PROGETTO CULTURALE: Le radici cristiane d’Europaspettacolo... · navigando verso occidente, in...

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PROGETTO CULTURALE: Le radici cristiane d’Europa APPROFONDIMENTI I GRANDI EUROPEI: Francesco Saverio Martino di Tours Bonifacio 1. FRANCESCO SAVERIO 1512. Il piccolo regno di Navarra, che si estende tra i Pirenei e l‟Ebro, è conquistato dall‟esercito di Ferdinando, re di Spagna. I nobili navarrini che hanno difeso a lame sguainate l‟indipendenza del loro piccolo territorio, fuggono in esilio al di là dei Pirenei, in Francia. Tra i fuggitivi ci sono anche Michele e Giovanni di Xavier, che sono stati tra i capi della resistenza. Nel grande castello della loro famiglia, a qualche ora di galoppo dalla città di Pamplona, rimangono donna Maria e il figlio minore, Francesco. Nei giorni che seguono la sconfitta, devono assistere a una dura umiliazione: i soldati spagnoli demoliscono muri e torrioni del castello. Resta in piedi solo la parte destinata ad abitazione. Anche la torre del San Michele, la più alta e la più bella del castello, è abbattuta. Donna Maria di Xavier, che rischia di perdere i due figli maggiori, conduce il piccolo Francesco (6 anni) nella grande sala d‟onore. Alle pareti ci sono i quadri raffiguranti gli illustri antenati della famiglia. Davanti ad essi dice con tono risoluto: Promettimi che tu non combatterai. GLI ANNI DEI GRANDI NAVIGATORI Negli anni che Francesco trascorre nel castello degli Xavier, il mondo occidentale sta vivendo un‟avventura formidabile: la scoperta dei “nuovi” continenti del pianeta Terra, finora sconosciuti. Portoghesi e Spagnoli, su navi sempre più potenti e veloci, danno vita a una gara appassionante di esplorazione. Nel 1486, vent‟anni prima della nascita di Francesco, un coraggioso ammiraglio portoghese, Bartolomeo Diaz, ha dato il via a questa formidabile gara: con 3 navi è giunto fino all‟estremo sud dell‟Africa, e ha chiamato quell‟estremità che apre la porta all‟Oceano Indiano, prima “Capo Tormentoso”, poi “Capo di Buona Speranza”. Nel 1492 la Spagna ha risposto con un‟impresa sensazionale: l‟ammiraglio genovese Cristoforo Colombo, al comando di 3 navi spagnole, ha raggiunto un continente sconosciuto navigando verso occidente, in mare aperto. Era la “scoperta dell‟America” che regalava alla Spagna territori sconfinati. Nel 1498, mentre Colombo iniziava il suo terzo viaggio, il portoghese Vasco de Gama raggiungeva per la prima volta, via mare, l‟India misteriosa. Sulla scia di Colombo partono navigatori celebri e capitani oscuri. Cercano terre nuove, miniere d‟oro, coltivazioni di spezie. Vespucci scende lungo le coste dell‟America del Sud, Nunez de Balboa (1513) scopre l‟Oceano Pacifico, Giovanni e Sebastiano Caboto (agli ordini dell‟Inghilterra) puntano verso l‟America del Nord. Sebastiano, nel 1516, scopre il Labrador e penetra nella baia di Hudson. Nel 1519, alla testa di 5 navi spagnole, Magellano inizia la prima circumnavigazione del globo: passa per primo all‟estremo sud del continente americano (lo stretto verrà chiamato “di Magellano”), affronta l‟immenso Pacifico. Dopo 36 mesi, una sola nave torna in Spagna.

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PROGETTO CULTURALE:

Le radici cristiane d’Europa

APPROFONDIMENTI

I GRANDI EUROPEI:

Francesco Saverio

Martino di Tours

Bonifacio

1. FRANCESCO SAVERIO 1512. Il piccolo regno di Navarra, che si estende tra i Pirenei e l‟Ebro, è conquistato dall‟esercito di Ferdinando, re di Spagna. I nobili navarrini che hanno difeso a lame sguainate l‟indipendenza del loro piccolo territorio, fuggono in esilio al di là dei Pirenei, in Francia. Tra i fuggitivi ci sono anche Michele e Giovanni di Xavier, che sono stati tra i capi della resistenza. Nel grande castello della loro famiglia, a qualche ora di galoppo dalla città di Pamplona, rimangono donna Maria e il figlio minore, Francesco. Nei giorni che seguono la sconfitta, devono assistere a una dura umiliazione: i soldati spagnoli demoliscono muri e torrioni del castello. Resta in piedi solo la parte destinata ad abitazione. Anche la torre del San Michele, la più alta e la più bella del castello, è abbattuta. Donna Maria di Xavier, che rischia di perdere i due figli maggiori, conduce il piccolo Francesco (6 anni) nella grande sala d‟onore. Alle pareti ci sono i quadri raffiguranti gli illustri antenati della famiglia. Davanti ad essi dice con tono risoluto: — Promettimi che tu non combatterai.

GLI ANNI DEI GRANDI NAVIGATORI Negli anni che Francesco trascorre nel castello degli Xavier, il mondo occidentale sta vivendo un‟avventura formidabile: la scoperta dei “nuovi” continenti del pianeta Terra, finora sconosciuti. Portoghesi e Spagnoli, su navi sempre più potenti e veloci, danno vita a una gara appassionante di esplorazione. Nel 1486, vent‟anni prima della nascita di Francesco, un coraggioso ammiraglio portoghese, Bartolomeo Diaz, ha dato il via a questa formidabile gara: con 3 navi è giunto fino all‟estremo sud dell‟Africa, e ha chiamato quell‟estremità che apre la porta all‟Oceano Indiano, prima “Capo Tormentoso”, poi “Capo di Buona Speranza”. Nel 1492 la Spagna ha risposto con un‟impresa sensazionale: l‟ammiraglio genovese Cristoforo Colombo, al comando di 3 navi spagnole, ha raggiunto un continente sconosciuto navigando verso occidente, in mare aperto. Era la “scoperta dell‟America” che regalava alla Spagna territori sconfinati. Nel 1498, mentre Colombo iniziava il suo terzo viaggio, il portoghese Vasco de Gama raggiungeva per la prima volta, via mare, l‟India misteriosa. Sulla scia di Colombo partono navigatori celebri e capitani oscuri. Cercano terre nuove, miniere d‟oro, coltivazioni di spezie. Vespucci scende lungo le coste dell‟America del Sud, Nunez de Balboa (1513) scopre l‟Oceano Pacifico, Giovanni e Sebastiano Caboto (agli ordini dell‟Inghilterra) puntano verso l‟America del Nord. Sebastiano, nel 1516, scopre il Labrador e penetra nella baia di Hudson. Nel 1519, alla testa di 5 navi spagnole, Magellano inizia la prima circumnavigazione del globo: passa per primo all‟estremo sud del continente americano (lo stretto verrà chiamato “di Magellano”), affronta l‟immenso Pacifico. Dopo 36 mesi, una sola nave torna in Spagna.

Dei 265 uomini partiti, solo 18 sono sopravvissuti. Anche Magellano ha perso la vita nelle Filippine.

