Progetto di mini-riforma del processo tributario · sanzioni. Ampliamento che, però, poi, con la...

47
Diritto Processuale Tributario Progetto di Legge di mini riforma del Processo Tributario AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce PATROCINANTE IN CASSAZIONE www.studiotributariovillani.it e-mail [email protected]

Transcript of Progetto di mini-riforma del processo tributario · sanzioni. Ampliamento che, però, poi, con la...

Diritto Processuale Tributario

Progetto di Legge di

mini riforma del Processo Tributario

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce

PATROCINANTE IN CASSAZIONE www.studiotributariovillani.it

e-mail [email protected]

2

INDICE GENERALE

PARTE I

Relazione introduttiva………………………………………………...p. 4

Modifiche……………………………………………………………....p. 6

1) Ampliamento della giurisdizione…………………………………..p. 6

2) Autotutela……………………...…………………………………..p. 11

3) La fase istruttoria…………...……………………………………..p. 16

a) Ammissibilità del giuramento e della testimonianza……...p. 18

4) Conciliazione giudiziale anche in appello………………..............p. 26

5) Sospensione dell’esecuzione delle sentenze……………………....p. 31

Norma transitoria………………………………………..…………...p. 34

Conclusione…………………………………………………………...p. 34

PARTE II

Modifiche legislative………………………………………………….p. 36

Proposte……………………………………………………………….p. 36

a) Modifiche all’art. 2 del D. Lgs. n. 546/1992………………..p. 36

b) Modifiche all’art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992………………p. 38

c) Modifiche all’art. 7 del D. Lgs. n. 546/1992………………..p. 41

d) Modifiche all’art. 48 del D. Lgs. n. 546/1992………………p. 43

e) Modifiche agli artt. 61 e 63 del D. Lgs. n. 546/1992……….p. 45

3

Norma transitoria…………………………………………………….p. 47

4

PARTE I

Relazione introduttiva Premessa indispensabile della presente proposta di mini riforma del processo

tributario è che le differenziazioni fra i modelli processuali e le rispettive forme di

tutela, pur essendo di per sé legittime, non devono mai compromettere in termini

irragionevoli l’esigenza di una indiscriminata e paritaria attuazione del “giusto

processo”, il cui più esteso riscontro si ha, come è noto, nella cognizione e nella

tutela “piena”, che soltanto il processo ordinario sui diritti è in grado di assicurare.

Per cui, la pur giustificabile specialità dei diversi riti e modelli, a parità di

situazioni soggettive tutelabili, deve divergere il meno possibile da quel modello

processuale ordinario, sia in rapporto alle forme di tutela accertabili dal giudice

sia, soprattutto, in rapporto ai mezzi probatori, che siano a disposizione di tutte le

parti, nessuna esclusa o limitata, e del giudice tributario per il sereno accertamento

dei fatti controversi, senza piegarsi alla logica di una presunta celerità lesiva dei

diritti del cittadino-contribuente.

Questa necessità, oltretutto, emerge da vari casi pratici e giurisprudenziali, i quali,

incidendo sulla fase processuale, in maniera talvolta anche contraddittoria,

sottolineano quest’esigenza di riforma per garantire la parità tra le parti.

Tanto per cominciare, basti pensare alla sanatoria delle cartelle mute, apportata

dall’art. 36, comma 4-ter, del D.L. n. 248 del 31/12/2007, convertito in legge n. 31

del 28/02/2008, che, così disponendo: “La cartella di pagamento di cui all’art. 25 del

D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973, e successive modificazioni, contiene altresì, a

pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e

di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al

periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a

decorrere dal 1° giugno 2008; la mancata indicazione dei responsabili dei

procedimenti nelle cartelle di pagamento relative ai ruoli consegnati prima di tale

data non è causa di nullità delle stesse.”, si inserisce fra i numerosi provvedimenti

5

adottati in favore del Fisco, nell’intento di realizzare maggiori entrate, e si pone in

antitesi con il principio della certezza del diritto, della legittimità dell’affidamento e

della buona fede del contribuente (art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente),

cui invece dovrebbe ispirarsi, costituendo per l’appunto un esempio di chiaro

squilibrio tra le parti. Nella prassi, tuttavia, numerose sono le pronunce di merito in

materia, le quali peraltro risolvono la questione in modo diametralmente opposto,

sancendo la nullità delle cartelle prive della sottoscrizione del responsabile del

procedimento anche per il passato (Commissione Tributaria Provinciale di Lecce,

Sezione II, sentenza n. 517/2/7, pronunciata il 12 dicembre 2007 e depositata il 14

gennaio 2008; Commissione Tributaria Provinciale di Bari, Sezione IV, sentenza n.

445/4/07, depositata il 14/01/2008; Commissione Tributaria Provinciale di Piacenza,

Sezione II, sentenza n. 103/2/07; Commissione Tributaria Provinciale di Lucca,

Sezione III, sentenza n. 163/03/2007; Commissione Tributaria Provinciale di

Catanzaro, sentenza n. 1/4/08 del 24 gennaio 2008; Commissione Tributaria

Provinciale di Messina, Sezione VIII, sentenza n. 255/8/08, pronunciata il 27/03/08 e

depositata l’11/06/08).

Un altro esempio è dato dall’ampliamento della giurisdizione delle Commissioni

tributarie, e conseguente ampliamento degli atti impugnabili ai sensi dell’art. 19 D.

Lgs. 546/1992, riconosciuto dalle Sezioni Unite con la sentenza 14 giugno 2007 n.

13902, con la quale la Suprema corte ha chiarito che l’art. 12, comma 2, della legge

448/2001 ha attribuito alle Commissioni tributarie la cognizione su tutte le liti aventi

ad oggetto <<le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari>>,

individuando così la giurisdizione delle Commissioni tributarie non con riferimento

alla materia della controversia, ma in relazione all’organo competente ad irrogare le

sanzioni. Ampliamento che, però, poi, con la sentenza del 5 giugno 2008 n. 14827, in

linea con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenze del 14 marzo

2008 n 64 e del 5 maggio 2008 n. 130, viene ridimensionato con l’esclusione dalla

competenza delle Commissioni tributarie delle sanzioni irrogate da uffici finanziari

ma non riferite a violazioni di natura fiscale.

6

Un ulteriore esempio, infine, è dato dal riconoscimento, anche in materia tributario,

dell’istituto del litisconsorzio necessario (Cass., SS. UU., sentenza n. 1052 del 2007),

al fine di garantire una corretta instaurazione del contraddittorio tra le parti, e della

nullità del processo celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari

(Cass. SS. UU., sentenza n. 14815 del 2008).

Quindi, anche alla luce di tale giurisprudenza, risulta necessario “processualizzare

al massimo il processo tributario, per mettere tutte le parti su un piano di

perfetta parità , senza limitazioni di sorta nella fase istruttoria e con la

possibilità di potersi difendere “ad armi pari”. Infatti, solo attraverso una radicale

e più moderna riforma del processo tributario, che consenta al cittadino-contribuente

di potersi difendere liberamente, serenamente e senza limitazioni, in una posizione

processuale di parità con il fisco, sarà possibile raggiungere tale scopo.

Tuttavia, dati i tempi piuttosto lunghi che una riforma di tal genere richiede, sarebbe

auspicabile una mini riforma su questioni della massima urgenza, che non possono

attendere i tempi utili, invece, della riforma.

A tal proposito, mi sono permesso di redigere un progetto di legge che cercherò di

esporre sommariamente, senza alcuna pretesa di completezza, evidenziando i

principali istituti processuali che dovrebbero essere oggetto di questa mini

riforma per un giusto processo tributario, in modo da ottenere una immediata

oltre che effettiva tutela del cittadino-contribuente, in attesa della riforma.

Modifiche

1) Ampliamento della giurisdizione La competenza generale tributaria dei giudici, a seguito della nuova formulazione

dell’art. 2 D. Lgs. n. 546/1992, introdotta dall’art. 12, comma secondo, della legge

448 del 28 dicembre 2001, ormai può giustificare l’ampliamento della giurisdizione,

ricomprendendo questioni di natura, direttamente od indirettamente, tributaria, anche

alla luce di recenti sentenze della Corte di Cassazione, persino a Sezioni Unite

(ordinanza n. 123 del 09 gennaio 2007).

7

Così si può attribuire alla cognizione degli organi di giurisdizione tributaria tutte le

controversie relative ai contribuenti previdenziali.

Ancorché si sostenga da più parti che i contributi previdenziali potrebbero già

rientrare nella disciplina introdotta con la modifica precedente, si tratta di un’utile

specificazione, considerato che la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con due

sentenze (n. 4918 del 15 maggio 1998 e n. 10232 del 27 giugno 2003), ha affermato

che “la contribuzione previdenziale ha assunto sempre più nel tempo una natura

parafiscale”, essendo intesa come una prestazione imposta dalla legge a favore di un

ente pubblico e, quindi, qualificabile come “un’imposta speciale”.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11082 del 15 maggio

2007, hanno ribadito che il giudice tributario ha competenza esclusiva e generale

(non circoscritta ad alcuni aspetti) per tributi e tasse di ogni tipo. Tale competenza è

indipendente dalla denominazione del tributo o dal contenuto della domanda

presentata dai ricorrenti.

Pertanto, anche le liti che dovessero sorgere in relazione alle tasse automobilistiche,

rientrano sempre nella competenza del giudice tributario e non più in quella del

giudice ordinario.

Tenuto conto di tale allargamento di competenze, per evitare duplicazioni di

giurisdizione, che tanti disagi, preoccupazioni e decadenze determinano nei confronti

dei cittadini-contribuenti, ritengo opportuno far rientrare nelle competenze dei giudici

tributari sia le contestazioni degli atti di esecuzione forzata sia le questioni

relative ai risarcimenti danni derivanti da un illecito ed illegittimo comportamento

degli uffici fiscali, previdenziali, locali e degli agenti della riscossione.

Non bisogna, altresì, dimenticare che, con la celebre sentenza, delle Sezioni Unite

della Cassazione n. 500 del 22 luglio 1999, è stato previsto il risarcimento danni

anche per gli interessi legittimi e non più soltanto per i diritti soggettivi e, di

conseguenza, questo innovativo principio può valere anche nel diritto tributario.

