Area programmazione e sviluppo del Territorio Servizio Patti territoriali e progetti U.E.
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progetti ed attivitàr per il territorio rurale
I CONTRIBUTI DEI RICERCATORI INEA ALLA RIVISTA Territori
SETTORI AGRICOLO E FORESTALE
Quali potenzialità per l’agricoltura nelle energie rinnovabili? di Annalisa Zezza e Stefano Fabiani
Foreste italiane: un Osservatorio dedicato allo studio delle funzioni attuali di Raoul Romano e Luca Cesaro
GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE
Bonifica idraulica, impianti e reti irrigue: da 150 anni insieme all’Italia di Raffaella Zucaro
Dossier - La valutazione del rischio di salinizzazione dei suoli nelle regioni meridionali. Scenari di degradazione dei suoli agrari e perdita di aree potenzialmente irrigue in Sicilia, Sardegna e Puglia di Rosario Napoli, Rosa Rivieccio, Pasquale Nino e Silvia Vanino
Risorse idriche e irrigazione nel Mediterraneo: una rete scientifica per divulgare pratiche sostenibili di Raffaella Zucaro
STRUMENTI DI SUPPORTO
Investimenti pubblici nel settore irriguo. Sigrian, un sistema di supporto alle decisioni per la programmazione nazionale di Raffaella Zucaro
Il valore di mercato dei terreni agricoli italiani: la rilevazione 2009 attraverso le aziende della rete RICA di Concetta Cardillo, Giuliano Gabrieli, Massimo Gioia e Franco Mari
POLITICHE DI GESTIONE DEL TERRITORIO
Progettazione integrata: un laboratorio per lo sviluppo di innovazione nelle aree rurali di Serena Tarangioli
Riforma della Politica Agricola Comune e regionalizzazione dei pagamenti diretti di Carmela De Vivo, Roberto Henke e Maria Rosaria Pupo D’Andrea
Spesa pubblica in agricoltura, uno strumento per l’analisi delle politiche. La centralità dell’analisi dei dati per il governo del federalismo fiscale di Lucia Briamonte
RISCHIO IN AGRICOLTURA
Prodotti fitosanitari e ambiente coltivato: cosa cambia in Italia con le nuove regole europee? di Antonella Pontrandolfi e Giuliana Nizza
Andamento climatico e territorio rurale: quali strumenti di gestione del rischio? di Antonella Pontrandolfi
Indice progetti ed attivitàerper il territorio rurale
IntroduzioneIl presente lavoro raccoglie i contributi relativi ad attività e progetti dell’INEA pubblicati nel
corso degli ultimi due anni sulla rivista Territori edita da Editrice Compositori (bimestrale dedicato a valutazione, programmazione e gestione delle risorse ambientali), che hanno come filo conduttore la gestione del territorio agricolo e forestale. Questi contributi focalizzano l’attenzione su varie aree tematiche afferenti ad altrettante aree di ricerca realizzate dall’INEA, eterogenee ma complementari.
Un primo set di contributi ha analizzato le potenzialità dei settori agricolo e forestale, valutate alla luce dell’uso di energie rinnovabili in agricoltura, con la produzione di bioagro-energie e la riduzione di emissioni di gas serra ed ha descritto le attività afferenti all’Osservatorio Foreste istituito presso l’INEA, a supporto del MiPAAF in tale ambito per l’attuazione dei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR).
La gestione delle risorse idriche e dell’irrigazione, di importanza fondamentale per lo sviluppo agricolo del territorio, è stata affrontata in ambito nazionale ed estero. In particolare, è descritta l’attività storica di bonifica del territorio italiano, celebrata in occasione della ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia con la pubblicazione dell’Atlante Nazionale dell’Irrigazione INEA, nonché la tematica della salinizzazione dei suoli nelle regioni meridionali a causa dell’uso indiscriminato dell’emungimento dai pozzi, con l’identificazione di future aree di espansione e potenziamento delle reti irrigue, lì dove gli impatti provocati delle acque irrigue saline sono più incisivi. In ambito estero si riportano attività di cooperazione con i Paesi del Mediterraneo quali la Palestina, la Siria e la Giordania avviati da protocolli di intesa per lo scambio di ricerca e informazione su tematiche specifiche quali il riutilizzo irriguo dei reflui depurati e gli investimenti irrigui.
Essenziale è il contributo prestato alle attività descritte da strumenti di supporto come il sistema informativo SIGRIAN (Sistema informativo nazionale per la gestione delle risorse idriche in agricoltura) e la banca dati RICA (Rete di Informazione Contabile Agricola), soprattutto al fine delle valutazioni sugli investimenti infrastrutturali pubblici per il settore irriguo e della rispondenza dei risultati tratti dalle più rappresentative aziende agricole italiane alle quotazioni del mercato fondiario nazionale dei terreni.
L’importanza delle politiche di gestione del territorio ha indirizzato le attività di ricerca in filoni specifici quali la progettazione integrata, utile soprattutto per lo sviluppo delle aree rurali, e l’applicazione della nuova PAC a livello regionale, a partire dalle elaborazioni basate sui dati della RICA, concentrando le attività sull’ipotesi di regionalizzazione dei pagamenti diretti. L’INEA si è occupata inoltre del monitoraggio della spesa pubblica in agricoltura, analizzando le dinamiche della spesa e l’impatto delle relative politiche sul territorio.
Ruolo significativo, infine, ha assunto nello sviluppo delle attività di ricerca la tematica del rischio in agricoltura, analizzato e approfondito secondo diversi aspetti, legati cioè all’applicazione della direttiva comunitaria sui prodotti fitosanitari ed agli strumenti per la gestione delle condizioni climatiche di rischio nelle produzioni agricole.
a cura di Progetti ed attivitàper il territorio rurale
Quali potenzialità per l’agricoltura nelle energie rinnovabili? di Annalisa Zezza e Stefano Fabiani
Il contesto di riferimento
Il settore delle energie provenienti
da fonti rinnovabili è di assoluta at-
tualità in un contesto come quello
odierno che mira a ridurre sensibil-
mente la dipendenza dai combusti-
bili fossili e le emissioni di anidride
carbonica. Le fonti energetiche rin-
novabili, secondo l’art. 2 del Dlgs
387/03, sono definite come: «le
fonti energetiche non fossili (eo-
lica, solare, geotermica, del moto
ondoso, maremotrice, idraulica,
biomasse1, gas di discarica, gas re-
siduati dai processi di depurazione
e biogas)».
La sempre maggiore attenzione
alle energie rinnovabili in termini
di strategia di politica europea ed
internazionale, va ricercata negli
obiettivi strategici per garantire da
un lato la sicurezza nell’approvvi-
gionamento energetico, dall’altro
la lotta al cambiamento climatico.
Mentre la sicurezza energetica di
ciascun paese è perseguita attra-
verso la riduzione della vulnerabi-
lità del deficit energetico ed attra-
verso la ricerca di fonti alternative
al petrolio ed al gas naturale come
fonti energetiche primarie, la lotta
al cambiamento climatico è affron-
tata con diversi strumenti politici ed
accordi internazionali, su tutti il Pro-
tocollo di Kyoto, nel quale i paesi in-
dustrializzati e quelli con economia
in transizione si sono impegnanti a
ridurre nel periodo di adempimento
2008-2012, del 5,2% i livelli di emis-
sioni dei principali gas con effetto
serra prodotti da attività antropiche
rispetto ai valori del 19902.
La sicurezza dell’approvvigionamen-
to energetico è fortemente legata
al petrolio ed alla volatilità del suo
1
la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti
e residui provenienti dall’agricoltura (com-
prendente sostanze vegetali e animali) e
dalla silvicoltura e dalle industrie connes-
se, nonché la parte biodegradabile dei ri-
fiuti industriali e urbani.2 burden sharing agreement comuni-
tario ha tradotto questo impegno a livello
italiano in un obiettivo di riduzione del
6,5% delle emissioni.
Territori n. 11/2012
prezzo. In molti casi il cambiamento di prezzo nell’arco di un determina-to periodo ha infatti determinato e determina effetti piuttosto signifi-cativi sul sistema economico, come l’innalzamento del livello di disoccu-pazione, alti livelli di inflazione e ri-duzione della fiducia degli operatori economici, comportando anche una crescente volatilità di tutti gli altri combustibili fossili, ed in particolare del gas naturale, che si trasmette sui prodotti energetici derivati, come l’energia elettrica.I principali scenari energetici ad oggi disponibili fanno riflettere sul reale mutamento della direzione di tendenza nella produzione di energia rispetto alle fonti utilizzate finora. Questo è quanto emerge in particolare dal World Energy Outlo-
ok Report 2011 dell’Agenzia Inter-nazionale dell’Energia (IEA), secon-do la quale il consumo di tutte le fonti fossili aumenterà, ma la loro percentuale sulla domanda globale di energia primaria diminuirà solo leggermente scivolando dall’81% nel 2010 al 75% nel 2035. Secondo lo scenario ipotizzato dall’IEA, il gas naturale è il solo combustibile fos-sile che aumenterà la sua quota nel settore energetico mondiale. La sicurezza dell’approvvigiona-mento energetico passerà quindi attraverso le fonti rinnovabili che dovrebbero registrare tra il 2009 ed il 2035 un notevole aumento, pari a circa il 15% della fornitura primaria di energia. Secondo le previsioni la Cina e l’Unione Europea partecipe-ranno per circa il 50% a tale crescita. Nel panorama descritto, l’Unione Europea (con la Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili) si è impegnata a ridurre di alme-no il 20% le emissioni di gas serra entro il 2020, portando al 20% la quota di fonti rinnovabili nel con-sumo energetico totale (obiettivo 20-20-20). In tale ambito si ritiene che l’agricoltura possa svolgere un ruolo fondamentale, con iniziative volte al contenimento dei consumi
energetici e degli impatti negativi sull’ambiente. Col PAN - Piano d’azione naziona-le per le energie rinnovabili, l’Italia ha definito il contributo delle varie fonti per conseguire gli obiettivi as-segnatici per il 2020 dalla citata Di-rettiva, ossia 17% di produzione da Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) sul consumo totale di energia e 10% sul consumo totale di carburanti (obiettivi ridefiniti verso l’alto con i nuovi decreti sulle rinnovabili).
L’agricoltura può giocare un ruolo determinante, mediante la pro-duzione di bioagroenergie e nella riduzione delle emissioni di GHG. Sebbene l’impresa agricola debba comunque essere indirizzata alla produzione di alimenti per i con-sumatori finali, il concetto di mul-tifunzionalità dell’impresa agricola coinvolge direttamente il settore della produzione di energie “pu-lite”. Ciò deve necessariamente avvenire nel rispetto del territorio e della sostenibilità dell’attività produttiva, creando un interazione tra ambiente, fonti rinnovabili ed energia tale da consentire la crea-zione di una vera e propria filiera agro-energetica. Alcuni scenari3 stimano che il con-tributo attuale al bilancio energeti-co delle energie rinnovabili di origi-ne agricola sia intorno al 2,2% così suddivisi:biogas (dati CRPA 2010): 273 impianti “agricoli” (74 in costru-zione), per un totale di circa 150 MW istallati (per 750 GWh di produzione elettrica annua);biomasse solide (dati GSE 2008): 45 impianti per una potenza in-stallata di 450 MW (con produ-zione di 2746 GWh);fotovoltaico (dati GSE 2010) 300.000 impianti presso struttu-re agricole, per la maggior parte sotto i 200 kW di potenza instal-lata, per un totale complessivo di circa 500 MW (fonte Fattorie del Sole).
Quello che ci si attende dal settore primario al 2020 (secondo l’ipotesi PAN), è un contributo energetico to-tale da biomasse per 5,67 Mtep (di cui 5,25 da biomasse solide, 0,26 da biogas e 0,15 da bioliquidi), mentre elaborazioni più recenti (Coldiretti – Ceta), parlano di un potenziale ener-getico aggiuntivo dell’agricoltura al 2020 stimabile in 11,504 Mtep e un contributo percentuale delle agroe-nergie rispetto al bilancio energetico nazionale al 2020 complessivamente dell’8% (pari alla somma dell’attuale 2,2% con la quota di espansione po-tenziale del 5,9%) con emissioni di CO
2 evitata (al 2020) di 26,37 Mt/
anno ed un impatto occupazionale intorno alle 100.000 unità. Pertanto, secondo quest’ultima ipotesi, il tota-le di energia rinnovabile prodotta del settore agricolo al 2020 sarebbe pari alla somma tra i 4,3 Mtep attuali e i 11,50 Mtep potenziali stimati, per un totale di 15,80 Mtep. Per quanto riguarda le superfici in-teressate al processo energetico, si stimano potenzialmente utilizzabili per biomasse combustibili i 10,7 milioni di ettari di boschi italiani, i 70 mila ettari di colture dedicate specificamente alle biomasse, 6,7 milioni di ettari di residui da colture agricole5 e 360 mila ettari di colture da biocarburante.
L’agroenergia è, quindi, un’oppor-tunità di fondamentale importanza per le imprese agricole, ma deve essere accompagnata da interven-ti mirati per renderla accessibile a tutti gli agricoltori, semplificando le procedure autorizzative e defi-nendo livelli di incentivazione ade-guati, riconoscendo ad esempio, la maggiore sostenibilità economica e compatibilità ambientale per gli impianti agricoli alimentati da biomasse di origine locale o prove-nienti da filiere corte e premiando maggiormente la cogenerazione ri-spetto alla sola produzione di ener-gia elettrica.