LA GUERRA CONTRO I MORI In quegli anni, la Spagna era pure giunta al termine di un‟altra avventura, sanguinante ed esaltante: la liberazione della terra spagnola dai Mussulmani. Essi erano sbarcati a Gibilterra nel lontanissimo 711. Nel breve giro di sette anni avevano conquistato tutta la penisola iberica. Cordoba era diventata la magnifica capitale dello stato islamico: 3.000 moschee, 500 bagni, 70 biblioteche, giardini favolosi. La “riconquista cristiana” durò otto lunghi secoli. Iniziò dal nord, dalle montagnose Asturie. Nel 1085 fu riconquistata Toledo, che divenne la capitale cristiana sulla frontiera. Attorno ad essa si svolsero le imprese leggendarie del Cid Campeador. Lentamente i territori occupati dai “Mori” (come venivano chiamati i mussulmani) furono ridotti al regno di Granada, nel sud, che fu espugnato nel 1492. La Spagna era finalmente una nazione unica, dai Pirenei al Mediterraneo. Mancava solo il piccolo regno di Navarra, che nel 1512 venne conquistato e unito con la forza alla nazione. Francesco di Xavier ha 9 anni quando la Navarra viene dichiarata “provincia della Spagna”. I suoi fratelli Michele e Giovanni, dalla Francia, tentano ancora per anni di suscitare rivolte per ridare l‟indipendenza alla Navarra. Ma nel 1524 riconoscono che combattere contro la Spagna è ormai voler tornare indietro nella storia. A Fuenterrabia un capitano generale, in nome dell‟imperatore, promette ai “valorosi difensori della Navarra, piena amnistia, la restituzione di tutti i beni e diritti se giureranno fedeltà alla Spagna, patria comune”. Il 19 febbraio di quel 1524 Francesco (che ha ormai 18 anni) e sua madre possono riabbracciare Michele e Giovanni che hanno accettato di “essere spagnoli”. Arricchita dai suoi navigatori, popolata da una gente resa combattiva e tenace dalle lunghe guerre della “riconquista”, la Spagna è ormai la prima nazione del mondo. Lo sarà per tutto il 1500. Michele e Giovanni ragionano a lungo con la madre sull‟avvenire di Francesco, che dimostra un‟intelligenza vivace. Il loro padre è stato presidente del consiglio reale di Navarra, dopo essersi laureato nella celebre università di Bologna. Un loro zio, Martino di Azpilcutea, è in quel momento uno dei più illustri cittadini di Navarra: professore di diritto, viene consultato anche dalla corte del re di Spagna. Decidono che anche Francesco si laureerà in diritto, nell‟università più celebre d‟Europa: la Sorbona di Parigi. Con una brillante carriera, dovrà ridare celebrità e onore alla famiglia.

UN QUARTIERE DI STUDENTI A PARIGI Alla fine dell‟estate 1525, Francesco dà addio alla madre e ai fratelli e raggiunge Parigi. Sulla sponda meridionale della Senna sorge il “quartiere latino”: un groviglio di vicoli e vicoletti, chiese e cappelle, collegi universitari e conventi, librerie e osterie. È in quel momento la più grande e rinomata città universitaria del mondo. Ospita quattromila studenti venuti da tutti i Paesi. Francesco prende alloggio al Collegio di santa Barbara, nel quale vivono studenti spagnoli e portoghesi. I suoi studi cominciano il 1° ottobre del 1525. Il corso sarà molto lungo: un anno di preparazione, tre anni e mezzo di filosofia (che si chiudono con il titolo di “Maestro”), tre anni di insegnamento in uno dei collegi, quattro anni di studi specializzati in diritto. Il Collegio di santa Barbara è al tempo stesso pensionato e scuola, con cappella, refettorio, aule scolastiche, biblioteche e sale comuni di studio. Francesco si comporta da nobile: ha il suo cavallo, tiene al suo servizio uno studente povero, non risparmia sulle spese. Il regolamento, però, è uguale per tutti, ed è rigidissimo: levata alle 4, prima lezione alle 5 del mattino. Si affrontano i classici greci Demostene, Sofocle, Euripide, e i classici latini Cicerone, Virgilio, Orazio. Un breve intervallo alle 10 per una pagnotta e un bicchier d‟acqua. Gli studi riprendono fino alle 13. Colazione con pane, un uovo e mezza aringa. Di nuovo greco e latino fino alle 18. Poi zuppa di legumi e formaggio. I professori non tollerano la minima indisciplina e sono armati di frustino. Poco è concesso allo svago e alla ricreazione.

Ma di notte moltissimi studenti varcano i recinti dell‟università e si danno alla baldoria nelle bettole del Quartiere Latino. Francesco è stato più volte sul punto di seguirli. Ha però sempre resistito, pensando che sarebbe un grave disonore per il nome illustre della sua famiglia.

IL CAPITANO DI PAMPLONA 1528. Due avvenimenti scuotono profondamente la vita di Francesco: dalla Spagna gli giunge la notizia della morte di sua madre; e nella sua stanza, come coinquilino, entra un nobile spagnolo di Guipùzkoa, un certo Inigo (in italiano Ignazio) di Loyola. Trascina, zoppicando, una gamba. Mentre combatteva come capitano sotto le mura di Pamplona, gli è stata spezzata da una palla di cannone. Sul letto dell‟ospedale, dove ha subito dolorosi interventi chirurgici, ha letto per la prima volta il Vangelo, e si è convertito totalmente a Cristo. Alla Sorbona studia per diventare sacerdote e missionario. Passano giorni e mesi. Tra Francesco e Ignazio nasce una profonda amicizia. Una sera, dopo aver studiato a lungo insieme, Ignazio gli domanda: — Che farai nella vita? Gli occhi di Francesco scintillano nella penombra: — Diventerò professore della Sorbona. — Questo non ti sarà difficile. con la tua intelligenza. E poi? — Scriverò opere importanti, e il mio nome sarà conosciuto nel mondo. Anche alla corte di Madrid dovranno sentir parlare di me e della mia famiglia. Chi ha distrutto il nostro castello e mandato in esilio i miei fratelli, dovrà chiamarmi e annoverarmi tra i “grandi di Spagna”. Allora farò ricostruire la torre del San Michele. Ignazio continua a domandare con freddezza: — E poi? — E poi? — Francesco si smarrisce un istante, ma continua: — Poi avrò una famiglia, dei figli. E avrò onori e ricchezze. — E poi? La freddezza e l‟insistenza di Ignazio provocano uno scatto d‟ira. Ma subito la sua mente acuta, pensando a quel “poi”, è presa dallo sgomento: — Poi non so. Anch‟io come tutti gli altri... — Esatto. Come tutti gli altri, come me, come i tuoi servi, come i professori della Sorbona, morirai. E ti presenterai al tribunale di Dio. Non t‟interesseranno niente, in quel momento, i denari che avrai in cassaforte e le medaglie che ti avrà dato il re di Spagna. “Che giova all‟uomo guadagnare anche tutto il mondo, se poi perde la sua anima?”: sono parole del Vangelo, Francesco. Parole molto importanti. La gloria vera non è in questi libri, nelle torri del tuo castello, nel cordone dei “grandi di Spagna”. La gloria vera è quella di Dio, quella che dura per sempre. Quella notte Francesco non dorme. Comincia la sua grave crisi di coscienza che si trascinerà per alcuni anni. Diviene “Maestro”, ma non riesce a sentire il gusto di quella prima carica. Gli pare tutto vanità.

IL MONACO LUTERO Mentre Francesco compie i suoi studi nella città universitaria di Parigi, la Chiesa Cattolica è scossa dalla più grande bufera della sua storia: la “riforma” protestante. Nell‟ultimo secolo una grave decadenza si è verificata ai vertici della Chiesa. “Le sedi vescovili — scrive lo storico Lortz — e quasi tutte le più alte cariche ecclesiastiche sono occupate da nobili. Con contratti di compra e vendita, questi nobili entrano in possesso di diocesi e di cariche ecclesiastiche solo per condurre senza preoccupazioni una vita di godimenti. La Chiesa è straordinariamente ricca. E, quel che è peggio, poco o nulla si sa di teologia, non si dice Messa, o la si dice di rado, viene trascurata la formazione dei futuri sacerdoti, parecchi conducono non solo una vita comoda e agiata, ma addirittura immorale”. Il Papato, più che un ministero religioso, è diventato un‟autorità politica ed economica, conteso da famiglie di principi che si alternano sulla Cattedra di Pietro. Ingenti ricchezze

affluiscono a Roma per la vendita delle cariche ecclesiastiche (Magonza paga 50 mila fiorini per la nomina dell‟arcivescovo). Quelli che riescono ad avere le cariche ecclesiastiche si rifanno esigendo forti contributi dai fedeli. L‟arcivescovo di Toledo, in questo tempo, gode di un‟entrata di 250 mila ducati annui, sufficienti a mantenere per un mese un esercito combattente di 40 mila uomini. Queste “entrate” vengono radunate con pesanti tasse che devono pagare commercianti, artigiani, e specialmente contadini impoveriti e malcontenti. La rivolta protestante prende origine da questa grave situazione, e provoca non soltanto un rifiuto di papi e vescovi indegni, ma anche (purtroppo) un rifiuto di una parte della fede, della verità che Cristo aveva affidato alla sua Chiesa. La scintilla è scoccata nel 1518. Il monaco tedesco Lutero, dopo aver denunciato pesantemente gli abusi della curia papale, definisce il papa “anticristo”. Leone X (un principe della famiglia Medici eletto papa a 38 anni) minaccia di scomunicarlo inviandogli una sua bolla. Lutero risponde bruciando la bolla papale davanti a una folla di studenti, a Wittenberg. È l‟inizio della grande frana.

