Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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APRILE 2011

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APRILE 2011

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Elaborazione: Regione Autonoma Valle d’Aosta

Assessorato Agricoltura e Risorse naturali

Servizio Aree Protette

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Sommario

INTRODUZIONE 5

QUADRO CONOSCITIVO 7

PREMESSA 7

INQUADRAMENTO GENERALE 8

DESCRIZIONE BIOLOGICA 10 SIC IT1204010 “Ambienti glaciali del Monte Bianco” 10 SIC IT1204032 “Talweg Val Ferret” 10 ZPS IT1204030 “ Val Ferret”: 11 Habitat 11 Flora 60 Fauna 69

ELENCO CARTOGRAFIE DESCRITTIVE 104

VALUTAZIONE DELLE ESIGENZE ECOLOGICHE 105

SCHEDE HABITAT 105

SCHEDE SPECIE FLORISTICHE 134

SCHEDE SPECIE ANIMALI 140 Insetti – Lepidotteri ropaloceri 140 Pesci 143 Anfibi e Rettili 144 Uccelli 147 Mammiferi 159

OBIETTIVI 163

OBIETTIVI GENERALI 163

OBIETTIVI SPECIFICI 163

STRATEGIA GESTIONALE 164

NORME DI ATTUAZIONE DEL PDG 164 Ambito di applicazione delle norme 164 Normativa di riferimento 164 Piani e programmi collegati 165 Valutazione di incidenza (semplificazione di procedure amministrative) 165 Misure di conservazione di carattere generale 166

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Misure di conservazione di carattere puntuale 170 Azioni da incentivare 171 Sanzioni 171 Approfondimenti scientifici 172 Aggiornamento 172

AZIONI DI GESTIONE 173 1) Piano di pascolo. 173 2) Piano di gestione dei boschi 178 3) Monitoraggio 184 4) Gestione dei siti di Maculinea arion in Val Ferret 186 5) Regolamentazione fruizione. 187

ELENCO CARTOGRAFIE GESTIONALI : 188

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INTRODUZIONE

Il presente Piano di gestione è stato elaborato ai sensi dell’art. 6 della legge regionale 21 maggio 2007, n. 8 recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi della Regione autonoma Valle d'Aosta derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Attuazione delle direttive 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche. Legge comunitaria 2007» e secondo le linee guida emanate dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ( Decreto ministeriale 3 settembre 2002).

Il Piano interessa i siti Natura 2000 localizzati sul versante valdostano del Monte Bianco, più precisamente i siti di importanza comunitaria “ Talweg della Val Ferret” e “Ambienti glaciali del Monte Bianco” e la zona di protezione speciale “Val Ferret”. Si tratta di aree di eccezionale valore naturalistico e paesaggistico, riconosciuto a livello internazionale, oggi sottoposte a pressioni antropiche di vario tipo, per la cui tutela sono necessarie adeguate misure di gestione.

Questi gli obiettivi del Piano:

• Soddisfare le esigenze ecologiche degli habitat e delle specie presenti ed assicurare la loro funzionalità a livello del sito e della rete nel suo complesso;

• Individuare misure che assicurino uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat e delle specie naturali anche alla luce delle esigenze economiche, sociali e culturali presenti;

• Integrare le misure di conservazione nella pianificazione territoriale ai diversi livelli (piani urbanistici, settoriali ecc);

• Favorire la valorizzazione e la fruizione consapevole dei siti.

Per raggiungere questi obiettivi, il piano proposto considera i tre siti nella loro globalità e non singolarmente, tiene conto delle esigenze delle componenti naturali, si integra con gli altri strumenti di pianificazione territoriale esistenti e propone azioni concrete di salvaguardia e di valorizzazione.

Queste le fasi di lavoro:

• Elaborazione del quadro conoscitivo

• Valutazione delle esigenze ecologiche di habitat e specie

• Individuazione di minacce e fattori di impatto

• Definizione degli obiettivi

• Elaborazione della strategia di gestione

• Definizione delle misure di conservazione

• Definizione di specifiche azioni di gestione

L’elaborazione del Piano è stata preceduta da una fase di studio e approfondimento scientifico, in gran parte eseguita nell’ambito del progetto di cooperazione territoriale «COGEVA VAHSA: Coopération, Gestion et Valorisation des espaces protégés de la Vallée d'Aoste et de la Haute-Savoie», realizzato negli anni 2005 - 2008, in partenariato con il Parco naturale Mont Avic e l’associazione francese Asters, cui è affidata la gestione delle riserve naturali in Alta Savoia. La consapevolezza del valore degli ambienti naturali del Monte Bianco e della Val Ferret ha portato l’Amministrazione regionale a dedicare gran parte delle risorse del progetto di cooperazione ad approfondire le conoscenze dei meccanismi naturali che caratterizzano questo patrimonio. Le ricerche e gli studi naturalistici hanno quindi rappresentato il punto di partenza per delineare una strategia d’azione comune, con i colleghi d’oltrealpe, per la tutela degli habitat e delle specie secondo una logica di sviluppo sostenibile.

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L’approccio metodologico utilizzato nel corso del progetto è stato di tipo multidisciplinare, con la partecipazione di strutture universitarie, istituti di ricerca e professionisti. Il quadro conoscitivo è stato costruito sulla base di informazioni pregresse, in quanto si tratta di un’area già in gran parte conosciuta, e su dati inediti, frutto di approfondimenti scientifici.

Le attività condotte, unite alle informazioni di cui già si disponeva, di provenienza in gran parte bibliografica, hanno permesso di confermare le informazioni riportate sulle schede identificative dei siti, ma anche di ottenerne di nuove, andando in tal modo ad accrescere il quadro complessivo della caratterizzazione naturalistica di questi siti. Proprio a seguito delle attività condotte nell’ambito del progetto, sono stati individuati nuovi habitat e nuove specie tra quelli riportati negli allegati alle direttive Habitat e Uccelli. Le varie fasi, gli studi e la raccolta dei dati, l’individuazione dei fattori di minaccia, la definizione delle esigenze ecologiche di habitat e specie e della strategia gestionale sono state condotte in modo da permettere un’ampia condivisione, sia nell’ambito del gruppo di lavoro, composto da molteplici professionalità, che a livello locale, attraverso frequenti contatti con l’Amministrazione comunale di Courmayeur.

Una volta ultimato il progetto di ricerca, gli uffici tecnici del Servizio aree protette hanno provveduto ad elaborare la proposta di piano, sulla base delle informazioni ottenute, alla luce degli ulteriori approfondimenti anche in merito agli strumenti di pianificazione esistenti, nell’intento di elaborare uno strumento condivisibile sia da parte degli autori/collaboratori sia di coloro cui competerà la successiva applicazione. E’ inoltre proseguita l’attività di approfondimento scientifico con l’aquisizione di nuove informazioni.

La strategia gestionale ha seguito la logica del processo inclusivo, attraverso la definizione di una strategia su due livelli, dove il primo livello si caratterizza per l’individuazione di quelle misure e azioni specifiche per la conservazione della singola specie, mentre ad un livello superiore, con strumenti adeguati, è possibile delineare una strategia che tenda al perseguimento di un obiettivo di tipo strategico quale il raggiungimento di un alto grado di naturalità dell’intera area del Monte Bianco e a favorirne la valorizzazione e la fruizione consapevole.

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QUADRO CONOSCITIVO

PREMESSA L’elaborazione del quadro conoscitivo è stata fatta sulla base delle indicazioni contenute nel Decreto ministeriale 3 settembre 2002 “Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000”.

Questi gli studi realizzati:

1. Inquadramento geologico, idrologico e climatologico dei siti natura 2000 dell’area del Monte Bianco ( Alberto Bonino)

2. Inquadramento pedologico della Val Ferret e della Val Veni

( Federica Borin; Gianluca Filippa, Università di Torino - DI.VA.P.R.A)

3. Monitoraggio degli ambienti glaciali dei Siti Natura 2000 del Monte Bianco

(Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente )

4. Caratterizzazione ecologica delle acque dei corsi d’acqua e delle zone umide della Val Ferret e della Val Veni

(Università di torino – Dip. di Biologia animale e dell’uomo)

5. Relazione sulle ricerche limnologiche svolte sul lago Combal

(Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto per lo studio degli ecosistemi, Verbania- Pallanza)

6. Caratterizzazione della fauna ittica della Dora di Ferret e della Dora di Veni – estratto dalla relazione finale 2006 del progetto interreg “Individuazione, salvaguardia e riabilitazione delle popolazioni di trote autoctone in Valle d’Aosta e in alta Savoia”

(Daniele Stellin - R.A.V.A , direzione flora, fauna, caccia e pesca)

7. Studio ecologico e faunistico dei Siti di Importanza Comunitaria del Monte Bianco

( Università di Torino, Dipart. di Biologia animale e dell’Uomo):

� Erpetofauna ( Cristina Giacoma) � Micromammiferi ( Cristina Giacoma) � Ornitofauna ( Antonio Rolando) � Disturbo invernale galliformi e ungulati ( Antonio Rolando) � Popolamento di scarabaeoidea coprofagi (Claudia Palestrini, Pietro Passerin d’Entreves) � Monitoraggio delle comunità di ropaloceri ( Emilio Balletto)

8. Indagine floristico-vegetazionale nei siti Natura 2000 del Monte Bianco (Isabella Vanacore Falco )

9. Tipologie forestali e gestione dei boschi della val ferret

(Valerio Sedran, Claudia Linty, Ornella Cerise – RAVA, Direzione Foreste, Servizio aree protette)

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10. Monitoraggio ambientale dei boschi mediante l’utilizzo della biodiversità lichenica in Val Ferret

(Università di Torino, Dipart. di Biologia vegetale e Centro di eccellenza per la biosensoristica vegetale e microbica )

11. Inquadramento socio-economico del comune di Courmayeur (Luigi Cortese ) 12. Analisi della pianificazione urbanistica a scala comunale ( Luigi Cortese) 13. Segnalazione di beni archeologici e di valore storico, artistico, artistico documentario o ambinetale

(Luigi Cortese) 14. Descrizione e analisi del paesaggio (Luigi Cortese) 15. Inquadramento del catasto degli alpeggi del comune di Courmayeur (Federica Borin)

Al fine di facilitare la consultazione del Piano, in considerazione del numero e della voluminosità delle relazioni, si è ritenuto opportuno ometterle precisando che esse sono a disposizione presso gli uffici regionali e che tutte le valutazioni e le scelte effettuate trovano piena giustificazione in tali elaborati.

Il quadro conoscitivo riportato sul Piano è composto dalle cartografie descrittive e dalla descrizione biologica, espressa attraverso schede riassuntive identificative degli habitat e delle specie presenti, funzionali alla lettura delle successive schede concernenti la valutazione ecologica.

INQUADRAMENTO GENERALE Nel territorio del comune di Courmayeur sono presenti due Siti di Importanza Comunitaria (SIC) ed una Zona di Protezione Speciale (ZPS) istituiti in applicazione delle Direttive europee 79/409/CE e 92/43/CE ed approvati rispettivamente con Deliberazione della Giunta regionale n. 1460 del 2002 e n. 3361 del 2002. I siti insistono sulle valli laterali di Ferret e Veni per una superficie totale di circa 173 Km quadrati.

SIC IT1204010 “Ambienti glaciali del Monte Bianco”: Superficie: 12557 ha

Coordinate geografiche: Latitudine: 45 50 1 N Longitudine: 6 51 58 E

Altitudine: 1400/4810 m s.l.m.

Comune: Courmayeur Regione biogeografica: Alpina

SIC IT1204032 “Talweg Val Ferret” Superficie: 120 ha

Coordinate geografiche: Latitudine: 45 51 9 N Longitudine: 7 1 8 E

Altitudine: 1623/1790 m s.l.m.

Comune: Courmayeur

Regione biogeografica: Alpina

ZPS IT1204030 “ Val Ferret” Superficie: 9093 ha

Coordinate geografiche: Latitudine: 45 51 9 N Longitudine: 7 1 8 E

Altitudine: 1360/4201 m s.l.m.

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Comune: Courmayeur

Regione biogeografica: Alpina

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DESCRIZIONE BIOLOGICA La descrizione biologica seguente rappresenta una sintesi dei numerosi studi eseguiti nell’ambito del progetto Interreg IIIA COGEVA VAHSA.

Gli studi di dettaglio relativi alle componenti floristico-vegetazionali e faunistiche, alle caratteristiche ecologiche dei torrenti Doire de Ferret e de Veni e delle zone umide di fondovalle, ai quali si rimanda per approfondimenti specifici, sono stati condotti sulla base delle linee guida del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (DM 3 settembre 2002).

Le informazioni generali per ogni sito sono desunte dalle rispettive schede Natura 2000; le informazioni descrittive relative ad habitat e specie di flora e fauna contenute negli Allegati della Direttiva Habitat sono, poi, organizzate schematicamente in schede inserite in coda ad ogni argomento.

SIC IT1204010 “Ambienti glaciali del Monte Bianco” Il sito comprende l’intero versante italiano del massiccio del Monte Bianco, includendo il versante destro della Val Ferret e il versante sinistro della Val Veni, e il settore di crinale tra la val Veni e il vallone Chavanne in comune di La Thuile. Si tratta di una zona ad elevato valore paesaggistico, dalla morfologia articolata, con imponenti ghiacciai che scendono fino al fondovalle, estese morene, praterie e pascoli alpini.

L’area è ricca di habitat naturali tra cui alcuni prioritari come le formazioni pioniere alpine del Caricion bicoloris-atrofuscae e i pavimenti calcarei, ricchi di specie ben adattate alle condizioni rigide degli ambienti d’alta quota. E’ di recente segnalazione la presenza dell’habitat “Sorgenti pietrificanti con formazione di travertino (Cratoneurion)” (Cod. 7220) ma qui, come in tutta la Valle d’Aosta, tale habitat non presenta le caratteristiche concrezioni in considerazione delle quote elevate e delle basse temperature.

Dal punto di vista floristico, il sito si presenta ricco di specie di cui molte si sono rivelate interessanti dal punto di vista corologico: numerosi sono, infatti, gli endemisni alpici e tra questi alcune specie come Campanula cenisia, Thlaspi lerescheanum, Aconitum variegatum subsp. valesiacum, risultano endemiche del solo settore occidentali delle Alpi. La flora locale annovera numerose specie importanti dal punto di vista conservazionistico tra cui le orchidee Cypripedium calceolus, una delle poche specie presenti in Valle d’Aosta inserite nell’Allegato II della Direttiva Habitat, e Ophrys insectifera.

La fauna è quella tipica degli orizzonti alpino e subalpino. Ben rappresentata è la mammalofauna con la presenza di popolazioni di Cervi, Caprioli, Camosci e Stambecchi. L’area ospita la colonia di Stambecchi più alta d’Europa e rappresenta una zona di grande importanza per i flussi migratori transfrontalieri di questa specie. Numerose sono anche le specie di Roditori tra cui lo Scoiattolo e la Marmotta.

L’avifauna è presente con importanti specie di galliformi alpini quali Gallo forcello, Coturnice e Pernice bianca, di passeriformi, di rapaci diurni e notturni. Interessanti sono inoltre la presenza del Gipeto e, occasionalmente, di specie migratrici.

SIC IT1204032 “Talweg Val Ferret” Il sito comprende quattro zone umide di fondovalle, distribuite lungo la piana della Val Ferret, alimentate dalla Dora omonima, dai torrenti laterali e da risorgive di acque di fusione dei ghiacciai.

Le aree si presentano come un mosaico di ambienti molto diversi, dal megaforbieto idrofilo al bosco di larice, dalla torbiera bassa alcalina al greto di torrente e al saliceto arbustivo. Il sito è ricco di habitat individuati dalla Direttiva 92/43/CEE, tra i più significativi si ricordano gli habitat prioritari: “Formazioni pioniere alpine del Caricion bicoloris-atrofuscae” (Cod. 7240) e “Torbiere alte attive” (Cod. 7110). Gli ambienti ospitano specie vegetali molto rare, generalmente in popolazioni esigue e localizzate, come Epipactis palustris, Carex limosa, Carex microglochin, Utricularia minor, e di recente rinvenimento, Carex juncella, con poche e sporadiche segnalazioni per il territorio italiano. La conservazione di tali specie è strettamente legata al mantenimento degli apporti idrici dei siti.

La fauna stanziale, considerate le dimensioni ridotte dei siti e la prevalenza di habitat umidi, è rappresentata soprattutto da anfibi, invertebrati ed alcune specie di uccelli tipiche quali la Cannaiola verdognola ed il Piro piro piccolo e da alcune specie di micromammiferi. La Rana temporaria è sicuramente la specie più

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frequente e colonizza sia pozze temporanee alimentate dalle acque di scioglimento, che corpi idrici permanenti. Questa specie, sensibile alle alterazioni dell’ambiente sia terrestre che acquatico, risulta essere un buon indicatore della qualità ambientale. Nel torrente Doire de Ferret è presente Salmo marmoratus, specie ittica autoctona.

La forte pressione turistica, i numerosi insediamenti umani presenti nella valle e le crescenti richieste di captazione delle acque rappresentano le minacce più pressanti sul sito la cui conservazione necessita di adeguate misure di gestione.

ZPS IT1204030 “ Val Ferret” La zona di protezione speciale “Val Ferret” comprende interamente l’omonimo vallone, dall’abitato di La Palud al Col Ferret, includendo al suo interno il SIC “Talweg della Val Ferret” e parte del SIC “Ambienti glaciali del Monte Bianco”. L’inclusione nell’area di due opposti versanti permette una grande varietà di ambienti e paesaggi: la destra orografica è dominata da una serie di ghiacciai paralleli di diversa entità e da ambienti rocciosi con cime elevate, il versante sinistro, di altitudine minore, si presenta con ampi valloni coperti da pascoli, boschi di larice e fasce arbustive; infine, la piana alluvionale del fondovalle è ricca di zone umide e praterie. Nella valle, dal punto di vista geologico, prevalgono graniti e scisti pregranitici con, in subordine, calcari e calcescisti della zona di Sion-Courmayeur.

Numerosi sono gli habitat presenti, tra quelli prioritari le “Formazioni pioniere alpine del Caricion bicolori-atrofuscae”, i “Pavimenti calcarei”, le “Formazioni erbacee a Nardus, ricche in specie, su substrato siliceo delle zone montane (e delle zone submontane dell’Europa continentale)”. Un altro habitat prioritario, le “Sorgenti pietrificanti con formazione di tufi”, non presenta qui le caratteristiche concrezioni in considerazione delle quote elevate e delle basse temperature. L’area ospita specie vegetali molto rare sia a livello regionale che per le Alpi.

Il ricco popolamento ornitico ha portato alla designazione del sito come zona di protezione speciale. Sono state segnalate complessivamente 81 specie di uccelli, di cui 63 nidificanti, dato significativo per l’avifauna del settore nord-occidentale delle Alpi. Dodici specie sono inserite nell’allegato I della Direttiva Uccelli e rivestono un particolare interesse faunistico-ecologico, per la rarità o per la limitata consistenza popolazionale a livello regionale e/o nazionale: il Gipeto, l’Aquila reale, il Falco pellegrino, Il Falco pecchiaiolo, il Biancone, la Pernice bianca, il Gallo forcello, la Coturnice, il Gracchio corallino, il Picchio nero, la Civetta caporosso, l’Averla piccola. L’elevata frequentazione turistica della valle, sia nel periodo invernale che estivo, può essere fonte di disturbo per l’avifauna, in particolar modo nei periodi più delicati del loro ciclo biologico, come la nidificazione o lo svernamento. Nel territorio si pratica la caccia regolamentata.

Habitat All’interno dell’area di studio sono state censite 23 tipologie ambientali che comprendono 47 habitat, di cui 27 sono contemplati nella Direttiva UE 43/92 e, tra questi, 6 sono definiti dalla stessa “prioritari”. Tutti gli habitat censiti nell’ambito degli studi effettuati sono elencati e confrontati con quelli riportati nella scheda Natura 2000 nella tabella 1. Una descrizione dettagliata di ogni habitat è contenuta in schede monografiche (Allegato n. 2 dello studio “Indagine floristico-vegetazionale nei siti Natura 2000 del Monte Bianco” – Isabella Vanacore Falco). L’indagine ha inoltre prodotto due cartografie: la “Carta degli Habitat dei Siti Natura 2000 del Monte Bianco” in scala 1:25.000 e la “Carta dei Talweg della Val Ferret” in scala 1:10.000 (vedi cartografie descrittive).

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Schede descrittive degli habitat

Cod. 3160 Laghi e stagni distrofici naturali

Struttura fisionomica ed ecologia Questa tipologia ambientale è rappresentata nell’area oggetto di applicazione del presente Piano di gestione, da piccole depressioni (pozze) inondate d’acqua in cui vive Utricularia minor. Di solito si trovano all’interno di paludi oligotrofe. Il substrato, ricco in materia organica, può anche prosciugarsi, ma mai seccarsi in profondità.

Riferimenti fitosociologici L’habitat è riconducibile all’alleanza Sphagno-Utricularion Müller et Görs 1960.

Specie vegetali caratteristiche di questo aggruppamento sono le specie del genere Sphagnum e Utricularia minor. Sono presenti anche numerosi muschi.

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Cod. 3220 Fiumi alpini con vegetazione riparia erbacea

Struttura fisionomica ed ecologia Si tratta di vegetazione erbacea rada, con qualche cespuglio, si sviluppa su banchi alluvionali di corsi d’acqua a regime torrenziale. I sedimenti sono molto permeabili (ghiaia, ciottoli) e poveri in materia organica.

La flora è composta di specie a foglie sottili con apparato radicale importante e a forte capacità rigenerativa. Queste specie si adattano bene sia alle perturbazioni meccaniche delle esondazioni sia alla siccità..

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è attribuita all’alleanza Epilobion fleischeri Br.-Bl. 1931, questo sintaxa ha strette affinità con gli stadi arbustivi a Myricaria germanica o con l’allenaza Salicion eleagni.

Specie vegetali caratteristiche L’habitat è colonizzato da piante pioniere erbacee, si trovano frequentemente: Epilobium fleischeri, Saxifraga aizoides, Rumex scutatus, Hieracium staticifolium; oppure: Dryas octopetala, Gypsophila repens e Trifolium pallescens se il suolo ha reazione basica. Frequenti anche piccoli arbusti di Myricaria germanica e Salix purpurea.

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Cod. 3230 Fiumi alpini con vegetazione riparia legnosa a Myricaria germanica

Struttura fisionomica ed ecologia Si tratta di aggruppamenti pionieri dei greti dei torrenti montani e alpini, che sono periodicamente soggetti ad inondazione e che depositano materiali fini e sabbiosi.

L’habitat a Myricaria germanica è poco diffuso all’interno degli siti Natura 2000 del Monte Bianco.

Riferimenti fitosociologici L’arbusteto pioniero a Myricaria rientra nell’associazione Salici-Myricarietum Moor 1958, ed è spesso insieme ad aggruppamenti erbacei alluvionali (Epilobion fleischeri).

Specie vegetali caratteristiche Le entità caratteristiche di questa tipologia ambientale sono: Myricaria germanica, Salix purpurea, Salix daphnoides, Salix myrsinifolia, Equisetum arvense e Tussilago farfara.

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Cod. 3240 Corsi d'acqua alpini con vegetazione riparia legnosa a Salix eleagnos

Struttura fisionomica ed ecologia Si tratta di aggruppamenti pionieri dei greti dei torrenti montani e alpini, che sono periodicamente soggetti ad inondazione e che depositano materiali fini e sabbiosi.

L’habitat a Salix è stato considerato anche all’interno della tipologia ambientale “Boschi misti con prevalenza di latifoglie”.

Riferimenti fitosociologici L’arbusteto ha come riferimento fitosociologico il Salicion eleagni-daphnoidis (Moor 1958) Grass 1993.

Specie vegetali caratteristiche Le entità caratteristiche di questa tipologia ambientale sono: Myricaria germanica, Salix purpurea, Salix daphnoides, Salix myrsinifolia, Equisetum arvense e Tussilago farfara.

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Cod. 4060 : lande subalpine xerofile (sottotipo)

Struttura fisionomica ed ecologia Queste brughiere sono caratterizzate dalla presenza di arbusti sempreverdi e xerofili come Juniperus communis subsp. nana e Arctostaphylos uva-ursi, accompagnati da altre Ericacee. Occupano i pendii soleggiati del piano subalpino, sopportando sia grande siccità estiva sia temperature molto rigide invernali per assenza di copertura nevosa continua. Il suolo è acido, povero di elementi nutritivi e in genere poco profondo.

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi appartiene all’alleanza: Juniperion nanae Br.-Bl. 1939,.

Specie vegetali caratteristiche Oltre alle specie arbustive già citate sono presenti altre specie quali: Calluna vulgaris, Cotoneaster integerrimus, Vaccinium gaultherioides, V. vitis-idaea, Avenella flexuosa

Cod. 4060 Lande alpine e boreali (con sottotipi)

Habitat ampiamente diffusi in tutto il territorio, sono presenti sia con i sottotipi dei suoli acidificati sia con quelli dei suoli a reazione basica: “Lande subalpine xerofile”, “Lande subalpine meso-igrofile su suolo acido” e “Lande alpine delle creste ventose”.

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Cod. 4060 : lande subalpine meso-igrofile su suolo acido (sottotipo)

Struttura fisionomica ed ecologia Queste lande sono caratterizzate da una fitta copertura di suffrutici, come Vaccinium myrtillus, e arbusti, come Rhododendron ferrugineum, a cui si associano numerosi muschi e licheni. Trovano il loro optimum nelle stazioni poco soleggiate e lungamente innevate, in quanto sensibili alle temperature troppo basse. Il suolo è acido, molto povero in sostanze nutritive, con uno strato superficiale di humus grezzo. Molto spesso questa fitocenosi può costituire il sottobosco di boschi misti di conifere o di peccete, oppure formare una fascia di passaggio tra la vegetazione del bosco (arborea) e quella dei pascoli (erbacea)

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è riconducibile all’alleanza: Rhododendro-Vaccinion Br.-Bl. 1931.

Specie vegetali caratteristiche Oltre alle specie arbustive già citate sopra, possono essere presenti : Astrantia minor, Pyrola minor, numerosi muschi, licheni e licopodi.

Cod. 4060 : lande alpine delle creste ventose (sottotipo)

Struttura fisionomica ed ecologia Questo habitat, rispetto ai due precedenti, occupa dossi, pendii e creste del piano alpino, sottoposti a forti venti e basse temperature soprattutto nel periodo invernale per carenza di copertura nevosa costante. Le specie vegetali che costituiscono queste lande sono per lo più suffrutici ed arbusti a portamento prostrato, accompagnati da numerosi licheni terricoli. il suolo ha un pH fortemente acido

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è riconducibile all’alleanza: Loiseleurio-Vaccinion Br.-Bl. 1926.

Specie vegetali caratteristiche Empetrum nigrum subsp. hermaphroditum, Loiseleuria procumbens, Vaccinium gaultherioides, Arctostaphylos alpina a cui si associano numerosi licheni appartenenti ai generi : Cetraria, Cladonia, Thamnolia

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Cod. 4080 Boscaglie subartiche di Salix spp.

Struttura fisionomica ed ecologia Questo habitat comprende gli arbusteti subalpini a Salici di diverse grandezze (tra 1 e 2 m). Occupano i pendii freschi e costantemente umidi su suolo ricco di scheletro e povero di nutrienti. Alcune di queste associazioni vegetano lungo le rive di ruscelli alpini, altre occupano morene e detriti umidi. Lo strato erbaceo è spesso discontinuo e comprende anche elementi dei megaforbieti igrofili. Sui suoli più ricchi in humus e molto umidi il Saliceto può lasciare il posto alla vegetazione delle lande, e in particolare all’alleanza del Rhododendro-Vaccinion

Riferimenti fitosociologici Diversi sono i riferimenti fitosociologici proposti dalla Direttiva, ma i saliceti presenti nell’area sono riconducibili all’alleanza Salicenion waldsteinianae Oberdorfer 1978,

Specie vegetali caratteristiche Di questo aggruppamento sono: Salix foetida, Salix caesia, Salix glaucosericea e Salix helvetica.

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Cod. 6150 Formazioni erbose boreo-alpine silicicole

Struttura fisionomica ed ecologia Questi pascoli rappresentano la situazione di climax per il piano alpino su suoli a reazione acida. Sono costituiti da tappeti più o meno continui di specie erbacee graminoidi a cui si associano numerosi licheni e specie dicotiledoni dalle fioriture variopinte. Sono comprese in questa unità anche le vallette nivali, dominate da Salix herbacea e altre specie a rosetta o con aspetto graminoide in grado di moltiplicarsi per via vegetativa. Infatti queste piante vivono in zone dove la copertura nevosa permane anche per più di 10 mesi e quindi non sempre consente di portare a termine il processo riproduttivo.

Riferimenti fitosociologici Questo habitat è riconducibile alle alleanze del Caricion curvulae Br.-Bl. e del Salicion herbaceae Br.-Bl.

Specie vegetali caratteristiche Alcune specie tra le più diffuse: Carex curvula s.str., Senecio incanus, Juncus trifidus, Phyteuma hemisphaericum, Polygonum viviparum e Silene exscapa. Nelle vallette nivali prevalgono Alchemilla pentaphyllea, Carex foetida, Salix herbacea

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Cod. 6170: pascoli calcicoli freschi (sottotipo)

Struttura fisionomica ed ecologia Questi pascoli, in cui dominano Carex ferruginea, Festuca violacea e Calamagrostis varia, formano tappeti abbastanza continui. Le foglie fini di queste specie lasciano passare la luce per cui numerose sono le altre specie che possono crescere. Generalmente queste formazioni occupano i pendii calcarei esposti a nord, di zone con apporto idrico abbastanza cospicuo e costante. L’unità, tipica del piano alpino, può scendere fino al montano, in zone prive di boschi (per esempio corridoi di valanghe.)

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è riconducibile all’alleanza Caricion ferrugineae Höhn 1936.

Specie vegetali caratteristiche Oltre alle Graminacee precedentemente ricordate sono caratteristiche: Carex sempervirens, Aquilegia alpina, Astragalus alpinus, A. frigidus, Carex atrata subsp. aterrima, Ligusticum mutellina, Linum alpinum, Onobrychis montana, Paradisea liliastrum.

Cod. 6170 Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine (con sottotipi)

Habitat caratterizzato dalle praterie più diffuse al di sopra del limite del bosco soprattutto nell’alta Val Veni e sul versante in sinistra orografica della Val Ferret. Ugualmente rappresentati sono i tre sottotipi: le praterie xerotermofile aperte a Sesleria, i pascoli mesofili, spesso chiusi, a Carex ferruginea e le praterie a Elyna myosuroides delle creste ventose.

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Cod. 6170: formazioni erbacee delle creste ventose (sottotipo)

Struttura fisionomica ed ecologia Queste praterie sono caratterizzate da Elyna myosuroides, Graminacea dalle foglie fini e coriacee che forma caratteristici cespi di colore bruno-giallastro ed è in grado di resistere a temperature molto basse. Questo aggruppamento occupa piccole aree su dossi e creste del terreno in cui vi è spesso roccia affiorante e il microclima è assai rigido per assenza di copertura nevosa continua. il suolo è ricco di basi e di particelle fini, in quanto le fitte radici dell’Elina formano un feltro in grado di rallentare i fenomeni di erosione

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è riconducibile all’alleanza Elynion myosuroides Gams 1936 (Oxytropo-Elynion 1991).

Specie vegetali caratteristiche Sono specie tipiche Agrostis alpina, Antennaria carpatica, Aster alpinus, Carex curvula subsp. rosae, Dryas octopetala, Gentiana brachyphylla, Leontopodium alpinum, Oxytropis campestris

Cod. 6170: pascoli calcicoli aridi (sottotipo)

Struttura fisionomica ed ecologia Si tratta di pascoli con una flora molto diversificata e particolarmente ricca di Leguminose. La struttura fisionomica è condizionata dall’abbondanza di due specie a portamento cespitoso, Sesleria caerulea e Carex sempervirens, che formano dei gradini paralleli alle curve di livello per effetto dei fenomeni di soliflusso (situazione simile a quella dei pascoli rocciosi acidi). Normalmente occupano pendii pietrosi, calcarei in situazioni ben esposte, soprattutto del piano alpino, solo occasionalmente possono trovarsi a quote inferiori.

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è riconducibile all’alleanza Seslerion caeruleae Br.-Bl.

Specie vegetali caratteristiche Sono inoltre caratteristiche le specie Bupleurum ranunculoides, Hieracium villosum, Anthyllis vulneraria subsp. alpestris, Aster alpinus, Carduus defloratus, Erigeron alpinus, Galium anisophyllum, Gentiana verna, G. lutea, Leontopodium alpinum, Minuartia verna,Potentilla crantzii, Senecio doronicum e tante altre.

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Cod. 6230* Formazioni erbose a Nardus, ricche di specie, su substrato siliceo delle zone montane (e delle zone submontane dell'Europa continentale)

Struttura fisionomica ed ecologia Questo tipo di pascolo è caratterizzato dalla presenza di Nardus stricta, una Graminacea dalle foglie fini e rigide, pessima foraggera. Sono normalmente associate anche altre specie dalle fioriture variopinte. Occupa generalmente suoli acidi in superficie e poveri di sostanze nutritive, in molti casi si tratta di pascoli che un tempo erano concimati. Se il pascolo viene sfruttato intensamente il Nardo tende a prevalere sulle altre specie, diventando, soprattutto a quote inferiori, dominante

Riferimenti fitosociologici Questo habitat è riconducibili alle alleanze del Nardion strictae Br.-Bl. 1926 e Festucion variae Br.-Bl. 1926 .

Specie vegetali caratteristiche Oltre a Nardus stricta, numerose sono le specie con fiori variopinti: Arnica montana, Campanula barbata, Gentiana acaulis, G. punctata, Geum montanum, Antennaria dioca, Nigritella rhellicani e Trifolium alpinum.

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Cod. 6410 Praterie con Molinia su terreni calcarei torbosi e argilloso-limosi (Molinion caeruleae)

Struttura fisionomica ed ecologia L’ambiente è rappresentato da prati umidi in cui prevale Molinia caerulea, specie che può arrivare fino ad 1 metro di altezza in estate, accompagnata da altre entità di minore dimensione. Il suolo è calcareo, ma spesso acidificato in superficie, povero in nutrienti, ma ricco in materie organiche. In queste zone la falda freatica è assai superficiale.

Riferimenti fitosociologici La fitocenosi si riferisce all’alleanza Molinion caeruleae W. Koch 1926.

Specie vegetali caratteristiche Le entità caratteristiche di questa tipologia ambientale sono Molinia caerulea, Gentiana asclepiadea, Lychnis flos-cuculi, Rhinanthus minor, Valeriana dioica e Vicia cracca.

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Cod. 6430 Bordure planiziarie, montane e alpine di megaforbie igrofile.

Struttura fisionomica ed ecologia Questo tipo di vegetazione può svilupparsi sia come “sottobosco” dell’Alneto verde, sia in spazi aperti e lungamente innevati generalmente dei piani subalpino ed alpino. Si tratta di Dicotiledoni a foglia larga che crescono rapidamente allo scioglimento delle nevi. Normalmente richiedono suolo profondo, costantemente umido, ma ben aerato, ricco in sostanze nutritive. Questa vegetazione beneficia in modo particolare di situazioni poco soleggiate e con umidità atmosferica elevata. Le megaforbie, per le loro esigenze edafiche e microclimatiche, unite al forte ombreggiamento delle loro grandi foglie, impediscono la formazione del bosco.

Riferimenti fitosociologici La fitocenosi tipica dei piani subalpino ed alpino si riferisce all’alleanza Adenostylion alliariae Br.- Bl 1926

Specie vegetali caratteristiche Sono chiamate megaforbie o alte erbe: Adenstyles alliariae, Cirsium spinosissimum, Aconithum lamarckii, A. variegatum subsp. valesiacum Hugueninia tanacetifolia, Peucedanum ostruthium, Geranium sylvaticum, Ranunculus platanifolius e Chaerophyllum villarsii.

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Cod. 6520 Praterie montane da fieno

Struttura fisionomica ed ecologia Questa unità forma un tappeto erboso denso e continuo, raggiungendo i 50-80 cm di altezza alla fioritura. La specie dominante è Trisetum flavescens, ma sono presenti molte altre Graminacee. Il clima, più fresco può anche favorire la penetrazione di specie tipiche dei megaforbieti e dei margini dei boschi. Il suolo è sempre profondo e in generale fertile. Questo habitat si trova da gli 800 m fin verso 1600-1800 m.

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è riconducibile all’alleanza Polygono-Trisetion flavescentis Br.-Bl. et Tx 1947.

Specie vegetali caratteristiche Campanula rhomboidalis, Anthriscus sylvestris, Dactylis glomerata, Geranium sylvaticum, Heracleum sphondylium, Phyteuma ovatum, Polygonum bistorta, Trisetum flavescens, Trollius europaeus, Rumex acetosa e Trifolium pratense.

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Cod. 7110* Torbiere alte attive

Struttura fisionomica ed ecologia I biotopi, presenti alle nostre latitudini, sono costituiti da tappeti spugnosi di Sfagni, completamente intrisi d’acqua, cosparsi di Ericacee e Ciperacee. Costituiscono il nucleo centrale delle torbiere bombate produttrici di torba (habitat integro solo più nel Nord Europa). Il suolo è fortemente acido, povero in elementi minerali nutritivi, alimentato essenzialmente dall’acqua piovana. Sovente le “collinette” di Sfagni si alternano a piccoli avvallamenti dove prevale l’alleanza del Rynchosporion (torbiere di transizione)

Riferimenti fitosociologici L’habitat è riconducibile all’alleanza Sphagnion magellanici Kästner et Flössner 1933.

Specie vegetali caratteristiche Specie caratteristiche di questo aggruppamento sono le specie del genere Sphagnum e piante superiori della famiglia delle Ericaceae: Calluna vulgaris, Vaccinium myrtillus e Vaccinium gaulterioides, ed ancora specie come: Utricularia minor, Carex nigra e Carex limosa.

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Cod. 7140 Torbiere di transizione

Riferimenti fitosociologici L’habitat è riconducibile all’alleanza Caricion lasiocarpae Van den Berghen 1949.

Struttura fisionomica ed ecologia Si tratta di aggruppamenti composti soprattutto da Ciperacee di piccola o media taglia. Sono biotopi tipici delle depressioni situate in vicinanza delle torbiere a Sfagni. Spesso originano delle radure galleggianti in cui le superfici dei piccoli specchi d’acqua che si formano sono parzialmente invasi da vegetazione acquatica. Il substrato, imbevuto d’acqua è acido e povero in nutrienti. Questo habitat, di transizione tra le torbiere basse e quelle alte, comprende piccoli bacini inondati proprio nel mezzo delle paludi alte.