3
4
alla produzione attuale può essere così ri-
partita per settori: 1,08 Mtep dalle fonti
fisiche (solare, fotovoltaico, eolico, geo-
termico e idroelettrico); 7,65 Mtep dalle
biomasse combustibili (di cui 5,2 Mtep
dalla biomassa legnosa forestale e fuori
foresta, 0,4 Mtep da colture erbacee de-
dicate, 1,75 Mtep dalla biomassa residuale
– cereali, frutta/agrumi, olivicoltura e vite
– 0,29 dai reflui e residui per la produzio-
ne di biogas, 0,01 dai residui avicoli; 2,78
Mtep dai biocarburanti, (0,89 dal bioeta-
nolo e 1,89 dal biodiesel).5
vite, altre colture da frutto, ecc.
Progetti ed attivitàper il territorio rurale
a cura di
L’INEA nell’ambito delle attività di ricerca del Servizio Ambiente e ri-sorse naturali in agricoltura, si oc-cupa da sempre dei temi legati alla sostenibilità ambientale ed econo-mica delle attività agricole. Nello specifico sono attualmente in es-sere diversi progetti di ricerca e as-sistenza tecnica in tema di energie rinnovabili, tra cui il Progetto Atti-vità di assistenza tecnica e suppor-
to ai fini della progettazione e della
più efficiente ed efficace attuazione
degli accordi di programma quadro affidato all’INEA dal Commissariato ad acta per le Opere ex Agensud, e la Convenzione INEA/GSE relati-va ai Servizi di consulenza tecnico specialistica per il supporto tecnico
amministrativo alla gestione delle
domande di ammissione al Conto
Energia. Nell’ambito del primo progetto di assistenza tecnica, in particolare al-la relativa al Contenimento dei con-
sumi energetici e uso di fonti ener-
getiche rinnovabili, sono allo studio misure destinate ad incentivare il risparmio energetico all’interno dei sistemi irrigui di distribuzione consortile; individuare e divulgare forme di utilizzo di energie alterna-tive da proporre a Consorzi di Boni-
fica e Regioni; fornire strumenti di valutazione di nuovi progetti sulle fonti energetiche alternative. A questo proposito va rilevato che i consumi energetici costituiscono una voce di costo rilevante anche per i Consorzi, probabilmente de-stinata ad aumentare in funzione della crescita delle quotazioni del greggio. In questo contesto opera-tivo, sono state realizzate una serie di iniziative volte a comprendere le reali esigenze dei Consorzi di Bo-nifica riguardo alla gestione della componente energia.In particolare si è agito su due linee di attività. Da un lato, per quanto riguarda gli aspetti gestionali, è sta-ta avviata un’attività di formazione e aggiornamento sull’efficienza energetica, nell’ambito della quale sono stati affrontati i temi dell’ot-timizzazione nella gestione delle performance degli impianti irrigui, proponendo soluzioni di audit e controllo della resa degli stessi e sono stati approfonditi gli aspetti legati alle forniture elettriche, al-la contrattualistica ed alle diverse forme negoziazione e gestione dei rapporti con i fornitori, alla luce delle opportunità presenti nel mer-cato libero dell’energia elettrica. Da tale attività è emersa l’esigenza da parte dei Consorzi di monitorare
le prestazioni degli impianti con si-stemi automatizzati anche semplici ed economici, al fine di ottenere risparmi in termini di costi di ma-nutenzione straordinaria e gestione ordinaria. È emerso, inoltre, che in molti casi i Consorzi potrebbero ot-tenere risparmi considerevoli sulle bollette – nell’ordine anche del 20-25% delle spese complessive – sem-plicemente scegliendo un nuovo fornitore, sulla base delle proprie specifiche esigenze di consumo.Il secondo filone di attività è stato orientato alla valutazione del po-tenziale di impiego di energie rin-novabili, per esplorare la possibilità dei Consorzi, sempre nell’ottica del contenimento dei costi e dei consu-mi energetici, di divenire a tutti gli effetti produttori di energia e non solo consumatori. A tal fine, sono state avviate indagini conoscitive mediante questionario, che hanno consentito di rilevare la dimensio-ne ed il peso della componente energetica nella gestione consorti-le. Da tale attività è emerso che i Consorzi di Bonifica sono sensibili all’ottimizzazione della gestione della componente energia e lo so-no ancor di più in riferimento alla possibilità di realizzare interven-ti volti alla produzione propria di energia fonti rinnovabili. Con riferimento alla convenzione con GSE, l’attività prevede l’istrut-toria tecnico-aministrativa delle domande di ammissione ai finan-ziamenti previsti dal Conto energia per il fotovoltaico. Infatti, il fotovoltaico è stato il vero traino dello sviluppo delle rinnova-bili in Italia, soprattutto in virtù di incentivi particolarmente favore-voli; l’INEA quindi ha predisposto un’apposita struttura operativa composta da un gruppo di lavoro qualificato con esperti del settore elettrico, delle energie rinnovabili ed in particolare del fotovoltaico. Sono state organizzate delle gior-nate formative sui temi descritti ed è stato predisposto un portale web cui i valutatori hanno accesso per
gestire ed effettuare la valutazione delle varie casistiche fino alla pro-duzione dell’esito finale.L’importanza del supporto tecnico-amministrativo al GSE viene dalla complessità e dalla difficoltà di gestione per la crescita improvvisa del fotovoltaico, in particolare nel settore agricolo, che come noto, è stato oggetto anche di speculazioni finanziarie, in particolare riguardo all’acquisto di terreni agricoli per la realizzazione di grandi impianti da parte di soggetti estranei al setto-re. Lo scenario è tuttavia radical-mente mutato con i nuovi decreti sulle rinnovabili e con il V Conto Energia (agosto 2012).
Uno degli elementi centrali nella lotta ai cambiamenti climatici da parte dell’Unione Europea è rap-presentato da una specifica strate-gia di sostenibilità nel settore dei trasporti, attraverso l’impiego di biocarburanti, insieme all’utilizza-zione di veicoli più efficienti e alla diffusione di forme alternative di trasporto pubblico e privato (CE, 2006). Tale politica si è concretiz-zata con l’approvazione delle diret-tive del Parlamento Europeo e del Consiglio 2009/28/CE sulla promo-zione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (RED) e 2009/30/CE che modifica la direttiva 98/70/CE per quanto riguarda le specifiche rela-tive a benzina, combustibile diesel e gasolio e introduce un meccani-smo inteso a controllare e ridurre le emissioni di gas a effetto serra.La crescita del commercio interna-zionale di biocarburanti, che ap-pare un’ovvia conseguenza degli obiettivi di consumo dei principali paesi industrializzati ha stimolato un acceso dibattito (OECD-FAO, 2007) sulla loro sostenibilità a li-vello ambientale e sociale. Ciò si è tradotto in un vasto numero di azioni politiche e tecniche, volte a definire ed attuare sistemi di certi-ficazione di sostenibilità. L’INEA ha
Territori n. 11/2012
recentemente pubblicato una mo-nografia per fare il punto sullo sta-to di applicazione della RED e sulle problematiche aperte. Dopo una breve panoramica sull’andamento del mercato comunitario – produ-zione, importazioni, consumi – l’a-nalisi si soffermerà sulle principali questioni attualmente dibattute, ovvero l’implementazione degli standard di sostenibilità, la proble-matica relativa agli effetti indiretti dei cambiamenti nell’uso dei suoli e, infine, le prospettive aperte dai biocarburanti di seconda genera-zione (Zezza, 2012).L’INEA partecipa, in qualità di re-sponsabile delle Unità Operative Economia, in tre progetti di ricerca sui biocarburanti finanziati dal Mi-nistero delle Politiche Agricole, Fo-restali e della Pesca, sulle seguenti linee di ricerca: – ottimizzazione delle filiere esi-stenti avvalendosi della ricerca agronomica e genetica e della LCA (Life Cycle Assessment) per un corretto confronto tra le op-zioni e per l’individuazione e l’e-liminazione dei punti critici a par-tire da quelli riguardanti la soste-nibilità economica e ambientale dei processi; – sviluppo di filiere produttive in alternativa alle attuali per l’ot-tenimento dei biocarburanti di seconda generazione basati su nuove tecnologie di processo e sull’utilizzazione come materia prima di substrati lignocellulosici che possono essere indifferente-mente biomasse residuali o col-ture dedicate; – sviluppo nella filiera del biodiesel di programmi specifici per il recu-pero dei sottoprodotti.
Il progetto Ottimizzazione delle fi-
liere bioenergetiche esistenti per
una sostenibilità economica e am-
bientale (BIOSEA) (svolto in parte-nariato con le Università di Bolo-gna, di Padova, di Pisa e di Catania ed il CRA) prevede specifiche azioni in campo agronomico e di ricerca industriale per lo sviluppo di filie-
re agro-energetiche sostenibili. La ricerca dell’unità operativa INEA mira a valutare la sostenibilità eco-nomica del processo di produzione agricola. La ricerca si propone di valutare inoltre l’efficienza, in ter-mini di costo relativo, delle filiere attuali e di quelle di seconda ge-nerazione nell’abbattimento delle emissioni. In particolare l’Istituto, sulla base dei costi di produzione rilevati attraverso la propria rete contabile, determinerà, per diverse tipologie aziendali e aree geografi-che, i costi di produzione delle col-ture oggetto di sperimentazione in altre unità operative del progetto e confrontati con quelle delle coltu-re tradizionalmente utilizzate per la produzione di bioetanolo e biodisel (grano, mais, barbabietola, olio di colza e di girasole). Sulla base di queste informazioni, verrà valuta-ta la competitività rispetto ad altre produzioni agricole, l’impatto in termini di emissioni e di domanda di altri fattori produttivi.Filiere innovative per la produzione
di biocarburanti di seconda genera-
zione da residui agricoli ed agroin-
dustriali e colture da biomassa
(BIOSEGEN) è il progetto svolto in partenariato con ENEA e CRA che ha l’obiettivo di analizzare la soste-nibilità economica ed ambientale della produzione dei biocarburanti da ligneocellulosa industriale di se-conda generazione. Nell’ambito del progetto è stato realizzato un da-tabase contenente informazioni su brevetti inerenti il settore dei bio-carburanti liquidi, denominato BIO-PAT. Il database è stato realizzato incrociando strumenti derivanti da diverse metodologie per la raccolta di dati brevettuali, strumenti atti a superare il problema della man-canza di classificazione merceolo-gica specifica con cui attualmente i brevetti vengono catalogati negli uffici preposti alla protezione della proprietà intellettuale. La metodo-logia utilizzata per la costruzione di BIOPAT sfrutta in modo combinato strumenti di text mining e valuta-
zione di esperti, grazie ai quali è stata definita una lista di parole chiavi successivamente utilizzata per l’interrogazione dei database degli uffici brevettuali. Infine, la metodologia è stata raffinata gra-zie alle informazioni derivanti da Green Inventory, database svilup-pato dallo UNFCC che fornisce un elenco di tutte le classi brevettuali riguardanti la produzione di tecno-logie verdi. Infine, il progetto Valorizzazione dei sottoprodotti della filiera del
biodiesel (EXTRAVALORE), coordi-nato dal prof. Riva dell’Università di Ancona, in partenariato con CRA ed Università di Pisa, ha l’obiettivo di individuare impieghi alternativi ai sottoprodotti della filiera corta del biodiesel (residui colturali di campo, panelli, altri sottoprodotti di estrazione e glicerina) caratteriz-zati da applicabilità diffusa sul ter-ritorio nazionale mediante proces-si e utilizzi finali idonei per elevate quantità di materia prima. L’unità operativa INEA sta procedendo alla valutazione della sostenibilità eco-nomica del processo di produzione del biodiesel in base all’andamen-to del mercato delle materie prime e alle possibilità di reimpiego dei sottoprodotti. La ricerca prevede l’analisi dei costi di produzione del
biodiesel ed in particolare della ma-teria prima agricola. La materia pri-ma costituisce, infatti, la principale voce di costo e presenta un’elevata variabilità legata alla competizione nell’allocazione della terra con al-tre colture destinate sia a uso ener-getico che ad altri usi. Inoltre, viene analizzata la potenziale incidenza sul valore complessivo del mercato dei sottoprodotti. Questi possono essere utilizzati come farine o pa-nelli nell’alimentazione animale (ottenuti nella fase di estrazione dell’olio), glicerina nell’industria chimica, o anch’essi nella produzio-ne di energia rinnovabile, mediante conversione in biogas o bioetanolo.
