Project Work Sabina Di Martino - La formazione del ...
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MINISTERO DELL'INTERNO
Sede didattico residenziale
XXX Corso di formazione dirigenziale per l'accesso alla qualifica di Viceprefetto
Anno 2017
Il fenomeno dell'immigrazione ed il processo di integrazione con particolare
riferimento alla accoglienza nazionale e comparata
Project Work
Candidati:
Sabina Di Martino
Alessandra Leccisi
Silvia Mari Cesarini
"Il fenomeno dell'immigrazione ed il processo di integrazione con particolare riferimento alla
accoglienza nazionale e comparata"
ABSTRACT
Il complesso tema dell'immigrazione, di estrema attualità e rilevanza nel dibattito politico,
giuridico, nazionale ed europeo, viene affrontato nel presente lavoro con riguardo agli aspetti
dell'accoglienza e della integrazione dei migranti, con una attenzione particolare rivolta all'esame di
modelli di eccellenza nazionali ed europei.
Viene più volte affermato, da parte di autorevoli esponenti del nostro tempo, che senza una valida
programmazione e pianificazione dell'integrazione dei migranti viene vanificato lo stesso sistema di
accoglienza. L'attuazione del processo di integrazione, infatti, contribuisce alla sicurezza nazionale
in quanto, come insegnano i più recenti eventi di terrorismo accaduti in Europa, una mancata
integrazione agevola l'impiego di manovalanza extracomunitaria da parte della criminalità
organizzata e terroristica.
Le tematiche trattate sono state oggetto di approfondimento in quanto costituiscono le priorità
fondamentali del Ministero dell'Interno, preposto ad individuare le strategie nazionali e a far fronte
alle esigenze di accoglienza dei migranti attraverso il prezioso contributo delle Prefetture, chiamate
a svolgere quotidianamente un ruolo sempre più determinante in ambito territoriale.
Appare di fondamentale rilevanza che il sistema di accoglienza nazionale preveda fin dall'inizio
l'avvio di un concreto percorso di inclusione nel tessuto sociale.
A tale riguardo si propone, come modello italiano di riferimento, quello della Prefettura di Udine,
dove la lungimiranza e la capacità di coinvolgimento del territorio da parte del Prefetto hanno reso
possibile l'inserimento di richiedenti protezione internazionale in progetti di formazione e lavoro,
stipulando convenzioni con enti locali e soggetti dell'imprenditoria, in particolare del comparto
artigianale.
Questo modello è da ritenersi esportabile anche in altri contesti territoriali del nostro Paese: la
peculiarità del modello è data dalla attivazione nel territorio di più attori coinvolti che, operando
contemporaneamente ed in piena sintonia, contribuiscono a realizzare un sistema di accoglienza ed
integrazione dove ciascun soggetto mette a disposizione le proprie competenze e risorse per favorire
l'integrazione dei giovani migranti nel tessuto sociale ed economico locale, in un'ottica di reciproca
crescita umana e professionale.
Il presente lavoro è articolato in tre parti: nella prima parte vengono esaminati e approfonditi gli
aspetti del fenomeno dell'immigrazione nel suo complesso, la rete del sistema accoglienza nazionale
e le scelte strategiche messe in campo dal Ministero dell'Interno; nella seconda parte viene
focalizzata l'attenzione sul processo di integrazione e le relative dinamiche; nella terza parte
vengono approfonditi gli aspetti della accoglienza nazionale e comparata con la dettagliata
presentazione del “Modello di accoglienza della Prefettura di Udine”, ritenuto esempio di
eccellenza, da proporre come virtuoso riferimento anche per altri contesti territoriali nazionali.
INDICE
PARTE PRIMA: La vasta portata del fenomeno migratorio e le relative
implicazioni...................................................................pag. 1
(Alessandra Leccisi)
PARTE SECONDA: L'integrazione necessaria e possibile.......................pag. 19
(Silvia Mari Cesarini)
PARTE TERZA: Il principio di accoglienza nazionale e comparata. L'esempio
virtuoso del “Modello della Prefettura di Udine”...........pag. 39
(Sabina Di Martino)
CONCLUSIONI FINALI............................................................................pag. 65
ALLEGATI..................................................................................................pag. 66
Il fenomeno dell’immigrazione e il processo di integrazione con particolare
riguardo all’accoglienza nazionale e comparata.
I flussi migratori sono ormai un fenomeno strutturale nel Mediterraneo,
impressionante per la quantità di persone coinvolte, e tendono a configurarsi sempre
meno come emergenze cicliche e sempre più come un fenomeno di lungo termine e
di portata storica, in quanto effetto di un concorso di fattori strutturali e
congiunturali: le guerre, dittature sanguinarie, le carestie, le diseguaglianze
economiche a causa degli squilibri reddituali tra diverse regioni del mondo, i disastri
ambientali per i grandi cambiamenti climatici, la cronica instabilità politica di molte
aree, l'aumento esponenziale della popolazione in numerosi Stati le cui economie non
sono in grado di assorbire la nuova forza lavoro.
E’ un fenomeno sociale di natura epocale, che pone sfide drammatiche alle
comunità nazionali e a quella internazionale, sollevando problematiche sociali,
politiche, economiche, legate non solo all’accoglienza, ma ad un percorso di giustizia
e di “promozione umana”, che impone soluzioni non più estemporanee e a carattere
emergenziale ma, al contrario, richiede una forte e lungimirante politica di
cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato.
Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da
cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate
normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi degli
ordinamenti degli Stati membri, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i
diritti delle persone, e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società
di approdo degli stessi emigrati che di fonte a emergenze straordinarie di flussi in
ingresso hanno vissuto una sorte di “sindrome da assedio”.
La problematica dell’immigrazione richiede dunque risposte all’altezza di
principi fondamentali di rango costituzionale, che costituiscono il presidio inviolabile
di tutela degli stranieri nel nostro ordinamento giuridico. La dignità della persona,
infatti, non si ferma alla frontiera, l’immigrato non può essere ridotto a merce o forza
lavoro e pertanto meritevole di tutela perché funzionale all’economia di un paese.
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Egli è innanzitutto un uomo e come persona, prima ancora che come straniero, egli è
depositario di diritti inviolabili la cui tutela supera i confini geografici.
E’ quindi necessario che l’Italia e l’Europa ripensino la propria “casa comune”
come spazio plurale alla luce della tutela di un diritto fondamentale che fa parte delle
nostre democrazie: il diritto alla protezione internazionale.
Occorre dare risposte sia a chi fugge dalla guerra, sia a coloro che scappano
dalla fame; è la grande questione del momento: la distinzione tra rifugiati e
richiedenti asilo, ovvero migranti forzati che sono costretti a lasciare la propria casa
per ragioni legate a persecuzioni, non avendo altra scelta per salvarsi la vita e
migranti economici, cioè persone che partono per libera scelta nel tentativo di
migliorare le proprie condizioni. Oggi questa distinzione rischia di diventare lo
strumento attraverso cui vengono rifiutate e respinte alcune persone che hanno subito
un itinerario di violenza, di perdita della propria casa, della propria identità, del
proprio lavoro. Da ciò l’esigenza di interpretare correttamente ciò che sta avvenendo
oggi, dove la migrazione economica e la migrazione forzata si confondono e si
delinea la necessità di allargare le forme di protezione internazionale.
In Italia non esiste una legge organica sull’asilo; il nostro sistema è fondato su
una normativa frammentata, stratificata in una serie di leggi e decreti e non ha
assicurato una capacità di risposta omogenea ed articolata da fronteggiare
adeguatamente la sfida di accogliere i richiedenti asilo e i rifugiati accompagnandoli
verso l’integrazione.
Il diritto di asilo è annoverato tra i diritti fondamentali dell’uomo e garantito
dall’art. 10, comma 3 della Costituzione italiana, che riconosce allo straniero, al
quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche
garantite dalla Costituzione Italiana, il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica,
“secondo le condizioni stabilite dalla legge”, ossia il diritto soggettivo di entrare e di
soggiornare nel territorio dello Stato, almeno al fine della presentazione alle autorità
italiane della domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato. Ne
discende che la sola negazione dei diritti delle libertà democratiche viene
considerata nel nostro ordinamento una condizione sufficiente per fruire del diritto di
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asilo, anche se non vi sia una persecuzione individuale, condizione richiesta dalla
Convenzione di Ginevra del 1951, che esplica una funzione di tutela dei rifugiati,
impegnando gli Stati contraenti a garantire a costoro i diritti fondamentali e ad
osservare il principio di non refoulement di cui all’art. 33, non respingendo, in
nessun modo, un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà
sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad
un determinato gruppo sociale o opinione politica.
Alla luce del suddetto Trattato, è da riconoscere lo status giuridico di rifugiato
a “colui che per fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione,
nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si
trova fuori dal territorio del Paese di cui è cittadino, e non può o non vuole, a causa
di tale timore, avvalersi della protezione del suo Paese d’origine” .
Nell’ordinamento italiano allo straniero cui è stato riconosciuto lo status di
rifugiato è rilasciato un permesso di soggiorno della durata di cinque anni,
rinnovabile alla scadenza.
Il Sistema di accoglienza in Italia
La procedura di vaglio della domanda di asilo, (denominata domanda di
protezione internazionale in base al D.Lgs. n. 25/2008 attuativo della Direttiva
2005/85/CE relativa alle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato),
può portare al riconoscimento di status differenti: rifugiato, beneficiario di protezione
sussidiaria o beneficiario di protezione umanitaria, categorie per le quali il nostro
ordinamento prevede percorsi di accoglienza diversificati da avviare in centri
differenti sia per la natura dell’ente gestore (istituzionale o del privato sociale), sia
per gli obiettivi (prima o seconda accoglienza), per l’approccio assistenzialista o
progettuale, per il carattere nazionale o locale del sistema di rete entro il quale il
centro di accoglienza è inserito, per le caratteristiche strutturali (centri collettivi o
appartamenti singoli) e per la capacità ricettiva e la tipologia dei servizi erogati.
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Innanzitutto, coloro che arrivano nel nostro Paese in stato di necessità sono
accolti in strutture di prima accoglienza, centri governativi, destinati ad un primo
soccorso allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale.
Tali centri sono istituiti su tutto il territorio nazionale dopo una serie di
disposizioni che sono andate progressivamente ad integrarsi l'una con l'altra,
denominati:
- Centri di primo soccorso ed assistenza (CPSA);
- Centri di accoglienza (CDA);
- Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA );
- Centri di identificazione ed espulsione (CIE );
- Centri di accoglienza straordinaria (CAS)
La prima accoglienza per migranti e richiedenti asilo dovrebbe caratterizzarsi
come una misura di soccorso e prima assistenza dei beneficiari nella "fase
dell'emergenza", nell'ottica di una loro successiva integrazione nel tessuto sociale del
paese ospitante.
La permanenza all’interno dei CPSA e dei CDA, localizzati in prossimità dei
luoghi di sbarco, è limitata ad una prima rilevazione dei dati personali dei neo-
arrivati per stabilirne l’identità e la legittimità della loro permanenza sul territorio al
fine di disporne l’allontanamento.
Infatti, nei confronti di tali migranti che non sono intenzionati a presentare
domanda di protezione internazionale, si dispone l’espulsione (o respingimento)
preceduta da un eventuale trattenimento all’interno del Centro di identificazione e di
espulsione.
Diversamente, se il migrante presenta domanda di protezione, viene trasferito
in un Centro di accoglienza per i richiedenti asilo e rifugiati (CARA), strutture che, a
partire dal 2008, sostituiscono i Centri di identificazione.
Mentre l’accoglienza nei CPSA e CDA è normalmente antecedente alla
presentazione della domanda di asilo, il sistema dei CARA rappresenta a lungo il
fulcro del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo in Italia, presentando notevoli
criticità.
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Un primo elemento che desta preoccupazione riguarda i tempi di accoglienza
in quanto, seppure la legge prevede che il richiedente debba essere ospitato nel
centro per il tempo strettamente necessario al completamento delle procedure, in
realtà i tempi effettivi di soggiorno dei richiedenti asilo appaiono essere decisamente
più lunghi (sei mesi). Tali ritardi sono da imputare da un lato al fatto che la procedura
per il riconoscimento dello status di protezione internazionale ha tempistiche più
lunghe rispetto a quelle dettate dalla norma e, dall'altro, alla difficoltà di inserimento
dei richiedenti asilo nelle strutture di seconda accoglienza (SPRAR), a causa della
loro scarsa capacità ricettiva.
I CARA si sono quindi trasformati da luoghi in cui ospitare i richiedenti asilo
esclusivamente per la durata della procedura, in luoghi in cui i rifugiati rimangono
anche dopo il riconoscimento dello status.
Un secondo aspetto da rilevare riguarda la scelta degli spazi dedicati a tali
strutture. I CARA, infatti, sono strutture di grandi dimensioni, che nella maggior
parte dei casi venivano precedentemente utilizzate per altri scopi (ex edifici
industriali, ex aeroporti, ex saline, ex caserme). Si trovano in zone periferiche e
isolate dal resto del territorio, circondati da recinzioni, per cui, da un punto di vista
strutturale, la funzione di accoglienza sembra essere marginale rispetto a quella di
contenimento. Peraltro, il fatto di essere in molti casi costituite da container o
prefabbricati, appaiono inadatte a fornire condizioni di accoglienza dignitose.
Dall’inizio degli anni 90, l’Italia ha accolto decine di migliaia di persone in
fuga non solo da persecuzioni individuali, ma anche da situazioni di violenza
generalizzata, e l’intensificarsi degli sbarchi quali quelli provenienti dall’area
balcanica, dalla Somalia (a seguito dell’inizio della guerra civile nel 91) e dalle
Repubbliche dell’ex Iugoslavia, insieme al fatto che i flussi migratori sono stati di
carattere misto (soggetti in cerca di protezione e migranti economici) hanno reso
complicato strutturare un sistema di accoglienza rispondente sia all’obiettivo di
favorire la tutela dei diritti e della protezione umana, sia al rispetto delle regole
generali di ingresso e di soggiorno.
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In assenza di una normativa organica in materia di asilo, e più in generale in
mancanza in Italia di un vero e proprio sistema di accoglienza, e soprattutto di un
modello di pianificazione, si assiste al fatto che di fronte alle emergenze, invece di
dare risposte dignitose ed efficaci a chi arriva sul nostro territorio, i posti dedicati
alla prima accoglienza non solo sono saturi, ma già sovraffolati con presenze che
superano la capienza effettiva prevista.
Dunque i Centri di prima accoglienza sono i primi ad essere entrati in crisi,
costringendo il governo italiano a trovare tempestivamente soluzioni ancora una
volta emergenziali.
Pertanto la compresenza in tali Centri di persone accolte afferenti a status e
tipologie di accoglienza diverse non hanno reso facile la gestione.
Il Ministero dell’Interno di fronte a tali eventi eccezionali per rilevanti esigenze
umanitarie, richiede con urgenza alle Prefetture di tutta Italia di reperire nuovi posti
di accoglienza, riconoscendo uno “status umanitario” di carattere temporaneo, valido
anche per motivi di lavoro e studio e così procede nel fronteggiare il susseguirsi delle
contingenze connesse ai nuovi sbarchi.
L’Italia dunque sconta la totale assenza di un dispositivo nazionale di
accoglienza; la carenza sul territorio nazionale di un tale sistema di accoglienza a
favore dei migranti forzati è colmata dalle organizzazioni del terzo settore, che
garantiscono in modo estemporaneo i livelli minimi di accoglienza ed assistenza,
assicurando i servizi necessari ai richiedenti asilo sulla base di iniziative spontanee e
non coordinate, realizzate con slancio volontaristico.
Nel “T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero” (D.Lgs n. 286 del 25 luglio 1998) vengono
introdotte diverse disposizioni che intervengono su importanti aspetti della materia
concernenti l’asilo, confermando il principio di “non refoulement” (art. 19), già
contemplato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 e cioè il divieto degli
Stati firmatari di espellere o respingere alla frontiera richiedenti asilo e rifugiati e di
non rimandarli in Paesi in cui potrebbero subire trattamenti inumani e degradanti, e
introducendo all’art. 20 la cosiddetta “protezione temporanea” in caso di eventi
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eccezionali per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri
naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione
Europea, prevedendo altresì l’istituzione dei centri di prima accoglienza per stranieri
presenti regolarmente sul territorio dello Stato (art. 40).
