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MINISTERO DELL'INTERNO Sede didattico residenziale XXX Corso di formazione dirigenziale per l'accesso alla qualifica di Viceprefetto Anno 2017 Il fenomeno dell'immigrazione ed il processo di integrazione con particolare riferimento alla accoglienza nazionale e comparata Project Work Candidati: Sabina Di Martino Alessandra Leccisi Silvia Mari Cesarini

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MINISTERO DELL'INTERNO

Sede didattico residenziale

XXX Corso di formazione dirigenziale per l'accesso alla qualifica di Viceprefetto

Anno 2017

Il fenomeno dell'immigrazione ed il processo di integrazione con particolare

riferimento alla accoglienza nazionale e comparata

Project Work

Candidati:

Sabina Di Martino

Alessandra Leccisi

Silvia Mari Cesarini

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"Il fenomeno dell'immigrazione ed il processo di integrazione con particolare riferimento alla

accoglienza nazionale e comparata"

ABSTRACT

Il complesso tema dell'immigrazione, di estrema attualità e rilevanza nel dibattito politico,

giuridico, nazionale ed europeo, viene affrontato nel presente lavoro con riguardo agli aspetti

dell'accoglienza e della integrazione dei migranti, con una attenzione particolare rivolta all'esame di

modelli di eccellenza nazionali ed europei.

Viene più volte affermato, da parte di autorevoli esponenti del nostro tempo, che senza una valida

programmazione e pianificazione dell'integrazione dei migranti viene vanificato lo stesso sistema di

accoglienza. L'attuazione del processo di integrazione, infatti, contribuisce alla sicurezza nazionale

in quanto, come insegnano i più recenti eventi di terrorismo accaduti in Europa, una mancata

integrazione agevola l'impiego di manovalanza extracomunitaria da parte della criminalità

organizzata e terroristica.

Le tematiche trattate sono state oggetto di approfondimento in quanto costituiscono le priorità

fondamentali del Ministero dell'Interno, preposto ad individuare le strategie nazionali e a far fronte

alle esigenze di accoglienza dei migranti attraverso il prezioso contributo delle Prefetture, chiamate

a svolgere quotidianamente un ruolo sempre più determinante in ambito territoriale.

Appare di fondamentale rilevanza che il sistema di accoglienza nazionale preveda fin dall'inizio

l'avvio di un concreto percorso di inclusione nel tessuto sociale.

A tale riguardo si propone, come modello italiano di riferimento, quello della Prefettura di Udine,

dove la lungimiranza e la capacità di coinvolgimento del territorio da parte del Prefetto hanno reso

possibile l'inserimento di richiedenti protezione internazionale in progetti di formazione e lavoro,

stipulando convenzioni con enti locali e soggetti dell'imprenditoria, in particolare del comparto

artigianale.

Questo modello è da ritenersi esportabile anche in altri contesti territoriali del nostro Paese: la

peculiarità del modello è data dalla attivazione nel territorio di più attori coinvolti che, operando

contemporaneamente ed in piena sintonia, contribuiscono a realizzare un sistema di accoglienza ed

integrazione dove ciascun soggetto mette a disposizione le proprie competenze e risorse per favorire

l'integrazione dei giovani migranti nel tessuto sociale ed economico locale, in un'ottica di reciproca

crescita umana e professionale.

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Il presente lavoro è articolato in tre parti: nella prima parte vengono esaminati e approfonditi gli

aspetti del fenomeno dell'immigrazione nel suo complesso, la rete del sistema accoglienza nazionale

e le scelte strategiche messe in campo dal Ministero dell'Interno; nella seconda parte viene

focalizzata l'attenzione sul processo di integrazione e le relative dinamiche; nella terza parte

vengono approfonditi gli aspetti della accoglienza nazionale e comparata con la dettagliata

presentazione del “Modello di accoglienza della Prefettura di Udine”, ritenuto esempio di

eccellenza, da proporre come virtuoso riferimento anche per altri contesti territoriali nazionali.

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INDICE

PARTE PRIMA: La vasta portata del fenomeno migratorio e le relative

implicazioni...................................................................pag. 1

(Alessandra Leccisi)

PARTE SECONDA: L'integrazione necessaria e possibile.......................pag. 19

(Silvia Mari Cesarini)

PARTE TERZA: Il principio di accoglienza nazionale e comparata. L'esempio

virtuoso del “Modello della Prefettura di Udine”...........pag. 39

(Sabina Di Martino)

CONCLUSIONI FINALI............................................................................pag. 65

ALLEGATI..................................................................................................pag. 66

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Il fenomeno dell’immigrazione e il processo di integrazione con particolare

riguardo all’accoglienza nazionale e comparata.

I flussi migratori sono ormai un fenomeno strutturale nel Mediterraneo,

impressionante per la quantità di persone coinvolte, e tendono a configurarsi sempre

meno come emergenze cicliche e sempre più come un fenomeno di lungo termine e

di portata storica, in quanto effetto di un concorso di fattori strutturali e

congiunturali: le guerre, dittature sanguinarie, le carestie, le diseguaglianze

economiche a causa degli squilibri reddituali tra diverse regioni del mondo, i disastri

ambientali per i grandi cambiamenti climatici, la cronica instabilità politica di molte

aree, l'aumento esponenziale della popolazione in numerosi Stati le cui economie non

sono in grado di assorbire la nuova forza lavoro.

E’ un fenomeno sociale di natura epocale, che pone sfide drammatiche alle

comunità nazionali e a quella internazionale, sollevando problematiche sociali,

politiche, economiche, legate non solo all’accoglienza, ma ad un percorso di giustizia

e di “promozione umana”, che impone soluzioni non più estemporanee e a carattere

emergenziale ma, al contrario, richiede una forte e lungimirante politica di

cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato.

Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da

cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate

normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi degli

ordinamenti degli Stati membri, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i

diritti delle persone, e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società

di approdo degli stessi emigrati che di fonte a emergenze straordinarie di flussi in

ingresso hanno vissuto una sorte di “sindrome da assedio”.

La problematica dell’immigrazione richiede dunque risposte all’altezza di

principi fondamentali di rango costituzionale, che costituiscono il presidio inviolabile

di tutela degli stranieri nel nostro ordinamento giuridico. La dignità della persona,

infatti, non si ferma alla frontiera, l’immigrato non può essere ridotto a merce o forza

lavoro e pertanto meritevole di tutela perché funzionale all’economia di un paese.

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Egli è innanzitutto un uomo e come persona, prima ancora che come straniero, egli è

depositario di diritti inviolabili la cui tutela supera i confini geografici.

E’ quindi necessario che l’Italia e l’Europa ripensino la propria “casa comune”

come spazio plurale alla luce della tutela di un diritto fondamentale che fa parte delle

nostre democrazie: il diritto alla protezione internazionale.

Occorre dare risposte sia a chi fugge dalla guerra, sia a coloro che scappano

dalla fame; è la grande questione del momento: la distinzione tra rifugiati e

richiedenti asilo, ovvero migranti forzati che sono costretti a lasciare la propria casa

per ragioni legate a persecuzioni, non avendo altra scelta per salvarsi la vita e

migranti economici, cioè persone che partono per libera scelta nel tentativo di

migliorare le proprie condizioni. Oggi questa distinzione rischia di diventare lo

strumento attraverso cui vengono rifiutate e respinte alcune persone che hanno subito

un itinerario di violenza, di perdita della propria casa, della propria identità, del

proprio lavoro. Da ciò l’esigenza di interpretare correttamente ciò che sta avvenendo

oggi, dove la migrazione economica e la migrazione forzata si confondono e si

delinea la necessità di allargare le forme di protezione internazionale.

In Italia non esiste una legge organica sull’asilo; il nostro sistema è fondato su

una normativa frammentata, stratificata in una serie di leggi e decreti e non ha

assicurato una capacità di risposta omogenea ed articolata da fronteggiare

adeguatamente la sfida di accogliere i richiedenti asilo e i rifugiati accompagnandoli

verso l’integrazione.

Il diritto di asilo è annoverato tra i diritti fondamentali dell’uomo e garantito

dall’art. 10, comma 3 della Costituzione italiana, che riconosce allo straniero, al

quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche

garantite dalla Costituzione Italiana, il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica,

“secondo le condizioni stabilite dalla legge”, ossia il diritto soggettivo di entrare e di

soggiornare nel territorio dello Stato, almeno al fine della presentazione alle autorità

italiane della domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato. Ne

discende che la sola negazione dei diritti delle libertà democratiche viene

considerata nel nostro ordinamento una condizione sufficiente per fruire del diritto di

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asilo, anche se non vi sia una persecuzione individuale, condizione richiesta dalla

Convenzione di Ginevra del 1951, che esplica una funzione di tutela dei rifugiati,

impegnando gli Stati contraenti a garantire a costoro i diritti fondamentali e ad

osservare il principio di non refoulement di cui all’art. 33, non respingendo, in

nessun modo, un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà

sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad

un determinato gruppo sociale o opinione politica.

Alla luce del suddetto Trattato, è da riconoscere lo status giuridico di rifugiato

a “colui che per fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione,

nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si

trova fuori dal territorio del Paese di cui è cittadino, e non può o non vuole, a causa

di tale timore, avvalersi della protezione del suo Paese d’origine” .

Nell’ordinamento italiano allo straniero cui è stato riconosciuto lo status di

rifugiato è rilasciato un permesso di soggiorno della durata di cinque anni,

rinnovabile alla scadenza.

Il Sistema di accoglienza in Italia

La procedura di vaglio della domanda di asilo, (denominata domanda di

protezione internazionale in base al D.Lgs. n. 25/2008 attuativo della Direttiva

2005/85/CE relativa alle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato),

può portare al riconoscimento di status differenti: rifugiato, beneficiario di protezione

sussidiaria o beneficiario di protezione umanitaria, categorie per le quali il nostro

ordinamento prevede percorsi di accoglienza diversificati da avviare in centri

differenti sia per la natura dell’ente gestore (istituzionale o del privato sociale), sia

per gli obiettivi (prima o seconda accoglienza), per l’approccio assistenzialista o

progettuale, per il carattere nazionale o locale del sistema di rete entro il quale il

centro di accoglienza è inserito, per le caratteristiche strutturali (centri collettivi o

appartamenti singoli) e per la capacità ricettiva e la tipologia dei servizi erogati.

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Innanzitutto, coloro che arrivano nel nostro Paese in stato di necessità sono

accolti in strutture di prima accoglienza, centri governativi, destinati ad un primo

soccorso allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale.

Tali centri sono istituiti su tutto il territorio nazionale dopo una serie di

disposizioni che sono andate progressivamente ad integrarsi l'una con l'altra,

denominati:

- Centri di primo soccorso ed assistenza (CPSA);

- Centri di accoglienza (CDA);

- Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA );

- Centri di identificazione ed espulsione (CIE );

- Centri di accoglienza straordinaria (CAS)

La prima accoglienza per migranti e richiedenti asilo dovrebbe caratterizzarsi

come una misura di soccorso e prima assistenza dei beneficiari nella "fase

dell'emergenza", nell'ottica di una loro successiva integrazione nel tessuto sociale del

paese ospitante.

La permanenza all’interno dei CPSA e dei CDA, localizzati in prossimità dei

luoghi di sbarco, è limitata ad una prima rilevazione dei dati personali dei neo-

arrivati per stabilirne l’identità e la legittimità della loro permanenza sul territorio al

fine di disporne l’allontanamento.

Infatti, nei confronti di tali migranti che non sono intenzionati a presentare

domanda di protezione internazionale, si dispone l’espulsione (o respingimento)

preceduta da un eventuale trattenimento all’interno del Centro di identificazione e di

espulsione.

Diversamente, se il migrante presenta domanda di protezione, viene trasferito

in un Centro di accoglienza per i richiedenti asilo e rifugiati (CARA), strutture che, a

partire dal 2008, sostituiscono i Centri di identificazione.

Mentre l’accoglienza nei CPSA e CDA è normalmente antecedente alla

presentazione della domanda di asilo, il sistema dei CARA rappresenta a lungo il

fulcro del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo in Italia, presentando notevoli

criticità.

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Un primo elemento che desta preoccupazione riguarda i tempi di accoglienza

in quanto, seppure la legge prevede che il richiedente debba essere ospitato nel

centro per il tempo strettamente necessario al completamento delle procedure, in

realtà i tempi effettivi di soggiorno dei richiedenti asilo appaiono essere decisamente

più lunghi (sei mesi). Tali ritardi sono da imputare da un lato al fatto che la procedura

per il riconoscimento dello status di protezione internazionale ha tempistiche più

lunghe rispetto a quelle dettate dalla norma e, dall'altro, alla difficoltà di inserimento

dei richiedenti asilo nelle strutture di seconda accoglienza (SPRAR), a causa della

loro scarsa capacità ricettiva.

I CARA si sono quindi trasformati da luoghi in cui ospitare i richiedenti asilo

esclusivamente per la durata della procedura, in luoghi in cui i rifugiati rimangono

anche dopo il riconoscimento dello status.

Un secondo aspetto da rilevare riguarda la scelta degli spazi dedicati a tali

strutture. I CARA, infatti, sono strutture di grandi dimensioni, che nella maggior

parte dei casi venivano precedentemente utilizzate per altri scopi (ex edifici

industriali, ex aeroporti, ex saline, ex caserme). Si trovano in zone periferiche e

isolate dal resto del territorio, circondati da recinzioni, per cui, da un punto di vista

strutturale, la funzione di accoglienza sembra essere marginale rispetto a quella di

contenimento. Peraltro, il fatto di essere in molti casi costituite da container o

prefabbricati, appaiono inadatte a fornire condizioni di accoglienza dignitose.

Dall’inizio degli anni 90, l’Italia ha accolto decine di migliaia di persone in

fuga non solo da persecuzioni individuali, ma anche da situazioni di violenza

generalizzata, e l’intensificarsi degli sbarchi quali quelli provenienti dall’area

balcanica, dalla Somalia (a seguito dell’inizio della guerra civile nel 91) e dalle

Repubbliche dell’ex Iugoslavia, insieme al fatto che i flussi migratori sono stati di

carattere misto (soggetti in cerca di protezione e migranti economici) hanno reso

complicato strutturare un sistema di accoglienza rispondente sia all’obiettivo di

favorire la tutela dei diritti e della protezione umana, sia al rispetto delle regole

generali di ingresso e di soggiorno.

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In assenza di una normativa organica in materia di asilo, e più in generale in

mancanza in Italia di un vero e proprio sistema di accoglienza, e soprattutto di un

modello di pianificazione, si assiste al fatto che di fronte alle emergenze, invece di

dare risposte dignitose ed efficaci a chi arriva sul nostro territorio, i posti dedicati

alla prima accoglienza non solo sono saturi, ma già sovraffolati con presenze che

superano la capienza effettiva prevista.

Dunque i Centri di prima accoglienza sono i primi ad essere entrati in crisi,

costringendo il governo italiano a trovare tempestivamente soluzioni ancora una

volta emergenziali.

Pertanto la compresenza in tali Centri di persone accolte afferenti a status e

tipologie di accoglienza diverse non hanno reso facile la gestione.

Il Ministero dell’Interno di fronte a tali eventi eccezionali per rilevanti esigenze

umanitarie, richiede con urgenza alle Prefetture di tutta Italia di reperire nuovi posti

di accoglienza, riconoscendo uno “status umanitario” di carattere temporaneo, valido

anche per motivi di lavoro e studio e così procede nel fronteggiare il susseguirsi delle

contingenze connesse ai nuovi sbarchi.

L’Italia dunque sconta la totale assenza di un dispositivo nazionale di

accoglienza; la carenza sul territorio nazionale di un tale sistema di accoglienza a

favore dei migranti forzati è colmata dalle organizzazioni del terzo settore, che

garantiscono in modo estemporaneo i livelli minimi di accoglienza ed assistenza,

assicurando i servizi necessari ai richiedenti asilo sulla base di iniziative spontanee e

non coordinate, realizzate con slancio volontaristico.

Nel “T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e

norme sulla condizione dello straniero” (D.Lgs n. 286 del 25 luglio 1998) vengono

introdotte diverse disposizioni che intervengono su importanti aspetti della materia

concernenti l’asilo, confermando il principio di “non refoulement” (art. 19), già

contemplato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 e cioè il divieto degli

Stati firmatari di espellere o respingere alla frontiera richiedenti asilo e rifugiati e di

non rimandarli in Paesi in cui potrebbero subire trattamenti inumani e degradanti, e

introducendo all’art. 20 la cosiddetta “protezione temporanea” in caso di eventi

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eccezionali per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri

naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione

Europea, prevedendo altresì l’istituzione dei centri di prima accoglienza per stranieri

presenti regolarmente sul territorio dello Stato (art. 40).