Specie vegetali caratteristiche Le entità caratteristiche di questa tipologia ambientale sono: Carex limosa, Carex rostrata, Menyanthes trifoliata, Pedicularis palustris, Trichophorum alpinum e alcune specie del genere Sphagnum.

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Cod. 7220* Sorgenti pietrificate con formazione di tufi (Cratoneurion)

Struttura fisionomica ed ecologia E’ un ambiente fontinale con suolo imbevuto d’acqua, si trova lungo i piccoli ruscelli di montagna e le sorgenti. La componente vegetazionale è formata soprattutto da muschi, le poche specie vascolari non superano il 30% della copertura. L’habitat non occupa mai grandi superfici. Nell’area oggetto di applicazione del presente Piano non lo si può considerare prioritario in quanto, la quota e le temperature basse non consentono la precipitazione del calcare e quindi la formazione di concrezioni (tufo)

Riferimenti fitosociologici La fitocenosi si riferisce all’alleanza Cratoneurion; entra spesso in contatto con il Caricion davalliane ed il Caricion bicoloris-atrofuscae.

Specie vegetali caratteristiche Le entità caratteristiche di questa tipologia ambientale sono i muschi del genere Cratoneuron e piante superiori quali: Saxifraga aizoides, Saxifraga stellaris e Arabis subcoriacea.

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Cod. 7230 Torbiere basse alcaline

Struttura fisionomica ed ecologia Si tratta di paludi basse in cui dominano piccole Cyperaceae basofile che formano tappeti densi e poco elevati. Questo habitat ospita sovente numerose Orchidee. Il suolo è sempre ricco in basi e in calcare. Le acque che alimentano questi biotopi sono da oligo- a mesotrofe, sovente povere in ossigeno disciolto. L’unità può entrare anche in contatto con gli aggruppamenti più acidofili a Trichophorum cespitosum.

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è attribuita all’alleanza Caricion davallianae Klika 1934.

Specie vegetali caratteristiche L’habitat è colonizzato da Carex davalliana, Eriophorum latifolium, Blysmus compressus, Carex panicea, Carex flava aggr.Parnassia palustris, Juncus articulatus, Tofieldia calyculata, Dactylorhiza incarnata e dalla rara Epipactis palustris.

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Cod. 7240* Formazioni pioniere erbacee del Caricion bicoloris-atrofuscae

Struttura fisionomica ed ecologia Questa fitocenosi si presenta sotto forma di tappeti erbosi radi con giunchi e piccole Cyperceae, colonizza i terreni alluvioni sabbiosi e poveri di materia organica dei torrenti alpini, più raramente la si trova su morene umide. L’acqua che alimenta la zona è relativamente povera in calcare, ma spesso alcalina (7<pH<8). Questi aggruppamenti non sopportano temperature superiori a 25°C e, per questa ragione, si trovano quasi esclusivamente sulle Alpi, al di sopra dei 1600 metri di altitudine. La sopravvivenza sembra essere legata a fattori meccanici di rigenerazione (inondazione, crioturbazione).

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è attribuita all’alleanza Caricion bicoloris-atrofuscae Nordhagen 1937, l’unità si trova spesso in mosaico con habitat fontinali (es. Cratoneurion) o alluvionali (Epilobion fleischeri).

Specie vegetali caratteristiche L’habitat è colonizzato da piante di dimensioni esigue: Carex bicolor, Carex microglochin, Juncus alpinoarticulatus, Juncus arcticus; possono inoltre essere presenti: Bartsia alpina, Eleocharis quinqueflora, e Selaginella selaginoides.

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Cod. 8110 Ghiaioni silicei dei piani montano fino a nivale (Androsacetalia alpinae e Galeopsietalia ladanii)

Struttura fisionomica ed ecologia La Direttiva include anche le unità tipiche del piano montano, qui non vengono però considerate in quanto non è possibile distinguerle nella fase di interpretazione delle foto aeree. La vegetazione dei ghiaioni silicei di quota è assai rada (copertura inferiore al 10%). Le specie hanno per lo più portamento a pulvino o prostrato, poche sono quelle di taglia grande. L’unità si sviluppa su detriti poco mobili, ma costituisce anche i primi stadi di colonizzazione delle morene. Il suolo è acido (pH 4-6), ricco di materiali fini e offre condizioni di crescita migliori dei ghiaioni calcarei.

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è attribuita all’alleanza Androsacion alpinae Br.- Bl. 1926

Specie vegetali caratteristiche Androsace alpina, Achillea erba-rotta , Adenostyles leucophylla,Cardamine resedifolia, Cerastium uniflorum, Cryptogramma crispa, Geum reptans, Ranunculus glacialis, Thlaspi lerescheanum, Trifolium pallescens

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Cod. 8120 Ghiaioni calcarei e scisto-calcarei montani e alpini (Thlaspion rotundifolii) (sottotipo)

Struttura fisionomica ed ecologia Questo tipo di vegetazione colonizza i detriti di calcare compatto del piano alpino, con una bassa percentuale di copertura, tanto che a prima vista questi ambienti ne sembrano privi. Le piante sono ben adattate alle caratteristiche dell’ambiente: lunghi apparati radicali e forme a cuscinetto, consentono loro di sopravvivere agli scivolamenti di questi detriti mobili.

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è attribuita all’alleanza Thlaspion rotundifolii Br.- Bl. 1926

Specie vegetali caratteristiche Leontodon montanus, Cerastium latifolium, Crepis pygmaea, Arabis alpina, Linaria alpina, Pritzelago alpina, Saxifraga oppositifolia

Cod. 8120 Ghiaioni calcarei e scisto-calcarei montani e alpini (Thlaspietea rotundifolii) (con sottotipi)

Habitat ampiamente diffusi nel territorio considerato, il substrato è di tipo calcareo o scisto-calcareo e ospita specie floristiche di notevole interesse.

Page 36: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cod. 8120 Ghiaioni calcarei e scisto-calcarei montani e alpini– Drabion hoppeanae (sottotipo)

Struttura fisionomica ed ecologia Questo tipo di vegetazione colonizza i detriti di calcescisto. Questi si originano per fratture secondo piani orizzontali e di conseguenza sono meno mobili e più umidi dei precedenti, inoltre il pH del suolo è da neutro ad alcalino. L’unità si sviluppa dal piano alpino fino al limite delle nevi perenni (piano nivale) che può superare sulle nostre Alpi anche i 4000 m d’altitudine. Oltre ai ghiaioni scistosi, può colonizzare anche i suoli periglaciali regolarmente sottoposti ai fenomeni di gelo-disgelo, così come le morene giovani non mobili.

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è attribuita all’alleanza Drabion hoppeanae Zollitsch 1966

Specie vegetali caratteristiche Achillea nana, Artemisia genepi, Campanula cenisia, Draba hoppeana, D. fladnizensis, Gentiana schleicheri, Herniaria alpina, Saxifraga oppositifolia, S. muscoides, S. biflora, Trisetum spicatum

Cod. 8120 Ghiaioni calcarei e scisto-calcarei montani e alpini– Petasition paradoxi (sottotipo)

Struttura fisionomica ed ecologia Si tratta di detriti calcarei più o meno mobili, posti alla base di pendii o su coni di depositi alluvionali, dal piano montano a quello alpino. il suolo è fresco, ben alimentato dall’acqua, con presenza di terra fine ricca in humus. In questi ambienti si sviluppa una vegetazione più lussureggiante rispetto alle precedenti, generalmente a foglia larga ma ben adattata ai substrati instabili.

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è attribuita all’alleanza Petasites paradoxi Zollitsch 1966.

Specie vegetali caratteristiche Adenostyles glabra, Athamanta cretensis, Carduus defloratus, Doronicum grandiflorum, Gypsophila repens, Leontodon hispidus, Senecio doronicum, Slene vulgaris subsp. prostrata, Trisetum distichophyllum, Valeriana montana

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37373737

Cod. 8210 Comunità xerofile

Struttura fisionomica ed ecologia La vegetazione di questi ambienti ha una debole copertura, generalmente inferiore al 10%, ma riesce a svilupparsi su pareti quasi verticali, senza quasi accumuli di terra fine, se non nelle fessure della roccia, con forti escursioni termiche e prolungati periodi di siccità.

Riferimenti fitosociologici La fitocenosi è attribuita all’alleanza Potentillion caulescentis Br.-Bl. 1926 e

Specie vegetali caratteristiche di questo habitat sono: Androsace helvetica, Asplenium ruta-muraria, A. trichomanes, Draba tomentosa, Minuartia mutabilis, Petrocallis pyrenaica, Potentilla caulescens, Rhamnus pumila, Saxifraga diapensioides, Sedum dasyphyllum, Slene saxifraga.

Cod. 8210 Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica

Habitat ampiamente diffuso in tutto il territorio con comunità sia xerofile che sciafile.

Cod. 8210 Comunità sciafile

Struttura fisionomica ed ecologia La flora che colonizza le rupi calcaree in situazione più fresche e umide, è ricca di felci e muschi. Il microclima è molto più costante di quello dell’habitat precedente e la flora non è però così strettamente legata al substrato calcareo, in quanto sovente l’acqua può essere arricchita in elementi minerali, che favoriscono ugualmente queste comunità .

Riferimenti fitosociologici La fitocenosi è attribuita all’alleanza Cystopteridion fragilis J.L. Richard 1972

Specie vegetali caratteristiche Moehringia muscosa, Asplenium fontanum, A. viride, Cystopteris fragilis, Valeriana tripteris, Viola biflora

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Cod. 8220 Pareti rocciose silicee con vegetazione casmofitica

Struttura fisionomica ed ecologia Le numerose fessure e nicchie delle rocce silicee consentono lo sviluppo di una vegetazione pioniera altamente specializzata; infatti questi sono ambienti sottoposti a periodi d’intensa aridità e a escursioni termiche molto forti. Rispetto alla vegetazione delle rupi calcaree, sono qui più diffusi i muschi xerofili e i licheni. Esiste anche un’altra unità in grado di colonizzare le rupi di serpentino. Queste rocce cristalline, ricche in basi e in metalli pesanti non sono molto ospitali e sono colonizzate da una flora specializzata costituita soprattutto da Felci.

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è attribuita all’alleanza Androsacion vandelli Br.-Bl. 1926, mentre sulle rupi di serpentino l’alleanza è Asplenion serpentini Br.-Bl. et Tüxen 1943.

Specie vegetali caratteristiche Androsace vandelli, Asplenium septentrionale, Bupleurum stellatum, Eritrichium nanum, Phyteuma scheuchzeri,, Primula hirsuta, Saxifraga cotyledon, S. exarata

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Cod. 8230 Rocce silicee con vegetazione pioniera del Sedo-Scleranthion o del Sedo albi-Veronicion dillenii

Struttura fisionomica ed ecologia Pur essendo un habitat in cui la componente rocciosa è consistente, viene inserita tra gli ambienti a copertura erbacea, in quanto spesso è a mosaico con questi, e non è possibile la sua distinzione durante la fase di interpretazione delle foto aeree. Questa vegetazione è generalmente rada e discontinua in cui le Crassulacee succulente sono dominanti. Il substrato è costituito da un sottile strato di terra fine che poggia su affioramenti di rocce cristalline o di serpentino

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è attribuita alle alleanze Sedo-Scleranthion Br.-Bl. 1955 e Rhizocarpetea geografici Wirth 1972.

Specie vegetali caratteristiche Plantago serpentina, Sedum annuum, S. anacampseros, S. montanum, S. telephium subsp. maximum , Sempervivum arachnoideum, S. montanum, S. tectorum, Silene rupestris

Page 40: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cod. 8240* Pavimenti calcarei

Struttura fisionomica ed ecologia Pur essendo un habitat in cui la componente rocciosa è consistente, viene inserita tra gli ambienti a copertura erbacea, in quanto spesso è a mosaico con questi, e non è possibile la sua distinzione durante la fase di interpretazione delle foto aeree. Questi ambienti sono ricchi di specie ben adattate alle condizioni ambientali rigide degli ambienti di alta quota, si tratta infatti di piante nane, spesso a portamento strisciante per meglio sfruttare il calore restituito dalla componente rocciosa.

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è riconducibile in Valle d’Aosta all’alleanza del Drabo-Seslerion Bèguin et Ritter 1974.

Specie vegetali caratteristiche Tra le specie più caratteristiche Astragalus sempervirens, Draba aizoides, Dryas octopetala, Globularia cordifolia, Helianthemum alpestre, Salix serpyllifolia, Saxifraga paniculata, S. exarata subsp.moschata, Sedum atratum, Teucrium montanum

Page 41: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Struttura fisionomica ed ecologia I ghiacciai costituiscono dei sistemi complessi, risulta difficile riassumerne le caratteristiche in una breve descrizione. Un ghiacciaio è un sistema in movimento, sotto pressione si comporta come un fluido molto viscoso e si fonde lentamente verso valle riuscendo a raggiungere il piano montano: la lingua inferiore, dove le perdite per fusione sono più elevate che le precipitazioni, è alimentata dagli apporti della parte superiore dell’apparato.

Riferimenti fitosociologici Non sono possibili riferimenti alla vegetazione tipica di questi habitat, l’unica differenziazione è quella, proposta dal manuale di Corine Biotopes, tra Ghiacciai veri e Ghiacciai rocciosi.

Cod. 8340 Ghiacciai permanenti

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Cod. 9410 Foreste acidofile montane e alpine di Picea (Vaccinio-Piceetea)

Struttura fisionomica ed ecologia E’ il classico bosco di Abete rosso, talvolta associato a Larice. Il sottobosco è generalmente dominato da specie acidofile, che prosperano sulla lettiera mal decomposta di aghi dell’abete rosso, la loro copertura varia in funzione della densità degli alberi e dell’umidità del terreno; nei luoghi freschi alimentati da acque ricche di minerali, sono spesso presenti anche alcune megaforbie. Questo habitat forma una ampia fascia nel piano subalpino (1500-2100m).

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è attribuita all’alleanza Vaccinio-Piceion Br.-Bl.1939.

Specie vegetali caratteristiche Tra le specie arboree: Picea abies e Larix decidua, Sorbus aucuparia. Specie arbustive più diffuse: Rhododendron ferrugineum, Vaccinium myrtillus, Vaccinium vitis-idaea; e da molte entità erbacee: Homogine alpina, Listera ovata e Melampyrum sylvaticum.

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Cod. 9420 Foreste alpine di Larix decidua e/o Pinus cembra

Struttura fisionomica ed ecologia E’ il classico bosco del piano subalpino, (talvolta può scendere fino a quello montano), in cui domina Larix decidua, accompagnato da Pinus cembra, ma solo a quote superiori e in situazioni più fresche (non è il caso della Val Ferret, dove la specie è assente). Se il Lariceto è puro e fitto, il sottobosco è per lo più inesistente in quanto lo spesso strato di aghi impedisce lo sviluppo di vegetazione erbacea; se invece il bosco è più rado si sviluppa un sottobosco a prevalenti ericacee, simile, ma meno ricco in specie, a quello della Pecceta. Il Larice è specie pioniera in grado di raggiungere il limite della vegetazione arborea che per le Alpi occidentali è in media a 2400 m d’altitudine.

Riferimenti fitosociologici L’habitat è riconducibile all’associazione Larici-Pinetum cembrae Ellemberg 1963.

Specie vegetali caratteristiche Le entità caratteristiche di questa tipologia ambientale sono: Larix decidua, Rhododendron ferrugineum, Vaccinium gaultherioides, V. myrtillus, V. vitis-idaea, Lonicera coerulea, Avenella flexuosa, Calamagrostis villosa, Clematis alpina

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Cod. 9430* Foreste montane e subalpine di Pinus uncinata (* su suolo gessoso o calcareo)

Struttura fisionomica ed ecologia Questa boscaglia, tipica del piano subalpino, occupa territori difficilmente colonizzabili da altre essenze forestali, generalmente su creste e pendii rocciosi aridi e su suoli calcarei, gessosi o di serpentino. Il Pino uncinato assume forma arbustiva, con rami prostrato-ascendenti che resistono alla copertura nevosa. Solitamente lo si trova dal piano montano fino a 2200m d’altitudine, ma in Val Ferret alcuni esemplari raggiungono quote maggiori.

Riferimenti fitosociologici Questo habitat è riconducibile all’alleanza Erico-Pinion mugo Leibundgut1946 nom. inv.

Specie vegetali caratteristiche Le entità caratteristiche di questa tipologia ambientale sono: Pinus uncinata, Rhododendron ferrugineum, Vaccinium gaultherioides, V. vitis-iidaea a cui si associano le specie tipiche della vegetazione delle rupi calcaree.

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Di seguito, in tabella 2, si riportano gli habitat segnalati e cartografati che non trovano corrispondenza con gli habitat Natura 2000 e le relative schede descrittive.

Tab 2 Habitat non contemplati dalla Direttiva 43/92 CEE

INTERREG COGEVA VASHA Habitat presenti nei SIC/ZPS

non contemplati dalla Direttiva 43/92

Codice Corine Biotopes

Ambienti glaciali Monte

Bianco

IT1204010

Val Ferret

IT1204030

Talweg Val Ferret

IT1204032

Grado di conservazione

Valutazione globale

Cor. 22.1 Acque calme senza vegetazione

x x B-B-hnp B-B-hnp

Cor. 37.1 Prati acquitrinosi ad alte erbe (Olmaria)

x x hnp-B-B hnp-B-B

Cor. 37.21 Praterie umide a Caltha e Deschampsia

x x hnp-B-B hnp-B-B

Cor. 54.11 Vegetazione delle sorgenti acide

x x x A-A-B A-A-B

Cor. 54.4 Paludi a piccole carici acidofile

x x x A-A-B A-A-B

Cor. 24.224 Boscaglie miste con prevalenza di latifoglie

x x x A-B-B A-B-B

Cor. 31.611 Alneti (Alnetum viridis)

x x x A-A-B A-A-B

Cor. 36.33 Pascoli rocciosi acidi a Festuca varia aggr.

x x A-A-hnp A-A-hnp

Cor. 36.52 Pascoli pingui subalpini ed alpini

x x A-A-hnp A-A-hnp

Cor. 36.12 Vallette nivali calcaree

x x A-A-hnp A-A-hnp

Cor. Pareti rocciose silicee senza vegetazione vascolare (flora lichenica)

x x A-A-hnp A-A-hnp

Cor. Pareti rocciose calcaree senza vegetazione vascolare

x A-hnp-hnp A-hnp-hnp

Cor. Ambienti perturbati ed edificati

x x / /

Legenda

hnp = habitat non presente

grado di conservazione

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A = conservazione eccellente

B = buona conservazione

C = conservazione media o ridotta

valutazione globale A = valore eccellente

B = valore buono

C = valore significativo

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Schede descrittive degli habitat non in direttiva Habitat

Cor. 22.1 Acque calme senza vegetazione

Struttura fisionomica ed ecologia Si tratta di piccoli laghi glaciali in cui non è stata riscontrata presenza di vegetazione acquatica, il regime idrico è inoltre molto variabile.

Riferimenti fitosociologici Non esistono riferimenti per questo tipo di habitat.

Corine Biotopes: 22.1

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48484848

Cor. 37.1 Prati acquitrinosi ad alte erbe (Olmaria)

Struttura fisionomica ed ecologia Questa vegetazione igrofila forma spesso dei cordoni lungo i corsi d’acqua; essendo dominata da Dicotiledoni di taglia elevata, limita la presenza di piante di piccola taglia e di graminacee. Il suolo è ricco in sostanze organiche e nutrienti che favoriscono spesso la penetrazione di specie nitrofile.

Riferimenti fitosociologici La fitocenosi si riferisce all’alleanza Filipendulion ulmariae Lohmeyer 1967

Specie vegetali caratteristiche Sono diverse: Filipendula ulmaria, Cirsium helenioides, Angelica sylvestris, Valeriana officinalis aggr., e a quote più basse anche Lysimachia vulgaris e Lythrum salicaria

Corine Biotopes: 37.1

Page 49: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cor. 37.21 Praterie umide a Caltha e Deschampsia

Struttura fisionomica ed ecologia Si tratta di praterie umide con vegetazione lussureggiante, spesso concimate regolarmente e pascolate; questo habitat può anche svilupparsi lungo le rive di piccoli corsi d’acqua. Il suolo è sempre ricco di sostanza organica e soprattutto in inverno e primavera impregnato d’acqua.

Riferimenti fitosociologici La fitocenosi si riferisce all’alleanza del Calthion palustris Tüxen 1937.

Specie vegetali caratteristiche Numerose sono le specie, tra cui: Deschampsia cespitosa, Caltha palustris, Chaerophyllum hirsutum, Geum rivale, Polygonum bistorta, Ranunculus aconitifolium

Corine Biotopes: 37.21

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50505050

Cor. 54.11 Vegetazione delle sorgenti acide

Struttura fisionomica ed ecologia Questo habitat ricopre terreni imbevuti d’acqua in prossimità di sorgenti e piccoli ruscelli in cui l’acqua ha un basso tenore in calcare (4,5<pH<7). Il microclima è costantemente umido e fresco, favorendo una ricca vegetazione muscinale.

Riferimenti fitosociologici L’unità fitosociologica è Cardamino-Montion, che spesso è in mosaico con il Caricion fuscae (paludi acidofile), da cui si distingue per la scarsa presenza di Cyperaceae.

Specie vegetali caratteristiche Tra le piante vascolari: Cardamine amara, Saxifraga stellaris, Epilobium alsinifolium, Epilobium nutans, Carex frigida e il raro Sedum villosum

Corine Biotopes: 54.11

Page 51: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

51515151

Cor. 54.4 Paludi a piccole carici acidofile

Struttura fisionomica ed ecologia Queste paludi sono caratterizzate da un tappeto denso di Ciperacee di piccola taglia, che crescono su substrati poveri in calcare. Il suolo è spesso torboso, da oligo- a mesotrofo, con pH da neutro a acido. Sono ambienti assai rari a quote basse, mentre nei piani subalpino ed alpino, diventano assai frequenti, anche negli aggruppamenti pionieri meno densi in cui domina Eriophorum scheuchzeri

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi è attribuita all’alleanza Cariocion fuscae Koch 1926

Specie vegetali caratteristiche Sono biotopi ricchi di specie: Carex nigra, C. canescens, C. echinata, Eriophorum scheuchzeri, Eriophorum angustifolium, Phleum alpinum, Epilobium palustre, Pedicularis palustris, Trichophorum cespitosum, Viola palustris

Corine Biotopes: 54.4

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52525252

Cor. 24.224 Boschi misti con prevalenza di latifoglie

Struttura fisionomica ed ecologia Si tratta della vegetazione arborea che colonizza le aree del fondovalle e la base dei pendii, in seguito ad intensa attività valanghiva e franosa. Sono incluse anche le formazioni boschive a foglia larga e caduca che ricoprono i pendii più freschi e le rive dei corsi d’acqua.

Riferimenti fitosociologici Questo habitat comprende anche l’alleanza del Salicion eleagni-daphnoidis (Moor 1958) Grass 1993.

Specie vegetali caratteristiche Le entità caratteristiche di queste tipologie di ambienti sono: Salix purpurea, Salix daphnoides, Salix myrsinifolia, Salix caprea, Betula pendula, Alnus incana e Myricaria germanica. Compaiono anche alcune latifoglie meno igrofile, come Sorbus aria e S. aucuparia, Prunus avium, Populus tremula e alcune Gynmospermae quali Larix decidua e Picea abies.

Corine Biotopes: 24.224

Page 53: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

53535353

Cor. 31.611 Alnetum viridis

Struttura fisionomica ed ecologia Questi arbusteti sono molto diffusi lungo i coni di deiezione e le rive dei torrenti alpini, sempre su terreni poveri (pianta pioniera) ma ricchi di umidità. L’Ontano verde (Alnus viridis) è un arbusto con rami prostrato-ascendenti che si piegano senza rompersi sotto il peso della neve e il passaggio delle valanghe, inoltre arricchisce il terreno di azoto assimilabile, grazie ad una simbiosi radicale con un batterio. Generalmente le boscaglie ad ontano verde ospitano un strato erbaceo molto rigoglioso, le alte erbe o megaforbie.

Riferimenti fitosociologici La fitocenosi si riferisce all’alleanza Alnion viridis Aichinger 1933 p.p.

Specie vegetali caratteristiche L’habitat è composto principalmente da Alnus viridis a cui spesso si associa Salix appendiculata e molte megaforbie: Adenstyles alliariae, Cirsium spinosissimum, Aconithum lamarckii, Hugueninia tanacetifolia e Chaerophyllum hirsutum.

Corine Biotopes: 31.611

Page 54: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

54545454

Cor. 36.33 Pascoli rocciosi acidi a Festuca varia aggr.

Struttura fisionomica ed ecologia Questa unità comprende più aggruppamenti di difficile attribuzione fitosociologica. Hanno in comune la struttura fisionomica in quanto le graminacee dominanti (appartenenti al gruppo di Festuca varia) formano delle ghirlande simili a gradoni paralleli alle curve di livello per effetto dei fenomeni di soliflusso. Il suolo è superficiale, arido e sovente pietroso.

Riferimenti fitosociologici Questo habitat è riconducibile all’alleanza Festucion variae Br.-Bl. 1925.

Specie vegetali caratteristiche Le specie più ricorrenti, oltre Festuca varia aggr sono: Armeria alpina, Laserpitium halleri, Poa violacea, Valeriana celtica, Anthyllis vulneraria subsp. valesiaca, Bupleurum stellatum, Trifolium montanum, Veronica fruticans

Corine Biotopes: 36.33

Page 55: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cor. 36.52 Pascoli pingui subalpini ed alpini

Struttura fisionomica ed ecologia Verso il limite superiore dell’orizzonte subalpino si trova questo pascolo denso con specie di piccole dimensioni (15 - 30 cm) come Phleum alpinum, Poa alpina e Plantago alpina. Il suolo è fertile e ben alimentato dall’acqua.

Riferimenti fitosociologici Questo habitat è riconducibile all’alleanza del Poion alpinae Oberdorfer 50.

Specie vegetali caratteristiche L’habitat è composto da Poa alpina, Phleum rhaeticum, Festuca rubra, Crepis aurea, Cerastium fontanum, diverse specie di Alchemilla, Trifolium badium, Viola calcarata, Soldanella alpina, Leontodon hispidus, Plantago atrata.

Juncus jacquinii

Corine Biotopes: 36.52

Page 56: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cor. 36.12 Vallette nivali calcaree

Struttura fisionomica ed ecologia Queste vallette nivali sono caratterizzate da una copertura discontinua di piante a rosetta di piccola taglia e di salici nani prostrati. Sono tipiche del piano alpino in avvallamenti e conche di modeste dimensioni, dove la neve permane per un lungo periodo (9-11 mesi l’anno); il suolo è calcareo, più pietroso e quindi più permeabile di quello delle vallette nivali acide, per questa ragione i muschi sono decisamente meno abbondanti.

Riferimenti fitosociologici Questa fitocenosi appartiene all’alleanza Arabidion caeruleae Br.-Bl. 1926

Specie vegetali caratteristiche Le specie più diffuse sono: Arabis caerulea, Gnaphalium hoppeanum, Gentiana bavarica, Ranunculus alpestris, Salix reticulata, S. retusa, Saxifraga androsacea, Soldanella alpina, Veronica aphylla

Corine Biotopes: 36.12

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Pareti rocciose silicee senza vegetazione vascolare

Struttura fisionomica ed ecologia Le rocce silicee, meno permeabili di quelle calcaree, sono in generale più colonizzate da Crittogame. Ben rappresentati sono i “licheni geografici”, Rhizocarpon geographium e specie vicine, che per la loro colorazione conferiscono alle rupi un inconfondibile colore giallo-verdastro. Anche i muschi sono particolarmente abbondanti in questi ambienti e in particolare le specie del genere Grimmia. Questo tipo di vegetazione è in grado di sopportare condizioni estreme per temperatura ed disponibilità idrica.

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Pareti rocciose calcaree senza vegetazione vascolare

Struttura fisionomica ed ecologia Questa flora crittogama si sviluppa su pareti calcaree prive di anfratti e fessure, che altrimenti consentirebbero lo sviluppo di una flora vascolare. Si tratta di comunità pioniere termofile che hanno l’optimum in situazioni di bassa quota, ma che possono svilupparsi anche nel piano alpino, ma solo in situazioni ben esposte. Questi ambienti sono soggetti a variazioni importanti di temperatura e a lunghi periodi di aridità, duranti i quali la vegetazione, costituita da licheni, muschi e alghe, rallenta notevolmente l’attività vitale.

Page 59: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

59595959

Ambienti perturbati ed edificati

Struttura fisionomica ed ecologia Si tratta dei villaggi situati lungo la valle, abitazioni utilizzate quasi esclusivamente nella stagione estiva, oltre a ristoranti, campeggi e il Campo da Golf a 9 buche situato in località Tronchey. Sono inclusi, anche se non sono stati cartografati per ragioni di scala, i parcheggi della Val Ferret.

Page 60: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

60606060

Flora L’indagine floristico-vegetazionale ha consentito di censire 639 entità, di cui 39 endemismi alpici, inclusi 8 delle alpi occidentali (Achillea nana, Aconitum variegatum subsp. valesiacum, Adenostyles leucophylla, Campanula cenisia, Oxytropis helvetica, Pedicularis rostratospicata, Thlaspi lereschaeanum e Viola calcarata); sono presenti 6 specie contemplate negli Allegati della Direttiva Habitat.

Dal punto di vista conservazionistico, la flora censita consta di:

� 24 specie protette dalla Legge Regionale n. 45 del 7 dicembre 2009,

� 7 entità inserite nelle categorie IUCN del Libro Rosso nazionale

� 11 in quelle della Lista Rossa regionale.

Delle 6 specie contemplate negli allegati della Direttiva Habitat, 1 specie (Cypripedium calceolus) è inserita anche negli elenchi della Convenzione di Berna (conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa 19/09/79) e 18 entità, appartenenti alla famiglia delle Orchidaceae, sono tutelate dalla Convenzione di Washington (CITES 1973).

Dall’analisi critica dei risultati sono state individuate 10 specie di elevata importanza regionale: Allium victorialis, Androsace pubescens, Anemone narcissiflora, Campanula thyrsoides, Carex limosa, Cypripedium calceolus, Epipactis palustris, Ophrys insectifera, Utricularia minor e Valeriana saliunca. La conservazione e protezione di queste entità è strettamente legata al mantenimento degli habitat che le ospitano.

I censimenti floristici hanno portato, con molta probabilità, anche alla scoperta di una nuova entità per la Valle d’Aosta: si tratta di Carex juncella (Fr.) Th. Fr., la specie, diffusa nel Nord Europa, è stata fino ad ora segnalata, ma non recentemente confermata per il territorio italiano, solo nelle province di Sondrio, Trento e Belluno.

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Page 65: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

Schede descrittive delle specie floristiche di maggior interesse

Specie in Direttiva nei siti Natura 2000 del Monte Bianco

Entità Cypripedium calceolus L.

Situazione in Valle d’Aosta È specie rarissima presente solamente in due stazioni all'imbocco della Val Ferret e della Val Veni.

Particolarità corologiche In Italia è presente, rara, sulle Alpi e Prealpi centro-orientali, mentre è rarissima sulle Alpi occidentali e sull'Appennino abruzzese.

Famiglia: Orchidaceae

L.R. 45/2009

All. A

Libro Rosso Naz.

VU

Direttiva Habitat

II, IV

Lista Rossa Reg.

EN

Conv. Berna

I

Distribuzione siti Natura 2000 Monte Bianco Per la Valle d'Aosta le due uniche stazioni si trovano una all'interno dell'area, nel bosco di Chapy all'imbocco della Val Ferret, l'altra fuori dall'area, poco sopra la Cappella di Notre Dame de la Guerison,all'inizio della V. Veni in destra orografica.

Conv. Wash.

II

Ecologia / Fitosociologia della specie

Boschi chiari, arbusteti; specie xerofila e calcicola.

La specie è indicata come appartenente all'alleanza fitosociologica Cephalanthero-Fagenion.

Minacce reali e potenziali Si tratta della specie più rara ed importante di tutta l'area. Inoltre è anche molto conosciuta tra gli appassionati di flora alpina che, anche se animati da solo spirito di collezionismo fotografico, potrebbero danneggiare il sito in cui cresce; la Scarpetta di Venere, come molte altre orchidee, non si riproduce facilmente. È perciò fondamentale non diffondere in alcun caso notizie precise sull'ubicazione dell'unica stazione.

Corologia: Circumboreale

Page 66: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Entità Aquilegia alpina L.

Situazione in Valle d’Aosta Poco frequente, è diffusa qua e là in quasi tutte le valli laterali.

Particolarità corologiche In Italia esclusiva di Alpi occidentali e centrali e dell'Appennino settentrionale e Alpi Apuane; rara.

Famiglia: Ranunculaceae

L.R. 45/2009

All. A Libro Rosso Naz.

Direttiva Habitat

IV Lista Rossa Reg.

NT

Conv. Berna

Distribuzione siti Natura 2000 Monte Bianco Al momento sono conosciute solo due stazioni: una per la Val Veni (Lago Combal) e l'altra per la Val Ferret (sopra Arnouva).

Conv. Wash.

Ecologia / Fitosociologia della specie Boschi radi, arbusteti, pascoli e detriti, specie calcifila.

La specie è caratteristica dell'alleanza fitosociologica Caricion ferrugineae.

Corologia: Orofita S-Europea

Specie in Direttiva nei siti Natura 2000 del Monte Bianco

Minacce reali e potenziali È specie di grande valore estetico ed è per questo che ne viene vietata la raccolta (L.R. n.17); le popolazioni presenti nell'area sono costituite da un numero consistente di individui (soprattutto quella della Val Veni) per cui se non si verificano eventi eccezionali (frane) non sussistono minacce alla sopravvivenza.

Page 67: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Specie d’Interesse rilevante nei siti Natura 2000 del Monte Bianco

Entità Carex limosa L.

Situazione in Valle d’Aosta È presente in un numero limitato di stazioni: V. Chalamy, V. d'Ayas, Verrayes, Val Ferret; da confermare un'antica segnalazione per il Piccolo San Bernardo.

Particolarità corologiche In Italia è presente, rara, sull'arco alpino dal Trentino al Piemonte (Val di Susa); stazioni isolate sulle Alpi Carniche e Giulie.

Famiglia: Cyperaceae

L.R. 45/2009

All. A Libro Rosso Naz.

Direttiva Habitat

Lista Rossa Reg.

VU

Conv. Berna

Distribuzione siti Natura 2000 Monte Bianco Sembra essere esclusiva della Val Ferret dove compare relativamente rara nelle zone umide del fondovalle.

Conv. Wash.

Ecologia / Fitosociologia della specie Paludi e torbiere.

La specie è caratteristica dell'alleanza fitosociologica Caricion lasiocarpae.

Minacce reali e potenziali Come tutte le specie appartenenti alla famiglia delle Cyperaceae, anche questa pianta non presenta particolarità estetiche che possano indurre ad una raccolta indiscriminata; crescendo però in un ambiente di precario equilibrio (torbiere di transizione e paludi) occorre porre particolari attenzioni alla conservazione dell'habitat.

Corologia: Circumboreale

Page 68: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Entità Gentiana clusii E. P. Perrier & Songeon

Famiglia: Gentianaceae

Corologia: Orofita S-Europea

Particolarità corologiche In Italia è comune dalle Alpi Giulie alle Grigne, diventa rara verso ovest fino alla Valle d'Aosta.

Situazione in Valle d’Aosta Le stazioni conosciute si trovano tutte nel settore occidentale della regione, dal P.S. Bernardo alla Val Veni.

Distribuzione siti Natura 2000 Monte Bianco Allo stato attuale delle conoscenze è nota un'unica stazione alla base delle Pyramides Calcaires; vi sono inoltre due segnalazioni antiche di L. Vaccari per il Mont Fréty e il Col de la Seigne, dove però la specie non è stata più riconfermata.

Ecologia / Fitosociologia della specie Pascoli, rupi; specie che necessita di substrato calcareo.

La specie è diffusa nell'alleanza fitosociologica Seslerion albicantis.

Minacce reali e potenziali Questa specie, molto rara in tutta la Valle d'Aosta, ha un notevole valore estetico per i suoi fiori di colore blu intenso; inoltre, essendo assai simile alla più comune Gentiana di Koch (Gentiana acaulis), potrebbe essere oggetto di raccolte anche come specie officinale.

Specie d’Interesse rilevante nei siti Natura 2000 del Monte Bianco

L.R. 45/2009

All. B Libro Rosso Naz.

Direttiva Habitat

Lista Rossa

Reg. NT

Conv. Berna

Conv. Wash.

II

Page 69: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Fauna Le componenti faunistiche indagate con maggior attenzione sono state:

� Entomofauna (Lepidotteri ropaloceri e Coleotteri scarabeoidea)

� Erpetofauna

� Avifauna

� Mammalofauna.

Entomofauna

Lepidotteri ropaloceri (farfalle diurne)

Nell’area sono stati campionati 1.045 individui e sono state individuate 68 specie. Tra queste, 3 sono inserite negli allegati della Direttiva Habitat (Maculinea arion, Parnassius apollo e Euphydryas aurinia glaciegenita), mentre 1 è specie globalmente minacciata ed in declino nel nostro paese (Parnassius phoebus).

M. arion, P. apollo e E. aurinia glacegenita sono state individuate in più di una località, così come la specie minacciata P. phoebus.

Tab. 3 Confronto specie formulario Natura 2000/Nuove acquisizioni (In rosso le nuove segnalazioni).

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In rosso le nuove segnalazioni

Schede descrittive dei lepidotteri ropaloceri

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Euphydrias aurinia glaciegenita

(Rottemburg, 1775)

Aurinia dei Ghiacciai.

Sottofamiglia: Melitaeinae

Famiglia: Nymphalidae

Ordine: Lepidoptera

Classe: Hexapoda

Phylum: Arthropoda

Status di conservazione

Categoria IUCN

Lower risk: least concern (LR: lc)

In Italia: Least Concern (LC) – specie meritevole di attenzione, facente parte di un complesso specifico minacciato in molte parti d’Europa.

Morfologia

È una farfalla di medie dimensioni, con una estesa variabilità individuale. La parte superiore delle ali è giallo camoscio con macchie cellulari e fasce postdiscali rosso-arancio e disegni neri variabili.. Le parti inferiori sono più pallide, grigio giallastre con fasce bruno-arancione chiaro; nell’ala anteriore non vi sono macchie nere postdiscali evidenti. Fra le tre specie biologiche, Euphydryas glaciegenita si riconosce morfologicamente dalle altre per le sue dimensioni minori e per avere la superficie dorsale delle ali cosparsa di squame scure.

Dimorfismo sessuale: la femmina è generalmente più grande

Ecologia L’areale di Euphydryas aurinia, intesa nel suo complesso, si estende dall’Europa occidentale attraverso la Russia, fino alla Corea. La forma nominale è distribuita dalla Gran Bretagna alla Scandinavia, fino ai Balcani (Grecia esclusa); è rara in Italia peninsulare. E. glaciegenita è diffusa alle quote maggiori della catena alpina, dal Dipartimento delle Basses Alpes fino alla Baviera, Euphydryas provincialis è diffusa in Francia sud orientale, nelle Alpi Liguri, alle quote più basse, sull’Appennino, dove giunge a Sud fino al Vulture, nonché in Dalmazia. Nella Penisola Iberica, Marocco e Algeria si trova la E. beckeri.