Il tema delle energie rinnovabili è, quindi, un argomento di notevole importanza nell’abito delle attività dell’Istituto in materia di ambien-te. In questo scenario emerge chia-ramente la centralità del sistema degli incentivi in vigore, in quanto essi, come noto, rappresentano il vero e proprio volano allo sviluppo delle rinnovabili.I recenti decreti hanno ridefinito il sistema degli incentivi per le rinno-vabili. In termini generali, l’obiettivo nazionale per le rinnovabili è stato rivisto verso l’alto, passando dal
Progetti ed attivitàper il territorio rurale
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26% previsto dal PAN al 32% e sono stati introdotti premi specifici desti-nati alle imprese agricole che realiz-zeranno impianti di piccola dimen-sione, impiegando sottoprodotti agricoli, in particolare per la produ-zione di biogas e la realizzazione di tecnologie in cogenerazione. Viene inoltre confermata la prio-rità agli interventi di generazione diffusa, basati sulla filiera corta, per ridurre l’impatto territoriale e aumentare il coinvolgimento del mondo agricolo. L’obiettivo dei nuovi decreti sulle rinnovabili è di cercare di ridurre il peso degli incentivi sui consumato-ri finali (gli incentivi vengono pagati sulle bollette elettriche), allinean-do i livelli Italiani a quelli degli altri paesi UE (tab 1).I nuovi Decreti apportano le modifi-che maggiori all’ambito fotovoltaico che finora ha guidato il boom del-le rinnovabili in Italia, grazie ad un sistema particolarmente premian-te che ne ha reso assolutamente conveniente l’impiego. Le riduzioni tariffarie dell’ultimo conto ener-gia arrivano in alcuni casi al 35% per impianti di 200kWp; è stato introdotto l’obbligo di iscrizione al registro degli impianti anche per i piccoli impianti (>12kWp) e sono stati stabiliti tetti annui di potenza e criteri di priorità per impianti tec-nologicamente avanzati. Riguardo al conflitto sull’acquisizione di ter-reni agricoli per la realizzazione di impianti a terra, è stata vietata l’in-centivazione per i pannelli in aree agricole a terra, consentendo solo l’istallazione su edifici rurali e serre.Anche riguardo agli altri settori – biomasse e biogas – incentivati dalla tariffa onnicomprensiva, sono
stati effettuati tagli consistenti: ad esempio, per un impianto di biogas 200kWp, si passerà dagli attuali 0,25 euro/kWh ai 0,18 del nuovo si-stema (-28%)6. Gli incentivi saranno più vantaggiosi per i piccoli impian-ti e diminuiranno al crescere della potenza prodotta, fino ad arrivare ad un sistema di aste al ribasso per le centrali oltre i 5 MWp.Anche qui è prevista l’iscrizione ad un registro gestito dal GSE dove gli impianti inferiori ai 50kWp di energia prodotta dovranno essere registrati per acceder all’incentivo, secondo una graduatoria ed in fun-zione dei tetti di potenza e disponi-bilità economica stabiliti.Il motto sembra quindi essere più agroenergie e meno incentivi a pioggia. Il tutto sarà ottenuto me-diante l’introduzione di un mecca-nismo premiale che valorizzerà i comportamenti virtuosi, rendendo meno gravoso il peso dei tagli ef-fettuati. Tuttavia il nuovo sistema non è esente da critiche e, come detto, da un lato favorirà il settore agricolo premiando la cogenera-zione, la filiera corta, l’uso di scarti agricoli e di effluenti zootecnici per la produzione di biogas, dall’altro stabilisce premi aggiuntivi per le riduzioni di GHG solo per grandi impianti (tra 1 e 5 MWp), di fatto escludendo il settore agricolo (per la dimensione media degli impian-ti) dalla possibilità di beneficiarne.
The increasing emphasis on renewable en-
ergies in terms of European and interna-
tional politicies, is to be found in the stra-
tegic objectives of ensuring the security of
energy supply on one hand, and fighting
against climate change on the other.
Agriculture can play an important role,
through the use of agro-energy, in the
reduction of GHG emissions. Although the
farms must be addressed to the produc-
tion of food for the end user, the concept
of multifunctionality of farm can not ig-
nore chance given by the production of
renewable energies.
INEA, in the context of Environment and
natural resources office, is fully involved
in studies related to environmental and
economic sustainability of agricultural
activities, both with research projects and
technical support to Institution in charge
for funding and management of energy
services.
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aprile 2009 sulla promozione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili, recante
modifica e successiva abrogazione delle
direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.
DECRETO LEGISLATIVO 3 marzo 2011, n.
28 “Attuazione della direttiva 2009/28/
CE sulla promozione dell’uso dell’ener-
gia da fonti rinnovabili, recante mo-
difica e successiva abrogazione delle
direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”.
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DECRETO 5 luglio 2012 “Attuazione
dell’art. 25 del decreto legislativo 3
marzo 2011, n. 28, recante incentivazio-
ne della produzione di energia elettrica
da impianti solari fotovoltaici (c.d. Quin-
to Conto Energia). (12A07629) (Suppl.
Ordinario n. 143)”.
DECRETO 6 luglio 2012 “Attuazione
dell’art. 24 del decreto legislativo 3
marzo 2011, n. 28, recante incentivazio-
ne della produzione di energia elettrica
da impianti a fonti rinnovabili diversi
dai fotovoltaici. (12A07628)(Suppl. Or-
dinario n. 143).
Decreto Legislativo 29 dicembre 2003,
n. 387 “Attuazione della direttiva
2001/77/CE relativa alla promozione
dell’energia elettrica prodotta da fon-
ti energetiche rinnovabili nel mercato
interno dell’elettricità” pubblicato nel-
la Gazzetta Ufficiale n. 25 del 31 genna-
io 2004 - Supplemento Ordinario n. 17.
Zezza A. (2012), Le politiche per la promo-
zione dell’energia rinnovabile: Stato di
applicazione della direttiva europea sui
biocarburanti, INEA, Roma.
www.gse.it
www.elren.net
www.rinnovabili.it
www.enea.it
www.aper.it
Annalisa Zezza è responsabile di progetti
sui biocarburanti e dell’ambito di ricerca
“Sostenibilità e qualità delle produzioni
agroalimentari”, del servizio “Ricerche
su ambiente ed uso delle risorse naturali
in agricoltura” dell’INEA, Roma.
Stefano Fagiani è responsabile del
progetto “Servizi di consulenza tecnico
specialistica per il supporto tecnico
amministrativo alla gestione delle
domande di ammissione al Conto
Energia” e del Servizio “Ricerche su
ambiente ed uso delle risorse naturali
in agricoltura” dell’INEA, Roma.
6
quasi fino al livello attuale con una serie di
premi aggiuntivi e bonus, ad esempio per
l’utilizzo di sottoprodotti (reflui zootecnici,
scarti agroindustriali, ecc.)
3 kW su edifici 352 110 152 224
200 kW su edifici 313 98 92 149
1MW a terra 236 89 92 112
Fonte: Elaborazioni INEA su dati Decreti Ministeriali su Incentivi per le Energie Rinnovabili Elettriche (2012)
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Il 27 gennaio scorso a Roma, nello sce-
nario storico e suggestivo della Sala
dello Stenditorio (Complesso monu-
mentale di S. Michele a Ripa), a ridos-
so dell’antico porto fluviale sul Teve-
re, si sono celebrati i 150 anni della
bonifica idraulica italiana e dell’irriga-
zione, su iniziativa del Ministero delle
politiche agricole, alimentari e fore-
stali. L’evento – ideato, organizzato e
realizzato dall’INEA – è nato dalla vo-
lontà di ricordare come, sin dal Risor-
gimento, la bonifica idraulica ed inte-
grale del Paese fossero indicate quali
priorità della nuova Nazione, al punto
da essere oggetto, durante il Regno
di Sardegna prima e durante il nuovo
Stato unitario dopo, di un grandioso
programma di interventi che hanno
reso fruibili e produttivi circa un terzo
delle pianure italiane.
In questo contesto, è stato pre-
sentato il nuovo Atlante Nazionale
dell’irrigazione realizzato dall’INEA
quale aggiornamento dello stato
delle conoscenze sul settore irriguo
avviato dalla “Carta nazionale delle
Irrigazioni”, pubblicata dall’Istituto
nel 1965 e richiesta dall’allora Mini-
stro dell’Agricoltura, Mario Ferrari
Aggradi, al Presidente dell’INEA Sen
prof. Giuseppe Medici in occasione
del centenario dell’Unità d’Italia. E
tale coincidenza non è casuale ma
sottolinea come l’irrigazione rap-
presenti uno dei primi temi di rile-
vanza nazionale ed istituzionale, sin
dai primi anni dell’Unità del Paese.
Lo sviluppo della legislazione na-
zionale sull’irrigazione ebbe inizio
con l’Unità d’Italia, quando fu rico-
a cura di
Progetti ed attivitàper il territorio rurale
a cura di
nosciuta alla pratica irrigua l’impor-
tanza per lo sviluppo economico.
Una delle prime norme di rilievo è
la legge 18 giugno 1889, trasfusa
poi nel Testo unico n. 195 del 22
marzo 1900, inerenti le bonifiche e
il risanamento idraulico dei territori,
necessario a debellare la malaria –
al tempo molto diffusa – e consen-
tire la vivibilità delle pianure. Nel
Sud Italia e nelle Isole, i maggiori
interventi si sono avuti nel secondo
dopoguerra. Sono seguite ulteriori
norme che via via hanno riguardato
diversi aspetti rilevanti della nostra
storia. La linea evolutiva della legi-
slazione sull’irrigazione, quindi, è
partita dal riconoscimento dell’in-
teresse pubblico dell’irrigazione a
carattere collettivo e si è poi svilup-
pata andando ad inglobare sempre
più concetti di tutela ambientale.
Il quadro normativo moderno sulle
risorse idriche, basato sostanzial-
mente sul regio decreto n. 1775
del 1933 ha cominciato a subire
modificazioni già dagli anni settanta
(con l’emanazione della cosiddetta
legge Merli sulla tutela delle acque
dall’inquinamento, l.n. 319/76) e da
allora, rispetto al contesto descritto
nel 1965, si è verificata una profon-
da evoluzione. Sono state emanate
diverse leggi quadro in materia di di-
fesa del suolo (l. 183/89), di gestio-
ne integrata delle acque (l. 36/94,
cosiddetta legge Galli) e di tutela
ambientale dei corpi idrici (d.lgs.
152/99), che hanno completato,
per molti versi, il quadro normativo
che regola oggi l’uso delle risorse
idriche. Si sono successivamente
aggiunte le leggi di decentramento
e il d.lgs. 300/99 per il riordino di
funzioni e competenze amministra-
tive pubbliche.
Nel corso degli ultimi decenni, l’at-
tenzione normativa si è concentrata
inizialmente sulla tutela delle acque
dall’inquinamento ma col tempo si
è rivolta sempre più all’integrazione
delle politiche di settore, promuo-
vendo una gestione integrata delle
risorse idriche per i diversi usi ed il
coordinamento tra politiche am-
bientali, agricole ed energetiche.
Ultima e fondamentale tappa giu-
ridica, l’emanazione della direttiva
2000/60/CE, nuova norma quadro
europea in materia di gestione e
protezione delle risorse idriche, re-
cepita in Italia con il d.lgs. 152/2006
(cosiddetto codice ambientale). La
direttiva Ue definisce obiettivi co-
muni di tutela e miglioramento qua-
litativo della qualità ambientale dei
corpi idrici e di uso sostenibile delle
risorse idriche. Innovazioni significa-
tive della norma europea sono:
– la definizione dei distretti idro-
grafici come base territoriale di
riferimento per la pianificazio-
ne dell’uso e della tutela delle
risorse;
– la stretta associazione tra tutela
qualitativa e quantitativa delle
risorse idriche;
– l’indicazione del riferimento pro-
grammatico nel piano di gestione
del distretto idrografico, definito
e applicato da una autorità di ge-
stione del distretto, relativo a tut-
ti gli usi della risorsa compreso,
quindi, quello irriguo; l’individua-
zione di politiche dei costo del
servizio distributivo, finalizzate al
risparmio idrico e ad un adegua-
to contributo al recupero di tali
costi dei servizi idrici a carico dei
vari settori di impiego dell’acqua.
Come è emerso dall’indagine pub-
blicata dall’INEA nel 1965, l’irriga-
zione ha visto il suo maggior svi-
luppo nel Nord del Paese, anche
grazie all’estensione delle superfici
interessate e alla diffusione della
gestione collettiva. Il dato deriva
dalle disponibilità idriche potenziali
maggiormente presenti nel Nord,
e anche dalle vicende storiche che
hanno caratterizzato il Paese prima
dell’Unità d’Italia. Mentre al Nord e
in alcune realtà del Centro, sin dal
Medio Evo e poi nelle epoche dei
Comuni e delle Signorie, si sono af-
fermate tendenze al collettivismo e
all’estendimento delle aree agricole
e delle superfici irrigue, attraverso
opere pubbliche di bonifica e irriga-
zione, nel Meridione e nelle Isole,
con pochissime eccezioni, l’assetto
storico e politico ha limitato se non
impossibilitato lo sviluppo di inizia-
tive in tal senso. Solo con l’Unità
d’Italia e con le politiche nazionali
volute dal Governo Cavour, si è af-
fermato definitivamente il principio
di pubblico interesse dell’irrigazio-
ne e sono stati decretati contributi
pubblici alle opere (di bonifica e di
irrigazione) in tutto il Paese anche
se, nei decenni successivi, il Sud ha
comunque avuto poco accesso ai
fondi per carenza di realtà associa-
tive (i fondi erano principalmente
destinati ai consorzi). La superficie
irrigabile (cioè attrezzata per l’irriga-
zione) tra il 1875 e il 1961 passò da
1,5 a 3,1 milioni di ettari; oltre il 70%
era localizzata nel Nord Italia. Lo svi-
luppo dell’irrigazione al Sud e nelle
Isole si è pienamente concretizzato
solo con le politiche di investimento
del secondo dopoguerra.
