2010 work to work

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2010 - Work to Work Collettiva presso En Plein Air - arte contemporanea

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Crediti fotografici: Enzo Ricci per la fotografia dell’opera di Andrea Nisbet Paolo Mussat-Sartor per il ritratto di Andrea Nisbet Patrizia Chiarbonello per le foto della performance di Voci Erranti

Courtesy: Galleria Novalis di Torino per le opere di Daniela Bozzetto

Ringraziamenti: Prof. Paolo Pivaro Assessore alla Cultura Città di Pinerolo Prof. Mario Marchiando Pacchiola Conservatore della Collezione Civica d’Arte di Palazzo Vittone – Città di Pinerolo Marina Ravera Gennari e Giuliano Ravera figli dell’artista Cecilia Ravera Oneto, Dott. Sandro Revellino Museo Soms di Pinerolo, Arch.Ezio Giaj Museo Civico Etnografico di Pinerolo, Prof. Dario Seglie Museo Civico di Archeologia e Antropologia di Pinerolo, Dott.Franco Dioli Associazione Cecilia Ravera Oneto Stefania Salvai Famiglia Genovesio della “Locanda La Posta” di Cavour Azienda Agricola Dario Gasca Paolo Gagliardi Giorgio Melli

Segnaliamo che nella primavera del 2011 l’Accademia Ligustica di Genova e l’Accademia Albertina di Torino proporranno un concorso per giovani artisti ispirati alle opere a tema industriale dell’artista Cecilia Ravera Oneto.

Progetto Grafico: Arch.Marco Filippa – Danilo Blangetti

Catalogo n°34 - Stampato in n°750 copie presso Intergraph, Mappano di Caselle – Torino

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L’attività museale della città di Pinerolo si arricchisce quest’anno di una nuova mostra che, partendo dalle opere dell’artista Cecilia Ravera Oneto, intende proporre le suggestioni di giovani artisti intorno al tema del lavoro. Un ringraziamento particolare va all’Associazione En Plein Air che ha promosso questa mostra e che ha saputo creare su questo tema importanti collaborazioni con le realtà museali della città di Pinerolo, rappresentate dalla Galleria civica d’Arte, dal Museo del Mutuo Soccorso e dal Museo Etnografico, a testimonianza delle dinamiche culturali che il tema della mostra sa mettere in evidenza e della ricchezza dell’offerta culturale presente nella nostra città. Il tema della mostra rappresenta un’occasione importante per riflettere da un lato sul ruolo fondamentale che il lavoro svolge nelle dinamiche sociali, come fonte di emancipazione, come strumento di crescita e di sviluppo e dall’altro come fattore in grado di modificare e di caratterizzare profondamente l’ambiente nel quale viviamo, dove grandi edifici industriali, ciminiere, sono lì a ricordarci ogni giorno i turni di lavoro, la fatica, il sacrificio, che appaiono come i necessari ingredienti del vivere quotidiano. Solo in alcune occasioni la sensibilità del mondo dell’arte ha saputo fermare l’attenzione sui fenomeni della realtà fissandone i modi e le forme e rendendo omaggio ad un mondo del lavoro troppo spesso dimenticato. E’ accaduto ad esempio nel secondo dopoguerra con la stagione del neorealismo segnato profondamente dall’impegno dell’intellettuale, chiamato a dare il proprio contributo per la conoscenza e la trasformazione di quella realtà intrisa di povertà e di desiderio di riscatto dopo gli orrori del

nazifascismo e la tragedia della guerra. Su questa lunghezza d’onda, cioè sulla volontà di ritrarre i simboli del lavoro per testimoniare la centralità di quel mondo così variegato, si colloca Cecilia Ravera Oneto, allieva di Felice Casorati, in un dato momento del suo percorso artistico, come quando nel 1963 una foto la ritrae mentre dipinge l’acciaieria dell’Italsider dall’alto del gasometro, che l’artista stessa commenta così: “Mentre, arrampicata su uno di questi che io chiamo ponti e che “loro” chiamano con nomi tecnici ed astrusi , col cavalletto legato alla ringhiera per resistere al vento, guardo dai novanta metri di altezza del gasometro i miei soggetti, converso con me stessa. Disegno rabbiosamente strutture, pinnacoli, tubi che rompono il cielo, dipingo, mentre ne respiro l’aspro e velenoso aroma, gas e fumi dai colori più strambi e penso e polemizzo. Che cerchi tu qui per ore ed ore, mentre gente tranquilla nel tepore degli studi, con il semplice, sublime, sicuro gesto traccia una riga, pochi punti e crea un’opera veramente nuova, che rimarrà nei millenni a testimonianza del nostro tempo?” E’ il momento in cui l’artista supera l’astrattismo per imboccare la strada verso il realismo, a dimostrazione che non esiste una sola maniera di essere “moderni”. Infatti Cecilia Ravera Oneto dimostra la sua modernità proprio nel momento in cui s i pone i l problema di creare un linguaggio facilmente comprensibile, capace di raccogliere, interpretare e trasmettere pensieri, aspirazioni e valori ad un pubblico più ampio e popolare. Questa sensibilità dell’artista che rivolge il suo in-teresse al mondo del lavoro ed ai valori che esso rappresenta cost i tuisce i l f i lo condut tore del la mostra; si tratta di un tema di grande attualità dal quale anche i giovani ar t is t i sapranno

t rarre ispirazione per elaborare nuove ipotesi creative.