Le varie bio-specie del gruppo di Euphydryas aurinia abitano biotopi aventi caratteristiche ecologiche fra loro molto diverse. Complessivamente è legata alle zone aperte; gli adulti si osservano dall’inizio maggio a tutto agosto, come riportato più avanti.

Habitat: gli ambienti colonizzati sono vari e cambiano con le diverse biospecie: Euphydryas aurinia abita in tutta Europa i prati planiziali umidi su substrato acido o neutro, ma anche, per quanto di rado, brughiere e praterie meso-xeriche su calcare. In Inghilterra i siti utilizzati sono soggetti a pascolo di bovini e ad abbruciamenti alla fine dell’inverno (Warren, 1987). In tale situazione, sia il pascolamento, purché non eccessivo, sia la bruciatura dello strato erboso, appaiono fondamentali per la specie, perché impediscono la successione vegetazionale verso le formazioni boschive. E. glaciegenita è anch’essa meso-igrofila e

Page 71: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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abita le Alpi dai 1700 ai 2500 m, spingendosi fino al curvuleto. E. provincialis, infine, è invece una specie termofila, legata sia alle condizioni meno estreme della gariga mediterranea (300-1000 m), sia a situazioni più mesofile, come si verifica a volte sull’Appennino.

Comportamento riproduttivo: è una specie monovoltina. In Italia gli adulti di Euphydryas aurinia (sensu stricto) volano soprattutto in maggio (estremi osservati: 7.05-20.06). E. glaciegenita è caratterizzata da volo estivo, che si svolge soprattutto in luglio (13.06-30.08), con variazioni legate più a condizioni microclimatiche locali, come l’esposizione dei versanti, che all’altitudine. E. provincialis, infine, ha un simile periodo di volo (3.05-28.06), ma più concentrato in giugno. Le femmine schiudono quasi una settimana dopo i maschi, volano poco e restano spesso posate a lungo sui fiori. I maschi pattugliano le praterie alla ricerca delle femmine.

Sviluppo: le uova vengono deposte a gruppi sulla pagina inferiore delle foglie, di solito nel mese di giugno, con le variazioni sopra menzionate. La prima deposizione è di circa 300 uova, le successive sono più piccole. La schiusa avviene dopo circa tre settimane. Le giovani larve sono gregarie e tessono sulla pianta ospite una tela comunitaria. Dopo la terza muta le larve di quarto stadio (L4) iniziano l’ibernazione, che avviene all’interno di un piccolo “hibernaculum” avente circa 1 cm di diametro e posto quasi a livello del suolo. All’inizio della primavera emergono dal rifugio invernale e riprendono al alimentarsi nella tela comunitaria, ma si disperdono dopo la quarta muta (L5). L’incrisalidamento segue la quinta muta (L6); la pupa è di tipo sospeso. Le immagini compaiono dopo quindici giorni (Carter et al., 1988; Warren, 1995, ecc.).

Alimentazione: secondo la biospecie cui appartengono, i bruchi utilizzano diverse specie di piante erbacee, tra cui, in Italia:

Gli adulti si alimentano su un ampio spettro di piante, tra cui Ranunculus spp., Cirsium spp., Centaurea spp., Taraxacum vulgare, Cephalaria leucantha ecc. con variazioni anche secondo le biospecie prese in esame. In ogni caso, le fonti di nettare non sembra che si possano considerare fattori limitanti per la sopravvivenza della specie.

Rapporti con altre specie: Apanteles bignellii (Imenotteri Braconidi) è un parassita specifico, sembra essere responsabile di ampie fluttuazioni delle popolazioni di E. aurinia (Porter, 1983).

Succisa pratensis (Dipsacaceae) E. aurinia Igrofila planiziale

Knautia arvensis (Dipsacaceae) E. aurinia Mesofila

Cephalaria leucantha (Dipsacaceae) E. provincialis Termofila

Gentiana kochiana (Gentianaceae) E. glaciegenita Mesoigrofila alpina

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Maculinea arion (Linnaeus, 1758)

Famiglia: Lycaenidae

Ordine: Lepidoptera

Classe: Exapoda

Phylum: Arthropoda

Status di conservazione

Categoria IUCN

Lower risk: near threatened (LR: nt) versione 2.3 (1994)

Per l’Italia: Near Threatened (NT) - Specie meritevole di attenzione, anche a causa della sua mirmecofilia obbligata. (Ministero dell’Ambiente e Unione Zoologica Italiana, in preparazione)

Morfologia

La specie fu originariamente descritta come Papilio arion Linné, 1758 - Syst. nat., Ed. X, p. 483. Locus typicus: “Europa”.

M. arion si distingue esternamente da tutte le altre specie europee di Maculinea in base alla soffusione basale verde-azzurra ben visibile sulla superficie ventrale delle ali posteriori e alla presenza di un punto basale presente all’interno della cellula discoidale sulla superficie ventrale delle ali anteriori. In entrambi i sessi, sulla superficie dorsale le ali anteriori portano una vistosa macchia discale ed una serie completa di macule post discali, tutte ben marcate e longitudinalmente allungate. Le ali posteriori mostrano gli stessi disegni, per quanto più sottili.

Le popolazioni delle Alpi, dalla Francia fino all’Austria, sono spesso caratterizzate da dimensioni maggiori (apertura alare fino a 42 mm) e colorazione più scura sulla superficie dorsale. Alcuni esemplari possono essere quasi interamente bruni. In Liguria occidentale e nelle zone limitrofe della Francia sudorientale, al contrario, il colore di fondo è azzurro cielo. Le popolazioni degli Appennini, dall’Emilia al Lazio, sono anch’esse a fondo abbastanza azzurro, ma in genere non così brillante e spesso con dimensioni minori.

Ecologia

M. arion è diffusa dalla Spagna centrale attraverso l’Europa e la Siberia fino all’Ussuri (Sibatani et al. 1994), e dalla Svezia e l’Inghilterra meridionale fino alla Calabria e la Turchia. È assente in tutte le isole del Mediterraneo (forse ad eccezione della Corsica: cfr. Verity 1943).

In Italia la distribuzione di M. arion è strettamente collegata a quella del suo ospite obbligatorio, Myrmica sabuleti (M. scabrinodis può anch’essa fungere da ospite di questa specie, nel 10-15% dei casi). In Italia M. arion viene normalmente rinvenuta ad altitudini di 600-1800 m e in qualche caso fino a 2000 m, mentre è assente in molti biotopi apparentemente idonei di bassa altitudine, dove il suolo diviene eccessivamente arido durante l’estate.

M. arion è una specie xero-termofila, che abita i pendii erbosi aridi, in genere esposti a meridione.

Page 73: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Habitat: nelle Alpi si trova generalmente in formazioni dei Festucetalia vellesiacae, ma può anche abitare i margini dei boschi, anche di alta quota, come gli Alneti (Balletto et al. 1982). In Italia peninsulare abita in genere formazioni vegetali dello Xerobromion.

Dimorfismo sessuale: i maschi sono più azzurri e costantemente più chiari delle femmine su entrambe le superfici alari. Sulla superficie dorsale le femmine presentano una più alta percentuale di squame scure e spesso disegni neri più estesi. Nei maschi il colore di fondo della superficie inferiore delle ali è più argenteo, meno brunastro.

Sviluppo: le uova sono deposte su pendii aridi e soleggiati, sulle infiorescenze di varie specie di timo, secondo le regioni. Ogni femmina depone fino a circa 300 uova biancastre, separatamente, una ad una sulle infiorescenze. Le larve appena sgusciate iniziano immediatamente a nutrirsi dei fiori e non esitano a cibarsi di altri bruchi conspecifici che si trovino sulla stessa infiorescenza. Subito dopo la terza muta le larve di quarto stadio si lasciano cadere sul terreno, dove vengono trovate dalle operaie del genere Myrmica. All’interno del formicaio la larva si nutre delle uova, larve e pre-ninfe della formica ospite. Prima dell’arrivo dell’inverno essa raggiungerà circa il 15% del suo peso finale. L’inverno viene trascorso in stato di diapausa. La larva riprende a nutrirsi in primavera. Una volta raggiunte le dimensioni finali, essa si porta nelle parti più alte del formicaio, dove si impupa. L’adulto sfarfalla dopo tre settimane.

Alimentazione: le larve appena sgusciate iniziano immediatamente a nutrirsi delle infiorescenze di varie specie di timo (Thymus praecox, T. serpillum, T. drucei e T. bracteatus, T. vulgare) o di Origanum vulgare. Gli adulti si nutrono del nettare prodotto dalle specie Lavandula angustifolia, Thymus serpillum, Thymus vulgare, Origanum vulgare.

Rapporti con altre specie: sebbene qualunque specie del genere Myrmica sia capace di accudire le larve, M. arion dipende in modo quasi esclusivo dalla presenza di M. sabuleti per poter completare il proprio sviluppo. Quando viene toccata dalle antenne della formica, la larva secerne una gocciolina di un liquido zuccherino. Tale secrezione si verifica grazie alla presenza di una ghiandola specializzata di tipo tubolare situata in posizione medio-dorsale, sulla parte posteriore del corpo. La formica continuerà a ‘mungere’ la larva fino ad un massimo di 4 ore (il tempo minimo è di circa 30 minuti), finché la larva solleva le zampe anteriori dal substrato, rigonfiando nel contempo i suoi segmenti toracici. La formica reagisce a questo comportamento prendendo delicatamente la larva fra le mandibole e trasportandola poi all’interno del formicaio. All’interno del formicaio le formiche continueranno a lambire le secrezioni della larva. Nel contempo esse la umettano con la loro saliva, contenente sostanze fungicida.

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Parnassius apollo (Linnaeus, 1758)

Apollo

Sottofamiglia: Parnassiinae

Famiglia: Papilionidae

Ordine: Lepidoptera

Classe: Hexapoda

Phylum: Arthropoda

Status di conservazione

Categoria IUCN

Vulnerable VU A1cde. Versione 2.3 (1994).

Per l’Italia: Least Concern (LC) – Specie non minacciata nelle Alpi italiane. Alcune popolazioni appenniniche (es. Aspromonte) e quella della Sicilia (Madonie) sono minacciate.

Morfologia

Il Genere Parnassius Fabricius, 1775 comprende circa 45 specie, di cui una o due Nord-americane ed il resto a distribuzione paleartica, Euro-Sibirico-Himalayana. Al Sottogenere Parnassius spettano due ‘gruppi’ più ristretti, di cui il ‘gruppo del P. apollo’ comprende oltre alla presente, P. apollonius, P. honrathi, P. bremeri, P. phoebus, P. actius, P, jacquemontii, P. epaphus, P. tienshanicus e P. nomion.

È una grossa farfalla ad ali bianche con macchie nere sulle ali anteriore e ocelli rossi sulle ali posteriori. La pagina superiore delle ali anteriori portano una macchia nera tondeggiante postdiscale nello spazio internervulare 1b. Sono state descritte numerose forme e sottospecie, spesso di dubbio valore.

Dimorfismo sessuale: la femmina è simile al maschio, normalmente la pagina superiore delle ali mostra una velatura grigia accentuata e gli ocelli rossi sono più ampi.

Ecologia

L’areale comprende tutte le principali catene montuose, dai Pirenei e dalla Penisola Scandinava fino all’Asia centrale. È estinta in Germania, Cecoslovacchia e Danimarca. In Italia è limitata alla catena alpina, a parte dalla catena appenninica e all’Aspromonte; in Sicilia si trova la “sottospecie” P. a. siciliae, limitata alle Madonie.

Habitat: gli adulti frequentano le praterie montane, a volte fino all’orizzonte alpino, e i versanti rocciosi di montagna, tra i 700 e i 1800 m di quota, con esposizione al sole. Vengono anche colonizzati ambienti antropogenici, come vigneti abbandonati e massicciate stradali.

Vi è una preferenza per suoli calcarei, ma la specie dipende dall’abbondanza delle piante alimentari.

Comportamento riproduttivo: i maschi pattugliano un’area alla ricerca di femmine vergini. La copula dura tre-quattro ore, ma può prolungarsi dal pomeriggio fino al mattino successivo.

Sviluppo: le uova sono deposte singolarmente in estate nei pressi della pianta ospite, alcune schiudono in autunno, altre svernano e schiudono l’anno seguente. I bruchi si alimentano in presenza di sole, con cielo nuvoloso e alla sera si ritirano sotto le pietre o nella lettiera. La larva effettua cinque mute, lo stadio di crisalide dura dalle due alle tre settimane. L’incrisalidamento avviene in una sorta di bozzolo lasso,

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tessuto sotto un pietra o tra i muschi (Carter et al., 1988). I primi adulti compaiono in giugno, i maschi alcuni giorni prima delle femmine, e vivono dalle due alle quattro settimane.

Alimentazione: i bruchi si alimentano di diverse specie del genere Sedum, in particolare di S. album, S. telephium (già citato da Linneo nella descrizione originale) e S. purpurescens, e del genere Sempervivum.

Gli adulti sono attratti soprattutto da Cirsium spp., Carduus spp., Centaurea spp., Knautia spp., Scabiosa spp. e Origanum vulgare., Sedum spp; più di rado dalle Crucifere gialle.

Rapporti con altre specie: non è una specie molto attivamente predata dagli uccelli insettivori e non ha molti parassitoidi.

Coleotteri Scarabaeoidei

L’ indagine sulle entomocenosi coprofaghe, mai studiate fino ad ora, ha permesso di censire 21 specie di Scarabeidi, di cui 4 interessanti, sia perché stenoecie sia perché orofile: si tratta di Aphodius alpinus, A. corvinus, A satyrus e A. immaturus. Soprattutto quest’ultima specie è particolarmente rilevante, in quanto risulta con un areale ridotto all’arco alpino occidentale, è complessivamente poco conosciuta, infatti è stata solo recentemente segnalata per il territorio italiano, dove risulta piuttosto rara. Nessuna delle specie di Scarabeoidea rinvenuta è inserita negli Allegati della Direttiva Habitat.

Pesci Nella Doire de Ferret è segnalata la presenza di Salmo marmoratus, specie in Allegato II della Direttiva 92/43/CEE

SCHEDA NATURA 2000 INTERREG COGEVA VAHSA

SIC

Ambienti glaciali Monte Bianco

Val Ferret

Talweg Val Ferret

Ambienti glaciali Monte Bianco

Val Ferret

Talweg Val Ferret

Specie da allegato II

Salmo marmoratus x x x x

Schede descrittive dei pesci

La classe dei pesci non è stata oggetto di indagine nel corso del progetto Gogeva Vahsa. I dati relativi alla trota marmorta sono tratti dalla relazione finale del progetto Interreg “ Individuazione, salvaguardia e riabilitazione delle popolazioni di trote autoctone in Valle d’Aosta e in Alta Savoia”, di cui il Dipartimento risorse naturali è stato partner.

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Salmo trutta marmoratus Cuvier, 1829 Trota marmorata

Famiglia : Salmonidae

Ordine: Salmoniformes

Classe: Actinopterygii

Status di conservazione

Specie in allegato II della Direttiva Habitat 92/43/CEE

LC: Least Concern ( a basso rischio)

Morfologia

Corpo fusiforme, slanciato, a sezione ovale compressa in senso laterale. Testa relativamente tozza, bocca ampia, in posizione mediana. Denti di medie dimensioni, robusti ed acuminati, disposti su entrambe le mascelle, sui palatini, sulla lingua e sul vomere. Da 48 a 52 denti sulla mascella superiore e da 36 a 46 su quella inferiore. Squame cicloidi di piccole dimensioni. Linea laterale in posizione mediana. Stomaco provvisto di 32-54 ciechi pilorici. Pinne ben sviluppate. Durante il periodo di frega, nei maschi intervengono notevoli modificazioni morfologiche. Colore di fondo della livrea grigio, bruno, o bruno verdastro sul dorso, fianchi progressivamente più chiari fino a raggiungere il ventre bianco o con sfumature giallastre più o meno marcate. Sul dorso sono presenti marezzature sinuose scure, grigiastre o nerastre, estese sui fianchi e sulla testa, su entrambi i lati del corpo la colorazione ha riflessi argentei più o meno marcati. Le pinne hanno tinta grigiastra o grigio-giallastra e la pinna dorsale è punteggiata di nero. Le macchie parr vengono perdute alla taglia di circa 60 mm SL. Gli avannotti e gli immaturi, a differenza degli adulti, mostrano punteggiature rosse simili a quelle dei giovani di trota fario.

Ecologia

Specie diffusa in fiumi e torrenti montani e pedemontani, caratterizzati da acque con temperature estive non superiori ai 16 - 18 °C, ben ossigenate, con corrente da sostenuta a moderata, e substrato misto, formato da roccia massi e ghiaia, ricco di anfratti e intervallato da buche profonde. Anche se capace di risalire fino a quote relativamente elevate, in montagna viene solitamente sostituita dalla trota fario.

. S.trutta marmoratus è spesso stanziale anche in ambienti lacustri, dove acquista una livrea molto simile a quella tipica delle trote di lago. Gli esemplari lacustri risalgono gli immissari per raggiungere le aree di frega. Gli avannotti e gli immaturi sono gregari, mentre gli esemplari di taglia maggiore hanno indole stanziale e territoriale. Si stabiliscono in un tratto di fiume o di torrente ben definito, dove restano al riparo delle asperità del fondale, compiendo spostamenti di breve entità per attaccare le prede e per scacciare i potenziali competitori. Le sole migrazioni di una certa importanza vengono effettuate per raggiungere i quartieri riproduttivi nel periodo di frega. La comunità ittica associata alla trota marmorata comprende il temolo, lo scazzone, la trota fario e diverse specie di ciprinidi reofili.

S.trutta marmoratus è probabilmente la sola specie autoctona naturalmente presente in Valle d’Aosta: tuttavia non sono state rinvenute, fino ad ora, popolazioni stabili di T.marmorata selvatica di ceppo autoctono. Gli individui rilevati nel corso di un progetto Interreg dal titolo “ Individuazione, salvaguardia e riabilitazione delle popolazioni di trote autoctone in Valle d’Aosta e in Alta Savoia” sono risultai infatti di provenienza allevativa oppure derivati dall’incrocio in natura con ceppi genetici di trota fario originaria dei distretti nordatlantici immessi per la pesca sportiva.

Nell’area del Monte Bianco è presente nella Doire de Ferret in Val Ferret, in tre stazioni, con individui adulti, immessi a fini alieutici in quanto un buon tratto del torrente è al momento gestito come riserva di pesca turistica. Non è noto se la popolazione presente è in grado di riprodursi.

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Anfibi e rettili Dall’indagine svolta è emerso che, per quanto riguarda i rettili, le segnalazioni fino ad ora sono piuttosto scarse e riferite per lo più a Vipera aspis. E stata confermata la presenza di Podarcis muralis (Lucertola muraiola) e Natrix natrix (Natrice dal collare). Da segnalare poi l’osservazione di un esemplare di Biacco (Hierophis viridiflavus) in Val Veni, mai segnalato in precedenza. Occorre programmare ulteriori indagini per valutare se si tratta di un individuo isolato o se esiste una popolazione in grado di riprodursi. Non è mai stata osservata invece la presenza di Vipera berus e Zootoca vivipara: di quest’ultima, però, si è avuto in seguito una segnalazione per la Val Ferret. Per quanto riguarda gli anfibi è confermata la presenza di Rana temporaria.

Tab. 4 Confronto specie formulario Natura 2000/Nuove acquisizioni (In rosso le nuove segnalazioni).

SCHEDA NATURA 2000 INTERREG COGEVA VAHSA

SIC

Ambienti glaciali Monte Bianco

Val Ferret

Talweg Val Ferret

Ambienti glaciali Monte Bianco

Val Ferret

Talweg Val

Ferret

Specie da allegato IV

Podarcis muralis x x

Hierophis viridiflavus x

Specie da allegato V

Rana temporaria x x x x x

Altre specie

Zootoca vivipara x x x X

Natrix natrix x x

Vipera aspis x X X X x x

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Schede descrittive di anfibi e rettili

Podarcis muralis (Laurenti, 1768)

Lucertola muraiola

Famiglia : Lacertidae

Ordine: Squamata

Classe: Reptilia

Status di conservazione

Specie in allegato IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE; BERNA 2

Specie protetta dalla L.R. n. n. 22 del 1987

Morfologia

Gli adulti sono lunghi fino a 7,5 cm dall’apice del muso alla cloaca e fino a 23 cm coda inclusa. La colorazione dorsale è generalmente bruna con bande dorso-laterali bruno scure o nere, oppure con reticolatura nera. Il disegno caratteristico è molto variabile, il ventre e la gola sono sempre più o meno macchiati di nero; le squame ventrali sono di forma subrettangolare. Le femmine, a differenza dei maschi, hanno fianchi scuri con strisce laterali chiare più evidenti sul collo. Podarcis muralis si differenzia da Zootoca vivipara per le zampe più lunghe, il capo più largo e il corpo relativamente appiattito.

Ecologia

La Lucertola muraiola è diffusa dall’Europa centromeridionale fino all’Asia minore. In Italia è presente in tutta la penisola. Tipicamente arrampicatrice, la si osserva su muri di campi e giardini, pareti rocciose, massi e anche tronchi di alberi. Spesso si trova tra la vegetazione di dirupi, lungo i bordi dei sentieri, alla base di scarpate, lungo i bordi delle strade e in pendii soleggiati nei boschi. In generale questa specie è molto attiva, sospettosa e di solito più avventurosa e opportunista delle altre lucertole brune. La sua tana è posta nelle cavità dei muri o in una buca del terreno e la lucertola si mantiene sempre nelle sue vicinanze. Abile nuotatrice, all'occorrenza si sposta per brevi tratti anche nell'acqua, dove però non si trattiene mai più di tanto. Trascorre la latenza invernale sotto grandi tronchi o negli anfratti del terreno, ma fuoriesce momentaneamente dal suo rifugio non appena il sole rende l'aria sufficientemente tiepida. In primavera, i maschi ingaggiano violente lotte mirate alla conquista di una compagna, che in ogni modo non comportano mai la morte di uno dei contendenti. Ad inizio estate, dopo l'accoppiamento, la femmina depone 2-8 uova bianche in una buca scavata nel terreno, o negli anfratti delle rocce; queste impiegano due mesi a schiudersi, e in agosto i piccoli, lunghi appena 6 cm, fuoriescono dal guscio; la sua dieta è costituita da invertebrati terrestri. La latenza invernale inizia in ottobre-novembre, sotto sassi, in fenditure delle rocce, in gallerie spesso scavate dall’animale stesso o in tane di roditori abbandonate. La lucertola muraiola ha moltissimi nemici naturali, tra cui serpenti, molte specie di uccelli, tra cui corvidi e rapaci, e, soprattutto, mammiferi come faine e donnole. In valle d’Aosta è segnalata tra i 350 ed i 2275 m. s.l.m. In Val Ferret e Val Veni è stata rinvenuta tra i 1378 m s.l.m. di La Palud e i 1.762 m s.l.m. del Lac Vert.

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Hierophis viridiflavus (Lacépède, 1789)

Biacco

Famiglia:Colubridae Ordine:Squamata Classe: Reptilia

Status di conservazione Specie in allegato IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE; BERNA 2

Specie protetta dalla L.R. n. 22 del 1987

Morfologia

Gli adulti sono lunghi fino a 150-200 cm coda inclusa, presentano corpo slanciato con capo ovoidale, testa piccola, squame lisce, occhi grandi con pupilla rotonda. I maschi sono più lunghi delle femmine. I colori di questo ofide sono piuttosto variabili: il giallo è interrotto da macchie nere più o meno estese disposte a scacchiera. Verso l'estremità della coda queste macchie si fondono formando delle strisce longitudinali. I giovani e i subadulti (fino al terzo anno di età) sono distinguibili, dagli individui adulti, per il dorso grigio-bruno chiaro macchiettato qua e là di scuro, e dal capo nerastro con delle strisce debolmente macchiettate di giallo.

Ecologia

La specie è diffusa dalla Francia alla Spagna settentrionale e in tutta l’Italia, isole comprese, fino ad oltre 1500 m. Si rinviene in genere in presenza di arbusti, ai margini di boschi, radure, zone rocciose, muri a secco e pietraie; è possibile osservarlo anche in prossimità di siepi, coltivi e aree antropizzate. Il biacco è attivo soprattutto di giorno e nel periodo che va dalla fine di marzo ad ottobre in relazione alla quota. E’ un animale agile e veloce, piuttosto aggressivo se catturato. Non è velenoso. Si nutre in prevalenza di lucertole, piccoli mammiferi, uccelli, serpenti e rane. I giovani si nutrono principalmente di piccole lucertole e grossi grilli. L’accoppiamento ha luogo tra aprile e giugno in relazione alle temperature ed alla quota: le uova (5-15) vengono depositate in luglio in buche del terreno o in cavità di muretti a secco e, tra fine agosto e settembre, schiudono neonati lunghi 20 – 25 cm che si nutrono prevalentemente d'insetti e lucertole. Tra ottobre/novembre e aprile va in letargo e si rifugia in tane nel terreno o all’interno di edifici poco frequentati.

In Valle d’Aosta è segnalato un pò ovunque fino ad una quota di 1.650 m s.l.m. In Val Veni è stato osservato un’unica volta, in prossimità del Lac Vert, presso il Jardin du Miage ad una quota di 1.756 m s.l.m.. qal limite altitudinale del suo areale.Sarebbe opportuno verificare se esiste una popolazione stabile in grado di riprodursi.

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Rana temporaria (Linnaeus, 1758)

Rana temporaria

Famiglia:Ranidae

Sottordine: Neobatrachia

Ordine: Anura

Sottoclasse: Lissamphibia

Classe: Amphibia

Status di conservazione

Specie in allegato V della Direttiva Habitat 92/43/CEE

Specie protetta dalla L.R. n. 22 del 1987

Morfologia

La Rana temporaria presenta un corpo robusto con il muso lievemente arrotondato. Gli arti anteriori sono corti e massicci. La colorazione del dorso è particolarmente variabile: bruno-giallastro, grigio o rossastro spesso con macchie scure; la macchia temporale, posta dietro agli occhi, è particolarmente scura ed evidente; il ventre è bianco giallastro spesso con macchie più scure. I maschi presentano gli arti anteriori molto robusti e provvisti, sul lato interno del primo dito, di una grossa callosità: questa struttura delle zampe permette al maschio di aderire più saldamente alla femmina durante l'accoppiamento. Questa rana raggiunge al massimo i 10 cm. La larva (girino) presenta l'apice della coda appuntito e delle creste, poco prolungate lungo il corpo, sul dorso e sul ventre.

Ecologia

La Rana temporaria è una specie terricola, che si riproduce in ogni tipo di acque ferme, stagnanti e poco profonde (50 – 80 cm), dalle rive piane e substrato costituito da limo e foglie morte, incluse pozze temporanee dovute al disgelo; le uova sono deposte in masse, dette ovature, che possono contenere da 600 a 2500 uova. Le larve completano la metamorfosi in due mesi e mezzo o più, a seconda delle condizioni climatiche.

Generalmente gli adulti si possono osservare in boschi e praterie montane, spesso nelle vicinanze di ruscelli, laghi e pozze in cui si porta per la riproduzione; è possibile osservarli anche in ghiaieti e pietraie. I limiti altitudinali della specie sono compresi tra i 210 m ed i 2.800 m s.l.m.

In Val Ferret e Val Veni si riproduce ad una quota cha va da un minimo di 1.503 m del Peuterey (Loc. Purthud) ad una massimo di 2.238 m s.l.m. del Malatra e avviene tra maggio e giugno a seconda della quota. I girini si possono osservare in acqua da giugno ad ottobre.

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Mammiferi Le indagini condotte sulla mammalofauna hanno interessato esclusivamente due gruppi tassonomici: gli ungulati, analizzati soprattutto in relazione al disturbo invernale ed i roditori, indagati per la prima volta ed il cui studio ha permesso di incrementare il numero delle segnalazioni delle specie presenti sul territorio.

Tab. 5 Confronto specie formulario Natura 2000/Nuove acquisizioni (In rosso le nuove segnalazioni).

SCHEDA NATURA 2000 INTERREG COGEVA VAHSA

SIC

Ambienti glaciali Monte Bianco

Val Ferret

Talweg Val Ferret

Ambienti glaciali Monte Bianco

Val Ferret

Talweg Val

Ferret

Specie da allegato IV x x x x

Nyctalus leisleri

Specie da allegato V

Capra ibex X X X X

Lepus timidus X X X X

Rupicapra rupicapra x x x x

Altre specie

Capreolus capreolus x x x x

Cervus elaphus x x x x

Chionomys nivalis x x x x x

Marmota marmota x x x x

Mustela erminea x x x x x

Lepus europaeus x x

Microtus arvalis x x x x x

Eliomys quercinus x x x

Apodemus spp. x x x

Sciurus vulgaris x x x

Clethrionomis glareolus x x x

Myodes glareolus x x x

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Schede descrittive dei mammiferi

Nyctalus leisleri (Kuhl, 1817)

Nottola di Leisler

Tribù: Pipistrellini

Sottofam: Vespertilioninae

Fam: Vespertiliodae

Sottordine: Microchiroptera

Ordine: Chiroptera

Classe: Mammalia

Status di conservazione

LR: nt (a più basso rischio – prossima a diventare minacciata)

Specie in allegato IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE;

Morfologia È un pipistrello di medie dimensioni con una lunghezza (testa e corpo) compresa tra i 48 e i 75 mm ed un'apertura alare tra i 260 e i 320 mm. L'avambraccio misura tra i 38 e i 47 mm e il peso totale è compreso tra gli 11 e i 20 grammi La faccia, le orecchie e le ali sono di colore scuro. La pelliccia è bruna, più scura alla base che alle estremità, diversamente dalla nottola comune, che ha i peli di colore uniforme per tutta la loro lunghezza. La parte inferiore delle braccia è caratteristicamente ricoperta di pelo. Le orecchie sono corte e arrotondate, con il trago a forma di fungo. Le ali sono lunghe e strette

Ecologia Dall’Europa occidentale (Irlanda, Gran Bretagna, Francia orientale e Iberia) agli Urali e al Caucaso; a E sino al Pakistan settentrionale, al Kashmir e all’India nord-occidentale (Punjab); Madeira, Canarie; Africa maghrebina e Libia (Cirenaica); per quanto concerne le isole mediterranee maggiori la specie è segnalata solo per la Sardegna, ove è stata scoperta di recente, e per la Corsica; manca nelle Isole Maltesi. In Italia la specie è nota per le regioni settentrionali e centrali fino al Lazio e alle Marche, nonché per la la Sardegna (www.agraria.com)

La Nottola di Leisler è una specie degli ambienti forestali per cui gli alberi rappresentano importanti siti rifugio. Questa funzione di rifugio è connessa alla presenza di alberi adatti, con cavità/corteccie sollevate idonee ad accogliere pipistrelli in riposo diurno, durante il periodo del letargo invernale e nelle diverse fasi del ciclo riproduttivo: l'accoppiamento, il parto e l'allevamento della prole.

La Nottola di Leisler caccia, negli spazi aerei sopra la volta arborea, prede prodotte dalla foresta.

La Nottola di Leisler è poco abbondante in tutto il centro e l’est Europa. La difficoltà a individuare i suoi siti rifugio potrebbe spiegare queste basse densità che potrebbero essere solo apparenti.

Nell’area del Monte Bianco la specie è segnlata nella Val Ferret; non ci sono dati, al momento, sulla consistenza della popolazione.

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Lepus timidus (Linnaeus 1758)

Sottofamiglia: Leporinae

Famiglia: Leporidae

Ordine: Lagomorpha

Classe: Mammalia

Status di conservazione

Specie in allegato V della Direttiva Habitat 92/43/CEE; BERNA 3

IUCN Red List: Least Concern ( basso rischio )

Morfologia La lepre variabile possiede la tipica struttura corporea delle lepri: corpo di dimensioni medio-piccole, lunghezza 46-61 cm, coda molto corta, 4-6 cm, per un peso di 1,5-2,8 kg, zampe posteriori potenti e più sviluppate rispetto agli arti anteriori, orecchie allungate, dentatura caratterizzata dalla presenza di 6 incisivi di cui 4 ben sviluppati distruibuiti in numero di una coppia rispettivamente sulla mascella e sulla mandibola ed i rimanenti 2, molto più piccoli, subito dietro ai due incisivi principali sulla mascella. L’aspetto generale del corpo è più compatto rispetto alle congeneri che vivono in climi temperati o caldi in quanto, in ossequio alla regola ecologica di Allen, nell’ambito del medesimo taxa le parti prominenti del corpo (zampe, orecchie, muso) sono più corte e tozze nei climi freddi e più lunghe in quelli caldi. Tipica di questa specie é la dicromia che ne caratterizza la livrea. Durante i mesi estivi la pelliccia della lepre variabile appare di colore grigio-marrone, tranne la coda completamente bianca, mentre nei mesi invernali assume un colore candido, ad eccezione della punta delle orecchie che si mantiene di colore scuro per tutto l’arco dell’anno. Questo dimorfismo non è però caratteristico di tutte le popolazioni di lepre variabile e così, limitatamente all’Europa, le lepri variabili irlandesi (Lepus timidus hibernicus) mantengono la livrea estiva bruna anche nei mesi invernali.

Ecologia La distribuzione della lepre variabile può essere definita oloartica boreoalpina (sensu Boano & Brichetti, 1989). Essa è infatti presente nell’Europa settentrionale, in Scozia ed Irlanda ma la sua distribuzione si estende anche all’Asia settentrionale, fino alla Siberia ed alle isole più nordiche dell’arcipelago giapponese (Angerbjörn & Flux, 1995).In Italia la si rinviene esclusivamente sull'Arco alpino con una distribuzione peraltro discontinua In estate vive al di sopra del limite della vegetazione arborea, fra i pascoli cosparsi di massi, pietraie e cespugli contorti (rododendri, mirtilli, ontani verdi), mentre in inverno scende nei boschi, dove trova un maggior numero di rifugi e possibilità di nutrimento. I limiti altimetrici vanno dai 1100 ai 2800 m e la fascia alpina più frequentata si situa tra 1600 ed i 2200 m. Il periodo degli amori ha luogo in primavera-estate, tra aprile ed agosto, e nell’ambito della medesima popolazione è piuttosto sincrono; caratteristica quest’ultima che è stata interpretata come una forma di adattamento tesa a minimizzare la pressione predatoria sui leprotti. Nel corso di questo periodo le femmine lasciano delle particolari tracce odorose che vengono seguite dai maschi; l’accoppiamento ha però luogo solamente con il maschio più gradito alla femmina. La gestazione, che ha luogo di regola due volte all’anno, dura circa 50 giorni ed alla sua conclusione vengono

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partoriti 4 cuccioli (min 2 - max 5) del peso di 70-130 gr ciascuno. Essi nascono con gli occhi aperti, ricoperti di pelo e già capaci di effettuare dei piccoli spostamenti. Le cure parentali sono limitate all’allattamento, altro comportamento interpretato quale strategia antipredatoria ; dopo una decina di giorni dalla nascita inizia lo svezzamento che si conclude attorno al trentesimo giorno con l’acquisizione da parte delle giovani lepri della completa indipendenza Ha abitudini prevalentemente notturne e si nutre sia di arbusti che di erbe. In inverno mangia anche le cortecce di giovani piante, foglie secche, muschi, licheni e semi. La lepre bianca manifesta una tendenza alla riduzione del proprio areale di distribuzione e le popolazioni sono in forte contrazione su tutto l'arco alpino. Recentemente le popolazioni europee di questa specie, ivi comprese quelle alpine, hanno subito un lento ma progressivo declino le cui cause non sono note. Alcuni fattori negativi possono essere individuati nelle variazioni climatiche e nella crescente competizione con la Lepre europea (Interreg III A ALCOTRA – GestAlp – Modelli di gestione per la valorizzazione della biodiversità e del pastoralismo dei territori alpini e transfrontalieri -2006/2008).

Nell’area del Monte Bianco è segnalata sia nel Val Ferret che nella Val Veni.

Capra ibex (Linnaeus, 1758)

Stambecco

Sottofamiglia: Caprinae

Famiglia: Bovidae

Ordine: Arctiodactyla

Classe: Mammalia

Status di conservazione

Specie in allegato V della Direttiva Habitat 92/43/CEE; BERNA 2

Lista rossa nazionale: LR (a più basso rischio)

Morfologia

Lo Stambecco è un ungulato, appartenente alla famiglia dei Bovidi, dalle forme pesanti, con tronco breve e collo robusto. La sua conformazione fisica è caratterizzata da notevoli masse muscolari. Il dimorfismo tra i sessi è evidente per le differenze tra la mole corporea e le dimensioni delle corna. Un maschio può pesare 65-100 Kg; le femmine sono più leggere con pesi medi tra i 40- 50 Kg. Alla nascita il peso è compreso tra i 2- 3.5 Kg. Il peso e le dimensioni complessive aumentano nei maschi fino a 9/10 anni di età e nelle femmine fino ai 4 anni.

Lo Stambecco presenta un’unica muta annuale del mantello, in primavera. In autunno, alla giara (pelo estivo di rivestimento) si aggiunge un pellame più fitto e lanoso (borra). In inverno, i maschi assumono una colorazione bruno-marrone con gli arti molto scuri e le parti inferiori più chiare. In aprile, la colorazione tende a farsi più chiara per divenire, tra maggio e giugno, beige chiara con ciuffi di sottopelo biancastro e zone più scure sulle spalle, sulla parte più esterna delle cosce, sui fianchi, gli arti e la coda. L’abito estivo è grigio ferro con sfumature marroni, brune e beige ed è mantenuto fino a settembre. Le femmine possono

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apparire omogeneamente più chiare. Le corna, permanenti, sono di dimensioni modeste per le femmine, 20- 25 cm, e un peso tra i 100- 300 g. Nei maschi la lunghezza delle corna è compresa tra gli 85-100 cm con un peso massimo di 4,5 Kg. La loro crescita è di circa 7- 8 cm nel primo anno, di 6, 4, 3 cm negli anni successivi. Gli zoccoli hanno la solea e il fettone particolarmente morbidi, favorendo l’aderenza del piede alle superfici rocciose.