Successivamente la situazione po-
litica, sociale ed economica è pro-
fondamente cambiata e le politiche
agricole sono state riorientate dalla
PAC. In particolare, come accen-
nato, è l’affermarsi delle politiche
ambientali che ha maggiormente
influenzato l’evoluzione delle po-
tenzialità irrigue. Profonde modifi-
che di assetto sono intervenute an-
che con le politiche nazionali per le
infrastrutture idriche e l’irrigazione
con le politiche strutturali e agricole
Territori n. 8/2012
europee, la ricerca e l’innovazione e
con l’avvento dei programmi ope-
rativi delle Regioni. Inoltre, le dina-
miche di sviluppo socioeconomico
hanno profondamente modificato i
modelli di consumo e gli stili di vita
per cui è aumentato il consumo di
acqua potabile pro capite, per uso
residenziale, industriale e turistico.
Per tali motivazioni, il fenomeno
irriguo è andato sempre più a sta-
bilizzarsi e a specializzarsi a livello di
aziende agricole e di gestione collet-
tiva della risorsa.
La differente caratterizzazione
dell’irrigazione nelle varie aree del
paese evidenziata dallo studio INEA
del 1965, nei suoi tratti generali
permane ancora oggi in quanto de-
terminata da fattori idrogeologici,
orografici e ambientali oltre che
storici. Nel tempo, al Nord si è svi-
luppata una imponente rete di ca-
nali di bonifica utilizzati anche per
la distribuzione irrigua (denominata
rete promiscua).
Nel Centro Italia, la rete di bonifica
è mediamente sviluppata e l’irriga-
zione collettiva è limitata ad aree
specializzate di medie e piccole di-
mensioni, ma è in grado di garanti-
re qualità e quantità di produzioni
agricole anche ad alto reddito (si
pensi alle aree agricole della costa
toscana, della Valtiberina o dell’A-
gro Pontino e dell’Agro Romano).
L’irrigazione autonoma è prevalente
nelle aree interne e collinari.
Nel Sud e nelle Isole, le aree sog-
gette alla bonifica sono limitate alle
pianure alluvionali lungo le coste;
a partire dal secondo dopoguerra
sono stati realizzati invasi e sche-
mi irrigui a gestione collettiva, ma
permane un cronico problema di
squilibrio tra disponibilità e fabbiso-
gni irrigui. L’irrigazione autonoma è
comunque molto diffusa e prevale
in particolare in alcune aree della
Puglia e della Calabria.
Indicativa per il fenomeno irriguo
è la superficie specificamente at-
trezzata per tale funzione: questa
si estende su circa 3,1 milioni di
ettari, di cui il 43% nel Distretto Pa-
dano, il 19% nelle Alpi orientali e il
13% nell’Appennino meridionale.
Anche lo studio INEA del 1965 par-
lava di 3,1 milioni di ettari irrigabili,
a riprova del fatto che buona parte
degli investimenti irrigui di una cer-
ta rilevanza (non parliamo di rete
secondaria e terziaria) risalgono a
quegli anni.
Interessante risulta l’analisi dei
sistemi di irrigazione adottati, so-
prattutto perché nel corso degli
ultimi decenni, anche in relazione
agli obiettivi ambientali di rispar-
mio idrico delle politiche europee e
nazionali, si è avvertita fortemente
la tendenza alla conversione dei si-
stemi di irrigazione verso metodi a
minor consumo idrico e a maggiore
Progetti ed attivitàper il territorio rurale
a cura di
del reticolo idrico naturale, senza di-
menticare la rilevanza paesaggistica
e storica di questo immenso patri-
monio architettonico e culturale,
istituzionalmente riconosciuto. Il
paesaggio storico-agrario di molte
regioni è, infatti, oggetto di specifici
programmi di valorizzazione e recu-
pero storico e architettonico, spesso
garantito solo dal permanere di una
potenzialità irrigua.
In merito alle caratteristiche eco-
nomico-gestionali degli Enti irrigui
competenti per la gestione della di-
stribuzione dell’acqua (esercizi irri-
gui adottati) e la copertura dei costi
associati all’erogazione del servizio
(contribuenza irrigua), la Carta delle
irrigazioni d’Italia dell’INEA del 1965
non ne fa cenno. Queste problema-
tiche sono diventate sempre più
importanti soprattutto negli ultimi
decenni, a seguito della moderna fi-
losofia che ha attribuito alla gestio-
ne dell’acqua oltre che un ruolo di
sviluppo del settore primario, anche
un ruolo di tutela dell’ambiente.
In relazione alla fase di distribuzione
agli utenti, emerge un certo grado
di eterogeneità nell’organizzazio-
ne delle erogazioni attraverso gli
esercizi irrigui. A livello generale,
negli Enti coesistono più esercizi
irrigui, che tengono conto delle di-
verse esigenze degli utenti, sia per
quanto attiene ai fabbisogni delle
colture praticate (complessivi, sta-
gionali, delle varie fasi del ciclo),
sia per quanto riguarda lo specifico
momento dell’intervento nei singoli
terreni (condizioni idrologiche del
suolo, volumi di adacquamento,
ecc.). Il grado di eterogeneità de-
gli esercizi adottati in uno stesso
territorio è, spesso, associato all’a-
gricoltura praticata e alle caratte-
ristiche strutturali delle aziende
agricole. Laddove si ha maggiore
diversificazione colturale e agricol-
tura ad alto reddito (ad esempio, in
Liguria), l’esercizio tende ad essere
estremamente variabile anche in
efficienza (aspersione e irrigazione
localizzata).
In Italia ad oggi sono utilizzati circa
1.400 schemi1, di diverse dimen-
sioni, da molto piccoli a imponen-
ti, e con caratteristiche idrauliche
e strutturali molto differenti. Gli
schemi a maggior sviluppo, alcuni
interregionali, si trovano in Lom-
bardia, Emilia-Romagna e Veneto.
Importanti schemi a carattere inter-
regionale sono presenti al Sud tra
Campania, Basilicata, Puglia e Cala-
bria, in particolare lo schema Jonico
Sinni, nel Metapontino.
Con riferimento alle fonti di ap-
provvigionamento, nel 1965 era
emersa una netta prevalenza del
ricorso alle acque superficiali (cioè
da corsi d’acqua naturali e artifi-
ciali) per alimentare la rete irrigua,
1
come unità di riferimento gli schemi irri-
gui gestiti in maniera collettiva, vale a dire
l’insieme delle opere idrauliche di collega-
mento tra i corpi idrici naturali o artificiali
e gli utilizzatori finali della risorsa.
a servizio del 78% della superficie
irrigabile nazionale, seguite dalle
acqua sotterranee (20% pozzi e
fontanili), ma con forti disparità
tra le varie aree. Ad esempio, la
fascia pedealpina dei fontanili tra
il Piemonte e il Veneto garantisce
il 22% della rete irrigua di quelle
pianure, mentre in Italia Centrale
si usa quasi esclusivamente acque
di fiume; Sud e Isole vedevano pre-
dominanza dell’uso acque di falda
per il minor sviluppo del reticolo
idrografico superficiale e l’approv-
vigionamento da serbatoi, già im-
portante negli anni Sessanta.
Dal SIGRIAN, si rileva che gli Enti irri-
gui (organizzazioni consortili per l’u-
so condiviso della risorsa attraverso
la rete distributiva) dispongono di
oltre 5.000 fonti di approvvigiona-
mento irriguo (captazioni da corpi
idrici), di cui circa 1.900 sui corsi
d’acqua e oltre 500 sul reticolo ar-
tificiale (canali).
La variabilità dei sistemi di con-
cessione al prelievo, disomogenei
nei criteri e nella valutazione degli
aspetti tecnici ed economici, rappre-
senta una criticità di tale sistema,
già dalla prima rilevazione del 1965.
Tuttora il sistema non risulta ancora
razionalizzato, spesso disomogeneo
anche a livello regionale. In genera-
le, le concessioni riportano la por-
tata idrica, raramente specificano il
periodo in cui è ammesso prelevare
e ciò non consente una valutazione
delle disponibilità potenziali di ri-
sorsa idrica (volume annuo conces-
so). A distanza di quasi venti anni
dall’emanazione della legge Galli (l.
36/94) e di 5 anni del d.lgs. 152/06,
manca un quadro completo sui pre-
lievi assentiti dai corpi idrici e ciò
penalizza la corretta pianificazione
dei diversi usi della risorsa idrica a
livello di bacino, come richiesto dal-
la normativa comunitaria oltre che
nazionale.
Passando alle infrastrutture irrigue,
la rete irrigua principale (adduzione
e secondaria) nel Paese conta circa
23.000 km di lunghezza. Le reti più
moderne prevalgono nelle regioni
meridionali e centrali (rispettiva-
mente 79 e 72% di condotte in pres-
sione), mentre al Nord prevalgono i
canali a cielo aperto (81% nel Pada-
no, 65% nelle Alpi orientali).
Un’ultima considerazione che emer-
ge, e che appare importante rispet-
to alle caratteristiche di multifun-
zionalità che l’irrigazione assume
sul territorio, riguarda la funzione
degli invasi di matrice irrigua che
in molte realtà hanno assunto, nel
corso degli anni, anche funzioni
ambientali, come la conservazione
della biodiversità, oasi per specie
migratorie protette, l’equilibrio
dell’ecosistema e il contrasto della
desertificazione. Parimenti, le gran-
di reti padane di canali e le annesse
opere d’arte idrauliche svolgono da
quasi un secolo il ruolo sistematico
di ricarica delle falde, di vivificazione
Territori n. 8/2012
ad alcune modalità per minuto e
per turno di irrigazione (Est Sesia), si
trovano modalità basate sulla gior-
nata (area torinese), per “giornata
piemontese” (zona del canavese,
in Piemonte) o in “orti” sempre in
Piemonte.
Un riconoscimento delle esterna-
lità ambientali positive dell’irriga-
zione si riscontra, invece, nei casi in
cui il contributo irriguo tiene conto
di tali funzioni, come ad esempio
il rimpinguamento delle falde fre-
atiche. In Lombardia, ad esempio,
il Consorzio Est Ticino Villoresi,
riscuote un contributo riferibile a
tale beneficio ambientale pari ad
un terzo del totale del contributo
irriguo annuo totale.
Si evidenzia, infine, la presenza di
aree in cui non è emesso un ruolo
irriguo: ad esempio, in Puglia, do-
ve il problema è ancora solo par-
zialmente risolto o nelle aree con
irrigazione non ancora strutturata
del Veneto e della Bassa Friulana.
Ulteriore particolarità è data dalla
presenza di utenti che non pagano
alcun ruolo in relazione ai cosiddetti
“antichi diritti” di uso dell’acqua, ac-
quisiti al momento del passaggio dei
canali privati dei grandi proprietari
al demanio pubblico (Lombardia e
Valle d’Aosta).
In conclusione, l’analisi delle carat-
teristiche gestionali e dell’assetto
economico delle aree irrigue con-
sortili fa emergere diversi spunti
di riflessione particolarmente utili
alla luce degli orientamenti pre-
visti dalla direttiva quadro per le
acque 2000/60/CE, sugli strumenti
economici per il recupero dei costi
dei servizi idrici, le specificità del
settore irriguo di cui tener conto e
le problematiche da affrontare per
migliorare l’efficienza del sistema
contributivo.
Raffaella Zucaro, ricercatrice INEA,
è responsabile dell’ambito di ricerca
Gestione Risorse Idriche, ed autrice
dell’Atlante Nazionale dell’irrigazione
(2012); [email protected]
zie alla maggiore disponibilità, sono
molto diffusi i sistemi di irrigazione
che coinvolgono volumi di acqua im-
portanti, come lo scorrimento. Ma,
generalmente, i contributi applicati
all’irrigazione per aspersione (cioè
a pioggia) sono maggiori - in media
quasi il doppio - di quelli applicati al-
lo scorrimento, in quanto il criterio
di ripartizione è riferito al beneficio
irriguo: i metodi per aspersione so-
no più efficienti, ma richiedono
maggiori pressioni di erogazione e
producono maggiori benefici irrigui.
Il contributo calcolato sulla base de-
gli ettari irrigati e qualità di coltura
(che garantisce una migliore riparti-
zione dei costi tra gli utenti rispetto
ai fabbisogni irrigui delle colture)
è più diffuso al Nord (Est Sesia,
Alessandrino, Bonifica Parmense e
Bonifica dell’Emilia centrale, Tren-
tino), ma è presente con una certa
prevalenza su altre modalità anche
in Toscana e in Puglia. La modalità
di pagamento per metro cubo di ac-
qua erogato all’utente, considerata
tecnicamente più efficiente di altre
in quanto legata all’entità di utiliz-
zo, è prevalente nelle seguenti aree
irrigue:
Emilia-Romagna (Pianura di Fer-
rara, Burana, Renana, Romagna
occidentale);
Umbria (Alto Tevere e nella Val di
Chiana Romana e Val di Paglia),
Toscana (Comunità montana Val-
tiberina Toscana, nella Provincia
di Arezzo e in Val di Cornia), Mar-
che (Musone e Valle del Tenna) e
Lazio (Agro Pontino, Sud Pontino,
Maremma Etrusca) nel Centro;
Sud, in gran parte degli Enti irri-
gui pugliesi e in alcuni campani
(Ufita e Sarno);
Isole, in alcune aree sarde (Nurra
e Basso Sulcis) e siciliane (Gela).