A tal proposito, occorre precisare che, ultimamente, il Consiglio di Stato, Sezione V,

con la decisione n. 2822 del 31 maggio 2007, ha stabilito che l’esercizio dell’azione

8

risarcitoria nei confronti di una pubblica amministrazione non è necessariamente

subordinata alla presentazione del ricorso contro l’atto illegittimo entro sessanta

giorni dalla modifica dello stesso.

Al limite, il risarcimento del danno potrà essere inferiore a fronte del fatto che

l’interessato non è stato abbastanza diligente ad impugnare l’atto (si rinvia all’articolo

di Antonio Ciccia, in Italia Oggi del 18 agosto 2007, pag. 28).

Tale corretto principio può essere applicato anche al processo tributario, una

volta allargata la competenza dei giudici tributari (art. 2, comma 3).

Soltanto i rapporti tra privati nel campo fiscale devono rimanere di competenza

esclusiva del giudice ordinario, come per esempio nel caso deciso dalla Corte di

Cassazione, con la sentenza n. 12063 del 24 maggio 2007, relativa ad una

controversia avente ad oggetto la rivalsa in materia IVA tra privati. Infatti, non

rientrano nell’ambito della giurisdizione tributaria le controversie che riguardano i

soli rapporti tra privati (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 16158 del 15

novembre 2002); un esempio in tal senso, è dato dalla sentenza della Corte di

Cassazione, Sez. trib., n. 13608 del 16 settembre 2003, dove si stabilisce che solo

l’appaltatore può chiedere il rimborso dell’IVA all’Amministrazione finanziaria.

Infine, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 13902 del 14

giugno 2007, ha stabilito, correttamente, che la controversia sulla sanzione inflitta

dall’Agenzia delle Entrate ad una società di assicurazione, che si è avvalsa dell’opera

libero-professionale di due medici dell’INAIL senza munirsi della necessaria

autorizzazione dell’ente, è di competenza dei giudici tributari (sentenza preceduta

dalla più sommaria ordinanza n. 3182 del 14 febbraio 2007 della stessa Corte).

L’art. 12, secondo comma, della legge n. 448/2001, spiega infatti il collegio, ha

attribuito ai giudici tributari la cognizione su tutte le liti aventi ad “oggetto le

sanzioni amministrative comunque irrogate da uffici finanziari”, individuando così

la giurisdizione tributaria non con riferimento alla materia della controversia ma in

relazione all’organo competente ad irrogare la relativa sanzione.

9

In altre parole, afferma la Corte di Cassazione, l’applicazione della sanzione da parte

di un ufficio fiscale accredita sempre la giurisdizione tributaria anche nel caso in cui

si tratti di un’infrazione diversa da quelle più direttamente fiscali. Viene riconosciuta,

in sostanza, la legittimità costituzionale di quelle disposizioni che estendano la

giurisdizione tributaria a controversie legate da una connessione stretta ad

organi fiscali.

Appunto per questo è opportuna una precisazione legislativa in merito (art. 2, comma

1).

Infine, ritengo opportuno che i giudici tributari, per la loro competenza, debbano

decidere anche in tema di tariffe d’estimo, per l’eventuale disapplicazione.

Le suddette modifiche legislative, sia in tema di risarcimento danni sia in tema di

tariffe d’estimo, servono a superare sia la costante giurisprudenza contraria della

Corte di Cassazione (sentenze n. 15199/04; n. 4055/07 e n. 8958/07) sia quanto

dichiarato dal Sottosegretario all’Economia in una risposta ad un’interrogazione

parlamentare (Italia Oggi, del 19 luglio 2007, pag. 38).

A tal fine, dunque, l’art. 2 dovrebbe così essere formulato:

<<ART. 2. Oggetto della giurisdizione tributaria

1. Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi

ad oggetto i tributi e le tasse di ogni genere e specie comunque denominati,

compresi quelli regionali, provinciali e comunali nonché i contributi

previdenziali ed i contributi per il servizio sanitario nazionale, come accertati

dagli uffici delle Agenzie fiscali e dagli uffici previdenziali. In ogni caso, il

giudice tributario è competente per tutte le controversie legate da una

connessione stretta ad organi fiscali e previdenziali.

2. Appartengono alla giurisdizione tributaria le sovrimposte e le addizionali,

le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici delle Agenzie fiscali,

da uffici locali, regionali e previdenziali, gli interessi moratori, anche

anatocistici di cui all’articolo 1283 del codice civile, la rivalutazione

monetaria di cui all’articolo 1224, comma 2, del codice civile, ed ogni altro

10

accessorio, compresi gli aggi, le indennità di mora e le spese di notifica, dovuti

all’agente della riscossione.

3. Rientrano nella competenza dei giudici tributari tutte le azioni di

risarcimento danni, ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile per

comportamenti dolosi o colposi, nell’ambito delle materie di cui ai commi 1 e

2, e tutte le controversie riguardanti gli atti dell’ esecuzione forzata tributaria,

anche successivi alla notifica della cartella di pagamento, comprese le

controversie relative all’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente

della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602 nonché tutte le controversie relative

ai fermi amministrativi ed alle iscrizioni di ipoteche.

4. Appartengono, inoltre, alla giurisdizione tributaria le controversie promosse

dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura,

l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i

compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le

controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità

immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale. Il giudice tributario

può decidere anche in materia di tariffe d’estimo, tenuto conto di quanto

esposto al comma 8.

5. Appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie relative alla

debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, previsto

dall’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446, e successive

modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e

della tariffa igiene ambientale; le controversie attinenti l’imposta o il canone

comunale sulla pubblicità ed il diritto sulle pubbliche affissioni; le

controversie relative al contributo per il rilascio del permesso di costruire di

cui all’articolo 16 del decreto del Presidente della repubblica n. 380 del 06

giugno 2001.

6. Il giudice tributario può risolvere in via incidentale ogni questione da cui

dipende la decisione delle cause rientranti nella propria giurisdizione, fatta

11

eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la

capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio, e sempre

che non si verifichino le ipotesi di cui all’articolo 39, comma 1, lettere a) e d).

7. Appartiene sempre alla giurisdizione tributaria la causa tra sostituto

d’imposta e sostituito avente ad oggetto la pretesa del sostituto di rivalersi

sulle somme versate a titolo di ritenuta d’acconto o del sostituito di chiedere il

rimborso con l’intervento necessario dell’ufficio dell’Agenzia fiscale

competente.

8. E’ ammessa davanti al giudice tributario l’azione di mero accertamento

negativo in prevenzione, attinente la non debenza di un determinato tributo,

tassa o tariffa, ove essa sia sperimentata in via preventiva, in assenza di un

atto impositivo o di riscossione.

9. Tutte le controversie relative all’applicazione del prelievo supplementare

nel settore del latte sono devolute alla giurisdizione esclusiva dei giudici

amministrativi territorialmente competenti, ai sensi dell’articolo 2-sexies del

decreto legge 26 aprile 2005 n. 63, convertito dalla legge 25 giugno 2005 n.

109.

10. Sono di competenza esclusiva del giudice ordinario tutte le controversie

concernenti il diritto annuale a carico delle ditte che svolgono attività

economica iscritte agli albi ed ai registri tenuti dalle Camere di commercio

nonché le controversie relative all’occupazione senza titolo di un bene del

demanio.

11. Non rientrano nell’ambito della giurisdizione tributaria le controversie che

riguardano i soli rapporti tra privati, salvo le controversie di cui al comma

7>>.

2) AUTOTUTELA L’istituto dell’autotutela, previsto e disciplinato dall’art. 68 D.P.R. n. 287 del 27

marzo 1992 e del Decreto Ministeriale n. 37 dell’11 febbraio 1997, è un atto

12

discrezionale dell’Amministrazione finanziaria con il quale si possono annullare, in

tutto o in parte, atti illeciti od illegittimi, sempre che non sia intervenuta sul caso una

sentenza di merito passata in giudicato.

Sul sindacato giurisdizionale sull’autotutela ci sono state, nel corso degli anni, varie

sentenze tra loro contrastanti.

Infatti, secondo il Consiglio di Stato (Sez. IV, decisione n. 6269 del 09 novembre

2005), la competenza a decidere era del giudice amministrativo.

Invece, secondo la Corte di Cassazione (Sezioni Unite, sentenza n. 16776 del 10

agosto 2005; Sez.trib., sentenza n. 22564 del 01 dicembre 2004) e molte

Commissioni di merito (a partire dalla Commissione tributaria provinciale di Lecce,

n. 45 del 23 aprile 2002), la competenza è sempre della giurisdizione tributaria sia

nelle ipotesi di rifiuto espresso o tacito sia per vizi originari o per eventi

sopravvenuti di tale atto.

Ultimamente, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con l’importante sentenza

n. 7388 del 06/02/2007, depositata il 27 marzo 2007, è tornata nuovamente

sull’argomento per confermare che l’attribuzione al giudice tributario, da parte

dell’art. 12, comma 2, della legge n. 448/2001, di tutte le controversie in materia di

tributi di qualunque genere e specie comporta, necessariamente, che anche quelle

relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, in quanto comunque incidenti

sul rapporto obbligatorio tributario, devono ritenersi sempre devoluti al giudice la

cui giurisdizione è radicata in base alla materia (in precedenza su alcuni tributi,

attualmente su qualunque tributo), indipendentemente dalla specie dell’atto

impugnato.

Ed invero, l’attribuzione al giudice tributario di una controversia che può concernere

la lesione degli interessi legittimi non incontra alcun limite nell’art. 103 della

Costituzione; infatti, secondo una costante giurisprudenza costituzionale, non esiste

una riserva assoluta di giurisdizione sugli interessi legittimi a favore del giudice

amministrativo, potendo sempre il Legislatore attribuire la relativa tutela ad

altro giudice.

13

Tale assunto giurisprudenziale comporta che il sindacato del giudice tributario dovrà

riguardare non soltanto l’esistenza dell’obbligazione tributaria (ove l’atto di esercizio

del potere di autotutela contenga una tale verifica), ma, prima di tutto, il corretto

esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione finanziaria, nei limiti e

nei modi in cui l’esercizio di tale potere può essere suscettibile di controllo

giurisdizionale.

Alla luce di tali definitive precisazioni giurisprudenziali, per evitare ulteriori

polemiche e questioni, soprattutto per quanto riguarda i limiti di tale giurisdizione,

credo sia ormai giunto il momento di disciplinare la questione in modo compiuto.

A tal proposito, ho previsto non solo l’impugnabilità del diniego, espresso o tacito,

dell’istanza di autotutela (art. 19, comma 1, lett. l), ma soprattutto, la possibilità dei

giudici tributari di decidere, nel merito, del rapporto tributario sottostante (art.