L’Assessore alla Cultura - Paolo PivaroIl Sindaco - Paolo Covato

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Una ricerca appassionata.Cecilia Ravera Oneto

Cos’è che rende così viva e presente, così interessante Cecilia Ravera Oneto, al di là della mia generazione, ancora da indurre generazioni più giovani ad esplorarne l’opera?Avvince l’intero suo percorso, la coerenza di una ricerca appassionata, l’entusiasmo creativo e l’ampiezza della sua pennellata cromatica, vivace e pulita, quale ritroviamo nella varietà dei soggetti che ci avvicinano all’opera sua, uno stile fatto di bellezza ed intensità, di silenzio ed inquietudine, di sincerità emozionale, di storicità ed universalità, di contemporaneità.Da un’immagine misurata e composta che rivela la preparazione accademica, dal cromatismo soffuso e delicato degli anni Quaranta e Cinquanta, irrompe e divampa alle soglie degli anni Sessanta una tavolozza vibrante.Dai soggetti tradizionalmente poetici ed atmosferici, quasi domestici e familiari, esplode l’attenzione per il paesaggio industriale con le fabbriche e le ciminiere, tema apparentemente arido che l’artista indagherà nei risvolti più convulsi, con le architetture del lavoro che urlano fatiche e drammi umani che la porteranno ad aprire pagine originali e difficilmente riscontrabili altrove nel panorama pittorico. Cecilia con la sua arte è vicina al dolore umano. Nel contempo anche il mare la seduce: sarà una costante della sua arte. Gli scogli, i sassi, le onde e quel grande movimento che si dibatte e si infrange e scivola...L’attenzione al paesaggio della sua Liguria si traduce nelle visioni mosse degli uliveti, delle colline con le ginestre, nei glicini, quei glicini che ornavano anche la sua casa studio di Via Puggia a Genova. Qui sono nati negli anni Ottanta-Novanta alcuni ritratti (autoritratti) sul tema della maternità: alla Madre “come fuoco che scalda, dà luce, dà vita”1, la madre come “roccia sicura che protegge dalle

minacce del male, o del mondo..”, la madre come “vita”1.Dalla sacralità materna al senso religioso e trascendentale qual è incarnato nell’umanità del suo Francesco d’Assisi.Anche nelle opere conservate alla Collezione Civica di Palazzo Vittone, sede amica che l’ospitò più volte, si riscontra la bellezza e la fragranza del suo linguaggio.Ben vengano iniziative come l’attuale che ne valorizzino il messaggio e la validità di una comunicazione che tutti ci prende e ci esalta.

Mario Marchiando PacchiolaConservatore della Collezione Civica d’Arte di Palazzo Vittone, Pinerolo

1. Francesco De Caria in Arte e Mistero Cristiano, Pinerolo - 1999

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8 Cecilia Ravera OnetoNote Biografiche

Cecilia Ravera Oneto nasce a Camogli (Ge) il 3 gennaio 1918 da Valerio, cambusiere sui transatlantici, e Santina Castello, alla quale va il merito di averne compreso precocemente le doti e di averla avviata ed incoraggiata agli studi artistici. Dopo aver studiato al Liceo Artistico Barabino di Genova e al Liceo dell’Accademia Albertina di Torino, nel momento della docenza di Felice Casorati, frequenta il Politecnico di Torino, senza poter concludere gli studi a causa degli eventi bellici. Negli anni della guerra si impiega quale disegnatrice alle Officine Ansaldo di Genova, lavoro che sarà alla base del suo interesse verso il paesaggio industriale, che caratterizzerà una lunga e significativa stagione della sua pittura. Nel 1947 sposa Mario Ravera, medico, docente universitario, ricercatore che sarà determinante nel rivolgere il suo interesse artistico verso l’ambiente della medicina e della ricerca scientifica. Insegna Disegno e Storia dell’arte. Inizia a dipingere alla fine degli anni Trenta, ma esordisce pubblicamente nel 1953 partecipando alla Mostra Regionale d’Arte Ligure organizzata nei locali dell’Accademia Ligustica. Nel 1954 tiene la sua prima personale alla Galleria Rotta di Genova. La pittura degli inizi è caratterizzata da una maniera prossima al post impressionismo con cui svolge paesaggi della Riviera e temi domestici. Nella seconda metà degli anni cinquanta avverte nel paesaggio industriale il motivo per un mutamento del proprio linguaggio, che diventerà ancora più marchiato con le immagini dell’Italsider e con il ciclo dedicato all’“ars medica” degli anni sessanta e inizio settanta, che la avvicina agli ambienti della “Nuova figurazione”. Grazie all’amicizia di Luigi Servolini si dedica all’incisione e alla xilografia. Superati gli anni settanta, durante

i quali il paesaggio industriale del porto, attraverso tagli inusuali raggiunge esiti rarefatti, trasfigurati, non dissimili dalle figure di algida espressività del ciclo rivolto alla medicina e alla ricerca scentifica, ritorna a un proprio, personale, concitato espressionismo. Dagli anni ottanta sviluppa una pittura da tratti violenti e sensuali con la quale la pittrice riprende il suo stretto rapporto con la natura della Liguria, il mare, gli scogli, gli uliveti, i giardini fioriti. La pittura s’ispessisce di materia ora dura e cupa, come quando negli anni ottanta e novanta trascrive emozioni marine e ritorna ai paesaggi liguri da cui era iniziata. Raggiunge un’esuberanza espressionistica con un colore acceso e il gesto forte, inten-so e istintivo, reso ancora più drammatdalle immagini notturne.