10 NAZIONI SI STACCANO Accanto a Lutero sorgono altri “riformatori” protestanti. Dalla Chiesa Cattolica si staccano. la Germania (1525), L‟Ungheria, l‟Olanda, la Scozia, la Finlandia (1527) l‟Inghilterra (1530), la Norvegia, l‟Islanda e la Danimarca (1536). Le principali verità della fede che i protestanti rifiutano si possono così condensare: i vescovi non sono più considerati successori degli Apostoli, e quindi è rifiutata la loro autorità spirituale; la Scrittura può essere interpretata liberamente da ciascuno, indipendentemente dall‟autorità della Chiesa; i Sacramenti vengono ridotti a due, a uno, o a nessuno (Lutero crede ancora nella presenza di Cristo nell‟Eucaristia, Zwinglio e Calvino no) ; si afferma che Cristo, mediante il Battesimo, non ci “rende giusti”, ma ci salva pur lasciandoci peccatori: di qui la non importanza di fare il bene per essere salvati, e la teoria della “predestinazione” (Dio ha già deciso chi deve salvarsi, indipendentemente da come ci si comporta). Sotto la valanga del protestantesimo, la Chiesa Cattolica sembra debba essere travolta. La salvezza verrà invece dalla Spagna, la nazione più grande di questo tempo, che rimane saldamente fedele alla Chiesa. Questo Paese ha trovato la sua unità combattendo gli infedeli. Per secoli gli Spagnoli non hanno avuto tempo per “discutere”: sono stati di guardia ai confini tra cristianesimo e incredulità con una sola parola d‟ordine: “Sta‟ e combatti”. Gli Spagnoli combatteranno ancora perché la fede cattolica non venga travolta. Ma a combattere non saranno gli eserciti di Carlo V, re di Spagna eletto imperatore di Germania. Sarà la “Compagnia” che Ignazio di Loyola sta per fondare a Parigi: i Gesuiti. Essi costituiranno la più formidabile milizia d‟urto della Chiesa. Interverranno senza posa in ogni campo per purificare la Chiesa al suo interno (riforma cattolica) e per frenare la valanga protestante all‟esterno (controriforma cattolica). Francesco di Xavier, che sta per diventare il più grande missionario della cristianità, con dieci anni di attività instancabile, aprirà alla Chiesa Cattolica nazioni molto più vaste di quelle che la “riforma protestante” le ha tolto.

LA COMPAGNIA DI GESU’ Ignazio, che vive ormai solo per Cristo, è riuscito a conquistare all‟interno della Sorbona sei studenti spagnoli, persuadendoli a consacrarsi interamente non più agli studi ma a Dio. 5 agosto 1534. Nella chiesa di Montmartre pronunciano i voti di povertà e di castità, e promettono di recarsi a Roma per mettersi a disposizione del Papa. Così nasce la Compagnia di Gesù, che tutto il mondo conoscerà come Gesuiti. Partono da Parigi il 15 novembre. C‟è neve nell‟aria e sulle strade, e in Lombardia si stanno per scontrare gli eserciti di Francia e dell‟imperatore Carlo V. Per evitare i campi di battaglia, compiono a piedi un lungo percorso attraverso la Lorena, la Svizzera e la repubblica di Venezia. Nelle soste lungo il cammino, loro casa sono gli ospedali, dove si mettono a disposizione dei malati. A Venezia, prendono dimora nell‟Ospedale degli incurabili. Francesco, mentre veglia un ammalato tutto coperto di piaghe, è assalito da un invincibile senso di ripugnanza. Lo assale il pensiero che un “nobile” come lui non può

abbassarsi fino a quel punto. Per vincersi, Francesco lava adagio quelle piaghe, e alla fine le bacia. La ripugnanza non lo assalirà mai più. A Roma, papa Paolo III li accoglie con bontà. Fa esaminare la loro scienza in un severo esame di teologia, poi permette che siano ordinati sacerdoti. È il 1537. Da questo momento Ignazio risiederà costantemente a Roma. Insieme fanno voto di mettersi a disposizione del Papa perché egli disponga di loro a piacimento: questo voto trasforma i Gesuiti nella truppa “scelta” del papato per le battaglie più difficili. Ignazio, il loro capo, martella nelle loro menti le idee fondamentali che devono guidarli ovunque: “Le anime immortali degli uomini sono in pericolo: bisogna salvarle. Il tempo è breve. La preoccupazione per la salvezza degli uomini non potrà mai permetterci di riposare”. I primi Gesuiti si spargono per l‟Italia a predicare e a insegnare la religione. Presto raggiungeranno Colonia, Vienna, prenderanno la direzione delle università di Ingolstadt e di Praga, in nazioni dove i protestanti sono fortissimi. A poco a poco il Papa affiderà loro i seminari per formare i futuri sacerdoti, concentrerà nelle loro mani tutta l‟attività educativa cattolica. 1539. L‟ambasciatore del Portogallo chiede al papa sei missionari da inviare nelle Indie orientali. “Vi manderò i gesuiti”, risponde il Papa. L‟Impero del Portogallo, in questi anni, è vastissimo. Si estende su vaste porzioni dell‟Africa, le coste indiane del Malabar e del Coromandel, la grande isola di Ceylon, la penisola di Malacca. La prima spedizione missionaria dei gesuiti dovrebbe essere capeggiata da padre Bobadilla, ma egli si ammala, e Ignazio lo sostituisce con Francesco di Xavier (“Saverio”, alla latina).

LA PRUA VERSO ORIENTE 7 aprile 1541. Francesco parte da Lisbona con il grado di “Ispettore sulle Missioni del re del Portogallo e Nunzio Apostolico”. Quest‟ultima carica, che lo pone al di sopra di ogni autorità ecclesiastica nelle Indie, gli è stata conferita personalmente dal Papa. Il “Santiago”, grande vascello della marina reale, inizia il lungo viaggio che dovrà circumnavigare l‟Africa, attraversare l‟Oceano Indiano e terminare a Goa. Ogni viaggio attraverso gli oceani, a quel tempo, è una sfida all‟ignoto e alla morte. Ognuno fa testamento, prima di partire, e porta nel suo bagaglio un lenzuolo nel quale l‟avvolgeranno in caso di morte a bordo. Francesco vive come gli altri passeggeri sul ponte, sotto il sole a picco. Si fa bollire la sua marmitta per i pasti. Diventa amico di tutti curando i malati, tenendo compagnia a chi si perde di coraggio, distribuendo a tutti una parola di speranza e di bontà. Al largo del Golfo di Guinea, sotto un sole dardeggiando, il vento all‟improvviso cade e le vele si afflosciano. I trecento marinai e i settecento passeggeri iniziano un mese tremendo di sete e d‟agonia. Scoppiano epidemie, molti muoiono. Francesco svolge la sua prima vera missione sui tavolati del veliero. Conforta i morenti, che avevano sognato di tornare carichi d‟oro e di merci preziose, e apre loro la porta del Cielo. Quando torna il vento, si è ormai alle porte dell‟inverno, e, doppiato il Capo di Buona Speranza, debbono svernare in Mozambico. Il 6 maggio 1542 Goa è in vista. Sono trascorsi tredici mesi dalla partenza da Lisbona. Francesco è a prua. Fissa la sua nuova patria. Coloro che gli stanno attorno gridano di gioia perché domani potranno cominciare un ricco commercio. Egli prega in silenzio: domani comincerà a predicare Gesù e il suo messaggio di speranza. Il viceré residente a Goa ha mandato una lettiga sorretta da quattro schiavi a ricevere il Nunzio Pontificio. Francesco ringrazia e, a piedi, si dirige al lebbrosario, dove passa le prime ore a lavare le piaghe dei ricoverati. In città Francesco riceve la prima cocente delusione. I portoghesi, politici e mercanti, che egli pensava suoi alleati nella causa di Dio, Dio l‟hanno dimenticato da un pezzo. Hanno reso schiavi gli indigeni, si fanno portare in lettiga, ostentano oro e gioielli, trattano con disprezzo i goanesi. La pena più grave Francesco la prova al mercato degli schiavi. Gli pare impossibile che dei cristiani possano vendere come bestie dei loro fratelli. Domandare agli indigeni di ricevere il battesimo? Francesco non ci pensa neppure: essi odiano tutto quello che sa di portoghese, compresa la religione cattolica. Occorre iniziare una seria missione tra gli europei, richiamandoli ad una vita più umana e cristiana.