Un breve cenno va fatto in merito ad
alcune particolari tipologie di con-
tribuenza per l’irrigazione. Queste
sono presenti soprattutto nel Nord
Italia e derivano da antiche consue-
tudini locali. Oltre a contribuenze
per litro al secondo, per litro all’ora
o riferite all’anno (in Lombardia) e
stato speso per la gestione irrigua.
In relazione al sistema di calcolo
della contribuenza per l’irrigazio-
ne, si evidenzia un elevato grado
di complessità del sistema contri-
butivo, disomogeneo e caratte-
rizzato da almeno una ventina di
metodi. Si riscontra la presenza di
contributi monomi o binomio. Nel-
la contribuenza su base monomia,
la funzione irrigua è associata e
concomitante alla funzione di scolo
idraulico (detta anche di bonifica) e
all’uso promiscuo delle reti, per cui
non si differenziano le due compo-
nenti di costo, afferenti simultane-
amente ad entrambe le funzioni.
Questa modalità si trova anche in
Italia centrale anche se l’attività di
scolo non è sempre predominante
(Abruzzo, alcuni Consorzi del Lazio)
o è del tutto assente (Marche).
La contribuenza di tipo binomio è
più diffusa nelle regioni meridionali
e insulari e in alcune realtà del Cen-
tro e del Nord (regioni subalpine al
Nord e aree toscane, umbre e lazia-
li), cioè dove l’irrigazione è pratica-
ta in aree specializzate e circoscritte
sul territorio. Prevede, in generale,
la definizione di un importo specifi-
co irriguo per ettaro attrezzato o ir-
rigato. Laddove si abbina all’attività
di scolo, questa modalità è conside-
rata più efficiente nella ripartizione
del contributo tra costi irrigui e costi
di bonifica. Ruoli (cioè contributi) ir-
rigui calcolati sempre per ettaro, ma
variabili in base al sistema di irriga-
zione, sono diffusi nel Nord Est e nel
basso Abruzzo; risultano presenti
anche in Valle d’Aosta.
Anche quando direttamente iden-
tificati, i contribuiti irrigui rilevati
risultano assai variabili: si oscilla da
un minimo di 5 euro ad ettaro ad
un massimo di 1.100 euro ad etta-
ro (importo questo rilevato nel solo
Consorzio di Terreblanche in Valle
d’Aosta, applicato per sistemi ad
aspersione).
Nelle regioni di grande tradizione
irrigua (basti pensare al sistema
della risaie piemontesi, lombarde e
venete che risale al XVI secolo), gra-
zone circoscritte; nelle aree in cui
prevale nettamente una coltura (ad
esempio il mais) e vi sono aziende di
dimensioni medio-grandi, l’esercizio
adottato tende ad essere molto più
uniforme.
Nelle diverse aree del Paese, le ti-
pologie di esercizio irriguo non sono
adottate in maniera esclusiva, ma è
possibile trovare più tipologie coe-
sistenti. Si evidenzia una certa pre-
valenza della turnazione (presente
nel 24% dei casi) che prevede turni
di erogazione e approvvigionamen-
to nel corso della stagione irrigua,
seguita dall’esercizio a domanda
(20%), riscontrata in tutte le regioni,
tranne Lazio e Trento e prevalente
in Emilia-Romagna. Nel Sud Italia e
in alcune aree del Centro è diffusa
anche la prenotazione irrigua, che
permette di pianificare, all’inizio
della stagione, l’uso dell’acqua per
utente (37% dei casi in Sardegna).
Del tutto particolare è la modalità
di consegna prevalente in Veneto,
definita irrigazione non strutturata.
Tale pratica in molte aree setten-
trionali è conosciuta come irriga-
zione di soccorso e, storicamente, si
riferisce all’erogazione saltuaria di
acqua a colture generalmente non
irrigate.
Un approfondimento particolare
va dedicato agli aspetti economici,
vale a dire alle entrate a copertura
dei costi, per le attività funzionali
degli Enti irrigui. Nell’irrigazione,
non si parla di tariffazione ma di
contribuenza: infatti, tutti gli utenti-
fruitori sono per legge obbligati al
pagamento di una quota proporzio-
nale, in relazione al servizio idrico
ricevuto. I costi di gestione (spese
per la manutenzione ordinaria e ge-
stione delle opere irrigue) sono sud-
divisi proquota tra i consorziati che
traggono beneficio dalle stesse, e in
misura connessa al beneficio stesso.
Agli Enti che gestiscono l’irrigazione
è attribuito, a tal fine, lo specifico
potere impositivo, il cui esercizio
consente di recuperare quanto è
dossier
dossier
L’intrusione salina negli acquiferi, la cui causa principale è dovuta al sovrasfruttamento delle falde, definito come l’eduzione di quantitativi d’acqua superiore agli apporti di acqua dolce (Ghiglieri, 2007), nelle aree costiere e/o alluvionali delle regioni meridionali, è sicuramente un fenomeno importante dal punto di vista della sua entità ed esten-sione geografica. In particolare le regioni Puglia, Sicilia e Sardegna (e subordinatamente Basilicata) sono affette da questo problema in ma-niera estensiva e sicuramente di grande impatto sulla gestione della agricoltura irrigua di grandi porzioni del loro territorio, in quanto carat-terizzate da condizioni climatiche semi-aride, in cui l’accumulo di sale nei suoli, oltre ad avere conseguenze negative per le colture (tossicità, riduzione della disponibilità di acqua), può determinare l’insorgere di fenomeni di desertificazione. Lo studio intrapreso è partito dalla rico-struzione dello stato dell’arte del fenomeno salinizzazione delle falde, attraverso la ricognizione bibliografica e da una serie di interviste a esperti del settore, oltre che dai database nazionali e regionali dispo-nibili (base dati pedologica nazionale CNCP1, Rapporto Progetto RIADE per la Sardegna e la Sicilia, Piano di tutela delle acque della Regione Puglia e Sicilia ecc.), che ha portato alla realizzazione di tre monografie (Sicilia, Sardegna, Puglia).Per le regioni considerate, le aree deltizie maggiormente interessate da intrusione salina sono risultate:
in Sardegna quelle del Flumendosa, dei golfi di Cagliari e Oristano e del Cedrino a Orosei in Sicilia, quelle di Augusta-Siracusa, Palermo, Marsala-Mazara del Vallo, Castelvetrano, Piana di Catania, Palermo-Bagheria e Piana di Milazzo-Barcellona.
Le acque saline si sono poi intruse particolarmente negli acquiferi car-sici costieri del Gargano, della Murgia, del Tavoliere e del Salento in Puglia, degli Iblei e Palermo in Sicilia e di Alghero in Sardegna.Ciascuna di tale aree è stata descritta nel dettaglio in termini di:
Inquadramento e delimitazione delle aree interessate dal fenomenoCaratterizzazione del problemaAspetti geologici ed idrologici delle aree interessate dal fenomeno
Contemporaneamente alla raccolta dei dati è stata sviluppata una metodologia di valutazione basata sulla determinazione del grado di accumulazione dei sali nei vari tipi di suolo, mantenendo costan-te l’assetto attuale di gestione irrigua (tipi di colture irrigue, tec-
niche irrigue, salinità delle acque di irrigazione). Tale valutazione si basa sulla applicazione del modello di simulazione Soil Water Atmosphere Plant (SWAP, Van Dam, 2000). Per l’applicazione del modello è stato necessario, come primo passo, effettuare una pri-ma analisi geografica necessaria all’individuazione delle aree “po-tenzialmente” a rischio, per fenomeni di salinizzazione dei suoli. Tale indagine è stata effettuata incrociando i risultati dei rapporti relativi a individuazione e monitoraggio di fenomeni di intrusione salina con le aree con suoli particolarmente sensibili e/o già in-teressati da fenomeni di salinizzazione, sia antropici che naturali, interrogando la base dati pedologica nazionale ed estraendo dalla stessa i “pedopesaggi” a livello di Sottosistemi di Terre (SST), come evidenziato in figura 1.
3
Il sistema di valutazione adottato si è basato sulla determinazione del grado di accumulazione dei sali nei vari tipi di suolo, mantenendo costante l’attuale sistema di gestione dell’irrigazione, attraverso l’ap-plicazione, all’interno dei SST individuati come potenzialmente sog-getti a questo fenomeno, del modello di simulazione SWAP. Si tratta di un modello previsionale di calcolo che simula in maniera dinamica il flusso di acqua nel suolo attraverso l’utilizzo di una discretizzazione matematica di equazioni di flusso generali. SWAP utilizza l’equazione di Richards, che consente l’uso di database delle proprietà idrauliche dei suoli. La forte base fisica dell’equazione di Richards è importante per la generalizzazione di esperimenti in campo e per l’analisi di diversi tipi di scenario. Il cuore del modello SWAP consiste nella implementa-zione di una descrizione matematica del flusso d’acqua nel suolo, del conseguente trasporto di soluti e dell’andamento della temperatura (sottoforma di flussi di calore), con speciale riferimento alla eteroge-neità del suolo (figura 2).
Il modello SWAP simula con passo giornaliero lo sviluppo della coltura, l’evapotraspirazione, i flussi idrici nel suolo, i flussi di soluti, utilizzando come input una serie di parametri riguardanti:
la suddivisione del suolo in orizzonti (strati) omogenei, caratterizzati dal punto di vista idrologico e dal punto di vista del contenuto salino all’inizio del periodo di simulazione; i dati termopluviometrici giornalieri;la coltura (caratterizzata attraverso una serie di parametri che de-scrivono lo sviluppo fogliare, l’approfondimento radicale, la traspi-razione, ecc.); gli apporti irrigui, descritti in termini di tecnica, quantità di acqua e suo contenuto in sali;le condizioni al contorno (tipo di drenaggio profondo e laterale, fal-da, ecc).
Territori n. 10/2012
Il sale (soluto) preso come riferimento per la modellazione effettuata è stato il Cloruro di Sodio (NaCl). Tale scelta è stata dettata da:
necessità di individuare un’unica tipologia di soluto prevalente, vista la grande quantità di casi da simulare a causa della grande casistica presente della matrice suolo – clima – coltura-tecnica (circa 60.000 casi presenti nell’area di studio per le regioni considerate);scarsi o assenti dati circa altre tipologie di sali (es. solfati di calcio e cloruro di potassio) nelle aree considerate, nei suoli e nelle acque di irrigazione;il cloruro di sodio rappresenta comunque il caso peggiore (worst case) e quindi risponde al principio più cautelativo; comunque le aree si riferiscono a salinizzazione da intrusione marina, con % di NaCl superiore al 70-80%.
Il processo di salinizzazione dei suoli causato dall’utilizzo ripetuto di acque irrigue con elevato contenuto salino è osservabile in un arco temporale di medio-lungo periodo (non meno di 10 anni), in quanto l’andamento stagionale del deficit e del surplus idrico (che causano ac-cumulo e dilavamento ciclico dei sali) e la variabilità climatica di breve periodo possono occultare il processo di salinizzazione. Per tale motivo si è optato per il periodo di simulazione più lungo possibile in base ai dati meteorologici disponibili per le stazioni di riferimento: sono stati quindi presi in considerazione i dati per il periodo 1996-2007.
Per determinare le soglie di salinità nella interazione suolo-tipo di coltu-ra è stato preso come riferimento lo studio fatto dal Perniola nell’ambito del progetto POM-OTRIS INEA (Perniola et alii, 1999). Generalmente la tolleranza alla salinità nel suolo e nelle acque di irrigazione viene espres-sa con diversi criteri, a seconda dello stadio della pianta: infatti, durante la fase di emergenza è basata sulla sopravvivenza della pianta, mentre dopo l’emergenza è basata sulla diminuzione di produzione. Tale dimi-nuzione può essere valutata sia in termini assoluti che relativi. La valu-tazione in senso assoluto, pur consentendo la stima diretta del reddito in termini economici, è influenzata da diversi parametri produttivi e non consente di valutare il comportamento delle diverse specie rispetto alla salinità, in quanto le loro produzioni sono di natura diversa e talvolta espresse anche con unità diverse. Si procede allora ad una valutazione in termini relativi, cioè come riduzione relativa (%) di produzione rispetto alle condizioni non saline. Numerosi sono i tentativi volti alla determina-zione della produzione relativa, ma il più accreditato è quello proposto da Maas e Hoffman (1977; 1984), i quali hanno valutato il comporta-mento produttivo in funzione della salinità della maggior parte delle specie di interesse economico, fornendo una classifica del loro grado di tolleranza, da cui scaturiscono le possibili limitazioni d’uso di un’acqua
dossier
tolleranza alla salinità non è univoca rispetto ai due parametri menzio-nati. Infatti, ad alti valori soglia, indice di buona tolleranza, non sempre corrispondono bassi valori della pendenza.Pertanto, per valutare il grado di tolleranza con un unico parametro che combini i valori della soglia e della pendenza, si può prendere in conside-razione il valore della CE in corrispondenza del quale si verifica una ridu-zione produttiva del 50% (Botrini et al., 1996). Nel presente studio tale valore è stato giudicato eccessivo, in termini di percentuale di riduzione della produttività; si è preferito attestarsi su un valore-soglia corrispon-dente ad una riduzione di produttività colturale del 40% nella verifica e valutazione dei risultati del rischio di salinizzazione. Ciò vuole dire che ogni combinazione suolo-coltura-tecnica è stata valutata in relazione a questa soglia per definire le percentuali di aree che a fine simulazione ri-sulteranno inadatte all’uso per le colture irrigue prese in considerazione.