Tale ultimo articolo definisce la possibilità che le Regioni, in collaborazione
con le Province e con i Comuni, e con le associazioni e le organizzazioni di
volontariato, allestiscano strutture ricettive in grado di ospitare stranieri
regolarmente soggiornanti che versino temporaneamente in situazioni di disagio e
siano impossibilitati a provvedere autonomamente alle proprie esigenze. Di
conseguenza in tali centri possono essere accolti anche i richiedenti asilo, rifugiati e
le persone titolari di altre forme di protezione.
In base a quanto previsto dall’art. 40 del T.U. sull’immigrazione, vengono
attivati a livello locale, a cura del mondo del privato sociale e delle amministrazioni
locali, centri di assistenza per stranieri privi di mezzi di sostentamento, con oneri a
carico degli enti locali. Tali interventi sono basati più su un approccio solidaristico
che non sul riconoscimento di uno specifico diritto alla protezione, e la qualità delle
prestazioni offerte risente di significative differenze territoriali.
Alla fine degli anni 90 viene avviato un Progetto congiunto di accoglienza
denominato Azione Comune con il sostegno della Commissione Europea e del
Ministero dell’Interno attraverso la creazione di una vera e propria rete di servizi
territoriali di accoglienza per i richiedenti asilo su trentuno Comuni distribuiti sul
territorio italiano con il coinvolgimento di Caritas, soggetti del volontariato, Chiese
Evangeliche ecc..
Tale progetto persegue l’obiettivo di superare la discrezionalità e la mancata
organicità delle azioni spontanee intraprese all’interno del terzo settore,
promuovendo un modello di accoglienza che risponda alle esigenze delle diverse
categorie di beneficiari; con un protocollo vengono definiti i criteri di accesso ai
servizi e standard di qualità condivisi. Oltre a garantire vitto e alloggio vengono
offerti servizi di assistenza legale, l’accompagnamento nella procedura dell’asilo e
l’inserimento sociale.
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Per la prima volta è previsto un nucleo centrale di coordinamento dei soggetti e
degli interventi, con l’allocazione sul territorio dei compiti, delle responsabilità
progettuali, con l’individuazione di persone preposte al controllo delle strutture con
l’incarico di monitorare e valutare le singole esperienze territoriali. Gli ospiti non
possono rimanere nella struttura a tempo indefinito, si stabilisce un tempo massimo
di permanenza con l’erogazione di un pocket money.
E’ contemplata anche la promozione di percorsi che facilitino l’integrazione
dello straniero nella società italiana, con il coinvolgimento delle amministrazioni
locali nell’erogazione dei servizi di assistenza medica psicologica.
Tale Progetto, nonostante presenti tutti i limiti di un sistema organizzativo
ancora agli esordi per la frammentazione delle iniziative e per la forte disomogeneità
territoriale nelle modalità di erogazione dei servizi, getta le basi del profilo
dell’attuale sistema d’asilo vigente, poiché presenta tutti gli elementi che saranno
sviluppati nel Sistema di Protezione per i richiedenti asilo (SPRAR).
In linea con le politiche comunitarie, il 10 ottobre 2000 è stipulato un
Protocollo di intesa tra Ministero dell’Interno, Alto Commissariato delle Nazioni
Unite, Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) per l’avvio del Programma
Nazionale asilo (PNA) volto a dare impulso alla creazione di un sistema organico di
assistenza ai rifugiati.
Il Programma si propone di attuare la decisione del Consiglio dell’Unione
Europea n. 596 del 28 settembre 2000, che istituisce il Fondo Europeo per i
Rifugiati (FER) avente lo scopo di sostenere le azioni degli Stati membri in materia
di accoglienza, integrazione e rimpatrio assistito di richiedenti asilo e rifugiati.
Detto programma coinvolge tre livelli di governo: nazionale, internazionale e
locale.
Al Ministero dell’Interno vengono attribuite funzioni in merito alla legislazione
e ai programmi governativi in materia e funzioni di raccordo con la Commissione
Europea relativamente alle domande di co-finanziamento presentate dall’Italia
presso il FER.
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All’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sono affidati compiti
di indirizzo in relazione ai diritti e alla protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati.
All’ANCI spettano tutte le funzioni organizzative necessarie
all’implementazione del Programma assicurandone il raccordo con i Comuni
responsabili dei progetti a livello territoriale.
Il 20 marzo 2001 viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Bando che invita i
Comuni italiani a presentare progetti per l’accoglienza e l’integrazione di richiedenti
asilo, rifugiati e beneficiari di protezione umanitaria o temporanea. Ogni progetto
territoriale, facente capo al rispettivo Comune di riferimento, deve presentare tutte le
misure volte a implementare gli obiettivi stabiliti dall’art. 4 nella decisione del
Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea n. 596/2000 ossia l’accoglienza,
l’integrazione dei rifugiati e il rimpatrio volontario assistito. Massiccia è la risposta
dei Comuni italiani: alla rete nazionale partecipano non solo le realtà metropolitane
Roma e Milano, ma aderiscono anche Comuni medio piccoli che iniziano a misurarsi
con le tematiche d’asilo. Il ruolo di questi ultimi è decisivo poiché consente di
alleggerire la pressione migratoria sulle zone di arrivo dei migranti.
Il PNA rappresenta la prima risposta strutturata e organica ai bisogni di coloro
che presentano domanda di asilo in Italia; si propone come sistema integrato di
accoglienza diffusa sul territorio grazie alla rete nazionale fondata sull’impegno degli
enti locali: muta l’approccio, non più incentrato sulla solidarietà, ma orientato alla
realizzazione di un sistema integrato di protezione che punta sulla qualificazione
complessiva dell’offerta dell’accoglienza. Sono attivati tutti i “servizi trasversali”
volti ad assistere l’utente sulle procedure amministrative burocratiche della richiesta
di asilo e ad accompagnarlo durante il periodo di attesa di espletamento delle
procedure, sostenendo e orientando i richiedenti all’accesso ai servizi pubblici di
base (servizio sanitario nazionale, scuola dell’obbligo per i minori, corsi di
alfabetizzazione di lingua italiana, corsi di orientamento al mercato del lavoro),
nonché durante l’ultima fase di stabilizzazione e integrazione o, al contrario, di
rientro volontario nel Paese d’origine.
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L’ulteriore evoluzione del programma porta alla successiva creazione del
Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), istituito con legge
n. 189 del 30 luglio 2002 (c.d. legge Bossi-Fini).
Tale sistema costituisce il circuito dei servizi di seconda accoglienza volti a
fornire assistenza ai richiedenti protezione internazionale e ai rifugiati, finalizzato a
realizzare una forma di “accoglienza integrata” che mira a garantire percorsi
personalizzati tesi all’inclusione sociale, lavorativa ed abitativa.
Il sistema SPRAR essendo costituito da una rete di piccoli centri di accoglienza
che lo Stato gestisce in collaborazione con i Comuni, può definirsi un sistema
decentrato composto da una rete di enti locali e di organizzazioni del terzo settore
che, attraverso la realizzazione di progetti a livello locale, forniscono un’accoglienza
“a misura di persona”. Gli enti locali svolgono la funzione di enti responsabili dei
progetti, mentre le organizzazioni del terzo settore si occupano della loro attuazione.
Nella pratica quotidiana i progetti concretizzano azioni in cui la prima
accoglienza è affiancata da percorsi di integrazione sociale e lavorativa.
L'accoglienza integrata ha come obiettivo l'erogazione di servizi volti a
favorire l'acquisizione di strumenti per l'autonomia dei beneficiari, nell'ottica di
innescare processi di empowerment.
Tale modalità di gestione che si concretizza in un vero e proprio
coinvolgimento dei territori, nel perseguimento di un equilibrio tra la valorizzazione
delle peculiarità locali e la standardizzazione dei servizi, ha rappresentato uno dei
punti di forza del sistema di accoglienza, al fine di “rendere liberi i titolari di
protezione internazionale dallo stesso bisogno di accoglienza”.
Lo SPRAR è dunque un sistema che assolve l’esigenza di accogliere
coniugandola con un progetto credibile per garantire un’uscita dell’ospite
dall’accoglienza in autonomia.
Un sistema antitetico ai centri di grande dimensioni gestiti senza il
coinvolgimento del territorio, dove si erogano per un breve arco temporale, beni
primari e servizi uguali per tutti e non percorsi, senza dare risposte significative in
una progettualità di lunga durata.
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I servizi offerti all'interno della rete SPRAR sono raggruppabili in nove
categorie: assistenza sanitaria, assistenza sociale, attività multiculturali, inserimento
scolastico dei minori, mediazione linguistica e culturale, orientamento e
informazione legale, inserimento abitativo, inserimento lavorativo e servizi per la
formazione.
Il sistema SPRAR ha consentito di far fronte alle richieste fino al 2010, ma
dall’anno seguente, a causa dell’emergenza del nord africa (2011-2013), la crescita e
l’evoluzione del fenomeno migratorio, caratterizzata dall’incremento complessivo
del numero di arrivi sulle coste italiane, con il significativo aumento di domande di
protezione internazionale, mette in crisi l’articolazione del sistema nazionale di
accoglienza che necessariamente punta sul potenziamento della complessiva capacità
ricettiva delle strutture. Alcune di queste finiscono pertanto per svolgere una
duplice o triplice funzione, ossia ospitano e trattengono migranti dagli status
differenti, venendo meno la distinzione tra prima e seconda accoglienza.
Di fronte a tale emergenza, a causa del flusso dei migranti provenienti prima
dalla Tunisia e poi dalla Libia, il Governo dopo aver decretato lo stato di emergenza
con DPCM del febbraio 2011, data la massiccia permanenza sull’isola di Lampedusa
di migranti, è costretto a trasferire i cittadini stranieri presso nuove strutture
individuate sul territorio nazionale, localizzando, in diversi Comuni i Centri di
prima accoglienza (Manduria, Trapani, Caltanissetta, Potenza), senza una chiara
definizione dello stato giuridico degli ospiti e prescindendo dal coinvolgimento dei
territori interessati.
Dietro una forte presa di posizione delle Regioni che chiedono un approccio
condiviso e articolato al problema, il Governo nell’aprile 2011 introduce misure
umanitarie di protezione temporanea dei migranti provenienti dalla Tunisia
riconoscendo la titolarità della protezione temporanea di cui all’art. 20 del T.U. delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero.
Con riguardo alle persone provenienti dalla Libia, viene definita un ulteriore
strategia sul territorio nazionale che prevede il trasferimento dei migranti, in misura
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equa e proporzionale in ciascuna regione d’Italia mediante la predisposizione di un
Piano di accoglienza.
Tale Piano ha lo scopo di individuare le fasi di attuazione dell’accoglienza per
ogni singola Regione e Provincia autonoma, tenendo conto delle assegnazioni già
realizzate in precedenza e assicurando una distribuzione proporzionata sul territorio
nazionale dei beneficiari. Di fronte al continuo e massiccio afflusso vengono
innalzate progressivamente le iniziali quote previste nel Piano nazionale di
accoglienza. In alcune Regioni vengono predisposti degli Hub intesi come centri nei
quali vengono accolti i migranti appena sbarcati in attesa di essere trasferiti nelle
strutture regionali di accoglienza. Di fronte ad un numero elevatissimo di domande di
asilo (22.300 richiedenti protezione internazionale nell’ottobre 2011) con ordinanza
del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3958, il Ministero dell’Interno è
autorizzato ad istituire ulteriori cinque Sezioni nell’ambito delle Commissioni
Territoriali.
Peraltro viene deciso il coinvolgimento del Servizio Nazionale di Protezione
Civile attraverso la nomina di un Commissario delegato individuato nella Persona del
Capo del Dipartimento della Protezione Civile. I Presidenti delle Regioni designano
dei Soggetti Attuatori a cui affidare la responsabilità di individuare i siti e le strutture
dedicate all’accoglienza.
In Italia, dunque, la pianificazione e lo sviluppo dei sistemi di accoglienza
dedicati a richiedenti asilo e rifugiati nasce più da puntuali risposte a situazioni
emergenziali a carattere quantitativo, attraverso l’aumento dei posti di accoglienza
disponibili per un sistema che è già in partenza saturo, che dalla necessità di
adeguamento gestionale e strutturale connesso alla costante evoluzione del fenomeno
dei migranti forzati .
In sostanza, invece di aggiornare costantemente il tipo di accoglienza che si
intende garantire a seconda delle esigenze diverse di chi arriva sulle nostre coste, il
modello di accoglienza italiano è fondato sulla crescita numerica dei centri di
accoglienza per poter ospitare i nuovi richiedenti asilo. Si ragiona principalmente sui
numeri delle persone sbarcate, emergenza dopo emergenza, e su come predisporre
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un sistema di prima accoglienza di base senza immaginare i passi successivi. Un
pensiero breve dell’accoglienza, debole, che manca di prospettiva, di capacità
previsionale e gestionale.
D’altronde il raggiungimento dell’autonomia è l’unica vera soluzione per non
saturare i posti d’accoglienza, (in virtù del ricambio dei posti esistenti), ed il ritardo
nella definizione dello status del richiedente asilo, da imputare sia alle lungaggini
delle Commissioni territoriali, sia a quelle di numerose Questure che si trovano con
un organico ridotto a far fronte ad un utenza numericamente importante, comporta,
da un lato, una dilazione dei tempi di accoglienza, dall’altro, una faticosa situazione
di sospensione che mina la tranquillità psicologica del migrante accolto,
provocandone un disagio di fondo che tende ad annullarne le potenzialità e le
positività e ad inibire l’avvio di un percorso efficace di inclusione e la sua
progettualità verso l’autonomia, nell’incertezza dell’accoglimento o meno della
domanda.
Ne consegue che una volta riconosciuto lo status di rifugiato, trascorsi circa sei
mesi all’interno dei CARA, senza che il migrante sia entrato in possesso di uno
strumento di inclusione, questi è costretto a ricominciare pressoché da zero il proprio
percorso presso altre tipologie di centri di accoglienza SPRAR.
Sarebbe pertanto auspicabile superare la netta distinzione tra prima e seconda
accoglienza, coniugando i servizi per l’assistenza e quelli per l’integrazione come un
percorso relazionale unitario, e non come singoli frammenti di un iter, ma come
armoniosa parte di unico percorso, che si pone specifici obiettivi progressivi, da
rimettere in discussione ed aggiornare costantemente, partendo dalla specificità di
ogni persona accolta, che diventa fulcro e anima del progetto e non semplicemente
destinatario finale degli interventi.
Nella prassi, numerosi centri SPRAR hanno dimostrato che non esistono ruoli
asetticamente tecnici nella gestione del centro, né schemi matematici per la
realizzazione di un progetto di inclusione; tutte le attività e le modalità con cui i
servizi vengono vissuti dagli operatori e dagli ospiti rientrano naturalmente nel
percorso relazionale armonico di intervento, incidendo sul percorso inclusivo.
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Tale percorso è finalizzato alla realizzazione di un concreto orientamento alla
conoscenza dei territori e dei servizi, sostenendo la persona accolta nel recupero della
propria autonomia, partendo dalla valorizzazione e dal rafforzamento delle proprie
risorse e qualità personali, da adattare in un contesto sociale completamente nuovo
senza perdere di vista le aspirazioni, i bisogni e la volontà della persona che va
aiutata e sostenuta nel far emergere le proprie capacità.
Occorre quindi pensare ai rifugiati non come una categoria, bensì percepirli
come persone, con storie, esperienze, con specificità culturali, con saperi ed energie
che possono contribuire ad arricchire il nostro paese e che possono essere arricchite
dal nostro paese, superando le idee stereotipate ed i cliché.
Il percorso avviato nella piccola comunità afferente al sistema SPRAR perché
giunga a compimento, richiede la giusta attenzione sul percorso di accoglienza, che
deve svilupparsi per fasi, attraverso il necessario monitoraggio di condizioni
oggettive (evoluzione ed esito della richiesta di asilo, conoscenza della lingua
italiana), e di elementi soggettivi (motivazione, serenità ecc) esigendo un’attenzione
meticolosa all’ascolto e alla costante verifica volta a migliorare insieme alla
comunità regole ed abitudini.
L’evoluzione del sistema nazionale di accoglienza alla luce del D.Lgs n. 142
del 18 agosto 2015
Negli ultimi due anni, l’aumento progressivo degli sbarchi di cittadini
extracomunitari, a causa della perdurante instabilità politica ed economica che
caratterizza molti paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, ha reso necessario
riconsiderare l’approccio al fenomeno migratorio, da governare attraverso politiche
di ampio respiro e da gestire con interventi programmati e di carattere strutturale.
Al fine di gestire l’accoglienza e la sistemazione dei migranti in arrivo è stato
delineato alla luce del D.Lgs n. 142 del 18 agosto 2015 un sistema di fattiva e leale
collaborazione tra lo Stato e l’assetto delle Autonomie locali, Regioni, Comuni; sono
stati stabiliti criteri che evitassero una eccessiva concentrazione di migranti in
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accoglienza su uno stesso territorio e favorissero, al contrario, una loro dislocazione
su territori diversi.