Francesco si mette all‟opera con energia. La sua parola li sferza, li scuote. Avvalendosi del suo titolo di “ispettore del re”, giunge persino a far reimbarcare per il Portogallo i più scandalosi. Solo a questo punto inizia le missioni tra gli indigeni, i pescatori che abitano sulla spiaggia, la gente povera dei quartieri popolari. La sua casa rimane l‟ospedale, dove dorme tra i malati. Scrive il grande storico indiano K. M. Panikkar: “Francesco Saverio incarnava lo spirito di quel grande rinnovamento religioso che si stava allora manifestando nei Paesi cattolici. Pio e disciplinato come un soldato di Cristo, pronto a sopportare qualsiasi sofferenza, dotato di un‟immensa fede nella sua missione, egli cominciò a conquistare l‟Oriente al Cristianesimo. La dolcezza del suo animo, il suo amore verso i poveri e gli umili, la sua fiducia incrollabile nella giustizia gli diedero la forza di estendere la sua opera di cristianizzazione a tutto l‟Oriente. Nel 1542 fondò il grande collegio di San Paolo per l‟istruzione dei missionari asiatici. Poiché nei cento anni successivi l‟ingresso dei missionari in Estremo Oriente poté avvenire solo passando per Goa, questo istituto ebbe un‟importanza notevolissima nello sviluppo delle attività cristiane in Asia. Non solo esso accoglieva e istruiva giapponesi, cinesi, annamiti e altri orientali, ma anche i missionari europei dovevano trascorrere un periodo di addestramento a Goa, prima di andare a raggiungere la località loro assegnata.

DALLA PENISOLA DI MALACCA AL GIAPPONE Ma il lavoro organizzativo e amministrativo non soddisfacevano Francesco Saverio, e ben presto abbandonò Goa per andare a svolgere la sua opera tra i pescatori delle coste dei Malabar. Grazie all‟impegno, alla pietà, alla devozione di cui diede prova, egli riuscì a farsi ascoltare da quella povera gente”. Poi scese fino a Capo Comorin, nel paese dei Pavari. Un viaggio come da Milano a Palermo. Suo bagaglio: una veste, un cambio di biancheria, il breviario e un pezzo di cuoio per ripararsi da solo i sandali. I Pavari sono un popolo indigeno poverissimo: in numero di trentamila abitano una trentina di villaggi e vivono di riso, di pesce e di frutta. Parlano il tamil, una lingua difficile che Francesco studia con difficoltà ma con tenacia. I nemici dei Pavari sono i Bagadi, gli uomini del nord che calano all‟improvviso sui villaggi incendiando e distruggendo. La prima persona che ascolta Francesco è una povera vecchietta che sta morendo in una capanna, nel villaggio di Kombuteré. Francesco la conforta, le legge (con quanta fatica!) alcuni brani del Vangelo che lui stesso ha tradotto in tamil. D‟un tratto la vecchietta gli dice: — Dai anche a me il Battesimo. Anch‟io voglio essere salvata. Presto i Pavari sono tutti cristiani. Francesco deve sostenere tra loro delle fatiche disumane: respingere i Bagadi a rischio della vita, improvvisarsi comandante di una flotta. Giorni indimenticabili per Francesco. Li ricorderà sempre come “i più belli che Dio mi ha concesso”. Ma deve ripartire. Lascia i carissimi Pavari a due padri gesuiti giunti dall‟Europa e riparte in cerca di altri popoli a cui annunciare Cristo. Impossibile seguirlo nei suoi viaggi senza fine. Penisola di Malacca, tra soldati portoghesi incalliti nel peccato e avidi mercanti. Isole Molucche, le isole distanti 3.500 chilometri da Malacca, dove si raccoglie la noce moscata e chiodi di garofano; Morotai, l„isola dei cannibali, che Francesco ribattezza “Isola della Speranza di Dio”; Ternate, l‟isola dove tutti i bambini diventano suoi amici. E ancora Malacca.

VERSO IL GIAPPONE Nella chiesa di Nostra Signora della Montagna, a Malacca, Francesco incontrò per la prima volta un giapponese, Anjiro. Era un samurai, cioè un ufficiale. Condannato ingiustamente, era fuggito sulla nave di un mercante portoghese. Il Giappone, a quei tempi, era un regno misterioso, sconosciuto a tutti. Lo stesso Anjiro disse a Francesco che l‟isola di Kiushu, dov‟era la sua città Kagoshima, era tutto il Giappone. Con l‟ardore e l‟impazienza di sempre, Francesco decise di partire per predicare ai giapponesi il messaggio di Cristo. Vi giunse il 15 agosto 1549, con i gesuiti padre Torres e fratel Fernandez. Ottenne dal daimyo (principe regnante) di Kagoshima il permesso di predicare, e per due anni e mezzo evangelizzò il Paese fra stenti,

contraddizioni e fatiche di ogni genere. I lunghi viaggi compiuti a piedi, nella stagione invernale, tra il vento gelido e la neve, lo stremarono. Riuscì a fondare comunità cristiane a Kagoshima, Hirado, Yamaguchi e Bungo. L‟ostacolo maggiore Francesco lo trovò tra i bonzi. Lo accusarono presso le autorità di essere un mangiatore di carne umana, di voler distruggere le pagode. Francesco cercò di convincerne qualcuno sulla verità del Cristianesimo. Ma invariabilmente si sentiva rispondere: — Se la religione cristiana è quella vera, come mai i cinesi non la conoscono? I giapponesi, a quel tempo, consideravano la Cina (dalla quale era giunta fino a loro la religione buddista) come la sede indiscussa di ogni scienza. Fu questo il motivo che spinse Francesco a partire per la Cina. Sapeva che agli stranieri era vietato l‟ingresso, ma voleva tentare.

L’ISOLA DEI MERCANTI Francesco lascia le comunità cristiane giapponesi nelle mani dei padri gesuiti giunti dall‟Europa. All‟alba del 28 agosto, contro la prua, si apre diafana ed incerta nel mattino la baia di San-Choan, un‟isola che sorge di fronte a Canton, a Sud-Ovest di Macao. La baia desolata e percorsa dai venti, appare affollata di navi portoghesi. Gli imperatori hanno proibito ad ogni europeo di sbarcare sulle coste cinesi. ma permettono che in quest‟isola desolata, dove affluiscono le giunche cinesi, avvengano scambi commerciali con i mercanti di Portogallo, Spagna, Venezia. In novembre, all‟arrivo dell‟inverno, San-Choan è abbandonata da tutti. Francesco sbarca. È il primo europeo che giunge quassù non in cerca di ricchezze. Enormi capanne di frasche si vedono dovunque. Custodiscono cumuli di tappeti indiani, otri di pepe e di spezie. Anche i commercianti abitano nelle capanne. Un ricco mercante portoghese ospita Francesco e l‟aiuta a tirar su alla meglio una piccola cappella. Pochi giorni dopo, Francesco ha appena finito di celebrare la Messa quando gli si presenta un portoghese con la faccia segnata da profonde cicatrici. — Padre, so che cercate un imbarco per la costa cinese. — È vero. — Io vengo di là. — È Dio che vi manda. — No. Devo a Dio la vita è vero, ma chi mi manda, o meglio mi ributta qui, sono le guardie cinesi. Porto in faccia il loro ricordo. Mi chiamo Manoel de Chaves. Ho voluto sbarcare a Canton per tentare il commercio interno. Trovai un cinese che osò sfidare la pena di morte per chiunque introduca stranieri in territorio nazionale. Conoscevo la lingua, ero vestito da cinese, eppure, dopo una settimana di magri affari, fui acciuffato e gettato nelle prigioni di Canton. Passai un mese tra le torture. — E come avete potuto liberarvi? — Per disperazione. Una notte uccisi una guardia. Arrivato alla riva mi buttai a nuoto. Probabilmente sarei nella pancia di uno squalo se la giunca di un mercante mio amico non mi avesse visto, pescato e ricondotto qui. — Potreste far arrivare una mia lettera a quel cinese di Canton? — Forse. Ma credo vi convenga rinunciare. — Voi avete osato per guadagnare dell‟oro. Sarei ben vile se per guadagnare anime a Dio non osassi altrettanto. La lettera partì. Giunse la risposta. Per duemila libbre di pepe, il cantonese era disposto a ripetere il tentativo. L‟imbarco sarebbe avvenuto il 20 novembre.