Tale ultimo articolo definisce la possibilità che le Regioni, in collaborazione

con le Province e con i Comuni, e con le associazioni e le organizzazioni di

volontariato, allestiscano strutture ricettive in grado di ospitare stranieri

regolarmente soggiornanti che versino temporaneamente in situazioni di disagio e

siano impossibilitati a provvedere autonomamente alle proprie esigenze. Di

conseguenza in tali centri possono essere accolti anche i richiedenti asilo, rifugiati e

le persone titolari di altre forme di protezione.

In base a quanto previsto dall’art. 40 del T.U. sull’immigrazione, vengono

attivati a livello locale, a cura del mondo del privato sociale e delle amministrazioni

locali, centri di assistenza per stranieri privi di mezzi di sostentamento, con oneri a

carico degli enti locali. Tali interventi sono basati più su un approccio solidaristico

che non sul riconoscimento di uno specifico diritto alla protezione, e la qualità delle

prestazioni offerte risente di significative differenze territoriali.

Alla fine degli anni 90 viene avviato un Progetto congiunto di accoglienza

denominato Azione Comune con il sostegno della Commissione Europea e del

Ministero dell’Interno attraverso la creazione di una vera e propria rete di servizi

territoriali di accoglienza per i richiedenti asilo su trentuno Comuni distribuiti sul

territorio italiano con il coinvolgimento di Caritas, soggetti del volontariato, Chiese

Evangeliche ecc..

Tale progetto persegue l’obiettivo di superare la discrezionalità e la mancata

organicità delle azioni spontanee intraprese all’interno del terzo settore,

promuovendo un modello di accoglienza che risponda alle esigenze delle diverse

categorie di beneficiari; con un protocollo vengono definiti i criteri di accesso ai

servizi e standard di qualità condivisi. Oltre a garantire vitto e alloggio vengono

offerti servizi di assistenza legale, l’accompagnamento nella procedura dell’asilo e

l’inserimento sociale.

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Per la prima volta è previsto un nucleo centrale di coordinamento dei soggetti e

degli interventi, con l’allocazione sul territorio dei compiti, delle responsabilità

progettuali, con l’individuazione di persone preposte al controllo delle strutture con

l’incarico di monitorare e valutare le singole esperienze territoriali. Gli ospiti non

possono rimanere nella struttura a tempo indefinito, si stabilisce un tempo massimo

di permanenza con l’erogazione di un pocket money.

E’ contemplata anche la promozione di percorsi che facilitino l’integrazione

dello straniero nella società italiana, con il coinvolgimento delle amministrazioni

locali nell’erogazione dei servizi di assistenza medica psicologica.

Tale Progetto, nonostante presenti tutti i limiti di un sistema organizzativo

ancora agli esordi per la frammentazione delle iniziative e per la forte disomogeneità

territoriale nelle modalità di erogazione dei servizi, getta le basi del profilo

dell’attuale sistema d’asilo vigente, poiché presenta tutti gli elementi che saranno

sviluppati nel Sistema di Protezione per i richiedenti asilo (SPRAR).

In linea con le politiche comunitarie, il 10 ottobre 2000 è stipulato un

Protocollo di intesa tra Ministero dell’Interno, Alto Commissariato delle Nazioni

Unite, Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) per l’avvio del Programma

Nazionale asilo (PNA) volto a dare impulso alla creazione di un sistema organico di

assistenza ai rifugiati.

Il Programma si propone di attuare la decisione del Consiglio dell’Unione

Europea n. 596 del 28 settembre 2000, che istituisce il Fondo Europeo per i

Rifugiati (FER) avente lo scopo di sostenere le azioni degli Stati membri in materia

di accoglienza, integrazione e rimpatrio assistito di richiedenti asilo e rifugiati.

Detto programma coinvolge tre livelli di governo: nazionale, internazionale e

locale.

Al Ministero dell’Interno vengono attribuite funzioni in merito alla legislazione

e ai programmi governativi in materia e funzioni di raccordo con la Commissione

Europea relativamente alle domande di co-finanziamento presentate dall’Italia

presso il FER.

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All’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sono affidati compiti

di indirizzo in relazione ai diritti e alla protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

All’ANCI spettano tutte le funzioni organizzative necessarie

all’implementazione del Programma assicurandone il raccordo con i Comuni

responsabili dei progetti a livello territoriale.

Il 20 marzo 2001 viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Bando che invita i

Comuni italiani a presentare progetti per l’accoglienza e l’integrazione di richiedenti

asilo, rifugiati e beneficiari di protezione umanitaria o temporanea. Ogni progetto

territoriale, facente capo al rispettivo Comune di riferimento, deve presentare tutte le

misure volte a implementare gli obiettivi stabiliti dall’art. 4 nella decisione del

Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea n. 596/2000 ossia l’accoglienza,

l’integrazione dei rifugiati e il rimpatrio volontario assistito. Massiccia è la risposta

dei Comuni italiani: alla rete nazionale partecipano non solo le realtà metropolitane

Roma e Milano, ma aderiscono anche Comuni medio piccoli che iniziano a misurarsi

con le tematiche d’asilo. Il ruolo di questi ultimi è decisivo poiché consente di

alleggerire la pressione migratoria sulle zone di arrivo dei migranti.

Il PNA rappresenta la prima risposta strutturata e organica ai bisogni di coloro

che presentano domanda di asilo in Italia; si propone come sistema integrato di

accoglienza diffusa sul territorio grazie alla rete nazionale fondata sull’impegno degli

enti locali: muta l’approccio, non più incentrato sulla solidarietà, ma orientato alla

realizzazione di un sistema integrato di protezione che punta sulla qualificazione

complessiva dell’offerta dell’accoglienza. Sono attivati tutti i “servizi trasversali”

volti ad assistere l’utente sulle procedure amministrative burocratiche della richiesta

di asilo e ad accompagnarlo durante il periodo di attesa di espletamento delle

procedure, sostenendo e orientando i richiedenti all’accesso ai servizi pubblici di

base (servizio sanitario nazionale, scuola dell’obbligo per i minori, corsi di

alfabetizzazione di lingua italiana, corsi di orientamento al mercato del lavoro),

nonché durante l’ultima fase di stabilizzazione e integrazione o, al contrario, di

rientro volontario nel Paese d’origine.

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L’ulteriore evoluzione del programma porta alla successiva creazione del

Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), istituito con legge

n. 189 del 30 luglio 2002 (c.d. legge Bossi-Fini).

Tale sistema costituisce il circuito dei servizi di seconda accoglienza volti a

fornire assistenza ai richiedenti protezione internazionale e ai rifugiati, finalizzato a

realizzare una forma di “accoglienza integrata” che mira a garantire percorsi

personalizzati tesi all’inclusione sociale, lavorativa ed abitativa.

Il sistema SPRAR essendo costituito da una rete di piccoli centri di accoglienza

che lo Stato gestisce in collaborazione con i Comuni, può definirsi un sistema

decentrato composto da una rete di enti locali e di organizzazioni del terzo settore

che, attraverso la realizzazione di progetti a livello locale, forniscono un’accoglienza

“a misura di persona”. Gli enti locali svolgono la funzione di enti responsabili dei

progetti, mentre le organizzazioni del terzo settore si occupano della loro attuazione.

Nella pratica quotidiana i progetti concretizzano azioni in cui la prima

accoglienza è affiancata da percorsi di integrazione sociale e lavorativa.

L'accoglienza integrata ha come obiettivo l'erogazione di servizi volti a

favorire l'acquisizione di strumenti per l'autonomia dei beneficiari, nell'ottica di

innescare processi di empowerment.

Tale modalità di gestione che si concretizza in un vero e proprio

coinvolgimento dei territori, nel perseguimento di un equilibrio tra la valorizzazione

delle peculiarità locali e la standardizzazione dei servizi, ha rappresentato uno dei

punti di forza del sistema di accoglienza, al fine di “rendere liberi i titolari di

protezione internazionale dallo stesso bisogno di accoglienza”.

Lo SPRAR è dunque un sistema che assolve l’esigenza di accogliere

coniugandola con un progetto credibile per garantire un’uscita dell’ospite

dall’accoglienza in autonomia.

Un sistema antitetico ai centri di grande dimensioni gestiti senza il

coinvolgimento del territorio, dove si erogano per un breve arco temporale, beni

primari e servizi uguali per tutti e non percorsi, senza dare risposte significative in

una progettualità di lunga durata.

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I servizi offerti all'interno della rete SPRAR sono raggruppabili in nove

categorie: assistenza sanitaria, assistenza sociale, attività multiculturali, inserimento

scolastico dei minori, mediazione linguistica e culturale, orientamento e

informazione legale, inserimento abitativo, inserimento lavorativo e servizi per la

formazione.

Il sistema SPRAR ha consentito di far fronte alle richieste fino al 2010, ma

dall’anno seguente, a causa dell’emergenza del nord africa (2011-2013), la crescita e

l’evoluzione del fenomeno migratorio, caratterizzata dall’incremento complessivo

del numero di arrivi sulle coste italiane, con il significativo aumento di domande di

protezione internazionale, mette in crisi l’articolazione del sistema nazionale di

accoglienza che necessariamente punta sul potenziamento della complessiva capacità

ricettiva delle strutture. Alcune di queste finiscono pertanto per svolgere una

duplice o triplice funzione, ossia ospitano e trattengono migranti dagli status

differenti, venendo meno la distinzione tra prima e seconda accoglienza.

Di fronte a tale emergenza, a causa del flusso dei migranti provenienti prima

dalla Tunisia e poi dalla Libia, il Governo dopo aver decretato lo stato di emergenza

con DPCM del febbraio 2011, data la massiccia permanenza sull’isola di Lampedusa

di migranti, è costretto a trasferire i cittadini stranieri presso nuove strutture

individuate sul territorio nazionale, localizzando, in diversi Comuni i Centri di

prima accoglienza (Manduria, Trapani, Caltanissetta, Potenza), senza una chiara

definizione dello stato giuridico degli ospiti e prescindendo dal coinvolgimento dei

territori interessati.

Dietro una forte presa di posizione delle Regioni che chiedono un approccio

condiviso e articolato al problema, il Governo nell’aprile 2011 introduce misure

umanitarie di protezione temporanea dei migranti provenienti dalla Tunisia

riconoscendo la titolarità della protezione temporanea di cui all’art. 20 del T.U. delle

disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione

dello straniero.

Con riguardo alle persone provenienti dalla Libia, viene definita un ulteriore

strategia sul territorio nazionale che prevede il trasferimento dei migranti, in misura

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equa e proporzionale in ciascuna regione d’Italia mediante la predisposizione di un

Piano di accoglienza.

Tale Piano ha lo scopo di individuare le fasi di attuazione dell’accoglienza per

ogni singola Regione e Provincia autonoma, tenendo conto delle assegnazioni già

realizzate in precedenza e assicurando una distribuzione proporzionata sul territorio

nazionale dei beneficiari. Di fronte al continuo e massiccio afflusso vengono

innalzate progressivamente le iniziali quote previste nel Piano nazionale di

accoglienza. In alcune Regioni vengono predisposti degli Hub intesi come centri nei

quali vengono accolti i migranti appena sbarcati in attesa di essere trasferiti nelle

strutture regionali di accoglienza. Di fronte ad un numero elevatissimo di domande di

asilo (22.300 richiedenti protezione internazionale nell’ottobre 2011) con ordinanza

del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3958, il Ministero dell’Interno è

autorizzato ad istituire ulteriori cinque Sezioni nell’ambito delle Commissioni

Territoriali.

Peraltro viene deciso il coinvolgimento del Servizio Nazionale di Protezione

Civile attraverso la nomina di un Commissario delegato individuato nella Persona del

Capo del Dipartimento della Protezione Civile. I Presidenti delle Regioni designano

dei Soggetti Attuatori a cui affidare la responsabilità di individuare i siti e le strutture

dedicate all’accoglienza.

In Italia, dunque, la pianificazione e lo sviluppo dei sistemi di accoglienza

dedicati a richiedenti asilo e rifugiati nasce più da puntuali risposte a situazioni

emergenziali a carattere quantitativo, attraverso l’aumento dei posti di accoglienza

disponibili per un sistema che è già in partenza saturo, che dalla necessità di

adeguamento gestionale e strutturale connesso alla costante evoluzione del fenomeno

dei migranti forzati .

In sostanza, invece di aggiornare costantemente il tipo di accoglienza che si

intende garantire a seconda delle esigenze diverse di chi arriva sulle nostre coste, il

modello di accoglienza italiano è fondato sulla crescita numerica dei centri di

accoglienza per poter ospitare i nuovi richiedenti asilo. Si ragiona principalmente sui

numeri delle persone sbarcate, emergenza dopo emergenza, e su come predisporre

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un sistema di prima accoglienza di base senza immaginare i passi successivi. Un

pensiero breve dell’accoglienza, debole, che manca di prospettiva, di capacità

previsionale e gestionale.

D’altronde il raggiungimento dell’autonomia è l’unica vera soluzione per non

saturare i posti d’accoglienza, (in virtù del ricambio dei posti esistenti), ed il ritardo

nella definizione dello status del richiedente asilo, da imputare sia alle lungaggini

delle Commissioni territoriali, sia a quelle di numerose Questure che si trovano con

un organico ridotto a far fronte ad un utenza numericamente importante, comporta,

da un lato, una dilazione dei tempi di accoglienza, dall’altro, una faticosa situazione

di sospensione che mina la tranquillità psicologica del migrante accolto,

provocandone un disagio di fondo che tende ad annullarne le potenzialità e le

positività e ad inibire l’avvio di un percorso efficace di inclusione e la sua

progettualità verso l’autonomia, nell’incertezza dell’accoglimento o meno della

domanda.

Ne consegue che una volta riconosciuto lo status di rifugiato, trascorsi circa sei

mesi all’interno dei CARA, senza che il migrante sia entrato in possesso di uno

strumento di inclusione, questi è costretto a ricominciare pressoché da zero il proprio

percorso presso altre tipologie di centri di accoglienza SPRAR.

Sarebbe pertanto auspicabile superare la netta distinzione tra prima e seconda

accoglienza, coniugando i servizi per l’assistenza e quelli per l’integrazione come un

percorso relazionale unitario, e non come singoli frammenti di un iter, ma come

armoniosa parte di unico percorso, che si pone specifici obiettivi progressivi, da

rimettere in discussione ed aggiornare costantemente, partendo dalla specificità di

ogni persona accolta, che diventa fulcro e anima del progetto e non semplicemente

destinatario finale degli interventi.

Nella prassi, numerosi centri SPRAR hanno dimostrato che non esistono ruoli

asetticamente tecnici nella gestione del centro, né schemi matematici per la

realizzazione di un progetto di inclusione; tutte le attività e le modalità con cui i

servizi vengono vissuti dagli operatori e dagli ospiti rientrano naturalmente nel

percorso relazionale armonico di intervento, incidendo sul percorso inclusivo.

Page 18: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

14

Tale percorso è finalizzato alla realizzazione di un concreto orientamento alla

conoscenza dei territori e dei servizi, sostenendo la persona accolta nel recupero della

propria autonomia, partendo dalla valorizzazione e dal rafforzamento delle proprie

risorse e qualità personali, da adattare in un contesto sociale completamente nuovo

senza perdere di vista le aspirazioni, i bisogni e la volontà della persona che va

aiutata e sostenuta nel far emergere le proprie capacità.

Occorre quindi pensare ai rifugiati non come una categoria, bensì percepirli

come persone, con storie, esperienze, con specificità culturali, con saperi ed energie

che possono contribuire ad arricchire il nostro paese e che possono essere arricchite

dal nostro paese, superando le idee stereotipate ed i cliché.

Il percorso avviato nella piccola comunità afferente al sistema SPRAR perché

giunga a compimento, richiede la giusta attenzione sul percorso di accoglienza, che

deve svilupparsi per fasi, attraverso il necessario monitoraggio di condizioni

oggettive (evoluzione ed esito della richiesta di asilo, conoscenza della lingua

italiana), e di elementi soggettivi (motivazione, serenità ecc) esigendo un’attenzione

meticolosa all’ascolto e alla costante verifica volta a migliorare insieme alla

comunità regole ed abitudini.

L’evoluzione del sistema nazionale di accoglienza alla luce del D.Lgs n. 142

del 18 agosto 2015

Negli ultimi due anni, l’aumento progressivo degli sbarchi di cittadini

extracomunitari, a causa della perdurante instabilità politica ed economica che

caratterizza molti paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, ha reso necessario

riconsiderare l’approccio al fenomeno migratorio, da governare attraverso politiche

di ampio respiro e da gestire con interventi programmati e di carattere strutturale.