Tale sistema di accoglienza, incentrato sul più ampio coinvolgimento delle
realtà municipali e sulla massima “diffusione” dei migranti nell’ambito dei vari
territori, ha mirato, da un lato, a ridurre in modo significativo l’impatto che l’arrivo
dei migranti è suscettibile di avere su di un singolo territorio, grazie alla
condivisione del peso di accoglienza su diverse comunità locali; dall’altro, a
garantire una maggiore efficacia dei percorsi di integrazione e inclusione sociale,
puntando sui progetti SPRAR proposti dai Sindaci insieme agli enti di terzo settore
qualificati, mettendo a disposizione servizi legati all’accoglienza, all’integrazione e
alla protezione di richiedenti asilo e rifugiati.
Al contempo è stato condiviso con l’ANCI un Piano operativo di governance
del sistema di accoglienza, fondato sul riparto dei migranti per quote regionali, già
fissato in sede di Conferenza Unificata nel luglio 2014, e volto a realizzare una
distribuzione equa dei migranti tra le singole Regioni, grazie alla definizione di un
numero di presenze rapportato alla popolazione residente nei Comuni.
Tale accordo concluso con ANCI è stato caratterizzato dalla c.d. “clausola di
salvaguardia” che rende esente i Comuni che abbiano già aderito alla rete SPRAR, di
attivare nel proprio territorio, ulteriori forme di accoglienza temporanee, fissando
dunque dei limiti ben precisi.
Tale Piano è stata la risposta al disallineamento creatosi tra varie realtà locali
che hanno accolto un eccessivo numero di richiedenti rispetto ad altre ove non sono
state attivate misure di accoglienza a causa della minore disponibilità dei Sindaci .
Il Piano di accoglienza diffusa concordato dal Ministero dell’Interno e l’ANCI
è dunque uno strumento messo in campo al fine di razionalizzare l’accoglienza
attraverso una distribuzione equilibrata e diffusa dei migranti, con la condivisione
del sistema degli Enti locali.
In particolare i Prefetti capoluoghi di Regione conformemente agli indirizzi
forniti dal Ministro dell’Interno, che ha manifestato forti aspettative sulla riuscita del
Piano, sono tenuti ad operare un continuo monitoraggio per la verifica
16
dell’attuazione dello stesso, attraverso Tavoli di coordinamento regionale per
fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari, ricercando la costante
collaborazione e sintonia con gli Amministratori locali, veri protagonisti
dell’attuazione del piano, che devono coniugare responsabilità e solidarietà, nei cui
confronti i prefetti sono tenuti a svolgere un’azione di stimolo e supporto per
conseguire l’obiettivo di una distribuzione di migranti proporzionata e sostenibile tra
le varie realtà locali.
Negli ultimi mesi, i ripetuti sbarchi di cittadini extracomunitari hanno indotto
le Autorità italiane a cercare un approccio coordinato ai flussi migratori nel
Mediterraneo, poiché l’Italia non può più essere il solo Paese di approdo per le navi
di ogni nazionalità che salvano i migranti.
Al riguardo il Ministro dell’Interno, al vertice Italia - Francia - Berlino
tenutosi il 2 luglio scorso, ha lanciato un allarme quale la chiusura dei porti italiani
alle navi straniere per incassare un maggior sostegno da parte degli altri Paesi. In
particolare, il Ministro ha evidenziato la necessità che l’Europa stili il codice
comune per le organizzazioni non governative che svolgono la propria attività di
salvataggio nel Mediterraneo, chiedendo peraltro la ripresa immediata della
distribuzione dei profughi che si trovano nel nostro Paese.
Al fine di non perdere credibilità rispetto alla posizione presa nei confronti
dell’Europa, il Ministro ha avviato un ulteriore trattativa con i Governatori e i
Sindaci affinché ognuno faccia la sua parte ed all’ANCI ha chiesto una maggiore
collaborazione acché sia rispettato il patto siglato all’inizio dell’anno per accogliere
fino a 200mila persone.
L’obiettivo è quello di incrementare il numero delle strutture per la
cosiddetta accoglienza diffusa «senza pesare troppo sui cittadini, ma cercando di
sfruttare al meglio i contributi destinati agli enti locali, non gravando sempre
sulle stesse Regioni e gli stessi Comuni.
Già con il migration compact, documento diffuso in ambito europeo, volto a
ridurre i flussi anche lungo la rotta mediterranea, che aveva prodotto un positivo
dibattito in ordine alla ridefinizione delle politiche in materia di gestione dei
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migranti, si richiamava anche a livello internazionale, l’esigenza di considerare
l’immigrazione una realtà ordinaria da governare con una serie di interventi a
carattere strutturale, puntando su un nuovo approccio fondato sui partenariati con
i principali Paesi d’origine e transito dei flussi migratori, in particolare quelli
africani, da finanziare con strumenti innovativi come i bond Ue-Africa.
L’Unione Europea si trova di fronte all’imperativo di dotarsi di una vera
politica comune: controllo comune delle frontiere, razionalizzazione dei flussi,
ripartizione degli arrivi.
Il Ministro dell’Interno ha ribadito in più occasioni la volontà di fare dell’Italia
il “Paese pilota” che si muove sul doppio fronte: internazionale, come è accaduto
con la sigla dell’accordo con il Governo libico al fine di sveltire le modalità di
rimpatrio degli irregolari, offrendo una contropartita ai Paesi d’origine per fermare i
trafficanti di uomini, garantire il pattugliamento delle frontiere e l'allestimento di
campi d’accoglienza in Libia dove fare l’identificazione; interno, con un pacchetto
che rappresenta una novità assoluta perché tutela i diritti degli stranieri, ma al primo
posto pone i diritti degli italiani che non devono subire i flussi come fossero
un’invasione.
La linea politica strategica è tracciata:
- sveltire le modalità di rimpatrio degli irregolari, attraverso una rapida
identificazione degli stessi, offrendo una contropartita ai Paesi d’origine;
- procedere entro la fine dell’estate all’apertura di 18 nuovi Centri di identificazione
sparsi su tutta la Penisola da ubicare fuori dai centri abitati, preferibilmente vicino
agli aeroporti che potranno ospitare al massimo 150 persone, per il trasferimento
di chi non ha i requisiti per essere accolto e deve essere rimpatriato;
- snellire le procedure per chi chiede asilo, attraverso il potenziamento in corso
delle Commissioni per il diritto di asilo per ridurre i tempi di definizione dello
status;
- l’aver ridotto il giudizio di primo grado dei processi;
- stanziare maggiori fondi per consentire alla Libia il controllo delle coste
attraverso lo sblocco dei finanziamenti dell’Unione Europea, per sostenere il
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lavoro della guardia costiera e la dotazione di apparecchiature, garantendo il
controllo delle frontiere del Sud;
- ripresa immediata della distribuzione dei profughi attraverso la “relocation”;
Il numero delle persone sbarcate nei primi tre mesi del 2017 continua a salire,
ormai c’è un incremento che supera il 60% dei dati del 2016.
Per tale motivo l’obiettivo del Ministro dell’Interno è quello di procedere in
tempi brevi, facendo sì che i rifugiati debbano essere accolti per non più di 6 mesi e
soprattutto abbiano la possibilità di lavorare e quindi di integrarsi nella comunità.
Alle critiche di chi ritiene che il lavoro sia una prerogativa da destinare agli
italiani, il Ministro ha già risposto che si tratterà di “attività socialmente utili, non
retribuite e volontarie, finanziate dalla comunità europea con fondi destinati solo a
questo scopo”.
In particolare il Ministro dell’Interno non intende agire d’imperio, ma cerca
un’intesa senza però nascondere la determinazione a realizzare comunque il piano.
Lo dice lasciando intendere che senza un accordo si procederà comunque
anche perché, come più volte ha sottolineato il Capo della Polizia, «senza
un’identificazione rapida degli stranieri irregolari non si ha la possibilità di
rimpatriarli». E invece l’obiettivo è proprio quello di raddoppiare le espulsioni
riuscendo a farne almeno 10 mila entro la fine dell’anno.
Sull’approccio strategico per governare l’emergenza migratoria si gioca il
futuro dell’Europa poiché l'immigrazione incontrollata rischia di far saltare gli
equilibri democratici del Continente.
La strategia è duplice: da una parte convincere i paesi africani a riprendersi i
clandestini, dall'altra ricevere aiuti dai partner europei per ricollocare nell'Ue parte
dei richiedenti asilo.
Il gruppo di contatto del Mediterraneo centrale, per il Ministro, può
rappresentare un passo importante, una cooperazione rafforzata che spinge l'Europa
ad affrontare unita una sfida che finora sembrava essere rimasta circoscritta al nostro
Paese. Si tratta di mettere da parte egoismi e chiusure proprio in nome dell’Europa,
che non può essere messa in discussione.
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2 - IMMIGRAZIONE : L'INTEGRAZIONE NECESSARIA E POSSIBILE
“Non hai bisogno di vedere l'intera scalinata. Inizia semplicemente a salire il
primo gradino” (Martin Luther King)
− INTEGRAZIONE: SIGNIFICATO E OBIETTIVI
− GLI INDICI DI INTEGRAZIONE NEI RAPPORTI DEL CNEL
− INTEGRAZIONE DEI CITTADINI STRANIERI ARRIVATI IN ITALIA CON
IL NULLA OSTA AL LAVORO O PER RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
(D.Lgs 286/98) – GLI ANNI FINO AL 2010
− INTEGRAZIONE DEI RICHIEDENTI ASILO E DEI TITOLARI DI STATUS:
GLI ASPETTI DI CRITICITA'
− IL DECRETO-LEGGE 17 FEBBRAIO 2017 N.13 E L'ANNUNCIO DEL
MINISTRO DELL'INTERNO MINNITI DI UN PIANO NAZIONALE PER
L'INTEGRAZIONE
− INTEGRAZIONE: SIGNIFICATO E OBIETTIVI
Un tema strettamente connesso al fenomeno immigrazione è quello della
'integrazione'.
Il termine “integrazione” deriva dal latino integratio –onis. Il primo significato
riportato dalla Treccani è: “ In senso generico, il fatto di integrare, di rendere intero,
pieno, perfetto ciò che è incompleto o insufficiente a un determinato scopo,
aggiungendo quanto è necessario o supplendo al difetto con mezzi opportuni”. In
ambito sociale è “l’inserzione, incorporazione, assimilazione di un individuo, di una
categoria, di un gruppo etnico in un ambiente sociale, in un’organizzazione, in una
comunità etnica, in una società costituita (contrapposto a segregazione)”, o anche
“Processo attraverso il quale gli individui diventano parte integrante di un sistema
sociale, aderendo ai valori che ne definiscono l'ordine normativo […]attraverso la
trasmissione dei modelli culturali e di comportamento dominanti, cui provvedono la
famiglia, la scuola e i gruppi primari”.
Il significato pertanto attinente all'integrazione nell'ambito del fenomeno
immigrazione è quello in senso sociale, dove si intende il processo di inserimento di
20
un individuo e/o di un gruppo etnico in un ambiente sociale, in una società costituita,
per diventare parte integrante di un sistema sociale.
L'incontro e la reciproca influenza tra le diverse culture ed etnie ha
accompagnato da sempre la storia dell'umanità, e sicuramente, con più o meno
consapevolezza, ne è stata occasione di crescita e sviluppo.
Nel mondo romano, dove affluivano dalle regioni settentrionali d'Europa i
“barbari” per trovare rifugio e migliori condizioni di vita, il problema degli stranieri
veniva affrontato in senso utilitaristico: «in sostanza, si accoglievano tutti quelli di
cui si aveva bisogno, respingendo, anche con metodi brutali, coloro che non si
intendeva accogliere.” Una volta entrati, però, l'organizzazione romana prevedeva un
percorso di integrazione che nel giro di una o due generazioni portava lo straniero a
sentirsi a tutti gli effetti parte dell'impero. (Barbero, in Barbari. Immigrati, profughi,
deportati nell’impero romano)
Il mondo greco classico fu molto diffidente verso lo straniero, distinguendo le
due figure dello xenos (appartenente comunque ad una comunità politica greca,
anche se non propria), e del barbaros (straniero non di stirpe greca ed oggetto di vera
e propria discriminazione).
Ma nell'età ellenistica questa mentalità chiusa cominciò a venir meno, grazie
anche all'apertura dell'orizzonte culturale e mentale dovuto alle conquiste di
Alessandro Magno, e la città di Alessandria divenne esempio della diversa capacità
del mondo ellenistico di superare le barriere razziali.
Nell'era della globalizzazione il continuo flusso di migranti che si sposta in
massa dal Sud del mondo, dove le condizioni di vita sono intollerabili, verso il Nord,
per ricercare condizioni di vita migliore che si identificano con i Paesi occidentali,
impone il dibattito sulla loro integrazione, intesa come quell'insieme di processi
sociali e culturali diretti a rendere il migrante parte integrante di una società. Il
processo di integrazione non può passare però solamente attraverso la persona del
migrante e del suo apporto economico alla società di accoglienza, ma deve
contestualmente comprendere la dimensione sociale, culturale e politica, senza le
quali non si compie una vera integrazione. Il percorso di integrazione è bidirezionale,
21
in quanto si realizza con l'incontro della volontà del migrante di far pienamente parte
della nuova società, con quella della comunità autoctona di volerlo accogliere, in una
specie di “patto sociale” dove ognuno ha un ruolo preciso e il venir meno della
volontà di una sola delle parti è motivo di conflittualità.
Nelle società europee é possibile individuare modelli diversi di integrazione
elaborati per regolare la convivenza tra autoctoni e non, tra maggioranze e minoranze
nazionali da un lato e minoranze immigrate dall'altro. I modelli ai quali in genere si
fa più riferimento, anche perchè i rispettivi Paesi hanno conosciuto e affrontato il
fenomeno immigratorio da più tempo, sono quello “assimilazionista” francese e
quello “multiculturalista“ britannico.
Il modello c.d. “assimilazionista” francese si basa sul principio di laicità dello
Stato e sul principio di uguaglianza: le diversità culturali, religiose ed etniche sono
tutelate, ma a livello individuale, non collettivo. Nella dimensione “pubblica” dello
Stato non c'è spazio per la presenza di segni religiosi di alcun tipo (“laicità negativa”)
perchè ritenuti potenzialmente conflittuali con i valori dello Stato. E' vietata in
pubblico qualsiasi esternazione di origine religiosa, a partire dal velo integrale che le
donne musulmane non possono portare.
Sul fronte della naturalizzazione, invece, la normativa prevede un accesso alla
cittadinanza francese in tempi piuttosto brevi rispetto quelli italiani, in un'ottica di
accettazione dei valori dell'ordinamento da parte dei nuovi cittadini, i quali però si
trovano spesso non supportati dalla effettiva estensione dei diritti sociali, e questo è
uno dei punti deboli del modello francese.
Il modello britannico è un modello 'multiculturalista', fondato sul
riconoscimento non solo dei diritti dell'individuo, ma anche, indirettamente, del
gruppo al quale egli appartiene. Ai cittadini autoctoni come ai cittadini immigrati, il
Regno Unito non chiede l'abbandono della loro identità culturale in cambio
dell'integrazione o dell'accesso ai diritti. L'unico limite è costituito dal rispetto delle
leggi e delle regole democratiche. Alla base del modello vi è l’idea che
l’appartenenza collettiva sia fondamentale nella costruzione dell’identità individuale
e che negare l’identità collettiva significhi negare anche la prima. La concezione
22
multiculturalista ipotizza una concezione di eguaglianza basata sulla differenza di
trattamento e mette l’accento più sull’identità che sulla coesione sociale. Il naturale
prodotto del riconoscimento di identità, che si può esplicare nella sfera pubblica,
dovrebbe scongiurare l'origine di conflittualità nel sistema sociale. Quella britannica
è una scena pluralista, formata da gruppi che si scontrano e si accordano, stabilendo
convenzioni che mutano nel tempo. Lo Stato si limita a fungere da “garante” degli
accordi tra i diversi gruppi. Il concetto di libertà non è legato all’idea di eguaglianza,
come nel modello assimilazionista francese, ma a quello di autonomia e di
riconoscimento dei diritti collettivi. (Renzo Guolo “Modelli di integrazione culturale
in Europa” - Convegno di Asolo “Le nuove politiche per l'immigrazione. Sfide e
opportunità “ ottobre 2009)
Il limite che tale modello ha mostrato, ben prima dell’estate del 2005, quella
degli attentati di Londra opera di cittadini britannici di origine pakistana, integrati
nella loro comunità etnica ma non in quella nazionale, è quella di aver creato
comunità non comunicanti, poco interessate alla reciproca interazione. L’eccesso di
riconoscimento particolaristico spinge, infatti, all’autochiusura identitaria e induce le
comunità a vivere non l’una con l’altra ma una accanto all’altra. Si forma così una
società popolata da comunità parallele e, come tutte le figure parallele, destinate a
non incontrarsi mai, se non per necessità meramente funzionali.