FUOCO ALLE CAPANNE Il giorno 13 cominciarono a soffiare i venti invernali. Tutte le navi portoghesi fecero vela verso sud. Solo la “Santa Croce” rimase in rada. Se il cinese non si fosse fatto vedere, Francesco sarebbe ripartito con quella nave. Dall‟isola si levavano colonne di fumo: i commercianti avevano incendiato le capanne prima di partire. Francesco non guardava verso il mare del sud, tutto fiorito di vele che partivano per la Malacca, l‟India, l‟Europa. Fissava lo stretto tempestoso dove doveva apparire la “sua” nave. Il 20 novembre giunse e passò senza vele all‟orizzonte. I marinai della “Santa Croce” insistevano per partire, ma Francesco sperava ancora. Dalle fessure della sua capanna il vento entrava gelido. Una

tosse insistente e violenta cominciò a scuotergli il petto. La mattina del 22 si sentì male. Il capitano della “Santa Croce”, Vaz d‟Aragao, venuto a terra per convincerlo a partire, lo trovò sconvolto dalla febbre, ravvolto in un sottile panno di cotone. Lo prese a forza e lo condusse a bordo. Ma il mare era agitato. Una tempesta sballottava la nave giorno e notte, e il mal di mare aggravava le condizioni di Francesco. Fu necessario riportarlo a terra. Tremava di freddo e di febbre. I marinai portoghesi lo coprirono con i loro indumenti. Nel delirio, Francesco parlava lingue ignote. Le aveva imparate faticosamente nei dieci anni della sua missione. Le lingue dei Pavari, della penisola di Malacca, di Morotai, di Ternate, di Yamaguchi... Nella notte di sabato il vento infuriava. I marinai rafforzarono le pareti della capanna. Ma compresero che la fine era prossima. Gli posero in una mano una piccola candela accesa, nell‟altra il crocifisso. All‟alba del 2 dicembre, Francesco disse per l‟ultima volta il nome di Gesù. La candela cadde per terra, si spense. Il più grande missionario della Chiesa cattolica morì nella povertà più desolata. Ma le sue mani avevano battezzato settantamila indigeni. Avevano aperto al Cristianesimo le porte dell‟India, del Giappone, dell‟Indonesia. Aveva appena quarantasei anni.

2. MARTINO di TOURS

Fuori d’Italia, il monachismo di tipo prebenedettino ebbe un incremento grandioso

per merito di San Martino di Tours: è il santo di cui tutti ricordano che, ancora cate-

cumeno, ebbe la ventura di donare metà del suo mantello a Cristo stesso, nascosto

sotto la figura d’un mendico, tremante di freddo.

Avventurosa, la vita di Martino. Era nato nella Pannonia, a Sabaria, verso il 315.

Il padre, ch’era tribuno militare, alla fine della carriera si stabilì con la famiglia a

Pavia. Martino avrebbe voluto dedicarsi alla vita solitaria; ma il padre, ch’era pagano,

volle che egli compisse il servizio militare fra i cavalieri. Per questo fu inviato nelle

Gallie, dove era destinato a trascorrere la parte più cospicua della sua vita e a

compiere un’opera tanto importante.

Ricevuto il battesimo e abbandonata la milizia, Martino si ritirò a Poitiers, dove si

sarebbe incontrato col grande vescovo Ilario.

Durante l’esilio di Ilario nella Frigia, Martino fece opera di missionario.

Tornato a Poitiers e datesi a vita ascetica, acquistò grande fama per la sua santità e

per i miracoli compiuti. Per questo fu eletto vescovo di Tours, verso il 371. Ma ciò

non valse a fargli abbandonare la vita monastica, che egli seppe conciliare con lo zelo

pastorale e missionario più ardente.

Morì nel 397, a Candes, un villaggio della campagna di Tours. La salma del grande

vescovo-monaco venne scortata a Tours da un corteo di duemila monaci.

E’ il primo santo della cristianità dichiarato tale senza morire ucciso come martire.

Il famoso mantello di San Martino, fu conservato in un’apposita chiesa e custodito

dai sacerdoti di corte, come reliquia preziosissima.

Poiché il mantello latinamente si diceva “cappa”, la chiesa in cui era conservato si

disse “cappella” e i sacerdoti cui ne era affidata la custodia furono detti “cappellani”. 3. BONIFACIO

San Bonifacio, il cui vero nome era Vinfredo, fu il più grande missionario della

Germania, nacque verso il 673 a Crediodunum nell’Inghilterra sud-occidentale

(Wessex); non era di stirpe nobile.

Ebbe un’accurata educazione nelle abbazie benedettine di Exeter e Nhutscelle, fu

apprezzato maestro di sacre discipline nella scuola di queste abbazie.

Energico e intelligente, attaccato con entusiasmo alla causa della fede, nel 718 si recò

a Roma, dove il papa Gregorio II (715-31) lo munì di istruzioni e di facoltà per il

lavoro missionario tra i pagani della Germania ad oriente del Reno (15 maggio 719).

In quell’occasione ricevette il nome del martire romano Bonifacio.

Bonifacio lavorò dapprima per due-tre anni (719-21) a fianco dell’arcivescovo

Villibrordo, perfezionando presso di lui la sua vocazione missionaria. Dopo questo

lavoro si recò in una nuova zona di missione, che già a Roma era stata presa in

considerazione, cioè nell’Assia e nella Turingia (721).

L’inizio dell’opera di conversione fu molto promettente. Come racconta il suo

biografo, il sacerdote Villibaldo di Magonza, riuscì a battezzare dopo breve tempo

migliaia di pagani nell’Assia superiore ed inferiore e a ricondurre alla purezza della

fede cristiana gente già battezzata, ma che era ricaduta nel paganesimo.

Nel frattempo il papa Gregorio III (731-41) inviò a Bonifacio il pallio e lo innalzò alla

dignità di arcivescovo con l’autorità di consacrare vescovi per il territorio delle

missioni tedesche (732). Da questo momento incomincia per lui un lavoro

prevalentemente di organizzazione e di riforma.

Ma egli fece ancora di più: non fu soltanto missionario ma anche uomo politico.

Comprese che soltanto una rigida organizzazione poteva dare al Cristianesimo garan-

zie di saldezza nei territori da poco convertiti, e fece propria la politica, già prevista da

Gregorio Magno, consistente nell’abbandono di Bisanzio da parte di Roma e

nell’avvicinamento alla nuova potenza dei Franchi.

Nel ritorno dal suo terzo viaggio a Roma (737-38), Bonifacio in qualità di “Legato

della sede apostolica in Germania”, riorganizzò la chiesa di Baviera.

Poi costituì nel 741 una ”sede vescovile“ per l’Assia, per la Turingia settentrionale e

per quella meridionale (Franconia orientale), infine (sempre nel 741) per la Baviera

settentrionale, tra il Danubio e il Meno — zona che poco dopo (743) cadde sotto i

Franchi.