19, ultimo comma), persino in base ad equità, non impugnabile, salvo i limiti di cui

agli articoli 19, comma 5, 36, comma 1, e 50, comma 2.

Solo in questo modo, secondo me si realizza concretamente il disposto dell’art. 53

della Costituzione, in base al quale ciascuno deve concorrere alle spese pubbliche in

ragione della propria effettiva capacità contributiva.

Per cui l’art. 19 così dovrebbe essere formulato:

<<ART. 19 Atti tassativi impugnabili ed oggetto del ricorso

1. Il ricorso può essere proposto dalla parte interessata, compreso il

cessionario del credito, avverso i seguenti tassativi atti oggetto della

giurisdizione tributaria, ai sensi dell’articolo 2:

a) l’avviso di accertamento o di rettifica del tributo, anche parziale, e l’avviso

di recupero dei crediti d’imposta di ogni genere;il provvedimento di revoca

dell’accertamento con adesione;

b) l’avviso di liquidazione del tributo, la comunicazione di irregolarità e

l’invito bonario a versare quanto dovuto in modo definitivo e non

condizionato;

14

c) il provvedimento che determina le sanzioni, comunque irrogate da uffici

fiscali e previdenziali, comprese le sanzioni in caso di impiego di lavoratori

irregolari;

d) il ruolo, la cartella di pagamento e l’estratto di ruolo;

e) l’avviso di mora e l’intimazione di pagamento;

f) il fermo amministrativo previsto dall’articolo 69 del regio decreto 18

novembre 1923 n. 2440 e quello previsto dall’articolo 86 del decreto del

Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602, nonché tutti i preavvisi

di fermo e di atti esecutivi;

g) l’iscrizione di ipoteca giudiziale ed il sequestro conservativo, applicabili

alle sole sanzioni amministrative, ai sensi dell’articolo 22 del decreto

legislativo 18 dicembre 1997 n. 472, e mai ai tributi ed agli interessi;

l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’articolo 77 del decreto del

Presidente della repubblica 29 settembre 1973 n. 602 e successive modifiche

ed integrazioni;

h) gli atti relativi a tutte le operazioni catastali ed alle tariffe d’estimo, ai sensi

dell’articolo 2, comma 4;

i) il rifiuto, espresso o tacito, della restituzione o di sgravio di tributi, tasse,

tariffe, canoni, contributi, sanzioni amministrative ed interessi od altri

accessori non dovuti, compresi gli interessi anatocistici, di cui all’articolo

1283 del codice civile, e la rivalutazione monetaria, di cui all’articolo 1224,

comma 2, del codice civile nonché le proposte degli uffici di compensazione di

ogni tipo; le richieste di rimborso di cui alla presente lettera non possono mai

essere riconosciute d’ufficio dal giudice tributario senza una specifica istanza

di parte;

l) il diniego, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela, ai sensi dell’articolo

68 del decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992 n. 287 e del

decreto ministeriale dell’11 febbraio1997 n. 37;

15

m) il diniego o la revoca espressi o taciti, di agevolazioni o il rigetto, espresso

o tacito, di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; il rigetto,

espresso o tacito, di tutte le istanze di interpello di ogni genere, comprese

quelle di cui all’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della

Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e quelle di cui all’articolo 30 della legge

23 dicembre 1994 n. 724 e successive modifiche ed integrazioni;

n) il rigetto, espresso o tacito, dell’azione di puro accertamento negativo di cui

all’articolo 2, comma 8;

o) il pignoramento fiscale dei crediti verso terzi, ai sensi dell’articolo 2,

comma 6, del decreto legge del 3 ottobre 2006 n. 262, convertito, con

modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006 n.286;

p) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda tassativamente l’autonoma

impugnabilità; ogni altro atto rientrante nell’oggetto delle controversie di cui

all’articolo 2, comprese le fatture utilizzate per la riscossione della tariffa

igiene ambientale disciplinata dal decreto legislativo del 03 aprile 2006 n.

152.

2. Gli atti espressi di cui al comma 1 devono, a pena di nullità, contenere

l’esatta indicazione del termine perentorio entro il quale il ricorso deve essere

proposto e del Tribunale tributario competente, nonché delle relative forme da

osservare ai sensi dell’articolo 20.

3. Gli atti diversi da quelli tassativamente indicati nel comma 1 non sono

impugnabili autonomamente.

4. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili di cui al comma 1 può essere

impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti

autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne

consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo soltanto se il ricorrente

intende trasferire la contestazione nel merito, impugnando specificamente

anche l’atto presupposto insieme a quello consequenziale. In ogni caso, è

applicabile l’articolo 24, comma 2.

16

5. In caso di diniego, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela, i giudici

possono decidere, nel merito, del rapporto tributario sottostante anche in base

ad equità, con sentenza non appellabile, salvo il ricorso per cassazione, come

previsto dall’articolo 50, comma 2>>.

3) La fase istruttoria La fase istruttoria, secondo la prevalente dottrina, è quella più importante e

delicata dell’intero processo tributario sia perché le parti costituite devono offrire

ai giudici le prove delle loro istanze, richieste ed eccezioni, sia perché i giudici

devono valutarle serenamente, e solo in casi eccezionali integrarle, per poter

giungere ad una “verità processuale” il più possibile corretta e vicina alla

“verità storica”.

Appunto per questo, durante questa fase, le parti non devono mai subire limitazioni

di sorta nella produzione delle prove ed i giudici non devono mortificare questa

fase, come spesso accade oggi, nel risolverla in un’unica udienza pur di giungere, a

tutti i costi, ad una celere sentenza; la celerità del processo tributario, spesso tanto

decantata nei discorsi ufficiali, non deve mai sacrificare l’equilibrio e la giustezza

della sentenza, nel rispetto scrupoloso delle regole da parte di tutti.

La posizione di terzietà del giudice e la natura dispositiva del processo tributario

devono consentire ai giudici di ordinare l’esibizione ed il deposito dei documenti non

diversamente acquisibili al processo e non certo dei documenti che avrebbero potuto

essere agevolmente acquisiti e ritualmente prodotti nei termini in giudizio (in tal

senso, Corte di Cassazione, Sez. trib., con le sentenze n. 952 del 26 gennaio 2002, n.

462 del 17 gennaio 2002, n. 9514 del 08 settembre 1999, n. 9715 del 14 aprile 1995).

Oltretutto, i poteri istruttori dei giudici tributari non devono avere la funzione di

“rimediare a deficienze probatorie delle parti”; in ogni caso, qualora la situazione

probatoria sia tale da non potersi pronunciare una sentenza ragionevolmente motivata

senza acquisire d’ufficio alcune prove, ritenute determinanti, sarebbe scorretto il

17

rifiuto da parte del giudice tributario di utilizzare i poteri di acquisizione della prova

(Cassazione, Sez. trib., sentenza n. 7129 del 09 maggio 2003).

Inoltre, anche in sede di riforma, secondo me, è opportuno confermare l’abrogazione

del vecchio terzo comma dell’art. 7, per effetto dell’art. 3 bis, comma 5 del D.L. n.

203/2005, introdotto dalla legge di conversione n. 248/2005, in vigore dal 3 dicembre

2005.

La suddetta abrogazione ha, infatti, eliminato “ogni possibile limitazione al principio

di legalità consacrato sul piano probatorio dall’art. 2697 c.c., che impone la

dimostrazione, da parte di chi esercita lo ius impositionis, dei presupposti di fatto del

credito fiscale controverso (in debenza e/o ammontare) e, da parte del soggetto

passivo, dell’esistenza di evenienze estintive e/o modificative dell’obbligazione

tributaria dedotta in lite” (in tal senso, correttamente, Cassazione, Sez. trib., sentenza

n. 366 dell’11 gennaio 2006).

Le parti costituite nel processo tributario devono tutte, sia private che pubbliche,

depositare i documenti nei termini perentori, di cui agli att. 24 e 32; oltretutto, la

perentorietà dei termini già oggi è stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza

della Corte di Cassazione, Sez. trib. (sentenze n. 1771 del 30 gennaio 2004, n.

14624 del 10 novembre 2000; n. 138 del 09 gennaio 2004).

Nel giudizio di appello, inoltre, la produzione di nuovi documenti è ammessa, sempre

nei termini perentori di cui sopra, e non occorre che la parte costituita dimostri di non

averli potuti produrre nel precedente grado di giudizio, per causa ad essa non

imputabile, in forza della norma “speciale”contenuta nell’art. 58, commi 2 e 3

(Cassazione, Sez. trib, sentenze n. 20086 del 17 ottobre 2005, n. 19162 del 15

dicembre 2003, n. 9604 del 21 luglio 2000), diversamente da quanto disposto nel

processo civile ( art. 345, comma 2, c.p.c.).

Nel progetto di riforma, secondo me, bisogna tendere alla massima

“processualizzazione” del processo tributario, perché solo in questo modo il

cittadino contribuente, senza limitazioni di sorta, potrà compiutamente esercitare il

proprio diritto di difesa, con la necessaria assistenza di un professionista

18

processualmente competente (art. 12) e con il rispetto di tutte le regole che solo un

“vero” processo può dare, come cercherò di dimostrare in seguito.

L’esercizio del potere discrezionale attribuito al giudice tributario per

l’acquisizione d’ufficio dei documenti necessari per la sentenza non può

assolutamente sopperire al mancato assolvimento dell’onere della prova, il quale

grava sull’amministrazione finanziaria, in qualità di attrice in senso sostanziale, e

perciò è legittimamente esercitabile soltanto per sopperire all’impossibilità di

una parte di esibire documenti in possesso dell’altra parte.

Così, per esempio, nel caso di compensi non dichiarati ai fini fiscali in cui vi siano

prove documentali (appunti per memorie in scritture extracontabile, brogliacci, block-

notes) utilizzate a sostegno dell’avviso di accertamento, esse devono sempre essere

prodotte in giudizio dall’ufficio impositore (in tal senso, giustamente, Cassazione

Sez.trib., sentenza n. 14091 del 18 giugno 2007).

In ragione di ciò, dunque, la modifica che in questa fase si ritiene più urgente, allo

scopo di garantire un giusto processo, attiene all’ammissibilità, nel processo

tributario, del giuramento e della testimonianza.