Al fine di gestire l’accoglienza e la sistemazione dei migranti in arrivo è stato

delineato alla luce del D.Lgs n. 142 del 18 agosto 2015 un sistema di fattiva e leale

collaborazione tra lo Stato e l’assetto delle Autonomie locali, Regioni, Comuni; sono

stati stabiliti criteri che evitassero una eccessiva concentrazione di migranti in

Page 19: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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accoglienza su uno stesso territorio e favorissero, al contrario, una loro dislocazione

su territori diversi.

Tale sistema di accoglienza, incentrato sul più ampio coinvolgimento delle

realtà municipali e sulla massima “diffusione” dei migranti nell’ambito dei vari

territori, ha mirato, da un lato, a ridurre in modo significativo l’impatto che l’arrivo

dei migranti è suscettibile di avere su di un singolo territorio, grazie alla

condivisione del peso di accoglienza su diverse comunità locali; dall’altro, a

garantire una maggiore efficacia dei percorsi di integrazione e inclusione sociale,

puntando sui progetti SPRAR proposti dai Sindaci insieme agli enti di terzo settore

qualificati, mettendo a disposizione servizi legati all’accoglienza, all’integrazione e

alla protezione di richiedenti asilo e rifugiati.

Al contempo è stato condiviso con l’ANCI un Piano operativo di governance

del sistema di accoglienza, fondato sul riparto dei migranti per quote regionali, già

fissato in sede di Conferenza Unificata nel luglio 2014, e volto a realizzare una

distribuzione equa dei migranti tra le singole Regioni, grazie alla definizione di un

numero di presenze rapportato alla popolazione residente nei Comuni.

Tale accordo concluso con ANCI è stato caratterizzato dalla c.d. “clausola di

salvaguardia” che rende esente i Comuni che abbiano già aderito alla rete SPRAR, di

attivare nel proprio territorio, ulteriori forme di accoglienza temporanee, fissando

dunque dei limiti ben precisi.

Tale Piano è stata la risposta al disallineamento creatosi tra varie realtà locali

che hanno accolto un eccessivo numero di richiedenti rispetto ad altre ove non sono

state attivate misure di accoglienza a causa della minore disponibilità dei Sindaci .

Il Piano di accoglienza diffusa concordato dal Ministero dell’Interno e l’ANCI

è dunque uno strumento messo in campo al fine di razionalizzare l’accoglienza

attraverso una distribuzione equilibrata e diffusa dei migranti, con la condivisione

del sistema degli Enti locali.

In particolare i Prefetti capoluoghi di Regione conformemente agli indirizzi

forniti dal Ministro dell’Interno, che ha manifestato forti aspettative sulla riuscita del

Piano, sono tenuti ad operare un continuo monitoraggio per la verifica

Page 20: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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dell’attuazione dello stesso, attraverso Tavoli di coordinamento regionale per

fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari, ricercando la costante

collaborazione e sintonia con gli Amministratori locali, veri protagonisti

dell’attuazione del piano, che devono coniugare responsabilità e solidarietà, nei cui

confronti i prefetti sono tenuti a svolgere un’azione di stimolo e supporto per

conseguire l’obiettivo di una distribuzione di migranti proporzionata e sostenibile tra

le varie realtà locali.

Negli ultimi mesi, i ripetuti sbarchi di cittadini extracomunitari hanno indotto

le Autorità italiane a cercare un approccio coordinato ai flussi migratori nel

Mediterraneo, poiché l’Italia non può più essere il solo Paese di approdo per le navi

di ogni nazionalità che salvano i migranti.

Al riguardo il Ministro dell’Interno, al vertice Italia - Francia - Berlino

tenutosi il 2 luglio scorso, ha lanciato un allarme quale la chiusura dei porti italiani

alle navi straniere per incassare un maggior sostegno da parte degli altri Paesi. In

particolare, il Ministro ha evidenziato la necessità che l’Europa stili il codice

comune per le organizzazioni non governative che svolgono la propria attività di

salvataggio nel Mediterraneo, chiedendo peraltro la ripresa immediata della

distribuzione dei profughi che si trovano nel nostro Paese.

Al fine di non perdere credibilità rispetto alla posizione presa nei confronti

dell’Europa, il Ministro ha avviato un ulteriore trattativa con i Governatori e i

Sindaci affinché ognuno faccia la sua parte ed all’ANCI ha chiesto una maggiore

collaborazione acché sia rispettato il patto siglato all’inizio dell’anno per accogliere

fino a 200mila persone.

L’obiettivo è quello di incrementare il numero delle strutture per la

cosiddetta accoglienza diffusa «senza pesare troppo sui cittadini, ma cercando di

sfruttare al meglio i contributi destinati agli enti locali, non gravando sempre

sulle stesse Regioni e gli stessi Comuni.

Già con il migration compact, documento diffuso in ambito europeo, volto a

ridurre i flussi anche lungo la rotta mediterranea, che aveva prodotto un positivo

dibattito in ordine alla ridefinizione delle politiche in materia di gestione dei

Page 21: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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migranti, si richiamava anche a livello internazionale, l’esigenza di considerare

l’immigrazione una realtà ordinaria da governare con una serie di interventi a

carattere strutturale, puntando su un nuovo approccio fondato sui partenariati con

i principali Paesi d’origine e transito dei flussi migratori, in particolare quelli

africani, da finanziare con strumenti innovativi come i bond Ue-Africa.

L’Unione Europea si trova di fronte all’imperativo di dotarsi di una vera

politica comune: controllo comune delle frontiere, razionalizzazione dei flussi,

ripartizione degli arrivi.

Il Ministro dell’Interno ha ribadito in più occasioni la volontà di fare dell’Italia

il “Paese pilota” che si muove sul doppio fronte: internazionale, come è accaduto

con la sigla dell’accordo con il Governo libico al fine di sveltire le modalità di

rimpatrio degli irregolari, offrendo una contropartita ai Paesi d’origine per fermare i

trafficanti di uomini, garantire il pattugliamento delle frontiere e l'allestimento di

campi d’accoglienza in Libia dove fare l’identificazione; interno, con un pacchetto

che rappresenta una novità assoluta perché tutela i diritti degli stranieri, ma al primo

posto pone i diritti degli italiani che non devono subire i flussi come fossero

un’invasione.

La linea politica strategica è tracciata:

- sveltire le modalità di rimpatrio degli irregolari, attraverso una rapida

identificazione degli stessi, offrendo una contropartita ai Paesi d’origine;

- procedere entro la fine dell’estate all’apertura di 18 nuovi Centri di identificazione

sparsi su tutta la Penisola da ubicare fuori dai centri abitati, preferibilmente vicino

agli aeroporti che potranno ospitare al massimo 150 persone, per il trasferimento

di chi non ha i requisiti per essere accolto e deve essere rimpatriato;

- snellire le procedure per chi chiede asilo, attraverso il potenziamento in corso

delle Commissioni per il diritto di asilo per ridurre i tempi di definizione dello

status;

- l’aver ridotto il giudizio di primo grado dei processi;

- stanziare maggiori fondi per consentire alla Libia il controllo delle coste

attraverso lo sblocco dei finanziamenti dell’Unione Europea, per sostenere il

Page 22: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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lavoro della guardia costiera e la dotazione di apparecchiature, garantendo il

controllo delle frontiere del Sud;

- ripresa immediata della distribuzione dei profughi attraverso la “relocation”;

Il numero delle persone sbarcate nei primi tre mesi del 2017 continua a salire,

ormai c’è un incremento che supera il 60% dei dati del 2016.

Per tale motivo l’obiettivo del Ministro dell’Interno è quello di procedere in

tempi brevi, facendo sì che i rifugiati debbano essere accolti per non più di 6 mesi e

soprattutto abbiano la possibilità di lavorare e quindi di integrarsi nella comunità.

Alle critiche di chi ritiene che il lavoro sia una prerogativa da destinare agli

italiani, il Ministro ha già risposto che si tratterà di “attività socialmente utili, non

retribuite e volontarie, finanziate dalla comunità europea con fondi destinati solo a

questo scopo”.

In particolare il Ministro dell’Interno non intende agire d’imperio, ma cerca

un’intesa senza però nascondere la determinazione a realizzare comunque il piano.

Lo dice lasciando intendere che senza un accordo si procederà comunque

anche perché, come più volte ha sottolineato il Capo della Polizia, «senza

un’identificazione rapida degli stranieri irregolari non si ha la possibilità di

rimpatriarli». E invece l’obiettivo è proprio quello di raddoppiare le espulsioni

riuscendo a farne almeno 10 mila entro la fine dell’anno.

Sull’approccio strategico per governare l’emergenza migratoria si gioca il

futuro dell’Europa poiché l'immigrazione incontrollata rischia di far saltare gli

equilibri democratici del Continente.

La strategia è duplice: da una parte convincere i paesi africani a riprendersi i

clandestini, dall'altra ricevere aiuti dai partner europei per ricollocare nell'Ue parte

dei richiedenti asilo.

Il gruppo di contatto del Mediterraneo centrale, per il Ministro, può

rappresentare un passo importante, una cooperazione rafforzata che spinge l'Europa

ad affrontare unita una sfida che finora sembrava essere rimasta circoscritta al nostro

Paese. Si tratta di mettere da parte egoismi e chiusure proprio in nome dell’Europa,

che non può essere messa in discussione.

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2 - IMMIGRAZIONE : L'INTEGRAZIONE NECESSARIA E POSSIBILE

“Non hai bisogno di vedere l'intera scalinata. Inizia semplicemente a salire il

primo gradino” (Martin Luther King)

− INTEGRAZIONE: SIGNIFICATO E OBIETTIVI

− GLI INDICI DI INTEGRAZIONE NEI RAPPORTI DEL CNEL

− INTEGRAZIONE DEI CITTADINI STRANIERI ARRIVATI IN ITALIA CON

IL NULLA OSTA AL LAVORO O PER RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE

(D.Lgs 286/98) – GLI ANNI FINO AL 2010

− INTEGRAZIONE DEI RICHIEDENTI ASILO E DEI TITOLARI DI STATUS:

GLI ASPETTI DI CRITICITA'

− IL DECRETO-LEGGE 17 FEBBRAIO 2017 N.13 E L'ANNUNCIO DEL

MINISTRO DELL'INTERNO MINNITI DI UN PIANO NAZIONALE PER

L'INTEGRAZIONE

− INTEGRAZIONE: SIGNIFICATO E OBIETTIVI

Un tema strettamente connesso al fenomeno immigrazione è quello della

'integrazione'.

Il termine “integrazione” deriva dal latino integratio –onis. Il primo significato

riportato dalla Treccani è: “ In senso generico, il fatto di integrare, di rendere intero,

pieno, perfetto ciò che è incompleto o insufficiente a un determinato scopo,

aggiungendo quanto è necessario o supplendo al difetto con mezzi opportuni”. In

ambito sociale è “l’inserzione, incorporazione, assimilazione di un individuo, di una

categoria, di un gruppo etnico in un ambiente sociale, in un’organizzazione, in una

comunità etnica, in una società costituita (contrapposto a segregazione)”, o anche

“Processo attraverso il quale gli individui diventano parte integrante di un sistema

sociale, aderendo ai valori che ne definiscono l'ordine normativo […]attraverso la

trasmissione dei modelli culturali e di comportamento dominanti, cui provvedono la

famiglia, la scuola e i gruppi primari”.

Il significato pertanto attinente all'integrazione nell'ambito del fenomeno

immigrazione è quello in senso sociale, dove si intende il processo di inserimento di

Page 24: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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un individuo e/o di un gruppo etnico in un ambiente sociale, in una società costituita,

per diventare parte integrante di un sistema sociale.

L'incontro e la reciproca influenza tra le diverse culture ed etnie ha

accompagnato da sempre la storia dell'umanità, e sicuramente, con più o meno

consapevolezza, ne è stata occasione di crescita e sviluppo.

Nel mondo romano, dove affluivano dalle regioni settentrionali d'Europa i

“barbari” per trovare rifugio e migliori condizioni di vita, il problema degli stranieri

veniva affrontato in senso utilitaristico: «in sostanza, si accoglievano tutti quelli di

cui si aveva bisogno, respingendo, anche con metodi brutali, coloro che non si

intendeva accogliere.” Una volta entrati, però, l'organizzazione romana prevedeva un

percorso di integrazione che nel giro di una o due generazioni portava lo straniero a

sentirsi a tutti gli effetti parte dell'impero. (Barbero, in Barbari. Immigrati, profughi,

deportati nell’impero romano)

Il mondo greco classico fu molto diffidente verso lo straniero, distinguendo le

due figure dello xenos (appartenente comunque ad una comunità politica greca,

anche se non propria), e del barbaros (straniero non di stirpe greca ed oggetto di vera

e propria discriminazione).

Ma nell'età ellenistica questa mentalità chiusa cominciò a venir meno, grazie

anche all'apertura dell'orizzonte culturale e mentale dovuto alle conquiste di

Alessandro Magno, e la città di Alessandria divenne esempio della diversa capacità

del mondo ellenistico di superare le barriere razziali.

Nell'era della globalizzazione il continuo flusso di migranti che si sposta in

massa dal Sud del mondo, dove le condizioni di vita sono intollerabili, verso il Nord,

per ricercare condizioni di vita migliore che si identificano con i Paesi occidentali,

impone il dibattito sulla loro integrazione, intesa come quell'insieme di processi

sociali e culturali diretti a rendere il migrante parte integrante di una società. Il

processo di integrazione non può passare però solamente attraverso la persona del

migrante e del suo apporto economico alla società di accoglienza, ma deve

contestualmente comprendere la dimensione sociale, culturale e politica, senza le

quali non si compie una vera integrazione. Il percorso di integrazione è bidirezionale,

Page 25: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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in quanto si realizza con l'incontro della volontà del migrante di far pienamente parte

della nuova società, con quella della comunità autoctona di volerlo accogliere, in una

specie di “patto sociale” dove ognuno ha un ruolo preciso e il venir meno della

volontà di una sola delle parti è motivo di conflittualità.

Nelle società europee é possibile individuare modelli diversi di integrazione

elaborati per regolare la convivenza tra autoctoni e non, tra maggioranze e minoranze

nazionali da un lato e minoranze immigrate dall'altro. I modelli ai quali in genere si

fa più riferimento, anche perchè i rispettivi Paesi hanno conosciuto e affrontato il

fenomeno immigratorio da più tempo, sono quello “assimilazionista” francese e

quello “multiculturalista“ britannico.

Il modello c.d. “assimilazionista” francese si basa sul principio di laicità dello

Stato e sul principio di uguaglianza: le diversità culturali, religiose ed etniche sono

tutelate, ma a livello individuale, non collettivo. Nella dimensione “pubblica” dello

Stato non c'è spazio per la presenza di segni religiosi di alcun tipo (“laicità negativa”)

perchè ritenuti potenzialmente conflittuali con i valori dello Stato. E' vietata in

pubblico qualsiasi esternazione di origine religiosa, a partire dal velo integrale che le

donne musulmane non possono portare.

Sul fronte della naturalizzazione, invece, la normativa prevede un accesso alla

cittadinanza francese in tempi piuttosto brevi rispetto quelli italiani, in un'ottica di

accettazione dei valori dell'ordinamento da parte dei nuovi cittadini, i quali però si

trovano spesso non supportati dalla effettiva estensione dei diritti sociali, e questo è

uno dei punti deboli del modello francese.

Il modello britannico è un modello 'multiculturalista', fondato sul

riconoscimento non solo dei diritti dell'individuo, ma anche, indirettamente, del

gruppo al quale egli appartiene. Ai cittadini autoctoni come ai cittadini immigrati, il

Regno Unito non chiede l'abbandono della loro identità culturale in cambio

dell'integrazione o dell'accesso ai diritti. L'unico limite è costituito dal rispetto delle

leggi e delle regole democratiche. Alla base del modello vi è l’idea che

l’appartenenza collettiva sia fondamentale nella costruzione dell’identità individuale

e che negare l’identità collettiva significhi negare anche la prima. La concezione

Page 26: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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multiculturalista ipotizza una concezione di eguaglianza basata sulla differenza di

trattamento e mette l’accento più sull’identità che sulla coesione sociale. Il naturale

prodotto del riconoscimento di identità, che si può esplicare nella sfera pubblica,

dovrebbe scongiurare l'origine di conflittualità nel sistema sociale. Quella britannica

è una scena pluralista, formata da gruppi che si scontrano e si accordano, stabilendo

convenzioni che mutano nel tempo. Lo Stato si limita a fungere da “garante” degli

accordi tra i diversi gruppi. Il concetto di libertà non è legato all’idea di eguaglianza,

come nel modello assimilazionista francese, ma a quello di autonomia e di

riconoscimento dei diritti collettivi. (Renzo Guolo “Modelli di integrazione culturale

in Europa” - Convegno di Asolo “Le nuove politiche per l'immigrazione. Sfide e

opportunità “ ottobre 2009)

Il limite che tale modello ha mostrato, ben prima dell’estate del 2005, quella

degli attentati di Londra opera di cittadini britannici di origine pakistana, integrati

nella loro comunità etnica ma non in quella nazionale, è quella di aver creato

comunità non comunicanti, poco interessate alla reciproca interazione. L’eccesso di

riconoscimento particolaristico spinge, infatti, all’autochiusura identitaria e induce le

comunità a vivere non l’una con l’altra ma una accanto all’altra. Si forma così una

società popolata da comunità parallele e, come tutte le figure parallele, destinate a

non incontrarsi mai, se non per necessità meramente funzionali.