Ecologia

Lo Stambecco delle Alpi è distribuito oggi su tutto l’arco alpino anche in maniera puntiforme e discontinua, con grandi densità di animali in poche aree circoscritte. Le consistenze sono andate progressivamente aumentando a partire dagli anni 60, con incrementi medi annui tra il 3- 6%. In Italia la situazione distributiva risulta ancora piuttosto carente rispetto alle potenzialità del territorio: attualmente sono presenti circa 13.000 Stambecchi, in circa 70 colonie di cui 36 sono state fondate a partire da operazioni di reintroduzione. Il 70% degli animali è ricompresso in tre province (Aosta, Torino, Sondrio) e il 43% nei parchi del Gran Paradiso, Stelvio e Alpi Marittime. In Valle d’Aosta, la specie è ben distribuita su tutto il territorio contando circa 5.640 unità, con una densità pari a circa 4 capi/100 ha; i dati riferiti al territorio del comune di Courmayeur indicano un numero medio di capi di 333 esemplari riferiti al periodo 2003/06 con un valore di densità media di 2,7 capi/100 ha.

La natura dello Stambecco è di tipo gregaria. Il periodo degli amori si concentra tra la fine di novembre e la fine di gennaio. Le nascite si verificano tra la fine di maggio e l’inizio di luglio dopo una gestazione di circa 4 mesi. La specie è ben adattata a vivere in alta quota, al di sopra del limite del bosco, nelle aree caratterizzate da pendii ripidi e rocciosi.

Rupicapra rupicapra (Linnaeus, 1758)

Camoscio

Tribù: Rupicaprinae

Sottofamiglia: Caprinae

Famiglia: Bovidae

Ordine: Arctiodactyla

Classe: Mammalia

Status di conservazione

Specie in allegato V della Direttiva Habitat 92/43/CEE; BERNA 2

Lista rossa nazionale: LR (a più basso rischio)

Morfologia

È un animale dotato di struttura corporea compatta, agile ed elegante, con zampe lunghe e forti. Il garrese e la groppa sono alla stessa altezza, la linea dorsale appare dritta. Il dimorfismo sessuale non è molto pronunciato. Il peso dei maschi aumenta in maniera significativa fino ai 5-6 anni e in età adulta può

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raggiungere i 50 Kg. Le femmine aumentano di peso nei 2-4 anni successivi alla nascita e possono raggiungere al massimo i 40 Kg. Alla nascita i capretti pesano in media 2.5 Kg. Il peso è influenzato da diversi fattori: qualità dell’habitat, densità di popolazione, periodo dell’anno, variazioni meteoclimatiche annuali e stato di salute. La coda è corta e misura 10-14 cm con una porzione ossea che non supera i 5-8-cm. Il mantello subisce due mute: una autunnale e una primaverile. Le tonalità estive del manto vanno dal beige sabbia al marrone rossiccio con una linea dorsale più scura; in inverno, il manto è grigio scuro, bruno scuro, quasi nero. Nei maschi adulti è molto evidente la criniera scura che corre lungo la schiena. Il Camoscio ha una testa breve con un muso diritto e sottile e orecchie appuntite, caratterizzate dalla presenza di corna uncinate di color ebano. Le corna sono permanenti, a crescita continua e presenti in entrambi i sessi. L’accrescimento delle corna dipende dall’età dell’animale e dal sesso e subiscono un periodo di stasi durante la stagione invernale. La crescita è evidente nei primi tre anni con picchi durante il secondo anno di vita. Gli zoccoli sono di forma triangolare con pinzette lunghe e i bordi taglienti che aumentano l’aderenza su substrati duri come la roccia e il ghiaccio. La presenza della plica interdigitale permette al camoscio di spostarsi agilmente anche nella neve fresca.

Ecologia

Il Camoscio alpino è presente, come forma autoctona, sulla catena delle Alpi italiane, svizzere, austriache, nel Lichtenstein, nel Giura svizzero e francese, in Germania, Slovenia e Croazia. Oggi risulta uniformemente diffuso, anche se con consistenze eterogenee a seconda della zona geografica. In Italia, l’estensione dell’areale distributivo ammonta a 41.130 Km 2 ed occupa gran parte dell’areale distributivo originario, anche se le consistenze e le densità risultano ancora inferiori rispetto alle stime potenziali. In Valle d’Aosta, la consistenza è pari a 12.200 capi con una densità pari a 5 capi ogni 100 ha.

Per il Comune di Courmayeur i risultati dei censimenti estivi effettuati nel periodo 2003/06 indicano un decremento del numero di animali, passati dai 1022 capi del 2003 ai 785 del 2006 con un valore di densità media pari a 6.9 capi/100 ha.

Il Camoscio abita l’ambiente alpino dall’orizzonte submontano a quello alpino; la fascia altitudinale più frequentata si estende dai 1500 ai 2500 m s.l.m..

Nel corso dell’anno gli animali effettuano grandi spostamenti verticali a seconda dell’habitat di cui necessitano. Il periodo degli amori va da metà ottobre a metà novembre e le nascite avvengono tra maggio e giugno.

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Uccelli Nell’area sono state segnalate complessivamente 81 specie di uccelli, riportate nella tabella 6. Di queste specie 12 sono inserite nell’allegato I della Direttiva 79/409/CEE Uccelli e 7 tra queste risultano sicuramente nidificanti (Falco pellegrino, Aquila reale, Coturnice, Gallo forcello, Pernice bianca, Averla piccola e Gracchio corallino). Stando alle categorie SPEC nella checklist sono presenti 2 specie SPEC 2, 15 specie SPEC 3 e 22 specie “NonSPECE”.(1)

Durante i conteggi effettuati con il metodo dei punti di ascolto, sono state contattate complessivamente 50 specie, di cui la più comune è stata lo Spioncello (Anthus spinoletta) rilevato nel 19% dei punti di ascolto, seguito dal Fringuello (Fringilla coelebs) (17%), dal Culbianco (Oenanthe oenanthe) (12%) e dal Codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochruros) (11%).

(1) SPEC (Species of European Conservation Concern): specie che destano preoccupazione per la loro conservazione a livello europeo. Le specie SPEC sono ordinate in categorie da 1 a 3 tutte in uno stato sfavorevole di conservazione

SPEC 1: specie presente in Europa e ritenuta di interesse conservazionistico mondiale, in quanto classificata come "globalmente minacciata", dipendente da misure di conservazione o senza dati sufficienti secondo Collar et al. (1994);

SPEC 2: specie la cui popolazione mondiale è concentrata in Europa (oltre il 50% della popolazione globale o del suo areale europeo) e con uno status di conservazione in Europa sfavorevole;

SPEC 3: specie la cui popolazione mondiale non è concentrata in Europa, ma che in Europa ha uno status di conservazione sfavorevole;

non-SPECE: specie la cui popolazione mondiale è concentrata in Europa (oltre il 50% della popolazione globale o del suo areale in Europa) e che ha uno status di conservazione favorevole in Europa.

Non-SPEC: specie non concentrata in Europa dove gode di uno status di conservazione favorevole.

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SIC

Ambienti glaciali del

Monte Bianco

Val FerretTalweg della

Val Ferret

Ambienti glaciali del

Monte Bianco

Val FerretTalweg della

Val Ferret

Specie da allegato IAlectoris graeca saxatilis x x x x

Aquila chrysaetos x x x xGypaetus barbatus x x x x

Lagopus mutua helvetica x x x xLanius collio x x x x

Pyrrhocorax pyrrhocorax x x x xTetrao tetrix tetrix x x x xAegolius funereus x xDryocopus martius x x x

Pernis apivorus x xCircaetus gallicus x xFalco peregrinus x x

Altre specie

Anthus trivialis x x x xCuculus canorus x x x x

Jynx torquilla x x x xMonticola saxatilis x x x x

Montifringilla nivalis x x x xOenanthe oenanthe x x x x

Phylloscopus collybita x x x xPtyonoprogne rupestris x x x x

Saxicola rubetra x x x xSerinus citrinella x x x x

Sylvia borin x x x xSylvia curruca x x x x

Turdus torquatus x x x xMusicapa striata x x

Acrocephalus palustris x x x x xActitis hypoleucos x x x x x

Ardea cinerea x xAnas platyrhyncos x xAccipiter gentilis x xAccipiter nisus x xButeo buteo x x

Falco tinnunculus x xLarus cachinnans x x

Apus apus x xApus pallidas x xPicus viridis x x

Picoides major x xAlauda arvensis x xHirundo rustica x xDelichon urbica x x

Anthus spinoletta x xMotacilla alba x x

Motacilla cinerea x xCinclus cinclus x x

Troglodytes troglodytes x x

SCHEDA NATURA 2000 INTERREG COGEVA VAHSA

Tab. 6 Confronto specie formulario Natura 2000/Nuove acquisizioni (In rosso le nuove segnalazioni).

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Schede descrittive degli uccelli

Alectoris graeca saxatilis (Meisner, 1804)

Coturnice

Famiglia: Phasianidae

Ordine: Galliformes

Classe: Aves

Status di conservazione

Specie in allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/ CEE; SPEC 2; BERNA 3

Lista rossa italiana: VU ( vulnerabile) ;

Morfologia

La forma del corpo è compatta, il colore è grigio bruno sulle parti dorsali, mentre i lati della coda sono rosso mattone. I vistosi colori del capo e dei fianchi sono poco visibili nell’ambiente di elezione della specie e hanno l’effetto di interrompere la sagoma dell’animale, contribuendo ad accrescerne il mimetismo. La lunghezza totale dell’animale può raggiungere i 38-42 cm, per un peso di 450-700 grammi e un’apertura alare di 52-56 cm.

Ecologia

La Coturnice è una specie elusiva. Fugge con un rapido volo in picchiata ad ali immobili, ricurve verso il basso, emettendo un caratteristico rumoroso battito d’ali al decollo.

Gli ambienti tipici della Coturnice sono pendii erbosi con copertura arborea rada o assente, arbusti contorti, presenza di rocce, pietraie e zone di terreno scoperto. La presenza di un’abbondante copertura arborea, data sia da boschi di conifere sia da Roverella, è utilizzata soprattutto come sicuro luogo di rimessa in caso di pericolo. Molto favorevoli sono i coltivi: nell’autunno - inverno la Coturnice trova un’ottima fonte di nutrimento sugli ormai rari campi di segale nei dintorni di alpeggi e fienili. L’alimentazione è sia insettivora che vegetale. Un forte e prolungato innevamento può causare un’elevata mortalità invernale.

La specie è gregaria dall’estate sino alla fine dell’inverno. In primavera diviene territoriale con formazione di coppie stabili sino alla nascita dei pulcini (fine giugno-luglio). Durante il periodo riproduttivo le coturnici si trovano al di sopra del limite del bosco, mentre nel periodo invernale possono anche abbassarsi ad altitudini di 700-800 m. Il canto è particolarmente intenso durante la primavera. Il canto del maschio è utilizzato per delimitare il territorio e richiamare la femmina per formare la coppia. La femmina depone dalle 8-14 uova, che cova per 24-26 giorni. I pulcini sono subito in grado di seguire la madre alla ricerca del cibo. Durante

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l’inverno e dopo il periodo riproduttivo si formano dei gruppi gregari.

L’areale potenziale della specie in Valle d’Aosta si estende su circa 55.000 ettari, meno di 12.000 dei quali includono siti preferenziali di svernamento. Sono state calcolate densità pari a 1- 8.5 maschi ogni 100 ettari in aprile- giugno e 9.4- 16.3 individui per 100 ettari in agosto- settembre.

Nell’area del Monte Bianco sono state indagate le aree riproduttive e di svernamento per la specie: Mont Fréty quale area principale e la zona compresa tra Beauromont e Rochefort. Altri siti indagati sono stati la zona del Breuillard (lago delle marmotte) e Petit Mont Blanc, sul versante sinistro della Val Veni. Per il settore del Mont Fréty è stata calcolata una densità di maschi in periodo promaverile di 3,5 maschi per 100 ettari. Il range altitudinale in periodo primaverile varia da 1750 e i 2750 m s.l.m..

Aquila chrysaetos (Linnaeus, 1758)

Aquila reale

Sottofamiglia: Buteoniidae

Famiglia: Accipitridae

Ordine: Accipitriformes

Classe: Aves

Status di conservazione

Specie in allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/ CEE; SPEC 3; BERNA 2; BONN 2; CITES 1

Lista rossa italiana: VU ( vulnerabile) ;

Morfologia

La forma dell’Aquila reale in volo è caratterizzata da una coda di media lunghezza, testa prominente e grandi ali quasi rettangolari tenute leggermente rialzate rispetto al dorso. I giovani sono bruno nerastri con metà basale della coda e macchia al centro dell’ala, bianche. L’abito adulto, completato entro il quinto anno di vita, è bruno scuro con spalle e nuca dorate. La lunghezza totale del rapace può raggiungere gli 80-95 cm e l’apertura alare i 190-230 cm. Il peso differisce tra i sessi: il maschio può pesare tra i 2900-4500 grammi, mentre la femmina tra i 3800-6700 grammi.

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Ecologia

Ciascuna coppia dispone in media di 4 nidi, con un massimo di 9, generalmente costruito su cengie rocciose. Soltanto in tre territori sono stati segnalati nidi su alberi, in un caso su Pino cembro e in due casi su Larice (uno a Courmayeur!). Nidifica ad una quota più bassa rispetto ai territori di caccia. In questo modo evita faticose risalite per portare la preda al nido. Depone tra febbraio e aprile con covate di due uova. La cova dura circa 43-45 giorni, generalmente è svolta dalla femmina. I piccoli iniziano a volare dopo 65-70 giorni, e diventano indipendenti dopo 160-170 giorni.

Le nidiate con due aquilotti all’involo sono risultate essere pari al 20% sul totale delle nidificazioni riuscite. Il notevole raggio di azione dei singoli individui e la presenza di giovani e subadulti non accoppiati consentono avvistamenti sino a quote di oltre 3.000 metri e sporadicamente anche al di sotto dei 1.000 metri. Le parate nuziali e i voli “a festoni” sono frequenti soprattutto in febbraio e marzo. Le date estreme di involo sono comprese fra il 2 luglio e la prima quindicina di agosto.

L’Aquila caccia su terreni accidentati a prevalente vegetazione erbacea o arbustiva, evitando i folti massicci forestali. La preda principale dalla tarda primavera all’inizio dell’autunno risulta essere la Marmotta. La cattura di piccoli di Camoscio è stata accertata in più occasioni. Gli Ungulati forniscono un’abbondante fonte alimentare invernale, costituita da carcasse di animali travolti da valanghe o morti per altre cause naturali. Prede frequenti sono Lepre, Lepre variabile, Galliformi alpini e rettili. Sono inoltre segnalate uccisioni di piccoli di capriolo e di giovani volpi.

Un tempo l'Aquila reale viveva nelle zone temperate dell'Europa, nella parte nord dell'Asia, nel nord America, nord Africa e Giappone. In molte di queste regioni l'Aquila oggi è presente solamente sui rilievi montuosi, ma nei secoli precedenti nidificava anche nelle pianure e nelle foreste. È assente in Islanda e Irlanda dove è in corso un tentativo di ripopolamento con 35 uccelli rilasciati dal 2001.

In Italia è presente sulla dorsale appenninica e sull'arco alpino, su rilievi della Sardegna e della Sicilia. Il limite settentrionale di espansione dell'aquila sono le Isole Svalbard.

La specie è stanziale e nidificante in Valle d’Aosta ed è agevolmente osservabile in tutte le valli laterali e nelle località adatte presenti nella valle centrale. Sono attualmente noti 49 territori stabilmente occupati da coppie nidificanti, La distanza fra ogni nido occupato o baricentro di territorio frequentato ed il più vicino tra gli adiacenti è compresa tra 2-10.5 km, con media pari a 6.8 km. L’altitudine media dei nidi è pari a 1843 m, con limiti estremi a 970-2350 m.

Per l’area del Monte Bianco, i dati ottenuti dallo studio sull’avifauna nell’ambito del progetto Interreg riguardano, per questa specie, la verifica della presenza e della nidificazione.

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Gypaetus barbatus (Linnaeus, 1784)

Gipeto

Sottofamiglia: Aegypiinae

Famiglia: Accipitridae

Ordine: Accipitriformes

Classe: Aves

Status di conservazione

Specie in allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/ CEE; SPEC 3; BERNA 2; BONN 2; CITES 1

Lista rossa italiana: EX ( estinto ); In reintroduzione sulle Alpi dal 1986

Morfologia

Il Gipeto ha un’apertura alare che può raggiungere 2,80 m e pesa da 4,5 a 7 kg. La durata di vita è di una trentina di anni. Gli esemplari giovani hanno piumaggio scuro, con capo nerastro e parti inferiori grigio scuro; gli adulti presentano le parti inferiori e la testa chiare, le parti superiori scure. E' in grado di sfruttare le correnti volando anche a grandi altezze ma, normalmente si mantiene a poche decine di metri di quota per perlustrare il terreno.

Ecologia

Il Gipeto predilige regioni selvagge ad orografia accidentata. Si nutre prevalentemente di carogne ed in particolare di grosse ossa. Riesce ad inghiottire pezzi lunghi fino a 25 cm e larghi 3-4 cm; le ossa più lunghe sono frantumate lasciandole cadere sulle rocce. La sua sopravvivenza dipende quindi dalla presenza di grossi Ungulati selvatici o allevati allo stato brado. La locale abbondanza di tali mammiferi in molte vallate delle Alpi potrebbe permettere un lento reinsediamento della specie nei territori un tempo occupati, a condizione che si rimuovano tutte le cause che hanno costituito e costituiscono tuttora impedimento alla sua regolare presenza: catture, esche avvelenate, eccessiva antropizzazione degli ambienti montani.

Quando non trova carogne si nutre di prede vive come le marmotte. Si ritiene che non sia in grado di sollevare pesi che superano i 2 kg. Il Gipeto è monogamo. Inizia la costruzione del nido in ottobre-novembre in profondi anfratti di pareti rocciose. Depone normalmente 2 uova in inverno, ma non in primavera come fanno gli altri uccelli, perché alla nascita del pulcino, dopo 54-58 giorni, il cibo è più abbondante in quanto si liberano dalle nevi le carogne degli animali morti a causa del gelo e delle valanghe. Nelle prime settimane di vita si assiste al cosiddetto fenomeno del "cainismo" perché il pulcino più forte, in genere il più anziano, uccide l'altro. Dopo 120 giorni circa il giovane gipeto tenta il suo primo volo, ma lascerà definitivamente il nido soltanto al sopraggiungere dell'inverno. La convivenza con l'aquila non dovrebbe creare grossi problemi dal punto di vista della catena biologica naturale, anche se capita di assistere a tremendi scontri aerei tra questi due maestosi rapaci.

Il Gipeto, in passato chiamato anche avvoltoio degli agnelli, era scomparso dalle Alpi agli inizi del 1900. Nei Pirenei, la specie è sopravissuta; non è minacciata di estinzione ma nemmeno tanto abbondante da permettere prelievi. Gli effettivi totali europei ammontano a 73-90 coppie e sono localmente in confortante ripresa dopo le drastiche diminuzioni del passato. Grazie ad un programma internazionale, a partire dagli anni '90, i responsabili dei parchi alpini europei, come il Parco nazionale francese del Mercantour, il Parco nazionale Svizzero e il Parco naturale italiano delle Alpi Marittime, hanno iniziato una campagna di ripopolamento liberando alcuni esemplari allevati negli zoo. Sulle alpi sono stati rilasciati in cinque differenti punti numerosi

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giovani nati in cattività. Uno dei siti di rilascio è situato in Alta Savoia a 30 Km dal confine regionale e ciò ha favorito la dispersione degli individui liberati sino in Valle d’Aosta. Nella regione fino al 1996 sono state registrate 332 osservazioni, riferibili per la maggior parte alle valli del Gran Paradiso. Ad oggi è certa la presenza sul territorio regionale di 13 esemplari stabili con alcune nidificanti certe.

Nell’area del Monte Bianco è presunta la nidificazione di almeno due coppie.

Lagopus muta helvetica (Linnaeus, 1758)

Pernice bianca

Sottofamiglia: Tetraoninae

Famiglia: Phasianidae

Ordine: Galliformes

Classe: Aves

Status di conservazione

Specie in allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/ CEE; BERNA 3;

Lista rossa Italiana: VU ( vulnerabile)

Morfologia

La Pernice bianca ha una lunghezza totale di 35-41 cm e un’apertura alare di 55-65 cm. Può pesare dai 350 ai 500 grammi. La livrea muta nel corso dell’anno: da fine ottobre ad inizio aprile è interamente bianca con i lati della coda neri, visibili soltanto in volo. In estate il corpo è prevalentemente bruno o grigiastro screziato di nero. In primavera, il maschio, caratterizzato da vistose caruncole rosse sopra gli occhi, presenta un abito nuziale grigio con petto nerastro più contrastato rispetto a quello bruno ocraceo della femmina. I giovani ai primi voli, sempre accompagnati dalla chioccia, hanno ali brune come il corpo. Il volo è agile con rapidi battiti d’ala alternati a brevi planate.

Ecologia

La Pernice bianca risulta omogeneamente diffusa su 60.000 ettari di territorio valdostano potenzialmente idoneo per la specie. Le densità sono variabili fra 1-4 maschi per 100 ha. Le fasce altitudinali occupate dalla Pernice bianca si identificano con la zona alpina e nivale situate fra i 2000 e i 3000 metri di altitudine, eccezionalmente si possono osservare esemplari anche fino a 1700 o oltre i 3000 m. Frequenta esclusivamente ambienti aperti con abbondanza di rocce al di sopra del limite superiore delle foreste. Sono preferiti i siti con una continua alternanza di affioramenti rocciosi, pietraie, arbusteti nani e vegetazione erbacea d’alta quota. In inverno, le quote ventate offrono una maggiore disponibilità di risorse trofiche. Gli habitat prediletti sono le vallette nivali poco esposte, le morene e le praterie di altitudine dove domina una vegetazione erbacea rasa e discontinua.

L’esposizione dei versanti occupati varia con la stagione: versanti ben esposti con creste spazzate dal vento per lo svernamento, orientati a sud-est sud-ovest per la prima fase del ciclo riproduttivo ed infine d’estate esposizioni a nord, nord- est, nord- ovest con presenza di nevai perenni e acque di ruscellamento. Se tardano le nevicate autunnali, la specie spesso si trattiene nei quartieri di estivazione sino a novembre, sfidando le temperature notturne già invernali e la scarsa insolazione.

La Pernice bianca si nutre essenzialmente di germogli, gemme, foglie e bacche. Il tipo di nutrimento varia a seconda della stagione e delle condizioni di innevamento. Fra le specie consumate possiamo ricordare i germogli di diverse specie di salice (in estate), rametti di mirtillo nero, l`uva ursina, l`azzalea nana, il mirtillo

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rosso, il timo serpillo e il brugo.

La Pernice bianca è monogama, le coppie si formano durante il periodo riproduttivo. Con lo sciogliersi dei gruppi invernali, il maschio assume un comportamento territoriale che diventa particolarmente evidente durante il periodo primaverile, quando si possono osservare dei voli nuziali o udire il canto molto simile a quello di una raganella di carnevale. Una volta formata la coppia, la femmina, dopo la metà di giugno, depone dalle 6 alle 8 uova. Il nido è situato in una cavità del terreno. La cova dura circa 3 settimane. Alcuni giorni dopo la schiusa dei piccoli il maschio abbandona di solito la femmina e si sposta ad altitudini più elevate unendosi ad altri maschi. La femmina continua invece le cure dei pulcini, portandoli sui luoghi di nutrimento, difendendoli da eventuali disturbi, riscaldandoli e proteggendoli dalle intemperie. A due settimane di età i piccoli effettuano i primi voli, ma sarà solo ad un mese che saranno in grado di effettuare voli più importanti. La femmina rimane di solito con la prole fino ad autunno inoltrato quando le pernici si riuniscono in gruppi plurifamigliari fino alla primavera successiva. Al di fuori del periodo riproduttivo si possono osservare gruppi da 10 fino a 80 esemplari..

L’areale di diffusione è ristretto alle sole zone circumpolari dell’Eurasia e dell’America del Nord e alle nostre Alpi e ai Pirenei come relitto delle grandi glaciazioni del passato. In queste ultime si trovano zone d’alta quota che conservano aspetti morfologici, climatici e vegetazionali ancora adatti alla sua sopravvivenza.

Nell’area del Monte Bianco, la specie è stata indagata nel periodo primaverile in due aree campione: area di Lex Blanche nell’alta Val Veni e area del vallone/colle del Malatrà in Val Ferret. Osservazioni relative al periodo estivo riguardano l’area di Belle Combe, in Val Ferret. Valutando i dati per due siti primaverili su due anni si ottengono valori di densità di 0,79 maschi su 100 ha nel 2005 e 1,32 maschi su 100 ha nel 2006.

Lanius collurio (Linnaeus, 1758)

Averla piccola

Famiglia: Laniidae

Ordine:Passeriformes

Classe: Aves

Status di conservazione

Specie in allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/ CEE; SPEC 3

Morfologia

L’Averla piccola ha una lunghezza totale di 17-18 cm e pesa all’incirca 25-35 grammi. La livrea del maschio è caratteristica: le parti inferiori sono bianco rosate, la testa è grigia con mascherina nera, il dorso è rossiccio e la coda bianca e nera. La femmina ed i giovani, meno appariscenti, hanno un piumaggio bruno e crema, lievemente barrato di scuro. La silhouette della specie è caratterizzata dal capo piuttosto grande con il becco lievemente uncinato.

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Ecologia

Il canto, poco regolare, è udibile tra maggio e luglio. La costruzione del nido è notata a fine maggio inizio giugno. Lo scarso impiego di fitofarmaci in molte zone della Valle d’Aosta può spiegare, insieme all’abbondanza di cespugli e siepi, la buona frequenza della specie nella Regione.

Si posa frequentemente in posizione dominante, su fili sospesi. Vive nei cespugli, dove nidifica, nelle siepi e nelle macchie boscose. Il nido è costruito con steli di piante, radici ed erba, è foderato con muschio e peli, e solitamente è collocato nelle zone più basse dei cespugli spinosi. Quando caccia, si posiziona in luoghi che gli permettono un'ampia visuale, come le staccionate. Cattura le prede secondo diverse modalità: cala rapidamente su scarafaggi e altri invertebrati che si trovano sul terreno, ma insegue anche insetti in volo. Preda anche piccoli uccelli, mammiferi, lucertole e rane, che sono uccise con dei colpi di becco alla nuca. Spesso infilza le sue prede sulle spine, e queste costituiranno la sua riserva di cibo per le stagioni più difficili. Migratrice, depone solitamente 4- 6 uova.

Lanius collurio è una specie estiva e nidificante in tutta l’Italia e nell’Europa centro- meridionale. Sverna verso l'Africa tropicale e meridionale e l'India nord - occidentale durante l'inverno. L’Averla piccola, i cui effettivi sono fortemente diminuiti nelle zone pianeggianti ad agricoltura intensiva, è ancora discretamente comune nelle zone scarsamente coltivate e con abbondante entomofauna. La specie è piuttosto frequente come estiva e nidificante in Valle d’Aosta. Giunge a fine aprile e riparte a fine agosto- settembre. Popola soprattutto le zone più calde della Regione, ma riesce a spingersi anche in alcune valli laterali piuttosto fredde. Nelle vallate ampie, con estesi pendii esposti a sud, è regolare fino alle quote di 1500- 1700 metri. Nell’area del Monte Bianco è presente e nidificante. Il valore di frequenza percentuale rispetto ai 91 punti d’ascolto effettuati è di 0.65.

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Pyrrhocorax pyrrhocorax (Linnaeus, 1758)

Gracchio corallino

Famiglia: Corvidae

Superfamiglia: Corvoidea

Ordine:Passeriformes

Classe: Aves

Status di conservazione

Specie in allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/ CEE; SPEC 3;

Morfologia

Molto simile al Gracchio alpino, se ne distingue per il becco rosso-arancio, lungo e lievemente ricurvo (più breve e pallido nei giovani). In volo, la sagoma è caratterizzata dalla coda corta e tronca e dalle ali rettangolari, nettamente digitate all’apice. Necessita di praterie con copertura erbacea bassa e di pareti rocciose con profondi anfratti dove costruisce il nido. Nidifica dai 1800 ai 2600 metri, ma in estate la specie può raggiungere e superare i 3000 metri di altitudine. In periodo riproduttivo appare strettamente rupicolo, ma spesso compie ampi spostamenti giornalieri alla ricerca di cibo.

È sedentario e ricerca il cibo fra le erbe utilizzando il becco sia per sondare il terreno alla ricerca di bulbi o invertebrati, sia per rivoltare pietre sotto le quali possono trovarsi piccole prede. Percorre lunghi tragitti giornalieri tra i siti di riposo e quelli di alimentazione e non utilizza i pascoli subalpini o montani completamente circondati da foreste o con cotica erbosa alta. Cattura le piccole prede di cui si nutre sulle praterie alpine con strato erbaceo assai basso ed abbondanti sfasciumi rocciosi. Si sposta occasionalmente anche su nevai perenni ove trova un buon numero di insetti ed altri artropodi morti.

Tra la fine di aprile e l’inizio di luglio nidifica in profondi crepacci di pareti rocciose deponendo 3- 5 uova.

Ecologia

Il Gracchio corallino, sedentario e nidificante, è una delle specie più interessanti della Valle d’Aosta. Da sempre definito raro, è localizzato su alcuni massicci montuosi con pareti rocciose ricche di profondi crepacci. I più recenti studi sulla distribuzione della specie sulle Alpi italiane indicano la Valle d’Aosta come uno dei principali centri di diffusione. Per il versante valdostano del Parco nazionale Gran Paradiso è stimata la presenza di 50 coppie nidificanti, con una dozzina di siti riproduttivi noti, distribuiti fra i 1750 e i 2850 m. In svernamento la specie è stata notata in tre occasioni presso la zona umida di Saint Marcel a 550 m s.l.m. La situazione a livello generale europeo presenta da tempo una marcata diminuzione degli effettivi, spiegata almeno in parte da modificazioni ambientali. Sul settore centro- orientale delle Alpi non vi è alcuna recente prova di nidificazione e si segnalano soltanto sporadici avvistamenti.

Nell’area del Monte Bianco non vi sono dati relativi alle densità, ma è accertata la presenza e la nidificazione.

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Tetrao tetrix tetrix (Linnaeus, 1758)

Gallo forcello

Sottofamiglia: Tetraoninae

Famiglia: Phasianidae

Ordine: Galliformes

Classe: Aves

Status di conservazione

Specie in allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/ CEE; SPEC 3; BERNA 3 ;

Lista rossa nazionale: LR (a più basso rischio)

Morfologia

Il Gallo forcello può raggiungere una lunghezza totale di 58-65 cm per un peso di 1100-1400 grammi per il maschio e 46-48 cm per 800-1000 grammi per la femmina. L’apertura alare misura all’incirca 80-85 cm per il maschio e 65-70 cm per la femmina. La livrea del maschio è inconfondibile: piumaggio nero bluastro con il sottocoda, la stria alare e il sottoala bianchi, vistosa caruncola rossa sopra ciascun occhio e lunga coda a forma di lira con timoniere laterali ricurve verso l’esterno (tenuta piegata e ribaltata sul dorso durante le parate nuziali). La femmina è bruna con fitte barrature scure visibili solo a breve distanza e sottoala bianco, la coda è corta e solo lievemente forcuta. L’involo molto rumoroso (rapida serie di battiti d’ala), è solitamente seguito da una rapida picchiata e da un volo planato lungo il versante.

Ecologia

Il Gallo forcello frequenta le foreste con ricco sottobosco arbustivo di rododendro e mirtilli in una fascia altimetrica compresa tra i 1400-2300 metri, con minimi a soli 1400-1500 metri nei valloncelli più freschi. I boschi di pino uncinato e larice sono ottimali per la specie in quanto offrono protezione e alimento in tutte le stagioni, soprattutto se dotate di abbondante sottobosco di Ericacee ed altri vegetali: Rododendro, Mirtillo, Uva ursina, Ginepro. Spesso la specie raggiunge il limite superiore degli arbusti contorti, dove la copertura arborea è del tutto assente. Le aree di canto sono situate tra i 1600-2300 metri preferibilmente su costoni con orientamento nei quadranti settentrionali, mentre le nidiate si incontrano soprattutto dai 1700 metri, mentre in zone con scarso innevamento primaverile vi sono deposizioni fino a 2200 metri. Queste formazioni includono la maggior parte dei siti utilizzati per lo svernamento, l’accoppiamento e l’allevamento delle nidiate, mentre le pinete silvestri sono utilizzate soltanto in maniera marginale durante la stagione invernale.

La specie, di origine boreale, è perfettamente adattata al clima alpino e sopporta lunghi periodi di innevamento totale del suolo. In inverno passa buona parte del giorno e dell’intera notte in ricoveri scavati nella neve polverosa, stratagemma utile per ridurre sia la dispersione di calore sia il rischio di cattura da parte dei predatori. L’alimentazione è prevalentemente vegetale (gemme, semi, piccoli frutti, foglie); i lunghi intestini ciechi ospitano una flora batterica che consente alla specie di utilizzare alimenti ricchi di parti poco digeribili (apici vegetativi di alberi e arbusti, foglie di conifere sempre verdi). I pulcini nelle prime due settimane di vita si nutrono esclusivamente di insetti e prolungati periodi di maltempo in luglio possono causare una forte mortalità giovanile. In aprile-giugno i maschi effettuano spettacolari parate nuziali, radunandosi spesso in luoghi dominanti detti arene ove avvengono gli accoppiamenti. Le femmine depongono le uova (7- 10 per nido) in fine maggio o in giugno e accompagnano i giovani sino all’emancipazione; i pulcini compiono i primi brevi voli solitamente a partire da fine luglio e le covate si disperdono in settembre. In autunno e in inverno,

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maschi e femmine si radunano in gruppi che possono contare anche oltre 10 individui.I casi di predazione della specie non sono molto frequenti: in letteratura si registrano predazioni da parte di volpi e martore.

In Valle d’Aosta, il Gallo forcello è presente con un buon numero di soggetti. L’area potenziale regionale della specie si estende su oltre 40.000 ettari. La densità primaverile dei maschi cantori calcolata su alcune aree campione di piccola estensione distribuite sull’intera Regione è risultata di 8 galli per 100 ettari. La consistenza primaverile della specie è pari a 1000- 1200 maschi (Parco Gran Paradiso escluso).

I censimenti primaverili effettuati in Val Ferret su un’area di 800 ettari, rilevano valori di densità dei maschi che variano da 5,75/100 ha del 2005 (46 maschi totali) a 9,75/100 ha del 2006 (78 maschi totali). L’indice riproduttivo (rapporto tra giovani e femmine adulte) è compreso tra 1 e 3 e può essere interpretato come un indicatore di una popolazione in salute, considerando che il valore minimo per il mantenimento di una popolazione deve essere compreso tra 0.9 e 1.6.

Aegolius funereus (Linnaeus, 1758)

Civetta capogrosso

Sottofamiglia: Surniinae

Famiglia: Strigidae

Ordine: Strigiformes

Classe: Aves

Status di conservazione

Specie in allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/ CEE; BERNA 3; CITES 2

Lista rossa nazionale: LR (a più basso rischio)

Morfologia

La Civetta capogrosso è caratterizzata dalla testa di forma quadrata priva di ciuffi auricolari e occhi gialli. Può raggiungere una lunghezza totale di 23- 27 cm e un’apertura alare di 54-60 cm. Può pesare dai 100 ai 190 grammi. Per nulla impaurita dall’uomo, è però difficile da localizzare nei siti di riposo diurni. L’osservazione al nido è più agevole data la sua abitudine ad affacciarsi al foro di ingresso delle cavità occupate.

Ecologia

Specie tipica della taiga, frequenta sia foreste di conifere, sia le faggete miste a larice. Predilige i settori di bosco con grandi alberi dove può trovare cavità idonee alla nidificazione prossimi a radure o pascoli ricchi di

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prede.

Si nutre di micromammiferi (roditori ed insettivori) e uccelli di piccole dimensioni. Generalmente vive in coppie territoriali. Il periodo di corteggiamento è il mese di marzo. La cova dura 25-30 giorni, e la schiusa avviene nei mesi di maggio-giugno. Nidifica solitamente nei vecchi nidi del Picchio nero, in cavità naturali e anche in baite e altre costruzioni, deponendo 4-6 uova fra fine marzo e maggio. Le due specie si tollerano vicendevolmente e possono riprodursi con successo contemporaneamente su di uno stesso albero.

La Civetta capogrosso mostra forti fluttuazioni di densità legate con ogni probabilità alla mutevole disponibilità di cibo.

La specie si riproduce nei boschi di conifere, siano essi puri o misti a latifoglie, e vi risiede tutto l’anno.

In svernamento la specie è stata osservata sino a 2.050 metri.

Per l’area del Monte Bianco non vi sono dati quantitativi e/o di nidificazione in quanto la specie non era inserita negli scopi del progetto. La specie è comunque presente.

Dryocopus martius (Linnaeus, 1758)

Picchio nero

Famiglia: Picidae

Ordine: Piciformes

Classe: Aves

Status di conservazione

Specie in allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/ CEE; BERNA 3;

Morfologia

Il Picchio nero è, tra tutti i picidi, la specie che ha dimensioni più grandi. Raggiunge una lunghezza totale di 45-50 cm, un’apertura alare di 65-70 cm ed un peso di 250-350 grammi. È quasi interamente nero con il becco color avorio. Il capo presenta parti di colore rosso, non sempre evidenti in occasioni di fugaci osservazioni in natura (l’intero vertice nel maschio, la sola nuca nella femmina). Il volo è lievemente ondulato.

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Ecologia

Si posa sia sui tronchi, sia al suolo in prossimità di formicai, ceppaie o alberi abbattuti. Di norma è piuttosto silenzioso, ma diviene loquace alla fine dell’inverno e all’inizio della primavera. Le manifestazioni territoriali sono rappresentate da un sonoro tambureggiamento e dal canto. È una specie molto elusiva che risente fortemente del disturbo antropico.

Frequenta ampie foreste ricche di insetti xilofagi, ove siano presenti grandi alberi idonei allo scavo dei nidi. Gli scavi sugli alberi si riconoscono da quelli di altri picchi per le cospicue dimensioni e la grandezza delle scaglie staccate, anche di 6-8 cm. Gli scavi alimentari sono irregolari e dipendono da come si dispongono gli insetti nel legno. La specie perfora i nidi di formiche rosse in modo particolare. Nidifica tra i 1100-1900 metri di quota, spingendosi alla ricerca di cibo sino al limite superiore del bosco e anche ai soli 700 metri di altitudine. I nidi hanno foro di ingresso regolare ed ellittico di altezza pari ad almeno 9-10 cm. I nidi sono scavati prevalentemente su faggio, pino silvestre, larice e pioppo tremulo. Sono utilizzati sia quali ricoveri notturni, sia per l’allevamento delle nidiate. La deposizione delle uova e l’involo dei giovani avvengono rispettivamente in aprile- maggio e a fine maggio- giugno. La femmina depone da 3 a 5 uova molto lisce e di color bianco lucido. I piccoli vengono allevati da entrambi i genitori e restano nel nido fino all’involo. In valle d’Aosta vecchi buchi di Picchio nero sono stati utilizzati per la nididificazione dalla Civetta capogrosso e dal Picchio muratore. Gli ambienti preferiti per la riproduzione sono le foreste fresche ed estese dei versanti esposti a Nord: la maggior parte delle coppie nidificanti conosciute in Valle d’Aosta popola peccete miste a larici, abeti bianchi e latifoglie. Per le pinete a pino silvestre esposte a Sud si sono registrate osservazioni solo in periodo autunnale ed invernale. Non è comunque escluso che anche in questi ambienti ospitino qualche coppia nidificante. Predilige le pinete silvestri e le laricete montane per l’alimentazione, mentre le faggete e nuclei di pioppi per la nidificazione. Gli avvistamenti in foreste di pino uncinato sono limitate. In periodo riproduttivo, la specie è stata osservata sempre al di sotto dei 1900-2000 metri.