A) AMMISSIBILITA’ DEL GIURAMENTO E DELLA

TESTIMONIANZA

Attualmente, nel processo tributario, non sono ammessi il giuramento e la prova

testimoniale.

Nonostante varie perplessità, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 18

del 21 gennaio 2000, ha ritenuto legittimo tale sistema, perché nel processo

tributario sono sufficienti mezzi e trattazione scritti, salvo la possibilità di

introdurre semplici atti notori.

Su tale linea interpretativa si è, poi, costantemente inserita la Corte di

Cassazione, Sez. trib., che nell’ultima sentenza n. 11221 del 16 maggio 2007,

ha testualmente confermato e stabilito che “nel processo tributario come è

ammessa la possibilità che le dichiarazioni rese da terzi agli organi

19

dell’Amministrazione finanziaria trovino ingresso, a carico del contribuente,

fermo il divieto di ammissione della “prova testimoniale”, posto dall’art. 7 del

D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con il valore probatorio “ proprio gli elementi

indicatori, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del

giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione

(Corte Costituzionale, sent. n. 18 del 2000), va del pari riconosciuto

necessariamente anche al contribuente lo stesso potere di introdurre

dichiarazioni rese da terzi, in che sede extraprocessuale, beninteso con il

medesimo valore probatorio, dando così concreta attuazione ai principi del

giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 della

Costituzione, per garantire il principio della parità delle armi processuali,

nonché l’effettività del diritto alla difesa (nella specie, mentre si è riconosciuto

che correttamente la Commissione tributaria aveva preso in considerazione

l’atto notorio, contenente le dichiarazioni rese dal genitore del contribuente, si

è ritenuto, invece, errato aver assegnato a tali dichiarazioni il valore di prova

vera e propria, basando la decisione solo su di esse, Cassazione, sentenza n.

4269 del 25 marzo 2002)”.

Oggi, invece, secondo me, in occasione di una più generale e meditata riforma

in sede legislativa, è necessario consentire, anche nel processo tributario (art. 7,

comma 5), sia il giuramento (decisorio, estimatorio e suppletorio), ai sensi

degli artt. 233 e 243 c.p.c., sia la prova per testimoni, ai sensi degli artt. 244-

257 c.p.c., da ammettere sempre dal collegio giudicante (vedi progetto di

legge FRATTINI n. 4095 dell’01 agosto 1997).

Quanto sopra, proprio alla luce di una recente sentenza della Corte europea

dei Diritti dell’Uomo (la n. 73053/2001 del 23 novembre 2006, causa Jussila

e/Finlandia, in GT Rivista di giurisprudenza tributaria n. 5/2007,pag. 388 e ss.,

con l’interessante e condivisibile commento di Alberto Marcheselli).

In sostanza, secondo la CEDU, “i principi sanciti dall’art. 6, par. 1, della

Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (secondo cui ogni persona ha diritto

20

a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine

ragionevole da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, il

quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile,

sia sulla fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta) non sono

applicabili al processo tributario, a meno che non sia oggetto del contenzioso

anche la sanzione amministrativa tributaria. In questo caso deve essere

ammesso il contraddittorio orale anche in tale tipo di procedimento”.

Secondo la CEDU, se nel processo tributario è la “normalità”decidere in

base a mezzi e trattazione scritti “non può escludersi che le particolarità del caso concreto rendano necessario il ricorso a mezzi orali. L’esclusione, in via

assoluta, di tali mezzi può determinare, in quei casi, l’impossibilità di

accertamento effettivo della realtà, impedire il raggiungimento dello scopo del

processo e determinare la lesione del diritto di piena difesa della parte

interessata”.

Scrive, correttamente, a proposito A. Marcheselli ( sopra citato) “se tuttavia si

trasportano tali considerazioni nel diritto italiano, si riproduce un potenziale

cortocircuito. Il diritto processuale tributario italiano prevede, in effetti,

secondo uno schema simile a quello tracciato dalla CEDU, la “eventualità” di

una trattazione orale. Anzi, tale trattazione è doverosa, se richiesta da almeno

una delle parti. Il sistema si presta ad essere interpretato però nel senso che,

anche in caso di discussione orale, tuttavia, non sono consentiti né quando sono

in gioco tributi, né quando sono in gioco sanzioni amministrative, mezzi di

difesa orali. In questa linea, non sarebbe lasciato alcuno spazio di valutazione

discrezionale al giudice tributario, in ordine alla rilevanza della prova.

L’ordinamento tributario italiano, insomma, così come interpretato, sembra al

di sotto dello standard fissato dalla sentenza in commento e, se la

giurisprudenza della Corte si allineerà a questo precedente, la condanna di

Strasburgo potrebbe allora essere difficilmente evitabile”.

Non c’è da aggiungere nulla a quanto correttamente scritto dall’autore succitato.

21

Diversamente, non sono assolutamente d’accordo con il Prof. C. Glendi che,

seppur auspicando una più favorevole e meditata riforma in sede legislativa

del processo tributario, ha, invece, criticato la suddetta interpretazione

(“Postilla” di C.Glendi, in GT Rivista di giurisprudenza tributaria n. 5/2007,

pag. 393 - 394).

Credo sia importante chiarire, una volta per tutte, che le c.d. fondamentali

esigenze di celerità e di essenzialità nel processo tributario non devono

assolutamente ledere o comprimere il diritto alla difesa delle parti, perché, oggi,

i semplici atti notori non hanno, come abbiamo visto, quella stessa efficacia e

determinabilità delle prove per testi e per giuramento, salvo i limiti penali della

falsa testimonianza (Cassazione, sentenze nn. 3674 del 06 giugno 1981 e 622

del 22 gennaio 1994).

Oggi, infatti, assistiamo all’assurdo che, per esempio, la Guardia di Finanza

raccoglie “vere” testimonianze di terzi e le consacra in processi verbali di

constatazione che, in quanto prove “documentali”, vengono ammesse dai giudici

tributari, mentre il contribuente, in sede contenziosa, per poter smontare quanto

sopra, è autorizzato a presentare “semplici atti notori”, di limitato, ed alcune

volte inconsistente, valore probatorio, come abbiamo scritto precedentemente

(vedi anche Cassazione, Sez. trib., sentenza n. 21233 del 29 settembre 2006).

Invece, in questo momento storico in cui gli organi impositori possono

utilizzare invasivi mezzi istruttori, soprattutto in sede di controlli bancari e

finanziari, è necessario ed urgente consentire alla parte la possibilità di

potersi difendere in modo serio, efficace e documentato, mettendola sullo

stesso piano degli uffici, ai sensi dei più volte citati artt. 24 e 111 della

Costituzione.

A titolo esemplificativo, non certo esaustivo, ricordo che la prova per testi o per

giuramento può essere necessaria, se non indispensabile, nei seguenti casi:

1) in tema di applicazione delle sanzioni amministrative, soprattutto per

determinare e valutare il grado di imputabilità o di colpevolezza (D. Lgs.

22

n. 472/97), come peraltro auspicato dalla succitata sentenza n.

73053/2001 della CEDU; infatti, in tema di violazione delle norme

tributarie, il D. Lgs. n. 472/1997 ha trasformato in sanzioni pecuniarie le

soprattasse previste dalla normativa previdente. Tale trasformazione

richiede il dolo, o quantomeno, la colpa dell’agente. Il giudice tributario,

qualora ritenga incolpevole il mancato versamento dell’imposta, deve

indicare nelle sue motivazioni l’insussistenza dei presupposti per

l’applicazione della sanzione (Cassazione, Sez. trib. sentenza n. 1328 del

22 gennaio 2007);

2) in tema di redditometro (art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600/1973) per

dimostrare la non disponibilità di determinati beni oppure (Cassazione,

sentenze n. 2656/2007, n. 12294/2007 e n. 19403/2005), tenuto conto

della recente circolare n. 49/E del 09 agosto 2007 dell’Agenzia delle

Entrate, con la possibilità di estendere le indagini anche alla c.d. “famiglia

fiscale”, dimostrare che anche eventuali unioni di fatto o altri gradi di

parentela potrebbero neutralizzare le presunzioni del redditometro (si

rinvia agli articoli sul tema, pubblicati in Il Sole 24 ore del 19 agosto

2007 ed Italia Oggi del 18 agosto 2007, pag. 29, rispettivamente ad opera

di Angelo Busani, Antonio Criscione ed Andrea Borgi); o per dimostrare

di aver ricevuto la provvista di denaro da altri, come precisato

dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 49/E del 2007;

3) in tema di studi di settore, per dimostrare gli effetti deleteri della

concorrenza e/o delle crisi di settore (Cassazione, sentenza n. 17229 del

28 luglio 2006);

4) in tema di residenze fiscali estere fittizie (con l’eclatante esempio della

vicenda dello sportivo Valentino Rossi), per dimostrare qual è

effettivamente il centro principale dei propri affari ed interessi ovvero la

dimora abituale (art. 43 c.c. e art. 2 D.P.R. n. 917/86); ciò, soprattutto,

alla luce delle sentenze della Corte di Cassazione n. 2936 del 05 maggio

23

1980, n. 3586 del 26 ottobre 1968 e n. 435 del 12 febbraio 1973, in base

alle quali viene chiarito che la locuzione affari ed interessi “deve

intendersi in senso ampio comprensivo non solo di rapporti di natura

patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari” (articoli

di Francesco Serao, in Italia Oggi del 18 agosto 2007, pag. 32);

5) in tema di crediti di imposta investimenti, la non applicazione della

norma antielusiva quando la ritardata entrata in funzione dei beni

agevolati non è attribuibile alle decisioni del contribuente ma ad altre

circostanze a quest’ultimo non imputabili (circolari dell’Agenzia delle

Entrate n. 62/E del 2004 e n. 53/E del 2005; risoluzione n. 101/E del 30

luglio 2004), soprattutto alla luce dell’art. 10 dello Statuto dei Diritti del

Contribuente;

6) infine, riconoscimento dei costi in caso di omessa od irregolare tenuta

delle scritture contabili; infatti, la Corte di Cassazione, Sez. trib., con la

sentenza n. 10964 del 14 maggio 2007, ha precisato che, anche in

presenza di irregolari registrazioni, il contribuente ha l’onere di provare i

costi sopportati, seppure con mezzi diversi dalle scritture contabili, purché

costituenti elementi certi e precisi.

E gli esempi potrebbero continuare a lungo, senza possibilità di compiutezza.