dal volume CECILIA RAVERA ONETO Tra glicini e ciminiere a cura di FRANCO RAGAZZI Silvana Editoriale 2008

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E’ vero come Cecilia Ravera Oneto ancora negli anni Cinquanta si avvii sul-la strada di quel paesaggismo costellato di edifici industriali, non tutti testimonianze del passato cui si è attribuita la definizione di ”archeologia industriale“, bensì spesso esemplari di ardente attualità; di questa iconografia ella diventerà in breve tra i più significativi rappresentanti. E’ per così dire, una scoperta insieme emotiva e intellettuale; l’artista si guarda attorno e si accorge che il panorama ligure, con la sua stretta sintesi di mare e montagne, è anche per tanta parte caratterizzato dalla presenza di fabbriche, raffinerie, altiforni, quindi di ciminiere fumanti, strutture metalliche, strutture in cemento grezzo, dai tratti a un tempo scarni e monumentali.Ci si domanda, seguendo la ricca produzione di questi quadri, particolarmente intensa negli anni Sessanta e diversamente ripresa negli anni Settanta con i paesaggi del porto di Genova, se essi costituiscano una registrazione, insieme fedele e appassionata, delle trasformazioni ambientali, o non piuttosto una spinta culturale verso l’apprezzamento di queste novità, pur con motivate e inevitabili riserve.Si vuole dire che il paesaggio industriale,visto attraverso gli occhi dell’artista, insieme intenso e pittoresco, prepotente e suggestivo, ci offre una chiave di lettura in fondo positiva, ci racconta che il mondo per opera dell’uomo cambia, e non è certo la macchina, per seguire l’idea futurista,a insidiare la fantasia.Supportate da una tavolozza che giunge a effetti incandescenti, sembra che le immagini del mondo industriale vibrino dei suoni di un lavoro a cui si affianca partecipativa e interlocutoria la meditazione dell’artista.E’ pertanto con vero piacere che l’Associazione Culturale Cecilia Ravera Oneto concede il patrocinio all’evento “Work to Work-Maionese 2010” organizzato dalla Associazione En Plein

Air alla quale porgo il mio più sincero ringraziamento e gli auguri di successo.L’Associazione dedicata alla pittrice Ravera Oneto di recente costituzione si propone di promuovere e divulgare la conoscenza dell’opera e della figura della pittrice, riteniamo quindi che questo evento ricada perfettamente tra i nostri primari fini istituzionali.

Marina Ravera GennariPresidente dell’Associazione Culturale Cecilia Ravera Oneto

L’associazione culturaleCecilia Ravera Oneto

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10 WORK TO WORKNote critiche

Work to work è un progetto che, a partire dal ciclo sul paesaggio industriale di Cecilia Ravera Oneto, intende esplorare la creatività contemporanea appellandosi ai molti codici visivi che transitano nell’immaginario attuale. Work to work è un titolo con almeno una duplice valenza: work allude a lavoro in quanto opera ma contiene in se proprio l’idea del lavoro a cui fanno riferimento le fabbriche della Oneto. Il termine fabbrica implica del resto anch’esso una duplice accezione: edificio in senso stretto ma anche luogo del lavoro, delle catene di montaggio. L’approdo tardivo dell’Italia alla rivoluzione industriale è cosa nota e, guardando all’oggi, anche le fabbriche sono altra cosa con l’automazione imperante e il terziario ormai in fieri e i nuovi lavori in una società capitalistica precarizzata in un divenire incerto…Cecilia Ravera Oneto vede mutare il paesaggio ligure e ne registra il cambiamento, con un fare pittorico dapprima ancora intriso di superfici post-impressioniste con echi futuristi per poi approdare al suo personale sguardo espressionista.Partendo da qui, dalla carrellata di imma-gini dell’artista vi invitiamo a realizzare/produrre/concepire il vostro work.

(estratto dal testo Incipit inviato agli artisti in aprile/maggio 2010)