Un altro modello europeo, che fa capo alla Germania, è quello che viene
comunemente definito di “istituzionalizzazione della precarietà” e descrive una
politica di immigrazione intesa esclusivamente come ricorso sistematico
all'importazione di manodopera straniera, sottolineando il carattere temporaneo del
fenomeno migratorio, con particolare attenzione al controllo di tale presenza anche
per assicurarne la sua flessibilità. Per motivi strutturali poi, dovuti all'imponente
crescita economica e al fabbisogno di manodopera, in Germania il ciclo migratorio si
è stabilizzato e con la effettiva permanenza dei cittadini immigrati turchi quel tipo di
modello è stato superato. Le modifiche alla legge sulla cittadinanza, a partire dalla
riforma del 1999, hanno reso più semplice diventare cittadini tedeschi, di fatto
svuotando il modello della “precarietà istituzionalizzata”.
23
La situazione italiana si è orientata verso un atteggiamento simile a quello
tedesco che ha visto nell'immigrazione un fenomeno transitorio, legato per lo più a
motivi di lavoro. Nel nostro Paese non è stato seguito di fatto un preciso modello di
integrazione, con un approccio normativo costituito da diversi interventi senza un
preciso disegno ma, sotto certi aspetti, questo ha permesso una minor rigidità
nell'attuazione del processo integrativo, portato avanti soprattutto dalla rete
istituzionale e sociale (pubbliche amministrazioni, forze dell'ordine, magistratura,
volontariato, scuola, enti locali). Il nodo cruciale è rimasto quello della acquisizione
della cittadinanza, la cui legge – la n. 91 del 5 febbraio 1992 - si fonda sullo 'jus
sanguinis', ed è in corso il dibattito sull'introduzione dello 'jus soli temperato' e dello
'jus culturae', quali misure volte a temperare l'attuale meccanismo di ottenimento
della cittadinanza, consentendo di diventare cittadino italiano al minore straniero
nato in Italia se almeno uno dei genitori vi si trova legalmente da almeno cinque
anni, oppure al minore straniero entrato in Italia prima dei dodici anni di età e che
abbia frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni di scuola e superato un
ciclo scolastico.
Un processo di effettiva integrazione coinvolge molteplici aspetti della vita
della persona: l'ambito dell'inserimento economico, con il conseguimento di
un'autonomia economica attraverso l'accesso ad una occupazione dignitosa, l'ambito
dell'inserimento sociale, con la costruzione e gestione autonoma di relazioni sociali
compreso l'accesso ad un alloggio dignitoso, l'ambito dell'inserimento culturale,
mediante l'acquisizione di competenze linguistiche, opportunità formative, processi
di mediazione culturale.
L'integrazione si distingue dall'accoglienza: mentre l'accoglienza richiede la
predisposizione di interventi di tutela messi in atto esclusivamente dalla comunità
ospitante, l'integrazione richiede la predisposizione di interventi per attivare le
risorse personali del migrante per la progressiva conquista della propria autonomia, e
in questo processo il suo apporto è determinante. Accoglienza e integrazione non
vanno considerate come fasi consecutive di un percorso di una persona, ma devono
essere intese come valenze differenti degli interventi sociali. L'integrazione sociale è
24
un processo di lunga durata di cui occorre gettare le basi, nella consapevolezza che i
suoi esiti possono coinvolgere non solo la prima, ma anche la seconda o persino la
terza generazione della migrazione: è infatti un processo che avviene nel tempo e
frequentemente le diverse dimensioni di essa (economica, sociale, culturale) possono
essere conseguite in tempi diversi.
“L'integrazione – come ha ribadito il ministro dell'Interno Minniti- è un punto
cruciale per quanto riguarda le politiche di sicurezza del nostro Paese”, osservando
che se non è vera l'equazione immigrazione = terrorismo, ha invece un fondamento
di verità il rapporto tra mancata integrazione e terrorismo, e ne è prova la storia dei
recenti attentati in Europa, da Charlie Hebdo in poi.
Il fenomeno immigrazione che ha coinvolto in questi ultimi decenni l'Italia e
che è stato comunque governato con normative e politiche in continua evoluzione, è
stato accompagnato, fino agli anni 2009/2010, in cui si è manifestata la crisi
economica a livello mondiale, da processi graduali di integrazione visibilmente
riscontrabili.
− GLI INDICI DI INTEGRAZIONE NEI RAPPORTI DEL CNEL
L'integrazione, come tutti i fenomeni complessi, non è oggetto di misurazione
diretta (non esiste, cioè un dato che, immediatamente, ce ne possa restituire la
dimensione), bensì indiretta: occorre, cioè, risalirne alle dimensioni attraverso un
sistema che metta insieme e sintetizzi una serie di dati riferiti, ciascuno, a fenomeni
che si riconoscono essere correlati in maniera significativa con l’integrazione stessa e
che siano a loro volta misurabili.
L'Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione
sociale degli stranieri operante presso il CNEL – Consiglio Nazionale dell'Economia
e del Lavoro, ha elaborato dal 2001 fino al 2013 un rapporto annuale sugli indicatori
di integrazione degli stranieri nel territorio, diretto a fornire una mappa della
condizione degli immigrati a livello locale, utile per l'orientamento delle politiche di
25
integrazione e per l'individuazione dei settori dove è più urgente l'intervento
pubblico.
Nel Rapporto viene, tra l'altro, misurato un “potenziale di integrazione” nei
vari contesti territoriali italiani che comprende un insieme significativo di fattori
oggettivi che riguardano l’inserimento sociale o occupazionale degli immigrati – in
grado di condizionare, in positivo o in negativo, l’avvio e lo svolgimento dei processi
di integrazione all’interno di ogni contesto locale.
Gli indici (ciascuno sulla base di cinque indicatori) su cui viene calcolato il
valore, sono essenzialmente tre: quello di attrattività territoriale (incidenza sui
residenti, densità per km quadrato, stabilità/nascite, ricettività/saldo anagrafico,
ricongiungimenti familiari); di inserimento lavorativo (assorbimento del mercato del
lavoro, reddito da lavoro dipendente, differenziale retributivo di genere, lavoro in
proprio); di inserimento sociale (dispersione scolastica, accessibilità al mercato
immobiliare, concessioni di cittadinanza, coinvolgimento nella criminalità,
costitutività familiare).
Dal IX Rapporto CNEL, del 18/7/2013, basato sui dati rilevati nel 2011,
emerge, rispetto al 2009, anno di riferimento del Rapporto precedente, che il
potenziale di integrazione che l'Italia era stata capace di esprimere fino ad allora si
cominciava sensibilmente a ridurre, a causa della crisi economico-occupazionale
destinata progressivamente ad acuirsi, con la conseguenza di un generale
indebolimento delle condizioni socio-occupazionali che sono fondamentali per
rendere strutturalmente possibile l’avvio e la riuscita dei processi di integrazione.
Nel Rapporto si evidenzia, oltre all'abbassamento generale del potenziale di
integrazione, anche il suo mutamento nella geografia dei territori italiani: mentre
negli anni precedenti erano le regioni del Nord Est (Friuli Venezia Giulia, Veneto) a
far rilevare valori più alti del potenziale di integrazione, nel 2011 erano Piemonte,
Emilia Romagna, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Abruzzo.
Dall'analisi dei risultati del potenziale di integrazione per 'provincia' un dato
interessante è quello che fa rilevare come ai primi posti della graduatoria risultano
città come Macerata, Mantova, Imperia, Pistoia, Asti, Biella, Teramo: si conferma,
26
insomma, un fenomeno mai venuto meno negli anni di rilevazione del CNEL, e che
sempre più costituisce, perciò, un tratto caratterizzante del “modello” italiano di
integrazione: il fatto, cioè, che le condizioni di inserimento sociale e occupazionale
degli immigrati, che determinano il potenziale di integrazione di un territorio, sono
migliori in contesti più ristretti e a bassa “complessità sociale”, ovvero in territori che
non fanno capo ad aree urbane particolarmente estese o a realtà metropolitane
caratterizzate da una forte concentrazione demografica, da una vita più frenetica e
competitiva, da meccanismi selettivi (quando non escludenti), da strutture (e
sovrastrutture) di mediazione che regolano i rapporti sociali rendendoli sempre più
indiretti e anonimi, aumentando così il senso di estraneazione, di marginalizzazione,
di non appartenenza.
Nel 2014 il Rapporto su “L'integrazione degli immigrati e dei loro figli in Italia
– l'integrazione nel mercato del lavoro in Italia” predisposto dall'OCSE
(Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea) su richiesta del CNEL
(OECD (2014), Lavoro per gli immigrati: L’integrazione nel mercato del lavoro in
Italia, OECD Publishing.http://dx.doi.org/10.1787/9789264216570-it) nel presentare
l'evoluzione delle politiche di integrazione in Italia, conferma una diffusa presenza di
istituzioni pubbliche, enti e associazioni del privato sociale che hanno consolidato
una rete di servizi a favore del processo integrativo degli stranieri, con una
molteplicità di interventi, per lo più legati a progetti finanziati con fondi europei,
operanti in vari ambiti.
Nel Rapporto vengono evidenziate altresì le drammatiche conseguenze della
crisi occupazionale in atto per gli immigrati, specie per il crollo di alcuni settori dove
la manodopera straniera poco specializzata era prima particolarmente richiesta, come
quello edile e dell'industria manifatturiera. Dal momento che il permesso di
soggiorno per i lavoratori di Paesi Terzi è legato alla sussistenza di un contratto di
lavoro, il problema della disoccupazione per gli immigrati ha un risvolto che pesa
pertanto anche sulla loro regolarità da un punto di vista amministrativo, esponendoli
alla clandestinità.
27
Prima della crisi economica, dunque, l'immigrazione in Italia era riuscita a
trovare efficaci processi integrativi nel tessuto sociale ed economico del territorio, in
quanto gestita con strumenti normativi diretti principalmente a coniugare la
regolarizzazione dello straniero con lo svolgimento di una attività lavorativa.
- INTEGRAZIONE DEI MIGRANTI ARRIVATI CON IL NULLA OSTA AL
LAVORO O PER RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE (D.Lgs 286/98) – GLI
ANNI FINO AL 2010
I cittadini provenienti dai Paesi Terzi che sono arrivati in Italia a partire dagli
anni '80 fino al primo decennio del 2000, sono stranieri entrati in genere – più o
meno regolarmente - per essere inseriti, da subito, in un contesto lavorativo che ha
certamente favorito il processo di integrazione. La normativa che si è susseguita nel
corso di questi anni è confluita nel D.Lgs.25 luglio 1998 n. 286 (Testo Unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
giuridica dello straniero), che ha subìto successive modifiche, e si basa su tre pilastri:
la lotta contro la migrazione illegale, la regolamentazione dell'immigrazione legale
con la previsione dei c.d. decreti flussi, e l'integrazione, intesa quest'ultima
soprattutto come integrazione economica. Il conseguimento del permesso di
soggiorno per motivi di lavoro ha consentito a molti cittadini stranieri di rendere
stanziale la loro residenza anagrafica, di far venire in Italia i propri familiari in virtù
del ricongiungimento familiare, e di maturare i requisiti richiesti per la domanda di
cittadinanza italiana.
Le richieste di cittadinanza italiana, infatti, negli ultimi decenni sono
aumentate in modo esponenziale, evidenziando come gli stranieri regolarizzati
abbiano trovato nel Paese Italia una nuova comunità di appartenenza nella quale
poter consolidare la propria vita personale e familiare.
Secondo i dati nazionali forniti dal Ministero dell'Interno, nel 2004 le
concessioni di cittadinanza italiana sono state 11.941 (di cui 3.690 maschi e 8.251
28
femmine), nel 2010 sono state 40.223 (di cui 16539 maschi e 23.684 femmine), nel
2011 arrivano a 65.678 (di cui 30.890 maschi e 34.788 femmine).
Significativa è la situazione dei cittadini stranieri residenti in Italia rilevata alla
fine del 2000 nel Dossier Statistico Immigrazione 2001 della Caritas, perché è quella
che si presenta dopo l’entrata in vigore della politica delle quote.
Alla fine del 2000 i cittadini stranieri in Italia, registrati come titolari di
permesso di soggiorno, risultavano 1.338.153, di cui 752.424 maschi (54,2%). I
cittadini comunitari erano 151.798 (10,9%), un punto percentuale in meno rispetto
all’anno precedente. Nel 2000 l’aumento del numero di soggiornanti è stato di
137.000 unità: in altre parole, al netto di quelli che nello stesso periodo hanno
lasciato il paese, vi sono stati 6 nuovi immigrati ogni 2000 italiani residenti.
Nel 2003 vengono ampiamente superati i due milioni di presenze: è questo
l’effetto della regolarizzazione disposta nell’anno precedente dalla legge 30 luglio
2002, n. 189, la c.d. Bossi-Fini, che ha modificato il T.U. del 1998, e a seguito della
quale vengono presentate ben 700.000 domande.
Gli aumenti nel nuovo decennio iniziano ad essere consistenti anche negli anni
'normali', tanto che al netto delle regolarizzazioni superano le 100.000 unità annue.
Con la presenza aumentata dei cittadini stranieri, comincia ad essere
indispensabile un progetto più deciso di integrazione diretto a rendere concreta la
partecipazione degli immigrati alla vita sociale ed economica del paese, in un
contesto di reciproco rispetto di valori e diversità culturali e religiose.
Alla fine del primo decennio del 2000 la normativa introduce misure
significative per rendere effettiva l'integrazione degli stranieri in Italia.
Il Decreto Ministeriale 4 giugno 2010 “Modalità di svolgimento del test di
conoscenza della lingua italiana previsto dall'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio
1998 n. 286 , introdotto dall'art. 1, comma 22 lettera i) della legge n. 94/2009”,
dispone l'obbligatorietà del test di conoscenza della lingua italiana per i cittadini
stranieri che intendono conseguire la carta di soggiorno a lunga scadenza.
Il DPR 14 settembre 2011 n. 179 “Regolamento concernente la disciplina
dell'accordo di integrazione tra lo straniero e lo Stato”, entrato in vigore il 10 marzo
29
2012, prevede che gli stranieri, di età superiore ai 16 anni, che faranno ingresso nel
territorio nazionale per la prima volta e richiedano un permesso di soggiorno di
durata pari o superiore ad un anno, dovranno sottoscrivere l'Accordo di Integrazione
presso le Prefetture o le Questure. Con tale istituto, basato sul principio dei crediti, si
è voluta perseguire la strada del patto con il cittadino non appartenente all'Unione
europea regolarmente soggiornante, fondato su reciproci impegni. Da parte dello
Stato, quello di assicurare il godimento dei diritti fondamentali e di fornire gli
strumenti che consentano di acquisire la lingua, la cultura ed i principi della
Costituzione italiana; da parte del cittadino straniero, l'impegno al rispetto delle
regole della società civile, al fine di perseguire, nel reciproco interesse, un ordinato
percorso di integrazione.
Nel Preambolo dello schema dell'Accordo di integrazione che lo straniero
firma presso la Prefettura, si legge:
L’integrazione, intesa come processo finalizzato a promuovere la convivenza
dei cittadini italiani e di quelli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio
nazionale, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, si fonda sul
reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della
società.
In particolare, per i cittadini stranieri integrarsi in Italia presuppone
l’apprendimento della lingua italiana e richiede il rispetto, l’adesione e la
promozione dei valori democratici di libertà, di eguaglianza e di solidarietà posti a
fondamento della Repubblica italiana.
Il sistema normativo, dunque, ha cercato di fornire utili strumenti perchè
potesse essere realizzata una effettiva partecipazione del cittadino straniero nella vita
sociale, economica e culturale della comunità ospitante, partendo da uno degli aspetti
fondamentali: l'apprendimento della lingua italiana da parte dei cittadini stranieri,
considerato che la padronanza della lingua è sicuramente il principale fattore di
integrazione. I Centri Territoriali Permanenti per l'Istruzione in età adulta (CTP),
trasformati poi in Centri Provinciali d'Istruzione per Adulti (CPIA) svolgono un
ruolo essenziale nell'apprendimento della lingua, alfabetizzazione e rilasciano le
30
certificazioni delle competenze linguistiche. Molti progetti e programmi di
formazione finanziati con i Fondi Europei hanno cominciato proprio in quegli anni
ad essere organizzati da Regioni, Comuni, organismi del privato sociale, fornendo un
valido punto di partenza anche per la creazione di una nuova mentalità nella
costruzione del processo di integrazione, dove per sentirsi parte attiva nella comunità
ospitante il cittadino straniero deve saper dimostrare anche un impegno fattivo.