Le metodologie di valutazione territoriale adottate hanno cercato di determinare non solo lo stato attuale, ma anche gli effetti che il “ri-schio” di salinizzazione del territorio in scenari di medio-lungo termine
irrigua. La relazione tra salinità dell’acqua irrigua, espressa con la sua conducibilità elettrica (ECw), del terreno, espressa come conducibilità elettrica dell’estratto di pasta satura (ECe), e la produzione relativa viene espressa con l’uso di due parametri (Barbieri e De Pascale, 1992):
soglia critica di salinità che rappresenta il livello massimo di salinità tollerato senza perdita di produzione, al di sotto del quale, quindi, la produzione relativa è del 100%;pendenza che rappresenta un fattore che lega linearmente le riduzio-ni produttive con gli incrementi di salinità al di sopra del valore soglia (pendenza della linea che rappresenta la relazione del decremento di produzione relativa in funzione della ECw o ECe, come da fig. 3).
L’equazione di Maas e Hoffman (1977) utilizzata definisce la funzione del-la relazione tra produzione e salinità y = 100 – b(CE -a), dove a = soglia di tolleranza alla salinità, corrispondente al valore di salinità dell’estratto di pasta satura del terreno o dell’acqua irrigua oltre il quale comincia a verificarsi una riduzione produttiva rispetto alle condizioni non saline; b = pendenza, ovvero riduzione della produzione relativa per ogni incremento unitario di salinità; CE = conducibilità elettrica dell’acqua irrigua o dell’e-stratto di pasta satura del terreno (figura 3). Attraverso tali parametri è possibile definire il grado di tolleranza delle diverse specie e formulare, così, una loro classificazione in funzione della tolleranza alla salinità.Tuttavia, la classificazione delle diverse specie in base al loro grado di
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potrebbe apportare in termini di perdita di aree coltivabili con colture irrigue, continuando a mantenere l’attuale gestione irrigua ed assetto colturale. Il metodo di valutazione per “scenario” è stato gestito con un modello puntuale di calcolo dinamico su base giornaliera che ha forni-to dati di “previsione” di accumulo di sali nel suolo, opportunamente rapportato alla geografia delle aree interessate dal problema; tale valu-tazione ha preso in considerazione tutta la casistica di variabilità suolo – clima – coltura – tecnica irrigua presente nelle aree oggetto di studio.Non avendo a disposizione dati di dettaglio su tutta l’area di studio si sono definiti due scenari di tecniche in termini di tipo, durata e inten-sità, con differenti livelli di efficienza:
Tecnica con basso input tecnologico, caratterizzata da elevati volumi distribuiti con brevi durate (es. aspersione con rotolone, ali mobili ecc.);Tecnica con alto input tecnologico, caratterizzata da bassi volumi con durate maggiori (es. goccia, manichetta forata ecc.).
La valutazione del rischio di salinizzazione dei suoli è stata rapportata ai seguenti tre casi di riferimento:1. Caso attuale: superficie potenzialmente non idonea a causa di suoli
già salini ed irrigati con acque saline. Vale a dire quanta superficie è già non idonea in una data provincia per una data coltura a causa del livello attuale di salinità dei suoli;
2. Caso di simulazione con scenario a basso input tecnologico: super-ficie potenzialmente non idonea per una determinata coltura nella provincia considerata, mantenendo costante lo scenario di tecnica irrigua per tutto l’arco temporale della simulazione (medio-lungo periodo);
3. Caso di simulazione con scenario ad alto input tecnologico: super-ficie potenzialmente non idonea per una determinata coltura nella provincia considerata, mantenendo costante lo scenario di tecnica irrigua per tutto l’arco temporale della simulazione (medio-lungo periodo).
Poiché le combinazioni dei casi suolo – clima – coltura – tecnica pre-senti nella matrice di valutazione del modello SWAP producono una quantità di dati di difficile sintesi geografica, si è proceduto ad elabora-re dei risultati sintetici relativamente alle colture erbacee ed arboree.
Le fasi operative che si sono rese necessarie alla preparazione dati sia ge-ografici che alfanumerici necessari alla applicazione del modello SWAP su scala geografica estesa si possono sinteticamente così riassumere:
Delimitazione delle aree soggette a rischio di salinizzazione su base SST (rif. fig. 1);Quantificazione del contenuto salino nelle acque di falda e spazia-lizzazione del dato;Individuazione della matrice dei casi da input simulare e preparazio-ne dei dati di input per il modello;
dossierdi competenza delle diverse aree territoriali sotto varie forme (elet-troniche e cartacee) sono stati ricavati i valori misurati di conducibilità elettrica. È stata quindi eseguita un’interpolazione lineare usando l’al-goritmo Inverse Distance Weighted (IDW) di primo grado, per ovviare alla disomogeneità nella distribuzione spaziale delle misure. Per ogni SST dove erano presenti valori misurati sono stati calcolati mediana e valore massimo sia dei valori interpolati che di quelli reali. Si è quindi calcolata la media delle mediane e la media dei massimi. Per il caso della Regione Puglia, si è invece optato per utilizzare le informazioni, quantomeno rappresentative delle condizioni generali dell’area, pro-venienti dalle immagini statiche della distribuzione dei Solidi Disciolti (TDS) nelle falde a 50 e 100 m di profondità, disponibili per il territorio centro-meridionale della Puglia, pubblicate Piano di Tutela Acque della Regione Puglia (fig. 4).
Tutti i dati raccolti, nelle loro diverse forme, si riferiscono alle misure di conducibilità elettrica delle acque. Il modello SWAP tuttavia richiede il dato in forma di contenuto salino. Per eseguire la conversione è stata adottato la relazione empirica:
TDS(mg/L)=640*ECw(dS/m)
TDS = Total Dissolved Solids
Dal momento che si stanno analizzando in particolare i sali disciol-ti derivanti nella maggior parte dei casi da processi di intrusione di acqua marina, sono state ricercate delle relazioni più dirette tra con-ducibilità e sali disciolti, assunti nell’unica forma di NaCl. Dai gra-fici presenti nel manuale di riferimento del Soil Salinity Laboratory dell’USDA (USDA, 1954), sono state ricavate, tramite interpolazione polinomiale delle singole coppie di valori conducibilità/concentrazio-ne, le relazioni tra conducibilità elettrica in acqua e contenuto salino. Applicando le opportune trasformazioni dimensionali si è ottenuta la seguente relazione:
CONT = (-0,3381042+((COND*10-3)*8,1934012)+ +((COND*10-3)^2*0,1341386))*58,49/1000
CONT = contenuto di NaCl in g/l
Dopo avere configurato e riagganciato alle geografie dei SST i casi studio oggetto di simulazione, è stato necessario procedere ad una ulteriore correzione dei dati, tenendo presente che, nelle aree attrez-zate irrigue (aree consortili), delle regioni esaminate, molta parte dei comprensori stessi è comunque servita da acqua di rete. Tale risorsa può provenire da invasi e/o traverse, e/o da prese in alveo di corsi d’acqua e/o canali, che nella quasi totalità dei casi hanno acque di qualità controllata, inferiore ai limiti di salinità utilizzati nelle simu-lazioni. Ciò sta a significare che non era concettualmente corretto
Esecuzione delle simulazioni;Analisi dei risultati (geografici ed alfanumerici) e valutazione sulla base delle soglie proposte del rapporto salinità suolo e produtti-vità (%).
La modellizzazione del trasporto dei soluti in SWAP richiede tra i valori di input del modello la salinità delle acque in ingresso nel suolo in ter-mini di concentrazione di sali disciolti in acqua (g cm-3). Il dato che es-senzialmente caratterizza tale parametro è quello della salinità dell’ac-qua impiegata nell’irrigazione che, in molti dei comprensori analizzati, risulta essere sensibilmente influenzata dai fenomeni di salinizzazione delle falde idriche costiere. Dato il metodo generale di applicazione del modello SWAP alle SST considerate, ovvero al profilo di riferimento individuato per ognuna di esse, si è resa necessaria l’elaborazione di un valore di riferimento di salinità per ogni singola SST che meglio rappre-sentasse le condizioni di qualità delle acque irrigue impiegate in quella data area. La metodologia adottata per arrivare a questo risultato ha previsto, in generale, il calcolo di un valore medio rappresentativo ba-sato sulla distribuzione spaziale continua del dato di salinità dell’acqua. Dai dati di monitoraggio quali-quantitativi dei pozzi, forniti dagli enti
Territori n. 10/2012
I risultati delle simulazioni sono quindi riportati in termini di perdi-ta potenziale di superficie irrigua per i due gruppi di colture, a causa dell’utilizzo di acque saline nel medio-lungo periodo, per tecniche a basso (tabella 4) ed alto input (tabella 5). Si può notare come sia per l’utilizzo di basso input (aspersione con rotolone, ali mobili) che per l’alto input (goccia e manichetta), si ha una perdita consistente di su-perfici sia per le erbacee che per le arboree. In particolare, a causa dei diversi ambienti pedologici e colturali, in Puglia si rileva una notevole differenza con perdite più evidenti per le arboree rispetto alle erbacee, di circa 4-5 volte maggiori; in Sardegna abbiamo il caso particolare che evidenzia come in entrambi i casi di tecniche si prevede una perdita potenziale di tutta la superficie irrigata per l’utilizzo di colture arboree (100%), mentre la situazione migliora per le erbacee (riduzione da 25 a 17%). Infine in Sicilia si ha un debole incremento della perdita per erbacee (da 12 a 14,9%), mentre per le arboree rimane stazionaria su livelli di un ordine di grandezza più bassi (1,2%).Tali risultati e differenze spesso così diverse tra simulazione su erbacee ed arboree si possono spiegare anche in considerazione del fatto che le tecniche per le arboree sono a irrigazione concentrata (es. goccia e/o manichetta forata) con rapporto basso volume/ tempo e adacquamen-ti di poche ore; tali tecniche, che possono considerarsi teoricamente le più efficienti per quel tipo di coltura, calati nel contesto pedologico e climatico di suoli a tessitura fine poco permeabili con forte evapotra-spirazione e di acque irrigue più o meno saline, creano una condizione, nel medio-lungo termine, non sufficiente per lisciviare ed asportare definitivamente i sali dal suolo. Tale condizione si potrebbe probabil-mente raggiungere, nel dato contesto climatico-territoriale, utilizzando maggiori volumi orari per più ore con tecniche a irrigazione diffusa.
applicare i risultati di rischio di salinizzazione da acque di pozzo an-che in queste aree, ma bisognava effettuare una operazione di cor-rezione/modifica del dato. Sono stati quindi recuperati i dati inerenti le aree servite (sia in estensione che in quantità di acqua distribuita in relazione alle varie fonti), con trasformazione del dato in m3/ha; sulla base di tale dato, confrontandolo con i fabbisogni medi (m3/ha) di un determinato comprensorio, è stata ricavata la percentuale di superficie comprensoriale servita. Questa correzione ha di fatto tolto il valore dalle percentuali di rischio calcolate per ogni coltura ed ogni scenario all’interno delle aree consortili.
Sulla base dell’aggregazione dei dati colturali, è stato possibile cal-colare un dato cumulato di percentuale di perdita di area per il superamento della soglia di salinità per i due gruppi colturali (er-bacee ed arboree), a seconda dei tipi di suolo presenti in ogni area omogenea (SST). In tal modo è stato possibile “agganciare” un dato univoco aggregato quantitativo (percentuale di area non idonea). Tuttavia, per fornire una informazione specifica e di più immediato utilizzo, adatta alla valutazione del territorio in chiave di pianifi-cazione di nuove reti irrigue, è stata elaborata una tabella di va-lutazione attitudinale di tipo qualitativo, raggruppando il dato in classi e dando un significato interpretativo ben preciso e finalizzato all’utilizzo specifico (tabella 2).
dossierfagiolo mais carciofo asparagocipolla aglio carota barbabietolapisello cavoli zucchino frumento duro
albicocco spinacio fagiolino orzoarancio trifoglio sorgopesco erba medica frumento tenerosusino vite olivo
1 adatti 0 aree dove il rischio di salinizzazione a lungo termine è nullo
2 moderatamente adatti 0-25aree dove il rischio di salinizzazione a lungo termine è geograficamente abbastanza rilevante. Tale rischio può essere ridotto introducendo tecniche adatte limitatamente ad alcuni suoli
3 attualmente non adatti 25-50
aree dove il rischio di salinizzazione a lungo termine è geograficamente eccessivamente rilevante. Tale rischio può essere ridotto introducendo tecniche adatte relativamente alla maggior parte dei suoli, previa verifica delle condizioni di economicità di tale riconversione su vasta scala
4 permanentemente non adatti 50-75
aree dove il rischio di salinizzazione a lungo termine è geograficamente preponderante. Tale rischio non può essere ridotto introducendo tecniche adatte relativamente alla maggior parte dei suoli, poiché le loro caratteristiche comparate con la qualità di acque utilizzate sono talmente sfavorevoli che sconsigliano l’uso irriguo
Puglia 984.423 62,6Basilicata 521 0,13Sicilia 248.380 19,4Sardegna 92.164 11,48
Puglia 984.423 70.562 334.858 7,2 34Basilicata 30.708 523 0 1,7 0Sicilia 248.380 30.669 2.977 12,3 1,2Sardegna 92.164 23.297 92.164 25,3 100
Puglia 984.423 67.728 326.160 6,9 33,1Basilicata 30.708 523 0 1,7 0Sicilia 248.380 36.885 2.916 14,9 1,2Sardegna 92.164 15.891 92.164 17,2 100
Territori n. 10/2012
Anche nel caso delle colture erbacee e dei sistemi irrigui ad esse con-nessi si possono raggiungere valori delle aree potenzialmente perdute massimi per ogni area omogenea variabili tra 1-2% e 10-12%, il che sta a significare che il problema esposto precedentemente della carenza di sufficiente lisciviazione dei sali (a causa di limitazioni pedologiche, climatiche e di uso di acque irrigue saline) esiste, seppure in maniera minore, anche per queste situazioni.