Per concludere, ritengo opportuno consentire, anche nel processo tributario, i

suddetti mezzi di prova per non pregiudicare seriamente il diritto di difesa

del cittadino-contribuente (e del suo difensore, il quale, logicamente, deve

essere preparato e competente in materia processuale).

Infatti, è importante che il Legislatore valorizzi le specifiche

professionalità, senza per questo creare inutili e dannose polemiche tra gli

operatori.

In campo fiscale, per esempio, esistono già delle posizioni esclusive, come

per l’apposizione del c.d. “visto pesante” (D. Lgs. n. 241/97), che può

essere rilasciato ad imprese in contabilità ordinaria (per obbligo o per

24

opzione) soltanto da dottori commercialisti, ragionieri e consulenti del

lavoro che esercitano la professione da almeno cinque anni, iscritti

nell’elenco dei revisori contabili.

In questo caso, l’esclusione degli avvocati (persino dei tributaristi) è

giustificata dalla professionalità contabile delle altre categorie e, di

conseguenza, lo stesso criterio deve essere seguito nel processo tributario,

anche per evitare possibili eccezioni di incostituzionalità.

Alla luce, quindi, di tutte queste considerazioni l’art. 7 così dovrebbe essere

formulato:

<<ART. 7. Poteri istruttori dei giudici tributari 1. I giudici tributari, ai fini istruttori e soltanto nei limiti dei fatti

dedotti dalle parti, con ordinanza motivata non impugnabile, esercitano

tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e

chiarimenti conferiti agli uffici dell’Agenzia fiscale, all’ente locale o

regionale, all’ente previdenziale ed all’agente della riscossione da

ciascuna norma in relazione al tributo al quale si riferisce la

controversia, senza dover chiedere alcuna preventiva autorizzazione ad

organi giudiziari ed amministrativi.

2. I giudici tributari non devono tenere conto di atti e prove acquisiti in

violazione di disposizioni di legge.

3. I giudici tributari, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di

particolare complessità, possono disporre, anche d’ufficio, consulenza

tecnica da affidare soltanto a professionisti esperti del settore iscritti

all’Ordine o Collegio professionale e mai da affidare ai dipendenti degli

uffici dell’Agenzia fiscale o del Corpo della Guardia di Finanza o

dell’Istituto nazionale della previdenza sociale o dell’ente locale o

regionale o dell’agente della riscossione. Il collegio può applicare

l’articolo 696 del codice di procedura civile.

25

4. I giudici tributari, se ritengono illegittimo un regolamento, un decreto

ministeriale od un atto generale rilevante ai fini della sentenza, non lo

applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale

impugnazione nella diversa sede competente. A tal proposito, i giudici

tributari, per l’eventuale disapplicazione dei relativi decreti ministeriali,

possono richiedere agli organi amministrativi competenti la

documentazione di tutta la metodologia, con le relative note tecniche,

utilizzata per calcolare e determinare gli studi di settore, ai sensi

dell’articolo 62-sexies, comma 3, del decreto legge 30 agosto 1993 n.

331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993 n. 427, e per calcolare e

determinare il reddito complessivo, ai sensi dell’articolo 38, comma 4,

del decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973 n.

600 e successive modifiche ed integrazioni.

5. Sono ammessi dal collegio il giuramento e la prova testimoniale,

secondo gli articoli dal 233 al 257 del codice di procedura civile. Le

funzioni del giudice istruttore e dell’ufficiale giudiziario sono svolte,

rispettivamente, dal presidente del collegio giudicante e dall’ausiliario

addetto alla segreteria.

6. E’ abrogato l’articolo 32, comma 4, del decreto del Presidente della

Repubblica del 29 settembre 1973 n. 600, e successive modifiche ed

integrazioni.

7. In ogni caso, il collegio ha la facoltà di disporre la comparizione

personale delle parti al fine di interrogarle liberamente sui fatti di

causa. Il collegio può ordinare il deposito di documenti ritenuti decisivi

per la decisione della causa stessa o il deposito di documenti non

prodotti per cause non imputabili alle stesse parti. Inoltre, i giudici

tributari possono trarre argomenti di prova anche dal comportamento

tenuto dalle parti durante il processo.

26

8. Per le cause relative alle azioni di risarcimento danni, ai sensi

dell’articolo 2, comma 3, il collegio, su istanza delle parti costituite, può

disporre l’accertamento tecnico e l’ispezione giudiziale, ai sensi

dell’articolo 696 del codice di procedura civile.

9. Durante la sola fase istruttoria, sono applicabili gli articoli 184-bis e

294 del codice di procedura civile ed il collegio decide con motivata

ordinanza non impugnabile.

10. Il collegio giudicante può delegare in qualunque momento un

proprio componente per il compimento degli atti istruttori di cui ai

commi precedenti.

11. Il compenso aggiuntivo di cui all’articolo 13 del decreto legislativo

n. 545 del 31 dicembre 1992 è pari alla metà di quello determinato per

ogni ricorso definito anche per le ordinanze istruttorie emesse ai sensi

del presente articolo>>.

4) Conciliazione giudiziale anche in appello Da quanto fino ad ora schematicamente esposto, senza alcuna pretesa di compiutezza,

può, intanto, senz’altro confermarsi valido il criterio normativo c.d. “misto” del

diritto processuale tributario, distinguendo tra positivi richiami, specifiche

esclusioni ed adattamenti filtrati di singole norme o gruppi di norme di procedura

civile rispetto al merito di riforma del processo tributario, in questa sede delineato.

Un esempio in tal senso è dato dall’istituto della conciliazione giudiziale (art. 48), che

deve tenere conto dei seguenti principi:

1) la Corte di Cassazione, Sez. trib., con l’importante sentenza n. 9222 del 18

aprile 2007, anche alla luce degli insegnamenti della Corte Costituzionale

esposti con la sentenza n. 276/2000, ha chiarito che le semplici udienze di

rinvio non devono precludere la possibilità della conciliazione, tenuto

conto del canone della ragionevole durata del processo;

27

2) la Corte di Cassazione, Sez. trib., con la sentenza n. 21325 del 03 ottobre

2006, richiamando peraltro principi precedentemente formulati (Cassazione,

Sez. trib., sentenza n. 8455 del 22 aprile 2005, n. 12314 del 06 ottobre 2001)

ha precisato che con l’istituto in questione le parti determinano

convenzionalmente l’imponibile e l’imposta dovuta e, di conseguenza, il

rapporto di imposta controverso assume un assetto negoziale che si

sostituisce integralmente a quello autoritativo anteriore alla procedura

conciliativa.

Pertanto, nell’ipotesi in cui nell’atto di conciliazione l’imposta sia quantificata

in maniera errata, l’ufficio non può e non deve procedere all’emissione di un

atto rettificativo, potendo invocare l’applicazione della disciplina dell’errore

di calcolo solamente ove sussistano le condizioni previste dal codice civile

(art. 1430 c.c.).

In particolare, secondo la Corte di Cassazione, “l’errore di calcolo che dà

luogo alla sola rettifica del contratto ricorre allorquando in operazioni

aritmetiche, posti per fermi i dati da computare ed il criterio matematico da

seguire, si incorre in una svista materiale, rilevabile prima facie in base ai

dati ed al criterio predetti ed emendabile con la semplice ripetizione del

calcolo; non ricorre, invece, tale errore allorché la falsa conoscenza riguardi i

dati aritmetici o il criterio matematico in base ai quali debba essere effettuato il

calcolo, il quale, posti i dati ed il criterio seguiti, è invece esatto (Cassazione

n. 1708 del 1969)” (sentenza n. 21325 /2006 cit.).

3) infine, nel progetto di riforma, ho previsto la possibilità di poter conciliare la

controversia anche in appello (art. 48, comma 7), logicamente,

riparametrando l’abbattimento delle sanzioni nella misura del 50 per

cento.

Nella prima formulazione normativa della conciliazione era possibile, nel

rispetto delle ulteriori condizioni stabilite, effettuarla anche in secondo

grado e persino in Commissione Centrale.

28

Si può, quindi, notare come l’istituto della conciliazione abbia subito nel

tempo un progressivo arretramento delle preclusioni processuali.

Non capisco perché non si debba consentire alla parte di poter conciliare

anche in appello (come, per esempio, avviene, nel campo penale ), con la

possibilità, peraltro, per il Fisco di poter incamerare una maggiore somma a

titolo di sanzione amministrativa.

Secondo me, per realizzare un “giusto processo” tributario, rispettoso dei

requisiti costituzionali degli articoli 24 e 111 della Costituzione, bisogna

abbandonare la logica di privilegiare la celerità del giudizio, giustificata dal

fatto di eliminare arresti o ritardi che inciderebbero in modo particolarmente

negativo nella segmentazione del prelievo in atti impugnabili, normativamente

predeterminati, e nel sistema di riscossione dei tributi ( in tal senso, C. Glendi,

contra E. Allorio).

Il mito della speditezza e celerità del processo non deve mai pregiudicare,

come purtroppo oggi accade, il diritto del cittadino – contribuente di avere un

processo “equo” senza limitazioni difensive o processuali, in modo da poter

pagare le “effettive” imposte in base alla propria capacità contributiva (in tal

senso rinvio all’intervista che ho rilasciato al quotidiano “Il Giornale” del

24 agosto 2007, pag. 5).

Infatti, il rispetto dei diritti di difesa imporrà al fisco più delicatezza nei

controlli, soprattutto per quanto riguarda gli accertamenti basati sugli studi di

settore e sul redditometro, anche familiare.

A tal fine, l’art. 48 dovrebbe essere così formulato:

<<ART. 48. Conciliazione giudiziale in primo e secondo grado

1.Ciascuna delle parti costituite può proporre all’altra parte la

conciliazione, totale o parziale, della causa.

2. La conciliazione può aver luogo non oltre la prima udienza utile di

merito, nella quale il tentativo di conciliazione può essere esperito

d’ufficio anche dai giudici tributari.

29

3. Se la conciliazione ha luogo, viene redatto apposito processo verbale

nel quale sono indicate precisamente e definitivamente le somme dovute

a titolo d’imposta, di sanzioni e di interessi. Il processo verbale

costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante

versamento diretto in un'unica soluzione ovvero in forma rateale, in un

massimo di otto rate trimestrali di pari importo ovvero in un massimo di

dodici rate trimestrali se le somme dovute superano euro 51.645,69,

previa prestazione di idonea garanzia mediante polizza fideiussoria,

bancaria od assicurativa. La conciliazione si perfeziona con il

versamento, entro il termine di trenta giorni dalla data di redazione del

processo verbale, dell’intero importo dovuto ovvero della prima rata e

con la prestazione della predetta garanzia sull’importo delle rate

successive, comprensivo degli interessi al saggio legale calcolati con

riferimento alla stessa rata e per il periodo di rateazione di detto

importo. Per le modalità di versamento si applica l’articolo 5 del

decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994 n. 592. Le

predette modalità possono essere modificate con decreto del Ministero

dell’Economia e delle Finanze, rispettando l’articolo 3, comma 2, della

legge 27 luglio 200 n. 212.