L'evoluzione di questo processo ha trovato però un impatto frenante:
− nella crisi economica, che ha colpito dal 2009 anche il nostro Paese, tanto che
molti cittadini stranieri provenienti dagli Stati del Sud America hanno preferito
rimpatriare nei propri Paesi di origine;
− e nella crisi del Nord Africa, che ha visto, a partire dal 2011, l'inizio degli
sbarchi, susseguitisi senza sosta e con arrivi in massa nelle coste siciliane negli anni a
seguire.
- INTEGRAZIONE DEI RICHIEDENTI ASILO E DEI TITOLARI DI
STATUS: GLI ASPETTI DI CRITICITA'
Con gli arrivi massicci sulle coste italiane, a partire dal 2011, e tuttora in corso,
con numeri che la storia più recente del paese non aveva conosciuto, diventa più
complicato parlare di integrazione in quanto questi migranti, che provengono per lo
più dall'Africa Sub Sahariana transitando dal Mediterraneo partendo dalla Libia, o
dai Paesi asiatici interessati da guerre ed estrema povertà, appartengono a Paesi
molto poveri e che soffrono di situazioni politiche instabili, con sistemi fortemente
corrotti e vessatori, e si presentano come 'richiedenti protezione internazionale'. La
loro situazione è ben diversa dai cittadini stranieri che facevano ingresso in Italia per
ottenere un nulla osta al lavoro e provenivano per lo più dai paesi dell'Est Europa, da
quelli del Sud America, dal Nord Africa (Marocco, Algeria, Tunisia), da alcuni paesi
asiatici...
I richiedenti protezione internazionale che sbarcano sulle nostre coste entrano
nel circuito del sistema accoglienza del nostro Paese dove il Servizio SPRAR, nato
31
nel 2002 quando le richieste di protezione internazionale avevano numeri molto
inferiori, non è più sufficiente per la prima accoglienza, e sono pertanto i c.d. Centri
di Accoglienza Straordinaria a svolgere la prima accoglienza dei richiedenti asilo, in
attesa che la competente Commissione Territoriale esamini le loro domande di
protezione internazionale e si pronunci al riguardo.
Rispetto pertanto alla immigrazione dei trascorsi decenni, è evidente l'impatto
profondamente diverso e più drammatico di questo fenomeno che rende molto
complessa la gestione dell'accoglienza e della conseguente integrazione.
Le criticità e gli ostacoli all'integrazione dei richiedenti protezione
internazionale sono ben evidenziati nella “Nota sull'integrazione dei rifugiati
nell'Unione Europea” dell'UNHCR (UN Refugee Agency) del Maggio 2007, nella
quale vengono così elencati quelli che i rifugiati percepiscono come principali
ostacoli all'integrazione:
· difficoltà dovute a mancanza di conoscenza delle lingue e delle diverse culture
del luogo;
· discriminazione e atteggiamenti di chiusura nei confronti degli stranieri;
· mancanza di comprensione nelle società di accoglienza della specifica
condizione dei rifugiati;
· impatto psicologico della protratta inattività durante le procedure d’asilo;
· limitato accesso ai diritti da parte dei beneficiari di protezione sussidiaria.
Un punto su cui viene particolarmente richiamata l'attenzione è la durata delle
procedure di asilo, particolarmente lunghe in alcuni Paesi dell'Unione Europea come
l'Italia, che costringono il richiedente a vivere un periodo di inattività e incertezza sul
proprio futuro che può risultare dannoso anche per la salute mentale, generando
depressione e sindrome di dipendenza, condizionando in maniera negativa il
richiedente anche dopo l'eventuale riconoscimento di uno status.
Nella nota i principali fattori di stimolo per l'integrazione, che l'UNHCR invita
gli Stati dell'UE a promuovere nelle loro politiche di accoglienza e integrazione,
sono legati all'apprendimento della lingua della comunità ospitante, all'inserimento
32
scolastico e quello lavorativo, nonché alla garanzia dell'assistenza sanitaria e
amministrativa.
E' sempre più evidente come non sia più sufficiente garantire accoglienza o
assistenza a chi è in fuga dal proprio paese, ma è necessario pensare e rendere
concreti i loro processi di integrazione sociale ed economica, in un quadro di
relazioni interculturali che garantiscano non solo solidarietà e crescita per la società
ospitante, ma anche maggiore sicurezza sociale. L'esperienza mostra infatti la
pericolosità di una concezione sociale a senso unico, che sollecita il cambiamento
delle minoranze senza chiamare anche la maggioranza a mettersi in questione. Non
può che derivarne un effetto di radicalizzazione che porta ad una reciproca chiusura
dei gruppi di maggioranza e minoranza. “Si evidenziano così i limiti di una politica
migratoria attuata unicamente in base ad un modello di alloggio – lavoro – assistenza
senza tener conto di altre dimensioni, fra cui l'educazione”. (“L'integrazione dei
rifugiati” di Marco Catarci).
La presenza dei rifugiati interroga la società di accoglienza sulle sue
responsabilità in relazione ai processi che hanno causato la fuga di un consistente
numero di persone dal proprio Paese. Occorre, pertanto, nell'esaminare la questione
dei migranti forzati, rinunciare a qualsiasi automatismo “riduzionista”, peraltro
estremamente diffuso, che subordina il giudizio complessivo sul fenomeno
migratorio in termini di pura utilità al suo apporto al sistema economico – produttivo,
imponendo necessariamente di considerare la dimensione politica ed etica di una
tale presenza, nonché, conseguentemente, di individuare ragioni e cause dei
processi di migrazione forzata.
Se è vero che il processo di integrazione non si riduce al binomio casa e lavoro,
va considerato tuttavia che questi, insieme all'apprendimento della lingua italiana,
sono pre-requisiti per avviare il processo di effettiva autonomia del richiedente asilo.
Per quanto riguarda l'apprendimento della lingua italiana, sono molteplici le
iniziative promosse a livello territoriale, anche grazie ai numerosi progetti finanziati
dal Fondo Europeo per l'Asilo e le Migrazioni (F.A.M.I.), per fornire al richiedente
protezione internazionale una prima formazione linguistica. Nei contratti di
33
affidamento del servizio di accoglienza stipulati con i soggetti gestori è prevista
l'attivazione di corsi di apprendimento della lingua italiana, che pertanto possono
essere subito seguiti dal migrante appena arriva nel centro di accoglienza
straordinaria.
Anche gli aspetti sanitari sono fortemente attenzionati, con la garanzia
dell'assistenza a tutti i richiedenti asilo, fin dal primo ingresso nel territorio.
L'aspetto più critico rimane quello dell'inserimento lavorativo, causa la
sfavorevole congiuntura economica che si ripercuote ormai da alcuni anni
sull'occupazione a livello nazionale. Ciò non toglie che appare di fondamentale
importanza progettare dispositivi formativi nei servizi di accoglienza: si tratta
innanzitutto di un approccio strategico per far emergere le risorse personali del
migrante, e per permettere a lui di individualizzare il suo percorso di inserimento
sociale, consentendogli di poter far riferimento anche a pregresse conoscenze e
abilità da lui acquisite in precedenza.
Se è vero che non si può ridurre il processo integrativo al solo aspetto
economico/lavorativo, è pur vero che il coinvolgimento del cittadino straniero al
quale viene garantito l'ingresso in un sistema di accoglienza fino alla decisione finale
della sua istanza di protezione internazionale, in attività di formazione professionale,
lavorative, o di utilità alla collettività in cui è stato inserito, rimane un elemento
fondamentale per gettare le basi al suo processo di integrazione.
Questo coinvolgimento dovrebbe essere, in realtà, immediato e concomitante
con l'inizio dell'accoglienza, per non ingenerare nello stesso migrante accolto una
mentalità assistenzialistica, principale ostacolo all'integrazione, sia da parte sua, sia
da parte della comunità ospitante. Questa strategia, che comunque vale la pena di
mettere in atto, anche se esiste l'incertezza dell'accoglimento o meno della istanza di
protezione internazionale, dovrebbe pertanto essere codificata e formalizzata, e
inserita sistematicamente nel percorso di accoglienza del richiedente asilo.
34
- IL DECRETO LEGGE 17 FEBBRAIO 2017 N. 13 E L'ANNUNCIO DEL
MINISTRO DELL'INTERNO MINNITI DI UN PIANO NAZIONALE PER
L'INTEGRAZIONE
Con la crisi occupazionale in atto non è facile prevedere percorsi di
inserimento lavorativo dei richiedenti asilo, ma rimane comunque fondamentale il
loro coinvolgimento in attività di formazione linguistica, di formazione
professionale, o anche in attività volontarie di utilità sociale.
Vedere - come spesso accade – gruppi di giovani richiedenti protezione
internazionale che vagano per le nostre città o paesi, senza alcun tipo di impegno, è
l'immagine più controindicata per realizzare l'integrazione, generando l'insofferenza
della comunità autoctona, e la demotivazione e depressione nei migranti stessi.
Il decreto legge n. 17 febbraio 2017 n. 13, convertito con la legge 13 aprile
2017, n. 46, prevede all'art. 8 , comma 4 lettera d), l'introduzione, dopo l'art. 22 del
Decreto Legislativo 18 agosto 2015, n. 142, dell'art. 22 bis sulla “Partecipazione dei
richiedenti protezione internazionale ad attività di utilità sociale”. Si enuncia al
riguardo che “I prefetti promuovono, d'intesa con i Comuni (( e con le regioni e le
province autonome, )) anche nell'ambito dell'attivita' dei Consigli territoriali per
l'immigrazione di cui all'articolo 3, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286, e successive modificazioni, ogni iniziativa utile all'implementazione
dell'impiego di richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attivita'
di utilita' sociale in favore delle collettivita' locali,nel quadro delle disposizioni
normative vigenti. Ai fini di cui al comma 1, i prefetti promuovono la diffusione delle
buone prassi e di strategie congiunte con i Comuni, (( con le regioni e le province
autonome )) e le organizzazioni del terzo settore, anche attraverso la stipula di
appositi protocolli di intesa.“
La norma recepisce le esperienze che in molte realtà locali, dal Nord al Sud
dell'Italia, sono state avviate da tempo con la stipula di protocolli di intesa tra
Prefetture, Comuni e soggetti gestori dell'accoglienza, realizzando concretamente
una fattiva volontà per impegnare i richiedenti protezione internazionale nel contesto
35
locale, ai fini di poter gettare le basi per la loro integrazione. Non esisteva tuttavia
una norma che prevedesse questa opportunità, lasciata finora all'iniziativa e alla
sensibilità delle istituzioni locali.
La esplicita previsione normativa intende dare un nuovo impulso a dette
iniziative, che per essere maggiormente incisive ed efficaci dovrebbero essere
attivate nella primissima fase dell'accoglienza, scongiurando in tal modo il
consolidamento nel richiedente protezione internazionale di un atteggiamento di
attesa e pretesa di assistenzialismo ad oltranza. In genere si affidano ai migranti, a
titolo esclusivamente volontario, e sotto la guida di un operatore che provvede al loro
addestramento, semplici attività di manutenzione, pulitura di strade e di aree verdi, in
uno spirito di collaborazione spontanea che dà visibilità alla loro volontà di integrarsi
nel tessuto sociale locale.
Lo sforzo delle istituzioni governative, e in particolare del Ministero
dell'Interno, è molteplice in questa direzione, contando soprattutto sul contributo dei
comuni e sulla collaborazione di ANCI. Il sistema SPRAR, gestito da ANCI, è stato
di recente potenziato con la previsione di un sistema di accesso ai finanziamenti
permanente rivolto ai comuni già titolari di progetti e a quelli che intendono invece
presentarli per la prima volta. Il Decreto ministeriale 10 agosto 2016 n. 100 ha
previsto infatti significative semplificazioni nelle modalità di accesso da parte degli
enti locali ai finanziamenti del Fondo nazionale per le politiche ed i servizi di
accoglienza per i richiedenti e i beneficiari di protezione internazionale e per i titolari
del permesso umanitario. Il potenziamento del sistema SPRAR, diretto in primo
luogo ad ampliare la capacità di accoglienza, è fondamentale anche ai fini
dell'integrazione, offrendo molti servizi diretti alla formazione linguistica e
professionale del richiedente asilo, nonché al suo accompagnamento verso un
percorso di autonomia al di fuori del sistema.
Da segnalare anche iniziative come il progetto 'INSIDE', che fa capo al
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, progetto pilota rivolto a
promuovere 672 tirocini di inserimento lavorativo destinati a titolari di
protezione internazionale ospitati nel sistema SPRAR. Il progetto si propone il
36
rafforzamento della governance attraverso un servizio di assistenza tecnica ai
soggetti coinvolti nell'attivazione dei tirocini e la predisposizione di un modello
di intervento replicabile per la programmazione e l'attuazione di percorsi di
inserimento socio-lavorativo rivolti a titolari di protezione internazionale, anche
alla luce degli interventi da realizzare nell'ambito della futura programmazione
dei fondi europei (FSE e FAMI). Il progetto, avviato a giugno 2016, ha dato
proficui risultati ed ha evidenziato l'importanza di identificare in maniera
efficace le competenze dei rifugiati: le loro conoscenze, esperienze, abilità
presenti nel loro background sono elementi essenziali per il loro percorso di
inclusione sociale.
E' evidente che non bastano le norme a rendere fattibile e concreta
l'integrazione, ma è la sensibilità e la lungimiranza delle collettività e delle istituzioni
locali a giocare un ruolo fondamentale. Come in tutti i fenomeni sociali complessi,
dovranno essere più fattori ad interagire insieme per la costruzione di una società
integrata, e le istituzioni devono saperli individuare e farli emergere con adeguate
misure di sostegno.
Il Piano Nazionale per l'Integrazione che ha annunciato a febbraio di
quest'anno il Ministro dell'Interno Minniti nel corso dell'audizione a Palazzo San
Macuto a Roma davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di
accoglienza e di identificazione ed espulsione, dovrebbe muoversi proprio in questa
direzione, articolando il percorso integrazione in diversi punti: inserimento socio-
lavorativo, assistenza sanitaria, formazione linguistica, ricongiungimento familiare,
istruzione e riconoscimento dei titoli di studio.
°°°°°°°°°°°
In conclusione:
1 – l'integrazione è un processo bidirezionale che coinvolge il cittadino
straniero e la comunità ospitante, in un'ottica di cambiamento a livello culturale,
sociale e normativo;
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2 – è necessario compiere ogni sforzo da parte della società ospitante per
realizzare l'integrazione dei cittadini stranieri richiedenti asilo che arrivano nel nostro
Paese, non solo per fini umanitari e sociali, ma anche perchè è la migliore
prevenzione a processi di radicalizzazione e di arruolamento nelle fila del terrorismo
o della criminalità organizzata;
3 – la realizzazione del processo di integrazione non ha un riscontro
immediato, e gli obiettivi da raggiungere non sono a breve scadenza, ma necessitano
di concrete iniziative, che, se pur non di particolare portata, siano possibili da
realizzare nell'immediato;
4 – gli strumenti normativi che agevolano l'integrazione non sono da soli
sufficienti, ma servono comunque ad avviarne il processo e a fornire agli attori
dell'integrazione la giusta occasione per gettarne le basi, cercando di costruire il
percorso con modalità che forniscano un contributo di crescita al migrante e alla
comunità autoctona.
Il Prefetto, che svolge un ruolo determinante nella gestione dell'accoglienza,
può pertanto mettere in campo varie azioni per far sì che questo percorso di
integrazione sia avviato in concreto fin dalle primissime fasi dell'accoglienza.
