione di ripetizione di cosa determinata indebitamente ricevuta, posto che il cumulo tra rivendicazione e restituzione è universal-mente ammesso.In tal senso, oltre alla già citate Cass. 28.1.1985, n. 439, MGI, 1985, e Cass. 7.1.1983, n. 120, MGI, 1983, si riportano le seguenti massime.

Nella particolare ipotesi di comunione e condominio.

L’amministratore del condominio, a cui spetta ai sensi degli art. 1130 e 1131 c.c. la disciplina della gestione e dell’uso delle cose comuni, nonché dell’esercizio del servizio comune di portierato, può, anche senza deliberazione dell’assemblea dei condomini, agire per il rila-scio dell’immobile adibito ad alloggio del por-tiere, che sia deceduto, da parte del coniuge del medesimo, che detenga l’immobile senza titolo(Cass. 26.6.1991, n. 7162, MGI, 1991).

Nella stessa pronuncia, la giurisprudenza sottolinea la distribuzione dell’onere della prova.

Mentre l’azione di rivendicazione, tendendo al riconoscimento del diritto di proprietà dell’at-tore ed al conseguimento del possesso sottrat-togli contro la sua volontà esige la prova della proprietà della cosa da parte dell’attore e del possesso di essa da parte del convenuto, invece la prova della proprietà dell’attore non è richie-sta nella diversa azione di restituzione della cosa da parte del convenuto per il venir meno del titolo in base al quale la deteneva(Cass. 26.6.1991, n. 7162, MGI, 1991).

La giurisprudenza precisa la differenza tra azione di rivendicazione ed azione di restituzione.

Nella domanda di restituzione di immobili per il disconoscimento del titolo della loro deten-zione da parte del convenuto, deve ravvisarsi non un’azione di revindica, bensì quella di rilascio o restituzione di immobili, per il cui accoglimento è sufficiente la dimostrazione dell’inefficacia (originaria o sopravvenuta) del rapporto che legittimava quella detenzione, poiché presupposto dell’azione di revindica è lo spossessamento del proprietario contro o senza la sua volontà mentre detta azione di rilascio o restituzione postula solo la mancanza nel convenuto di un valido titolo affinché egli possa detenere o continuare a detenere la cosa (in conseguenza della esaurita funzione di un contratto, ovvero della nullità, rescindibilità o risolvibilità dello stesso), onde unicamente la sopravvenuta usucapione per inequivoco muta-mento della detenzione in possesso (cosiddetta interversione) può paralizzare la pretesa del dominus per conto del quale era detenuta la

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Page 26: Proprietà e diritti reali - Vol III: Azioni petitorie ... · Capitolo quarto LA TUTELA DEL DIRITTO DI ... Il caso privilegiato è quello di una res man-cipi venduta e poi trasmessa

La tutela del diritto di proprietà 4.5

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cosa (o del suo successore inter vivos o mor-

tis causa)(Cass. 8.7.1983, n. 4598, MGI, 1983).

4.5. La tutela risarcitoria e la tutela

compensativa della proprietà.

Dalle osservazioni che precedono si evince che i problemi più complessi si collocano sul versante della tutela risarcitoria della pro-prietà. La soluzione di tali problemi si ricava dalla distinzione tra tutela aquiliana e tutela compensativa della proprietà, rimedi che concorrono a tutelare il diritto di proprietà.La problematica coinvolge alla radice l’in-tera struttura dei rimedi proprietari, ma si presenta in modo più evidente in tema di azione negatoria, ove la dottrina tradizionale ed il linguaggio delle massime giurispruden-ziali sottolineano che tale azione può essere esperita solo contro chi vanti un diritto reale sul fondo dell’attore. Nel caso in cui, invece, le molestie e le turbative non si sostanziano in una pretesa di diritto l’attore è ammesso ad esperire l’azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad un’azione reale, men-tre, nel secondo, l’azione viene qualificata azione personale, con rilevanti conseguenze sul piano della prescrizione, dell’individua-zione del legittimato passivo e del giudice competente.Così, ad esempio, se il vicino vanta una pre-tesa di diritto sul mio fondo, mettendo in pratica molestie e turbative, potrò agire con un’azione imprescrittibile davanti al giudice del luogo in cui si trova la cosa, convenendo in giudizio il, facilmente identificabile, pro-prietario del fondo da cui proviene l’immis-sione e avrò a mio carico soltanto la prova del fatto materiale e quella della proprietà che però potrò fornire con qualsiasi mezzo.Ove, invece, l’immissione avviene nascosta-mente e senza avanzare pretese giuridiche, potrò reagire solo con azione prescrittibile, dovrò identificare esattamente l’autore della

condotta ed avrò a mio carico l’onere di pro-varne la colpa o il dolo.Anche se il diritto applicato adotta una serie di contro regole per ricondurre a ragione-volezza questo insegnamento, è necessa-rio, tuttavia, comprendere le ragioni che lo sorreggono.L’itinerario storico che ha condotto ad ela-borare tale pensiero prende le mosse sotto la vigenza del codice civile del 1865 che, pur non nominando l’azione negatoria, permet-teva di ricavare dall’art. 439 c.c. il principio per cui nessuno può essere costretto a per-mettere che altri faccia uso della cosa di sua proprietà.Tuttavia, la dottrina e la giurisprudenza pre-servarono il nomen juris di tale rimedio, attingendolo dalle fonti romanistiche. Di fronte al diritto del proprietario al pacifico godimento del bene che, svolto in senso rimediale legittimava l’actio negatoria, restava da chiarire il tipo di reazione che l’ordinamento giuridico apprestava nei con-fronti delle molestie e delle turbative messe in atto da chi quel diritto voleva usurpare.Invero, non si presentavano problemi se il titolare del diritto di proprietà chiedeva il mero accertamento del suo diritto e della speculare illiceità delle molestie e turbative e neppure se all’accertamento del diritto di proprietà faceva seguito l’inibitoria a conti-nuare a molestare in futuro.Problemi sorgevano, invece, quando le molestie avevano causato danni dei quali si chiede ristoro.A questo riguardo erano, e sono tuttora, possibili due linee di pensiero, evidenziate con icastica efficacia dall’autore in esame (Gambaro 1995, 899).La prima linea di pensiero pone l’accento sul diritto di proprietà come diritto assoluto: da ciò discende che colui che arreca danno ai beni posseduti dal proprietario contrad-dice implicitamente il suo diritto e quindi è tenuto a compensarlo per la perdita che

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