Si nutre di insetti forestali, soprattutto formiche e coleotteri xilofagi, che cattura su tronchi, ceppaie, legna al suolo e acervi. L’abbandono delle usuali pratiche di utilizzazione del legname con conseguente rinaturalizzazione di gran parte dei boschi, ha senza dubbio causato un forte aumento degli invertebrati forestali favorendo nettamente la specie.

La presenza del picchio nero è indice di buona naturalità dell’ecosistema ed è un indicatore significativo di biodiversità, in quanto strettamente legati alla presenza di grandi e vetusti alberi nei quali scavare i nidi, e alla ricchezza di prede invertebrate. In Europa, il picchio nero è considerato un indicatore di condizioni di habitat forestali intatti e maturi (v. discussione in Bocca et al – ARDEA)

La specie è sedentaria, ben diffusa e ben distribuita in tutta la Valle d’Aosta. Un tempo era considerata rara, ma negli ultimi anni è stato registrato un aumento delle consistenze. È presente in Eurasia, mentre in Italia è diffuso sull’Appennino meridionale e su tutto l’arco alpino. Nel 2000, è stato regolarmente segnalato nel Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, tra le province di Forli, di Cesena e di Arezzo.

Per l’area del Monte Bianco è accertata la presenza della specie, mentre la nidificazione non è comprovata da dati rilevati nel corso dello studio faunistico effettuato nell’ambito del progetto Interreg Cogeva Vahsa.

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Pernis apivorus (Linnaeus, 1758)

Falco pecchiaiolo

Famiglia: Accipitridae

Ordine: Falconiformes

Classe: Aves

Status di conservazione

Specie in allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/ CEE; SPEC 3; BERNA 2; BONN 2; CITES 1

Lista rossa nazionale: VU (vulnerabile)

Morfologia

Spesso confuso con la Poiana, in volo presenta ali e coda più allungate e il capo piccolo e prominente. Le ali sono mantenute sullo stesso piano del dorso. Ha una lunghezza totale di 53-57 cm e un’apertura alare di 120-130 cm e può pesare da 600-950 grammi. Esegue un inconfondibile volo con funzioni territoriali durante il quale, a intervalli regolari, sbatte in rapida sequenza le ali rialzate sul dorso una contro l’altra. Il colorito è assai variabile: negli adulti si notano tre caratteristiche larghe bande scure attraverso la coda, due basali e una terminale.

Ecologia

Nidifica sugli alberi, a 10-20 m d'altezza, nelle aree boscate prossime a radure, a coltivi oppure a praterie, utilizzando gli spazi aperti per la ricerca del cibo.

Le prede più consuete sono gli imenotteri sociali. Con l’aiuto dei brevi artigli riesce a raggiungere i nidi sotterranei di vespe e bombi contenenti larve e ninfe, le quali costituiscono un ottimo alimento per i pulcini. Non disdegna piccoli rettili e anfibi, uova, piccoli uccelli e piccoli mammiferi. È goloso anche di miele.

L’esposizione non pare giocare un ruolo determinante dato che la specie è stata osservata abbastanza frequentemente anche su versanti a Nord. Non vi sono informazioni per quanto riguarda branchi di migrazione, probabilmente per correnti migratorie che interessano la regione. La specie è presente in Italia centro-settentrionale, frequenta molto i passi alpini. Sulle Alpi svizzere e francesi è una specie ben rappresentata.

La femmina depone in genere 1-2 uova, raramente 3, che vengono covate per 30-40 giorni. L’involo avviene dopo 40-44 giorni.

Il Falco pecchiaiolo è estivo e nidificante in Valle d’Aosta alle medie e basse quote. Le osservazioni in periodo riproduttivo sono distribuite lungo la valle centrale, e in alcune valli laterali. La specie è frequente al di sotto dei 1200 metri. A quote elevate è stata osservata esclusivamente durante i passi. Il falco pecchiaiolo è un uccello migratore di lunga distanza. Trascorre l'inverno a sud del Sahara e giunge in Europa a primavera per nidificare passando soprattutto dallo stretto di Gibilterra, dalla Sicilia e lo Stretto di Messina, e dalla Turchia (ad ovest ed est del Mar Nero).

Nell’area del Monte Bianco, è accertata la presenza della specie, ma non si hanno dati relativamente alla nidificazione.

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Circaetus gallicus (Gmelin, 1758)

Biancone

Sottofamiglia: Circaetinae

Famiglia: Accipitridae

Ordine:Accipitriformes

Classe: Aves

Status di conservazione

Specie in allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/ CEE; SPEC 3; BERNA 2; BONN 2; CITES 1

Lista rossa nazionale: EN (in pericolo)

Morfologia

La sagoma in volo del Biancone ricorda l’Aquila reale, con ampie ali rettangolari, coda di media lunghezza e testa prominente di grandi dimensioni. La lunghezza totale misura 62-67 cm ed ha un’apertura alare di 180-195 cm. Può pesare dai 1200-2300 grammi. Il becco è breve. Il colorito del ventre e della pagina inferiore delle ali, bianco con piccole macchie brune, è un utile carattere distintivo. Il capo e il petto sono bruni nella maggior parte degli individui. Le parti superiori brune contrastano in modo netto con le remiganti nerastre. È l’unico fra i grandi rapaci ad eseguire a lungo il volo librato a 10-100 metri dal suolo.

Ecologia

Il periodo riproduttivo è caratterizzato dai caratteristici voli in coppia e dai richiami spesso emessi nelle vicinanze del sito riproduttivo. Nidifica in boschi poco disturbati e caccia in ambienti aperti con prevalente vegetazione erbacea ed arbustiva e costruisce il nido nella parte esterna della chioma degli alberi, sia di conifere sia di latifoglie, ed è ben mimetizzato e di modeste dimensioni (circa 80 cm). I nidi sono costruiti prevalentemente sui versanti esposti a Nord, per la maggiore presenza di boschi, e Nord/Est o Est. La specie, infatti, pur necessitando di ampi versanti a scarsa copertura arborea, secchi e soleggiati, pone spesso il nido su pendii o conche completamente boscosi. Le nidificazioni si dispongono tra il fondovalle e i 1500 metri di quota. Alcuni individui possono spingersi fino ai 2200 metri, frequentando occasionalmente praterie subalpine e alpine delle valli laterali. Depone un solo uovo in aprile e l’involo del giovane avviene in agosto, dopo circa 75 giorni dalla schiusa. Sverna in Africa raggiungendo l’Europa in marzo per ripartire in settembre- ottobre. La dieta si compone quasi esclusivamente di rettili ed in particolare di serpenti appartenenti al genere dei Colubridi (Saettone, Biacco, Natrice dal collare) che arrivano a costituire circa il 95% della dieta. Le vipere rientrano scarsamente tra le sue prede e non è immune al loro veleno. Le prede sono trasportate parzialmente ingoiate al nido, con la parte caudale che fuoriesce in modo caratteristico dalla bocca del rapace.

Il Biancone è diffuso nell’Europa meridionale e orientale. In Francia è presente in scarso numero. In Italia nidifica regolarmente lungo la penisola e in Liguria, mentre alcune decine di coppie si riproducono nella fascia prealpina. In Valle d’Aosta, il Biancone è estivo e frequenta le zone più calde e soleggiate della valle centrale. La regione è situata al limite settentrionale dell’area di diffusione della specie. Recentemente sono state citate cinque coppie territoriali per tre delle quali è stato individuato almeno un nido.

Nell’area del Monte Bianco è segnalata la presenza ma non la nidificazione.

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Falco peregrinus (Tunstall, 1771)

Falco pellegrino

Sottofamiglia: Falconinae

Famiglia: Falconidae

Ordine: Accipitriformes

Classe: Aves

Status di conservazione

Specie in allegato I della Direttiva Uccelli 79/409/ CEE; SPEC 3; BERNA 2; BONN 2; CITES 1

Lista rossa nazionale: VU (vulnerabile)

Morfologia

Il Falco pellegrino ha forme massicce con sagome in volo caratterizzate da ali appuntite a forma di falce e coda stretta e piuttosto breve. La lunghezza totale è di 40-50 cm ed un’apertura alare di 85-110 cm. Il peso varia da 600-1000 grammi. L’adulto è grigio lavagna superiormente e grigio chiaro inferiormente, con petto bianco e cappuccio con larghi mustacchi neri sul capo. Il giovane è più bruno con petto bianco meno evidente, parti inferiori striate e non barrate e con una stretta banda terminale chiara sulla coda. Il volo è potente e caratterizzato da rapidi e frequenti battiti d’ala.

Ecologia

In ambiente alpino, nidifica esclusivamente su estese pareti rocciose prospicienti ampie vallate, che gli offrono ottimali siti di nidificazione e la possibilità di cacciare con successo uccelli in pieno volo. Le pareti affacciate su valli percorse da molti migratori e vicine ad aree boscate gli garantiscono un’adeguata frequenza e varietà di prede. Le pareti d’alta quota lontane da rotte migratorie non risultano mai stabilmente occupate. Si nutre quasi esclusivamente di uccelli di piccole e medie dimensioni, che cattura in volo compiendo spettacolari picchiate. È considerato l’animale più veloce attualmente esistente.

I siti di nidificazione sono situati tra gli 800 e i 1400/2000 metri. Sulle Alpi occidentali distano in media 31 Km l’uno dall’altro, con distanze minime pari a 5,7 Km e massime a 71 Km.

Tra fine marzo e i primi di aprile, la femmina depone 3-4 uova su un terrazzino in parete oppure in un nido abbandonato da altra specie. L’involo avviene alla fine di maggio o nella prima metà di giugno. I giovani si disperdono nei mesi estivi e possono frequentare ambienti non solitamente frequentati dalla specie: pascoli d’alta quota e brughiera alpina. Gli adulti tendenzialmente sedentari si spingono in erratismo anche a diversi Km dal nido e possono essere osservati dal fondovalle fino ad oltre 2300 metri di quota. La specie non risente molto della presenza dell’uomo e spesso sfrutta gli ambienti cittadini per cacciare. Si sono registrate nidificazioni di Falco pellegrino su cattedrali e antichi palazzi di città come Milano e Torino.

Il Falco pellegrino era in forte declino fino a pochi anni fa in numerose aree europee e nordamericane, soprattutto a causa dell’uso del DDT ed altri pesticidi. La specie, anche se con un numero ridotto di coppie, nidifica nelle regioni svizzere e francesi.

In Valle d’Aosta sono note pochissime coppie nidificanti: 6 coppie territoriali hanno occupato siti distanti tra loro in media 11.7 Km, tutti disposti al di sotto dei 1600 metri di quota (Bocca 1989) Nell’area del Monte Bianco la specie è nidificante .

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Le ricerche effettuate nell’ambito faunistico hanno permesso di individuare una serie di specie su cui focalizzare l’attenzione a livello gestionale con l’individuazione di misure di gestione attiva e/o monitoraggio e/o approfondimenti scientifici.

Specie rilevate presenti negli Allegati delle direttive Habitat e Uccelli Maculinea arion, Parnassius apollo e Euphydryas aurinia glaciegenita, elencate nelle appendici II e IV della Direttiva Habitat.

Hierophis viridiflavus e Podarcis mualis elencate solo nell’Appendice IV della Direttiva Habitat

Rana temporaria in allegato V della Direttiva Habitat

12 delle 81 specie che compongono l'avifauna censita sono inserite nell’allegato I della Direttiva 79/409/CEE Uccelli (Allegato 2.). Di queste, 7 risultano sicuramente nidificanti (falco pellegrino, aquila reale, coturnice, gallo forcello, pernice bianca, averla piccola e gracchio corallino).

Specie rilevate di particolare rilievo che necessiterebbero di studi più approfonditi

Chionomys nivalis (Arvicola delle nevi), della quale è stata rinvenuta una buona popolazione in Val Veni, presso il lago Combal. L’interesse della specie è dato dalle sue caratteristiche biologiche, diverse rispetto ad altri roditori di piccole dimensioni nel tasso riproduttivo, la territorialità e la capacità dispersiva, e gli adattamenti ecologici legati in questo caso all’altitudine.

Parnassius phoebus (Lepidoptera Papilionoidea) è specie globalmente minacciata ed in declino nel nostro paese.

Aphodius immaturus (Coleoptera Scarabeidae) specie con un areale ristretto all’arco alpino occidentale e complessivamente poco conosciuta, solo recentemente segnalata per il territorio italiano, dove risulta piuttosto rara.

ELENCO CARTOGRAFIE DESCRITTIVE

1. Inquadramento catastale 2. Corografia 3. Carta geologica 4. Carta idrologica 5. Habitat

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VALUTAZIONE DELLE ESIGENZE ECOLOGICHE

Per definire correttamente le misure di conservazione il Piano di Gestione considera “tutte le esigenze ecologiche dei fattori abiotici e biotici necessari per garantire lo stato di conservazione soddisfacente degli habitat e delle specie, comprese le loro relazioni con l’ambiente (aria, acqua, suolo, vegetazione, ecc)”. Le conoscenze relative alle esigenze ecologiche sono essenziali per l’elaborazione di misure di conservazione adattate caso per caso. Infatti, le esigenze ecologiche possono variare da una specie all’altra e per la stessa specie, anche da un sito all’altro. Ciò è particolarmente importante per la flora e la vegetazione, dato che una stessa specie può vivere in comunità diverse e una stessa comunità può trovarsi in diverse unità di paesaggio o in diverse regioni biogeografiche. La valutazione delle esigenze ecologiche individuate nella fase descrittiva, permette:

• l’individuazione delle minacce e dei fattori di rischio per habitat e specie; • l’individuazione di indicatori che consentano di valutare nel tempo lo stato di conservazione di

specie e habitat; • l’individuazione e la scelta di modalità di monitoraggio degli indicatori che consentano di

prevederne l'evoluzione; • l’individuazione di strategie gestionali atte a garantire la conservazione e/o l’espansione degli habitat

e delle specie in questione. Per ogni habitat e specie è stata elaborata una scheda sintetica in cui sono analizzati gli aspetti sopracitati. Nelle azioni di gestione relative al monitoraggio verranno poi evidenziate quelle specie e habitat per cui si ritiene necessaria una gestione attiva o un monitoraggio.

SCHEDE HABITAT

Cod. 3160 Laghi e stagni distrofici naturali

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie nitrofile, sinantropiche, aliene, invasive; • Comparsa di specie xerofile; • Numero di entità di Phragmites australis presenti; • Comparsa di specie arbustive e arboree • Inquadramento fitosociologico dell’habitat; • Qualità delle acque; • Variazioni del livello della falda freatica.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della biodiversità floristica (incluse Bryophyta) attraverso

rilevamento floristico; • Conteggio delle entità di Phragmites australis;

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• Analisi chimico-fisiche periodiche delle acque che alimentano le zone umide; • Misurazioni delle variazioni della falda freatica per stabilire sia l’intervallo di fluttuazioni periodiche sia i

livelli minimi oltre i quali si verificano condizioni sfavorevoli per l’habitat.

Minacce • Limitata estensione degli habitat; • inquinamento delle acque sia di superficie che di profondità; • Fenomeni di compattazione, anche se localizzati, per eccessivo calpestamento dovuto al passaggio di

bestiame (bovini ma anche ovini e caprini) e a frequentazione turistica; • Azioni di drenaggio e bonifica per recupero di aree da destinare al pascolo o a strutture turistiche; • Abbassamento del livello delle acque della falda freatica (ad esempio con ulteriori captazioni per

acquedotti); • Variazione dei flussi idrici di superficie al di fuori dell’intervallo che definisce le fluttuazioni periodiche

(ad esempio con captazioni per centraline idroelettriche ad uso privato).

Trend: in diminuzione

Misure di conservazione:

Sono vietate le seguenti attività:

• L’alterazione del regime idrico naturale, le manomissioni e le trasformazioni delle sponde. • Il danneggiamento e/o il taglio della vegetazione acquatica e di ripa. • L’introduzione e il ripopolamento di fauna ittica non autoctona. • La modifica della componente organica delle acque tramite immissione di sostanze inquinanti.

È fatto obbligo di:

• Prevedere programmi mirati di controllo di specie invasive (Phragmites australis);

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Cod. 3220 Fiumi alpini con vegetazione riparia erbacea

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie nitrofile, sinantropiche, aliene, invasive; • Estensione dell’habitat sulla base delle cartografie prodotte; • qualità delle acque;

. Monitoraggio

• Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso censimento floristico; • Rilevamento cartografico; • Analisi chimico-fisiche periodiche delle acque.

Minacce • Fenomeni alluvionali o di esondazione; • Arginature fluviali e regimazione delle acque.

Trend: stabile, può diventare negativo per effetto di forti fenomeni alluvionali.

Misure di conservazione: Sono vietate le seguenti attività:

• La captazione delle acque di superficie e sotterranee fatta eccezione per i prelievi destinati ad autoconsumo, ad uso potabile, ad uso agro-silvo-pastorale e per le opere di rilevante interesse pubblico.

• La modifica del naturale scorrimento delle acque superficiali e sotterranee con sbarramenti, dighe o movimenti di terra, fatti salvi gli interventi necessari per gli usi e le attività di natura agro-silvo-pastorale, idrogeologica, di difesa dagli incendi, gli interventi finalizzati ad esigenze di pubblica incolumità e quelli di rilevante interesse pubblico;

• Le manomissioni e le trasformazioni delle sponde, fatti salvi gli interventi di sistemazione idraulica finalizzati ad assicurare condizioni di pubblica incolumità.

• Il prelievo di sabbia e ghiaia, fatti salvi i prelievi connessi ad interventi finalizzati alla sicurezza idraulica. • L’immissione di sostanze inquinanti. • L’introduzione e il ripopolamento di fauna ittica non autoctona;

É fatto obbligo di:

• Utilizzare, ove possibile, metodi e tecniche di ingegneria naturalistica per gli interventi di regimazione

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idraulica. • Impiegare specie vegetali autoctone in caso di interventi di rinaturalizzazione delle sponde. • Eseguire gli interventi di taglio della vegetazione ripariale, se autorizzati, al di fuori del periodo

riproduttivo dell’avifauna.

Cod. 3230 Fiumi alpini con vegetazione riparia legnosa a Myricaria germanica

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie nitrofile, sinantropiche, aliene, invasive; • Estensione dell’habitat sulla base delle cartografie prodotte; • qualità delle acque.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso censimento floristico; • Rilevamento cartografico; • Analisi chimico-fisiche periodiche delle acque.

Minacce • Limitata estensione degli habitat; • Modificazioni del regime idrico; • Fenomeni alluvionali o di esondazione.

Trend: stabile

Misure di conservazione: Sono vietate le seguenti attività:

• La captazione delle acque di superficie e sotterranee fatta eccezione per i prelievi destinati ad autoconsumo, ad uso potabile, ad uso agro-silvo-pastorale e per le opere di rilevante interesse pubblico.

• La modifica del naturale scorrimento delle acque superficiali e sotterranee con sbarramenti, dighe o movimenti di terra, fatti salvi gli interventi necessari per gli usi e le attività di natura agro-silvo-pastorale, idrogeologica, di difesa dagli incendi, gli interventi finalizzati ad esigenze di pubblica incolumità e quelli di rilevante interesse pubblico;

• Le manomissioni e le trasformazioni delle sponde, fatti salvi gli interventi di sistemazione idraulica finalizzati ad assicurare condizioni di pubblica incolumità.

• Il prelievo di sabbia e ghiaia, fatti salvi i prelievi connessi ad interventi finalizzati alla sicurezza idraulica. • L’immissione di sostanze inquinanti. • L’introduzione e il ripopolamento di fauna ittica non autoctona;

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É fatto obbligo di:

• Utilizzare, ove possibile, metodi e tecniche di ingegneria naturalistica per gli interventi di regimazione idraulica.

• Impiegare specie vegetali autoctone in caso di interventi di rinaturalizzazione delle sponde. • Eseguire gli interventi di taglio della vegetazione ripariale, se autorizzati, al di fuori del periodo

riproduttivo dell’avifauna.

Cod. 3240 Fiumi alpini con vegetazione riparia legnosa a Salix eleagnos

Indicatori • Composizione floristica; • qualità delle acque.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso censimento floristico; • Rilevamento cartografico; • Analisi chimico-fisiche periodiche delle acque.

Minacce • Fenomeni alluvionali o di esondazione; • Arginature fluviali e regimazione delle acque.

Trend: stabile

Misure di conservazione: Sono vietate le seguenti attività:

• La captazione delle acque di superficie e sotterranee fatta eccezione per i prelievi destinati ad autoconsumo, ad uso potabile, ad uso agro-silvo-pastorale e per le opere di rilevante interesse pubblico.

• La modifica del naturale scorrimento delle acque superficiali e sotterranee con sbarramenti, dighe o movimenti di terra, fatti salvi gli interventi necessari per gli usi e le attività di natura agro-silvo-pastorale, idrogeologica, di difesa dagli incendi, gli interventi finalizzati ad esigenze di pubblica incolumità e quelli di rilevante interesse pubblico.

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• Le manomissioni e le trasformazioni delle sponde, fatti salvi gli interventi di sistemazione idraulica finalizzati ad assicurare condizioni di pubblica incolumità.

• Il prelievo di sabbia e ghiaia, fatti salvi i prelievi connessi ad interventi finalizzati alla sicurezza idraulica. • L’immissione di sostanze inquinanti. • L’introduzione e il ripopolamento di fauna ittica non autoctona.

É fatto obbligo di:

• Utilizzare, ove possibile, metodi e tecniche di ingegneria naturalistica per gli interventi di regimazione idraulica.

• Impiegare specie vegetali autoctone in caso di interventi di rinaturalizzazione delle sponde. • Eseguire gli interventi di taglio della vegetazione ripariale, se autorizzati, al di fuori del periodo

riproduttivo dell’avifauna.

Cod. 4060 Lande alpine e boreali

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie arboree; • Estensione dell’Habitat sulla base delle cartografie prodotte;

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della biodiversità floristica attraverso censimento floristico; • Rilevamento cartografico (per misurare l’incremento eventuale della copertura arbustiva su ampie

superfici si può procedere con la mappatura, tramite interpretazione delle foto aeree, di uno stato iniziale [“anno zero”] e confronto con uno successivo ottenuto da interpretazione di nuove foto aeree effettuate con almeno 5 anni di intervallo).

• Il monitoraggio dovrebbe essere eseguito in aree di ridotte dimensioni in cui sia evidente una fase iniziale d’ingresso delle specie arbustive all’interno delle praterie.

Minacce • Le pratiche colturali quali lo sfalcio (per le quote più basse) e il pascolamento (per quelle più alte)

impediscono a questi habitat un’eccessiva espansione.

Trend: in aumento

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Misure di conservazione: É fatto obbligo di:

• Prevedere, qualora si verifichino situazioni di forte espansione dell’habitat 4060 a danno di habitat a componente prevalentemente erbacea, interventi di contenimento degli arbusti tramite il pascolamento.

Cod. 4080 Boscaglie subartiche di Salix sp.

Indicatori • Composizione floristica; • Estensione dell’habitat sulla base delle cartografie prodotte;

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso censimento floristico; • Rilevamento cartografico.

Minacce 1. Modifiche della morfologia puntuale del territorio (bonifiche, drenaggi ecc...).

Trend: stabile

Misure di conservazione: Non sono necessarie misure di conservazione specifiche

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Cod. 6150 Formazioni erbose boreo-alpine silicicole

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie nitrofile, sinantropiche, aliene, invasive; • Comparsa di specie arbustive ed arboree; • Estensione dell’habitat sulla base delle cartografie prodotte.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso rilevamento floristico; • Rilevamento cartografico (per misurare l’incremento eventuale della copertura arbustiva su ampie

superfici si può procedere con la mappatura, tramite interpretazione delle foto aeree, di uno stato iniziale [“anno zero” ] e confronto con uno successivo ottenuto da interpretazione di nuove foto aeree effettuate con almeno 5 anni di intervallo).

• Il monitoraggio dovrebbe essere eseguito in aree di ridotte dimensioni in cui sia evidente una fase iniziale d’ingresso delle specie arbustive all’interno delle praterie.

Minacce • Abbandono delle pratiche colturali; • Diminuzione del pascolamento o eccessivo carico di bestiame in zone di facile accesso possono avere un

impatto sulla composizione floristica (evoluzione verso altre associazioni vegetali es. Nardeti degradati), e nelle zone più in pendenza causare anche fenomeni di erosione superficiale.

Trend: stabile

Misure di conservazione:

É fatto obbligo di:

• In caso di pascolo libero di bestiame, consentito solo su aree molto estese e non degradate, evitare che gli

animali pernottino ripetutamente per più giorni nella medesima area. • In caso di interventi atti al miglioramento delle cotiche erbose, oltre a corrette tecniche pastorali (carichi,

movimentazione e stabulazione del bestiame), devono essere adottate pratiche che non alterino la composizione floristica naturale; in particolare, in caso di risemine per piccoli danneggiamenti e dissesti della cotica devono essere utilizzati miscugli di specie e varietà adatte al sito; per migliorare la composizione floristica si devono eseguire fertirrigazioni organiche non eccessive, tagli selettivi e ripetuti delle specie infestanti.

• Applicare il piano di pascolo allegato.

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Cod. 6170 Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie nitrofile, sinantropiche, aliene, invasive; • Comparsa di specie arbustive ed arboree; • Estensione dell’Habitat sulla base delle cartografie prodotte.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso censimento floristico; • Rilevamento cartografico (per misurare l’incremento eventuale della copertura arbustiva su ampie

superfici si può procedere con la mappatura, tramite interpretazione delle foto aeree, di uno stato iniziale [“anno zero”] e confronto con uno successivo ottenuto da interpretazione di nuove foto aeree effettuate con almeno 5 anni di intervallo).

• Il monitoraggio dovrebbe essere eseguito in aree di ridotte dimensioni in cui sia evidente una fase iniziale d’ingresso delle specie arbustive all’interno delle praterie.

Minacce • Abbandono delle pratiche colturali • Diminuzione del pascolamento o eccessivo carico di bestiame in zone di facile accesso possono avere un

impatto sulla composizione floristica, e nelle zone più in pendenza causare anche fenomeni di erosione superficiale;

Trend: stabile

Misure di conservazione:

É fatto obbligo di:

• In caso di pascolo libero di bestiame, consentito solo su aree molto estese e non degradate, evitare che gli

animali pernottino ripetutamente per più giorni nella medesima area. • In caso di interventi atti al miglioramento delle cotiche erbose, oltre a corrette tecniche pastorali (carichi,

movimentazione e stabulazione del bestiame), devono essere adottate pratiche che non alterino la composizione floristica naturale, in particolare, in caso di risemine per piccoli danneggiamenti e dissesti della cotica devono essere utilizzati miscugli di specie e varietà adatte al sito; per migliorare la composizione floristica si devono eseguire fertirrigazioni organiche non eccessive, tagli selettivi e ripetuti delle specie infestanti.

• Applicare il piano di pascolo allegato.

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Cod. 6230* Formazioni erbose a Nardus, ricche di specie, su substrato siliceo delle zone montane (e delle zone submontane dell'Europa continentale)

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie nitrofile, sinantropiche, aliene, invasive; • Comparsa di specie arbustive ed arboree; • Estensione dell’Habitat sulla base delle cartografie prodotte.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso censimento floristico; • Rilevamento cartografico (per misurare l’incremento eventuale della copertura arbustiva su ampie

superfici si può procedere con la mappatura, tramite interpretazione delle foto aeree, di uno stato iniziale [“anno zero”] e confronto con uno successivo ottenuto da interpretazione di nuove foto aeree effettuate con almeno 5 anni di intervallo).

• Il monitoraggio dovrebbe essere eseguito in aree di ridotte dimensioni in cui sia evidente una fase iniziale d’ingresso delle specie arbustive all’interno delle praterie.

Minacce • Abbandono delle pratiche colturali • Diminuzione del pascolamento o un eccessivo carico di bestiame in zone di facile accesso possono avere

un impatto sulla composizione floristica, e nelle zone più in pendenza causare anche fenomeni di erosione superficiale;

Trend: stabile

Misure di conservazione Sono vietate le seguenti attività:

• Le concimazioni organiche, ad esclusione delle deiezioni lasciate dal bestiame sul posto.

É fatto obbligo di:

• In caso di pascolo libero di bovini, equini, ovini e/o caprini, consentiti solo su aree molto estese e non degradate, evitare che gli animali pernottino ripetutamente nella medesima area per più giorni.

• In caso di interventi atti al miglioramento delle cotiche erbose, oltre a corrette tecniche pastorali (carichi, movimentazione e stabulazione del bestiame), devono essere adottate pratiche che non alterino la composizione floristica naturale. In particolare, in caso di risemine per piccoli danneggiamenti e dissesti della cotica devono essere utilizzati miscugli di specie e varietà adatte al sito.

• Applicare il piano di pascolo allegato.

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Cod. 6410 Praterie con Molinia su terreni calcarei, torbosi e argilloso-limosi (Molinion caerulae)

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie nitrofile, sinantropiche, aliene, invasive; • Numero di individui di Phragmites australis presenti; • Comparsa di specie arbustive e arboree • qualità delle acque; • Variazioni del livello della falda freatica.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso censimento floristico; • Conteggio degli individui di Phragmites australis; • Rilevamento cartografico; • Analisi chimico-fisiche periodiche delle acque; • Misurazioni del livello idrico.

Minacce • Limitata estensione degli habitat; • inquinamento delle acque sia di superficie che di profondità; • Fenomeni di compattazione, anche se localizzati, per eccessivo calpestamento dovuto al passaggio di

bestiame (bovini ma anche ovini e caprini) e a frequentazione turistica; • Azioni di drenaggio e bonifica per recupero di aree da destinare al pascolo o a strutture turistiche; • Abbassamento del livello delle acque della falda freatica (ad esempio con ulteriori captazioni per

acquedotti); • Variazione dei flussi idrici di superficie al di fuori dell’intervallo che definisce le fluttuazioni periodiche

(ad esempio con captazioni per centraline idroelettriche ad uso privato).

Trend: in diminuzione

Misure di conservazione: Sono vietate le seguenti attività:

• Lo spargimento di concimi organici, anche sotto forma di liquami, e il deposito degli stessi in quanto si tratta di habitat con condizioni oligotrofiche e, quindi, un apporto di concime porterebbe verso condizioni eutrofiche.

• Tutti i fenomeni che possono alterare il regolare apporto idrico, in particolare captazioni di sorgive o azioni di drenaggio.

• Le immissioni dirette o indirette di inquinanti di qualsiasi origine;

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É fatto obbligo di:

• Attuare programmi mirati di contenimento di specie invasive (Phragmites australis); • Regolamentare o vietare i fenomeni di calpestio dovuti al bestiame e/o alla circolazione pedonale.

Cod. 6430 Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbie idrofile

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie, sinantropiche, aliene, invasive;

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso rilevamento floristico; • Rilevamento cartografico.

Minacce Non sono state individuate minacce, in caso di abbandono dell’attività di pascolamento questo habitat viene favorito e sicuramente ci sarà un incremento nel medio e lungo periodo della superficie ricoperta dalle alte erbe.

Trend: stabile Misure di conservazione: Non sono necessarie misure di conservazione specifiche.

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Cod. 6520 Praterie montane da fieno

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie aliene, invasive; • Comparsa di specie arbustive e arboree

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso rilevamento floristico; • Rilevamento cartografico.

Minacce • Abbandono delle pratiche colturali.

Trend: stabile

Misure di conservazione: L’habitat è presente nel sito con un’estensione limitata a piccole zone.

Sono vietate le seguenti attività:

1. La concimazione chimica. 2. Le trasemine con specie alloctone.

É fatto obbligo di:

• Limitare l’espansione indotta di questo habitat (con azioni di bonifica e drenaggio) a discapito degli

habitat caratterizzanti le zone umide circostanti.

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Cod. 7110* Torbiere alte attive

Indicatori • Composizione floristica; • Valore del rapporto tra briofite (muschi) e spermatofite (piante superiori) inteso sia come numero di

specie, sia come biomassa. Le briofite, in particolare gli Sfagni, sono elementi caratterizzanti questi ambienti e sono molto sensibili a variazioni sia del livello delle acque sia della loro qualità, per cui una diminuzione di queste a favore di un incremento delle piante erbacee igrofile sta comunque ad indicare una situazione di stress ecologico dell’habitat;

• Comparsa di specie nitrofile, sinantropiche, aliene, invasive; • Numero di individui di Phragmites australis presenti; • Inquadramento fitosociologico dell’habitat; • qualità delle acque; • Variazioni del livello della falda freatica.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale (incluse Bryophyta) attraverso censimento

floristico; • Rilevamento fitosociologico periodico per valutare lo stato delle popolazioni; • Analisi chimico-fisiche periodiche delle acque che alimentano le zone umide; • Misurazioni delle variazioni della falda freatica per stabilire sia l’intervallo di fluttuazioni periodiche

sia i livelli minimi oltre i quali si verificano condizioni sfavorevoli per l’habitat.

Minacce • Limitata estensione degli habitat; • inquinamento delle acque sia di superficie che di profondità; • Fenomeni di compattazione, anche se localizzati, per eccessivo calpestio dovuto al passaggio di

bestiame (bovini ma anche ovini e caprini) e a frequentazione turistica; • Azioni di drenaggio e bonifica per recupero di aree da destinare al pascolo o a strutture turistiche; • Abbassamento del livello delle acque della falda freatica (ad esempio con ulteriori captazioni per

acquedotti); • Variazione dei flussi idrici di superficie al di fuori dell’intervallo che definisce le fluttuazioni

periodiche (ad esempio con captazioni per centraline idroelettriche ad uso privato).

Trend: in diminuzione

Misure di conservazione: Sono vietate le seguenti attività:

• Le captazioni, i drenaggi, le canalizzazioni e tutti gli interventi che comportano una semplificazione del

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reticolo idrico, modificando la sede di falda e l’apporto idrico superficiale, quando esistente. Tali interventi sono vietati non solo all’interno degli habitat, ma anche nelle immediate adiacenze, su corpi idrici che alimentano l’habitat

• L’immissione di liquami e concimi solidi sia per spargimento diretto sia attraverso le acque di scolo di depositi in zone limitrofe.

• Lo sfalcio, il pascolamento e l’abbruciamento della cotica erbosa. • Il calpestamento da parte del bestiame e delle persone, causa di compattamento e distruzione dello

strato muscinale. • Il transito in caso di torbiere situate in zone ad alta frequentazione turistica, quando non sono presenti

passerelle sopraelevate.

É fatto obbligo di:

• Delimitare le torbiere, con staccionate o altri sistemi, qualora esse siano presenti in comprensori d’alpeggio o in aree interessate da interventi agro-forestali.

• Prevedere operazioni di contenimento e/o eradicazione in caso di inarbustimento e/o di ingresso di specie estranee alle comunità vegetali tipiche.

Cod. 7140 Torbiere di transizione e instabili

Indicatori • Composizione floristica; • Valore del rapporto tra briofite (muschi) e spermatofite (piante superiori) inteso sia come numero di

specie, sia come biomassa. Le briofite, in particolare gli Sfagni, sono elementi caratterizzanti questi ambienti e sono molto sensibili a variazioni sia del livello delle acque sia della loro qualità, per cui una diminuzione di queste a favore di un incremento delle piante erbacee igrofile sta comunque ad indicare una situazione di stress ecologico dell’habitat;

• Comparsa di specie nitrofile, sinantropiche, aliene, invasive; • Inquadramento fitosociologico dell’habitat; • qualità delle acque; • Variazioni del livello della falda freatica.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale (incluse Bryophyta) attraverso

rilevamento floristico; • Rilevamento fitosociologico periodico per valutare lo stato delle popolazioni; • Analisi chimico-fisiche periodiche delle acque che alimentano le zone umide;

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• Misurazioni delle variazioni della falda freatica per stabilire sia l’intervallo di fluttuazioni periodiche sia i livelli minimi oltre i quali si verificano condizioni sfavorevoli per l’habitat.

Minacce • Limitata estensione degli habitat; • inquinamento delle acque sia di superficie che di profondità; • Fenomeni di compattazione, anche se localizzati, per eccessivo calpestio dovuto al passaggio di

bestiame (bovini ma anche ovini e caprini) e a frequentazione turistica; • Azioni di drenaggio e bonifica; • Abbassamento del livello delle acque della falda freatica (ad esempio con ulteriori captazioni); • Variazione dei flussi idrici di superficie al di fuori dell’intervallo che definisce le fluttuazioni

periodiche (ad esempio con captazioni per centraline idroelettriche).

Trend: in diminuzione

Misure di conservazione: Sono vietate le seguenti attività:

• Le captazioni, i drenaggi, le canalizzazioni e tutti gli interventi che comportano una semplificazione del reticolo idrico, modificando la sede di falda e l’apporto idrico superficiale, quando esistente. Tali interventi sono vietati non solo all’interno degli habitat, ma anche nelle immediate adiacenze, su corpi idrici che alimentano l’habitat

• L’immissione di liquami e concimi solidi sia per spargimento diretto sia attraverso le acque di scolo di depositi in zone limitrofe.

• Lo sfalcio, il pascolamento e l’abbruciamento della cotica erbosa. • Il calpestamento da parte del bestiame e delle persone, causa di compattamento e distruzione dello

strato muscinale. • Il transito in caso di torbiere situate in zone ad alta frequentazione turistica, quando non sono presenti

passerelle sopraelevate.

É fatto obbligo di:

• Delimitare le torbiere, con staccionate o altri sistemi, qualora esse siano presenti in comprensori d’alpeggio o in aree interessate da interventi agro-forestali.

• Prevedere operazioni di contenimento e/o eradicazione in caso di inarbustimento e/o di ingresso di specie estranee alle comunità vegetali tipiche.

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Cod. 7220*: Sorgenti pietrificanti con formazione di tufi (Cratoneurion)

Indicatori • Composizione floristica, con particolare attenzione alla componente muscinale; • Inquadramento fitosociologico dell’habitat; • qualità delle acque; • Variazioni del livello della falda freatica.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale (incluse Bryophyta) attraverso censimento

floristico; • Rilevamento fitosociologico periodico per valutare lo stato delle popolazioni; • Analisi chimico-fisiche periodiche delle acque che alimentano le zone umide; • Misurazioni delle variazioni della falda freatica per stabilire sia l’intervallo di fluttuazioni periodiche

sia i livelli minimi oltre i quali si verificano condizioni sfavorevoli per l’habitat.