San Bonifacio morì martire, presso Dokkum, assalito durante un viaggio da predoni

pagani, il 5 giugno 754. Il suo corpo venne sepolto nella grande abbazia di Fulda,

fondata dal suo discepolo Sturm nel 744. La storia della conversione dei Sassoni segue

quella delle spedizioni condotte da Carlo Magno.

I PATRONI D’EUROPA:

Benedetto da Norcia

Cirillo e Metodio

BENEDETTO da NORCIA Una svolta decisiva nella storia del monachismo occidentale si verificò per merito di

San Benedetto da Norcia: egli è veramente l’organizzatore geniale, che raccoglie in

sintesi feconda gli elementi della tradizione orientale e occidentale, li plasma in nuova

unità, permeandoli dello spirito latino e propone un ideale di vita ascetica, fondato

sull’equilibrio e sulla giusta valutazione delle forze e delle esigenze individuali.

In tale senso la sua Regola è un vero capolavoro; per questo la sua Regola diede

l’impronta a tutto il monachismo occidentale.

Benedetto nacque presso Norcia da nobile famiglia, nel 480 d.C. La sorella gemella,

Scolastica, fin dai primi anni s’era dedicata all’ascetismo e Benedetto dovette subire il

fascino di quell’ideale.

Nella prima giovinezza rimase per qualche tempo a Roma, a completare la sua

formazione culturale. Ma l’ambiente romano e studentesco lo disgustò.

Perciò si ritirò ad Affile (a sud di Roma), nella bramata solitudine. Ma ben presto la

fama di quel solitario si diffuse fra le popolazioni e Benedetto, per evitare quella

pericolosa distrazione, fissò la sua dimora in una caverna, nei pressi di Subiaco.

Benedetto, in quel tempo era ben lontano dall’ideale cenobitico. Tuttavia Dio lo guidò,

attraverso circostanze significative, proprio a quella forma di vita.

La prima prova fu scoraggiante: chiamato a dirigere, in seguito alla morte dell’abate, il

monastero di Vicovaro, in cui spirito e disciplina erano assai rilassati. Benedetto tentò

con ogni mezzo di riportarlo a più alto livello spirituale. Ma non vi riuscì, anzi alcuni

monaci avrebbero tentato di avvelenarlo.

Tornato alla solitudine, venne presto circondato da molti discepoli. Egli allora li distri-

buì in dodici monasteri, sparsi nella valle dell’Aniene. Questa volta l’opposizione gli

venne da un sacerdote del luogo. Perciò Benedetto si diresse verso la Campania.

Verso l’anno 529 egli fondò, sul monte ch’è presso Cassino, quel monastero che

rispecchiava l’ideale di tutti i monasteri da lui sognati: Montecassino.

Montecassino ben presto divenne potente centro di spiritualità, potente centro di

irradiazione e di attrazione. Là, sul “ monte santo ”, sul “ nuovo Sinai ”, Benedetto

stese la Regola, in cui si traduceva il suo ardente ascetismo e il suo geniale spirito

organizzativo.

Si è soliti riassumere l’ordinamento della vita monastica benedettina nella formula:

Ora et labora. Infatti le due principali occupazioni del monaco sono la preghiera co-

mune, seguita dalla lettura dei testi sacri, e il lavoro.

L’autografo della Regola è andato perduto: trasportato a Roma, allorché Montecassino

fu distrutta dai Longobardi, tornò a quel monastero, ricostruito, nel 742; ma ne fu

nuovamente rimosso nell’anno 883, per l’assalto dei Saraceni; passato al monastero di

Teano, vi andò distrutto per un incendio nell’anno 896.

San Benedetto morì a Montecassino il 21 marzo del 547 (ma anche questa data è solo

approssimativa). Insieme con il suo culto, si andò rapidamente diffondendo il suo

spirito. E il suo influsso non sarebbe mai tramontato.

Appendice: IL MONACHESIMO Esaminato il monachismo nella sua formulazione esemplare, quella proposta e diffusa

da San Benedetto, possiamo ora considerarne i meriti.

* Il monachismo occidentale fu strumento permanente di elevazione spirituale: la vita

austera fu un richiamo perenne e un perenne esempio al popolo cristiano ed al clero;

* contribuì in maniera efficacissima alla diffusione del Vangelo fra i popoli

* e allo sviluppo economico e sociale dei popoli, prostrati dalle invasioni barbariche.

* L’abbazia inoltre è centro di attività agricola e industriale.

* I monaci svolsero un’opera preziosissima a difesa della cultura. Probabilmente San

Benedetto non intendeva comprendere nel “labora” l’attività scientifica. Ma ben presto

lo studio s’impose.

* L’attività scientifica dei monaci si sviluppò in varie direzioni; in particolare essi

diffusero la cultura istituendo scuole proprie (che spesso erano le uniche esistenti) e

dando vita ad un’importante produzione letteraria.

* Ma forse il loro merito maggiore, da questo punto di vista, fu quello di avere

salvato e trasmesso a noi il grande patrimonio della cultura classica: nelle

biblioteche dei monasteri furono conservati (mentre all’intorno si scatenava la furia

distruggitrice dei barbari), pazientemente trascritti sulle costose pergamene, i grandi

capolavori della letteratura antica.

Così, quegli oscuri eroi dello spirito e della cultura, a prezzo di pazienza e di sacrifìcio,

preparavano la rinascita della civiltà europea. CIRILLO e METODIO L’apostolato missionario della Chiesa orientale presso i popoli slavi trova la sua

massima espressione nell’opera dei due fratelli San Cirillo (conosciuto anche come

Costantino) e San Metodio, discendenti da nobile famiglia tessalonicese.

Il primo, più noto con il suo nome di religione Cirillo, era presbitero e “filosofo“, cioè

dotto e maestro, a Costantinopoli; l’altro era monaco e abate del suo monastero presso

Cizico.

Dietro richiesta del principe Ratislao (846-70), il quale per motivi politici si era rivolto

in quel tempo a Costantinopoli, gli “Apostoli degli Slavi” vennero. mandati nell’863

dall’imperatore Michele III (842-67) e dal patriarca Fozio nella Moravia, dove sino a

quel tempo avevano lavorato missionari bavaro-franchi.

I loro notevoli successi sono dovuti alla traduzione della S. Scrittura e dei testi liturgici

(secondo il rito romano) nella lingua popolare slava (il cosiddetto slavo ecclesiastico,

un dialetto macedonico-bulgaro).

A questo scopo Costantino creò anche una propria scrittura slava, la cosiddetta

glagolica (cirillica), che si accostava alla greca (da “gla-gol = egli disse”, espressione

molto frequente nelle versioni dei Vangeli).

Dopo 3-4 anni di lavoro i missionari, invitati dal papa Niccolò I (858-67), si recarono a

Roma per fare una relazione e per portarvi le reliquie di s. Clemente, trovate a quanto

pare nel Chersoneso.

Costantino-Cirillo morì poco dopo (869) in un monastero di Roma.

Metodio, nominato da Adriano II (867-72) arcivescovo della Pannonia (Sirmium) e

legato pontificio, ritornò nella sua terra di missione e continuò con successo il suo

lavoro.

Venne però perseguitato accanitamente dall’arcivescovo di Salisburgo e dai vescovi di

Passavia e di Frisinga, i quali consideravano la Pannonia come un loro dominio.

Dopo lunghe trattative il papa Giovanni VIII permise la liturgia slava (880).

Però dopo la morte di Metodio (885), Stefano V la proibì di nuovo (885); i suoi

seguaci dovettero abbandonare la Moravia.

La lingua ecclesiastica slava venne accolta per qualche tempo anche in Boemia e in

modo stabile presso, i Bulgari, i Serbi e i Russi, mentre andò in disuso nella sua patria

d’origine.

LE PATRONE D’EUROPA:

Brigida di Svezia

Caterina da Siena

Edith Stein

BRIGIDA di Svezia Brigida, nacque da famiglia aristocratica nel 1303 a Finsta, nella regione svedese di

Uppland.

La prima parte della sua vita fu quella di una laica felicemente sposata con un pio

uomo dal quale ebbe 8 figli.