Un altro modello europeo, che fa capo alla Germania, è quello che viene

comunemente definito di “istituzionalizzazione della precarietà” e descrive una

politica di immigrazione intesa esclusivamente come ricorso sistematico

all'importazione di manodopera straniera, sottolineando il carattere temporaneo del

fenomeno migratorio, con particolare attenzione al controllo di tale presenza anche

per assicurarne la sua flessibilità. Per motivi strutturali poi, dovuti all'imponente

crescita economica e al fabbisogno di manodopera, in Germania il ciclo migratorio si

è stabilizzato e con la effettiva permanenza dei cittadini immigrati turchi quel tipo di

modello è stato superato. Le modifiche alla legge sulla cittadinanza, a partire dalla

riforma del 1999, hanno reso più semplice diventare cittadini tedeschi, di fatto

svuotando il modello della “precarietà istituzionalizzata”.

Page 27: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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La situazione italiana si è orientata verso un atteggiamento simile a quello

tedesco che ha visto nell'immigrazione un fenomeno transitorio, legato per lo più a

motivi di lavoro. Nel nostro Paese non è stato seguito di fatto un preciso modello di

integrazione, con un approccio normativo costituito da diversi interventi senza un

preciso disegno ma, sotto certi aspetti, questo ha permesso una minor rigidità

nell'attuazione del processo integrativo, portato avanti soprattutto dalla rete

istituzionale e sociale (pubbliche amministrazioni, forze dell'ordine, magistratura,

volontariato, scuola, enti locali). Il nodo cruciale è rimasto quello della acquisizione

della cittadinanza, la cui legge – la n. 91 del 5 febbraio 1992 - si fonda sullo 'jus

sanguinis', ed è in corso il dibattito sull'introduzione dello 'jus soli temperato' e dello

'jus culturae', quali misure volte a temperare l'attuale meccanismo di ottenimento

della cittadinanza, consentendo di diventare cittadino italiano al minore straniero

nato in Italia se almeno uno dei genitori vi si trova legalmente da almeno cinque

anni, oppure al minore straniero entrato in Italia prima dei dodici anni di età e che

abbia frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni di scuola e superato un

ciclo scolastico.

Un processo di effettiva integrazione coinvolge molteplici aspetti della vita

della persona: l'ambito dell'inserimento economico, con il conseguimento di

un'autonomia economica attraverso l'accesso ad una occupazione dignitosa, l'ambito

dell'inserimento sociale, con la costruzione e gestione autonoma di relazioni sociali

compreso l'accesso ad un alloggio dignitoso, l'ambito dell'inserimento culturale,

mediante l'acquisizione di competenze linguistiche, opportunità formative, processi

di mediazione culturale.

L'integrazione si distingue dall'accoglienza: mentre l'accoglienza richiede la

predisposizione di interventi di tutela messi in atto esclusivamente dalla comunità

ospitante, l'integrazione richiede la predisposizione di interventi per attivare le

risorse personali del migrante per la progressiva conquista della propria autonomia, e

in questo processo il suo apporto è determinante. Accoglienza e integrazione non

vanno considerate come fasi consecutive di un percorso di una persona, ma devono

essere intese come valenze differenti degli interventi sociali. L'integrazione sociale è

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un processo di lunga durata di cui occorre gettare le basi, nella consapevolezza che i

suoi esiti possono coinvolgere non solo la prima, ma anche la seconda o persino la

terza generazione della migrazione: è infatti un processo che avviene nel tempo e

frequentemente le diverse dimensioni di essa (economica, sociale, culturale) possono

essere conseguite in tempi diversi.

“L'integrazione – come ha ribadito il ministro dell'Interno Minniti- è un punto

cruciale per quanto riguarda le politiche di sicurezza del nostro Paese”, osservando

che se non è vera l'equazione immigrazione = terrorismo, ha invece un fondamento

di verità il rapporto tra mancata integrazione e terrorismo, e ne è prova la storia dei

recenti attentati in Europa, da Charlie Hebdo in poi.

Il fenomeno immigrazione che ha coinvolto in questi ultimi decenni l'Italia e

che è stato comunque governato con normative e politiche in continua evoluzione, è

stato accompagnato, fino agli anni 2009/2010, in cui si è manifestata la crisi

economica a livello mondiale, da processi graduali di integrazione visibilmente

riscontrabili.

− GLI INDICI DI INTEGRAZIONE NEI RAPPORTI DEL CNEL

L'integrazione, come tutti i fenomeni complessi, non è oggetto di misurazione

diretta (non esiste, cioè un dato che, immediatamente, ce ne possa restituire la

dimensione), bensì indiretta: occorre, cioè, risalirne alle dimensioni attraverso un

sistema che metta insieme e sintetizzi una serie di dati riferiti, ciascuno, a fenomeni

che si riconoscono essere correlati in maniera significativa con l’integrazione stessa e

che siano a loro volta misurabili.

L'Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione

sociale degli stranieri operante presso il CNEL – Consiglio Nazionale dell'Economia

e del Lavoro, ha elaborato dal 2001 fino al 2013 un rapporto annuale sugli indicatori

di integrazione degli stranieri nel territorio, diretto a fornire una mappa della

condizione degli immigrati a livello locale, utile per l'orientamento delle politiche di

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integrazione e per l'individuazione dei settori dove è più urgente l'intervento

pubblico.

Nel Rapporto viene, tra l'altro, misurato un “potenziale di integrazione” nei

vari contesti territoriali italiani che comprende un insieme significativo di fattori

oggettivi che riguardano l’inserimento sociale o occupazionale degli immigrati – in

grado di condizionare, in positivo o in negativo, l’avvio e lo svolgimento dei processi

di integrazione all’interno di ogni contesto locale.

Gli indici (ciascuno sulla base di cinque indicatori) su cui viene calcolato il

valore, sono essenzialmente tre: quello di attrattività territoriale (incidenza sui

residenti, densità per km quadrato, stabilità/nascite, ricettività/saldo anagrafico,

ricongiungimenti familiari); di inserimento lavorativo (assorbimento del mercato del

lavoro, reddito da lavoro dipendente, differenziale retributivo di genere, lavoro in

proprio); di inserimento sociale (dispersione scolastica, accessibilità al mercato

immobiliare, concessioni di cittadinanza, coinvolgimento nella criminalità,

costitutività familiare).

Dal IX Rapporto CNEL, del 18/7/2013, basato sui dati rilevati nel 2011,

emerge, rispetto al 2009, anno di riferimento del Rapporto precedente, che il

potenziale di integrazione che l'Italia era stata capace di esprimere fino ad allora si

cominciava sensibilmente a ridurre, a causa della crisi economico-occupazionale

destinata progressivamente ad acuirsi, con la conseguenza di un generale

indebolimento delle condizioni socio-occupazionali che sono fondamentali per

rendere strutturalmente possibile l’avvio e la riuscita dei processi di integrazione.

Nel Rapporto si evidenzia, oltre all'abbassamento generale del potenziale di

integrazione, anche il suo mutamento nella geografia dei territori italiani: mentre

negli anni precedenti erano le regioni del Nord Est (Friuli Venezia Giulia, Veneto) a

far rilevare valori più alti del potenziale di integrazione, nel 2011 erano Piemonte,

Emilia Romagna, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Abruzzo.

Dall'analisi dei risultati del potenziale di integrazione per 'provincia' un dato

interessante è quello che fa rilevare come ai primi posti della graduatoria risultano

città come Macerata, Mantova, Imperia, Pistoia, Asti, Biella, Teramo: si conferma,

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insomma, un fenomeno mai venuto meno negli anni di rilevazione del CNEL, e che

sempre più costituisce, perciò, un tratto caratterizzante del “modello” italiano di

integrazione: il fatto, cioè, che le condizioni di inserimento sociale e occupazionale

degli immigrati, che determinano il potenziale di integrazione di un territorio, sono

migliori in contesti più ristretti e a bassa “complessità sociale”, ovvero in territori che

non fanno capo ad aree urbane particolarmente estese o a realtà metropolitane

caratterizzate da una forte concentrazione demografica, da una vita più frenetica e

competitiva, da meccanismi selettivi (quando non escludenti), da strutture (e

sovrastrutture) di mediazione che regolano i rapporti sociali rendendoli sempre più

indiretti e anonimi, aumentando così il senso di estraneazione, di marginalizzazione,

di non appartenenza.

Nel 2014 il Rapporto su “L'integrazione degli immigrati e dei loro figli in Italia

– l'integrazione nel mercato del lavoro in Italia” predisposto dall'OCSE

(Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea) su richiesta del CNEL

(OECD (2014), Lavoro per gli immigrati: L’integrazione nel mercato del lavoro in

Italia, OECD Publishing.http://dx.doi.org/10.1787/9789264216570-it) nel presentare

l'evoluzione delle politiche di integrazione in Italia, conferma una diffusa presenza di

istituzioni pubbliche, enti e associazioni del privato sociale che hanno consolidato

una rete di servizi a favore del processo integrativo degli stranieri, con una

molteplicità di interventi, per lo più legati a progetti finanziati con fondi europei,

operanti in vari ambiti.

Nel Rapporto vengono evidenziate altresì le drammatiche conseguenze della

crisi occupazionale in atto per gli immigrati, specie per il crollo di alcuni settori dove

la manodopera straniera poco specializzata era prima particolarmente richiesta, come

quello edile e dell'industria manifatturiera. Dal momento che il permesso di

soggiorno per i lavoratori di Paesi Terzi è legato alla sussistenza di un contratto di

lavoro, il problema della disoccupazione per gli immigrati ha un risvolto che pesa

pertanto anche sulla loro regolarità da un punto di vista amministrativo, esponendoli

alla clandestinità.

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Prima della crisi economica, dunque, l'immigrazione in Italia era riuscita a

trovare efficaci processi integrativi nel tessuto sociale ed economico del territorio, in

quanto gestita con strumenti normativi diretti principalmente a coniugare la

regolarizzazione dello straniero con lo svolgimento di una attività lavorativa.

- INTEGRAZIONE DEI MIGRANTI ARRIVATI CON IL NULLA OSTA AL

LAVORO O PER RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE (D.Lgs 286/98) – GLI

ANNI FINO AL 2010

I cittadini provenienti dai Paesi Terzi che sono arrivati in Italia a partire dagli

anni '80 fino al primo decennio del 2000, sono stranieri entrati in genere – più o

meno regolarmente - per essere inseriti, da subito, in un contesto lavorativo che ha

certamente favorito il processo di integrazione. La normativa che si è susseguita nel

corso di questi anni è confluita nel D.Lgs.25 luglio 1998 n. 286 (Testo Unico delle

disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione

giuridica dello straniero), che ha subìto successive modifiche, e si basa su tre pilastri:

la lotta contro la migrazione illegale, la regolamentazione dell'immigrazione legale

con la previsione dei c.d. decreti flussi, e l'integrazione, intesa quest'ultima

soprattutto come integrazione economica. Il conseguimento del permesso di

soggiorno per motivi di lavoro ha consentito a molti cittadini stranieri di rendere

stanziale la loro residenza anagrafica, di far venire in Italia i propri familiari in virtù

del ricongiungimento familiare, e di maturare i requisiti richiesti per la domanda di

cittadinanza italiana.

Le richieste di cittadinanza italiana, infatti, negli ultimi decenni sono

aumentate in modo esponenziale, evidenziando come gli stranieri regolarizzati

abbiano trovato nel Paese Italia una nuova comunità di appartenenza nella quale

poter consolidare la propria vita personale e familiare.

Secondo i dati nazionali forniti dal Ministero dell'Interno, nel 2004 le

concessioni di cittadinanza italiana sono state 11.941 (di cui 3.690 maschi e 8.251

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28

femmine), nel 2010 sono state 40.223 (di cui 16539 maschi e 23.684 femmine), nel

2011 arrivano a 65.678 (di cui 30.890 maschi e 34.788 femmine).

Significativa è la situazione dei cittadini stranieri residenti in Italia rilevata alla

fine del 2000 nel Dossier Statistico Immigrazione 2001 della Caritas, perché è quella

che si presenta dopo l’entrata in vigore della politica delle quote.

Alla fine del 2000 i cittadini stranieri in Italia, registrati come titolari di

permesso di soggiorno, risultavano 1.338.153, di cui 752.424 maschi (54,2%). I

cittadini comunitari erano 151.798 (10,9%), un punto percentuale in meno rispetto

all’anno precedente. Nel 2000 l’aumento del numero di soggiornanti è stato di

137.000 unità: in altre parole, al netto di quelli che nello stesso periodo hanno

lasciato il paese, vi sono stati 6 nuovi immigrati ogni 2000 italiani residenti.

Nel 2003 vengono ampiamente superati i due milioni di presenze: è questo

l’effetto della regolarizzazione disposta nell’anno precedente dalla legge 30 luglio

2002, n. 189, la c.d. Bossi-Fini, che ha modificato il T.U. del 1998, e a seguito della

quale vengono presentate ben 700.000 domande.

Gli aumenti nel nuovo decennio iniziano ad essere consistenti anche negli anni

'normali', tanto che al netto delle regolarizzazioni superano le 100.000 unità annue.

Con la presenza aumentata dei cittadini stranieri, comincia ad essere

indispensabile un progetto più deciso di integrazione diretto a rendere concreta la

partecipazione degli immigrati alla vita sociale ed economica del paese, in un

contesto di reciproco rispetto di valori e diversità culturali e religiose.

Alla fine del primo decennio del 2000 la normativa introduce misure

significative per rendere effettiva l'integrazione degli stranieri in Italia.

Il Decreto Ministeriale 4 giugno 2010 “Modalità di svolgimento del test di

conoscenza della lingua italiana previsto dall'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio

1998 n. 286 , introdotto dall'art. 1, comma 22 lettera i) della legge n. 94/2009”,

dispone l'obbligatorietà del test di conoscenza della lingua italiana per i cittadini

stranieri che intendono conseguire la carta di soggiorno a lunga scadenza.

Il DPR 14 settembre 2011 n. 179 “Regolamento concernente la disciplina

dell'accordo di integrazione tra lo straniero e lo Stato”, entrato in vigore il 10 marzo

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29

2012, prevede che gli stranieri, di età superiore ai 16 anni, che faranno ingresso nel

territorio nazionale per la prima volta e richiedano un permesso di soggiorno di

durata pari o superiore ad un anno, dovranno sottoscrivere l'Accordo di Integrazione

presso le Prefetture o le Questure. Con tale istituto, basato sul principio dei crediti, si

è voluta perseguire la strada del patto con il cittadino non appartenente all'Unione

europea regolarmente soggiornante, fondato su reciproci impegni. Da parte dello

Stato, quello di assicurare il godimento dei diritti fondamentali e di fornire gli

strumenti che consentano di acquisire la lingua, la cultura ed i principi della

Costituzione italiana; da parte del cittadino straniero, l'impegno al rispetto delle

regole della società civile, al fine di perseguire, nel reciproco interesse, un ordinato

percorso di integrazione.

Nel Preambolo dello schema dell'Accordo di integrazione che lo straniero

firma presso la Prefettura, si legge:

L’integrazione, intesa come processo finalizzato a promuovere la convivenza

dei cittadini italiani e di quelli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio

nazionale, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, si fonda sul

reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della

società.

In particolare, per i cittadini stranieri integrarsi in Italia presuppone

l’apprendimento della lingua italiana e richiede il rispetto, l’adesione e la

promozione dei valori democratici di libertà, di eguaglianza e di solidarietà posti a

fondamento della Repubblica italiana.

Il sistema normativo, dunque, ha cercato di fornire utili strumenti perchè

potesse essere realizzata una effettiva partecipazione del cittadino straniero nella vita

sociale, economica e culturale della comunità ospitante, partendo da uno degli aspetti

fondamentali: l'apprendimento della lingua italiana da parte dei cittadini stranieri,

considerato che la padronanza della lingua è sicuramente il principale fattore di

integrazione. I Centri Territoriali Permanenti per l'Istruzione in età adulta (CTP),

trasformati poi in Centri Provinciali d'Istruzione per Adulti (CPIA) svolgono un

ruolo essenziale nell'apprendimento della lingua, alfabetizzazione e rilasciano le

Page 34: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

30

certificazioni delle competenze linguistiche. Molti progetti e programmi di

formazione finanziati con i Fondi Europei hanno cominciato proprio in quegli anni

ad essere organizzati da Regioni, Comuni, organismi del privato sociale, fornendo un

valido punto di partenza anche per la creazione di una nuova mentalità nella

costruzione del processo di integrazione, dove per sentirsi parte attiva nella comunità

ospitante il cittadino straniero deve saper dimostrare anche un impegno fattivo.