Minacce • Limitata estensione degli habitat; • inquinamento delle acque sia di superficie che di profondità; • Fenomeni di compattazione, anche se localizzati, per eccessivo calpestamento dovuto al passaggio di

bestiame (bovini ma anche ovini e caprini) e a frequentazione turistica; • Azioni di drenaggio e bonifica; • Abbassamento del livello delle acque della falda freatica (ad esempio con ulteriori captazioni); • Variazione dei flussi idrici di superficie al di fuori dell’intervallo che definisce le fluttuazioni

periodiche (ad esempio con captazioni per centraline idroelettriche ad uso privato).

Trend: in diminuzione

Misure di conservazione: Sono vietate le seguenti attività:

• Le captazioni, i drenaggi, le canalizzazioni e tutti gli interventi che comportano una semplificazione del reticolo idrico, modificando la sede di falda e l’apporto idrico superficiale, quando esistente. Tali interventi sono vietati non solo all’interno degli habitat, ma anche nelle immediate adiacenze, su corpi idrici che alimentano l’habitat.

• L’immissione di liquami e concimi solidi sia per spargimento diretto sia attraverso le acque di scolo di depositi in zone limitrofe.

• Il pascolo di transito, nel caso in cui l’habitat sia utilizzato come abbeverata, in quanto porta impoverimento e banalizzazione della flora.

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Cod. 7230 Torbiere basse alcaline

Indicatori • Composizione floristica; • Numero di individui di Phragmites australis presenti; • Inquadramento fitosociologico dell’habitat; • qualità delle acque; • Variazioni del livello della falda freatica.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale (incluse Bryophyta) attraverso censimento

floristico; • Conteggio delle entità di Phragmites australis; • Rilevamento fitosociologico periodico per valutare lo stato delle popolazioni; • Analisi chimico-fisiche periodiche delle acque che alimentano le zone umide; • Misurazioni delle variazioni della falda freatica per stabilire sia l’intervallo di fluttuazioni periodiche

sia i livelli minimi oltre i quali si verificano condizioni sfavorevoli per l’habitat.

Minacce • Limitata estensione degli habitat; • inquinamento delle acque sia di superficie che di profondità; • Fenomeni di compattazione, anche se localizzati, per eccessivo calpestamento dovuto al passaggio di

bestiame (bovini ma anche ovini e caprini) e a frequentazione turistica; • Azioni di drenaggio e bonifica; • Abbassamento del livello delle acque della falda freatica (ad esempio con ulteriori captazioni per

acquedotti); • Variazione dei flussi idrici di superficie al di fuori dell’intervallo che definisce le fluttuazioni

periodiche (ad esempio con captazioni per centraline idroelettriche ad uso privato).

Trend: in diminuzione

Misure di conservazione: Sono vietate le seguenti attività:

• Le captazioni, i drenaggi, le canalizzazioni e tutti gli interventi che comportano una semplificazione del reticolo idrico, modificando la sede di falda e l’apporto idrico superficiale, quando esistente. Tali interventi sono vietati non solo all’interno degli habitat, ma anche nelle immediate adiacenze, su corpi idrici che alimentano l’habitat.

• L’immissione di liquami e concimi solidi sia per spargimento diretto sia attraverso le acque di scolo di depositi in zone limitrofe.

• Lo sfalcio, il pascolamento e l’abbruciamento della cotica erbosa. • Il calpestamento da parte del bestiame e delle persone, causa di compattamento e distruzione dello

Page 123: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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strato muscinale.

É fatto obbligo di :

• Delimitare le paludi con staccionate o altri sistemi, qualora esse siano presenti in comprensori d’alpeggio o in aree interessate da interventi agro-forestali.

• Prevedere il divieto di transito o la costruzione di passerelle sopraelevate in caso di presenza dell’habitat in zone ad alta frequentazione turistica.

• Prevedere operazioni di contenimento e/o eradicazione, ponendo attenzione al calpestamento durante tali operazioni, in caso di inarbustimento e/o di ingresso di specie estranee alle comunità vegetali.

Cod. 7240* Formazioni pioniere alpine del Caricion bicoloris-atrofuscae

Indicatori • Composizione floristica; • Inquadramento fitosociologico dell’habitat.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso censimento floristico; • Rilevamento fitosociologico periodico per valutare lo stato delle popolazioni.

Minacce • Fenomeni alluvionali o di esondazione.

Trend: stabile

Misure di conservazione

Sono vietate le seguenti attività:

• Evitare tutti i fenomeni che possono alterare il regolare apporto idrico.

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Cod. 8110 Ghiaioni silicei dei piani montano fino a nivale (Androsacetalia alpinae e Galeopsietalia ladani)

Indicatori • Estensione dell’Habitat sulla base delle cartografie prodotte.

Monitoraggio • Rilevamento cartografico.

Minacce • Eventuali minacce dovute a fenomeni naturali (frane, smottamenti).

Trend: stabile

Misure di conservazione: L’habitat, per le sue caratteristiche, non richiede azioni di gestione.

Page 125: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cod. 8120 Ghiaioni calcarei e scistocalcarei montani e alpini (Thlaspietea rotundifolii)

Indicatori • Estensione dell’Habitat sulla base delle cartografie prodotte.

Monitoraggio • Rilevamento cartografico.

Minacce • Eventuali minacce dovute a fenomeni naturali (frane, smottamenti).

Trend: stabile

Misure di conservazione: L’habitat, per le sue caratteristiche, non richiede azioni di gestione

Page 126: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cod. 8210 Pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica

Indicatori • Estensione dell’habitat sulla base delle cartografie prodotte.

Monitoraggio • Rilevamento cartografico.

Minacce • Eventuali minacce dovute a fenomeni naturali (frane, smottamenti).

Trend: stabile

Misure di conservazione: L’habitat, per le sue caratteristiche, non richiede azioni di gestione.

Page 127: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cod. 8220 Pareti rocciose silicee con vegetazione casmofitica Valutazione:

Indicatori • Estensione dell’habitat sulla base delle cartografie prodotte.

Monitoraggio • Rilevamento cartografico.

Minacce • Eventuali minacce dovute a fenomeni naturali (frane, smottamenti).

Trend: stabile

Misure di conservazione: L’habitat, per le sue caratteristiche, non richiede azioni di gestione.

Page 128: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cod. 8230 Rocce silicee con vegetazione pioniera del Sedo-Scleranthion o del Sedo albi-Veronicion dillenii

Indicatori • Estensione dell’Habitat sulla base delle cartografie prodotte.

Monitoraggio • Rilevamento cartografico.

Minacce • Eventuali minacce dovute a fenomeni naturali (frane, smottamenti).

Trend: stabile Strategia gestionale:

Misure di conservazione: L’habitat, per le sue caratteristiche, non richiede azioni di gestione.

Page 129: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cod. 8240* Pavimenti Calcarei

Indicatori • Composizione floristica; • Inquadramento fitosociologico dell’habitat.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso rilevamento floristico (e ove

possibile anche di quella lichenica), predisponendo eventualmente un piano di monitoraggio su aree permanenti, per valutare anche gli effetti delle variazioni climatiche sulla vegetazione casmofitica sul lungo periodo (almeno 50-100 anni);

• Rilevamento fitosociologico periodico per valutare lo stato di salute delle popolazioni;

Minacce • Fenomeni di erosione naturale o indotta (apertura nuovi sentieri e piste forestali); • Cause indirette quali fenomeni di inquinamento atmosferico o cambiamenti climatici possono avere

effetti negativi sul lungo periodo, data la grande sensibilità delle specie; • Elevata presenza turistica (in caso di cambiamento della destinazione d'uso della "Casermetta" situata

all'interno del sito) e del bestiame (assai remota visti gli ampi spazi a disposizione degli animali e il basso valore pastorale della cotica erbosa).

Trend: stabile

Misure di conservazione: L’habitat è ben rappresentato nei pressi del Colle Seigne.

É fatto obbligo di :

• Regolamentare, se necessario, le attività di disturbo di tipo antropico.

Page 130: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cod. 8340 Ghiacciai permanenti

Indicatori • Controllo estensione dell’habitat

Monitoraggio • Rilevamento cartografico

Eventuali altre azioni di monitoraggio sono di competenza ad altri Enti

Minacce • Riscaldamento climatico • Diminuzione delle precipitazioni nevose

Trend: in diminuzione Misure di conservazione L’habitat 8340 presenta una vulnerabilità elevata dovuta agli effetti dei cambiamenti climatici su scala planetaria, non può tuttavia essere oggetto di misure di conservazione, se non a livello internazionale per limitare le cause dei cambiamenti climatici stessi.

Page 131: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cod. 9410 Foreste acidofile montane e alpine di Picea (Vaccinio-Piceetea)

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie sinantropiche, aliene, invasive; • Inquadramento fitosociologico dell’habitat; • Stato fitosanitario; • Estensione dell’habitat sulla base delle cartografie prodotte.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso censimento floristico; • Rilevamento fitosociologico periodico per valutare lo stato delle popolazioni; • Rilevamento fitosanitario, se necessario; • Rilevamento cartografico.

Minacce • Interventi selvicolturali non orientati verso una gestione naturalistica del bosco (tagli eccessivi o

effettuati senza criteri); • fenomeni naturali, soprattutto valanghe e frane.

Trend: stabile

Misure di conservazione • Attuare una gestione in coerenza con quanto indicato nell’azione di gestione boschi

Page 132: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Cod. 9420 Foreste alpine di Larix decidua e/o Pinus cembra

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie, sinantropiche, aliene, invasive; • Inquadramento fitosociologico dell’habitat; • Stato fitosanitario; • Estensione dell’habitat sulla base delle cartografie prodotte.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso censimento floristico; • Rilevamento fitosociologico periodico per valutare lo stato delle popolazioni; • Rilevamento fitosanitario, se necessario; • Rilevamento cartografico

Minacce • Interventi selvicolturali non orientati verso una gestione naturalistica del bosco (tagli eccessivi o

effettuati senza criteri); • fenomeni naturali, soprattutto valanghe e frane.

Trend: stabile

Misure di conservazione • Attuare una gestione in coerenza con quanto indicato nell’azione di gestione boschi

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Cod. 9430(*) Foreste montane e subalpine a Pinus uncinata (*se su substrato gessoso o calcareo)

Indicatori • Composizione floristica; • Comparsa di specie sinantropiche, aliene, invasive; • Estensione dell’Habitat sulla base delle cartografie prodotte.

Monitoraggio • Controllo con periodicità pluriennale della diversità vegetale attraverso censimento floristico; • Rilevamento cartografico.

Minacce • Rischi di erosione superficiale e di frane sono senza dubbio i più realistici;

Trend: stabile

Misure di conservazione

• Evitare tutti i fenomeni che possano innescare episodi di erosione e di frane, anche se, data la localizzazione dei siti, appare un’ipotesi alquanto remota.

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SCHEDE SPECIE FLORISTICHE

Aquilegia alpina L.

Famiglia: Ranunculaceae

Indicatori

1. estensione dell’areale distributivo sulla base di cartografie da produrre;

2. densità specifica per unità di superficie;

3. composizione floristica dell’habitat della specie;

4. comparsa di specie nitrofile, sinantropiche, aliene, invasive;

5. presenza di individui fertili;

6. inquadramento fitosociologico dell’habitat in cui è situata la specie.

Monitoraggio

1. controllo con periodicità pluriennale della biodiversità floristica attraverso rilevamento floristico;

2. metodo del quadrato permanente;

3. rilevamento fitosociologico periodico per valutare lo stato di salute delle popolazioni;

4. rilevamento cartografico (partendo da uno stato iniziale [“anno zero”] e confrontarlo con uno successivo effettuate con almeno 5 anni di intervallo).

Minacce

• le popolazioni presenti nell'area sono costituite da un numero consistente di individui (soprattutto quella della Val Veni) per cui se non si verificano eventi eccezionali (frane) non sussistono minacce alla sopravvivenza;

• calpestamento dovuto alla frequentazione della stazione da parte di appassionati fotografi;

• raccolta degli individui per collezione.

Trend: nullo Strategia gestionale: conservazione

• è specie di grande valore estetico ed è per questo che ne viene vietata la raccolta (L.R. n.45/2009);

• regolamentare o vietare i fenomeni di calpestio dovuti al bestiame e/o alla circolazione pedonale.

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Arnica montana L.

Famiglia: Asteraceae

Indicatori

Monitoraggio Non è assolutamente necessaria alcuna azione di monitoraggio data l’ampia diffusione della specie all’interno del territorio considerato.

Minacce

È specie ben diffusa per cui non corre alcun pericolo di estinzione; la legge regionale n. 45/2009 ne regolamenta la raccolta.

Trend: nullo

Misure di conservazione

Non è necessaria alcuna misura gestionale nell'area.

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Artemisia genipi Weber.

Famiglia: Asteraceae

Indicatori

Monitoraggio Non è assolutamente necessaria alcuna azione di monitoraggio data l’ampia diffusione della specie all’interno del territorio considerato.

Minacce

Questa specie è assai diffusa negli ambienti detritici d'alta quota; con le infiorescenze si possono preparare infusi e liquori digestivi per cui la pianta è oggetto di raccolta ma regolamentata secondo quanto specificato nel titolo II della L.R. n. 45/2009.

Trend: nullo

Misure di conservazione

Non sono necessarie misure gestionali particolari.

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Cypripedium calceolus L.

Famiglia: Orchidaceae

Grado di conservazione: B

Indicatori

• estensione dell’areale distributivo sulla base di cartografie da produrre;

• densità specifica per unità di superficie;

• composizione floristica dell’habitat della specie;

• comparsa di specie nitrofile, sinantropiche, aliene, invasive;

• presenza di individui fertili;

• inquadramento fitosociologico dell’habitat in cui è situata la specie.

Monitoraggio

•••• controllo con periodicità pluriennale della diversità vegtale attraverso rilevamento floristico;

•••• metodo del quadrato permanente;

•••• rilevamento fitosociologico periodico per valutare lo stato di salute delle popolazioni;

•••• rilevamento cartografico (partendo da uno stato iniziale [“anno zero”] e confrontarlo con uno successivo effettuato con almeno 5 anni di intervallo).

Descrizione della procedura per il monitoraggio di Cypripedium calceolus sull’esperienza del gruppo di lavoro che sta effettuando il censimento delle Orchidaceae trentine (G. Perazza, Museo Civico di Rovereto, 2002). Dovrebbe comprendere le seguenti fasi:

• ricerca di ulteriori stazioni all’interno dei siti Natura 2000 o nelle immediate vicinanze;

• individuazione precisa (tramite rilevamento delle coordinate con GPS) e cartografia esatta su CTR 1:10.000; lavoro questo già fatto per le stazioni note;

• conteggio esatto del numero di individui all’interno della stazione;

• rilevamento delle caratteristiche dei singoli esemplari presenti all’interno della stazione.

L’unità di rilevamento dovrebbe essere il “cespo” ovvero l’insieme di foglie e fusti che sorgono dallo stesso punto e che verosimilmente dovrebbero appartenere ad un unico individuo. Per ogni cespo si contano i fusti, suddividendoli tra sterili e fertili. Si conteggiano quindi i fiori, suddividendoli tra quelli fecondati e quelli rimasti sterili; infine si effettua un conteggio del numero fiori/capsule per ogni stelo. Questo tipo di monitoraggio, assai oneroso e lungo, permette però di avere una situazione molto dettagliata sullo stato della popolazione e sulla capacità di rinnovo dei singoli individui. (cfr. cap. 4 “Indicatori” del PdG Monte Bianco - Flora e vegetazione).

Minacce

•••• alterazione dell’habitat in cui cresce (taglio eccessivo di alberi e/o arbusti, oppure eccessiva chiusura del bosco;

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•••• calpestamento dovuto alla frequentazione della stazione da parte di appassionati fotografi;

•••• raccolta degli individui per collezione (è pianta tutelata in maniera rigorosa dalla L.R. 45/2009

Trend: nullo

Misure di conservazione

• la popolazione di Cypripedium calceolus per la vicinanza a zone altamente antropizzate e per la sua rarità, deve essere sottoposta ad una gestione conservativa particolarmente attenta, che prevede anche di non pubblicizzare eccessivamente l'ubicazione di questo sito. Il monitoraggio delle popolazioni non è mai stato effettuato e dovrebbe essere applicato ad entrambe le stazioni, con il metodo del quadrato permanente;

• regolamentare o vietare i fenomeni di calpestio dovuti al bestiame e/o alla circolazione pedonale.

Gentiana lutea L.

Famiglia: Gentianaceae

Indicatori

Monitoraggio Non è assolutamente necessaria alcuna azione di monitoraggio data l’ampia diffusione della specie all’interno del territorio considerato.

Minacce

Questa specie è tra le più conosciute piante officinali di montagna soprattutto per le sue proprietà digestive; la legge regionale ne regolamenta la raccolta inserendola nell'allegato delle piante officinali.

Trend: nullo

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Lycopodium clavatum L.

Famiglia: Lycopodiaceae

Indicatori

Monitoraggio Controllo con periodicità pluriennale della presenza attraverso rilevamento floristico

Minacce

Trend:

Misure di conservazione

La specie viene trattata tra quelle di interesse rilevante per i Siti Natura 2000 del Monte Bianco pur non avendo conferme recenti della sua effettiva presenza, perché è una pianta segnalata storicamente, quindi occorre eseguire ricerche mirate per riconfermarne la presenza nell'area studiata.

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SCHEDE SPECIE ANIMALI

Insetti – Lepidotteri ropaloceri

Euphydrias aurinia glaciegenita (Rottemburg, 1775) Aurinia dei ghiacciai.

Sottofamiglia: Melitaeinae

Famiglia: Nymphalidae

Ordine: Lepidoptera

Classe: Hexapoda

Phylum: Arthropoda

Indicatori

• Dimensioni delle popolazioni.

Monitoraggio

• Conteggio degli individui lungo transetti, nell’unità di tempo, in aree campione, a cadenza settimanale.

Minacce

• Sottrazione di habitat per invasione del pascolo da parte degli arbusti contorti subalpini.

Misure di conservazione

• Per quanto riguarda la presenza di Euphydryas a.glaciegenita nell’area in esame, poiché la specie è diffusa al disopra del limite degli alberi, non sussistono al momento situazioni di particolare minaccia. È comunque fatto obbligo di mantenere un leggero livello di pascolamento, onde evitare che gli arbusti contorti subalpini (rododendri ecc.) possano in futuro creare problemi di conservazione.

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Maculinea arion (Linnaeus, 1758)

Famiglia: Lycaenidae

Ordine: Lepidoptera

Classe: Hexapoda

Phylum: Arthropoda

Indicatori

• Dimensioni delle popolazioni; • Presenza di formicai di Myrmica sabuleti .

Monitoraggio

• Conteggio degli individui lungo transetti, nell’unità di tempo, in aree campione, a cadenza settimanale;

• Censimento periodico dei formicai.

Minacce

• I rischi maggiori sono collegati con la distruzione e/o un cattivo regime di conservazione degli habitat. Le necessità ecologiche della specie ospite di formica (Myrmica) infatti, sono più precise di quelle della farfalla stessa e devono esser prese in seria considerazione prima di procedere a qualsiasi altra azione. Un punto cruciale in tal senso, ad esempio, è spesso rappresentato dall’altezza dello strato erboso, in relazione con le caratteristiche climatiche della zona.

Misure di conservazione

• Grande attenzione deve essere dedicata alla conservazione dell'habitat (formazioni dei Festucetalia vellesiacae), ed in particolare all'altezza del manto erboso per permettere la sopravvivenza delle formiche del genere Myrmica. L’erba dovrebbe essere mantenuta ad un’altezza non superiore ai circa 50 cm, ma neanche eccessivamente bassa per evitare un’eccessiva evaporazione dell’acqua al suolo. Le piante nutrici essendo comuni non rappresentano un punto di criticità.

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Parnassius apollo (Linnaeus, 1758)

Apollo

Sottofamiglia: Parnassiinae

Famiglia: Papilionidae

Ordine: Lepidoptera

Classe: Hexapoda

Phylum: Arthropoda

Indicatori:

• Dimensione delle popolazioni.

Monitoraggio:

• Conteggio degli individui lungo transetti, nell’unità di tempo, in aree campione, a cadenza settimanale.

Minacce

• P. apollo è una specie legata ad ambienti aperti: la minaccia principale è la riforestazione delle aree montane, sia per impianto diretto sia per evoluzione naturale di pascoli abbandonati a formazioni boscate. I Sedum spp. sono piante pioniere legate alle prime fasi della colonizzazione e scompaiono appena inizia ad instaurarsi una vegetazione erbacea più alta, per nulla dire della vegetazione arborea.

Misure di conservazione

• La conservazione di P. apollo richiede piani di gestione dei biotopi, in modo da mantenere aree con vegetazione a Sedum tramite controllo della riforestazione (naturale e per impianto diretto) su aree a pascolo, mantenimento di altezza adeguata della vegetazione erbacea con pascolo regolare ( per evitare scomparsa di Sedum e Sempervivum).

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Pesci

Salmo trutta marmoratus Cuvier, 1829 Trota marmorata

Famiglia : Salmonidae

Ordine: Salmoniformes

Classe: Actinopterygii

Indicatori

• Presenza di individui con fenotipo corrispondente a S. marmoratus • Presenza di zone di frega • Presenza di avannotti

Monitoraggio

• Campionamenti per valutazione della consistenza delle popolazioni

Minacce

• Inquinamento genetico • Disturbo nel periodo riproduttivo • Modificazioni dell’habitat (captazioni, sbarramenti, etc ) • Inquinamento delle acque • Pesca eccessiva

Misure di conservazione

Sono vietate le seguenti attività:

• L’introduzione e il ripopolamento di fauna ittica non autoctona al fine di contenere la competizione alimentare, l’inquinamento genetico e la diffusione di patologie.

É fatto obbligo di:

• Mantenere tratti di habitat fluviale/torrentizio con caratteristiche morfologiche e idrauliche adatte alla riproduzione della specie.

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Anfibi e Rettili

Podarcis muralis (Laurenti, 1768)

Lucertola muraiola

Famiglia : Lacertidae

Ordine: Squamata

Classe: Reptilia

Indicatori

� presenza della specie in aree campione.

Monitoraggio

� Conteggio periodico (rilievo del n. di esemplari in un unità di tempo) degli individui nelle aree campione.

Minacce

• Possibile riduzione di habitat idonei.

• Uso di pesticidi in agricoltura, che causa la morte delle sue prede.

Misure di conservazione

É fatto obbligo di:

• Regolamentare o vietare l’uso di pesticidi, mantenere elementi tipici del paesaggio rurale (muretti a secco, cumuli di pietre, fasce arbustive..), mantenere agricoltura tradizionale.

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Hierophis viridiflavus (Lacépède, 1789)

Biacco

Famiglia:Colubridae Ordine:Squamata Classe: Reptilia

Indicatori

• Presenza della specie.

Monitoraggio

� Verificare se esiste una popolazione stabile perché la segnalazione fatta in sede di indagine è particolarmente interessante in quanto rappresenta uno dei limiti altitudinali e latitudinali per la specie.

Minacce

� Scomparsa dei suoi habitat per aumento del livello di antropizzazione e/o cattiva gestione;

� Uccisioni volontarie e investimenti da parte di veicoli motorizzati.

� Incendi

Misure di conservazione

Buone pratiche

• Mantenimento e/o ripristino di habitat idonei, informazione presso il pubblico sul ruolo ecologico della specie ed educazione alla non uccisione di individui rinvenuti nei pressi delle abitazioni e delle zone coltivate (orti, prati, campi, vigne, strade)

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Rana temporaria (Linnaeus, 1758)

Rana temporaria

Famiglia:Ranidae

Sottordine: Neobatrachia

Ordine: Anura

Sottoclasse: Lissamphibia

Classe: Amphibia

Indicatori

• Numero ovature;

• % metamorfosati.

Monitoraggio

• Conteggio periodico delle ovature di Rana temporaria al sito riproduttivo;

• Controllo periodico di alcune aree campione per quantificare il raggiungimento della metamorfosi da parte dei girini;

• Rilevamento di alcuni parametri ecologici come presenza e profondità dell’acqua.

Minacce

• La specie può essere minacciata dalla scomparsa dei siti riproduttivi, anche causata dall’abbandono della pastorizia e dall’inquinamento atmosferico che può produrre un aumento della mortalità degli embrioni e delle larve;

• Modificazione dell’habitat;

• Bracconaggio;

• Attività turistica;

• Limitato flusso genico per interruzione della continuità ambientale. Dalle indagini condotte risulta che alcune delle popolazioni che sono più isolate e in ambienti meno idonei, come quella di Malatrà, possono essere a rischio di estinzione.

Misure di conservazione

Buone pratiche

• Si suggerisce la creazione di uno o più bacini con acqua permanente a Malatrà e a Lavachey. Qui infatti, come in molte altre zone, Rana temporaria inizia a deporre le ovature appena la neve inizia a sciogliersi. Purtroppo però quasi tutte le pozze che si formano allo scioglimento della neve si asciugano nel giro di poche settimane, senza consentire ai girini di svilupparsi e raggiungere la metamorfosi. Nelle altre aree in cui Rana temporaria si riproduce è stata osservata un’alta mortalità delle ovature, ma non preoccupante come quella di Malatrà e Lavachey;

• Lavori di manutenzione che coinvolgono pozze e/o aree umide dovrebbero essere realizzati in periodo tardo-autunnale o invernale quando i girini sono già metamorfosati.

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Uccelli

Alectoris graeca saxatilis (Meisner, 1804)

Coturnice

Famiglia: Phasianidae

Ordine: Galliformes

Classe: Aves

Indicatori

• Numero maschi territoriali; • Numero individui totali in periodo pre riproduttivo e post riproduttivo.

Monitoraggio

• Censimento primaverile al canto; • Censimento tardo estivo con cani da ferma.

Minacce

• Perdita di habitat disponibile; • Eventi epidemici; • Mutamenti climatici; • Aumento del disturbo antropico; • Abbandono delle aree agricole di media montagna, con conseguente accumulo di erbe secche ed

espansione delle aree boscate, l’apertura di strade e l’accresciuto disturbo turistico hanno sensibilmente ridotto l’areale utilizzabile delle specie.

Misure di conservazione

Sono vietate le seguenti attività:

• Disturbo antropico nelle zone di presenza nel periodo preriproduttivo, riproduttivo e invernale.

É fatto obbligo di:

• Favorire il mantenimento delle attività agro-pastorali negli orizzonti montano e subalpino. • Mantenere e recuperare le aree a vegetazione aperta, anche attraverso il pascolo ovino e caprino da

effettuare dopo la metà di luglio nelle zone marginali tra pascolo e arbusteto. • Indirizzare lungo i sentieri individuati nella cartografia l’escursionismo negli ambienti d’alta quota.

Page 148: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Aquila chrysaetos (Linnaeus, 1758)

Aquila reale

Sottofamiglia: Buteoniidae

Famiglia: Accipitridae

Ordine: Accipitriformes

Classe: Aves

Indicatori

• Numero di coppie nidificanti.

Monitoraggio

• Censimenti annuali per monitorare la stabilità della popolazione attraverso l’individuazione dei siti di nidificazione, numero di uova deposte e numero di pulli involati. (in atto)

Minacce

• Atti di bracconaggio; • Scarsità di adeguate fonti alimentari; • Disturbo alla nidificazione.

Misure di conservazione

Sono vietate le seguenti attività:

• La costruzione di impianti a fune e elettrodotti con cavi aerei nei pressi dei siti di accertata nidificazione.

• Attivazione di cantieri che comportino disturbo antropico e uso di macchine nelle aree circostanti i siti di nidificazione occupati nel periodo marzo-agosto.

• Il disturbo antropico nei pressi dei siti di nidificazione, ivi compresa ogni forma di osservazione ravvicinata, anche per scopi fotografici e/o cinematografici al nido, se non per scopo di studio e ricerca scientifica, previa autorizzazione dell’ente gestore.

• L’arrampicata libera o attrezzata su pareti ove siano presenti nidi o posatoi abituali. • Il sorvolo nel raggio di 500 m dalle pareti ove siano presenti nidi o posatoi abituali.

É fatto obbligo di:

• Sorvegliare i siti di nidificazione più vulnerabili. • Favorire il mantenimento delle attività agrosilvopastorali tradizionali negli orizzonti montano e

subalpino.

Page 149: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Gypaetus barbatus (Linnaeus, 1784)

Gipeto

Sottofamiglia: Aegypiinae

Famiglia: Accipitridae

Ordine: Accipitriformes

Classe: Aves

Indicatori

• Numero avvistamenti. • Numero di coppie riproduttive (eventuale).

Monitoraggio

• Censimento annuale dei siti di nidificazione (in atto). • Monitoraggio del numero di uova deposte e del numero di pulli involati (in atto);

Minacce

• Vulnerabilità della specie; • Persecuzione diretta da parte dell’uomo.

Strategia gestionale:

Sono vietate le seguenti attività:

• L’attivazione di cantieri che comportino disturbo antropico e uso di macchine nelle aree circostanti i siti di nidificazione occupati nel periodo marzo-agosto.

• L’osservazione ravvicinata, anche per scopi fotografici e/o cinematografici al nido, se non per scopo di studio e ricerca scientifica, previa autorizzazione dell’ente gestore.

• L’arrampicata libera o attrezzata su pareti ove siano presenti nidi. • Il sorvolo nel raggio di 1000 m dalle pareti ove siano presenti nidi.

É fatto obbligo di:

• Favorire il mantenimento delle attività agrosilvopastorali tradizionali negli orizzonti montano e subalpino e la pastorizia d’alta quota.

• Ridurre la frequentazione nei pressi di siti di nidificazione particolarmente vulnerabili anche con la chiusura temporanea di sentieri e piste forestali.

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Lagopus muta helvetica (Linnaeus, 1758)

Pernice bianca

Sottofamiglia: Tetraoninae

Famiglia: Phasianidae

Ordine: Galliformes

Classe: Aves

Indicatori

• Numero maschi territoriali; • Numero individui totali in periodo pre riproduttivo e post riproduttivo.

Monitoraggio

• Censimento primaverile al canto (in atto su aree campione). • Censimento tardo estivo con cani da ferma (in atto su aree campione).

Minacce

• Vulnerabilità a causa dei cambiamenti climatici; • Disturbo crescente provocato dal turismo di massa, impianti di risalita e strade d’alta quota.

Strategia gestionale

Sono vietate le seguenti attività:

• Disturbo antropico nelle zone di presenza nel periodo pre-riproduttivo, riproduttivo e invernale. • Ogni forma di osservazione ravvicinata al nido, o ai giovani non volanti, anche per scopi fotografici e/o

cinematografici, se non per scopo di studio e ricerca scientifica, previa autorizzazione dell’ente gestore.

É fatto obbligo di:

• Indirizzare lungo i sentieri individuati nella cartografia l’escursionismo negli ambienti d’alta quota. • Indirizzare lo sci fuori pista al di fuori dei siti di svernamento. • Evitare lo stazionamento di carichi eccessivi di bestiame bovino e ovi-caprino incustodito nelle

potenziali aree di nidificazione nel periodo 15 giugno-30 luglio e la presenza di cani da pastore non controllati.

• Reinerbire le piste da sci con specie autoctone e armonizzate con l’ambiente.

Page 151: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Lanius collurio (Linnaeus, 1758)

Averla piccola

Famiglia: Laniidae

Ordine:Passeriformes Classe: Aves

Indicatori

• Numero maschi territoriali; • Numero siti con maschi territoriali.

Monitoraggio

• Punti di ascolto; • Transetti in zone aperte e cespugliose.

Minacce

• Impiego di insetticidi in agricoltura.

Misure di conservazione

É fatto obbligo di:

• Mantenere e favorire formazioni a cespugli o cespugli isolati nelle zone rurali. • Favorire il mantenimento delle attività agro-silvo-pastorali tradizionali. • Mantenere e recuperare le aree a vegetazione aperta frammiste a vegetazione arbustiva.nei siti

maggiormente vocati alla specie • Eventuali riordini fondiari devono prevedere il mantenimento della componente arbustiva, favorendo

in particolare la presenza di specie con spine (p. es. Rosa, Prunus, Rubus).

Page 152: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Pyrrhocorax pyrrhocorax (Linnaeus, 1758)

Gracchio corallino

Famiglia: Corvidae

Superfamiglia: Corvoidea

Ordine:Passeriformes Classe: Aves

Indicatori

• Numero medio individui x osservazione; • Numero osservazioni.

Monitoraggio

• Punti di ascolto. • Transetti in zone aperte e di alta quota.

Minacce

• Modificazioni ambientali.

Misure di conservazione

É fatto obbligo di:

• Mantenere e promuovere le attività agro-pastorali tradizionali negli orizzonti montano e subalpino.

Page 153: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Tetrao tetrix tetrix (Linnaeus, 1758)

Gallo forcello

Sottofamiglia: Tetraoninae

Famiglia: Phasianidae

Ordine: Galliformes

Classe: Aves

Indicatori

• Numero maschi cantori; • Numero chiocce presenti, numero nidiate, dimensione media nidiate e pulcini atti al volo.

Monitoraggio

• Censimento primaverile al canto; • Censimento tardo estivo con cani da ferma.

Minacce

• Perdita di habitat; • Turismo di massa estivo ed invernale; • pascolo intensivo nei mesi estivi e presenza di cani vaganti; • riduzione delle aree aperte, regolarmente pascolate o falciate, a favore del bosco; • effetti negativi dei mutamenti climatici.

Strategia gestionale

Sono vietate le seguenti attività:

• Disturbo antropico nelle zone di presenza nel periodo preriproduttivo, riproduttivo e invernale. • Ogni forma di osservazione ravvicinata, anche fotografia e riprese cinematografiche, sui punti di

canto, al nido o in presenza di giovani non volanti se non per scopo di studio e ricerca scientifica, previa autorizzazione dell’ente gestore.

É fatto obbligo di:

• Indirizzare lo sci fuori pista al di fuori dei siti di svernamento • Favorire le attività agro-silvo-pastorali di tipo tradizionale per contenere la naturale forestazione

delle aree aperte e cespugliate, garantendo un constante controllo dei cani da pastore.

Page 154: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Aegolius funereus (Linnaeus, 1758)

Civetta capogrosso

Sottofamiglia: Surniinae

Famiglia: Strigidae

Ordine: Strigiformes

Classe: Aves

Indicatori

• Presenza della specie.

Monitoraggio

• Conta dei siti di nidificazione;

• Numero di coppie riproduttive.

Minacce

• Bassa disponibilità di bosco maturo per la nidificazione; • Bassa disponibilità di radure in bosco; • Incendi boschivi.

Misure di conservazione

É fatto obbligo di:

• Favorire la disetaneità nelle aree boscate e garantire la presenza di nuclei di piante colonnari destinate a divenire vetuste.

• Favorire la presenza di radure in bosco, utilizzate dall’animale per le attività di caccia. • Nel caso di interventi selvicolturali, preservare gli alberi con cavità naturali e/o con fori scavati da

picidi e riparati dall’acqua.

.

Page 155: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Dryocopus martius (Linnaeus, 1758)

Picchio nero

Famiglia: Picidae

Ordine: Piciformes

Classe: Aves

Indicatori

• Presenza della specie;

• Numero di alberi con cavità.

Monitoraggio

• Punti di ascolto;

• Transetti in zone forestali.

Minacce

• Disturbo antropico.

Misure di conservazione

Sono vietate le seguenti attività:

• Ogni forma di disturbo diretto e indiretto nel periodo riproduttivo, da marzo a luglio.

É fatto obbligo di:

• Favorire la disetaneità nelle aree boscate e garantire la presenza di nuclei di piante colonnari destinate a divenire vetuste.

• Mantenere piante annose e marcescenti e un’elevata quantità di legno morto. • Preservare gli alberi adatti alla nidificazione, quali alberi prossimi a radure con diametro maggiore o

uguale a 38-40 cm e con assenza di rami nei primi 5-10 metri di altezza.

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Pernis apivorus (Linnaeus, 1758)

Falco pecchiaiolo

Famiglia: Accipitridae

Ordine: Falconiformes

Classe: Aves

Indicatori

• Presenza della specie.

Monitoraggio

• Numero di nidi (in caso di accertata nidificazione);

• Numero di avvistamenti.

Minacce

• I rischi maggiori sono legati alle modificazioni ambientali del territorio ed in modo particolare alla diminuzione delle aree prative, che vengono invase da densi arbusteti, ed in secondo luogo dall’utilizzazione dei boschi con conseguente diminuzione di quelli maturi;

• Incendi in aree boscate.

Misure di conservazione

Sono vietate le seguenti attività:

• L’attivazione di cantieri che comportino disturbo antropico e uso di macchine nel raggio di 300 m. dai siti di nidificazione occupati nel periodo maggio-agosto.

• Il taglio degli alberi che ospitano nidi e ogni attività che comporti disturbo antropico nel raggio di 300 m. dai nidi stessi.

• Ogni forma di osservazione ravvicinata al nido, anche per scopi fotografici e/o cinematografici, se non per scopo di studio e ricerca scientifica, previa autorizzazione dell’ente gestore.

É fatto obbligo di:

• Mantenere e promuovere le attività agro-pastorali tradizionali negli orizzonti montano e subalpino.

Page 157: Proposta Di Piano Di Gestione Aprile 2011

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Circaetus gallicus (Gmelin, 1758)

Biancone

Sottofamiglia: Circaetinae

Famiglia: Accipitridae

Ordine: Accipitriformes

Classe: Aves

Indicatori

• Presenza della specie.

Monitoraggio

• Osservazione degli animali in volo;

• Censimento dei siti di nidificazione.

Minacce

• Disturbo antropico nelle zone idonee alla nidificazione;

• Riforestazione di aree pascolo di media alta montagna;

• Rischio incendi.

Misure di conservazione

Sono vietate le seguenti attività:

• L’attivazione di cantieri che comportino disturbo antropico e uso di macchine nel raggio di 300 m. dai siti di nidificazione occupati nel periodo maggio-agosto.

• Il taglio degli alberi che ospitano nidi e ogni attività che comporti disturbo antropico nel raggio di 300 m. dai nidi stessi.

• Ogni forma di osservazione ravvicinata al nido, anche per scopi fotografici e/o cinematografici, se non per scopo di studio e ricerca scientifica, previa autorizzazione dell’ente gestore.

É fatto obbligo di:

• Mantenere e promuovere le attività agro-pastorali tradizionali negli orizzonti montano e subalpino.

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Falco peregrinus (Tunstall, 1771)

Falco pellegrino

Sottofamiglia: Falconinae

Famiglia: Falconidae

Ordine: Accipitriformes

Classe: Aves

Indicatori

• Presenza della specie.

Monitoraggio

• Individuazione dei siti di nidificazione; • Monitoraggio numero di uova deposte e numero di pulli involati.