Senza lasciarsi fuorviare dalle condizioni di benessere del suo ceto sociale, ella visse

col marito Ulf un’esperienza di coppia in cui l’amore sponsale si coniugò con la

preghiera intensa, con lo studio della Sacra Scrittura, con la mortificazione, con la

carità. Insieme fondarono un piccolo ospedale, dove assistevano frequentemente i

malati. Brigida poi era solita servire personalmente i poveri. Al tempo stesso, fu

apprezzata per le sue doti pedagogiche, che ebbe modo di esprimere nel periodo in

cui fu richiesto il suo servizio alla corte di Stoccolma. Da questa esperienza

matureranno i consigli che in diverse occasioni darà a principi e sovrani per la retta

gestione dei loro compiti. Ma i primi a trame vantaggio furono ovviamente i figli, e

non a caso una delle figlie, Caterina, è venerata come Santa.

Il pellegrinaggio che fece col marito Ulf a Santiago di Compostela nel 1341 chiuse

simbolicamente questa fase, preparando Brigida alla nuova vita che iniziò qualche

anno dopo quando, con la morte dello sposo, avvertì la voce di Cristo che le affidava

una nuova missione, guidandola passo passo con una serie di grazie mistiche

straordinarie.

Lasciata la Svezia nel 1349, Brigida si stabilì a Roma, sede del Successore di Pietro.

Il trasferimento in Italia costituì una tappa decisiva per l’allargamento non solo

geografico e culturale, ma soprattutto spirituale, della mente e del cuore di Brigida.

Molti luoghi dell’Italia la videro ancora pellegrina, desiderosa di venerare le reliquie

dei santi.

L’ultimo pellegrinaggio, compiuto fra il 1371 e il 1372, la portò a varcare il

Mediterraneo, in direzione della Terra santa, permettendole di abbracciare

spiritualmente oltre i tanti luoghi sacri dell’Europa cattolica, le sorgenti stesse del

cristianesimo

In realtà, più ancora che attraverso questo devoto pellegrinare, fu con il senso

profondo del mistero di Cristo e della Chiesa che Brigida si rese partecipe della

costruzione della comunità ecclesiale, in un momento notevolmente critico della sua

storia. Speciali carismi di rivelazione, la resero un punto di riferimento per molte

persone della Chiesa del suo tempo. Talvolta i suoi toni sembrano un’eco di quelli

degli antichi grandi profeti. Ella parla con sicurezza a principi e pontefici, svelando i

disegni di Dio sugli avvenimenti storici. Non risparmia ammonizioni severe anche in

tema di riforma morale del popolo cristiano e dello stesso clero.

Ella si presenta come una testimone significativa dello spazio che può avere nella

Chiesa il carisma vissuto in piena docilità allo Spirito di Dio. In particolare, poi,

essendosi le terre scandinave, patria di Brigida, distaccate dalla piena comunione con

la sede di Roma nel corso delle tristi vicende del secolo XVI, la figura della Santa

svedese resta un prezioso “legame” ecumenico, rafforzato anche dall’impegno in tal

senso svolto dal suo Ordine.

CATERINA DA SIENA Nata a Siena nel 1347, fu favorita sin dalla prima infanzia di straordinarie grazie che

le permisero di compiere, sulla via spirituale tracciata da san Domenico, un rapido

cammino di perfezione tra preghiera, austerità e opere di carità.

Aveva vent’anni quando Cristo le manifestò la sua predilezione attraverso il mistico

simbolo dell’anello sponsale. Era il coronamento di un’intimità maturata nel

nascondimento e nella contemplazione, grazie alla costante permanenza, pur al di

fuori delle mura di un monastero, entro quella spirituale dimora che ella amava

chiamare la “cella interiore”.

Molti si raccolsero intorno a lei come discepoli, riconoscendole il dono di una

spirituale maternità. Le sue lettere si diramarono per l’Italia e per l’Europa stessa. La

giovane senese entrò con piglio sicuro e parole ardenti nel vivo delle problematiche

ecclesiali e sociali della sua epoca. Instancabile fu l’impegno che Caterina profuse

per la soluzione dei molteplici conflitti che laceravano la società del suo tempo. La

sua opera pacificatrice raggiunse sovrani europei quali Carlo V di Francia, Carlo di

Durazzo, Elisabetta di Ungheria, Ludovico il Grande di Ungheria e di Polonia,

Giovanna di Napoli. Significativa fu la sua azione per riconciliare Firenze con il Papa.

Additando “Cristo crocifisso e Maria dolce” ai contendenti, ella mostrava che, per

una società ispirata ai valori cristiani, mai poteva darsi motivo di contesa tanto grave

da far preferire il ricorso alla ragione delle armi piuttosto che alle armi della ragione.

Ai re ricordava che non potevano governare come se il regno fosse loro “proprietà”:

consapevoli di dover rendere conto a Dio della gestione del potere, essi dovevano

piuttosto assumere il compito di mantenervi “la santa e vera giustizia”, facendosi

“padri dei poveri” (cfr. Lettera n. 235 al Re di Francia). L’esercizio della sovranità

non poteva infatti essere disgiunto da quello della carità, che è insieme anima della

vita personale e della responsabilità politica (cfr. Lettera n. 357 al re d’Ungheria).

Con la stessa forza Caterina si rivolgeva agli ecclesiastici di ogni rango, per chiedere

la più severa coerenza nella loro vita e nel loro ministero pastorale. Fa impressione il

tono libero, vigoroso, tagliente, con cui ella ammonisce preti, vescovi, cardinali.

Occorreva sradicare - ella diceva - dal giardino della Chiesa le piante fradicie

sostituendole con “piante novelle”.

E forte della sua intimità con Cristo, la santa senese non temeva di indicare con

franchezza allo stesso Pontefice, che amava teneramente come “dolce Cristo in terra”,

la volontà di Dio che gli imponeva di sciogliere le esitazioni dettate dalla prudenza

terrena e dagli interessi mondani, per tornare da Avignone a Roma, presso la tomba

di Pietro.

Con altrettanta passione, Caterina si prodigò poi per scongiurare le divisioni che

sopraggiunsero nell’elezione papale successiva alla morte di Gregorio XI: anche in

quella vicenda fece ancora una volta appello con ardore appassionato alle ragioni

irrinunciabili della comunione. Era quello l’ideale supremo a cui aveva ispirato tutta

la sua vita spendendosi senza riserva per la Chiesa. Sarà lei stessa a testimoniarlo ai

suoi figli spirituali sul letto di morte:

“Tenete per fermo, carissimi, che io ho dato la vita per la santa Chiesa”.

TERESA BENEDETTA DELLA CROCE(Edith Stein) Era nata nel 1891 in una famiglia ebraica di Bresiau, allora territorio tedesco. L‟interesse da lei sviluppato per la filosofia, abbandonando la pratica religiosa cui pur era stata iniziata dalla madre, avrebbe fatto presagire più che un cammino di santità, una vita condotta all‟insegna del puro “razionalismo”. Ma la grazia la aspettava proprio nei meandri del pensiero filosofico. Fu in questa tensione di ascolto che ella si incontrò, da una parte con le testimonianze dell‟esperienza spirituale cristiana offerte da santa Teresa d‟Avila e da altri grandi mistici, dei quali divenne discepola ed emula, dall‟altra con l‟antica tradizione del pensiero cristiano consolidata nel tomismo. Su questa strada ella giunse dapprima al battesimo e poi alla scelta della vita contemplativa nell‟ordine carmelitano. Tutto si svolse nel quadro di un itinerario esistenziale piuttosto movimentato, scandito, oltre che dalla ricerca intcriore, anche da impegni di studio e di insegnamento, che ella svolse con ammirevole dedizione. Particolarmente apprezzabile, per i suoi tempi, fa la sua militanza a favore della promozione sociale della donna e davvero penetranti sono le pagine in cui ha esplorato la ricchezza della femminilità e la missione della donna sotto il profilo umano e religioso (cfr. E. Stein, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia). L‟incontro col cristianesimo non la portò a ripudiare le sue radici ebraiche, ma piuttosto gliele fece riscoprire in pienezza. Questo tuttavia non le risparmiò l‟incomprensione da parte dei suoi familiari. Soprattutto le procurò un dolore indicibile il dissenso della madre. In particolare, ella fece propria la sofferenza del popolo ebraico, a mano a mano che questa si acuì in quella feroce persecuzione nazista che resta, accanto ad altre gravi espressioni del totalitarismo, una delle macchie più oscure e vergognose dell‟Europa del nostro secolo. Sentì allora che, nello sterminio sistematico degli ebrei, la croce di Cristo veniva addossata al suo popolo e visse come personale partecipazione ad essa la sua deportazione ed esecuzione nel tristemente famoso campo di Auschwzitz-Birkenau. Il suo grido si fonde con quello di tutte le vittime di quella immane tragedia, unito però al grido di Cristo, che assicura alla sofferenza umana una misteriosa e perenne fecondità. La sua immagine di santità resta per sempre legata al dramma della sua morte violenta, accanto ai tanti che la subirono con lei. E resta come annuncio del vangelo della Croce, con cui ella si volle immedesimare nel suo stesso nome di religiosa. Noi guardiamo oggi a Teresa Benedetta della Croce riconoscendo nella sua testimonianza di vittima innocente la protesta levata contro tutte le violazioni dei diritti fondamentali della persona. Dichiarare Edith Stein compatrona d‟Europa significa porre sull‟orizzonte del vecchio Continente un vessillo di rispetto, di tolleranza, di accoglienza, che invita uomini e donne a comprendersi e ad accettarsi al di là delle diversità etniche, culturali e religiose.