Per capire come poter utilizzare la valutazione su base della analisi previ-sionale modellistica collegata via GIS ai SST, i risultati specifici delle aree citati su base tabellare nel precedente paragrafo sono stati riportati su base geografica. Le cartografie prodotte (es. per la Puglia fig. 5) possono servire per identificare le aree di espansione e potenziamento delle reti irrigue, laddove esistano aree in cui la simulazione mostra un impatto negativo nell’utilizzo di acque irrigue saline nel medio-lungo periodo.
Botrini L., Lipucci Di Paola M., Temperini O., Giustiniani L., Graifenberg A., 1996. Stress
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1 Centro Nazionale Cartografia Pedologica2 Ricerca Integrata per l’Applicazione di tecnologie e processi innovativi per la lotta alla Desertifica-
zione3 Per una descrizione dettagliata del modello vedasi: http://www.inea.it/public/pdf_articoli/1653.pdf
Rosario Napoli e Rosa Rivieccio afferiscono al Consiglio Ricerca e Sperimentazione in Agricol-tura – Centro di Ricerca per lo studio delle relazioni tra Pianta e Suolo, Roma. Pasquale Nino e Silvia Vanino operano presso l’Istituto Nazionale di Economia Agraria, Roma.
a cura di
In Italia, lo sviluppo agricolo è sem-pre stato strettamente legato alla costruzione di infrastrutture per l’ap-provvigionamento e la distribuzione dell’acqua necessaria allo sviluppo di produzioni agricole irrigate. Ciò è te-stimoniato dagli ingenti investimenti realizzati, sia nel Nord sia nel Sud del Paese, a partire dal dopoguerra. An-che se nel corso degli anni lo scenario del Paese è profondamente cambia-to, la disponibilità e l’uso di acqua in Italia hanno mantenuto nel tempo la loro centralità per il settore primario, soprattutto in relazione alle implica-zioni della Politica agricola comune (PAC) e alle dinamiche del consumo alimentare. Dopo le siccità che hanno colpito l’I-talia meridionale nel 2000-2001 e il Centro-Nord nel 2003, l’esigenza di un più stretto coordinamento tra le amministrazioni competenti per la gestione dell’acqua nei vari settori è diventato sempre più evidente. A li-vello nazionale, le competenze per il settore idrico sono risultate numero-se e complesse, e hanno subito negli ultimi anni delle modifiche a seguito del nuovo quadro normativo impo-sto dalla direttiva quadro europea sulle acque 2000/60 (WFD), recepito in Italia con il decreto legislativo 152 del 2006.
1
1 Il Progetto SIGRIA, coordinato dall’INEA;
vede la partecipazione di Carlo Cafiero
(Università Federico II di Napoli), Fabian
Capitanio (Università Federico II di Napo-
li) e Salvatore Di Falco (London School of
Economics).
n. 4/2011
Come è noto, il Ministero delle po-litiche agricole, alimentari e forestali (MiPAAF) è competente per la pro-grammazione ed il coordinamento in tema di reti infrastrutturali irrigue di rilevanza nazionale. Con l’obiettivo di rispondere in maniera sempre più efficiente alle specifiche vocazioni di natura territoriale, alle questioni di natura ambientale ed alle modifiche climatiche rilevanti per il settore agri-colo, a partire dal 2004, il MiPAAF, in-sieme alle autorità regionali compe-tenti, ha avviato un filone di ricerca specifico, coinvolgendo l’INEA, per la individuazione di un modello di ana-lisi a supporto delle valutazioni sugli investimenti infrastrutturali pubblici per il settore irriguo.Il primo passo compiuto è stato l’in-dividuare una serie di misure priori-tarie in grado di affrontare le princi-pali problematiche caratterizzanti il sistema irriguo nazionale, quali: a) recupero dell’efficienza degli ac-cumuli per l’approvvigionamento idricob) completamento funzionale degli schemi irriguic) miglioramento dei sistemi di ad-duzioned) adeguamento della rete di distri-buzionee) sistemi di misura e controllo f) riutilizzo irriguo delle acque reflue depurate.
A luglio 2007, la Commissione Ue ha emanato la comunicazione dal titolo “Affrontare il problema della carenza idrica e della siccità nell’Unione Euro-pea” che approfondisce le questioni strettamente connesse alla dispo-nibilità idrica a livello europeo, par-tendo dalla constatazione che, come l’energia, l’acqua è necessaria per tutte le attività umane, economiche e sociali. Nel documento, la Commis-sione ha evidenziato che negli ultimi trent’anni i fenomeni di siccità nella Ue sono aumentati drasticamente in frequenza e intensità, proponendo una prima serie di opzioni strategi-che a livello europeo, nazionale e re-
gionale per affrontare e ridurre i pro-blemi di carenza idrica. In relazione, quindi, alle indicazioni della Commis-sione Europea in merito soprattutto alle questioni connesse alla disponi-bilità idrica per i diversi usi, l’INEA ha avviato uno studio finalizzato a dare indicazioni utili ad orientare i finan-ziamenti pubblici per le infrastruttu-re irrigue, tenendo in debito contro le specificità territoriali, la redditività
dell’uso dell’acqua e le implicazioni per l’agricoltura connesse al cam-biamento climatico in atto. Obiettivo finale del lavoro è quella di operare una valutazione del valore economi-co dell’acqua irrigua a livello naziona-le considerando le variabili citate ed i vincoli imposti dalle informazioni e dai dati disponibili.Nello specifico, nella Comunicazione la Commissione riporta due impor-
tanti obiettivi. Il primo si riferisce al completamento dell’attuazione della direttiva quadro sulle acque, ai fini di una gestione efficiente delle risorse idriche e dell’adozione di politiche tariffarie efficaci e capaci di riflettere il livello di importanza dell’acqua a livello locale. Il secondo fa esplicito riferimento alla creazione di ulteriori infrastrut-ture per l’approvvigionamento idri-
a cura di
valutazione economica degli inve-stimenti irrigui, sulla base della in-dividuazione dei benefici e dei costi connessi alla pratica irrigua, valutati a livello aziendale. Per le analisi so-no state utilizzate due banche dati dell’INEA: il SIGRIAN (Sistema infor-mativo nazionale per la gestione del-le risorse idriche in agricoltura) e la RICA (Rete di informazione contabile agricola).Il SIGRIAN è un sistema informativo territoriale (finanziato dal MiPAAF) funzionale ad analisi, pianificazione e programmazione di tutte le atti-vità territoriali relative all’uso irri-guo dell’acqua, realizzato e gestito dall’INEA. Si tratta di un supporto alle decisioni per le azioni di breve e medio termine (come la gestione dell’acqua in periodi di crisi) sia per le azioni di lungo termine (politiche per le risorse idriche e programma-zione finanziaria degli investimenti). Alla implementazione del sistema hanno partecipato Regioni e Provin-ce Autonome che hanno coinvolto gli Enti locali competenti per la gestione dell’acqua in agricoltura realizzando i singoli sistemi regionali, successiva-mente integrati in un unico sistema nazionale.Il SIGRIAN è un geodatabase, in cui tutte le informazioni sono associate a dati geografici, collegati tra di loro nei diversi campi, con funzione an-che di banca dati storica che permet-
te di analizzare l’evoluzione dell’uso irriguo dell’acqua nelle diverse aree del Paese.I dati raccolti riguardano:
-mico-gestionale degli Enti compe-tenti in materia di irrigazione
-zione
irrigua (colture irrigate e volumi irrigui)
-vigionamento, sviluppo e caratte-ristiche delle reti irrigue).
A livello nazionale, inoltre, l’INEA è l’ente referente per la banca dati
RICA (Rete di informazione contabi-le agricola), che ha fornito le serie storiche delle informazioni di natura microeconomica in materia di produ-zione agricola.L’analisi di supporto alla program-mazione degli investimenti si basa quindi sulla individuazione delle aree in cui si ha necessità e convenienza all’investimento rispetto a:le realtà irrigue con infrastruttu-re collettive nel Paese e le rela-tive caratteristiche gestionali e strutturalil’associazione tra dati di produ-zione agricola e meteorologici, al fine di determinare il legame
tra disponibilità di acqua, uso e produzione agricola. Con riferi-mento ai dati meteorologici sono state analizzate serie storiche ri-ferite agli ultimi 25 anni, in mo-do da includere tra i criteri della valutazione le possibili modifiche dovute ai cambiamenti climatici, con l’obiettivo di fornire indica-zioni utili per una pianificazione e programmazione degli interventi più efficiente e mirata anche nel lungo periodola stima dei costi relativi alle reti distributive d’acqua irrigua, per una valutazione economica degli investimenti necessari.
Su questo ultimo aspetto, il più inno-vativo, il punto di partenza è stato la considerazione che la parte premi-nente del valore dell’acqua irrigua deriva dal suo contributo alla produ-zione agricola, valore che si manife-sta soprattutto nei periodi di relativa scarsità degli apporti idrici naturali (neve e pioggia). La metodologia, pertanto, si concentra sulla pratica irrigua vista più come strumento per la gestione del rischio di danni da siccità, che come normale fattore della produzione in agricoltura. Ciò è in una qualche maniera in contrasto con la tradizione prevalente degli studi di economia agraria, che inve-
co, precisando che nelle aree in cui la domanda è comunque superiore alla disponibilità di acqua e tutte le misure di prevenzione sono state attuate conformemente alla gerar-chizzazione delle opzioni idriche e te-nendo in debito conto la dimensione costi-benefici, nuove risorse idriche possono essere create o recuperate, attraverso lo stoccaggio di acque di superficie o sotterranee, il trasferi-mento d’acqua o l’uso di sorgenti alternative, ulteriori infrastrutture di approvvigionamento idrico, al fine di ridurre l’impatto di gravi siccità. Opzioni alternative, quali la desali-nizzazione e il riutilizzo delle acque reflue, sono sempre più prese in considerazione in tutta Europa come soluzioni potenziali. In tale ambito, la Commissione Europea evidenzia che per la realizzazione di queste infra-strutture è importante analizzare e considerare le future variazioni del-le aree ad esse sottese derivanti dai cambiamenti climatici e gli obiettivi da conseguire nell’ambito della poli-tica agricola ed energetica per l’Eu-ropa, in modo da evitare qualsiasi incompatibilità.
Per il perseguimento delle finalità descritte è stato, quindi, avviato lo studio di una metodologia per la
n. 4/2011
ce considerano l’acqua un input va-riabile in una funzione di produzione continua.Considerato che la disponibilità di ac-qua per l’irrigazione è una variabile stocastica, la cui distribuzione dipen-de da condizioni naturali, in parte anche soggette ad evoluzione nel tempo, ma che comunque sono al di fuori del controllo diretto da parte di qualsivoglia operatore pubblico, l’analisi si è inizialmente concentra-ta sulla scelta della variabile con cui misurare la disponibilità effettiva di acqua per l’agricoltura: questione tutt’altro che ovvia. In letteratura, il problema è stato ripetutamente af-
frontato ad esempio nella ricerca di indici climatici su cui costruire titoli finanziari derivati da utilizzare come possibili strumenti per la gestione del rischio di produzione.
Dato l’obiettivo esposto, l’analisi ha avuto come riferimento territoriale le aree ad irrigazione collettiva, per le quali il SIGRIAN e la RICA hanno fornito le informazioni necessarie. Come orizzonte temporale è stato scelto il periodo dal 1980 al 2007.Partendo dalle acquisizioni di agro-nomia e fisiologia vegetale, e dallo
studio dei rapporti tra pianta, suolo e atmosfera, è emerso che la sem-plice misura dei volumi di acqua che giungono al suolo (ad esempio attraverso la pioggia) certamente non è sufficiente a definire l’ac-qua disponibile per le piante, che invece dipende da fattori quali la struttura del suolo, la temperatura dell’aria e del suolo, e il particolare stadio fisiologico di sviluppo della coltura. Tutti questi aspetti han-no reso complicato il tentativo di costruire un indice univoco con il quale definire l’acqua “disponibile” o “effettiva” per l’agricoltura, e da mettere in relazione poi con la pro-
duzione agricola, e da cui partire per ottenere una misura del valore, anche in relazione alle informazioni e ai dati meteorologici disponibili per più anni in maniera completa. Ai fini della individuazione della re-lazione tra disponibilità e apporti sono state analizzate e descritte le aree oggetto di analisi in relazione alle modalità di gestione e distribu-zione dell’acqua nei distretti irrigui, utilizzando i dati del SIGRIAN. Inol-tre, è stato costruito di un modello di simulazione, a partire dai dati sulla struttura delle produzioni agricole e dai fabbisogni irrigui del-le stesse, per tracciare sperimental-
mente la relazione tra acqua e pro-duzioni. La principale fonte di dati utilizzata a questo scopo è stata la RICA che presenta i dati contabili delle aziende agricole campionate e che contiene, distinti per singola coltura, dati sia sulla produzione fisica ottenuta che sui cosiddetti margini lordi, ossia le differenze tra ricavi ottenuti dalla vendita dei prodotti di quella coltura ed i costi ad essa chiaramente attribu-ibili. Attraverso la progettazione di procedure informatiche ad hoc per la interrogazione del database, sono state costruite le serie stori-che delle rese medie, per coltura, delle aziende del campione analiz-zato, per l’intero periodo, a livello di regione agraria e a livello di area territoriale di pertinenza dei singoli enti gestori dell’acqua irrigua.