Un’opera d’Arte, per definizione, è un (s)oggetto aperto. La grandezza di un’opera d’arte, sta nella sua possibilità di continuare a scaturire interpretazioni. Un’opera d’arte è frutto, comunque, di un lavoro e la profezia di Sorel1 non si è certo avverata quando sosteneva che “Il lavoro diverrà creazione artistica, esso deve scaturire dall’entusiasmo dell’operaio. L’arte è l’anticipazione dell’alta produzione”. Ed è di una sorprendente lucidità, come sempre, Umberto Galimberti quando dice:- È evidente che più la società si fa tecnologica, più si riducono i posti di lavoro. E paradossalmente quello che è sempre stato il sogno più antico dell’uomo: la liberazione dal lavoro si sta trasformando in un incubo2. Arte, opere, lavoro. Un occhio puntato sulla contemporaneità, sullo sguardo altro che solo gli artisti possono offrire. Ognuno dei trenta invitati ha avuto modo di riflettere e realizzare/produrre/concepire il proprio work. L’opera di Cecilia Ravera Oneto, come centro propulsore, ha scatenato reazioni inedite, non soggette ai principi elementari della Fisica Dinamica (ad ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria) nell’ambito della creatività i principi sono decisamente più aleatori.Si possono scegliere molti modi di entrare in questo discorso ed ogni artista ha elaborato il suo. Rédha Sbaihi ci porta dentro al cuore del problema con il suo labirinto di grano saraceno; industrializza la natura realizzando un soffocante percorso obbligato che implica, inevitabilmente, tante interpretazioni e, coinvolgendoci direttamente nell’esperienza dell’ope-ra, ce le fa vivere. Javier Balmaseda, con la sua serie di disegni a pastello, riflette sul dilemma di un mondo di auto e strade proponendoci gioco-samente le sue soluzioni. Altri guar-

dano alle fabbriche, agli operai, ad un mondo che per molti versi non esiste più in questi termini e che però nel presente perpetua la sua memoria. Andrea Nisbet dipinge le sue Fabbriche cogliendole in un degrado metafisico stravolgendone le cromie. Simona Palmieri registra sulla pelle il paesaggio industriale e si potrebbe dire, giocando con le parole, che interiorizza in superficie divenendo filtro vivente della mutazione in corso. Martha Nieuwenhuijs dipinge La scultura, monumento alla modernità congelata nell’immagine della ruota e il tutto lo fa con disincantata poesia quasi fiabesca. Gian Luigi Braggio, Francesco Muro e Alessandra Turolla a loro modo, distintamente, riflettono sulla caducità, obsolescenza, decadenza di questo mondo. Ognuno di loro coglie la mutazione osservandola nel suo perpetuarsi, quasi senza volontà di giudizio, da osservatori imparziali stupiti e catturati dalla morte delle cose, colgono lo stato ultimo con i loro mez-zi estetici. Gian Carlo Giordano fotografa espressivamente l’Operaio in un flusso cromatico pastoso e accalorato, senza compiacimenti coglie il quotidiano ce-lebrandolo nella sua durezza. Charles Jean Paul, nella sua fotografia radiogra-fata, grida sottovoce il suo appello alla Ge-nerazione da salvare in perenne attesa di un possibile (ma improbabile) riscatto. C’è chi sceglie di lavorare sul suo con-fine personale, elaborando un’installa-zione di pregiati ritratti della memoria; è il caso di Marina Buratti che, nella sua Storia di Teresa maglierista, ricu-ce il tempo in un cortocircuito familiare. Bernadetta Ghigo, con la sua infinita teoria di piccole tele dipinte su finta pelle, precipita nel suo personale Ricordare riflettendo sfocatamente sulla memoria della natura, prima ancora che

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la cultura intervenga a classificarla. Alex Astegiano con Twins viaggia sul bordo archetipico del doppio e con l’uovo, che campeggia in primo piano (con il suo profondo contenuto simbolico), ci offre una rivisitazione del processo della creazione. Tere Grindatto propone il suo lavoro con apparente serialità, raccogliendo su uno stender le sue creazioni alchemiche; allestisce il suo commercio di sensibilità contrapponendolo con la sua unicità, all’eterno diffuso consumismo. L’Happy days lui tratta con un fare pseudo-fotografico preannunciando il deserto del futuro. Daniela Bozzetto scruta con pupille allo zoom la perfezione tecnologica, la sua arida purezza; osserva distaccata restituendoci l’astrazione-realistica di un paesaggio antropizzato. Censorship /self-censorship è un quadro vivente di cui siamo tutti noi gli spettatori inconsapevoli; Chen Li propone una meta-riflessione sul lavoro, anche quello degli artisti, rivendicando una condizione inevitabile per molti versi… nel mondo dell’apparire, è come ci dicesse che tutto appare nascosto. Alone. Impossibility to transmit di Natasa Korosec è una riflessione sulla condizione post-moderna, sull’afasia contemporanea ispirata dai pensieri di Zigmunt Barman3. Filiera di Giuliana Marchesa è un oggetto arido, un elogio dell’imprecisione che conserva in se la serialità industriale, piegandola ai difetti dell’esistenza. Con la sua serie di Superstiti Marina Pepino recupera la poetica dell’ objet trouvé, dal mare ligure recupera i residui (forse del motore di un’imbarcazione) e li fa vivere dai suoi desolati e poetici esseri naufragati nella civiltà contemporanea. Elena Clari dissolve nei pigmenti biancastri la memoria di Architetture ormai divenute Fantasma, dove l’eco della modernità è quasi afono, un anelito post-moderno proiettato sul presente. Con una neppur troppo velata ironia,