4. In caso di mancato pagamento, anche della prima o di una sola delle

rate successive, se il garante non versa l’importo garantito entro trenta

giorni dalla notificazione di apposito invito, contenente l’esatta

indicazione delle somme precisamente e definitivamente dovute e dei

presupposti di fatto e di diritto della pretesa, il competente ufficio

dell’Agenzia fiscale o dell’ente locale o regionale o dell’ente

previdenziale provvede all’immediata iscrizione a ruolo delle sole

predette somme, precisamente e definitivamente conciliate, a carico del

contribuente e dello stesso garante.

5. Qualora una delle parti costituite abbia proposto la conciliazione e la

30

stessa non abbia luogo nel corso della prima udienza utile di merito, il

giudice può assegnare un termine non superiore a novanta giorni per la

formazione di una proposta, ai sensi del successivo comma 6.

6. L’ufficio o l’ente impositore può, sino alla data di trattazione in

camera di consiglio, ovvero fino alla discussione in pubblica udienza,

depositare una proposta di conciliazione alla quale l’altra parte abbia

previamente aderito. Se l’istanza è presentata prima della fissazione

della data di trattazione, il presidente della sezione, se ravvisa la

sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità, dichiara

con decreto l’estinzione del giudizio. La proposta di conciliazione ed il

decreto tengono luogo del processo verbale di cui al comma 3. Il decreto

è comunicato alle parti costituite ed il versamento dell’intero importo o

della prima rata deve essere effettuato entro trenta giorni dalla data

della comunicazione. Nell’ipotesi in cui la conciliazione non sia ritenuta

ammissibile, il presidente della sezione fissa la trattazione della causa. Il

provvedimento del presidente della sezione è depositato in segreteria

entro dieci giorni dalla data di presentazione della proposta.

7. In caso di avvenuta conciliazione, le sanzioni amministrative si

applicano nella misura di un terzo, se la conciliazione avviene in primo

grado, e nella misura del cinquanta per cento, se la conciliazione

avviene in grado d’appello, delle somme irrogabili in rapporto

all’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima. In

ogni caso, la misura delle sanzioni non può essere inferiore ad un terzo

dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun

tributo. La conciliazione giudiziale non è ammessa nei giudizi per

cassazione.

8. Il verbale di conciliazione giudiziale, per quanto redatto con

l’intervento del giudice a definizione di una controversia pendente tra le

parti, ha natura negoziale, in quanto la conciliazione è frutto

31

dell’incontro delle volontà delle parti, onde l’interpretazione del

contenuto di detto verbale postula sempre un’indagine sulla volontà

delle parti stesse e si risolve in un accertamento di fatto.

9. La conciliazione giudiziale di cui al presente articolo determina

sempre l’immediata estinzione del giudizio indipendentemente dal

pagamento delle somme conciliate, parziale od integrale, che l’ufficio

può richiedere con l’iscrizione a ruolo, oltre gli interessi e la sanzione

amministrativa del trenta per cento.

10. La conciliazione giudiziale può essere corretta solo per errori di

calcolo, ai sensi dell’articolo 1430 del codice civile>>.

5) Sospensione dell’esecuzione delle sentenze

C’è un altro esempio eclatante, oggi, sulla mancanza di parità processuale fra parte

pubblica e parte privata.

È noto, infatti, che la sentenza non definitiva del contribuente (ad esempio, per un

rimborso o per le spese di giudizio) non può essere utilizzata in un’esecuzione

contro il fisco, ma bisogna aspettare persino per molti anni, la sentenza definitiva e,

di fronte all’ostinato comportamento omissivo dell’Amministrazione finanziaria,

bisogna attivare l’ulteriore giudizio di ottemperanza.

Al contrario, l’Agenzia delle Entrate, per esempio a seguito di una sentenza di

primo grado, anche se tempestivamente appellata, può obbligare il contribuente a

pagare i due terzi dell’imposta, degli interessi e delle sanzioni.

Nell’attuale situazione, salvo qualche timido tentativo dottrinario, si è sempre

esclusa la possibilità di chiedere, in grado di appello la sospensione

dell’esecuzione della sentenza.

In sede di riforma, proprio per evitare gli assurdi di cui sopra, ho previsto la

possibilità di applicare l’art. 283 c.p.c. (art. 61, comma 1) e l’art. 373 c.p.c. (art. 63,

comma 3).

32

Cosa che, fino ad oggi, hanno avuto il coraggio di fare soltanto, i giudici della

Commissione tributaria regionale di Puglia, Sezione Staccata di Lecce, con

ordinanza del 22 agosto 2001 (Pres. e Rel. Dott. A. Sodo), e Sezione Staccata di

Taranto, con l’ordinanza del 15 giugno 2005 n. 31 (Pres. e Rel. Dott. Bruschi, in

Corriere Tributario, IPSOA, n. 36/2005, pagg. 2861 e ss., con nota critica del Prof.

C. Glendi), nonché i giudici della Regionale del Lazio, con ordinanza del 14 gennaio

1999, del Molise, con ordinanza del 29 luglio 1998 e di Bologna, con ordinanza del

28 giugno 1996.

Oltretutto, lo stesso Prof. C. Glendi, uno dei padri dell’attuale processo tributario,

pur criticando le suddette ordinanze nell’articolo succitato, consiglia di rimettere

gli atti alla Corte Costituzionale per la lesione dei principi contenuti negli artt. 3,

24 e 111 della Carta Costituzionale oppure, in caso di esito negativo, consiglia un

immediato intervento legislativo, tenuto conto che “la spiccata specificità del

processo tributario non può in alcun modo giustificare il mancato riconoscimento

della tutela cautelare del contribuente oltre il primo grado di giudizio, tenuto conto,

tra l’altro, che, di converso, in tale processo, lo stesso contribuente può esperire il

giudizio di ottemperanza per la condanna al rimborso della somma indebitamente

versata solo dopo che la sentenza sia passata in giudicato”(C. Glendi , articolo

succitato, pag. 2871).

Oggi, tenuto conto che le suddette eccezioni di incostituzionalità sono state

rigettate dalla Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 119 del 21 marzo 2007, è

chiaro ed inevitabile che l’unica strada percorribile è quella indicata nel

presente progetto di legge, proprio per tutelare al massimo il cittadino-

contribuente ed evitare gli assurdi in precedenza denunciati ed evidenziati.

Per cui, gli artt. 61 e 63 dovrebbero essere così formulati:

<<ART. 61. Sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo grado

1. L’appellante, nell’atto d’appello o con separata istanza, può chiedere

alla Corte d’appello tributaria la sospensione dell’esecuzione della sentenza di

primo grado, anche per quanto riguarda le spese del giudizio, ai sensi

33

dell’articolo 15, comma 1. E’ applicabile l’articolo 283 del codice di

procedura civile.

2. Si applicano le condizioni, la procedura ed i termini di cui all’articolo 47,

salvo quanto disposto dal successivo comma.

3. Il giudice d’appello, con ordinanza motivata non impugnabile, può disporre

che l’esecuzione della sentenza sia sospesa, eventualmente con la prestazione

di fideiussione bancaria od assicurativa, in caso di comprovato pericolo per la

riscossione.

4. In caso di accoglimento della richiesta di sospensione, l’ufficio dell’Agenzia

fiscale, l’ente previdenziale, l'ente locale o regionale, l’agente della

riscossione non deve iscrivere a ruolo, neppure a titolo provvisorio, o

richiedere alcuna somma o garanzia.

5. Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della

sentenza d’appello, ai sensi degli articoli 37 e 59>>.

<<ART. 63. Norme applicabili 1. Avverso la sentenza della Corte d’appello tributaria può essere

proposto ricorso per cassazione per i tassativi motivi di cui ai numeri da 1 a 5

dell’articolo 360, comma 1, del codice di procedura civile, che devono essere

specifici, completi e riferibili alla sentenza impugnata.

2. Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme

dettate dal codice di procedura civile, con le successive modifiche, in quanto

compatibili con quelle della presente legge. Si applica l’art. 39, comma 3.

3. Il giudicato esterno di cui all’articolo 36, comma 3, può essere rilevato

d’ufficio ed anche per la prima volta nel giudizio di legittimità, purché la parte

che lo invoca produca copia autentica della sentenza, recante attestazione del

passaggio in giudicato, anche in relazione ad altro anno d’imposta o ad altro

tributo.

4. Per la sospensione dell’esecuzione della sentenza d’appello è applicabile

l’articolo 373 del codice di procedura civile>>.

34

Norma transitoria In definitiva, dunque, a questo punto, una riforma di tal genere, seppur limitata solo

ad alcuni degli aspetti che andrebbero riformati, richiede necessariamente anche un

intervento legislativo che provveda ad adeguare i giudizi pendenti alla nuova

normativa.

A tale scopo, a mio avviso, dovrebbe essere introdotta una norma, con efficacia

transitoria, volta cioè a regolarizzare tutte le situazioni pendenti fino all’entrata

in vigore di questa nuova normativa, che preveda:

1) innanzitutto che il giudice disponga obbligatoriamente, su istanza facoltativa

di anche una sola delle parti costituite, la sospensione per 6 mesi del processo,

per dare la possibilità alle parti di integrare la fase istruttoria secondo quanto

disposto dalla nuova normativa;

2) in secondo luogo, invece, nel caso in cui non sia stata avanzata da alcuna delle

parti istanza di sospensione ed anzi il contribuente non voglia integrare il contenzioso

secondo la nuova normativa né tanto meno proseguirlo, la norma, a mio avviso,

dovrebbe disporre in capo al contribuente la facoltà di promuovere, entro 6 mesi

dall’entrata in vigore della nuova normativa, un’istanza di accertamento con

adesione atipico, in quanto differente rispetto a quello oggetto di disciplina del D.