Nelle convenzioni stipulate con gli enti gestori dell'accoglienza sono previste
una serie di servizi di supporto all'integrazione, ma occorre che, per una buona
riuscita del percorso integrativo, le Prefetture pongano in essere costanti azioni di
verifica e di stimolo dirette ai seguenti obiettivi:
– i soggetti gestori assicurino una informazione esauriente e costante al
richiedente asilo, sui suoi doveri e i suoi diritti, e sulla situazione futura che l'aspetta:
la consapevolezza della reale posizione è indispensabile per non ingenerare in lui
aspettative sbagliate, ed occorre che l'informativa sia curata non solo per ciò che
concerne la posizione giuridico/amministrativa, ma anche per ciò che attiene altri
aspetti della realtà economica e sociale del territorio di riferimento;
– gli enti gestori diano inizio quanto prima ai corsi di formazione di lingua
italiana, garantendo possibilmente anche vari livelli di apprendimento, per
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valorizzare le abilità acquisite e garantire una progressione di livello dei richiedenti
asilo;
– una volta che il richiedente asilo abbia acquisito i primi livelli di
apprendimento della lingua italiana, è necessario avviare un percorso di formazione
lavorativa, secondo le esigenze o le capacità individuali: attività artigianali, agricole,
ludico/sportive, purchè servano a mantenere costante l'impegno quotidiano. I Prefetti
devono in questo caso verificare la disponibilità dei soggetti del territorio più
sensibili per realizzare percorsi formativi in tal senso, dando visibilità all'iniziativa e
trovando modalità di attuazione che abbiano una ricaduta favorevole anche nel
contesto locale;
– il Prefetto può svolgere un ruolo determinante anche nella attivazione di
convenzioni con gli enti locali per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, ora
previsti dal decreto legge n. 17 febbraio 2017 n. 13, convertito con la legge 13 aprile
2017, n. 46, verificando le modalità più opportune, al fine di rendere visibile la
volontà di collaborazione degli ospiti dei centri di accoglienza a fornire il proprio
contributo alla comunità locale. Molte sono le iniziative già sperimentate a livello
nazionale, e con la previsione normativa si auspica che queste iniziative diventino
prassi sempre più diffuse e consolidate.
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Il fenomeno dell’immigrazione nel pensiero di Papa Francesco
“Quando riusciremo a considerare il migrante come un arricchimento per la
nostra società, allora saremo capaci di praticare la vera accoglienza e riusciremo a
dare loro ciò che in passato abbiamo ricevuto. Abbiamo molto da imparare dal
passato, senza fomentare la paura dello straniero”.
Con queste parole Papa Francesco, autentico riferimento morale e civile di una
visione del mondo fondata sul valore della solidarietà, ha magistralmente descritto le
migrazioni come un fenomeno che oltrepassa i confini dei singoli Stati e perfino dei
Continenti, sottolineando la necessità della cooperazione internazionale per la
gestione delle politiche migratorie dei diversi Paesi, che devono necessariamente
essere rispettose sia per chi riceve che per chi viene accolto.
Il Pontefice, allo stesso tempo, unendo la sua preghiera a Lesbo, il 16 aprile
2016, a quella dell’Arcivescovo di Atene Ieronymos e del Patriarca di Costantinopoli
Bartolomeo, ha posto il dialogo ecumenico ed interreligioso al centro della ricerca di
soluzioni possibili all’accoglienza di chi arriva in Europa, sostenendo che la
condivisione fraterna con altre confessioni sollecita le coscienze a non voltare le
spalle alla richiesta di aiuto e alla speranza di coloro che versano in difficoltà.
Fondamentale, inoltre, è per il Santo Padre il ruolo della comunicazione ed ha
sostenuto, ricevendo in Udienza il 22 settembre 2016 i giornalisti italiani, che i mass
media dovrebbero essere spinti dal dovere di spiegare i diversi aspetti delle
migrazioni, facendo conoscere all’opinione pubblica anche le cause di questo
fenomeno, vale a dire la violazione dei diritti umani, i violenti conflitti nei disordini
sociali, la mancanza di beni di prima necessità, le catastrofi naturali e quelle causate
dall’uomo. Spesso, sono poi gli stessi mass media a utilizzare stereotipi negativi
parlando di migranti e rifugiati. Basti pensare all’uso scorretto che spesso si fanno di
dei termini “migranti” e “rifugiati”, sentendo a volte parlare di “clandestino” come
sinonimo di “migrante”, spingendo così l’opinione pubblica all’elaborazione di un
giudizio negativo.
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Il pensiero e l’azione del Ministro dell’Interno
Per il Ministro dell’Interno, Marco Minniti, il fenomeno dell’immigrazione ha
una portata epocale, non solo a livello europeo ma anche per tutto il resto del mondo.
Per questo va affrontato in un’ottica internazionale, ad iniziare dalla dimensione
europea.
Al riguardo, il Ministro sottolinea che venti anni fa la legge Turco-Napolitano
sull’immigrazione fu l’espressione di una importante stagione riformista del Paese, in
quanto affrontava il tema degli immigrati non più in termini di emergenza, bensì
strutturali.
L’Italia, pertanto, diventava capofila di un progetto che poi è andato
allargandosi, per affrontare un problema con il quale non solo essa, ma l’intera
Europa ed anche il resto del mondo avrebbero fatto i conti per lungo tempo.
Si tratta, quindi, di una questione di democrazia che va necessariamente
affrontata in un’ottica internazionale, a iniziare dalla dimensione europea.
L’Agenda, sottoposta al Parlamento dal Ministero dell’Interno, si basa su tre
capisaldi: i flussi, l’accoglienza e la sicurezza. Si tratta, quindi, di una strategia, di un
disegno complessivo come lo fu a suo tempo la legge Turco-Napolitano.
Bisogna tuttavia essere consapevoli che una politica incontrollata dei flussi non
è più possibile e occorre riprendere la politica di cooperazione internazionale iniziata
negli anni Novanta, essendo perfettamente consapevoli che i flussi di partenza sono
cambiati rispetto a quelli dell’epoca. Allora era la Tunisia il punto nevralgico e si
stabilì un accordo con il Governo Tunisino per drenare le partenze, che avvenivano
lungo le coste di quel Paese. La Tunisia fu disponibile ad accogliere sul proprio
territorio i mezzi delle forze di polizia italiane, analogamente a quanto era avvenuto,
con risultati positivi, in Albania.
Oggi, le partenze avvengono dalla Libia. Nel 2016 è passato da qui il 90% dei
flussi verso l’Italia e nei primi due mesi del 2017 questa percentuale è salita ancora.
Lo scorso 2 febbraio, l’accordo tra Italia e Libia firmato a Palazzo Chigi dal
Presidente Gentiloni e dal Presidente Serraj ha segnato l’inizio di una svolta, in
41
considerazione del fatto che in questo periodo in Libia il traffico di esseri umani è
diventato uno dei commerci più fiorenti del Paese. Il governo libico ha avuto il
coraggio di sottoscrivere un memorandum che riguarda la garanzia fondamentale dei
rispetto dei diritti umani, il controllo delle frontiere marittime e delle frontiere a sud.
L’Unione Europea ha applaudito al memorandum, ma ora bisogna che anche essa
faccia la sua parte, perché la lotta ai trafficanti possa essere estesa agli altri Paesi
africani, secondo il modello di intesa raggiunto dall’Italia con la Libia.
Il secondo aspetto della strategia riguarda l’accoglienza, che produce essa
stessa integrazione, a condizione che sia governata. E’ stato realizzato un accordo
con l’A.N.C.I., per realizzare un sistema di accoglienza diffusa dei richiedenti asilo
nel territorio del Paese; è stato chiesto ad ogni Comune di farsi carico di un piccolo
numero di profughi in rapporto alla propria popolazione, concependo una politica
premiale per le comunità che collaborano in questo senso.
Ma la politica dell’accoglienza diffusa ha bisogno anche di un’altra condizione:
di tempi relativamente certi nei quali stabilire se un rifugiato è realmente tale e,
dunque, se ha diritto o meno alla protezione internazionale.
Infine, un corollario dell’accoglienza riguarda la possibilità di fare svolgere ai
richiedenti asilo lavori di pubblica utilità, superando in tal senso le forme di
diffidenza esistenti verso di loro.
Sotto il profilo della sicurezza, si sottolinea che chi fugge da una guerra o da
una carestia deve essere accolto, chi è fuori dalle regole o viola la legge deve essere
rimpatriato attraverso gli accordi di riammissione con i Paesi di provenienza. La
protezione dei minori, il patto con le associazioni dell’islam italiano e i corridoi
umanitari costituiscono gli esempi delle vie da percorrere.
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I provvedimenti e la pianificazione del Governo sui diversi fronti
dell’immigrazione: severità e integrazione con il coinvolgimento degli Enti Locali,
pressione per una reale operatività dell’U.E., patti di collaborazione con i Paesi
africani
Il fenomeno dell’immigrazione non va subito, né inseguito, ma è necessario
invece governarlo. Su questo pilastro, si basa l’approccio italiano verso un esodo
storico che vede il nostro Paese, nelle attuali dinamiche dei flussi migratori, come
una sorta di imbuto geopolitico. Una dichiarazione di intenti, ma non solo: ci sono
anche gli intenti concreti, approvati dal Governo o in via di definizione, a partire dai
primi mesi del 2017, per realizzare un progetto organico e articolato che viaggia su
tre direttrici.
La prima, quella nazionale, passa da un “Piano Immigrazione”, fatto da un
nuovo modello di accoglienza, una riorganizzazione dei sistemi di affidamento in
gestione dei centri, attraverso accordi con gli enti locali e con le comunità straniere e
religiose sul territorio nazionale. I principi chiave sono: integrazione certa e veloce
per chi ne ha diritto, rimpatri rapidi e severità per chi non ne ha o delinque. In una
democrazia occidentale, si deve tenere conto delle condizioni di chi scappa dalla
guerra ma anche dei sentimenti delle comunità di accoglienza: sono queste le due
esigenze da contemperare.
C’è poi la seconda direttrice, legata alla linea internazionale che porta a sud. Il
sistema al di qua del confine può funzionare a condizione che si contengano i flussi
in entrata: importante perciò stringere alleanze con i Paesi di provenienza o di
transito dei migranti. I dati del 2016 di Frontex orientano lo sguardo sulla cartina con
il Mediterraneo al centro. Depotenziate le rotte balcaniche, si è registrato un
incremento del 18% per i passaggi via mare dalla Libia. Su questa si concentrano gli
sforzi del Governo. In acqua, con il potenziamento dei pattugliamenti sulle coste, e a
terra, attraverso accordi con le autorità locali riconosciute, che permettano la
sorveglianza sulle frontiere meridionali. Un obiettivo di medio periodo resta la
creazione di centri di selezione già in Africa.
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La terza direttrice passa per una definitiva strategia europea sulla “questione
immigrazione”. L’Italia se n’è fatta carico attivando una rinnovata iniziativa
nazionale per ottenere un nuovo approccio da parte dell’UE mentre, sul piano
interno, prosegue il dialogo del Governo con Regioni, Province e Comuni. A tal
riguardo, il patto siglato con l’A.N.C.I. prevede la redistribuzione dei migranti
diffusa tra gli 8000 Comuni italiani: la quota è di 2,5 per ogni mille abitanti. Con la
clausola di salvaguardia, i sindaci che con le loro comunità accettano le percentuali
stabilite non dovranno sobbarcarsi ulteriori accoglienze e riceveranno incentivi
economici.
Il 10 febbraio scorso il Governo ha approvato il decreto per il contrasto alla
immigrazione illegale e l’accelerazione delle procedure di protezione internazionale.
Infatti, in 14 Tribunali distribuiti sul territorio nazionale, vengono costituite
altrettante sezioni specializzate in materia di immigrazione. In composizione
monocratica, le sezioni hanno competenza su: riconoscimento della protezione
internazionale, permessi di soggiorno per motivi umanitari, nulla osta al
ricongiungimento e al permesso di soggiorno per motivi familiari. Il procedimento
viene definito entro quattro mesi con decreto non più impugnabile in appello e
ricorribile in Cassazione. Nelle more della decisione, i richiedenti protezione
internazionale, su iniziativa dei Prefetti e di intesa con i Comuni, potranno svolgere
attività con finalità di carattere sociale in favore delle collettività locali, su base
volontaria e gratuita. Si introducono, inoltre, disposizioni finalizzate a garantire
l’effettività dei provvedimenti di allontanamento per chi non ha diritto di stare sul
suolo italiano. Nascono i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), strutture di
dimensioni ridotte con capienza massima di 100 stranieri.
Sono state inoltre previste forme di cooperazione rafforzata tra i Prefetti ed i
Comuni, dirette ad incrementare i servizi di controllo del territorio. Sono definite,
anche mediante il rafforzamento del ruolo dei sindaci, nuove modalità di prevenzione
e di contrasto all’insorgere di fenomeni di illegalità. Viene inoltre rafforzato
l’apparato sanzionatorio amministrativo per prevenire fenomeni di criticità sociale:
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prevista anche la possibilità di imporre il divieto di frequentazione di determinati
pubblici esercizi e aree urbane ai condannati per i reati di particolare allarme sociale.
E’ stato, inoltre, predisposto il nuovo capitolato per le gare d’appalto per i
centri di accoglienza, promosso insieme all’A.N.A.C., con il superamento del gestore
unico, la tracciabilità dei servizi erogati ed una maggiore attenzione alla qualità
dell’offerta, unitamente al potenziamento dell’attività di controllo del Ministero
dell’Interno.
La creazione di un nuovo quadro legislativo interno è accompagnata da una
parallela attività diplomatica internazionale. il cui fulcro è la gestione dei rapporti, in
particolare con la Libia. Il 2 febbraio scorso è stato infatti firmato il memorandum tra
il Presidente del Consiglio Gentiloni e il leader riconosciuto degli organismi
internazionali del Paese nordafricano Serraj, in base al quale Roma si impegna “a
dare supporto tecnico e tecnologico” alle guardie costiere e di frontiera sotto il
comando di Tripoli. L’Italia finanzierà programmi di crescita nelle Regioni di transito
dei migranti. E’ prevista, inoltre, la collaborazione per chiudere le frontiere
meridionali, dove passano le rotte dei trafficanti. Nel patto, la Libia si impegna a
predisporre “campi di accoglienza temporanei” in attesa del rimpatrio o del rientro
volontario nei paesi d’origine”.
L’Italia chiede all’U.E. un cambio di passo sull’insieme di tali questioni, a
partire da quella dei ricollocamenti. Le premesse di una possibile svolta sono state
poste a La Valletta, con la “Dichiarazione di Malta”, il 3 febbraio scorso, che
impegna i Paesi UE ad intervenire per arginare i flussi sulla rotta del Mediterraneo
centrale che parte dalla Libia.
Insieme a queste iniziative normative e diplomatiche, vengono rafforzate le
interazioni con le anime della “società civile”. E’ stata infatti implementata la
collaborazione sui Corridoi umanitari, nati dalle intese con la Comunità di
Sant’Egidio e la Chiesa Valdese, e ora anche con la Chiesa cattolica, che portano i
profughi in Italia in sicurezza attraverso il Libano. E’ stato, inoltre, sottoscritto il
“Patto nazionale per un Islam italiano”, tra lo Stato e gli esponenti di associazioni
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che rappresentano circa il 70% dei musulmani della penisola, in cui tutti i firmatari si
sono impegnati a ripudiare ogni forma di violenza e di terrorismo.
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Piano Nazionale per l’ Integrazione
Il Piano Nazionale per l’Integrazione, previsto dal D.lgs. 18/2014, “individua
le linee d’intervento per realizzare l'effettiva integrazione dei titolari di protezione
internazionale, con particolare riguardo all'inserimento socio-lavorativo, anche
promuovendo specifici programmi di incontro tra domanda e offerta di lavoro,
all'accesso all'assistenza sanitaria e sociale, all'alloggio, alla formazione linguistica e
all'istruzione nonché' al contrasto delle discriminazioni. Il Piano indica una stima dei
destinatari delle misure d’integrazione, nonché specifiche misure attuative della
programmazione dei pertinenti fondi europei predisposta dall’autorità responsabile”.
Il Piano Nazionale Integrazione rappresenta una “ porta aperta sul futuro del
nostro Paese”, che testimonia non solo il superamento dell’emergenza in tema di
immigrazione, ma determina un salto di qualità nella previsione degli strumenti e
servizi di sistema nel processo d’inclusione sociale di migranti regolarmente
soggiornanti, in particolare rifugiati e titolari di protezione internazionale.
L’obiettivo principale del Piano è quello di permettere ai titolari di protezione
internazionale soggiornanti nel nostro paese di uscire dall’assistenza per arrivare a
una vera autonomia personale, attraverso misure che supportino l’integrazione dei
titolari di protezione internazionale in vari settori: l’inserimento socio-lavorativo,
l’accesso all’assistenza sanitaria, l’alloggio e la residenza, il ricongiungimento
familiare, la formazione linguistica, l’istruzione, il riconoscimento dei titoli ed il
dialogo interreligioso.