Tiziano Ettorre propone il suo Maloch industriale; evoca lo spirito malvagio, che divampa fumoso dalla fabbrica, come anelito di una salvezza (forse) futura. Caterina Bruno e Angela Sepe Novara, con i loro acquarelli, ricordano le fabbriche in una dimensione che sfiora l’astrazione storica delineando un’omaggio implicito ed esplicito a Cecilia Ravera Oneto. Sara Grazio crea uno Tzunami visivo accattivante e sensuale, come metafora del presente; cattura la percezione, alludendo alla transitorietà attuale, con strumenti contemporanei. Marco il cercatore di frequenze allude allo spaesamento contemporaneo e, con una ironica messinscena, Pietro Mancini parla dell’uomo avulso dalla realtà che vive. Enza Miglietta recu-pera apparentemente le memorie dei muri urbani, stratificando il vissuto in un racconto visivo. Con le Porte Regali è la luce la protagonista assoluta dell’opera di Martina Dinato, genera lo spazio rendendolo palpabile in una dimensione che è fisica e metafisica al contempo. Mirella Sannazzaro fissa aleatoriamente le sue immagini in un’installazione precaria, coniugando natura e cultura indissolubilmente. La performance VGLnr3 (Arbeit macht frei) di Daniele Ferrarazzo è un’operosa azione che nel compiersi realizza l’opera teatralizzando il fare come moderna schiavitù. TrasformAzioniTeatrali, del gruppo Voci erranti, ci coinvolge in un percorso che dal suono e dal gesto inanimato giunge a strutturarsi in gesto vitale consapevole.

Sono passati alcuni mesi, da quando questo progetto si è avviato. Mesi di contatti, parole, emozioni e in questa avventura sono state coinvolte altre realtà museali della città di Pinerolo. Il SOMS-Museo Storico del Mutuo Soccorso e il Museo Civico Etnografi-co ospiteranno le opere di alcuni artisti

che interagiranno con gli spazi museali: Rédha Sbaihi con le sue gomme intrecciate duetta tra design e scultura; Tere Grindatto impalpabile mette in atto una sua trasform-azione visiva, Chen Li propone il suo giardino frutto della sua ultima esperienza nel quartiere Scampia di Napoli, infine Marina Pepino recupera a nuova vita i gorin (vimine) restituendoli come scultura viva, modernamente primitiva. Con la docente concertista Stefania Salvai proporremo una lezione/incontro sul Futurismo tra musica e arti visive.L’avventura di Work to Work è ora cosa autonoma, viva e come si usa spesso dire, parafrasando malamente un detto, il giudizio ai presenti.

Marco FilippaVice-Presidene di En Plein AirDocente di Discipline Grafico-Pubblicitarie e Storia dell’Arte

1. Georges Eugène Sorel (Cherbourg,1847–Boulogne-sur-Seine, 1922) è stato un filosofo, sociologo e pensatore francese, teorico del sindacalismo rivoluzionario.

2. Umberto Galimberti (Monza, 1942) è un filosofo, psicoanalista e docente universitario italiano.

3. Zygmunt Bauman (Poznan, 1925) è un sociologo e filosofo po-lacco di origini ebraico-polacche. Dal 1971 al 1990 è stato professore di Sociologia all’Università di Leeds. Sul finire degli anni ottanta, si è guadagnato una certa fama grazie ai suoi studi riguardanti la connessione tra la cultura della modernità e il totalitarismo.

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Twins Stampa fotografica su Canvas cm.100x1402005

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Vias y soluciones 12 disegni a pastello su carta cm.80x60 2010

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Senza Titolo (Pool 721)Stampa lambda su plexiglas + d-bond cm.60x802006

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Memorie del fuoco: factory Still da video durata 2’48’’2010

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Storia di Teresa maglierista Installazione: Libro d’artista + collage 2010

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Last works Acquarello su carta cm.50x50 2010

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Generazione da salvare Fotografia / Radiografia cm.150x2102010

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Censorship/Self-censorship Installazione: cornice+pluriball cm.50x702010

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Architetture fantasmaMatita, pigmento, collage su carta intelata cm.99x1392010

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Le Porte RegaliFotografia analogica, stampa fotografica applicata a k-mount montate su cornice legno cm.137,5x42,52005/2006

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Maloch industriale Acrilico su tela cm.100x1002010

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VGLnr3 (Arbeit macht frei)Performance2010

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Ricordare Acrilico su finta pelle cm.40x352007-2008

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Operaio Olio e acrilico su tela cm.100x1002010

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TzunamiStampa diretta su plexiglass cm.80x1002010

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Sinapsi Tecnica mista cm.50x50 2010

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Happy DaysOlio su tela cm 150x2002010

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Alone. Impossibility To Transmit Tecnica mista: performance, fotografia, elaborazione digitale stampa su carta cm.300x90 2010

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FilieraTecnica mista cm.40x110h2010

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Marco il cercatore di frequenzeStampa monotipo su tela cm.70x1002010

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...sui muri bianchi...il teatroCollage e pittura su carta cm.50x402010

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Ri GenerazioneVideo installazione: ZOOL Atto Primo - 1992Video installazione: DEMOLITION - 2009Audio installazione ri generazione #001 - 20074 Fotografie stampa su supporto rigido cm.35x222010

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La sculturaAcrilico e olio su tela cm.65x80 2008

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FabbricheOlio su tela cm.120x1001990

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PaesaggioStampe su acetato, plexiglass, viti d’acciaio10 parti di dimensioni variabili2010

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SuperstitiFerro ritrovato e terracotta2010