L'evoluzione di questo processo ha trovato però un impatto frenante:

− nella crisi economica, che ha colpito dal 2009 anche il nostro Paese, tanto che

molti cittadini stranieri provenienti dagli Stati del Sud America hanno preferito

rimpatriare nei propri Paesi di origine;

− e nella crisi del Nord Africa, che ha visto, a partire dal 2011, l'inizio degli

sbarchi, susseguitisi senza sosta e con arrivi in massa nelle coste siciliane negli anni a

seguire.

- INTEGRAZIONE DEI RICHIEDENTI ASILO E DEI TITOLARI DI

STATUS: GLI ASPETTI DI CRITICITA'

Con gli arrivi massicci sulle coste italiane, a partire dal 2011, e tuttora in corso,

con numeri che la storia più recente del paese non aveva conosciuto, diventa più

complicato parlare di integrazione in quanto questi migranti, che provengono per lo

più dall'Africa Sub Sahariana transitando dal Mediterraneo partendo dalla Libia, o

dai Paesi asiatici interessati da guerre ed estrema povertà, appartengono a Paesi

molto poveri e che soffrono di situazioni politiche instabili, con sistemi fortemente

corrotti e vessatori, e si presentano come 'richiedenti protezione internazionale'. La

loro situazione è ben diversa dai cittadini stranieri che facevano ingresso in Italia per

ottenere un nulla osta al lavoro e provenivano per lo più dai paesi dell'Est Europa, da

quelli del Sud America, dal Nord Africa (Marocco, Algeria, Tunisia), da alcuni paesi

asiatici...

I richiedenti protezione internazionale che sbarcano sulle nostre coste entrano

nel circuito del sistema accoglienza del nostro Paese dove il Servizio SPRAR, nato

Page 35: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

31

nel 2002 quando le richieste di protezione internazionale avevano numeri molto

inferiori, non è più sufficiente per la prima accoglienza, e sono pertanto i c.d. Centri

di Accoglienza Straordinaria a svolgere la prima accoglienza dei richiedenti asilo, in

attesa che la competente Commissione Territoriale esamini le loro domande di

protezione internazionale e si pronunci al riguardo.

Rispetto pertanto alla immigrazione dei trascorsi decenni, è evidente l'impatto

profondamente diverso e più drammatico di questo fenomeno che rende molto

complessa la gestione dell'accoglienza e della conseguente integrazione.

Le criticità e gli ostacoli all'integrazione dei richiedenti protezione

internazionale sono ben evidenziati nella “Nota sull'integrazione dei rifugiati

nell'Unione Europea” dell'UNHCR (UN Refugee Agency) del Maggio 2007, nella

quale vengono così elencati quelli che i rifugiati percepiscono come principali

ostacoli all'integrazione:

· difficoltà dovute a mancanza di conoscenza delle lingue e delle diverse culture

del luogo;

· discriminazione e atteggiamenti di chiusura nei confronti degli stranieri;

· mancanza di comprensione nelle società di accoglienza della specifica

condizione dei rifugiati;

· impatto psicologico della protratta inattività durante le procedure d’asilo;

· limitato accesso ai diritti da parte dei beneficiari di protezione sussidiaria.

Un punto su cui viene particolarmente richiamata l'attenzione è la durata delle

procedure di asilo, particolarmente lunghe in alcuni Paesi dell'Unione Europea come

l'Italia, che costringono il richiedente a vivere un periodo di inattività e incertezza sul

proprio futuro che può risultare dannoso anche per la salute mentale, generando

depressione e sindrome di dipendenza, condizionando in maniera negativa il

richiedente anche dopo l'eventuale riconoscimento di uno status.

Nella nota i principali fattori di stimolo per l'integrazione, che l'UNHCR invita

gli Stati dell'UE a promuovere nelle loro politiche di accoglienza e integrazione,

sono legati all'apprendimento della lingua della comunità ospitante, all'inserimento

Page 36: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

32

scolastico e quello lavorativo, nonché alla garanzia dell'assistenza sanitaria e

amministrativa.

E' sempre più evidente come non sia più sufficiente garantire accoglienza o

assistenza a chi è in fuga dal proprio paese, ma è necessario pensare e rendere

concreti i loro processi di integrazione sociale ed economica, in un quadro di

relazioni interculturali che garantiscano non solo solidarietà e crescita per la società

ospitante, ma anche maggiore sicurezza sociale. L'esperienza mostra infatti la

pericolosità di una concezione sociale a senso unico, che sollecita il cambiamento

delle minoranze senza chiamare anche la maggioranza a mettersi in questione. Non

può che derivarne un effetto di radicalizzazione che porta ad una reciproca chiusura

dei gruppi di maggioranza e minoranza. “Si evidenziano così i limiti di una politica

migratoria attuata unicamente in base ad un modello di alloggio – lavoro – assistenza

senza tener conto di altre dimensioni, fra cui l'educazione”. (“L'integrazione dei

rifugiati” di Marco Catarci).

La presenza dei rifugiati interroga la società di accoglienza sulle sue

responsabilità in relazione ai processi che hanno causato la fuga di un consistente

numero di persone dal proprio Paese. Occorre, pertanto, nell'esaminare la questione

dei migranti forzati, rinunciare a qualsiasi automatismo “riduzionista”, peraltro

estremamente diffuso, che subordina il giudizio complessivo sul fenomeno

migratorio in termini di pura utilità al suo apporto al sistema economico – produttivo,

imponendo necessariamente di considerare la dimensione politica ed etica di una

tale presenza, nonché, conseguentemente, di individuare ragioni e cause dei

processi di migrazione forzata.

Se è vero che il processo di integrazione non si riduce al binomio casa e lavoro,

va considerato tuttavia che questi, insieme all'apprendimento della lingua italiana,

sono pre-requisiti per avviare il processo di effettiva autonomia del richiedente asilo.

Per quanto riguarda l'apprendimento della lingua italiana, sono molteplici le

iniziative promosse a livello territoriale, anche grazie ai numerosi progetti finanziati

dal Fondo Europeo per l'Asilo e le Migrazioni (F.A.M.I.), per fornire al richiedente

protezione internazionale una prima formazione linguistica. Nei contratti di

Page 37: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

33

affidamento del servizio di accoglienza stipulati con i soggetti gestori è prevista

l'attivazione di corsi di apprendimento della lingua italiana, che pertanto possono

essere subito seguiti dal migrante appena arriva nel centro di accoglienza

straordinaria.

Anche gli aspetti sanitari sono fortemente attenzionati, con la garanzia

dell'assistenza a tutti i richiedenti asilo, fin dal primo ingresso nel territorio.

L'aspetto più critico rimane quello dell'inserimento lavorativo, causa la

sfavorevole congiuntura economica che si ripercuote ormai da alcuni anni

sull'occupazione a livello nazionale. Ciò non toglie che appare di fondamentale

importanza progettare dispositivi formativi nei servizi di accoglienza: si tratta

innanzitutto di un approccio strategico per far emergere le risorse personali del

migrante, e per permettere a lui di individualizzare il suo percorso di inserimento

sociale, consentendogli di poter far riferimento anche a pregresse conoscenze e

abilità da lui acquisite in precedenza.

Se è vero che non si può ridurre il processo integrativo al solo aspetto

economico/lavorativo, è pur vero che il coinvolgimento del cittadino straniero al

quale viene garantito l'ingresso in un sistema di accoglienza fino alla decisione finale

della sua istanza di protezione internazionale, in attività di formazione professionale,

lavorative, o di utilità alla collettività in cui è stato inserito, rimane un elemento

fondamentale per gettare le basi al suo processo di integrazione.

Questo coinvolgimento dovrebbe essere, in realtà, immediato e concomitante

con l'inizio dell'accoglienza, per non ingenerare nello stesso migrante accolto una

mentalità assistenzialistica, principale ostacolo all'integrazione, sia da parte sua, sia

da parte della comunità ospitante. Questa strategia, che comunque vale la pena di

mettere in atto, anche se esiste l'incertezza dell'accoglimento o meno della istanza di

protezione internazionale, dovrebbe pertanto essere codificata e formalizzata, e

inserita sistematicamente nel percorso di accoglienza del richiedente asilo.

Page 38: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

34

- IL DECRETO LEGGE 17 FEBBRAIO 2017 N. 13 E L'ANNUNCIO DEL

MINISTRO DELL'INTERNO MINNITI DI UN PIANO NAZIONALE PER

L'INTEGRAZIONE

Con la crisi occupazionale in atto non è facile prevedere percorsi di

inserimento lavorativo dei richiedenti asilo, ma rimane comunque fondamentale il

loro coinvolgimento in attività di formazione linguistica, di formazione

professionale, o anche in attività volontarie di utilità sociale.

Vedere - come spesso accade – gruppi di giovani richiedenti protezione

internazionale che vagano per le nostre città o paesi, senza alcun tipo di impegno, è

l'immagine più controindicata per realizzare l'integrazione, generando l'insofferenza

della comunità autoctona, e la demotivazione e depressione nei migranti stessi.

Il decreto legge n. 17 febbraio 2017 n. 13, convertito con la legge 13 aprile

2017, n. 46, prevede all'art. 8 , comma 4 lettera d), l'introduzione, dopo l'art. 22 del

Decreto Legislativo 18 agosto 2015, n. 142, dell'art. 22 bis sulla “Partecipazione dei

richiedenti protezione internazionale ad attività di utilità sociale”. Si enuncia al

riguardo che “I prefetti promuovono, d'intesa con i Comuni (( e con le regioni e le

province autonome, )) anche nell'ambito dell'attivita' dei Consigli territoriali per

l'immigrazione di cui all'articolo 3, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998,

n. 286, e successive modificazioni, ogni iniziativa utile all'implementazione

dell'impiego di richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attivita'

di utilita' sociale in favore delle collettivita' locali,nel quadro delle disposizioni

normative vigenti. Ai fini di cui al comma 1, i prefetti promuovono la diffusione delle

buone prassi e di strategie congiunte con i Comuni, (( con le regioni e le province

autonome )) e le organizzazioni del terzo settore, anche attraverso la stipula di

appositi protocolli di intesa.“

La norma recepisce le esperienze che in molte realtà locali, dal Nord al Sud

dell'Italia, sono state avviate da tempo con la stipula di protocolli di intesa tra

Prefetture, Comuni e soggetti gestori dell'accoglienza, realizzando concretamente

una fattiva volontà per impegnare i richiedenti protezione internazionale nel contesto

Page 39: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

35

locale, ai fini di poter gettare le basi per la loro integrazione. Non esisteva tuttavia

una norma che prevedesse questa opportunità, lasciata finora all'iniziativa e alla

sensibilità delle istituzioni locali.

La esplicita previsione normativa intende dare un nuovo impulso a dette

iniziative, che per essere maggiormente incisive ed efficaci dovrebbero essere

attivate nella primissima fase dell'accoglienza, scongiurando in tal modo il

consolidamento nel richiedente protezione internazionale di un atteggiamento di

attesa e pretesa di assistenzialismo ad oltranza. In genere si affidano ai migranti, a

titolo esclusivamente volontario, e sotto la guida di un operatore che provvede al loro

addestramento, semplici attività di manutenzione, pulitura di strade e di aree verdi, in

uno spirito di collaborazione spontanea che dà visibilità alla loro volontà di integrarsi

nel tessuto sociale locale.

Lo sforzo delle istituzioni governative, e in particolare del Ministero

dell'Interno, è molteplice in questa direzione, contando soprattutto sul contributo dei

comuni e sulla collaborazione di ANCI. Il sistema SPRAR, gestito da ANCI, è stato

di recente potenziato con la previsione di un sistema di accesso ai finanziamenti

permanente rivolto ai comuni già titolari di progetti e a quelli che intendono invece

presentarli per la prima volta. Il Decreto ministeriale 10 agosto 2016 n. 100 ha

previsto infatti significative semplificazioni nelle modalità di accesso da parte degli

enti locali ai finanziamenti del Fondo nazionale per le politiche ed i servizi di

accoglienza per i richiedenti e i beneficiari di protezione internazionale e per i titolari

del permesso umanitario. Il potenziamento del sistema SPRAR, diretto in primo

luogo ad ampliare la capacità di accoglienza, è fondamentale anche ai fini

dell'integrazione, offrendo molti servizi diretti alla formazione linguistica e

professionale del richiedente asilo, nonché al suo accompagnamento verso un

percorso di autonomia al di fuori del sistema.

Da segnalare anche iniziative come il progetto 'INSIDE', che fa capo al

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, progetto pilota rivolto a

promuovere 672 tirocini di inserimento lavorativo destinati a titolari di

protezione internazionale ospitati nel sistema SPRAR. Il progetto si propone il

Page 40: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

36

rafforzamento della governance attraverso un servizio di assistenza tecnica ai

soggetti coinvolti nell'attivazione dei tirocini e la predisposizione di un modello

di intervento replicabile per la programmazione e l'attuazione di percorsi di

inserimento socio-lavorativo rivolti a titolari di protezione internazionale, anche

alla luce degli interventi da realizzare nell'ambito della futura programmazione

dei fondi europei (FSE e FAMI). Il progetto, avviato a giugno 2016, ha dato

proficui risultati ed ha evidenziato l'importanza di identificare in maniera

efficace le competenze dei rifugiati: le loro conoscenze, esperienze, abilità

presenti nel loro background sono elementi essenziali per il loro percorso di

inclusione sociale.

E' evidente che non bastano le norme a rendere fattibile e concreta

l'integrazione, ma è la sensibilità e la lungimiranza delle collettività e delle istituzioni

locali a giocare un ruolo fondamentale. Come in tutti i fenomeni sociali complessi,

dovranno essere più fattori ad interagire insieme per la costruzione di una società

integrata, e le istituzioni devono saperli individuare e farli emergere con adeguate

misure di sostegno.

Il Piano Nazionale per l'Integrazione che ha annunciato a febbraio di

quest'anno il Ministro dell'Interno Minniti nel corso dell'audizione a Palazzo San

Macuto a Roma davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di

accoglienza e di identificazione ed espulsione, dovrebbe muoversi proprio in questa

direzione, articolando il percorso integrazione in diversi punti: inserimento socio-

lavorativo, assistenza sanitaria, formazione linguistica, ricongiungimento familiare,

istruzione e riconoscimento dei titoli di studio.

°°°°°°°°°°°

In conclusione:

1 – l'integrazione è un processo bidirezionale che coinvolge il cittadino

straniero e la comunità ospitante, in un'ottica di cambiamento a livello culturale,

sociale e normativo;

Page 41: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

37

2 – è necessario compiere ogni sforzo da parte della società ospitante per

realizzare l'integrazione dei cittadini stranieri richiedenti asilo che arrivano nel nostro

Paese, non solo per fini umanitari e sociali, ma anche perchè è la migliore

prevenzione a processi di radicalizzazione e di arruolamento nelle fila del terrorismo

o della criminalità organizzata;

3 – la realizzazione del processo di integrazione non ha un riscontro

immediato, e gli obiettivi da raggiungere non sono a breve scadenza, ma necessitano

di concrete iniziative, che, se pur non di particolare portata, siano possibili da

realizzare nell'immediato;

4 – gli strumenti normativi che agevolano l'integrazione non sono da soli

sufficienti, ma servono comunque ad avviarne il processo e a fornire agli attori

dell'integrazione la giusta occasione per gettarne le basi, cercando di costruire il

percorso con modalità che forniscano un contributo di crescita al migrante e alla

comunità autoctona.

Il Prefetto, che svolge un ruolo determinante nella gestione dell'accoglienza,

può pertanto mettere in campo varie azioni per far sì che questo percorso di

integrazione sia avviato in concreto fin dalle primissime fasi dell'accoglienza.