Per raggiungere tali obiettivi, il Piano ruota intorno a quattro principi guida:
1. Il percorso d’integrazione inizia sin dalla prima accoglienza;
2. L’integrazione è un processo complesso che parte dal raggiungimento
dell’autonomia personale e richiede la sensibilizzazione e l’informazione della
popolazione che accoglie;
3. Il sistema d’integrazione deve basarsi sul territorio e sulle realtà locali;
4. Specifica attenzione va dedicata alle persone con maggiore vulnerabilità.
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L’auspicio è che le iniziative contenute nel primo Piano Nazionale Integrazione
- che per dettato normativo sono rivolte unicamente ai titolari di protezione - possano
essere estese a tutti gli stranieri legalmente soggiornanti in Italia, al fine di una
complessiva pianificazione delle politiche di integrazione.
Programmazione dei flussi d’ingresso
Ulteriore strumento di integrazione e di inserimento socio-economico dei
cittadini stranieri è costituito dalle opportunità lavorative che vengono offerte e che
sono regolate dagli annuali decreti flussi.
La programmazione dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari è
prevista dall’art. 3 del T.U. sull’Immigrazione (D.Lgs. 286/98).
La determinazione delle quote d’ingresso degli stranieri da ammettere sul
territorio dello Stato per lavoro subordinato, stagionale o autonomo è fissata
annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sulla base dei
criteri generali individuati nel documento programmatico triennale relativo alla
politica dell’immigrazione.
Tuttavia, in considerazione dell’incremento dei flussi migratori via mare,
nonché della particolare congiuntura economica che ha determinato una contrazione
dell’offerta di lavoro e conseguente aumento del numero dei lavoratori immigrati
disoccupati, si è superata la scelta della politica di programmazione triennale,
prevedendo l’emanazione di decreti flussi annuali, in via transitoria e nel limite delle
quote stabilite nell’ultimo decreto emanato, dando così priorità alla scelta di far
convergere l’offerta di lavoro sulla manodopera disoccupata già presente sul
territorio nazionale.
L’analisi dei dati relativi ai flussi di ingresso di cittadini stranieri degli ultimi 9
anni, evidenzia che, a fronte di una decrescente programmazione dei flussi regolari di
ingresso, definita dagli annuali “decreti flussi”, si è registrato un incremento degli
ingressi irregolari di stranieri accolti, sbarcati sulle coste italiane o soccorsi in mare.
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Emerge inoltre che, a fronte di flussi di sbarco da considerare ormai fenomeno
strutturale, il numero dei beneficiari di protezione internazionale e umanitaria è
inferiore al 50% del numero complessivo.
Protocolli d’Intesa
In un'ottica volta a favorire le migliori condizioni per l'accoglienza e
l’integrazione degli immigrati regolari nel nostro Paese e intendendo assicurare quel
quadro di coesione sociale che è parte essenziale di un più ampio concetto di
sicurezza, il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione ha proseguito,
pertanto, nelle attività volte a favorire l’integrazione dei soggetti titolari di protezione
internazionale, in particolare approfondendo la collaborazione con gli organismi con
i quali nel corso dell’anno 2016 sono stati firmati i Protocolli d’Intesa:
- PROTOCOLLO CONI (sottoscritto il 13/05/2016): è stato avviato il progetto
volto a favorire la pratica sportiva per i minori stranieri durante la permanenza nel
sistema di accoglienza nazionale, posto che l’attività sportiva contribuisce a
rispondere alla sfida di tradurre in forme concrete le tutele previste dalla legge in
favore dei minori stranieri, a superare paure e discriminazioni, a socializzare e
recuperare uno stato di benessere fisico e psicologico che aiuti ad affrontare al
meglio l’inserimento sociale.
- PROTOCOLLO CONFINDUSTRIA (sottoscritto il 22/06/2016): si è avviata
per la prima volta una fattiva collaborazione con Confindustria, nella sua veste di
organismo rappresentativo della realtà imprenditoriale nazionale, finalizzata alla
realizzazione di progetti di tirocinio formativo in favore di rifugiati e titolari di
protezione internazionale, per valorizzare le loro competenze professionali ed
orientarli verso un inserimento lavorativo che rappresenta uno dei presupposti
fondamentali dell’integrazione nella società civile.
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- PROTOCOLLO PONTIFICIA UNIVERSITA’ LATERANENSE (sottoscritto
il 19/07/2016): nel processo di integrazione assume pregnante importanza la
costruzione di un “itinerario formativo” dei giovani studenti titolari di protezione
internazionale, a ragione della loro particolare vulnerabilità.
- PROTOCOLLO CRUI (sottoscritto il 20/07/2016): nello stesso spirito, è stato
stipulato anche con la Conferenza dei Rettori delle Università italiane (CRUI) un
Protocollo con lo scopo di sostenere, attraverso borse di studio finalizzate a
concorrere ai costi di vitto e alloggio concesse dal Ministero dell’Interno e grazie
all’esonero totale delle tasse e dei contributi universitari, all’accesso gratuito alle
biblioteche ed ai servizi offerti agli studenti da parte dei singoli Atenei, la frequenza
a un corso di laurea, laurea magistrale o dottorato di ricerca per i giovani rifugiati
- PROTOCOLLO VODAFONE: A seguito della sottoscrizione del Protocollo
d’Intesa tra il Ministero dell’Interno-Dipartimento per le Libertà civili e
l’immigrazione e la Fondazione Vodafone Italia - volto a fornire supporto alla prima
accoglienza, integrazione e istruzione a favore degli stranieri ospiti del sistema di
accoglienza nazionale – si procederà, con apposito accordo attuativo da sottoscrivere
con Fondazione Vodafone, alla realizzazione di uno degli impegni previsti nel
Protocollo stesso. In particolare, l’iniziativa riguarda l’inserimento di giovani
studenti meritevoli, titolari di protezione internazionale presso le Università italiane
per consentire la frequenza a un corso di laurea, laurea magistrale o dottorato di
ricerca, attraverso il finanziamento di 5 borse di studio per tre anni.
Il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione ha avviato, inoltre, una
collaborazione con la World Bank, istituzione internazionale che ha come missione la
riduzione della povertà e la promozione dello sviluppo sostenibile.
La collaborazione ha consentito di avviare i lavori per la realizzazione di un
programma di ricerca e analisi sul tema dell’emergenza migranti e rifugiati in Italia.
Scopo della ricerca è creare una base di conoscenza del fenomeno migratorio,
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identificando le cause ed i fattori determinanti alla migrazione, ivi comprendendo i
bisogni e le aspettative dei migranti che giungono sulle coste italiane. Saranno
valutati, inoltre, la propensione dei migranti all’avvio del processo di integrazione
nella società italiana ed eventuali prospettive di sviluppo nei Paesi di origine, anche
attraverso la collaborazione con tali Paesi, nonché attraverso il rafforzamento delle
comunità di immigrati residenti in Italia.
A livello locale, si segnala il Protocollo firmato il 18 maggio u.s. tra Prefettura
di Milano, città metropolitana e comuni delle zone omogenee. In base al predetto
Protocollo, i sindaci si sono impegnati a trovare, insieme alle associazioni di settore,
gli immobili, a dialogare con la cittadinanza e a mobilitare il volontariato per quanto
riguarda i percorsi di integrazione. La Prefettura farà da “stazione appaltante e
organizzerà un tavolo mensile di monitoraggio”.
Funzionamento del sistema nazionale di accoglienza dei migranti
Il sistema, incentrato sul ruolo di coordinamento del Ministero dell’Interno, è
organizzato in tre fasi: le prime due fasi - soccorso e prima accoglienza – sono gestite
dallo Stato attraverso centri governativi e assicurano accoglienza nei centri ora
disciplinati dagli articoli 9 e 11 del citato D. Lgs. n. 142/15; la terza fase - seconda
accoglienza - è gestita dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati
(SPRAR) con il coinvolgimento diretto degli Enti locali ed è disciplinato dall’ art. 14
del citato D. Lgs. n. 142/15.
Hotspot
Preliminarmente all’ingresso nel circuito dell’accoglienza, i migranti sono fatti
sbarcare e ricevono assistenza presso gli hotspot, cioè “aree di sbarco attrezzate”,
localizzate in Sicilia e nelle regioni peninsulari, dove ormeggiano le imbarcazioni
del dispositivo di soccorso interforze che pattuglia il Canale di Sicilia.
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Nel 2015 sono stati attivati i primi 2 hotspot, localizzati a Lampedusa ed a
Trapani-Milo riconvertendo, rispettivamente, l’ex CPSA di Cda Imbriacola e l’ex
CIE di Milo.
A gennaio 2016, è diventato operativo l’hotspot di Pozzallo (RG) per 300 posti
-riconvertendo il centro di soccorso e prima accoglienza già esistente - e a febbraio
2016 è divenuta operativa la struttura di Taranto per 400 posti, portando l’attuale
capienza ricettiva complessiva a 1.600 posti.
L’intensificarsi del flusso migratorio non programmato in arrivo, in modalità
costante, sulle nostre coste, ha costretto a ricercare ulteriori soluzioni locative da
realizzarsi presso quelle aree portuali che risultano idonee, tecnicamente,
all’attracco delle navi di soccorso ed al posizionamento di strutture modulari
amovibili dove consentire, in tutta sicurezza, l’espletamento delle procedure di pre-
identificazione e di fotosegnalamento dei migranti, ai quali viene assicurata la prima
assistenza, materiale e sanitaria, il servizio informativo multilingue in materia di
immigrazione, diritto di asilo e accesso alla relocation, per i migranti appartenenti
alle nazionalità interessate.
I tempi di permanenza negli hotspot sono, di regola, assai brevi (di norma 48 –
max 72 ore), e, in relazione agli esiti delle procedure di identificazione e
registrazione della volontà di chiedere asilo, i migranti sono, successivamente,
trasferiti in centri dedicati, in base allo status giuridico attribuito, come sopra
precisato.
Il D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, ha assicurato la cornice giuridica agli hotspot,
introducendo l’art. 10 ter al D. Lgs. n. 286/98 prevedendo che “Lo straniero
rintracciato in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera interna o
esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio
in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi
punti di crisi allestiti nell'ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre
1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e
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delle strutture di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142.
Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento
fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del
regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno
2013 ed è assicurata l'informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul
programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla
possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito.”
La prima accoglienza è assicurata nelle strutture di cui agli articoli 9 e 11 del
D. L.gs. n. 142/15 –
I centri ex art. 9, assolvono alle funzioni precedentemente attribuite agli ex
CSPA, CDA e CARA.
Infatti degli attuali centri sotto indicati, sette di essi (Crotone, Roma, Bari,
Brindisi, Foggia Caltanissetta e Catania) erano ex CDA/CARA, istituiti con appositi
decreti ministeriali , due di essi (Bologna e Gorizia) erano ex CIE, riconvertiti a
centri di prima accoglienza e smistamento nel 2014, i rimanenti sono strutture di
recente acquisizione.
In tali strutture il richiedente asilo è accolto per il tempo strettamente
necessario all’espletamento delle procedure di identificazione, alla verbalizzazione
della domanda di asilo, all’accertamento delle condizioni di salute e di eventuale
vulnerabilità.
I soggetti, destinati alla relocation in altri paesi europei di destinazione,
permangono in tali centri fino al completamento della procedura di ricollocamento.
Per sopperire alla indisponibilità di posti nei centri di prima accoglienza e nello
SPRAR, l’art. 11 del D. Lgs. n. 142/15 prevede che il Prefetto può disporre
l’accoglienza dei migranti in centri di accoglienza temporanei, per il tempo
strettamente necessario al reperimento di posti nelle altre due tipologie di centri.
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CENTRI DI SECONDA ACCOGLIENZA
Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) , regolato
dagli articoli 1 sexies e 1 septies al D.L. 30 dicembre 1989, n. 416 conv. in L. 28
febbraio 1990, n. 39, è costituito dalla rete degli enti locali che – per la realizzazione
di progetti territoriali di accoglienza di richiedenti asilo, rifugiati, titolari di
protezione sussidiaria e umanitaria – accedono al contributo erogato a valere sul
Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, gestito dal Ministero
dell’Interno.
Il coordinamento del Sistema di protezione è garantito dal Servizio Centrale,
una struttura operativa istituita dal ministero dell’Interno e affidata, come previsto
dalla norma istitutiva dello SPRAR, con convenzione ad ANCI, con compiti anche di
monitoraggio sullo standard dei servizi resi.
Con l’emanazione del D. Lgs. n. 142/2015 la rete di accoglienza SPRAR è
annoverata nel più complesso sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e
rappresenta il livello di accoglienza più avanzato.
Un esempio sul territorio nazionale: il “modello di accoglienza a Udine”
In data 11 luglio 2014, in sede di Conferenza Unificata, è stata raggiunta
l’intesa tra Governo, Regioni ed Enti Locali su “Piano Nazionale per fronteggiare il
flusso straordinario di cittadini extracomunitari, adulti, famiglie e minori stranieri
non accompagnati”, finalizzato a porre in essere interventi di tipo strutturale in
un’ottica di leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali interessati,
soprattutto in considerazione della circostanza che il sistema di accoglienza è passato
da un bacino di circa 60.000 richiedenti asilo nel 2014 a quasi 180.000.
Per far fronte a tale criticità, è stato elaborato il Piano Ministero Interno –
ANCI, avente l’obiettivo di razionalizzare il sistema di accoglienza e introducendo
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criteri finalizzati a favorire un’equa, proporzionata e sostenibile diffusione dei
richiedenti asilo su tutto il territorio nazionale.
E’ apparsa, quindi, di tutta evidenza la necessità di rafforzare la collaborazione
interistituzionale, per potenziare gli effetti dell’azione sinergica di tutte le Istituzioni
coinvolte.
In particolare, si evidenzia che Udine è stata identificata come “la Lampedusa
del Nord”. Infatti, dalla primavera del 2014 a tutto il 2016, dal valico di Tarvisio
sono entrati in Italia non meno di 20.000 migranti.
Da agosto 2015, invece, si verifica la grande migrazione dei siriani e dei
pakistani, che ha indotto la Germania ad aprire le frontiere e fare entrare circa un
milione di siriani in fuga dalla guerra. Tale ondata di siriani ha indotto ad
intraprendere la stessa rotta anche a migliaia di migranti afgani e pakistani,
provenienti a loro volta dalla Grecia e dalla Turchia, successivamente arrivati in
Austria e nel nostro Paese.
Questi ultimi migranti, sono giunti in pessime condizioni sanitarie, affetti dalle
tipiche patologie di chi ha sofferto condizioni di vita durissime. Inoltre, nell’autunno
2015, la prima ondata di migranti si è mescolata con quella proveniente dalla Turchia
e dai Paesi di origine, con effetti assolutamente devastanti.
A fronte di un atteggiamento molto civile tenuto dalla popolazione, senza
tafferugli o dimostrazioni, si è registrata una risposta corale delle Istituzioni, in
particolare della Prefettura ma anche della Questura e del Comune. Di fronte alla
difficoltà oggettiva della Questura a provvedere ai fotosegnalamenti ed alla
compilazione della pratica di asilo, il Prefetto ha decretato che tutti i migranti
fossero accolti all’interno della Caserma dell’Esercito “Cavarzerani”.
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A seguito di tale iniziativa, la Prefettura di Udine ha sottoscritto un Protocollo
con il Dipartimento di Emergenza, l’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 4 “Friuli
Centrale”, il locale Comitato della Croce Rossa Italiana ed il Comune di Udine, con
le finalità di assicurare, tra l’altro, il diritto alla salute del singolo e di garantire la
tutela della salute della comunità cittadina, di razionalizzare l’utilizzo delle risorse
economiche e di personale, nonché di omogeneizzare i trattamenti sanitari.
Inoltre, è stata sottoscritta tra la Prefettura e il Comune di Udine una
Convenzione per la gestione dei servizi di accoglienza dei cittadini stranieri
richiedenti asilo temporaneamente presenti sul territorio della Provincia di Udine che
si trovano in stato di indigenza, avente ad oggetto la disponibilità massima di 350
posti di accoglienza. A seguito di ciò, alcuni sindaci della Provincia, facendosi carico
del problema, hanno intrapreso a loro volta progetti di accoglienza che hanno portato
all’ospitalità di altre 300 persone.