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Ispir AzioneIstanti di latenze energetiche, flussi di pensiero che potrebbero divenire tangibili, scambi di polaritàInstallazione: Acquerelli, canne di bambù, cera d’api, fotografie.Misure determinate dall’ambiente2010

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Senza titolo Installazione: grano saraceno Misure determinate dall’ambiente 2010

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Omaggio a Cecilia Ravera OnetoFabbriche di Cultura Acquerello su pannello di puro cotone Arches cm.57x 38 2010

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GhirlandaFoto digitale cm35x50 2010

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TrasformAzioniTeatrali Perfomance teatraleAttori: Daniela Gazzera-Cristiano Ferrua-Adriana Ribotta

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44 En Plein Air-arte contemporaneaL’associazione

Nel 1994 Elena Privitera attua una sfida: decide di trasformare la propria abitazione, una cascina del ‘700 immersa nella campagna del pinerolese, in una sede dell’Associazione Culturale per il tempo libero, ed in particolare per l’arte contemporanea. Si tratta di dare una connotazione concreta ad un’idea già da tempo ben fondata, nella con-vinzione che la scelta sia tanto innovativa quanto necessaria. Il nome dell’ Asso-ciazione, En Plein Air, fa riferimento alla natura come sintomo di armonia interiore: essa diventa una cornice efficace per situazioni che sin dall’inizio si sviluppano secondo due direttrici progettuali, la presenza di nomi “storici” e la proposta di artisti giovani.La prima mostra è dedicata a un giovane artista russo che costituisce il punto di avvio delle “nuove proposte”: si tratta di Serghej Potapenko che si muove in un ambito pittorico iconico, un universo di echi nel quale le immagini si addensano in un intreccio sospeso tra realtà e sogno. Seguono rassegne che alternano figurazione (Gianpiero Viglino) e astrazione (Giorgio Ramella). Tra il 1995 e la primavera 1998 l’ Associazione propone artisti emergenti quali Andrea Nisbet, Carlo Galfione, Luca Bernardelli accogliendo al contempo artisti noti Gilberto Zorio, Vasco Are, Robert Gligorov.Una mostra tutta al femminile The world from the female, realizzata nel-l’autunno 1997, induce ad una riflessione sulla condizione attuale della donna artista, sulla consapevolezza e sulla nuova identità dell’arte al femminile. Di qui prende corpo il Progetto Maionese, interamente ideato da Elena Privitera, cui è strettamente col-legata la necessità di ampliare lo spa-zio fisico della Galleria, così’ da poter proporre in contemporanea più eventi presentando Bice Lazzari, Carol Rama, la giovane Marzia Migliora… Il progetto si articola in diverse “stazioni”:

la costruzione di una galleria virtuale, capace di soddisfare le esigenze pressanti del mondo on line e la presentazione di una vasta gamma di espressioni nell’ambito delle arti dalla pittura all’ installazione, alla ceramica, al design, al gioiello, alla fotografia virtuale. Nell’estate 1998: l’evento coincide con l’acquisizione di una cascina contigua a quella originaria, comprensiva di fienile, sottoportico e ampio cortile. Avere uno spazio più grande consente altresì di offrire ospitalità all’artista, così che il suo rapporto con l’associazione diventi il punto di riferimento per lo sviluppo di nuovi progetti, all’insegna dell’innovazione e dello scambio di esperienze con altre realtà culturali: in mostra sono infatti presenti numerose artiste straniere.Nelle stagioni successive si alternano curatori (Tiziana Conti, Demetrio Paparoni, Luca Beatrice, Guido Curto, Olga Gambari, Lisa Parola, per citarne alcuni) e tematiche (ogni mostra ha un incipit particolare); artisti emergenti e noti; collaborazioni e interazioni con altre realtà culturali (Il Filatoio (Cn) - Museu de Belles Arts de Castellòn – Spagna,). Con il patrocinio della Regione Piemonte, il sostegno di fondazioni (C.R.T. – Sanpaolo) inclusa nel Circuito dei Musei Pinerolesi l’avventura della ricerca dell’associazione, a partire dal 2003, sviluppa una sistematica collaborazione tra Elena Privitera e Marco Filippa avviandola con il progetto Insitu: interagendo con la città (installando opere nel centro storico) e al contempo in “galleria”. Nello stesso anno si sperimenta Enpleinvideo una rassegna non-stop di video d’artista riproposta per il 2008 con connotati online. Si sviluppa il progetto Maionese fino all’edizione attuale Work to Work con l’adesione del Prof. Mario Marchiando Pacchiola Conser-vatore della Collezione Civica d’Arte di Palazzo Vittone Città di Pinerolo e con eventi collaterali presso il Museo del

Mutuo Soccorso il Museo Etnografico, sviluppando inoltre una collaborazione con la concertista Stefania Salvai e il gruppo teatrale Voci Erranti. Nel 2007 parte il progetto I linguaggi del Mediterraneo: una ricognizione sulla creatività con ar-tisti di vari paesi in una concezione di mediterraneo non ortodossa ma “glocale”; contemporaneamente si crea il Dipartimento Educazione credendo fortemente al principio didattico-laboratoriale come strumento di conoscenza e interagendo con le scuole non solo del territorio. A partire dal 2008, si sviluppano collaborazioni con il Comune di Cavour (realizzando due mostre presso il Complesso Abbaziale) e con il Comune di Villafranca Piemonte (presso il Monastero).Il patrimonio di mostre, ricerche, creatività che caratterizzano questo decennio di En Plein Air è storia documentata con cataloghi e video o mediante il sito (http://www.epa.it). Per una cronistoria delle esposizioni si rimanda al link: http://www.epa.it/esposizioni.html.L’archivio virtuale è raggiungibile al link: http://www.epa.it/maionese/artiste/index.html. Per l’attività didattica si rimanda al link:http://www.epa.it/educazione.html.