Nelle convenzioni stipulate con gli enti gestori dell'accoglienza sono previste

una serie di servizi di supporto all'integrazione, ma occorre che, per una buona

riuscita del percorso integrativo, le Prefetture pongano in essere costanti azioni di

verifica e di stimolo dirette ai seguenti obiettivi:

– i soggetti gestori assicurino una informazione esauriente e costante al

richiedente asilo, sui suoi doveri e i suoi diritti, e sulla situazione futura che l'aspetta:

la consapevolezza della reale posizione è indispensabile per non ingenerare in lui

aspettative sbagliate, ed occorre che l'informativa sia curata non solo per ciò che

concerne la posizione giuridico/amministrativa, ma anche per ciò che attiene altri

aspetti della realtà economica e sociale del territorio di riferimento;

– gli enti gestori diano inizio quanto prima ai corsi di formazione di lingua

italiana, garantendo possibilmente anche vari livelli di apprendimento, per

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38

valorizzare le abilità acquisite e garantire una progressione di livello dei richiedenti

asilo;

– una volta che il richiedente asilo abbia acquisito i primi livelli di

apprendimento della lingua italiana, è necessario avviare un percorso di formazione

lavorativa, secondo le esigenze o le capacità individuali: attività artigianali, agricole,

ludico/sportive, purchè servano a mantenere costante l'impegno quotidiano. I Prefetti

devono in questo caso verificare la disponibilità dei soggetti del territorio più

sensibili per realizzare percorsi formativi in tal senso, dando visibilità all'iniziativa e

trovando modalità di attuazione che abbiano una ricaduta favorevole anche nel

contesto locale;

– il Prefetto può svolgere un ruolo determinante anche nella attivazione di

convenzioni con gli enti locali per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, ora

previsti dal decreto legge n. 17 febbraio 2017 n. 13, convertito con la legge 13 aprile

2017, n. 46, verificando le modalità più opportune, al fine di rendere visibile la

volontà di collaborazione degli ospiti dei centri di accoglienza a fornire il proprio

contributo alla comunità locale. Molte sono le iniziative già sperimentate a livello

nazionale, e con la previsione normativa si auspica che queste iniziative diventino

prassi sempre più diffuse e consolidate.

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Il fenomeno dell’immigrazione nel pensiero di Papa Francesco

“Quando riusciremo a considerare il migrante come un arricchimento per la

nostra società, allora saremo capaci di praticare la vera accoglienza e riusciremo a

dare loro ciò che in passato abbiamo ricevuto. Abbiamo molto da imparare dal

passato, senza fomentare la paura dello straniero”.

Con queste parole Papa Francesco, autentico riferimento morale e civile di una

visione del mondo fondata sul valore della solidarietà, ha magistralmente descritto le

migrazioni come un fenomeno che oltrepassa i confini dei singoli Stati e perfino dei

Continenti, sottolineando la necessità della cooperazione internazionale per la

gestione delle politiche migratorie dei diversi Paesi, che devono necessariamente

essere rispettose sia per chi riceve che per chi viene accolto.

Il Pontefice, allo stesso tempo, unendo la sua preghiera a Lesbo, il 16 aprile

2016, a quella dell’Arcivescovo di Atene Ieronymos e del Patriarca di Costantinopoli

Bartolomeo, ha posto il dialogo ecumenico ed interreligioso al centro della ricerca di

soluzioni possibili all’accoglienza di chi arriva in Europa, sostenendo che la

condivisione fraterna con altre confessioni sollecita le coscienze a non voltare le

spalle alla richiesta di aiuto e alla speranza di coloro che versano in difficoltà.

Fondamentale, inoltre, è per il Santo Padre il ruolo della comunicazione ed ha

sostenuto, ricevendo in Udienza il 22 settembre 2016 i giornalisti italiani, che i mass

media dovrebbero essere spinti dal dovere di spiegare i diversi aspetti delle

migrazioni, facendo conoscere all’opinione pubblica anche le cause di questo

fenomeno, vale a dire la violazione dei diritti umani, i violenti conflitti nei disordini

sociali, la mancanza di beni di prima necessità, le catastrofi naturali e quelle causate

dall’uomo. Spesso, sono poi gli stessi mass media a utilizzare stereotipi negativi

parlando di migranti e rifugiati. Basti pensare all’uso scorretto che spesso si fanno di

dei termini “migranti” e “rifugiati”, sentendo a volte parlare di “clandestino” come

sinonimo di “migrante”, spingendo così l’opinione pubblica all’elaborazione di un

giudizio negativo.

Page 44: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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Il pensiero e l’azione del Ministro dell’Interno

Per il Ministro dell’Interno, Marco Minniti, il fenomeno dell’immigrazione ha

una portata epocale, non solo a livello europeo ma anche per tutto il resto del mondo.

Per questo va affrontato in un’ottica internazionale, ad iniziare dalla dimensione

europea.

Al riguardo, il Ministro sottolinea che venti anni fa la legge Turco-Napolitano

sull’immigrazione fu l’espressione di una importante stagione riformista del Paese, in

quanto affrontava il tema degli immigrati non più in termini di emergenza, bensì

strutturali.

L’Italia, pertanto, diventava capofila di un progetto che poi è andato

allargandosi, per affrontare un problema con il quale non solo essa, ma l’intera

Europa ed anche il resto del mondo avrebbero fatto i conti per lungo tempo.

Si tratta, quindi, di una questione di democrazia che va necessariamente

affrontata in un’ottica internazionale, a iniziare dalla dimensione europea.

L’Agenda, sottoposta al Parlamento dal Ministero dell’Interno, si basa su tre

capisaldi: i flussi, l’accoglienza e la sicurezza. Si tratta, quindi, di una strategia, di un

disegno complessivo come lo fu a suo tempo la legge Turco-Napolitano.

Bisogna tuttavia essere consapevoli che una politica incontrollata dei flussi non

è più possibile e occorre riprendere la politica di cooperazione internazionale iniziata

negli anni Novanta, essendo perfettamente consapevoli che i flussi di partenza sono

cambiati rispetto a quelli dell’epoca. Allora era la Tunisia il punto nevralgico e si

stabilì un accordo con il Governo Tunisino per drenare le partenze, che avvenivano

lungo le coste di quel Paese. La Tunisia fu disponibile ad accogliere sul proprio

territorio i mezzi delle forze di polizia italiane, analogamente a quanto era avvenuto,

con risultati positivi, in Albania.

Oggi, le partenze avvengono dalla Libia. Nel 2016 è passato da qui il 90% dei

flussi verso l’Italia e nei primi due mesi del 2017 questa percentuale è salita ancora.

Lo scorso 2 febbraio, l’accordo tra Italia e Libia firmato a Palazzo Chigi dal

Presidente Gentiloni e dal Presidente Serraj ha segnato l’inizio di una svolta, in

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41

considerazione del fatto che in questo periodo in Libia il traffico di esseri umani è

diventato uno dei commerci più fiorenti del Paese. Il governo libico ha avuto il

coraggio di sottoscrivere un memorandum che riguarda la garanzia fondamentale dei

rispetto dei diritti umani, il controllo delle frontiere marittime e delle frontiere a sud.

L’Unione Europea ha applaudito al memorandum, ma ora bisogna che anche essa

faccia la sua parte, perché la lotta ai trafficanti possa essere estesa agli altri Paesi

africani, secondo il modello di intesa raggiunto dall’Italia con la Libia.

Il secondo aspetto della strategia riguarda l’accoglienza, che produce essa

stessa integrazione, a condizione che sia governata. E’ stato realizzato un accordo

con l’A.N.C.I., per realizzare un sistema di accoglienza diffusa dei richiedenti asilo

nel territorio del Paese; è stato chiesto ad ogni Comune di farsi carico di un piccolo

numero di profughi in rapporto alla propria popolazione, concependo una politica

premiale per le comunità che collaborano in questo senso.

Ma la politica dell’accoglienza diffusa ha bisogno anche di un’altra condizione:

di tempi relativamente certi nei quali stabilire se un rifugiato è realmente tale e,

dunque, se ha diritto o meno alla protezione internazionale.

Infine, un corollario dell’accoglienza riguarda la possibilità di fare svolgere ai

richiedenti asilo lavori di pubblica utilità, superando in tal senso le forme di

diffidenza esistenti verso di loro.

Sotto il profilo della sicurezza, si sottolinea che chi fugge da una guerra o da

una carestia deve essere accolto, chi è fuori dalle regole o viola la legge deve essere

rimpatriato attraverso gli accordi di riammissione con i Paesi di provenienza. La

protezione dei minori, il patto con le associazioni dell’islam italiano e i corridoi

umanitari costituiscono gli esempi delle vie da percorrere.

Page 46: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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I provvedimenti e la pianificazione del Governo sui diversi fronti

dell’immigrazione: severità e integrazione con il coinvolgimento degli Enti Locali,

pressione per una reale operatività dell’U.E., patti di collaborazione con i Paesi

africani

Il fenomeno dell’immigrazione non va subito, né inseguito, ma è necessario

invece governarlo. Su questo pilastro, si basa l’approccio italiano verso un esodo

storico che vede il nostro Paese, nelle attuali dinamiche dei flussi migratori, come

una sorta di imbuto geopolitico. Una dichiarazione di intenti, ma non solo: ci sono

anche gli intenti concreti, approvati dal Governo o in via di definizione, a partire dai

primi mesi del 2017, per realizzare un progetto organico e articolato che viaggia su

tre direttrici.

La prima, quella nazionale, passa da un “Piano Immigrazione”, fatto da un

nuovo modello di accoglienza, una riorganizzazione dei sistemi di affidamento in

gestione dei centri, attraverso accordi con gli enti locali e con le comunità straniere e

religiose sul territorio nazionale. I principi chiave sono: integrazione certa e veloce

per chi ne ha diritto, rimpatri rapidi e severità per chi non ne ha o delinque. In una

democrazia occidentale, si deve tenere conto delle condizioni di chi scappa dalla

guerra ma anche dei sentimenti delle comunità di accoglienza: sono queste le due

esigenze da contemperare.

C’è poi la seconda direttrice, legata alla linea internazionale che porta a sud. Il

sistema al di qua del confine può funzionare a condizione che si contengano i flussi

in entrata: importante perciò stringere alleanze con i Paesi di provenienza o di

transito dei migranti. I dati del 2016 di Frontex orientano lo sguardo sulla cartina con

il Mediterraneo al centro. Depotenziate le rotte balcaniche, si è registrato un

incremento del 18% per i passaggi via mare dalla Libia. Su questa si concentrano gli

sforzi del Governo. In acqua, con il potenziamento dei pattugliamenti sulle coste, e a

terra, attraverso accordi con le autorità locali riconosciute, che permettano la

sorveglianza sulle frontiere meridionali. Un obiettivo di medio periodo resta la

creazione di centri di selezione già in Africa.

Page 47: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

43

La terza direttrice passa per una definitiva strategia europea sulla “questione

immigrazione”. L’Italia se n’è fatta carico attivando una rinnovata iniziativa

nazionale per ottenere un nuovo approccio da parte dell’UE mentre, sul piano

interno, prosegue il dialogo del Governo con Regioni, Province e Comuni. A tal

riguardo, il patto siglato con l’A.N.C.I. prevede la redistribuzione dei migranti

diffusa tra gli 8000 Comuni italiani: la quota è di 2,5 per ogni mille abitanti. Con la

clausola di salvaguardia, i sindaci che con le loro comunità accettano le percentuali

stabilite non dovranno sobbarcarsi ulteriori accoglienze e riceveranno incentivi

economici.

Il 10 febbraio scorso il Governo ha approvato il decreto per il contrasto alla

immigrazione illegale e l’accelerazione delle procedure di protezione internazionale.

Infatti, in 14 Tribunali distribuiti sul territorio nazionale, vengono costituite

altrettante sezioni specializzate in materia di immigrazione. In composizione

monocratica, le sezioni hanno competenza su: riconoscimento della protezione

internazionale, permessi di soggiorno per motivi umanitari, nulla osta al

ricongiungimento e al permesso di soggiorno per motivi familiari. Il procedimento

viene definito entro quattro mesi con decreto non più impugnabile in appello e

ricorribile in Cassazione. Nelle more della decisione, i richiedenti protezione

internazionale, su iniziativa dei Prefetti e di intesa con i Comuni, potranno svolgere

attività con finalità di carattere sociale in favore delle collettività locali, su base

volontaria e gratuita. Si introducono, inoltre, disposizioni finalizzate a garantire

l’effettività dei provvedimenti di allontanamento per chi non ha diritto di stare sul

suolo italiano. Nascono i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), strutture di

dimensioni ridotte con capienza massima di 100 stranieri.

Sono state inoltre previste forme di cooperazione rafforzata tra i Prefetti ed i

Comuni, dirette ad incrementare i servizi di controllo del territorio. Sono definite,

anche mediante il rafforzamento del ruolo dei sindaci, nuove modalità di prevenzione

e di contrasto all’insorgere di fenomeni di illegalità. Viene inoltre rafforzato

l’apparato sanzionatorio amministrativo per prevenire fenomeni di criticità sociale:

Page 48: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

44

prevista anche la possibilità di imporre il divieto di frequentazione di determinati

pubblici esercizi e aree urbane ai condannati per i reati di particolare allarme sociale.

E’ stato, inoltre, predisposto il nuovo capitolato per le gare d’appalto per i

centri di accoglienza, promosso insieme all’A.N.A.C., con il superamento del gestore

unico, la tracciabilità dei servizi erogati ed una maggiore attenzione alla qualità

dell’offerta, unitamente al potenziamento dell’attività di controllo del Ministero

dell’Interno.

La creazione di un nuovo quadro legislativo interno è accompagnata da una

parallela attività diplomatica internazionale. il cui fulcro è la gestione dei rapporti, in

particolare con la Libia. Il 2 febbraio scorso è stato infatti firmato il memorandum tra

il Presidente del Consiglio Gentiloni e il leader riconosciuto degli organismi

internazionali del Paese nordafricano Serraj, in base al quale Roma si impegna “a

dare supporto tecnico e tecnologico” alle guardie costiere e di frontiera sotto il

comando di Tripoli. L’Italia finanzierà programmi di crescita nelle Regioni di transito

dei migranti. E’ prevista, inoltre, la collaborazione per chiudere le frontiere

meridionali, dove passano le rotte dei trafficanti. Nel patto, la Libia si impegna a

predisporre “campi di accoglienza temporanei” in attesa del rimpatrio o del rientro

volontario nei paesi d’origine”.

L’Italia chiede all’U.E. un cambio di passo sull’insieme di tali questioni, a

partire da quella dei ricollocamenti. Le premesse di una possibile svolta sono state

poste a La Valletta, con la “Dichiarazione di Malta”, il 3 febbraio scorso, che

impegna i Paesi UE ad intervenire per arginare i flussi sulla rotta del Mediterraneo

centrale che parte dalla Libia.

Insieme a queste iniziative normative e diplomatiche, vengono rafforzate le

interazioni con le anime della “società civile”. E’ stata infatti implementata la

collaborazione sui Corridoi umanitari, nati dalle intese con la Comunità di

Sant’Egidio e la Chiesa Valdese, e ora anche con la Chiesa cattolica, che portano i

profughi in Italia in sicurezza attraverso il Libano. E’ stato, inoltre, sottoscritto il

“Patto nazionale per un Islam italiano”, tra lo Stato e gli esponenti di associazioni

Page 49: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

45

che rappresentano circa il 70% dei musulmani della penisola, in cui tutti i firmatari si

sono impegnati a ripudiare ogni forma di violenza e di terrorismo.

Page 50: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

46

Piano Nazionale per l’ Integrazione

Il Piano Nazionale per l’Integrazione, previsto dal D.lgs. 18/2014, “individua

le linee d’intervento per realizzare l'effettiva integrazione dei titolari di protezione

internazionale, con particolare riguardo all'inserimento socio-lavorativo, anche

promuovendo specifici programmi di incontro tra domanda e offerta di lavoro,

all'accesso all'assistenza sanitaria e sociale, all'alloggio, alla formazione linguistica e

all'istruzione nonché' al contrasto delle discriminazioni. Il Piano indica una stima dei

destinatari delle misure d’integrazione, nonché specifiche misure attuative della

programmazione dei pertinenti fondi europei predisposta dall’autorità responsabile”.

Il Piano Nazionale Integrazione rappresenta una “ porta aperta sul futuro del

nostro Paese”, che testimonia non solo il superamento dell’emergenza in tema di

immigrazione, ma determina un salto di qualità nella previsione degli strumenti e

servizi di sistema nel processo d’inclusione sociale di migranti regolarmente

soggiornanti, in particolare rifugiati e titolari di protezione internazionale.

L’obiettivo principale del Piano è quello di permettere ai titolari di protezione

internazionale soggiornanti nel nostro paese di uscire dall’assistenza per arrivare a

una vera autonomia personale, attraverso misure che supportino l’integrazione dei

titolari di protezione internazionale in vari settori: l’inserimento socio-lavorativo,

l’accesso all’assistenza sanitaria, l’alloggio e la residenza, il ricongiungimento

familiare, la formazione linguistica, l’istruzione, il riconoscimento dei titoli ed il

dialogo interreligioso.