Altre importanti iniziative intraprese, hanno riguardato, in particolare, il tema
dell’integrazione, attraverso la sottoscrizione di Protocolli di Intesa con la Regione
Friuli-Venezia Giulia, alcuni Comuni ed il locale Comitato della Croce Rossa
Italiana, aventi lo scopo di individuare percorsi educativi di accoglienza e di
integrazione a favore dei migranti ospitati nei suddetti Comuni, che consentano loro
di conoscere il contesto sociale che li ospita, anche attraverso attività di volontariato
finalizzato al raggiungimento di uno scopo sociale a favore della comunità ospitante,
Si segnala, infine il “New Opportunities through craft”, sottoscritto tra la
Prefettura di Udine, l’unione Artigiani Piccole e Medie Imprese – Confartigianato e
la Regione Friuli-Venezia Giulia, relativamente all’iniziativa di avviare, anche presso
le strutture di accoglienza per richiedenti asilo, un progetto di formazione sui
mestieri artigianali che possano portare i richiedenti ad una maggiore integrazione
con il territorio e ad offrire, comunque, maggiori opportunità di indipendenza
economica.
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In tal modo, si persegue sia un obiettivo educativo, cominciando ad avviare
queste persone a professioni che un domani potranno renderle indipendenti, sia un
obiettivo sociale di integrazione tra gli allievi stranieri richiedenti asilo e la comunità
che li accoglie.
Il progetto prevede la realizzazione di 12 corsi di avviamento ai mestieri
artigianali, in diversi settori (termoidraulica, lavorazioni edili, falegnameria,
impiantistica).
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IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA IN GERMANIA
La Germania, come noto, è stata negli ultimi anni (ed è ancora oggi) meta
finale della stragrande maggioranza dei migranti in arrivo sul territorio europeo e si è
caratterizzata ultimamente, nell'immaginario collettivo, per la politica di “porte
aperte” del suo governo.
La "prova di arrivo" è il titolo che ricevono i richiedenti asilo all’atto della
registrazione nel centro di prima accoglienza, e che dura fino alla presentazione
ufficiale della domanda di asilo al B.A.M.F (Bundesamt für Migration und
Flüchtling). La durata di questo documento varia molto in base alla situazione
complessiva del sistema asilo e alla situazione nel Land interessato, ad esempio
rispetto al numero di richieste di asilo e ai tempi burocratici per la registrazione. In
questa fase i richiedenti asilo hanno diritto all’accoglienza nei centri di prima
accoglienza.
La "autorizzazione di soggiorno provvisorio" è il titolo rilasciato ai richiedenti
asilo all’atto della presentazione ufficiale della domanda di asilo al BAMF e dura
fino alla decisione sulla domanda.
L’ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati (B.A.M.F.) è responsabile per
l’esame delle domande di asilo. La sua sede principale si trova a Norimberga ma ha
vari uffici locali presso i centri di prima accoglienza dove realizza le audizioni per il
riconoscimento della protezione internazionale. Inoltre, è anche responsabile per gli
altri canali di migrazione (ad es, migrazione per motivi di lavoro, ricongiungimento
familiare).
La "espulsione rinviata" è normalmente prevista per i richiedenti asilo la cui
domanda di asilo è stata rifiutata ma che per vari motivi non possono essere respinti.
In questo periodo, i migranti sono nella maggior parte ancora alloggiati nelle
strutture di seconda accoglienza.
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La "crisi dei rifugiati" del 2015
Nel 2015, il sistema di asilo tedesco è stato messo di fronte a una sfida
importante, vale a dire dare accoglienza a 1.091.894 richiedenti asilo.
La Germania, quindi – così come altri Stati europei – ha adottato nuove
misure in materia di asilo: l‘Asylpaket I, entrato in vigore nell'ottobre 2015,
l‘ Asylpaket II, entrato in vigore a marzo 2016, il Datenaustauschverbesserungsgesetz
entrato in vigore a febbraio 2016 e l’Integrationsgesetz entrato in vigore a luglio
2016.
Con l'elevatissimo numero di migranti arrivati in Germania nel 2015, i Länder
sono stati obbligati ad aumentare molto rapidamente le capacità di accoglienza.
In molte parti della Germania sono stati quindi aperti numerosi centri di
accoglienza provvisori (tende, palestre, ex-supermercati, ecc.) sia per la prima sia per
la seconda accoglienza. L’apertura di queste strutture provvisorie, non istituita per
legge, è stata fortemente contestata dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani.
In particolare, è stato criticato il fatto che, nonostante il carattere provvisorio, i
migranti siano stati obbligati a rimanere in questi centri per parecchie settimane in
condizioni di vita spesso a dir poco deficitarie. Infatti lo standard definito per gli altri
centri di accoglienza non è valido per i centri provvisori: in alcune città, dopo mesi
dall'apertura delle prime strutture provvisorie non vi erano ancora dei regolamenti sui
requisiti minimi.
Parallelamente all’apertura di centri provvisori, in qualche caso, il Land ha
fornito ai richiedenti asilo dei “buoni” con cui pagare il soggiorno in un hotel o
simili. Ciò ha sicuramente rappresentato un’opzione molto costosa (fino a 50 euro a
notte a persona. Un altro elemento critico è rappresentato dal rischio reale che,
nonostante il “buono”, i richiedenti asilo non trovino un hotel disposto ad accoglierli.
Oggi, con la chiusura della “rotta dei Balcani”, la maggior parte di questi centri
provvisori non è più usata e persino in molti centri di prima accoglienza strutturali i
posti non sono più totalmente occupati.
Ciò nonostante, soprattutto in grandi città come Berlino e Brema la situazione
rimane tesa.
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L’accoglienza dei richiedenti asilo
In Germania non esistono statistiche nazionali sulla capacità del sistema di
accoglienza. Pertanto, non è possibile affermare con certezza quanti posti sono
attualmente messi a disposizione per ospitare i richiedenti asilo.
E’ però possibile effettuare una distinzione fra prima e seconda accoglienza,
precisando che la prima si realizza esclusivamente all'interno di centri collettivi,
mentre la seconda può avere luogo in centri collettivi o in appartamenti. Inoltre,
come già anticipato, durante la “crisi dei rifugiati” sono stati aperti numerosi centri
provvisori.
Infine, l’Asylpaket II ha aggiunto la possibilità di aprire dei centri di
accoglienza speciali.
Competenze e ripartizione della responsabilità
In Germania i Länder sono responsabili dell’accoglienza dei richiedenti asilo,
vale a dire decidono dove aprire nuovi centri e le loro dimensioni e caratteristiche.
Tuttavia, essi non hanno voce in capitolo sul quanto accogliere, essendo obbligati a
garantire i posti di accoglienza in conformità alla quota regionale definita a livello
nazionale. Questo vale sia per la prima sia per la seconda accoglienza.
Al netto di quest'obbligo, i Länder godono di un’ampia discrezionalità. Le già
poche regole stabilite a livello centrale sull’allestimento, l’organizzazione e la forma
dell’accoglienza sono interpretate in maniera molto differente.
In definitiva, si può dire che in Germania non c’è un sistema unico, ma vari
sistemi di accoglienza. Nonostante ciò, esistono degli aspetti comuni.
I richiedenti asilo in Germania sono distribuiti sulla base di una chiave di
ripartizione che fa riferimento al numero di abitanti e al “peso” economico di ogni
Land. È poi il sistema informatizzato EASY che, sulla base di questa chiave,
determina il Land responsabile, avuto riguardo sia alla capacità residua del singolo
Land sia al Paese di origine del richiedenti asilo.
A fronte di questo sistema di ripartizione, i Länder ricevono un finanziamento
dallo Stato centrale la cui entità è storicamente un punto controverso. A settembre
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2015, però, la federazione ha deciso di fissare questo contributo a 670 euro al mese
per richiedente asilo, per tutta la durata della procedura.
Centri di prima accoglienza
Ogni richiedente asilo trascorre il primo periodo in Germania in un centro
collettivo di prima accoglienza. Teoricamente, si dovrebbe riuscire a svolgere
l'audizione sulla domanda di asilo durante il soggiorno in questi centri. In realtà, ad
oggi ciò è possibile solo in pochi casi, perché spesso i richiedenti asilo devono
aspettare per mesi l’appuntamento.
Dall'entrata in vigore dell’Asylpaket I, il soggiorno massimo in un centro di
prima accoglienza è stato aumentato da tre a sei mesi. Ciò non implica solo che i
richiedenti asilo rimangono più a lungo in questi centri (generalmente con standard
qualitativi bassi e condizioni di accoglienza basilari) ma ha anche conseguenze
negative in materia di accesso al mercato di lavoro (completamente vietato durante il
soggiorno nel centro di prima accoglienza).
Generalmente i servizi principali offerti in questi centri sono i seguenti:
accoglienza materiale (in contante o in natura), sicurezza (è previsto un servizio di
guardia h24), accesso al servizio sanitario, assistenza sociale e legale e corsi di lingua
tedesca.
Seconda accoglienza
Anche la seconda accoglienza è in carico ai Länder e può essere realizzata in
maniera molto differente. Nella maggior parte dei casi i Länder delegano
l’accoglienza ai comuni a fronte di un rimborso spese (forfettario o dietro
presentazione di una rendicontazione dettagliata) che può variare molto a seconda del
Land.
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Centri di accoglienza speciali
Possono essere inseriti in questa procedura e quindi devono essere alloggiati in
un centro di accoglienza speciale:
- I richiedenti asilo provenienti da Paesi di origine sicuri (ad oggi Albania,
Serbia, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Ghana, Senegal,
si veda anche sotto, nota 1).
- Coloro che hanno fornito informazioni errate o hanno nascosto documenti o
dati importanti per ingannare il BAMF sulla loro identità o nazionalità.
- Coloro che hanno deliberatamente distrutto dei documenti di viaggio o
identità.
- Coloro che rifiutano di fornire le impronte digitali.
- Coloro che presentano una domanda reiterata.
- Coloro che hanno presentato la domanda al fine di impedire un'espulsione.
- I richiedenti asilo che rappresentano un pericolo pubblico.
IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA IN BELGIO
Salvo alcune eccezioni, i richiedenti asilo in Belgio hanno diritto ad un posto in
una struttura d'accoglienza per tutta la durata della procedura d'asilo (incluso
l'eventuale ricorso). L'accoglienza viene dunque data in forma 'materiale' e non
finanziaria.
Per ottenere un posto d'accoglienza occorre recarsi presso Fedasil - l'agenzia
federale belga responsabile per l'accoglienza dei richiedenti asilo,che assegna un
posto al richiedente asilo e alla sua famiglia a seconda della disponibilità. Non è
possibile scegliere in quale struttura andare.
I richiedenti asilo possono però decidere di non andare nel posto loro assegnato
(ad esempio perché hanno dei familiari presso cui possono alloggiare). In quel caso
rinunciano al loro diritto all'accoglienza materiale (mentre potranno sempre chiedere
il rimborso delle spese mediche sostenute).
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Se un richiedente asilo dispone di mezzi di sussistenza sufficienti Fedasil può
decidere di non dare aiuto materiale, ad esclusione delle spese mediche.
Struttura del sistema d'accoglienza.
Il sistema d'accoglienza per richiedenti asilo belga è concepito in due fasi.
In una prima fase Fedasil assegna ai richiedenti asilo un posto in un centro
collettivo. Questi centri sono gestiti da Fedasil stesso o dalla Croce Rossa e variano
di dimensioni da una 50ina di posti a più di 700.
Le strutture collettive sono molto differenti anche per quanto riguarda il tipo di
servizi che possono offrire. Ad esempio in alcuni centri ci sono cucine a disposizione
dei richiedenti asilo, che quindi possono farsi da mangiare in autonomia. In altri
centri questo non è possibile.
Nei centri collettivi ogni richiedente asilo riceve una piccola somma di denaro
per potersi comprare ad esempio i vestiti. Spesso all'interno dei centri vengono
allestiti dei negozi di vestiti di seconda mano che vengono venduti a prezzi simbolici.
La seconda fase prevede che dopo 4 mesi in un centro collettivo, i richiedenti
asilo possono poi richiedere di essere trasferiti in una struttura d'accoglienza
individuale, ovvero degli appartamenti gestiti da delle entità comunali denominate
Centri Pubblici di Azione Sociale (CPAS) o da onlus. Il principio di base è che un
soggiorno troppo lungo in un centro collettivo nuoce all'autonomia del richiedente
asilo. Non sempre è possibile effettuare un trasferimento subito, questo dipende dalla
disponibilità dei posti in un dato momento. In generale è più difficile trovare posti
per uomini soli che per famiglie, perché è più facile trovare alloggi adatti ad una
famiglia che ad una persona sola.
Nelle strutture d'accoglienza individuali i richiedenti asilo ricevono un sussidio
mensile per provvedere ai loro bisogni primari, come il cibo.
Termine dell'accoglienza in caso di decisione negativa.
In caso di decisione negativa anche in seconda istanza o di decisione di 'non
presa in considerazione' perché il richiedente proviene da un paese d'origine sicuro
Fedasil può assegnare un 'posto d'accoglienza aperto per il rimpatrio volontario'.
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Si tratta di posti in alcuni dei centri d'accoglienza esistenti, riservati a persone
che devono lasciare il territorio Belga e che ricevono un periodo ulteriore di
accoglienza - generalmente di 30 giorni, salvo proroga per giustificati motivi - in cui
verranno assistiti intensivamente in vista di un possibile rimpatrio volontario.
Se non ci sono ragioni per prolungare il termine i richiedenti asilo devono
lasciare l'accoglienza e possono essere portati in un centro di detenzione per essere
rimpatriati forzatamente. Famiglie con bambini minorenni non possono essere messe
in detenzione e vengono portate in 'case di rimpatrio' aperte.
Chi, nonostante il diniego alla propria domanda, non si presenta nel centro
d'accoglienza in vista del rimpatrio volontario, viene considerato come “in fuga” e
può, se intercettato dalla polizia, essere portato in un centro di detenzione per un
rimpatrio forzato.
Se l'esito della procedura d'asilo è positivo i beneficiari di protezione
internazionale hanno due mesi di tempo per lasciare il centro e trovare un alloggio
privato. Avendo uno status hanno diritto all'assistenza sociale e finanziaria dei Centri
Pubblici di Azione Sociale (CPAS). Spesso tuttavia i due mesi non sono sufficienti a
trovare un alloggio. Questo è dovuto alla generale carenza di alloggi a bassi affitti in
Belgio, ma anche alle difficoltà più specifiche di stranieri con mezzi limitati e che
spesso non parlano la lingua e ai quali i proprietari spesso preferiscono non affittare.
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ALTRE ESPERIENZE: FRANCIA E INGHILTERRA
In Francia, la legge di riforma del diritto di asilo è stata adottata nel luglio del
2015. Nell’intento del legislatore c’era il miglioramento delle garanzie per gli
stranieri richiedenti asilo, con la disciplina delle procedure di rilascio del titolo di
rifugiato e della protezione sussidiaria, dello status di apolide e delle procedure di
esame delle domande di asilo, con la riduzione dei tempi di definizione delle
pratiche.
Quando il referendum sulla Brexit non era stato ancora approvato, il Regno
Unito ha varato una nuova legge in materia di immigrazione orientata a rafforzare
l’efficacia dei poteri pubblici in relazione al contenimento della pressione migratoria.
Il provvedimento prevedeva più incisivi poteri di espulsione degli stranieri
illegalmente entrati nel territorio nazionale, maggiori restrizioni poste
all’accessibilità e fruibilità dei servizi pubblici (in particolare, del servizio sanitario)
da parte di stranieri privi di regolare permesso di soggiorno e controlli più efficaci sui
cosiddetti matrimoni di convenienza.
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CONCLUSIONI FINALI
Il presente elaborato costituisce un contributo propositivo sul tema del
fenomeno dell’immigrazione, con particolare riguardo al principio dell’accoglienza
migratoria.
Tale problematica internazionale si è imposta in modo rilevante all’attenzione
delle Autorità politiche competenti a vario livello, atteso il notevole impatto sociale.
Al fine di un pieno raggiungimento dell’obiettivo di integrazione, occorre
perseguire un orientamento mirato a mediare le diverse esigenze, da una parte della
popolazione accogliente e, dall’altra, degli stessi migranti, riconoscendone l’identità
e favorendone il conseguimento della propria autonomia personale.
Non sono mancati, nel contesto nazionale, validi esempi di proposte di
accoglienza. A tale riguardo, occorre rilevare come i Prefetti abbiano svolto il ruolo
chiave di garanti della legalità e della sicurezza, avvalendosi della collaborazione
degli Enti Locali.
Modello virtuoso di eccellenza è rappresentato dal “modello di accoglienza
Udine”. Tutti i soggetti chiamati in causa hanno risposto in modo univoco e sinergico
per il raggiungimento di un modello virtuoso, applicabile a livello nazionale.
Tale iniziativa, ha oltremodo contribuito a favorire la convivenza pacifica a
livello sociale, evitando frizioni e tensioni interne.
A completamento di quanto esposto, si allegano i documenti esplicativi
dell’azione promossa dal Prefetto di Udine.
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