Direttivo: Elena Privitera Marco Filippa, Carla Bertolino

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Museo Storico del Mutuo SoccorsoLungo la via della solidarietà

DescrizioneNel 1848, il 12 ottobre, nacque a Pinerolo la prima Società Generale Operaia, aperta ai lavoratori di ogni arte e mestiere.Il Museo, allestito nella sede della Società del Mutuo Soccorso presenta in un nuovo e suggestivo allestimento le attività delle società ed i concetti di reciprocanza, solidarietà ...Notevole la raccolta di bandiere ricamate o dipinte sulle arti e i mestieri nelle loro allegorie e nei loro simboli. Indimenticabile lo spazio dedicato alla presenza femminile nelle società di mutuo soccorso.

Tere Grindatto

Museo Storico del Mutuo SoccorsoLungo la via della Solidarietà

Sede: Via S. Pellico 19Telefono: 0121/375012 Fax: 0121/375954Orario di visita:Domenica: dalle 15 alle 19Visite guidate nei giorni feriali su appuntamentoIngresso gratuito

Marina Pepino Redha Sbaihi

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DescrizioneSituato nei sotterranei di Palazzo Vittone, sotto le suggestive volte dai mattoni a vista, il museo raccoglie un’ampia documentazione di cultura popolare delle campagne e delle montagne del pinerolese e delle vallate alpine in genere.Oltre alle ricostruzioni ambientali della cucina tradizionale alpina, della stalla, della camera da letto, dei luoghi di lavoro artigiano, della cantina…. si trova nelle sale un’ampia presentazione di utensili e attrezzi da lavoro.Un risalto particolare hanno nel museo i modelli che riproducono alcune tipologie particolari di fabbricati (dalla fucina alla tipica abitazione provenzale delle valli) realizzati in scala dal cav. Agostino Pons.Non mancano spazi dedicati alla storia dello sci, alla mascalcia, alla miniera.E’ presente infine un centro etnofonico curato dalla Badia corale Val Chisone con una raccolta di musiche strumentali, canti, favole, filastrocche conservati nella nastroteca e con la esposizione dei più caratteristici strumenti musicali popolari: la ghironda, i flauti, i tamburi.

Museo Etnografico del Pinerolese, Museo del Legno, centro Arti e tradizioni popolari del Pinerolese

Sede: Via Brignone 3Tel.: 0121/377519 Orario di visita:Domeniche e festivi 10:30-12:00 15:30-18:00Per visite su appuntamento di gruppi e scolaresche o prenotazioni telefonare allo 0121/794382 Per informazioni: tel. 0121/374505 (mat-tino)e-mail: [email protected] gratuito

Museo Etnografico del PineroleseMuseo del legno-Centro Arti e tradizioni popolari del Pinerolese

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Note di archeologiapaleo-industriale a Pinerolo

Conservare non vuol dire essere conservatori e codini in senso politico; vuol dire avere un profondo senso di essere immersi nella cultura che è il retaggio del passato. Abbiamo ereditato un patrimonio fat-to di beni che l’UNESCO classifica in materiali e immateriali (tangibles and intangibles) ai primi appartiene ad es. l’edificio del Follone o ex Merlettifi-cio Turck; ai secondi appartengono ad es. le abilità di confezionare pizzi al tombolo, saperi tradizionali conservati operativi ancora oggi dai discendenti della famiglia Turck. Sono questi i Beni Culturali che, insieme a quelli Ambientali godono di protezione legale, secondo normative internazionali, nazionali e locali, come dovrebbe essere previsto dai piani comunali.Ma il territorio che è la casa comune, il deposito dei valori stratificatisi nel tempo, è anche l’identità di una comunità e di ogni individuo. Quando siamo costretti a vivere in un ambiente asettico e standardizzato, come una cella di un carcere, la corsia di un ospedale, il corridoio di un supermarket, cerchiamo di evadere al più presto perché credo che nessuno li trovi luoghi familiari.Quindi la città come coacervo di memorie, stratificazione di edifici, di pieni e di vuoti, di giardini e di orti, è la patria piccola, la portatrice della storia piccola (anche a volte grande), con le sue pagine più o meno importanti e più o meno ben conservate, è la nostra carta di identità perché non vogliamo essere apolidi; aperti con tutti gli altri e con tutte le tradizioni e culture, ma senza rinunciare ai millenni che stanno sulle nostre spalle.Allora il nostro dovere è di discutere e concordare con tutti i cittadini (uso apposta questo termine illuminista), visto il passato ed il presente, quale deve essere il disegno del nostro comune futuro, la casa che vogliamo consegnare ai figli ed ai figli dei nostri figli, perché -come amo ricordare, a me stesso in primis- il patrimonio (i beni culturali ed ambientali, tangibles and