Lgs. n . 218/1997. Più precisamente, trattasi di un atto unilaterale del

contribuente e non dell’Amministrazione, emanato nella fase istruttoria, con il

quale esso aderisce, in modo irrevocabile ed insindacabile da parte degli Uffici,

al pagamento dell’imposta accertata nella misura del 20%, senza interessi e

sanzioni, rinunciando, quindi, all’esito dei giudizi in corso e consentendo nello stesso

tempo all’Erario un afflusso di denaro e uno smaltimento dei processi che potrebbero

concludersi con un possibile danno per le casse dello Stato.

Conclusione Senza alcuna pretesa di completezza, concludo speranzoso che quantomeno questo

mio progetto di legge possa essere da pungolo al mondo politico e professionale per

35

un intervento legislativo immediato in vista della riforma per un giusto processo

tributario.

36

PARTE II

Modifiche legislative In ragione di quanto esposto nella precedente parte del presente lavoro, si riportano

qui di seguito le proposte di modifica al D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546., da me

avanzate, in merito al processo tributario, e la relativa norma transitoria applicabile

ai giudizi pendenti all’entrata in vigore di questa nuova normativa.

Proposte

a) Modifiche all’art. 2 del D. Lgs. n. 546/1992 <<ART. 2. Oggetto della giurisdizione tributaria

1. Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi

ad oggetto i tributi e le tasse di ogni genere e specie comunque denominati,

compresi quelli regionali, provinciali e comunali nonché i contributi

previdenziali ed i contributi per il servizio sanitario nazionale, come accertati

dagli uffici delle Agenzie fiscali e dagli uffici previdenziali. In ogni caso, il

giudice tributario è competente per tutte le controversie legate da una

connessione stretta ad organi fiscali e previdenziali.

2. Appartengono alla giurisdizione tributaria le sovrimposte e le addizionali, le

sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici delle Agenzie fiscali, da

uffici locali, regionali e previdenziali, gli interessi moratori, anche anatocistici

di cui all’articolo 1283 del codice civile, la rivalutazione monetaria di cui

all’articolo 1224, comma 2, del codice civile, ed ogni altro accessorio,

compresi gli aggi, le indennità di mora e le spese di notifica, dovuti all’agente

della riscossione.

3. Rientrano nella competenza dei giudici tributari tutte le azioni di

risarcimento danni, ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile per

comportamenti dolosi o colposi, nell’ambito delle materie di cui ai commi 1 e

2, e tutte le controversie riguardanti gli atti dell’ esecuzione forzata tributaria,

37

anche successivi alla notifica della cartella di pagamento, comprese le

controversie relative all’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente

della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602 nonché tutte le controversie relative

ai fermi amministrativi ed alle iscrizioni di ipoteche.

4. Appartengono, inoltre, alla giurisdizione tributaria le controversie promosse

dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura,

l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i

compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le

controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità

immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale. Il giudice tributario

può decidere anche in materia di tariffe d’estimo, tenuto conto di quanto

esposto al comma 8.

5. Appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie relative alla

debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, previsto

dall’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446, e successive

modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e

della tariffa igiene ambientale; le controversie attinenti l’imposta o il canone

comunale sulla pubblicità ed il diritto sulle pubbliche affissioni; le controversie

relative al contributo per il rilascio del permesso di costruire di cui all’articolo

16 del decreto del Presidente della repubblica n. 380 del 06 giugno 2001.

6. Il giudice tributario può risolvere in via incidentale ogni questione da cui

dipende la decisione delle cause rientranti nella propria giurisdizione, fatta

eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la

capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio, e sempre che

non si verifichino le ipotesi di cui all’articolo 39, comma 1, lettere a) e d).

7. Appartiene sempre alla giurisdizione tributaria la causa tra sostituto

d’imposta e sostituito avente ad oggetto la pretesa del sostituto di rivalersi sulle

somme versate a titolo di ritenuta d’acconto o del sostituito di chiedere il

38

rimborso con l’intervento necessario dell’ufficio dell’Agenzia fiscale

competente.

8. E’ ammessa davanti al giudice tributario l’azione di mero accertamento

negativo in prevenzione, attinente la non debenza di un determinato tributo,

tassa o tariffa, ove essa sia sperimentata in via preventiva, in assenza di un atto

impositivo o di riscossione.

9. Tutte le controversie relative all’applicazione del prelievo supplementare nel

settore del latte sono devolute alla giurisdizione esclusiva dei giudici

amministrativi territorialmente competenti, ai sensi dell’articolo 2-sexies del

decreto legge 26 aprile 2005 n. 63, convertito dalla legge 25 giugno 2005 n.

109.

10. Sono di competenza esclusiva del giudice ordinario tutte le controversie

concernenti il diritto annuale a carico delle ditte che svolgono attività

economica iscritte agli albi ed ai registri tenuti dalle Camere di commercio

nonché le controversie relative all’occupazione senza titolo di un bene del

demanio.

11. Non rientrano nell’ambito della giurisdizione tributaria le controversie che

riguardano i soli rapporti tra privati, salvo le controversie di cui al comma 7>>.

b) Modifiche all’art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992 <<ART. 19 Atti tassativi impugnabili ed oggetto del ricorso

1. Il ricorso può essere proposto dalla parte interessata, compreso il

cessionario del credito, avverso i seguenti tassativi atti oggetto della

giurisdizione tributaria, ai sensi dell’articolo 2:

a) l’avviso di accertamento o di rettifica del tributo, anche parziale, e l’avviso

di recupero dei crediti d’imposta di ogni genere;il provvedimento di revoca

dell’accertamento con adesione;

39

b) l’avviso di liquidazione del tributo, la comunicazione di irregolarità e

l’invito bonario a versare quanto dovuto in modo definitivo e non

condizionato;

c) il provvedimento che determina le sanzioni, comunque irrogate da uffici

fiscali e previdenziali, comprese le sanzioni in caso di impiego di lavoratori

irregolari;

d) il ruolo, la cartella di pagamento e l’estratto di ruolo;

e) l’avviso di mora e l’intimazione di pagamento;

f) il fermo amministrativo previsto dall’articolo 69 del regio decreto 18

novembre 1923 n. 2440 e quello previsto dall’articolo 86 del decreto del

Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602, nonché tutti i preavvisi

di fermo e di atti esecutivi;

g) l’iscrizione di ipoteca giudiziale ed il sequestro conservativo, applicabili alle

sole sanzioni amministrative, ai sensi dell’articolo 22 del decreto legislativo 18

dicembre 1997 n. 472, e mai ai tributi ed agli interessi; l’iscrizione di ipoteca

sugli immobili di cui all’articolo 77 del decreto del Presidente della repubblica

29 settembre 1973 n. 602 e successive modifiche ed integrazioni;

h) gli atti relativi a tutte le operazioni catastali ed alle tariffe d’estimo, ai sensi

dell’articolo 2, comma 4;

i) il rifiuto, espresso o tacito, della restituzione o di sgravio di tributi, tasse,

tariffe, canoni, contributi, sanzioni amministrative ed interessi od altri accessori

non dovuti, compresi gli interessi anatocistici, di cui all’articolo 1283 del

codice civile, e la rivalutazione monetaria, di cui all’articolo 1224, comma 2,

del codice civile nonché le proposte degli uffici di compensazione di ogni tipo;

le richieste di rimborso di cui alla presente lettera non possono mai essere

riconosciute d’ufficio dal giudice tributario senza una specifica istanza di parte;

l) il diniego, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela, ai sensi dell’articolo

68 del decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992 n. 287 e del

decreto ministeriale dell’11 febbraio1997 n. 37;

40

m) il diniego o la revoca espressi o taciti, di agevolazioni o il rigetto, espresso

o tacito, di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; il rigetto,

espresso o tacito, di tutte le istanze di interpello di ogni genere, comprese

quelle di cui all’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della

Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e quelle di cui all’articolo 30 della legge

23 dicembre 1994 n. 724 e successive modifiche ed integrazioni;

n) il rigetto, espresso o tacito, dell’azione di puro accertamento negativo di cui

all’articolo 2, comma 8;

o) il pignoramento fiscale dei crediti verso terzi, ai sensi dell’articolo 2, comma

6, del decreto legge del 3 ottobre 2006 n. 262, convertito, con modificazioni,

dalla legge 24 novembre 2006 n. 286;

p) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda tassativamente l’autonoma

impugnabilità; ogni altro atto rientrante nell’oggetto delle controversie di cui

all’articolo 2, comprese le fatture utilizzate per la riscossione della tariffa

igiene ambientale disciplinata dal decreto legislativo del 03 aprile 2006 n. 152.

2. Gli atti espressi di cui al comma 1 devono, a pena di nullità, contenere

l’esatta indicazione del termine perentorio entro il quale il ricorso deve essere

proposto e del Tribunale tributario competente, nonché delle relative forme da

osservare ai sensi dell’articolo 20.

3. Gli atti diversi da quelli tassativamente indicati nel comma 1 non sono

impugnabili autonomamente.

4. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili di cui al comma 1 può essere

impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti

autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne

consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo soltanto se il ricorrente

intende trasferire la contestazione nel merito, impugnando specificamente

anche l’atto presupposto insieme a quello consequenziale. In ogni caso, è

applicabile l’articolo 24, comma 2.

41

5. In caso di diniego, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela, i giudici

possono decidere, nel merito, del rapporto tributario sottostante anche in base

ad equità, con sentenza non appellabile, salvo il ricorso per cassazione, come

previsto dall’articolo 50, comma 2>>.

c) Modifiche all’art. 7 del D. Lgs. n. 546/1992 <<ART. 7. Poteri istruttori dei giudici tributari

1. I giudici tributari, ai fini istruttori e soltanto nei limiti dei fatti dedotti

dalle parti, con ordinanza motivata non impugnabile, esercitano tutte le facoltà

di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferiti agli uffici

dell’Agenzia fiscale, all’ente locale o regionale, all’ente previdenziale ed

all’agente della riscossione da ciascuna norma in relazione al tributo al quale

si riferisce la controversia, senza dover chiedere alcuna preventiva

autorizzazione ad organi giudiziari ed amministrativi.

2. I giudici tributari non devono tenere conto di atti e prove acquisiti in

violazione di disposizioni di legge.

3. I giudici tributari, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di

particolare complessità, possono disporre, anche d’ufficio, consulenza tecnica

da affidare soltanto a professionisti esperti del settore iscritti all’Ordine o

Collegio professionale e mai da affidare ai dipendenti degli uffici dell’Agenzia

fiscale o del Corpo della Guardia di Finanza o dell’Istituto nazionale della

previdenza sociale o dell’ente locale o regionale o dell’agente della riscossione.