CRONOLOGIA ESSENZIALE DELLA VITA E DELLE OPERE 1891 - II 12 ottobre nasce Edith Stein a Breslavia, l'attuale Wroclaw, in una famiglia di commercianti ebrei. Nel calendario ebraico è la festa dello Yom Kippur, il giorno dell'Espiazione.

1908-11 - Frequenta il liceo femminile a Breslavia. Perde la fede e si dichiara atea.

1911 - Si iscrive all'università di Breslavia. Segue corsi di germanistica, filosofia e psicologia.

1913 - Si trasferisce all'università di Gottinga per seguire le lezioni di Edmund Husserl e frequentare il circolo dei fenomenologi.

1915 - Supera cum laude l'abilitazione all'insegnamento. Presta servizio come crocerossina in un ospedale militare in Austria.

1916 - Si laurea summa cum laude in filosofia discutendo con il professor Edmund Husserl una tesi sul problema della Einftihiung (empatia-intuizione). Diventa assistente di Husserl all'università di Friburgo.

1920-23 - Tenta ripetutamente di accedere all'abilitazione per insegnare in facoltà, anche se la docenza è interdetta alle donne.

1921 - Si converte al cattolicesimo in seguito alla lettura della Vita di santa Teresa d'Avila.

1922 - Riceve il battesimo il 1° gennaio 1923-31 - Insegna lingua e letteratura tedesca al liceo femminile "Santa Maddalena" di Spira. Traduce in tedesco il diario e le lettere di J. Henry Newman e le Quaestiones disputatele de ventate di san Tommaso d'Aquino. Viaggia molto per tenere conferenze nelle associazioni cattoliche sul tema del "genio femminile" nella Chiesa e nella società.

1925 - Viene sollecitata dal gesuita padre Przywara, sua guida spirituale, a scrivere opere filoso-fiche personali. Scriverà Bine Vntersuchung uber den Staat (Una ricerca sullo Stato).

1932 - È docente all'Istituto superiore di pedagogia scientifica di Mùnster.

1933 - Sospesa dall'insegnamento perché non ariana, entra nel Carmelo di Colonia il 14 ottobre. Comincia a scrivere Aus dem Leben einer jùdi-schen Familie (Storia di una famiglia ebrea).

1934 - Vestizione religiosa, il 15 aprile. Nell'Ordine Carmelitano Edith sarà per sempre Teresa Benedetta della Croce.

1934-36 - Lavora a Endiiches und ewiges Sein (Essere finito ed Essere eterno).

1935 - Voti temporali, il 21 aprile.

1936 - Muore la madre, Auguste Stein, il 14 settembre. 1938 - Voti perpetui, il 21 aprile, venerdì santo. Il 27 aprile muore un'altra figura importante per la sua vita, il professor Edmund Husserl. Nella notte del 31 dic. è costretta a trasferirsi al Carmelo di Echt, in Olanda, per sfuggire alle SS.

1939 - Il 9 giugno scrive il suo testamento spirituale e si offre come "vittima di espiazione" per la salvezza del popolo ebraico, la Germania e la pace nel mondo.

1941 - Lavora a uno studio su san Giovanni della Croce: Kreuzeswissenschaft (La scienza della Croce - Scientia crucis).

1942 - D 2 agosto viene arrestata da due agenti delle SS, insieme alla sorella Rosa (convertitasi al cattolicesimo), e viene condotta nel campo di raccolta e smistamento di Westerbork. D 7 agosto viene deportata ad Auschwitz-Birkenau, dove morirà in una camera a gas il 9 dello stesso mese.

1962 - Apertura dei processi di beatificazione e canonizzazione a Colonia.

1978 - Pubblicazione del Decreto positivo sugli scritti della serva di Dio

1986 - "Positio" della causa "via martyrii", il 17 gennaio.

1987 - Beatificazione nel duomo di Colonia, il 1° maggio.

1998 - Canonizzazione in piazza san Pietro a Roma, l'11 ottobre.

CRISTIANI IN EUROPA

Divisioni con la Sede Apostolica di Roma ORTODOSSI I Cristiani delle province orientali dell’Impero Romano erano sempre stati restii a

riconoscere Roma come il centro della Chiesa. Erano stretti intorno alle Chiese di

Gerusalemme, di Antiochia, di Alessandria, di Costantinopoli e sentivano Roma

troppo lontana e slegata dai loro interessi. Gran parte della politica dei due Imperi

(Oriente e Occidente) divergeva e contribuiva ad aumentare il solco religioso.

In più Roma attraversava i secoli più bui della sua storia (il crollo dell’Impero

d’Occidente avvenne nel 476) mentre Costantinopoli godeva di una meravigliosa

rinascita e i suoi imperatori desideravano liberare i loro sudditi da ogni legame con

Roma, anche religioso).

Intorno all’anno 1050 i Cristiani d’Oriente, in una ennesima controversia con Roma,

dichiararono di non voler più prestare obbedienza al Papa di Roma. Era così nata la

Chiesa “Ortodossa” cioè della “Vera-Fede”. Tra le due Chiese non ci sono sostanziali

differenze in materia di “credo religioso”

LUTERANI Martin Lutero, figlio di un minatore, nacque a Eisleben, in Germania, nel 1483.

A 22 anni entrò in un convento di Agostiniani. A 25 era già professore di teologia

nell’Università di Wittenberg. Il 31 ottobre 1517 affisse alla porta della chiesa di

questa città 95 tesi con le quali esprimeva il suo pensiero in fatto di religione.

Quando il 15 giugno 1520 papa Leone X lanciò contro Lutero la scomunica, era

troppo tardi: la sua dottrina si era diffusa in gran parte della Germania e in diversi

altri Paesi d’Europa.

Nel 1529 l’imperatore Carlo V volle intervenire con la forza; i seguaci di Lutero non

solo non si sottomisero, ma protestarono energicamente (donde il nome che rimase di

“Protestanti”).

In Svizzera e Francia la “Riforma” (così venne chiamata la nuova Chiesa protestante)

ebbe ulteriori sviluppi per opera di personaggi come Giovanni Calvino e Ulrico

Zuinglio.

ANGLICANI Fu per opera di Enrico VIII, il secondo re della dinastia dei Tudor, che avvenne lo

“strappo” con Roma. Instaurò una monarchia quasi assoluta, destreggiandosi con

abilità nei confronti del Parlamento. Egli disconobbe il papa e il cattolicesimo

allorché si vide rifiutato dalla chiesa di Roma il permesso di divorziare dalla sua

prima moglie. Il papa Clemente VII lo scomunicò nel 1533. Lo stesso re divenne

l’iniziatore e il capo della nuova religione che si definì “Anglicana”.