Minacce

• Disturbo antropico;

• Uso indiscriminato di insetticidi e pesticidi in agricoltura.

Misure di conservazione

Sono vietate le seguenti attività:

• L’attivazione di cantieri che comportino disturbo antropico e uso di macchine nelle aree circostanti i siti di nidificazione noti nel periodo marzo-luglio.

• L’arrampicata libera e attrezzata su pareti dove è segnalata la specie, in modo particolare tra febbraio e luglio.

• Ogni forma di osservazione ravvicinata al nido, anche per scopi fotografici e/o cinematografici, se non per fini di studio e ricerca scientifica e previa autorizzazione dell’ente gestore.

É fatto obbligo di:

• Prevedere o intensificare attività di sorveglianza ai siti di nidificazione più vulnerabili.

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Mammiferi

Nyctalus leisleri (Kuhl, 1817)

Nottola di Leisler

Tribù: Pipistrellini

Sottofam: Vespertilioninae

Fam: Vespertiliodae

Sottordine: Microchiroptera

Ordine: Chiroptera

Classe: Mammalia

Indicatori

• Presenza della specie

Monitoraggio

• Bat detector • Catture

Minacce

• Alterazione degli ambienti forestali con perdita della funzione di rifugio, di alimentazione e ai fini degli spostamenti (eliminazione di piante deperienti, morte, con cavità, fessure, lembi di corteccia sollevata etc. )

Misure di conservazione

• Applicazione di modalità di gestione naturalistica dei boschi della Val Ferret ( vedi Piano di gestione dei boschi) con previsione di individuazione e rilascio per l’invecchiamento indefinito di un numero sufficiente (due alberi ogni 2500 mq) di alberi che presentino le caratteristiche descritte alla voce “minacce”.

• Conservazione e ripristino di formazioni di vegetazione paraforestale (siepi, bordure arboreo- arbustive presso zone umide che costituiscono elementi di connettività ambientale).

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Lepus timidus Linnaeus 1758

Fam: Leporidae

Ordine: Lagomorpha

Superordine:Euarchontoglires

Classe: Mammalia

Indicatori

• Presenza del genere Lepus (quindi analisi genetiche per differenziare la specie L. timidus da L. europaeus)

Monitoraggio

• Transetti lineari • Plot circolari • Catture e radio trecking

Minacce

• Cambiamenti climatici • Competizione con lepre europea • Ibridazione con lepre europea

Misure di conservazione

• Mantenimento aree di ecotono. • Mantenimento ontaneti e fasce di Pino uncinato/ Pino mugo in forma prostata.

• Mantenimento /crezione di radure all’interno dei boschi.

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Capra ibex (Linnaeus, 1758)

Stambecco

Sottofamiglia: Caprinae

Famiglia: Bovidae

Ordine: Arctiodactyla

Classe: Mammalia

Indicatori

• Numero totale individui. • Struttura delle popolazioni.

Monitoraggio

• Continuo attuato dal Corpo forestale valdostano mediante censimenti annuali con il metodo del Block-census.

Minacce

• Sovrapascolo o pascolamento incontrollato di bovini e/o ovicaprini, in ambienti aperti alpini, soprattutto in periodo estivo;

• Inquinamento genetico da parte di capre domestiche; • Sovrappopolamento e insorgenza di parassitosi infettive; • Modificazione dell’habitat e disturbo antropico; • Scomparsa dei predatori; • Alimentazione artificiale; • Perdita di variabilità genetica; • Disturbo invernale; • Cambiamenti climatici.

Trend: stabile

.

Misure di conservazione

Controllo del trend di popolazionale

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Rupicapra rupicapra (Linnaeus, 1758)

Camoscio

Tribù: Rupicaprinae

Sottofamiglia: Caprinae

Famiglia: Bovidae

Ordine: Arctiodactyla

Classe: Mammalia

Indicatori

• Numero totale individui; • Struttura delle popolazioni.

Monitoraggio

• Continuo da parte del Corpo forestale valdostano mediante censimenti con il metodo del Block-census.

Minacce

• Sovrapascolo e/o pascolamento incontrollato di bovini e ovicaprini, in ambienti aperti alpini, soprattutto in periodo estivo;

• Sovrappopolamento e insorgenza di parassitosi infettive.

TREND: in aumento

Misure di conservazione

• Controllo del trend popolazionale. Eventuale contenimento delle numerosità e ottenimento delle densità ottimali mediante caccia di selezione per evitare che le popolazioni superino la capacità portante dell’ambiente.

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OBIETTIVI

OBIETTIVI GENERALI Obiettivo del Piano di Gestione, in applicazione delle Direttive Habitat e Uccelli, è la conservazione di habitat e specie protette nonché il mantenimento e il recupero di condizioni di naturalità e di biodiversità nel territorio in cui SIC e ZPS sono inserite.

Con specifico riferimento al contesto territoriale un obiettivo strategico è costituito dall’integrazione della salvaguardia dei SIC e ZPS nella gestione territoriale delle Valli Ferret e Veni implementando il valore natura in tutti i livelli di pianificazione e di gestione territoriale.

OBIETTIVI SPECIFICI Una serie di obiettivi specifici consentono di rispondere con maggiore pertinenza alle esigenze di conservazione delle specie e degli habitat nella particolare situazione ambientale, ecologica ed antropica della zona del Monte Bianco. Tali obiettivi sono illustrati di seguito:

1. Conservazione delle specie animali e vegetali di particolare pregio;

2. Mantenimento quantitativo e qualitativo degli habitat da Direttiva, con riferimento alla valutazione dello stato di conservazione attuale indicato nei formulari standard Natura 2000;

3. Mantenimento ed eventuale reintroduzione di pratiche agro-silvo-pastorali compatibili con gli habitat e le specie da Direttiva e funzionali alle esigenze ecologiche di determinate specie;

4. Tutela della qualità chimica, fisica e biologica delle acque superficiali e di falda, correnti e stagnanti;

5. Mantenimento dell’assetto idrogeologico e delle condizioni ottimali del reticolo di circolazione superficiale e in falda delle acque;

6. Limitazione delle emissioni di sostanze inquinanti nell’atmosfera in special modo quelle dovute alla forte concentrazione di traffico in alcuni settori delle due valli;

7. Mantenimento degli elementi geomorfologici naturali, anche costituiti dalla complessa tessitura visiva e paesaggistica creata dai diversi agenti fisici ed atmosferici;

8. Riduzione del rischio potenziale dovuto alla pressione antropica in particolare in settori ad elevata frequentazione;

9. Individuazione di modalità di fruizione ludico-ricreativa del territorio compatibile con la conservazione di habitat e specie;

10. Sviluppo di strategie di conservazione su spazi di più ampie dimensioni, con specifico riferimento alla dimensione geografica del Massiccio del Monte Bianco, al fine di creare idonei corridoi ecologici e di adottare misure di salvaguardia ad una scala adeguata a garantire l’efficace conservazione di habitat e specie.

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STRATEGIA GESTIONALE

La strategia gestionale tiene conto di una serie di elementi scientifici, gestionali ed amministrativi al fine di perseguire il più efficacemente possibile le finalità di conservazione e valorizzazione di specie ed habitat.

In particolare:

1. Documentazione scientifica. Tutte le informazioni raccolte con gli studi e le indagini scientifiche costituiscono il riferimento di base per la definizione delle misure di conservazione e delle azioni di gestione. Le schede specifiche per habitat e specie e le cartografie prodotte devono essere costantemente consultate e seguite nella fase di attuazione del piano;

2. Valutazione delle esigenze ecologiche. Queste valutazioni, organizzate in forma di schede, sono da considerare nella loro interezza in quanto descrivono puntualmente le condizioni ambientali ed ecologiche che devono essere mantenute per la salvaguardia di specie ed habitat. Esse costituiscono, di fatto, una sezione del Piano di Gestione all’interno della quale sono contenute le misure di conservazione. Queste ultime riprendono, di fatto, le misure di conservazione sto specifiche e habitat specifiche definite a livello regionale per tutti i siti della rete ecologica Natura 2000, possono contenere ulteriori prescrizioni, laddove necessarie, e indicazioni operative che, a seguito degli eventuali esiti dell’attività di monitoraggio, devono essere applicate diligentemente;

3. Norme. Le norme sono l’apparato principale per l’attuazione della strategia gestionale in quanto regolano i comportamenti e definiscono ulterori misure di conservazione finalizzate alla salvaguardia di habitat e specie. Le norme sono a loro volta articolate in generali e puntuali, al fine di dare la massima efficacia al Piano di Gestione, e affiancate da specifiche cartografie gestionali.

La strategia gestionale individua poi azioni mirate per le specie e gli habitat che, alla luce degli elementi sopra indicati, necessitano di una gestione attiva o di particolari monitoraggi.

NORME DI ATTUAZIONE DEL PDG

Ambito di applicazione delle norme Le misure di conservazione si applicano all’intero territorio facente parte dei SIC IT1204010 “Ambienti glaciali del Monte Bianco” e IT1204032 “Talweg della Val Ferret” e della ZPS IT1204030 “ Val Ferret”.

Normativa di riferimento Il Piano, per ciò che concerne l’applicazione di misure e la formulazione di indirizzi, si basa sulle seguenti norme:

• Direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici;

• Direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche;

• Decreto Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 e smi “Regolamento recante attuazione della Direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche” e successive;

• Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare 3 settembre 2002 “Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000”

• Legge Regionale 21 maggio 2007, n. 8 “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione autonoma Valle d’Aosta derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità Europea. Attuazione delle direttive 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e

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92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche. Legge comunitaria 2007”;

• Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare 17 ottobre 2007 “ Criteri minimi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)”

• Deliberazione della Giunta regionale n. 1087/2008 “Approvazione del documento tecnico concernente la classificazione delle Zone di protezione speciale (ZPS), le misure di conservazione e le azioni di promozione ed incentivazione, ai sensi dell’art. 4 della L.R. 21 maggio 2007, n. 8 e del Decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del Territorio 17 ottobre 2007”

• l.r. 31 marzo 1977, n. 16 “ norme per la disciplina della raccolta di funghi e per la tutela di specie di fauna inferiore”;

• l.r.15 aprile 2008, n. 10 “Disposizioni per la tutela dei fossili e dei minerali da collezione”

• l.r. 7 dicembre 2009, n. 45 “ Disposizioni per la tutela e la conservazione della flora alpina. Abrogazione della legge regionale 31 marzo 1977, n. 17”;

• l.r. 4 marzo 1988, n. 15 “Disciplina delle attività di volo alpino ai fini della tutela ambientale come modificata dalla l.r. 1999, n. 35”

• l.r. 22 aprile 1985, n. 17 “Regolamento di polizia per la circolazione dei veicoli a motore sul territorio della Regione”.

Piani e programmi collegati Il Piano tiene conto e integra nelle sue linee di azione e nei suoi strumenti regolamentari, le indicazioni di Piani e Programmi collegati, in particolare:

- Piano di Tutela delle Acque (DGR n. 976 del 4 aprile 2008)

- Piano Territoriale Paesistico (l.r. 10 aprile 1998, n. 13) e PRGC del Comune di Courmayeur.

Valutazione di incidenza (semplificazione di procedure amministrative)

Qualsiasi piano, programma e/o progetto e relative varianti sostanziali, da realizzare all’interno dei siti oggetto del presente piano di gestione, deve essere sottoposto a procedura di valutazione di incidenza, così come disposto dall’art. 7 della l.r. n.8/2007 e disciplinato dalla D.G.R. 1815/2007.

Sono esclusi dalla procedura di Valutazione di incidenza e dalla richiesta di parere preventivo i sottoelencati interventi in quanto la tipologia e la modesta entità permettono di escludere incidenze su habitat e specie tutelate:

1. Ristrutturazione edilizia interna ed esterna di fabbricati per i quali l’accesso stradale è già esistente, ivi compreso l’installazione di bomboloni per il GPL nelle aree di pertinenza dell’edificio;

2. Interventi di manutenzione ordinaria di tetti e di facciate compresa l’installazione di antenne, pannelli solari ecc su edifici per cui l’accesso è già esistente e per i quali è accertata l’assenza di chirottero fauna;

3. Piantumazione di siepi e/o filari di pertinenza di private abitazioni, con esclusivo impiego di specie autoctone, che non comporti lavori di rimodellamento del suolo;

4. Realizzazione di manufatti accessori agli edifici quali:

a. cordoli;

b. muretti;

c. recinzioni e staccionate in legno di contenute dimensioni;

d. percorsi pedonali e pavimentazioni circostanti gli edifici.

5. Interventi localizzati esclusivamente sulla carreggiata stradale senza occupazione e/o compromissione alcuna delle aree limitrofe.

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Qualsiasi rifiuto inerte, prodotto nella fase di cantiere o risultante dalle demolizioni per la realizzazione di tali progetti, non potrà essere accumulato sul terreno ma dovrà essere immediatamente smaltito secondo le vigenti norme di smaltimento dei rifiuti.

Misure di conservazione di carattere generale 1. Nei SIC e nella ZPS interessati dal presente piano ( SIC IT1204010 “Ambienti glaciali del Monte Bianco”, SIC IT1204032 “Talweg Val Ferret” , ZPS IT1204030 “Val Ferret” ) valgono le misure di conservazione approvate con Deliberazione di Giunta regionale n.1087 /2008 “ Approvazione del documento tecnico concernente la classificazione delle zone di protezione speciale (ZPS), le misure di conservazione e le azioni di promozione ed incentivazione , ai sensi dell’art. 4 della legge regionale 21 maggio 2007, n. 8, e del decreto del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare 17 ottobre 2007”, di seguito riassunte:

“Nelle aree comprese all’interno dei siti sono vietate le attività, le opere e gli interventi di seguito indicati:

- esercizio dell'attività venatoria nel mese di gennaio, con l'eccezione della caccia da appostamento fisso e temporaneo e in forma vagante per due giornate, prefissate dal calendario venatorio, alla settimana, nonché con l'eccezione della caccia agli ungulati;

- effettuazione della preapertura dell'attività venatoria, con l'eccezione della caccia di selezione agli ungulati;

- esercizio dell’attività venatoria in deroga ai sensi dell’art. 9, paragrafo 1, lett. c), della direttiva n. 79/409/CEE;

- attuazione della pratica dello sparo al nido nello svolgimento dell'attività di controllo demografico delle popolazioni di corvidi;

- effettuazione di ripopolamenti faunistici a scopo venatorio, ad eccezione di quelli con soggetti appartenenti a sole specie e popolazioni autoctone provenienti da allevamenti nazionali, o da zone di ripopolamento e cattura, o dai centri pubblici e privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale insistenti sul medesimo territorio;

- abbattimento di esemplari appartenenti alle specie Pernice bianca (Lagopus mutus helveticus)

- svolgimento dell’attività di addestramento di cani da caccia prima dell’1 settembre e dopo la chiusura della stagione venatoria. Sono fatte salve le zone di cui all’art. 5, comma 3, lettera c) della l.r. 64/ 1994 sottoposte a procedura di valutazione positiva ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 e successive modificazioni, entro la data di emanazione dell’atto di cui all’art. 3 comma 1;

- costituzione di nuove zone per l'allenamento e l'addestramento dei cani e per le gare cinofile, nonché ampliamento di quelle esistenti;

- realizzazione di nuove discariche o nuovi impianti di trattamento e smaltimento di fanghi e rifiuti nonché ampliamento di quelli esistenti in termine di superficie, fatte salve le discariche per inerti;

- realizzazione di nuovi impianti eolici, fatti salvi gli impianti per i quali, alla data di emanazione del presente atto, sia stato avviato il procedimento di autorizzazione mediante deposito del progetto. Gli enti competenti dovranno valutare l’incidenza del progetto, tenuto conto del ciclo biologico delle specie per le quali il sito è stato designato, sentito l’INFS. Sono inoltre fatti salvi gli interventi di sostituzione e ammodernamento, anche tecnologico, che non comportino un aumento dell’impatto sul sito in relazione agli obiettivi di conservazione dei siti, nonché di impianti per l’autoproduzione con potenza complessiva non superiore a 20 kw;

- realizzazione di nuovi impianti di risalita a fune e nuove piste da sci, ad eccezione di quelli previsti negli strumenti di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di approvazione del presente atto, a condizione che sia conseguita la positiva valutazione d’incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generali e di settore di riferimento dell’intervento, nonché di quelli previsti negli strumenti adottati preliminarmente e comprensivi di valutazione d’incidenza; sono fatti salvi gli impianti per i quali sia stato avviato il procedimento di autorizzazione, mediante deposito del progetto esecutivo comprensivo di valutazione d’incidenza, nonché interventi di sostituzione e

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ammodernamento anche tecnologico e modesti ampliamenti del comprensorio sciabile che non comportino un aumento dell’impatto sul sito in relazione agli obiettivi di conservazione dei siti ;

- apertura di nuove cave e ampliamento di quelle esistenti, così come classificate ai sensi della l.r. 15/ 1996 ad eccezione di quelle previste negli strumenti di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di approvazione del presente atto o che verranno approvati entro il periodo di transizione, prevedendo altresì che il recupero finale delle aree interessate dall’attività estrattiva sia realizzato a fini naturalistici, agricoli, forestali e turistico culturali e a condizione che sia conseguita la positiva valutazione di incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generali e di settore di riferimento dell’intervento. In via transitoria, per 18 mesi dalla data di approvazione del presente atto, in carenza di strumenti di pianificazione o nelle more di valutazione d’incidenza dei medesimi, è consentito l’ampliamento delle cave in atto, a condizione che sia conseguita la positiva valutazione d’incidenza dei singoli progetti, fermo restando l’obbligo di recupero finale delle aree a fini naturalistici, agricoli, forestali e turistico culturali. Sono fatti salvi: i progetti di cava già sottoposti a procedura di valutazione d’incidenza, in conformità agli strumenti di pianificazione vigenti e sempreché l’attività estrattiva sia stata orientata a fini naturalistici, il prelievo di pietrame da accumuli naturali ed artificiali finalizzato all’esecuzione di specifici interventi (art. 16, l.r. 15/1996) e le operazioni di riassetto delle cave abbandonate (art. 14, l.r. 15/1996) in quanto compatibili con le misure di conservazione;

- eliminazione degli elementi naturali e seminaturali caratteristici del paesaggio agrario con alta valenza ecologica quali terrazzamenti, delimitati a valle da muretto a secco oppure da una scarpata inerbita, stagni, pozze di abbeverata, muretti a secco, accumuli da spietramento, siepi, filari alberati, canneti, sorgenti e boschetti, ad eccezione dell’eventuale periodica utilizzazione degli esemplari arborei ed arbustivi; sono fatti salvi i casi regolarmente autorizzati con parere preventivo o procedura di valutazione di incidenza, ai sensi della l.r. 8/2007, volti ad assicurare una gestione economicamente sostenibile;

- esecuzione di modellamenti delle superfici non autorizzati dall’ente gestore; sono fatti salvi i livellamenti ordinari per la preparazione del letto di semina;

- conversione della superficie a pascolo permanente ai sensi dell’art. 2 punto 2 del regolamento (CE) n. 796/04 ad altri usi;

- bruciatura, fatte salve le vigenti norme antincendio, di residui vegetali in zone incolte e, ove applicabile, bruciatura delle stoppie e delle paglie, nonché della vegetazione presente al termine dei cicli produttivi di prati naturali o seminati, sulle superfici specificate ai punti seguenti:

a. superfici a seminativo ai sensi dell’art. 2 punto 1 del regolamento (CE) n. 796/04, comprese quelle investite a colture consentite dai paragrafi a e b dell’art. 55 del regolamento (CE) n. 1782/03 ed escluse le superfici di cui al successivo punto 2);

b. superfici a seminativo soggette all’obbligo del ritiro dalla produzione (set-aside) e non coltivate durante tutto l’anno e altre superfici ritirate dalla produzione ammissibili all’aiuto diretto, mantenute in buone condizioni agronomiche e ambientali a norma dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 1782/03.

Sono fatti salvi, in ogni caso, gli interventi di bruciatura connessi ad emergenze di carattere fitosanitario prescritti dall’autorità competente e salvo diversa prescrizione della competente autorità di gestione.

- Il divieto di distruzione o danneggiamento intenzionale di nidi e ricoveri di uccelli, di cui al Decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 17 ottobre 2007, rimane disciplinato dall’art. 20 della l.r. 27 agosto 1994, n. 64 “ Norme per la tutela e la gestione della fauna selvatica e per la disciplina dell’attività venatoria aggiornata alla l.r. 2 settembre 1996, n. 33”.

- Lo svolgimento di attività di circolazione motorizzata al di fuori delle strade statali, regionali e carrozzabili, classificate come tali ai sensi di legge, ivi comprese le motoslitte, rimane disciplinato dalla l.r. 22 aprile 1985, n. 17 “Regolamento di polizia per la circolazione dei veicoli a motore sul territorio della Regione”.

- Gli strumenti di gestione forestale, compresi i tagli selvicolturali, devono prevedere il mantenimento di una presenza adeguata di piante morte, annose o deperienti, utili alla nidificazione ovvero

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all’alimentazione dell’avifauna, previa verifica della compatibilità delle stesse con le esigenze fitosanitarie e selvicolturali”..

2. Nei siti oggetto del presente piano è fatto obbligo delle prescrizioni già previste dalla D.G.R. n. 1087/2008 e di seguito riassunte:

o individuare, nell’ambito della riunione valutativa preliminare di cui all’art. 7 della l.r. 32/

2006 e dell’elettrificazione rurale, procedure e modalità per la riduzione del rischio di elettrocuzione e impatto degli uccelli, di elettrodotti e linee aeree di alta e media tensione di nuova realizzazione o in manutenzione straordinaria e ristrutturazione;

o valutare, in caso di nuove realizzazioni o di revisione generale degli impianti di risalita, le modalità di riduzione del rischio di impatto per gli uccelli;

o ove applicabile, sulle superfici a seminativo soggette all’obbligo del ritiro dalla produzione (set-aside) e non coltivate durante tutto l’anno e altre superfici ritirate dalla produzione ammissibili all’aiuto diretto, mantenute in buone condizioni agronomiche e ambientali a norma dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 1782/03, garantire la presenza di una copertura vegetale, naturale o artificiale, durante tutto l’anno e di attuare pratiche agronomiche consistenti esclusivamente in operazioni di sfalcio, trinciatura della vegetazione erbacea, o pascolamento sui terreni ritirati dalla produzione sui quali non vengono fatti valere titoli di ritiro, ai sensi del regolamento (CE) 1782/03. Dette operazioni devono essere effettuate almeno una volta l’anno, fatto salvo il periodo di divieto annuale di intervento compreso fra l’1 marzo e il 31 luglio di ogni anno. Il periodo di divieto annuale di sfalcio o trinciatura non può comunque essere inferiore a 150 giorni consecutivi compresi fra il 15 febbraio e il 30 settembre di ogni anno.

In deroga all’obbligo della presenza di una copertura vegetale, naturale o artificiale, durante tutto l’anno sono ammesse lavorazioni meccaniche sui terreni ritirati dalla produzione nei seguenti casi:

o terreni interessati da interventi di ripristino di habitat e biotopi;

o colture a perdere per la fauna, ai sensi dell’art. 1 lettera c) del decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali del 7 marzo 2002;

o nel caso in cui le lavorazioni siano funzionali all’esecuzione di interventi di miglioramento fondiario.

E’ fatto comunque obbligo di sfalci e/o lavorazioni del terreno per la realizzazione di fasce antincendio, conformemente a quanto previsto dalle nomative in vigore.

3. Gli interventi di diserbo meccanico nella rete idraulica artificiale, quali canali di irrigazione e canali collettori devono essere effettuati al di fuori del periodo riproduttivo degli uccelli e con tecniche manuali al fine di garantire un maggiore controllo di eventuali interferenze con siti riproduttivi degli uccelli.

4. E’ vietato l’utilizzo di specie vegetali alloctone o aliene nelle operazioni di ripristino ambientale.

5. La raccolta delle specie vegetali è disciplinata dalla l.r. 7 dicembre 2009, n. 45 “ Disposizioni per la tutela e la conservazione della flora alpina. Abrogazione della legge regionale 31 marzo 1977, n. 17”.

6. Per la tutela della fauna inferiore trova applicazione la l.r. 31 marzo 1977, n. 16 “ Norme per la disciplina della raccolta di funghi e per la tutela di specie di fauna inferiore”.

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7. Per la tutela dei minerali trova applicazione la l.r.15 aprile 2008, n. 10 “Disposizioni per la tutela dei fossili e dei minerali da collezione”.

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Misure di conservazione puntuali Le seguenti misure di conservazione, di carattere puntuale, prendono spunto dalle misure già indicate nelle schede relative alla valutazione delle esigenze ecologiche, per specificare meglio l’ambito di applicazione della misura e/o del vincolo, attraverso strumenti di gestione, quali cartografie o i piani operativi di gestione dei pascoli e dei boschi.

A) Escursionismo e fruizione

1. Le attività di volo alpino sono disciplinate dall’art. 1, commi 2, 3, 4 della l.r. 4 marzo 1988, n. 15 “Disciplina delle attività di volo alpino ai fini della tutela ambientale come modificata dalla l.r. 1999, n. 35”. L’attività di eliski è autorizzata esclusivamente nei punti indicati nell’allegata cartografia; la cartografia potrà subire delle modificazioni sulla base delle informazioni che saranno progressivamente acquisite e del monitoraggio delle specie interessate. (Cartografia Fruizione 1 Eliski).

2. E’ vietato l’avvicinamento alle pareti rocciose, individuate in allegata cartografia, mediante deltaplano, parapendio, arrampicata libera o attrezzata e qualunque altra modalità. La cartografia delle zone sensibili potrà subire delle modificazioni sulla base delle informazioni che saranno progressivamente acquisite. (Cartografia Fruizione 2, Pareti rocciose)

3. L’escursionismo pedestre, equestre e con mountain bike è limitato ai sentieri tracciati ed è regolamentato nell’allegata cartografia della rete sentieristica. (Cartografia Fruizione 3, Sentieri)

4. E’ vietato l’accesso e il transito nelle aree di svernamento di specie di fauna sensibili al disturbo individuate nella specifica cartografia in rosso. Nelle medesime aree è altresì vietata la realizzazione di percorsi di nordic walking, sentieri per racchette da neve (ciaspole), piste per motoslitte e altre modalità di accesso attrezzato, compreso lo sci fuoripista e lo sci-alpinismo. Nelle aree individuate nella cartografia in colore arancione è vietato abbandonare il percorso segnalato. (Cartografie Fruizione 4, Zone sensibili- fauna).

5. E’ vietato l’utilizzo di motoslitte e gatti delle nevi, fuori dai percorsi individuati per la battitura delle piste di sci e per l’accesso alle attività commerciali che saranno debitamente autorizzate.

6. Alla luce dei risultati degli studi lichenologici che denotano una sofferenza delle componenti licheniche localizzate sulla vegetazione arborea a bordo della strada della Val Ferret, dovuta all’inquinamento da traffico veicolare, è vietato il transito degli autoveicoli da Planpincieux al termine della strada.

B) Tutela dei corsi d’acqua e delle zone umide

1. Divieto di prelievi idrici che possano diminuire o alterare l’apporto idrico alle zone umide o che

comportino un’alterazione al naturale deflusso delle acque nei corpi idrici superficiali e di falda. Sono concessi i prelievi idrici per l’autoconsumo, per ogni altro tipo di utilizzo devono essere specificatamente valutate le conseguenze del prelievo (cfr art. 48 del Piano di Tutela delle Acque);

2. Divieto di prelievi di sabbia e ghiaia, fatti salvi i prelievi connessi ad interventi finalizzati alla sicurezza idraulica ( rif. D.G.R. n. 66/2009);

3. Divieto di svolgimento di attività e pratiche che possano comportare rischi accidentali di inquinamento delle acque, in particolare l’utilizzo di mezzi a motore e impianti meccanici in prossimità delle zone umide, delle sorgenti e dei corsi d’acqua. Qualora l’utilizzo di tali mezzi sia

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indispensabile per l’esecuzione di lavori di pubblica utilità, o in casi di dichiarata emergenza, saranno comunque valutate preventivamente ed adottate le seguenti precauzioni:

o divieto di posizionare depositi provvisori di carburante;

o divieto di stazionamento dei mezzi quando non utilizzati per le operazioni e le attività di cantiere;

o divieto di costruzione di piste provvisorie e di spiazzi per agevolare l’esecuzione dei lavori;

4. Divieto di balneazione e di pratiche sportive che comportino la navigabilità e l’immersione nei corpi idrici di qualunque genere;

5. Divieto di acesso e transito con qualsiasi mezzo o animale nelle zone umide limitrofe a corpi idrici/zone umide individuate nella specifica cartografia. La sosta è consentita esclusivamente nelle aree appositamente segnalate dal Comune. (Cartografia Gestione zone umide)

C) Gestione agrosilvopastorale

1. La gestione delle superfici a pascolo è disciplinata dal Piano dei pascoli inserito nella specifica Azione di Gestione n.1.

2. È applicata la conservazione di prati all'interno del bosco anche di medio/piccola estensione e di pascoli ed aree agricole, anche a struttura complessa, nei pressi delle aree forestali.

3. E’ vietato il transito degli animali e il pascolamento nelle zone umide individuate nella cartografia allegata (Cartografia Gestione zone umide)

4. La gestione dei boschi della Val Ferret è disciplinata dal Piano inserito nella specifica Azione di Gestione n.2.

Azioni da incentivare Al fine di prevenire il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie tutelate e favorire il mantenimento in un soddisfacente stato di conservazione i siti Natura 2000, le strutture competenti provvedono a promuovere e ad incentivare le seguenti azioni, già in gran parte contenute nella D.G.R. n. 1087/2008 :

- repressione del bracconaggio;

- rimozione dei cavi sospesi di impianti di risalita, impianti a fune ed elettrodotti dismessi;

- informazione e la sensibilizzazione della popolazione locale e dei maggiori fruitori del territorio sulla rete Natura 2000;

- agricoltura biologica e integrata;

- ripristino di habitat naturali quali ad esempio zone umide, temporanee e permanenti, e prati;

- manutenzione e ripristino dei muretti a secco esistenti e realizzazione di nuovi attraverso tecniche costruttive tradizionali e manufatti in pietra locale;

- impianto di colture a perdere per la fauna (Ad esempio appezzamenti coltivati a segale).

Sanzioni La non osservanza delle misure di conservazione generali e puntuali, individuate nel seguente piano, comporta l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 10 della l.r. n.8/2007, comma 1 e comma 2, di seguito riassunte:

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“Salvo che il fatto costituisca reato e fatte salve le sanzioni previste dalla normativa statale e regionale vigente, chiunque violi i divieti, i vincoli e le prescrizioni stabiliti dal presente titolo è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 1.000 a euro 6.000. Al responsabile delle violazioni di cui al comma 1, qualora arrechi danno all’ambiente alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo tutto o in parte, si applicano le disposizioni statali vigenti in materia di risarcimento del danno ambientale.”

Approfondimenti scientifici Sulla base delle informazioni finora acquisite si ritiene utile approfondire le conoscenze sulle seguenti componenti:

− Briofite

− Rapaci notturni

Le sottoelencate specie, alla luce della vocazionalità delle aree, non rilevate durante la fase di studio, possono essere oggetto di indagini più approfondite:

- Muscardinus avellinarius (moscardino). A parte i pipistrelli, è l’unico mammifero presente in Valle d’Aosta che sia considerato dalla Direttiva Habitat ( in allegato IV ).

- Euphydryas aurinia aurinia, un ropalocero legato alle aree umide, certamente presente sul territorio valdostano, ma non segnalato durante gli studi.

- Zootoca vivipara, specie molto rara ed elusiva, una delle lucertole più rare sulle Alpi occidentali e segnalata nell’area anticamente.

- Hierophis viridiflavus (biacco). La segnalazione, raccolta nell’ambito degli studi, è particolarmente interessante in quanto rappresenta uno dei limiti altitudinali e latitudinali per la specie stessa. Di sicuro interesse è verificare se esiste una popolazione stabile.

Approfondimenti specifci di carattere puntuale potranno rendersi necessari contestualmente all’attuazione del piano.

Il Servizio Aree protette opererà per raccogliere i contributi scientifici derivanti da tesi e lavori di ricerca prodotti nell’ambito di attività accademiche o da altri progetti che interessano l’area del Monte Bianco.

Aggiornamento Il piano o parti di esso potranno essere aggiornati sulla base dei risultati della gestione, del monitoraggio e di nuove informazioni acquisite, secondo le modalità previste dalla Legge Regionale n.8/2007.

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AZIONI DI GESTIONE Il Piano prevede cinque specifiche azioni gestionali, dedicate al pascolo, ai boschi, al monitoraggio degli habitat e delle specie, alla gestione dei siti della specie Maculinea arion e alla regolamentasizone della fruizione.Per ogni azione sono individuati il/i soggetti attuatori.

1) Piano di pascolo.

Soggetto attuatore: Comune /allevatori La corretta gestione dei pascoli riveste una grande importanza per il mantenimento della biodiversità nell’ambiente montano, dove l’abbandono dei tradizionali sistemi di pascolamento provoca la graduale scomparsa di biotopi a favore di associazioni vegetali in cui predominano specie arboree ed arbustive.

L’abbandono dei cotici erbosi in quota, dovuto alla ridotta disponibilità degli animali ed alla limitata pratica della transumanza, rende necessaria la riorganizzazione del pascolamento che dovrà essere di breve durata e meglio distribuito sul territorio, così da mantenere le caratteristiche pabulari e paesaggistiche dell’ambiente montano

Il confronto fra i dati di gestione reale e potenziale fa trasparire come nel comprensorio non vi sia, dal punto di vista numerico, un enorme scostamento; in effetti, rispetto alle mandrie attuali, le correzioni proposte porterebbero ad incrementare il patrimonio monticato di poche decine di unità, su di un bacino di gestione di quasi 1000 ettari.

L’aspetto più importante della proposta risiede nella necessità di gestire il territorio in modo omogeneo al fine di assicurare il corretto utilizzo di tutte le superfici censite, garantendo la perpetuazione delle risorse e la corretta gestione della fertilità.

Questo piano di pascolamento, realizzato in coerenza con gli indirizzi presenti nel Piano Regolatore Generale Comunale, tiene conto e realizza l’equilibrio tra le esigenze degli operatori e quelle legate alla salvaguardia del patrimonio pastorale e ambientale del sito. La funzione del piano di pascolo risiede nella definizione temporale e spaziale di utilizzo delle aree, in riferimento alle tecniche di pascolamento ed all’ evoluzione fenologica delle facies vegetazionali.

Un piano razionale di pascolamento deve:

� garantire una certa omogeneità nella razione per cui bisogna, se possibile, comprendere nella stessa area porzioni di diversa qualità foraggera. Definendo aree con più giornate di pascolo, si affida alla sensibilità dell’utilizzatore il compito di alternare le zone di minore e maggiore qualità pabulare;

� sincronizzare i tempi di utilizzo con l’evoluzione vegetativa. Utilizzare le specie foraggiere al meglio delle potenzialità nutritive permette di garantire una razione equilibrata agli animali e quindi l’incremento delle produzioni.

Il piano di pascolo parte dalla determinazione del Valore Pastorale (VP), attraverso il quale si giunge alla definizione del carico bovino da gestire. Il valore pastorale è il dato meglio rappresentativo delle caratteristiche del cotico, poiché deriva dalla sintesi di dati quantitativi e qualitativi inerenti le specie rilevate; infatti, ad ogni specie corrisponde un indice di qualità specifica e un’abbondanza relativa. Questa operazione viene effettuata per ogni rilievo e i valori, afferenti ad una medesima facies, vengono mediati e costituiscono il punto di partenza per la determinazione del valore pastorale complessivo degli alpeggi.

Le fasi di calcolo prevedono:

� individuazione delle superfici di ogni facies omogenea di vegetazione � individuazione della pendenza media � individuazione del valore pastorale medio per ogni facies omogenea di vegetazione � individuazione del coefficiente di produttività

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� individuazione del coefficiente di riduzione da applicare al coefficiente di produttività � calcolo del carico annuo medio per ogni facies vegetazionali

Il valore finale definisce il numero di UBA mantenibili annualmente per ogni ettaro di superficie omogenea di vegetazione rilevata.

Ottenuti gli UBA mantenibili, è stata effettuata un’attenta analisi in modo da poter determinare i migliori periodi di utilizzo per ogni fascia altitudinale, così da sincronizzare il pascolamento con l’ottimale maturazione delle essenze foraggere.

I problemi generalmente evidenziati nei comprensori analizzati sono legati alle tipologie di mandrie monticate e alle tecniche di conduzione: la maggior parte del patrimonio monticato è rappresentato da bestiame improduttivo che viene gestito con pascolamento libero e con passaggi ripetuti sulle aree migliori, mentre le mandrie da latte sfruttano una minima parte del patrimonio pastorale su facies produttive, ma spesso meno interessanti dal punto di vista della ricchezza floristica e quindi naturale.

Decidere come e quando gestire la mandria in modo che questa giunga nei siti per sfruttare al meglio il cotico affinché si rinnovi, è stata un’operazione delicata che viene di seguito descritta per ogni comprensorio pascolivo, integrando l’analisi con il calendario di pascolamento:

Comprensorio di Séchèron e Malâtra Per questi due comprensori è stato ipotizzato un piede d’alpe comune costituito dalle superfici migliori che garantiscono, ad inizio stagione, un apporto importante per le bovine lattifere. Le condizioni morfologiche favorevoli consentono agli animali di adeguarsi al pascolo e prepararsi alla salita ai tramuti superiori; in queste zone particolarmente sensibili per la vicinanza degli elementi di protezione naturalistica è indispensabile la conduzione con custodia continua e pastore elettrico.

Si propone successivamente la divisione della mandria: l’una al Gioué l’altra a Séchèron; questa divisione è consigliata per dare uniformità gestionale ai comprensori rispettandone l’evoluzione floristica delle facies.

Un utilizzo simultaneo delle cotiche con carichi istantanei elevati rappresenta un rischio per la fragilità dei versanti; si propone dunque una separazione che non penalizza, ma rafforza il carico attuale generando una permanenza adeguata e meno prolungata delle mandrie su porzioni ristrette di comprensorio.

Il calendario proposto mira ad un utilizzo per lo più sincrono con l’evoluzione floristica, in modo da generare un rapporto tra offerta, appetibilità ed asporto equilibrato.

Esistono porzioni marginali dei comprensori tra i due valloni (Aminaz e Malâtra) molto importanti da un punto di vista ambientale che si propone di utilizzare grazie ad un pascolamento congiunto delle due mandrie.

La composizione delle mandrie dovrà essere articolata in modo da garantire la copertura del territorio e l’utilizzo da parte delle mandrie da latte possibilmente delle porzioni più alte, di difficile accesso, ma essenziali nella caratterizzazione organolettica delle produzioni casearie.