Il collegio può applicare l’articolo 696 del codice di procedura civile.

4. I giudici tributari, se ritengono illegittimo un regolamento, un decreto

ministeriale od un atto generale rilevante ai fini della sentenza, non lo

applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale

impugnazione nella diversa sede competente. A tal proposito, i giudici

tributari, per l’eventuale disapplicazione dei relativi decreti ministeriali,

possono richiedere agli organi amministrativi competenti la documentazione di

42

tutta la metodologia, con le relative note tecniche, utilizzata per calcolare e

determinare gli studi di settore, ai sensi dell’articolo 62-sexies, comma 3, del

decreto legge 30 agosto 1993 n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993 n.

427, e per calcolare e determinare il reddito complessivo, ai sensi dell’articolo

38, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre

1973 n. 600 e successive modifiche ed integrazioni.

5. Sono ammessi dal collegio il giuramento e la prova testimoniale, secondo gli

articoli dal 233 al 257 del codice di procedura civile. Le funzioni del giudice

istruttore e dell’ufficiale giudiziario sono svolte, rispettivamente, dal presidente

del collegio giudicante e dall’ausiliario addetto alla segreteria.

6. E’ abrogato l’articolo 32, comma 4, del decreto del Presidente della

Repubblica del 29 settembre 1973 n. 600, e successive modifiche ed

integrazioni.

7. In ogni caso, il collegio ha la facoltà di disporre la comparizione personale

delle parti al fine di interrogarle liberamente sui fatti di causa. Il collegio può

ordinare il deposito di documenti ritenuti decisivi per la decisione della causa

stessa o il deposito di documenti non prodotti per cause non imputabili alle

stesse parti. Inoltre, i giudici tributari possono trarre argomenti di prova anche

dal comportamento tenuto dalle parti durante il processo.

8. Per le cause relative alle azioni di risarcimento danni, ai sensi dell’articolo

2, comma 3, il collegio, su istanza delle parti costituite, può disporre

l’accertamento tecnico e l’ispezione giudiziale, ai sensi dell’articolo 696 del

codice di procedura civile.

9. Durante la sola fase istruttoria, sono applicabili gli articoli 184-bis e 294 del

codice di procedura civile ed il collegio decide con motivata ordinanza non

impugnabile.

10. Il collegio giudicante può delegare in qualunque momento un proprio

componente per il compimento degli atti istruttori di cui ai commi precedenti.

43

11. Il compenso aggiuntivo di cui all’articolo 13 del decreto legislativo n. 545

del 31 dicembre 1992 è pari alla metà di quello determinato per ogni ricorso

definito anche per le ordinanze istruttorie emesse ai sensi del presente

articolo>>.

d) Modifiche all’art. 48 del D. Lgs. n. 546/1992 <<ART. 48. Conciliazione giudiziale in primo e secondo grado

1. Ciascuna delle parti costituite può proporre all’altra parte la

conciliazione, totale o parziale, della causa.

2. La conciliazione può aver luogo non oltre la prima udienza utile di merito,

nella quale il tentativo di conciliazione può essere esperito d’ufficio anche dai

giudici tributari.

3. Se la conciliazione ha luogo, viene redatto apposito processo verbale nel

quale sono indicate precisamente e definitivamente le somme dovute a titolo

d’imposta, di sanzioni e di interessi. Il processo verbale costituisce titolo per la

riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto in un'unica

soluzione ovvero in forma rateale, in un massimo di otto rate trimestrali di pari

importo ovvero in un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute

superano euro 51.645,69, previa prestazione di idonea garanzia mediante

polizza fideiussoria, bancaria od assicurativa. La conciliazione si perfeziona

con il versamento, entro il termine di trenta giorni dalla data di redazione del

processo verbale, dell’intero importo dovuto ovvero della prima rata e con la

prestazione della predetta garanzia sull’importo delle rate successive,

comprensivo degli interessi al saggio legale calcolati con riferimento alla stessa

rata e per il periodo di rateazione di detto importo. Per le modalità di

versamento si applica l’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica

28 settembre 1994 n. 592. Le predette modalità possono essere modificate con

decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, rispettando l’articolo 3,

comma 2, della legge 27 luglio 200 n. 212.

44

4. In caso di mancato pagamento, anche della prima o di una sola delle rate

successive, se il garante non versa l’importo garantito entro trenta giorni dalla

notificazione di apposito invito, contenente l’esatta indicazione delle somme

precisamente e definitivamente dovute e dei presupposti di fatto e di diritto

della pretesa, il competente ufficio dell’Agenzia fiscale o dell’ente locale o

regionale o dell’ente previdenziale provvede all’immediata iscrizione a ruolo

delle sole predette somme, precisamente e definitivamente conciliate, a carico

del contribuente e dello stesso garante.

5. Qualora una delle parti costituite abbia proposto la conciliazione e la stessa

non abbia luogo nel corso della prima udienza utile di merito, il giudice può

assegnare un termine non superiore a novanta giorni per la formazione di una

proposta, ai sensi del successivo comma 6.

6. L’ufficio o l’ente impositore può, sino alla data di trattazione in camera di

consiglio, ovvero fino alla discussione in pubblica udienza, depositare una

proposta di conciliazione alla quale l’altra parte abbia previamente aderito. Se

l’istanza è presentata prima della fissazione della data di trattazione, il

presidente della sezione, se ravvisa la sussistenza dei presupposti e delle

condizioni di ammissibilità, dichiara con decreto l’estinzione del giudizio. La

proposta di conciliazione ed il decreto tengono luogo del processo verbale di

cui al comma 3. Il decreto è comunicato alle parti costituite ed il versamento

dell’intero importo o della prima rata deve essere effettuato entro trenta giorni

dalla data della comunicazione. Nell’ipotesi in cui la conciliazione non sia

ritenuta ammissibile, il presidente della sezione fissa la trattazione della causa.

Il provvedimento del presidente della sezione è depositato in segreteria entro

dieci giorni dalla data di presentazione della proposta.

7. In caso di avvenuta conciliazione, le sanzioni amministrative si applicano

nella misura di un terzo, se la conciliazione avviene in primo grado, e nella

misura del cinquanta per cento, se la conciliazione avviene in grado d’appello,

delle somme irrogabili in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla

45

conciliazione medesima. In ogni caso, la misura delle sanzioni non può essere

inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi

relative a ciascun tributo. La conciliazione giudiziale non è ammessa nei

giudizi per cassazione.

8. Il verbale di conciliazione giudiziale, per quanto redatto con l’intervento del

giudice a definizione di una controversia pendente tra le parti, ha natura

negoziale, in quanto la conciliazione è frutto dell’incontro delle volontà delle

parti, onde l’interpretazione del contenuto di detto verbale postula sempre

un’indagine sulla volontà delle parti stesse e si risolve in un accertamento di

fatto.

9. La conciliazione giudiziale di cui al presente articolo determina sempre

l’immediata estinzione del giudizio indipendentemente dal pagamento delle

somme conciliate, parziale od integrale, che l’ufficio può richiedere con

l’iscrizione a ruolo, oltre gli interessi e la sanzione amministrativa del trenta

per cento.

10. La conciliazione giudiziale può essere corretta solo per errori di calcolo, ai

sensi dell’articolo 1430 del codice civile>>.

e) Modifiche agli artt. 61 e 63 del D. Lgs. n. 546/1992 <<ART. 61. Sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo grado

1. L’appellante, nell’atto d’appello o con separata istanza, può chiedere

alla Corte d’appello tributaria la sospensione dell’esecuzione della sentenza di

primo grado, anche per quanto riguarda le spese del giudizio, ai sensi

dell’articolo 15, comma 1. E’ applicabile l’articolo 283 del codice di procedura

civile.

2. Si applicano le condizioni, la procedura ed i termini di cui all’articolo 47,

salvo quanto disposto dal successivo comma.

3. Il giudice d’appello, con ordinanza motivata non impugnabile, può disporre

che l’esecuzione della sentenza sia sospesa, eventualmente con la prestazione

46

di fideiussione bancaria od assicurativa, in caso di comprovato pericolo per la

riscossione.

4. In caso di accoglimento della richiesta di sospensione, l’ufficio dell’Agenzia

fiscale, l’ente previdenziale, l'ente locale o regionale, l’agente della riscossione

non deve iscrivere a ruolo, neppure a titolo provvisorio, o richiedere alcuna

somma o garanzia.

5. Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della

sentenza d’appello, ai sensi degli articoli 37 e 59>>.

<<ART. 63. Norme applicabili 1. Avverso la sentenza della Corte d’appello tributaria può essere

proposto ricorso per cassazione per i tassativi motivi di cui ai numeri da 1 a 5

dell’articolo 360, comma 1, del codice di procedura civile, che devono essere

specifici, completi e riferibili alla sentenza impugnata.

2. Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme

dettate dal codice di procedura civile, con le successive modifiche, in quanto

compatibili con quelle della presente legge. Si applica l’art. 39, comma 3.

3. Il giudicato esterno di cui all’articolo 36, comma 3, può essere rilevato

d’ufficio ed anche per la prima volta nel giudizio di legittimità, purché la parte

che lo invoca produca copia autentica della sentenza, recante attestazione del

passaggio in giudicato, anche in relazione ad altro anno d’imposta o ad altro

tributo.

4. Per la sospensione dell’esecuzione della sentenza d’appello è applicabile

l’articolo 373 del codice di procedura civile>>.

47

Norma transitoria

<<1. Il giudice deve, su istanza facoltativa di anche una sola delle parti,

costituite in giudizio, disporre la sospensione del processo per 6 mesi, al fine di dare

alle parti la possibilità di integrare la fase istruttoria secondo quanto disposto dalla

nuova normativa.

2. Il contribuente può, entro 6 mesi dall’entrata in vigore della detta normativa,

laddove non intenda proseguire il contenzioso o integrarlo ai sensi del precedente

comma 1, presentare istanza di accertamento con adesione atipico con cui aderisce, in

modo irrevocabile ed insindacabile da parte degli Uffici, al pagamento dell’imposta

accertata nella misura del 20%, senza interessi e sanzioni, rinunciando all’esito del

giudizio in corso>>.

Lecce, 28 luglio 2008

AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce

PATROCINANTE IN CASSAZIONE www.studiotributariovillani.it

e-mail [email protected]