Per raggiungere tali obiettivi, il Piano ruota intorno a quattro principi guida:

1. Il percorso d’integrazione inizia sin dalla prima accoglienza;

2. L’integrazione è un processo complesso che parte dal raggiungimento

dell’autonomia personale e richiede la sensibilizzazione e l’informazione della

popolazione che accoglie;

3. Il sistema d’integrazione deve basarsi sul territorio e sulle realtà locali;

4. Specifica attenzione va dedicata alle persone con maggiore vulnerabilità.

Page 51: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

47

L’auspicio è che le iniziative contenute nel primo Piano Nazionale Integrazione

- che per dettato normativo sono rivolte unicamente ai titolari di protezione - possano

essere estese a tutti gli stranieri legalmente soggiornanti in Italia, al fine di una

complessiva pianificazione delle politiche di integrazione.

Programmazione dei flussi d’ingresso

Ulteriore strumento di integrazione e di inserimento socio-economico dei

cittadini stranieri è costituito dalle opportunità lavorative che vengono offerte e che

sono regolate dagli annuali decreti flussi.

La programmazione dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari è

prevista dall’art. 3 del T.U. sull’Immigrazione (D.Lgs. 286/98).

La determinazione delle quote d’ingresso degli stranieri da ammettere sul

territorio dello Stato per lavoro subordinato, stagionale o autonomo è fissata

annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sulla base dei

criteri generali individuati nel documento programmatico triennale relativo alla

politica dell’immigrazione.

Tuttavia, in considerazione dell’incremento dei flussi migratori via mare,

nonché della particolare congiuntura economica che ha determinato una contrazione

dell’offerta di lavoro e conseguente aumento del numero dei lavoratori immigrati

disoccupati, si è superata la scelta della politica di programmazione triennale,

prevedendo l’emanazione di decreti flussi annuali, in via transitoria e nel limite delle

quote stabilite nell’ultimo decreto emanato, dando così priorità alla scelta di far

convergere l’offerta di lavoro sulla manodopera disoccupata già presente sul

territorio nazionale.

L’analisi dei dati relativi ai flussi di ingresso di cittadini stranieri degli ultimi 9

anni, evidenzia che, a fronte di una decrescente programmazione dei flussi regolari di

ingresso, definita dagli annuali “decreti flussi”, si è registrato un incremento degli

ingressi irregolari di stranieri accolti, sbarcati sulle coste italiane o soccorsi in mare.

Page 52: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

48

Emerge inoltre che, a fronte di flussi di sbarco da considerare ormai fenomeno

strutturale, il numero dei beneficiari di protezione internazionale e umanitaria è

inferiore al 50% del numero complessivo.

Protocolli d’Intesa

In un'ottica volta a favorire le migliori condizioni per l'accoglienza e

l’integrazione degli immigrati regolari nel nostro Paese e intendendo assicurare quel

quadro di coesione sociale che è parte essenziale di un più ampio concetto di

sicurezza, il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione ha proseguito,

pertanto, nelle attività volte a favorire l’integrazione dei soggetti titolari di protezione

internazionale, in particolare approfondendo la collaborazione con gli organismi con

i quali nel corso dell’anno 2016 sono stati firmati i Protocolli d’Intesa:

- PROTOCOLLO CONI (sottoscritto il 13/05/2016): è stato avviato il progetto

volto a favorire la pratica sportiva per i minori stranieri durante la permanenza nel

sistema di accoglienza nazionale, posto che l’attività sportiva contribuisce a

rispondere alla sfida di tradurre in forme concrete le tutele previste dalla legge in

favore dei minori stranieri, a superare paure e discriminazioni, a socializzare e

recuperare uno stato di benessere fisico e psicologico che aiuti ad affrontare al

meglio l’inserimento sociale.

- PROTOCOLLO CONFINDUSTRIA (sottoscritto il 22/06/2016): si è avviata

per la prima volta una fattiva collaborazione con Confindustria, nella sua veste di

organismo rappresentativo della realtà imprenditoriale nazionale, finalizzata alla

realizzazione di progetti di tirocinio formativo in favore di rifugiati e titolari di

protezione internazionale, per valorizzare le loro competenze professionali ed

orientarli verso un inserimento lavorativo che rappresenta uno dei presupposti

fondamentali dell’integrazione nella società civile.

Page 53: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

49

- PROTOCOLLO PONTIFICIA UNIVERSITA’ LATERANENSE (sottoscritto

il 19/07/2016): nel processo di integrazione assume pregnante importanza la

costruzione di un “itinerario formativo” dei giovani studenti titolari di protezione

internazionale, a ragione della loro particolare vulnerabilità.

- PROTOCOLLO CRUI (sottoscritto il 20/07/2016): nello stesso spirito, è stato

stipulato anche con la Conferenza dei Rettori delle Università italiane (CRUI) un

Protocollo con lo scopo di sostenere, attraverso borse di studio finalizzate a

concorrere ai costi di vitto e alloggio concesse dal Ministero dell’Interno e grazie

all’esonero totale delle tasse e dei contributi universitari, all’accesso gratuito alle

biblioteche ed ai servizi offerti agli studenti da parte dei singoli Atenei, la frequenza

a un corso di laurea, laurea magistrale o dottorato di ricerca per i giovani rifugiati

- PROTOCOLLO VODAFONE: A seguito della sottoscrizione del Protocollo

d’Intesa tra il Ministero dell’Interno-Dipartimento per le Libertà civili e

l’immigrazione e la Fondazione Vodafone Italia - volto a fornire supporto alla prima

accoglienza, integrazione e istruzione a favore degli stranieri ospiti del sistema di

accoglienza nazionale – si procederà, con apposito accordo attuativo da sottoscrivere

con Fondazione Vodafone, alla realizzazione di uno degli impegni previsti nel

Protocollo stesso. In particolare, l’iniziativa riguarda l’inserimento di giovani

studenti meritevoli, titolari di protezione internazionale presso le Università italiane

per consentire la frequenza a un corso di laurea, laurea magistrale o dottorato di

ricerca, attraverso il finanziamento di 5 borse di studio per tre anni.

Il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione ha avviato, inoltre, una

collaborazione con la World Bank, istituzione internazionale che ha come missione la

riduzione della povertà e la promozione dello sviluppo sostenibile.

La collaborazione ha consentito di avviare i lavori per la realizzazione di un

programma di ricerca e analisi sul tema dell’emergenza migranti e rifugiati in Italia.

Scopo della ricerca è creare una base di conoscenza del fenomeno migratorio,

Page 54: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

50

identificando le cause ed i fattori determinanti alla migrazione, ivi comprendendo i

bisogni e le aspettative dei migranti che giungono sulle coste italiane. Saranno

valutati, inoltre, la propensione dei migranti all’avvio del processo di integrazione

nella società italiana ed eventuali prospettive di sviluppo nei Paesi di origine, anche

attraverso la collaborazione con tali Paesi, nonché attraverso il rafforzamento delle

comunità di immigrati residenti in Italia.

A livello locale, si segnala il Protocollo firmato il 18 maggio u.s. tra Prefettura

di Milano, città metropolitana e comuni delle zone omogenee. In base al predetto

Protocollo, i sindaci si sono impegnati a trovare, insieme alle associazioni di settore,

gli immobili, a dialogare con la cittadinanza e a mobilitare il volontariato per quanto

riguarda i percorsi di integrazione. La Prefettura farà da “stazione appaltante e

organizzerà un tavolo mensile di monitoraggio”.

Funzionamento del sistema nazionale di accoglienza dei migranti

Il sistema, incentrato sul ruolo di coordinamento del Ministero dell’Interno, è

organizzato in tre fasi: le prime due fasi - soccorso e prima accoglienza – sono gestite

dallo Stato attraverso centri governativi e assicurano accoglienza nei centri ora

disciplinati dagli articoli 9 e 11 del citato D. Lgs. n. 142/15; la terza fase - seconda

accoglienza - è gestita dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati

(SPRAR) con il coinvolgimento diretto degli Enti locali ed è disciplinato dall’ art. 14

del citato D. Lgs. n. 142/15.

Hotspot

Preliminarmente all’ingresso nel circuito dell’accoglienza, i migranti sono fatti

sbarcare e ricevono assistenza presso gli hotspot, cioè “aree di sbarco attrezzate”,

localizzate in Sicilia e nelle regioni peninsulari, dove ormeggiano le imbarcazioni

del dispositivo di soccorso interforze che pattuglia il Canale di Sicilia.

Page 55: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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Nel 2015 sono stati attivati i primi 2 hotspot, localizzati a Lampedusa ed a

Trapani-Milo riconvertendo, rispettivamente, l’ex CPSA di Cda Imbriacola e l’ex

CIE di Milo.

A gennaio 2016, è diventato operativo l’hotspot di Pozzallo (RG) per 300 posti

-riconvertendo il centro di soccorso e prima accoglienza già esistente - e a febbraio

2016 è divenuta operativa la struttura di Taranto per 400 posti, portando l’attuale

capienza ricettiva complessiva a 1.600 posti.

L’intensificarsi del flusso migratorio non programmato in arrivo, in modalità

costante, sulle nostre coste, ha costretto a ricercare ulteriori soluzioni locative da

realizzarsi presso quelle aree portuali che risultano idonee, tecnicamente,

all’attracco delle navi di soccorso ed al posizionamento di strutture modulari

amovibili dove consentire, in tutta sicurezza, l’espletamento delle procedure di pre-

identificazione e di fotosegnalamento dei migranti, ai quali viene assicurata la prima

assistenza, materiale e sanitaria, il servizio informativo multilingue in materia di

immigrazione, diritto di asilo e accesso alla relocation, per i migranti appartenenti

alle nazionalità interessate.

I tempi di permanenza negli hotspot sono, di regola, assai brevi (di norma 48 –

max 72 ore), e, in relazione agli esiti delle procedure di identificazione e

registrazione della volontà di chiedere asilo, i migranti sono, successivamente,

trasferiti in centri dedicati, in base allo status giuridico attribuito, come sopra

precisato.

Il D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, ha assicurato la cornice giuridica agli hotspot,

introducendo l’art. 10 ter al D. Lgs. n. 286/98 prevedendo che “Lo straniero

rintracciato in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera interna o

esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio

in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi

punti di crisi allestiti nell'ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre

1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e

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52

delle strutture di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142.

Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento

fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del

regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno

2013 ed è assicurata l'informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul

programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla

possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito.”

La prima accoglienza è assicurata nelle strutture di cui agli articoli 9 e 11 del

D. L.gs. n. 142/15 –

I centri ex art. 9, assolvono alle funzioni precedentemente attribuite agli ex

CSPA, CDA e CARA.

Infatti degli attuali centri sotto indicati, sette di essi (Crotone, Roma, Bari,

Brindisi, Foggia Caltanissetta e Catania) erano ex CDA/CARA, istituiti con appositi

decreti ministeriali , due di essi (Bologna e Gorizia) erano ex CIE, riconvertiti a

centri di prima accoglienza e smistamento nel 2014, i rimanenti sono strutture di

recente acquisizione.

In tali strutture il richiedente asilo è accolto per il tempo strettamente

necessario all’espletamento delle procedure di identificazione, alla verbalizzazione

della domanda di asilo, all’accertamento delle condizioni di salute e di eventuale

vulnerabilità.

I soggetti, destinati alla relocation in altri paesi europei di destinazione,

permangono in tali centri fino al completamento della procedura di ricollocamento.

Per sopperire alla indisponibilità di posti nei centri di prima accoglienza e nello

SPRAR, l’art. 11 del D. Lgs. n. 142/15 prevede che il Prefetto può disporre

l’accoglienza dei migranti in centri di accoglienza temporanei, per il tempo

strettamente necessario al reperimento di posti nelle altre due tipologie di centri.

Page 57: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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CENTRI DI SECONDA ACCOGLIENZA

Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) , regolato

dagli articoli 1 sexies e 1 septies al D.L. 30 dicembre 1989, n. 416 conv. in L. 28

febbraio 1990, n. 39, è costituito dalla rete degli enti locali che – per la realizzazione

di progetti territoriali di accoglienza di richiedenti asilo, rifugiati, titolari di

protezione sussidiaria e umanitaria – accedono al contributo erogato a valere sul

Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, gestito dal Ministero

dell’Interno.

Il coordinamento del Sistema di protezione è garantito dal Servizio Centrale,

una struttura operativa istituita dal ministero dell’Interno e affidata, come previsto

dalla norma istitutiva dello SPRAR, con convenzione ad ANCI, con compiti anche di

monitoraggio sullo standard dei servizi resi.

Con l’emanazione del D. Lgs. n. 142/2015 la rete di accoglienza SPRAR è

annoverata nel più complesso sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e

rappresenta il livello di accoglienza più avanzato.

Un esempio sul territorio nazionale: il “modello di accoglienza a Udine”

In data 11 luglio 2014, in sede di Conferenza Unificata, è stata raggiunta

l’intesa tra Governo, Regioni ed Enti Locali su “Piano Nazionale per fronteggiare il

flusso straordinario di cittadini extracomunitari, adulti, famiglie e minori stranieri

non accompagnati”, finalizzato a porre in essere interventi di tipo strutturale in

un’ottica di leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali interessati,

soprattutto in considerazione della circostanza che il sistema di accoglienza è passato

da un bacino di circa 60.000 richiedenti asilo nel 2014 a quasi 180.000.

Per far fronte a tale criticità, è stato elaborato il Piano Ministero Interno –

ANCI, avente l’obiettivo di razionalizzare il sistema di accoglienza e introducendo

Page 58: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

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criteri finalizzati a favorire un’equa, proporzionata e sostenibile diffusione dei

richiedenti asilo su tutto il territorio nazionale.

E’ apparsa, quindi, di tutta evidenza la necessità di rafforzare la collaborazione

interistituzionale, per potenziare gli effetti dell’azione sinergica di tutte le Istituzioni

coinvolte.

In particolare, si evidenzia che Udine è stata identificata come “la Lampedusa

del Nord”. Infatti, dalla primavera del 2014 a tutto il 2016, dal valico di Tarvisio

sono entrati in Italia non meno di 20.000 migranti.

Da agosto 2015, invece, si verifica la grande migrazione dei siriani e dei

pakistani, che ha indotto la Germania ad aprire le frontiere e fare entrare circa un

milione di siriani in fuga dalla guerra. Tale ondata di siriani ha indotto ad

intraprendere la stessa rotta anche a migliaia di migranti afgani e pakistani,

provenienti a loro volta dalla Grecia e dalla Turchia, successivamente arrivati in

Austria e nel nostro Paese.

Questi ultimi migranti, sono giunti in pessime condizioni sanitarie, affetti dalle

tipiche patologie di chi ha sofferto condizioni di vita durissime. Inoltre, nell’autunno

2015, la prima ondata di migranti si è mescolata con quella proveniente dalla Turchia

e dai Paesi di origine, con effetti assolutamente devastanti.

A fronte di un atteggiamento molto civile tenuto dalla popolazione, senza

tafferugli o dimostrazioni, si è registrata una risposta corale delle Istituzioni, in

particolare della Prefettura ma anche della Questura e del Comune. Di fronte alla

difficoltà oggettiva della Questura a provvedere ai fotosegnalamenti ed alla

compilazione della pratica di asilo, il Prefetto ha decretato che tutti i migranti

fossero accolti all’interno della Caserma dell’Esercito “Cavarzerani”.

Page 59: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

55

A seguito di tale iniziativa, la Prefettura di Udine ha sottoscritto un Protocollo

con il Dipartimento di Emergenza, l’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 4 “Friuli

Centrale”, il locale Comitato della Croce Rossa Italiana ed il Comune di Udine, con

le finalità di assicurare, tra l’altro, il diritto alla salute del singolo e di garantire la

tutela della salute della comunità cittadina, di razionalizzare l’utilizzo delle risorse

economiche e di personale, nonché di omogeneizzare i trattamenti sanitari.

Inoltre, è stata sottoscritta tra la Prefettura e il Comune di Udine una

Convenzione per la gestione dei servizi di accoglienza dei cittadini stranieri

richiedenti asilo temporaneamente presenti sul territorio della Provincia di Udine che

si trovano in stato di indigenza, avente ad oggetto la disponibilità massima di 350

posti di accoglienza. A seguito di ciò, alcuni sindaci della Provincia, facendosi carico

del problema, hanno intrapreso a loro volta progetti di accoglienza che hanno portato

all’ospitalità di altre 300 persone.