intangibles) è un prestito che abbiamo ricevuto dalle generazioni future che noi dobbiamo saggiamente amministrare.Pinerolo si è trasformata nei millenni: nucleo preistorico durante l’Età del Ferro, nel I millennio a. C., oppidum gallo-romano sulle alture di Monte Muretto, città murata dall’alto medioevo fino alla fine del XVII secolo, prima capitale del Piemonte con i Principi d’Acaja - Savoia, fortezza di prima classe francese col Re Sole, sede di provincia e di sotto-Prefettura con Napoleone, città artigiana fin dal Medioevo; da sempre città militare, con il periodo aulico della Cavalleria e col prestigio mondiale dato per essere -tra Ottocento e Novecento fino alla seconda guerra mondiale- la sede più importante per l’equitazione, surclassando il Cadre Noir di Saumur e la Scuola di Vienna, città operaia la cui vocazione attuale tra post industriale, terziario avanzato e centro di servizi territoriali stenta a trovare una regia autorevole con una linea che miri alto verso il futuro, disegnando la città che sarà Pinerolo nella seconda metà di questo primo secolo del terzo millennio d. C. Ma non si può pensare a Pinerolo in modo puntiforme e con l’ottica della città murata, chiusa nella sua individualità; oggi occorrerebbe almeno ricuperare la visione strategica che fu propria del periodo napoleonico, dove il Pinerolese era una unità territoriale. Senza evocare una “provincia” oggi non più proponibile, se il ruolo di guida non sarà concordato con le altre realtà urbane della pianura e delle valli, (i 55 Comuni di competenza di Italia Nostra) e non si arriverà presto ad un piano strategico del territorio del Pinerolese, lo sviluppo sarà casuale e disorganico, complessivamente di inesorabile declino.Nel non preistorico 1960, l’amministrazione di allora della città perpetrava una colossale infamia urbanistica: abbatteva proditoriamente l’enorme edificio costruito nel ‘600 dal Vauban, architetto militare di Luigi

XIV, la caserma detta Hotel di Cavalleria e l’annesso maneggio, in una settimana, sperando di alzare una fungaia di grattacieli e fare enormi profitti; fortunatamente i funghi non crebbero e rimase un piazzale addossato ai rialzi dei bastioni e dei fossati che ancora oggi corrono fino alla Piazza d’Armi. Allora le mani sulla città furono pesantemente messe; l’opinione pubblica ed i giornali locali non sollevarono il problema, gli intellettuali ed i savants del passato erano stati sostituiti dai borsaneristi che si erano arricchiti durante la guerra, le nuove élites erano di una ignoranza crassa di cui si vantavano; l’unico status symbol apprezzato era il portafogli gonfio. La Commissione di Disegno Urbano che nell’Ottocento discuteva lo stile dei Portici Nuovi di Corso Torino era scomparsa da tempo e mai più riformata.

Dopo cento anni di solitudine, per dirla con Garcia Marquez, concludo con un segno positivo: il sindaco Paolo Covato ha istituito recentemente una Commissione Civica per i Beni Culturali di Pinerolo, formata da vari esperti per dare consulenza all’Amministrazione sulle tematiche di cui abbiamo trattato. Le ombre dei Padri Coscritti della Ottocentesca Commissione del Disegno Urbano forse ora potranno darsi pace.

Estratto dal Manifesto di Italia Nostra per il Follone-Merlettificio Tuck di Pine-rolo. (China di Marco Rostan, 2010).

Dario SeglieDirettore CeSMAP

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5. Saluto dell’Assessore alla Cultura Città di Pinerolo Prof. Paolo Pivaro e del Sindaco Dott. Paolo Covato6. Cecilia Ravera Oneto. Opere

7. Una ricerca appassionata. Cecilia Ravera Oneto. Mario Marchiando Pacchiola 8. Cecilia Ravera Oneto. Note biografiche. 9. Cecilia Ravera Oneto. Associazione Culturale Maria Ravera Gennari 10. Work to Work. Note critiche Marco Filippa 13. Alex Astegiano

14. Javier Balmaseda

15. Daniela Bozzetto

16. Gian Luigi Braggio

17. Marina Buratti

18. Caterina Bruno

19. Charles Jean Paul

20. Chen Li

21. Elena Clari

22. Martina Dinato

23. Tiziano Ettorre

24. Daniele Ferrarazzo

25. Bernadetta Ghigo

26. Gian Carlo Giordano

27. Sara Grazio

28. Tere Grindatto

29. Marco Lampis

30. Natasa Korosec

31. Giuliana Marchesa

32. Pietro Mancini

33. Enza Miglietta

34. Francesco Muro

35. Martha Niewenhuijs

36. Andrea Nisbet

37. Simona Palmieri

38. Marina Pepino

39. Mirella Sannazzaro

40. Rédha Sbaihi

41. Angela Sepe Novara

42. Alessandra Turolla

43. Voci erranti

44. En Plein Air arte contemporanea

45. Museo Storico del Mutuo Soccorso 46. Museo Etnografico del pinerolese 47. Note di archeologia paleo-industriale a Pinerolo Dario Seglie

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