A tal fine sarebbe interessante attivare nei siti oggetto d’indagine progetti pilota per l’ottenimento di prodotti di eccellenza esaltanti il connubio fra composizione floristica e produzioni: una Fontina di monofacies rappresenterebbe l’espressione massima del rapporto tra le potenzialità del sito ed l’opera umana di mantenimento e adeguata gestione dei comprensori.

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CALENDARIO DI PASCOLO PROPOSTO

Mandria 1° passaggio 2° passaggio UBA

Giué désot- 05/06 – 23/06

Giué damon 24/06 – 02/08

Malâtra 03/08 – 01/09

02/09 – 19/09 60

Sècheron 05/06 – 23/06

Arminaz 24/06 – 02/08

Tsa de Sècheron 03/08 – 01/09

02/09 – 19/09 78

Gestione comune 25/05 – 04/06 20/09 – 22/09 138

Carico reale: 0,30 UBA/ha

Carico medio proposto: 0,29 UBA/ha

Comprensori di Mayen, Varda – Tza de Jean - Arp Nouva - Bellecombe

Si propone, anche in questo caso, la divisione in due mandrie per due percorsi ben distinti.

La limitazione maggiore deriva dalla difficile gestione del comprensorio di Bellecombe che, per ragioni morfologiche, è isolata dal resto della valle e di difficilissimo accesso. Dato l’elevato valore naturalistico, la gestione di questa porzione di territorio risulta essenziale e si rende, quindi, inevitabile l’utilizzo di una mandria di bovine improduttive o di ovini.

Come nella situazione precedente, il contemporaneo sviluppo fenologico delle facies di Bellecombe e Tsa di Jean Damon, rende indispensabile l’utilizzo da parte di due mandrie distinte.

L’azione attuale rischia di depauperare la ricchezza di questi siti imponendo un utilizzo tardivo che rende forte la selezione sulle specie più appetibili e genera uno squilibrato rinnovo del cotico.

La proposta è quella di utilizzare due piè d’alpe separati, oppure separare le mandrie al momento della salita verso le porzioni superiori.

Il rischio dell’assembramento delle mandrie è legato a carichi istantanei eccessivi con possibilità di generare accumuli di fertilità (quindi anche di nitrati) a macchia di leopardo; la proposta tende quindi ad ottimizzare l’equilibrio delle deiezioni su tutto il territorio rispettando la perpetuazione delle risorse pastorali, ma soprattutto naturali.

CALENDARIO DI PASCOLO PROPOSTO

Mandria 1° passaggio 2° passaggio UBA

Mayen- Varda 24/05 – 04/06 13/09 – 24/09

Tsa de Jean 05/06 – 18/06 06/09 – 12/09

19/06 – 18/07 28/08 – 05/09 Tsa de Jean damon

19/07 – 27/08

70

Arp Nouva 12/06 – 19/07 30/08 – 18/09

Bellecombe 20/07 – 29/08 51

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Carico reale Tsa de Jean: 0,35 UBA/ha

Carico medio proposto Tsa de Jean: 0,21 UBA/ha Carico reale Bellecombe: 0,35 UBA/ha

Carico medio proposto Bellecombe: 0,19 UBA/ha

Comprensorio di Mont de la Saxe - Lèche –Léchère

Lo sdoppiamento delle mandrie viene ribadito in questi comprensori per gli stessi motivi esposti in precedenza, segnalando per il Mont de la Saxe un interesse straordinario ed una priorità di salvaguardia a per la varietà di facies incontrate: la variabilità di pendenze, esposizioni e lo sviluppo altimetrico rendono il sito molto interessante e di fruizione straordinaria. La gestione potrebbe prevedere l’utilizzo di un gregge di ovini sul versante sud e una mandria di manze nella restante parte.

CALENDARIO DI PASCOLO PROPOSTO

Mandria 1° passaggio 2° passaggio UBA

Lèche - Léchère 12/06 – 29/09 29

Mont de la Saxe inf. 12/06 – 31/07 01/09 – 29/09

Mont de la Saxe sup. 01/08 – 31/08 105

Carico reale Lèche-Léchère: 0,15 UBA/ha

Carico medio proposto Lèche-Léchère: 0,21 UBA/ha Carico reale Mont de la Saxe: 0,14 UBA/ha

Carico medio proposto Mont de la Saxe: 0,20 UBA/h Comprensori di Lavachey – Pont Pailler – Leuche e Pré de Bard

I comprensori di Lavachey, Pont Pailler e Leuche rivestono il ruolo di piede d’alpe e rappresentano porzioni di pascolo molto ricche a cui deve seguire una gestione anticipata per ottenerne la massimizzazione delle rese e la conservazione dell’equilibrio floristico.

Questa caratteristica è poco compatibile con il comprensorio di Pré de Bard che si sviluppa verso il fondo della Val Ferret e che raggiunge quote elevate, in cui lo sviluppo vegetale, seppur importante, non è sincronizzabile con l’esigenza di utilizzo anticipato.

Nella proposta di gestione risulta importante poter integrare porzioni attigue al primo comprensorio, Leuchey ,che attualmente non è stato conteggiato nel calcolo del carico.

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CALENDARIO DI PASCOLO PROPOSTO

Mandria 1° passaggio 2° passaggio UBA

Lavachey-Pont Pailler-Leuchey

25/05 – 28/06 29/08 – 22/09

Pré de Bard alta 29/06 – 31/07

Pré de Bard alta 01/08 – 21/08

43

Carico reale: 0,26 UBA/ha

Carico medio proposto: 0,18 UBA/ha

Comprensorio della Val Veni

Tutta la Val Veni è gestita in modo uniforme sostanzialmente con una metodologia completamente compatibile con le esigenze del sito: il pascolamento turnato e continuo con mungitura all’aperto.

Il metodo seppur presentando un’eccezione rispetto alla tradizionale gestione valdostana, rappresenta, in un sito ove le pendenze sono modeste e l’accesso garantito, una valida alternativa rispettosa delle esigenze di conservazione e perpetuazione delle risorse.

In questo comprensorio l’omogeneità vegetazionale pastorale consente una previsione semplificata del piano di gestione che poco si discosta dalla realtà se non nel potenziamento della mandria e nell’anticipazione del periodo di monticazione.

MANDRIA 1° PASSAGGIO UBA

Lex Blanche 30/06 – 30/09 89

Arp Vieille 02/07 – 30/09 29

Tabella 12

Carico reale Lex Blanche: 0,2 UBA/ha

Carico medio proposto Lex Blanche: 0,19 UBA/ha I dati del carico proponibile sono stati confrontati con i parametri per l’erogazione dei contributi inerenti alle Misure Agoambientali del PSR della Valle d’Aosta 2000- 2006 e denotano che per ogni unità di superficie sono sempre rispettati i limiti massimo (0,5 UBA/ ha annui) e minimo (0,08 UBA ha/ annui) imposti dal regolamento; questo elemento risulta estremamente importante in quanto dimostra come il miglior utilizzo agronomico è totalmente compatibile con il rispetto dei parametri ambientali e permette una perpetuazione della biodiversità.

Il confronto con i dati reali di monticazione evidenziano che gli animali monticati nel comprensorio soddisfano in media i parametri, ma le problematiche emergono quando movimentazioni non sempre oculate vanno a creare squilibri di fertilità.

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2) Piano di gestione dei boschi Soggetto attuatore: Amministrazione regionale (proprietà pubbliche) / Privati Il presente piano considera esclusivamente i boschi presenti in Val Ferret in quanto nel versante della Val Veni ricompreso all’interno del SIC non vi sono estensioni boschive sufficienti.

I boschi della Val Ferret sono in parte di proprietà pubblica ed in parte di proprietà privata. La proprietà pubblica si concentra prevalentemente all’imbocco della valle, fino all’altezza di Lavachey. La proprietà privata è concentrata, invece, intorno ai nuclei abitati ed agli alpeggi (un tempo pascolati e/o sfalciati ed attualmente in fase di colonizzazione) nonché in tutta l’alta valle.

Per quanto concerne le proprietà pubbliche, queste appartengono totalmente al comune di Courmayeur; non esistono, infatti, proprietà di consorterie e/o frazioni, né beni indivisi. Per quanto concerne le proprietà private, si segnala la presenza del Consorzio di Lavachey. La massima parte del territorio della ZPS è occupato da terreno sterile (rocce e ghiacciai) non suscettibile di futura produttività. Il bosco occupa una parte limitata della ZPS, pari a poco meno del 10% della superficie totale.

La proprietà boscata di proprietà del Comune di Courmayeur è da lungo tempo assoggettata a piani di assestamento forestale, conosciuti con il nome di Piani Economici.

Gli obiettivi a cui bisogna puntare per la gestione selvicolturale dei boschi della Val Ferret sono innanzitutto quelli di garantire la biodiversità e la sostenibilità ecologico-ambientale, senza dimenticare l’esigenza, talora preponderante, della stabilità al fine di garantire la perpetuità della cenosi e la capacità di svolgere le funzioni che da essa ci si attende. Sulla base di questa osservazione è chiaro che le pratiche colturali proposte hanno come pilastro portante la messa in atto di tutte le azioni possibili al fine di assicurare e favorire la rigenerazione forestale, vera e propria ipoteca sul futuro del bosco.

Ogni categoria e/o tipo forestale ha delle caratteristiche diverse e dei modi di reagire diversi di cui bisogna tener conto nel momento in cui si vuole intervenire senza alterare i delicati equilibri ambientali che reggono il sistema bosco.

Gli indirizzi selvicolturali proposti vengono quindi distinti sulla base dei grandi complessi boscati.

Boscaglie pioniere: per questa categoria non si prevedono interventi di alcun tipo. In effetti, tutte le boscaglie pioniere della Val Ferret sono la conseguenza del passaggio di valanghe o del loro soffio. Di conseguenza non ha alcun senso prevedere interventi selvicolturali che vadano a cercare di far evolvere una cenosi che in realtà si trova in un evidente stato di blocco evolutivo. Tra l’altro questo popolamento è particolarmente interessante perché offre un adeguato riparo ad una vasta gamma di specie animali tra cui anche il Gallo forcello che proprio nel versante sinistro orografico, in cui si alternano le boscaglie pioniere al larici-cembreto su rodoro-vaccinieto, trova il suo ambiente ideale di vita e riproduzione. Differente è invece la situazione della boscaglia d’invasione su ex terreni agricoli intorno a La Palud. Questi popolamenti sono relativamente recenti in quanto di invasione su superfici agricole o pastorali abbandonate e pertanto molto instabili nel tempo, cioè destinati ad evolvere verso tipologie più “esigenti”. Gli interventi sono diversi a seconda del grado di evoluzione della cenosi, ovvero in base alla sua età. Se le specie forestali non sono ancora insediate conviene lasciare la cenosi alla libera evoluzione in attesa dell’arrivo della rinnovazione forestale. Là dove invece il Larice e l’Abete rosso sono già presenti bisogna valutare la necessità di intervenire con diradamenti nelle perticaie e comunque liberando la rinnovazione qualora questa sia soffocata dallo strato superiore di latifoglie. Individuati i soggetti di avvenire, si dovranno liberare dalle piante concorrenti rilasciando invece tutte quelle che, anche se storte o malformate, non costituiscono un problema per lo sviluppo dei “candidati”. Le latifoglie non vanno comunque mai completamente eliminate.

Arbusteti subalpini ad Ontano verde: nel caso degli alneti di Ontano verde, si sconsiglia vivamente qualsiasi tipo di intervento in quanto questa specie ha la facoltà di ricacciare vigorosamente dalle ceppaie tagliate ricoprendo in breve tempo l’intera superficie. In questo caso l’ontaneto ha esclusivamente una non trascurabile funzione ambientale di protezione verso numerose specie animali che ivi trovano rifugio. Nelle zone in cui l’ontaneto ha invaso prati-pascoli abbandonati costituendo un impedimento alla naturale espansione del bosco, come avviene a monte dell’Arp-Nouva, e comunque in zone non percorse da valanghe,

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può eventualmente avere un senso effettuare locali inserimenti di larice e abete rosso. Se l’obiettivo è quello di riconquistare le antiche zone a pascolo, si potrà tentare di recuperare le zone invase da ontano attraverso il pascolamento caprino. Questa tecnica è attualmente in fase di sperimentazione nella Haute-Savoie, con risultati più che positivi. Si tenga conto però che essa ha effetti incisivi solo sugli stadi giovanili dell’ontano verde e che in ogni caso le capre devono essere strettamente sorvegliate affinché non vadano a brucare all’interno del bosco vero e proprio.

Lariceti: cod. 9420 FORESTE ALPINE A LARIX DECIDUA E/O PINUS CEMBRA

L’elevata plasticità di questa specie fa si che esistano dei boschi di Larice fortemente eterogenei sicché sarà diverso l’atteggiamento con cui il selvicoltore deve porsi. Dove il lariceto rappresenta la naturale sequenza altitudinale della pecceta subalpina l’obiettivo è il raggiungimento della struttura a collettivi che rappresenta la forma più adatta e più stabile alle condizioni stazionali. A questo scopo bene si adattano i tagli a buche di piccole dimensioni. Alle quote più elevate il lariceto su rodoro-vaccinieto rappresenta il massimo dell’evoluzione. Molto spesso si tratta di boschi anticamente pascolati (lariceto pascolivo) ma che hanno ormai subito una notevole trasformazione con l’entrata delle specie tipiche del rodoro-vaccinieto, pur rimanendo ancora visibile l’antica struttura del popolamento. In altri casi invece si tratta di popolamenti pionieri su superfici prato-pascolive. In ogni caso, l’obiettivo è quello di ottenere un popolamento a collettivi stabili e ben strutturati. Quando già presenti, le piante di bordo dei collettivi devono sempre essere risparmiate così come vanno rilasciate quelle piante che potrebbero a prima vista sembrare delle concorrenti ma che in realtà svolgono il ruolo di accompagnatrici delle piante principali del collettivo. Altrimenti bisogna cercare di gestire al meglio la fase di transizione con interventi puntuali mirati alla strutturazione del popolamento, soprattutto nei fitti nuclei di Larice e Picea. Nelle porzioni di bosco poste verso il limite superiore della vegetazione arborea, in cui il popolamento è rado e generalmente strutturato per collettivi, bisogna lasciare le cenosi ad evoluzione naturale controllata, intesa come periodo di attesa e di monitoraggio al fine di osservare e comprendere le dinamiche evolutive future, prevedendo interventi solo in conseguenza del verificarsi di eventi traumatici di particolare gravità.

I lariceti pascolivi sono delle cenosi di chiara origine antropica. L’unico fattore che ne permette il mantenimento è la presenza continua nel tempo di animali domestici che, con il pascolamento, eliminano l’eventuale rinnovazione forestale nonché tutte quelle azioni svolte dai pastori, quali lo spietramento, la spalcatura ed il diradamento, che contribuiscono a portare luce al suolo e favorire quindi la cotica erbosa. Quest’ultima, costituita prevalentemente da poligonacee e graminacee tipiche dei pascoli, rappresenta un ulteriore elemento di freno allo sviluppo della cenosi forestale. Nel caso in cui si voglia ottenere un popolamento differente bisognerà vietare assolutamente il pascolo e provvedere a delle lavorazioni del terreno che determinino la rottura della cotica erbosa ed eventualmente al sottoimpianto di specie arboree. È chiaro che un intervento di questo genere è giustificato solamente nel caso di gravi problemi di stabilità, altrimenti è sufficiente aspettare che l’evoluzione naturale faccia il suo corso. In effetti, una volta venuti meno i fattori che determinano il blocco evolutivo della cenosi, questa evolverà, seppur molto lentamente, verso altre tipologie a seconda delle condizioni stazionali in cui ci si trova. Situazioni di questo genere sono facilmente riscontrabili nella Val Ferret; per esempio a monte di Frébouge, nell’attuale lariceto mesoxerofilo, si riconosce ancora la struttura del vecchio lariceto pascolato. Analoga osservazione può essere effettuata per il larici-cembreto su rodoro-vaccinieto diffusosi intorno agli alpeggi di Sècheron, Léchère e Lèche

Non bisogna invece dimenticare che, come accennato nella premessa di questo studio, il lariceto pascolato ha una rilevante valenza paesaggistica e “culturale”, e questo a maggior ragione nella Val Ferret. L’aspetto “pulito” del bosco unito alle gradevoli fioriture delle specie erbacee pascolive, rappresenta un notevole fattore di attrazione per i turisti. In questo caso è quindi consigliabile mantenere tali strutture assicurando un continuo carico animale che però non deve essere eccessivo al fine di scongiurare problemi legati al costipamento del suolo. Può essere, anzi, auspicabile ricreare questo ambiente là dove esso sta scomparendo oppure è già del tutto scomparso. I luoghi ideali sono ovviamente le zone circostanti agli alpeggi, possibilmente con pendenze ridotte. Queste andranno quindi attentamente scelte, tenendo conto inoltre del fatto che sono assolutamente da evitare le porzioni di bosco a protezione diretta di villaggi. Non bisognerà inoltre dimenticare che secondo l’articolo 23 delle Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale, il pascolo bovino nei boschi di neoformazione o sottoposti a taglio parziale, così come in quelli distrutti da eventi calamitosi, è subordinato all’autorizzazione dell’autorità competente.

La maggior parte dei lariceti montani della Val Ferret si sono originati in seguito ad eventi traumatici quali valanghe e/o alluvioni (vedi per esempio la cenosi forestale originatasi lungo il Torrent de Montitaz). Non si

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prevede in questo caso alcun tipo di intervento. Nei nuclei intorno agli abitati di Pont e nel Bois du Pont-Pailler si potrà invece continuare con un intervento simile a quello già realizzato dagli operai forestali della Direzione Foreste su superfici simili ed adiacenti tra il 2004 ed il 2005, avendo cura di liberare gradatamente i nuclei di rinnovazione di altre specie già insediatesi e di assecondarne lo sviluppo sotto copertura. L’obiettivo a medio-lungo termine è la progressiva sostituzione del Larice che avverrà attraverso più fasi miste. È importante comunque non eliminare mai completamente il Larice in quanto la sua presenza è una garanzia di ripresa del bosco in seguito ad eventi traumatici (funzione di portaseme). Si stima che una presenza di 20-30 larici ad Ha possano svolgere il ruolo di portaseme in caso di collasso della cenosi forestale principale. In ogni caso andranno salvaguardate e favorite le latifoglie presenti.

Nei lariceti a megaforbie è bene evitare gli interventi al fine di non favorire queste ultime che rappresentano un ostacolo alla rinnovazione forestale. Tale aspetto può essere limitato dalla presenza di necromassa al suolo che rappresenta un fattore di protezione per i semenzali delle specie forestali favorendone la germinazione e lo sviluppo. Questa attenzione va riposta anche in tutti quei casi di tipologie diverse dal lariceto a megaforbie ma che presentano localmente delle caratteristiche al limite fra le due tipologie con importanti elementi del megaforbieto, come nella zona a monte di Lavachey.

Nel lariceto mesoxerofilo subalpino non si prevedono interventi estesi. La cenosi è già caratterizzata da un elevato grado di luminosità, ed alle quote più basse il peccio tende ad entrare naturalmente nel lariceto ove lo sostituirà progressivamente, per lo meno nelle situazioni di maggiore freschezza come, ad esempio, a monte di Tronchey. In questo caso si può eventualmente ipotizzare un intervento volto ad assecondare l’entrata e lo sviluppo dell’Abete rosso là dove questo è già insediato, ovvero attorno al nucleo di pecceta indicato in cartografia. Oltre i 1800 - 1850 m il lariceto mesoxerofilo è verosimilmente in una situazione di blocco o comunque ad evoluzione lentissima. Si possono tuttalpiù prevedere interventi puntuali mirati al recupero della struttura a collettivi là dove questa è carente.

Il lariceto dei campi di massi non ha praticamente alcuna vocazione forestale. I condizionamenti stazionali sono evidenti e la dinamica evolutiva risulta bloccata dall’esiguità di terreno su cui svilupparsi nonché localmente anche da una certa instabilità del versante con la ciclica caduta di massi dall’alto. Non si prevedono pertanto interventi selvicolturali.

Il lariceto di greto è strettamente legato alla dinamica fluviale. Nelle zone marginali ove le piene sono meno ricorrenti esso può evolvere verso altre tipologie. Nei pressi dell’’immenso conoide del Torrent de Triolet questa evoluzione è ben visibile e sta portando questa cenosi verso un larici-cembreto su rodoro-vaccinieto. Esso, tuttavia, è da ritenersi poco stabile e quindi da lasciare ad una evoluzione naturale.

Per concludere questa trattazione sui lariceti è interessante far notare come l’abete rosso stia progressivamente rinnovando al di sotto della copertura del Larice. Per ora, salvo in stazioni al di fuori del suo areale ove è del tutto assente, l’abete rosso è presente essenzialmente nelle classi diametriche inferiori, ma in un futuro non troppo lontano esso prenderà probabilmente il sopravvento sul Larice, perlomeno nelle stazioni più fresche e più congeniali a questa essenza. Significativo è l’esempio del nucleo boscato a monte di Mayencet che, nel 1967, in occasione del cavallettamento totale effettuato nell’ambito della redazione del primo piano di assestamento del Comune di Courmayeur, si presentava come un bosco puro di larice, mentre oggi giorno, a distanza di soli 40 anni, seppur con abbondante larice, esso costituisce di già una pecceta.

Pecceta endalpica e subalpina: cod. 9410 FORESTE ACIDOFILE MONTANE E ALPINE DI PICEA

(Vaccinio-Piceetea) La pecceta rappresenta il grado massimo di evoluzione delle cenosi forestali tra i 1700 e i 2000 m e in quanto tale va mantenuta e perpetuata nell’ambito di questa fascia altitudinale. L’ideale sarebbe di ottenere una fustaia disetanea mista di Abete rosso e Larice con l’eventuale presenza di Abete bianco. Attualmente le peccete della Val Ferret sono ancora lontane da questa situazione, più dal punto di vista della strutturazione che da quello del grado di mescolanza. Infatti, le fustaie di abete rosso sono tendenzialmente coetaneiformi con una grossa carenza di piante appartenenti alla classe di diametro inferiore.

La priorità assoluta deve essere quella di ringiovanire il bosco che si trova ad essere attualmente in una fase “matura” con un eccesso di provvigione ad ettaro determinata dal gran numero di piante appartenenti alla classe diametrica media-superiore. La messa in rinnovazione del bosco deve avvenire su piccole superfici in

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modo da creare a medio termine una foresta disetanea per gruppi. In linea generale, gli interventi a carico delle peccete dovranno essere eseguiti con lo scopo di favorire lo sviluppo dei collettivi già costituiti o di strutturarne di nuovi. Nel piano subalpino, ove la pecceta è in transizione verso il lariceto, il popolamento tende ad essere naturalmente strutturato per collettivi, in mescolanza con il larice, ed in alternanza con ampie zone aperte ed occupate da vegetazione erbacea. In tale ambito, caratterizzato da una struttura ed una mescolanza maggiormente diversificate e con una naturale tendenza alla disetaneizzazione, si potrà intervenire con tagli a scelta assecondando e/o creando la tipica struttura a collettivi, che offre maggiori garanzie di stabilità. Nell’ambito di queste fustaie, il collettivo va considerato come un individuo unico e pertanto, se utilizzato, dovrà essere interamente prelevato, pena la grave destabilizzazione delle piante rilasciate.

Là dove si riscontra la presenza di perticaia bisogna valutare attentamente l’opportunità di liberare con una certa urgenza l’Abete rosso in modo da evitare periodi di aduggiamento troppo lunghi che renderebbero la specie incapace di reagire ad una successiva liberazione. Bisogna porre attenzione a non incorrere nel rischio della monospecificità, tendenza che purtroppo è in atto in più punti. In questi casi bisogna assolutamente favorire il larice, portando sufficiente luce all’eventuale rinnovazione o, nel caso in cui questa sia assente, creando buche su micro-zone favorevoli al Larice, quali i dossi ed in ogni caso le zone a suolo minerale, le cui dimensioni e orientamento andranno attentamente valutate al fine di apportare il giusto grado di calore necessario allo sviluppo dei semenzali. Si tenga conto che la rinnovazione di Abete rosso diminuisce il suo grado di concorrenzialità qualora la luce diretta soggiunga per più di 3 ore nel periodo estivo. La presenza di alcuni individui di larice, meglio se a chioma profonda, è molto importante sia per le condizioni di luce diffusa che creano all’interno del bosco e che sono molto favorevoli alla rinnovazione delle specie sciafile, sia per il ruolo di portaseme che possono svolgere nel caso di collasso del popolamento principale (l’abete rosso in effetti è più soggetto ad attacchi parassitari su grande scala). In presenza di grossi individui di abete bianco (zona di Rochefort) provare a ricreare zone di luce diffusa in modo da favorirne la rinnovazione ed aumentare il grado di mescolanza della cenosi forestale.

Nei tratti di copertura molto densa bisognerà invece limitarsi a favorire i soggetti più stabili prestando attenzione a non destabilizzare il popolamento circostante. In questo caso sarà più prudente effettuare più interventi successivi dilazionati nel tempo in modo da non isolare troppo rapidamente grandi superfici coetaneiformi.

Nei versanti esposti a nord, in presenza di megaforbie che costituiscono un importante fattore di limitazione della rinnovazione naturale per via del soffocamento esercitato sui semenzali, è di fondamentale importanza rilasciare le ceppaie ribaltate in loco nonché tronchi e piante schiantate, con l’accortezza di sistemare quest’ultime trasversalmente alla linea di massima pendenza in maniera da rappresentare un ostacolo allo scorrimento della neve e delle pietre. È noto infatti come la rinnovazione delle specie arboree, in certe condizioni di elevata concorrenza erbacea, si insedi più facilmente sulle vecchie ceppaie od i tronchi in via di decomposizione ed in ogni caso in posizione sopraelevata, dove non subiscono la concorrenza delle megaforbie.

In ogni caso bisogna rispettare e se possibile favorire le latifoglie presenti. Per quanto riguarda la composizione specifica e la struttura dei singoli popolamenti, occorrerà verificare progressivamente la risposta degli stessi agli interventi effettuati, in modo da poter apportare eventuali correzioni a quanto previsto. Alle quote inferiori si favoriranno le latifoglie nobili, anche attraverso rinfoltimenti nei casi di densità eccessivamente ridotta.

Pinete di pino Montano cod. 9430(*) BOSCHI SUBALPINI E MONTANI A PINUS UNCINATA (*se su suolo gessoso o calcareo) Per questa categoria non si prevedono interventi di alcun tipo, in quanto, tali popolamenti si sono insediati su versanti detritici superficiali e ricchi di scheletro, ad elevata pendenza e regolarmente percorsi da valanghe o in ogni caso dal loro “soffio”. Trattandosi di cenosi che in realtà si trova in evidente stato di blocco evolutivo, non ha quindi senso prevedere interventi selvicolturali.

Rimboschimenti: un’ultima considerazione va effettuata per quanto riguarda i rimboschimenti che, come abbiamo visto, sono stati numerosi e ripetuti nel tempo, soprattutto all’imbocco della valle. In linea generale i risultati sono stati mediocri, anche se localmente invece le piantine messe a dimora si sono riprese bene e

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hanno avuto un egregio accrescimento. È soprattutto nell’ambito dei popolamenti artificiali più vecchi, caratterizzati da un eccesso di densità, che bisogna porre attenzione alle fasi giovanili del bosco. In questo caso si dovrà riporre notevole sensibilità nella martellata in quanto i gruppi presenti sono costituiti da alberi filati a causa della elevata concorrenza tra gli individui per la ricerca della luce. Il rapporto troppo elevato tra altezza e diametro è indice di un elevato grado di instabilità sul quale bisognerà vegliare al momento della martellata, sapendo che degli individui filati, se bruscamente isolati, sono facilmente soggetti a sciabolatore se non addirittura a schianti generalizzati. Bisognerà quindi:

eliminare la concorrenza ai soggetti più stabili permettendo a questi di aumentare il diametro e di equilibrare le chiome, il che si ripercuoterà favorevolmente anche sulla solidità dell’apparato radicale e sulla facoltà di fruttificazione;

Eliminare le piante instabili là dove si valuti che lo sradicamento di queste possa causare danni alle piante limitrofe o provocare la messa in movimento di pietre o comunque instaurare processi di instabilità del suolo;

Mantenere in ogni caso le piante sottoposte in seguito a selezione naturale in quanto la concorrenza che queste esercitano è molto limitata, mentre è di grande interesse il ruolo che possono svolgere nel mantenimento di un microclima locale favorevole alla rinnovazione all’interno del bosco;

Bisognerà infine valutare la possibilità di lasciare le piante abbattute in bosco in maniera tale che queste rendano difficoltoso l’accesso agli ungulati selvatici, scongiurando l’azione di brucamento sulla rinnovazione.

In sintesi le principali prescrizioni prettamente selvicolturali per le varie tipologie riguardano:

• cure colturali nei tratti di perticaia e spessina;

• sfolli nei nuclei fitti di rinnovazione;

• cure colturali e diradamenti nei vecchi rimboschimenti;

• cure colturali in alcuni tratti di lariceto montano;

• tagli a buche per lo svecchiamento e la strutturazione della pecceta.

Si riportano di seguito le indicazioni selvicolturali relative a tutte le tipologie fondamentali con lo scopo di garantire la biodiversità, la sostenibilità ecologico-ambientale e la stabilità:

1. Mantenere una presenza adeguata di piante morte, annose o deperienti, utili alla nidificazione ovvero all’alimentazione dell’avifauna e all’entomofauna, previa verifica della compatibilità delle stesse con le esigenze fitosanitarie e selvicolturali.

1. Favorire e/o mantenere struttura disetanea mista dei soprassuoli e conservare forme diversificate di sottobosco.

2. Conservare prati, radure e chiarie all'interno del bosco anche di medio/piccola estensione; 3. Rispettare nidi e tane, specchi d’acqua e zone umide anche temporanee, ecotoni e stazioni di flora

protetta nella realizzazione di qualsiasi intervento. 4. Utilizzare, in caso di rimboschimenti, materiale di provenienza locale che presenti una buona

adattabilità all’ambiente. 5. Assicurare, in aree caratterizzate da situazioni di dissesto, modalità di gestione attiva utilizzando le

indicazioni operative per la gestione dei boschi di protezione.

Buone pratiche:

1. Evitare l’uso irrazionale del bosco, preservando le aree in cui l’affermazione della rinnovazione forestale o il mantenimento della composizione specifica e della tessitura del popolamento possono essere gravemente compromessi dal calpestio e dalla conseguente alterazione delle caratteristiche pedologiche degli orizzonti superiori del suolo.

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2. Evitare la creazione di margini interni instabili e di effetti lineari nei tagli effettuati per linee elettriche e reti tecniche di supporto, salvaguardando la naturale tessitura del bosco, evitando di creare margini e favorendo il mantenimento in efficienza strutturale di gruppi di alberi.

3. Ridurre lo sci fuori pista e il transito di mezzi motorizzati nel bosco.

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3) Monitoraggio Soggetto attuatore: Amministrazione Regionale o istituti di ricerca

Il monitoraggio riguarda gli habitat prioritari, gli habitat e le specie di flora e di fauna presenti negli allegati delle Direttive 79/409/CEE e 92/43/CEE, nonché specie ritenute interessanti a livello locale.

Le attività di monitoraggio sono attuate secondo criteri di priorità definiti sulla base delle schede di valutazione ecologica degli habitat e delle specie che, alla luce degli studi effettuati, risultano particolarmente sensibili e minacciati, al di là dello stato di conservazione spesso buono.

Per gli habitat e le specie il cui stato di conservazione è ottimo o buono e non sussistono minacce verranno definiti monitoraggi con frequenze maggiori, nel lungo periodo, sulla base delle caratteristiche degli habitat stessi.

Alcuni monitoraggi sono già in corso da anni, altri verranno attuati nel breve periodo, altri successivamente, anche sulla base di ulteriori approfondimenti scientifici.

Si riportano, di seguito, gli habitat e le specie per i quali si ritiene necessario attivare il monitoraggio nel breve periodo.

Habitat

3160 Laghi e stagni distrofici naturali

6410 Praterie con Molinia su terreni calcarei torbosi e argillo-limosi (Molinion caerulae)

7110 Torbiere alte attive

7140 Torbiere di transizione e instabili

7230 Torbiere basse alcaline

Dalla scheda della valutazione ecologica, risulta che il trend di questi habitat ha un andamento negativo, quindi, per la loro conservazione occorre prevedere il monitoraggio sulla base degli inidirizzi gestionali riportati nella sopracitata scheda. Il soggetto gestore/responsabile individuerà, tra le diverse azioni di monitoraggio previste nella scheda, quelle che meglio rispondono alla situazione specifica.

Flora

Cypripedium calceolus in Alleagto II della Direttiva 92/43/CEE, secondo la metodologia espressa nella scheda della valutazione ecologica.

Fauna

Specie già oggetto di monitoraggio:

Ungulati (Capra ibex, Rupicapra rupicapra) in Alleagto V della Direttiva 92/43/CEE secondo la metodologia espressa nella scheda inserita nel capitolo “Valutazione delle esigenze ecologiche”, gestito dall’Ufficio fauna selvatica della Direzione flora, fauna, caccia e pesca dell’Assessorato agricoltura e risorse naturali e condotto dal Corpo forestale della Valle d’Aosta.

Galliformi alpini (Tetrao tetrix, Lagopus muta helvetica, Alectoris graeca saxatilis), in Allegato I della Direttiva 79/409/CEE secondo la metodologia espressa nella scheda inserita nel capitolo “Valutazione delle esigenze ecologiche”, gestito dall’Unfficio fauna selvatica della Direzione flora, fauna, caccia e pesca dell’Assessorato agricoltura e risorse naturali e condotto dal Corpo forestale della Valle d’Aosta.

Rapaci diurni (Gypaetus barbatus e Aquila chrisaetos), in Allegato I della Direttiva 79/409/CEE secondo la metodologia espressa nella scheda inserita nel capitolo “Valutazione delle esigenze ecologiche”, gestito dall’Unfficio fauna selvatica della Direzione flora, fauna, caccia e pesca dell’Assessorato agricoltura e risorse naturali e condotto dal Corpo forestale della Valle d’Aosta.

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Specie oggetto di monitoraggi attivati di recente

Rapaci notturni (Aegolius funereus, Glaucidium passerinum, Strix aluco, Bubo bubo, Asio otus) in Allegato I della Direttiva 79/409/CEE, effettuata da esperti del settore.

Specie oggetto di monitoraggio nel lungo termine

Rana temporaria, in Alleagto IV della Direttiva 92/43/CEE, secondo la metodologia espressa nella scheda inserita nel capitolo “Valutazione delle esigenze ecologiche”, effettuato da esperti del settore

Gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax) in Allegato I della Direttiva 79/409/CEE secondo la metodologia espressa nella scheda inserita nel capitolo “Valutazione delle esigenze ecologiche”, effettuata da esperti del settore

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4) Gestione dei siti di Maculinea arion in Val Ferret Soggetto attuatore: Allevatori / proprietari dei terreni Maculinea arion è una farfalla diurna elencata negli Allegati della Direttiva Habitat e presente nell’area protetta. La specie vive per lo più in ambienti aperti, con una buona diversità floristica, presenza di timo e di formiche ospite del genere Myrmica.

Per la conservazione della specie è necessaria una gestione attiva degli habitat prativi cha la ospitano.

In particolare risulta importante mantenere una prateria con erba non troppo alta, circa 3-5 cm, di modo che il timo riesca a fiorire. Bisogna quindi evitare che gli ecosistemi evolvano verso la formazione climacica del bosco, causata spesso dall’abbandono delle attività silvo-pastorali di montagna.

Per il controllo dei patch di bosco, per prevenire la crescita di specie erbacee ed arbustive e per mantenere un tappeto erboso di circa 3-5 cm si consiglia un pascolo bovino od ovino in primavera-inizio estate. Tale pratica va poi interrotta da Giugno a Luglio per permettere la fioritura del timo ed evitare l’eccessivo calpestio al suolo, soprattutto durante il periodo dell’ovideposizione e dell’abbandono della pianta nutrice da parte delle larve.

I siti studiati si presentano molto diversificati e quindi la gestione e la conservazione degli ambienti deve essere differenziata:

● nell’area di Rochefort, soggetta attualmente a pascolo, si deve mantenere un certo grado di pascolamento bovino od ovino da Aprile a Maggio, mentre è da evitare da Giugno ad Agosto. Si può riprendere il pascolo alla fine di Settembre per il periodo autunnale;

● nel sito di Arpnouva (pascolato) in cui sono evidenti i segni del sovrapascolamento e nel sito di Neyron che presenta una bassa diversità vegetazionale si deve evitare l’attività antropica, per almeno 2-3 anni, per permettere il ristabilirsi di una normale successione vegetale verso la prateria alpina. Negli anni seguenti si potrà ricominciare il pascolo bovino od ovino con le modalità indicate precedentemente;

● nelle aree non pascolate, idonee alla sopravvivenza della farfalla, quali Montitaz , Meyen e Pont-Tronchey si dovrebbe impedire che l’habitat principale evolva verso la formazione boschiva, mantenendo un basso tappeto erboso tramite la rimozione di giovani alberi e arbusti e lo sfalcio, effettuato all’inizio dell’autunno, tra Settembre ed Ottobre (il microhabitat del nido di Myrmica spp non è turbato dal taglio dell’erba) e ripetuto ogni 4-5 anni;

● nelle aree non pascolate di particolare interesse, come i siti di Pont (area Golf) e di Planplincieux, è necessario evitare un eccessivo afflusso turistico o la realizzazione di strutture ricettive. Data la presenza della specie Maculinea arion in prossimità del complesso di campi da golf, qualsiasi intervento di ampliamento dell’area di gioco è da evitare o da sottoporre a rigorosa valutazione di incidenza che esamini la fattibilità dell’opera e le possibili conseguenze sulla specie in studio e sul suo habitat.

Per l’attuazione delle misure sopra indicate possono essere previsti specifici disciplinari per gli allevatori i cui obblighi siano remunerati attraverso la misura 213 “Indennità Nautra 2000” del PSR L’individuazione puntuale delle aree interessate dalle misure di gestione è riportata sulla cartografia allegata.

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5) Regolamentazione fruizione.

Soggetto attuatore: Comune Le misure di conservazione di carattere puntuale e le allegate cartografie prevedono zone e/o percorsi ad accesso limitato o vietato. Tali aree dovranno essere chiaramente individuate e delimitate sul terreno, tramite il posizionamento di apposita cartellonistica, che illustri le motivazioni delle prescrizioni e barriere o staccionate che impediscano, dove necessario, l’accesso.

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ELENCO CARTOGRAFIE GESTIONALI

1. Carta forestale 2. Fruizione 1: Eliski 3. Fruizione 2: Pareti rocciose 4. Fruizione 3: Sentieri 5. Fruizione 4: Zone sensibili Fauna 6. Gestione zone umide: calpestio, pascolamento, sosta 7. Siti Maculinea arion