Altre importanti iniziative intraprese, hanno riguardato, in particolare, il tema

dell’integrazione, attraverso la sottoscrizione di Protocolli di Intesa con la Regione

Friuli-Venezia Giulia, alcuni Comuni ed il locale Comitato della Croce Rossa

Italiana, aventi lo scopo di individuare percorsi educativi di accoglienza e di

integrazione a favore dei migranti ospitati nei suddetti Comuni, che consentano loro

di conoscere il contesto sociale che li ospita, anche attraverso attività di volontariato

finalizzato al raggiungimento di uno scopo sociale a favore della comunità ospitante,

Si segnala, infine il “New Opportunities through craft”, sottoscritto tra la

Prefettura di Udine, l’unione Artigiani Piccole e Medie Imprese – Confartigianato e

la Regione Friuli-Venezia Giulia, relativamente all’iniziativa di avviare, anche presso

le strutture di accoglienza per richiedenti asilo, un progetto di formazione sui

mestieri artigianali che possano portare i richiedenti ad una maggiore integrazione

con il territorio e ad offrire, comunque, maggiori opportunità di indipendenza

economica.

Page 60: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

56

In tal modo, si persegue sia un obiettivo educativo, cominciando ad avviare

queste persone a professioni che un domani potranno renderle indipendenti, sia un

obiettivo sociale di integrazione tra gli allievi stranieri richiedenti asilo e la comunità

che li accoglie.

Il progetto prevede la realizzazione di 12 corsi di avviamento ai mestieri

artigianali, in diversi settori (termoidraulica, lavorazioni edili, falegnameria,

impiantistica).

Page 61: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

57

IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA IN GERMANIA

La Germania, come noto, è stata negli ultimi anni (ed è ancora oggi) meta

finale della stragrande maggioranza dei migranti in arrivo sul territorio europeo e si è

caratterizzata ultimamente, nell'immaginario collettivo, per la politica di “porte

aperte” del suo governo.

La "prova di arrivo" è il titolo che ricevono i richiedenti asilo all’atto della

registrazione nel centro di prima accoglienza, e che dura fino alla presentazione

ufficiale della domanda di asilo al B.A.M.F (Bundesamt für Migration und

Flüchtling). La durata di questo documento varia molto in base alla situazione

complessiva del sistema asilo e alla situazione nel Land interessato, ad esempio

rispetto al numero di richieste di asilo e ai tempi burocratici per la registrazione. In

questa fase i richiedenti asilo hanno diritto all’accoglienza nei centri di prima

accoglienza.

La "autorizzazione di soggiorno provvisorio" è il titolo rilasciato ai richiedenti

asilo all’atto della presentazione ufficiale della domanda di asilo al BAMF e dura

fino alla decisione sulla domanda.

L’ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati (B.A.M.F.) è responsabile per

l’esame delle domande di asilo. La sua sede principale si trova a Norimberga ma ha

vari uffici locali presso i centri di prima accoglienza dove realizza le audizioni per il

riconoscimento della protezione internazionale. Inoltre, è anche responsabile per gli

altri canali di migrazione (ad es, migrazione per motivi di lavoro, ricongiungimento

familiare).

La "espulsione rinviata" è normalmente prevista per i richiedenti asilo la cui

domanda di asilo è stata rifiutata ma che per vari motivi non possono essere respinti.

In questo periodo, i migranti sono nella maggior parte ancora alloggiati nelle

strutture di seconda accoglienza.

Page 62: Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...

58

La "crisi dei rifugiati" del 2015

Nel 2015, il sistema di asilo tedesco è stato messo di fronte a una sfida

importante, vale a dire dare accoglienza a 1.091.894 richiedenti asilo.

La Germania, quindi – così come altri Stati europei – ha adottato nuove

misure in materia di asilo: l‘Asylpaket I, entrato in vigore nell'ottobre 2015,

l‘ Asylpaket II, entrato in vigore a marzo 2016, il Datenaustauschverbesserungsgesetz

entrato in vigore a febbraio 2016 e l’Integrationsgesetz entrato in vigore a luglio

2016.

Con l'elevatissimo numero di migranti arrivati in Germania nel 2015, i Länder

sono stati obbligati ad aumentare molto rapidamente le capacità di accoglienza.

In molte parti della Germania sono stati quindi aperti numerosi centri di

accoglienza provvisori (tende, palestre, ex-supermercati, ecc.) sia per la prima sia per

la seconda accoglienza. L’apertura di queste strutture provvisorie, non istituita per

legge, è stata fortemente contestata dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani.

In particolare, è stato criticato il fatto che, nonostante il carattere provvisorio, i

migranti siano stati obbligati a rimanere in questi centri per parecchie settimane in

condizioni di vita spesso a dir poco deficitarie. Infatti lo standard definito per gli altri

centri di accoglienza non è valido per i centri provvisori: in alcune città, dopo mesi

dall'apertura delle prime strutture provvisorie non vi erano ancora dei regolamenti sui

requisiti minimi.

Parallelamente all’apertura di centri provvisori, in qualche caso, il Land ha

fornito ai richiedenti asilo dei “buoni” con cui pagare il soggiorno in un hotel o

simili. Ciò ha sicuramente rappresentato un’opzione molto costosa (fino a 50 euro a

notte a persona. Un altro elemento critico è rappresentato dal rischio reale che,

nonostante il “buono”, i richiedenti asilo non trovino un hotel disposto ad accoglierli.

Oggi, con la chiusura della “rotta dei Balcani”, la maggior parte di questi centri

provvisori non è più usata e persino in molti centri di prima accoglienza strutturali i

posti non sono più totalmente occupati.

Ciò nonostante, soprattutto in grandi città come Berlino e Brema la situazione

rimane tesa.

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L’accoglienza dei richiedenti asilo

In Germania non esistono statistiche nazionali sulla capacità del sistema di

accoglienza. Pertanto, non è possibile affermare con certezza quanti posti sono

attualmente messi a disposizione per ospitare i richiedenti asilo.

E’ però possibile effettuare una distinzione fra prima e seconda accoglienza,

precisando che la prima si realizza esclusivamente all'interno di centri collettivi,

mentre la seconda può avere luogo in centri collettivi o in appartamenti. Inoltre,

come già anticipato, durante la “crisi dei rifugiati” sono stati aperti numerosi centri

provvisori.

Infine, l’Asylpaket II ha aggiunto la possibilità di aprire dei centri di

accoglienza speciali.

Competenze e ripartizione della responsabilità

In Germania i Länder sono responsabili dell’accoglienza dei richiedenti asilo,

vale a dire decidono dove aprire nuovi centri e le loro dimensioni e caratteristiche.

Tuttavia, essi non hanno voce in capitolo sul quanto accogliere, essendo obbligati a

garantire i posti di accoglienza in conformità alla quota regionale definita a livello

nazionale. Questo vale sia per la prima sia per la seconda accoglienza.

Al netto di quest'obbligo, i Länder godono di un’ampia discrezionalità. Le già

poche regole stabilite a livello centrale sull’allestimento, l’organizzazione e la forma

dell’accoglienza sono interpretate in maniera molto differente.

In definitiva, si può dire che in Germania non c’è un sistema unico, ma vari

sistemi di accoglienza. Nonostante ciò, esistono degli aspetti comuni.

I richiedenti asilo in Germania sono distribuiti sulla base di una chiave di

ripartizione che fa riferimento al numero di abitanti e al “peso” economico di ogni

Land. È poi il sistema informatizzato EASY che, sulla base di questa chiave,

determina il Land responsabile, avuto riguardo sia alla capacità residua del singolo

Land sia al Paese di origine del richiedenti asilo.

A fronte di questo sistema di ripartizione, i Länder ricevono un finanziamento

dallo Stato centrale la cui entità è storicamente un punto controverso. A settembre

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2015, però, la federazione ha deciso di fissare questo contributo a 670 euro al mese

per richiedente asilo, per tutta la durata della procedura.

Centri di prima accoglienza

Ogni richiedente asilo trascorre il primo periodo in Germania in un centro

collettivo di prima accoglienza. Teoricamente, si dovrebbe riuscire a svolgere

l'audizione sulla domanda di asilo durante il soggiorno in questi centri. In realtà, ad

oggi ciò è possibile solo in pochi casi, perché spesso i richiedenti asilo devono

aspettare per mesi l’appuntamento.

Dall'entrata in vigore dell’Asylpaket I, il soggiorno massimo in un centro di

prima accoglienza è stato aumentato da tre a sei mesi. Ciò non implica solo che i

richiedenti asilo rimangono più a lungo in questi centri (generalmente con standard

qualitativi bassi e condizioni di accoglienza basilari) ma ha anche conseguenze

negative in materia di accesso al mercato di lavoro (completamente vietato durante il

soggiorno nel centro di prima accoglienza).

Generalmente i servizi principali offerti in questi centri sono i seguenti:

accoglienza materiale (in contante o in natura), sicurezza (è previsto un servizio di

guardia h24), accesso al servizio sanitario, assistenza sociale e legale e corsi di lingua

tedesca.

Seconda accoglienza

Anche la seconda accoglienza è in carico ai Länder e può essere realizzata in

maniera molto differente. Nella maggior parte dei casi i Länder delegano

l’accoglienza ai comuni a fronte di un rimborso spese (forfettario o dietro

presentazione di una rendicontazione dettagliata) che può variare molto a seconda del

Land.

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Centri di accoglienza speciali

Possono essere inseriti in questa procedura e quindi devono essere alloggiati in

un centro di accoglienza speciale:

- I richiedenti asilo provenienti da Paesi di origine sicuri (ad oggi Albania,

Serbia, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Ghana, Senegal,

si veda anche sotto, nota 1).

- Coloro che hanno fornito informazioni errate o hanno nascosto documenti o

dati importanti per ingannare il BAMF sulla loro identità o nazionalità.

- Coloro che hanno deliberatamente distrutto dei documenti di viaggio o

identità.

- Coloro che rifiutano di fornire le impronte digitali.

- Coloro che presentano una domanda reiterata.

- Coloro che hanno presentato la domanda al fine di impedire un'espulsione.

- I richiedenti asilo che rappresentano un pericolo pubblico.

IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA IN BELGIO

Salvo alcune eccezioni, i richiedenti asilo in Belgio hanno diritto ad un posto in

una struttura d'accoglienza per tutta la durata della procedura d'asilo (incluso

l'eventuale ricorso). L'accoglienza viene dunque data in forma 'materiale' e non

finanziaria.

Per ottenere un posto d'accoglienza occorre recarsi presso Fedasil - l'agenzia

federale belga responsabile per l'accoglienza dei richiedenti asilo,che assegna un

posto al richiedente asilo e alla sua famiglia a seconda della disponibilità. Non è

possibile scegliere in quale struttura andare.

I richiedenti asilo possono però decidere di non andare nel posto loro assegnato

(ad esempio perché hanno dei familiari presso cui possono alloggiare). In quel caso

rinunciano al loro diritto all'accoglienza materiale (mentre potranno sempre chiedere

il rimborso delle spese mediche sostenute).

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Se un richiedente asilo dispone di mezzi di sussistenza sufficienti Fedasil può

decidere di non dare aiuto materiale, ad esclusione delle spese mediche.

Struttura del sistema d'accoglienza.

Il sistema d'accoglienza per richiedenti asilo belga è concepito in due fasi.

In una prima fase Fedasil assegna ai richiedenti asilo un posto in un centro

collettivo. Questi centri sono gestiti da Fedasil stesso o dalla Croce Rossa e variano

di dimensioni da una 50ina di posti a più di 700.

Le strutture collettive sono molto differenti anche per quanto riguarda il tipo di

servizi che possono offrire. Ad esempio in alcuni centri ci sono cucine a disposizione

dei richiedenti asilo, che quindi possono farsi da mangiare in autonomia. In altri

centri questo non è possibile.

Nei centri collettivi ogni richiedente asilo riceve una piccola somma di denaro

per potersi comprare ad esempio i vestiti. Spesso all'interno dei centri vengono

allestiti dei negozi di vestiti di seconda mano che vengono venduti a prezzi simbolici.

La seconda fase prevede che dopo 4 mesi in un centro collettivo, i richiedenti

asilo possono poi richiedere di essere trasferiti in una struttura d'accoglienza

individuale, ovvero degli appartamenti gestiti da delle entità comunali denominate

Centri Pubblici di Azione Sociale (CPAS) o da onlus. Il principio di base è che un

soggiorno troppo lungo in un centro collettivo nuoce all'autonomia del richiedente

asilo. Non sempre è possibile effettuare un trasferimento subito, questo dipende dalla

disponibilità dei posti in un dato momento. In generale è più difficile trovare posti

per uomini soli che per famiglie, perché è più facile trovare alloggi adatti ad una

famiglia che ad una persona sola.

Nelle strutture d'accoglienza individuali i richiedenti asilo ricevono un sussidio

mensile per provvedere ai loro bisogni primari, come il cibo.

Termine dell'accoglienza in caso di decisione negativa.

In caso di decisione negativa anche in seconda istanza o di decisione di 'non

presa in considerazione' perché il richiedente proviene da un paese d'origine sicuro

Fedasil può assegnare un 'posto d'accoglienza aperto per il rimpatrio volontario'.

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Si tratta di posti in alcuni dei centri d'accoglienza esistenti, riservati a persone

che devono lasciare il territorio Belga e che ricevono un periodo ulteriore di

accoglienza - generalmente di 30 giorni, salvo proroga per giustificati motivi - in cui

verranno assistiti intensivamente in vista di un possibile rimpatrio volontario.

Se non ci sono ragioni per prolungare il termine i richiedenti asilo devono

lasciare l'accoglienza e possono essere portati in un centro di detenzione per essere

rimpatriati forzatamente. Famiglie con bambini minorenni non possono essere messe

in detenzione e vengono portate in 'case di rimpatrio' aperte.

Chi, nonostante il diniego alla propria domanda, non si presenta nel centro

d'accoglienza in vista del rimpatrio volontario, viene considerato come “in fuga” e

può, se intercettato dalla polizia, essere portato in un centro di detenzione per un

rimpatrio forzato.

Se l'esito della procedura d'asilo è positivo i beneficiari di protezione

internazionale hanno due mesi di tempo per lasciare il centro e trovare un alloggio

privato. Avendo uno status hanno diritto all'assistenza sociale e finanziaria dei Centri

Pubblici di Azione Sociale (CPAS). Spesso tuttavia i due mesi non sono sufficienti a

trovare un alloggio. Questo è dovuto alla generale carenza di alloggi a bassi affitti in

Belgio, ma anche alle difficoltà più specifiche di stranieri con mezzi limitati e che

spesso non parlano la lingua e ai quali i proprietari spesso preferiscono non affittare.

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ALTRE ESPERIENZE: FRANCIA E INGHILTERRA

In Francia, la legge di riforma del diritto di asilo è stata adottata nel luglio del

2015. Nell’intento del legislatore c’era il miglioramento delle garanzie per gli

stranieri richiedenti asilo, con la disciplina delle procedure di rilascio del titolo di

rifugiato e della protezione sussidiaria, dello status di apolide e delle procedure di

esame delle domande di asilo, con la riduzione dei tempi di definizione delle

pratiche.

Quando il referendum sulla Brexit non era stato ancora approvato, il Regno

Unito ha varato una nuova legge in materia di immigrazione orientata a rafforzare

l’efficacia dei poteri pubblici in relazione al contenimento della pressione migratoria.

Il provvedimento prevedeva più incisivi poteri di espulsione degli stranieri

illegalmente entrati nel territorio nazionale, maggiori restrizioni poste

all’accessibilità e fruibilità dei servizi pubblici (in particolare, del servizio sanitario)

da parte di stranieri privi di regolare permesso di soggiorno e controlli più efficaci sui

cosiddetti matrimoni di convenienza.

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CONCLUSIONI FINALI

Il presente elaborato costituisce un contributo propositivo sul tema del

fenomeno dell’immigrazione, con particolare riguardo al principio dell’accoglienza

migratoria.

Tale problematica internazionale si è imposta in modo rilevante all’attenzione

delle Autorità politiche competenti a vario livello, atteso il notevole impatto sociale.

Al fine di un pieno raggiungimento dell’obiettivo di integrazione, occorre

perseguire un orientamento mirato a mediare le diverse esigenze, da una parte della

popolazione accogliente e, dall’altra, degli stessi migranti, riconoscendone l’identità

e favorendone il conseguimento della propria autonomia personale.

Non sono mancati, nel contesto nazionale, validi esempi di proposte di

accoglienza. A tale riguardo, occorre rilevare come i Prefetti abbiano svolto il ruolo

chiave di garanti della legalità e della sicurezza, avvalendosi della collaborazione

degli Enti Locali.

Modello virtuoso di eccellenza è rappresentato dal “modello di accoglienza

Udine”. Tutti i soggetti chiamati in causa hanno risposto in modo univoco e sinergico

per il raggiungimento di un modello virtuoso, applicabile a livello nazionale.

Tale iniziativa, ha oltremodo contribuito a favorire la convivenza pacifica a

livello sociale, evitando frizioni e tensioni interne.

A completamento di quanto esposto, si allegano i documenti esplicativi

dell’azione promossa dal Prefetto di Udine.

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