Il modello attualmente è stato ap-plicato ad alcune aree irrigue nazio-nali ed è in corso di applicazioni su più territori. È stato, quindi, possi-bile individuare nell’ambito di una singola regione le aree dove il costo dell’acqua irrigua è più elevato, da-te le variabili ed i vincoli considerati e descritti. Questa informazione, associata alle valutazioni di natura strettamente tecnica e di rispon-denza alle priorità territoriali, può ri-sultare di fondamentale importanza
ai fini di programmazione di risorse finanziarie per gli investimenti irrigui che diventano ogni giorno sempre più scarse e in risposta alle richieste sempre più stringenti della Com-missione di considerare interventi in grado di dare risposta anche agli scenari di cambiamento climatico, così come individuati dalla lettera-tura. In generale, la tesi più diffusa è che si vada verso una modifica del clima, per l’area del Mediterraneo, che prevede un cambiamento della distribuzione e della intensità delle piogge durante l’anno associato ad un aumento delle temperature e, pertanto, ne discende una modifica della disponibilità idrica in certi pe-riodi dell’anno. Stante questo scena-rio, è evidente che nel tempo possa nascere una maggiore esigenza di accumulo della risorsa o di ricorso a fonti di approvvigionamento idrico alternative definite non convenzio-nali. Associando la valutazione di tali esigenze infrastrutturali alla valuta-zione economica della convenienza ad investire in determinate aree del Paese, è possibile impostare una programmazione più efficiente e ri-spondente alle reali problematiche del settore irriguo nazionale.
Raffaella Zucaro è primo ricercatore
dell’INEA e responsabile dell’ambito
di ricerca Gestione Risorse Ioniche.
Progetti ed attività Territori n. 7/2012
per il territorio rurale
a cura di
Il valore di mercato dei terreni agricoli
di Concetta Cardillo, Giuliano Gabrieli, Massimo Gioia e Franco Mari
Le determinanti del valore
per i terreni agricoli
Il valore dei terreni agricoli si costi-
tuisce di una molteplicità di fattori,
spesso di complessa valutazione.
Secondo alcune teorie tradizionali,
ad esempio, il prezzo dei prodot-
ti agricoli rappresenta una delle
determinati più significative del
prezzo dei terreni. L’aumento dei
prezzi agricoli generalmente rende
l’attività agricola più remunerativa
e quindi influenza il valore del suo-
lo coltivabile; la situazione natural-
mente varia a seconda della tipolo-
gia di coltivazioni o di allevamenti
(Moller et al. 2008).
Anche la fertilità del suolo costi-
tuisce un fattore importante del
suo valore: essa in genere dipende
dalla conformazione topografica,
dalla granulometria e dalle carat-
teristiche fisico-chimiche, dalla
potenzialità irrigua. La presenza di
un sistema articolato di pianifica-
zione territoriale, i relativi vincoli
ambientali e di tutela parimen-
ti incide significativamente nella
formazione del valore. Rivestono,
altresì, una notevole importanza
le indicazioni generali di politica
economico-agraria: fondamentale
risulta il sistema di aiuti e contri-
buti comunitari a sostegno dell’at-
tività agricola o le misure nazionali
di sgravio fiscale e di credito age-
volato. Per esempio, l’applicazione
della PAC attuale ha introdotto la
forma del pagamento unico ope-
rando una segmentazione del mer-
cato tra terreni eleggibili o meno ai
fini dell’aiuto, cioè tra terreni con o
senza titoli di aiuto. Infatti, gli agri-
coltori in possesso di titoli di paga-
mento superiori alle proprie aree
eleggibili saranno disposti a pagare
prezzi di affitto o di compravendita
più alti per i terreni “liberi”, al fine
di attivare i loro titoli.
Dall’opinione degli esperti in materia
emerge che, paragonato con le al-
tre determinanti, l’effetto del paga-
mento unico sembra essere minore
rispetto alla riduzione delle attività
del mercato fondiario dovuta ad un
aumento dell’incertezza sul futuro
della politica agricola che rendono
gli agricoltori più cauti e conservatori
rispetto all’acquisto di terreni.
Anche il capitale sociale riveste un
ruolo importante nella determina-
zione del valore di un terreno: esso
è rappresentato dal complesso del-
le relazioni interpersonali informali
presenti su un determinato terri-
torio: le capacità professionali, i
rapporti di fiducia, le filiere, le reti
commerciali, ecc.
Altro fattore che influisce sul valore
della terra è la struttura della forza
lavoro.
Ci sono infine molti aspetti non
strettamente legati all’attività
agricola che riguardano il mercato
immobiliare connesso ad attività
industriali e commerciali, agli usi
residenziali e ricreativi e alle infra-
strutture. Infatti la competizione
con le diverse destinazioni urba-
nistiche condiziona fortemente il
valore dei terreni agricoli. Un cer-
to ammontare di terreni conflui-
sce ogni anno sul mercato fondia-
rio per ragioni fisiologiche come,
ad esempio, il pensionamento o
la morte dei proprietari, ma solo
una piccola parte di questo viene
venduta. E poi da sempre la terra
rappresenta una riserva di valore e
potrebbe verificarsi una domanda
addizionale di suoli in periodi di
inflazione o di incertezza econo-
mica.
Le principali caratteristiche
La RICA (Rete d’Informazione Con-
tabile Agricola) corrisponde all’in-
dagine campionaria che, dal 1965,
viene realizzata annualmente dalla
Commissione Europea negli Stati
membri dell’UE. Rappresenta uno
strumento informativo di fonda-
mentale importanza per la gestio-
ne e lo sviluppo della PAC. A livello
nazionale la gestione della RICA è
affidata all’INEA che – dall’istitu-
zione della Rete – è responsabile
della selezione delle aziende e
della raccolta dei dati. Fino al
2002, le aziende del campione RICA
Italia partecipavano all’indagine
volontariamente, mentre dal 2003
le rilevazioni sono realizzate in
maniera coordinata con l’indagine
sui Risultati Economici delle
Aziende agricole (REA) gestita
dall’ISTAT, in attuazione del Reg.
CE 2236/96. Dal 2003, quindi, la RI-
CA Italia è basata su un campione
casuale stratificato: le aziende sono
scelte in base ad un piano di sele-
zione e devono essere rappresen-
tative dell’universo delle aziende
agricole appartenenti ad un defini-
to campo di osservazione secondo
tre caratteri: regione, dimensione
economica e ordinamento produt-
tivo. Ed un peso individuale è appli-
cato ad ogni azienda del campione.
Il campo di osservazione dell’in-
dagine è basato sul V Censimento
generale dell’agricoltura aggiornato
con le indagini sulla Struttura e Pro-
duzione delle Aziende agricole (SPA)
realizzate dall’ISTAT con cadenza
biennale, con la RICA-REA e con al-
tre indagini specifiche realizzate da
ISTAT. Le aziende agricole che par-
tecipano all’indagine RICA vengono
selezionate sulla base di un piano di
campionamento redatto in ciascun
Paese dell’UE, in modo da garanti-
re la rappresentatività dell’insieme
delle contabilità aziendali rilevate
per il campo di osservazione. Dal
2010 il campione RICA comprende
tutte le aziende dell’universo UE2
con una produzione standard pari
ad almeno 4.000 euro. La metodo-
logia impiegata per l’allocazione del
campione tra gli strati costituisce in
pratica una estensione del metodo
di Neyman al caso di più variabili,
e adotta poi come metodo di riso-
luzione una generalizzazione della
proposta di Bethel (Bethel 1989).
Definito il numero di aziende da
campionare, in ogni singolo strato
la selezione delle stesse è di tipo
equi-probabilistico e viene effet-
tuata in modo casuale. Le variabili
strategiche per l’allocazione delle
unità campionarie negli strati so-
no quelle ritenute di notevole ri-
levanza per le analisi economiche
agricole. Per ottenere il livello di
precisione desiderato per ogni sin-
gola variabile strategica, vengono
fissati gli errori campionari massi-
mi, espressi in termini di percen-
tuali dei coefficienti di variazione,
dati dal rapporto tra la deviazione
standard di strato della variabile e
la stima del totale di strato della va-
riabile considerata. La numerosità
campionaria e la sua distribuzione
tra gli strati si ottiene quindi fissan-
do le precisioni desiderate espresse
in termini di percentuale di coeffi-
cienti di variazione sulle variabili
strategiche, sia a livello nazionale
che regionale e assicurandosi una
numerosità minima di 5 unità per
ogni strato. Per quanto concerne le
modalità di rilevazione delle infor-
mazioni, le aziende del campione al
di sopra di una determinata soglia
di dimensione economica vengono
rilevate ai fini RICA e REA attraverso
un apposito software di rilevazione
(Continea fino al 2007 e Gaia dal
2008), mentre le aziende al di sot-
to di questa soglia vengono rilevate
ai soli fini REA, tramite un apposito
questionario.
Impostazione metodologica
dello studio
La variabile oggetto di studio
Nel nostro caso il valore dei terre-
ni agricoli è riferito al valore della
terra nuda3 ed è stimato secondo
il criterio del più probabile valore
di mercato. I valori in esame sono
solo quelli relativi a terreni di pro-
prietà dell’azienda e l’operazione
di stima viene eseguita previa ac-
curata attribuzione della qualità
colturale ai terreni dell’azienda,
in modo da definire delle porzioni
di questi nell’ambito delle quali si
verificano condizioni di omogenei-
tà nei confronti delle variabili che
influiscono sul valore del terreno
stesso.
Introduzione
L’INEA ha recentemente realiz-
zato uno studio mirato a verifi-
care la rispondenza dei risultati
tratti dalla banca dati della rete
delle aziende agricole italiane
RICA1 alle quotazioni del mer-
cato fondiario nazionale dei ter-
reni. Le informazioni raccolte in
quella sede – e precisamente i
dati 2009 – sono attualmente al
vaglio di una nuova metodologia
contabile (GAIA) impiegata in
ambito di valutazioni INEA che
presuppone anche la ridefini-
zione delle zone geografiche di
riferimento.
1 La Rete di Informazione Contabile Agrico-
la (RICA) è lo strumento di rilevazione co-
munitario finalizzato a conoscere la situa-
zione economica dell’agricoltura europea.
3 Si verifica ciò perché i dati RICA sono dati
contabili. I valori dei soprassuoli, quindi,
qualora presenti, sono registrati separata-
mente per essere sottoposti ad ammorta-
mento.
2 Il campo di osservazione UE è costituito
da tutte le aziende operanti nel settore
agricolo con almeno un ettaro di superficie
agricola utilizzata (SAU) o la cui produzio-
ne presenta un valore di almeno 2.500 eu-
ro; non rientrano nel campo di osservazio-
ne UE le aziende esclusivamente forestali.
Macrocolture
Codice Descrizione Superficie irrigabile Codice Descrizione
1Seminativo asciutto
0 01 Seminativo
23 Ortofloricolo
2 Seminativo irriguo 1 01 Seminativo
23 Ortofloricolo
3 Frutteto 06 Frutteto
07 Agrumeto
4 Vigneto 09 Vigneto
5 Oliveto 08 Oliveto
6 Pascolo 03 Prato permanente
04Pascolo e incolto produttivo
7 Bosco 14 Bosco
Qualità colturali non utilizzate
05 Vivaio
12Altre colture permanenti
13 Arboricoltura da legno
16 Macchia mediterranea
17 Orto familiare
18 Tare fabbricati
19 Altre tare
Progetti ed attività Territori n. 7/2012
all’identificazione dei riferimenti
territoriali nelle zone altimetriche
provinciali, definite in base all’al-
timetria ISTAT, e all’adozione delle
seguenti qualità colturali: semina-
tivo asciutto, seminativo irriguo,
frutteto, vigneto, oliveto, pascolo e
bosco. Da evidenziare che sia i ri-
ferimenti territoriali che quelli col-
turali presentano il vantaggio, non
trascurabile, di essere riconoscibili
macroscopicamente.
Nello studio citato in introduzione,
i riferimenti territoriali (macroaree)
sono stati individuati utilizzando
l’altimetria ISTAT definita solo sulla
base dell’altitudine dal mare e non
anche sulla base della distanza da
esso. Ciò, in fase di analisi com-
parata dei risultati ottenuti, ha
fatto ipotizzare che le differenze
riscontrate con i dati di altre fonti
fossero da imputare anche alle di-
verse definizioni delle macroaree.
Pertanto, si è ritenuto opportuno
utilizzare l’altimetria ISTAT definita
anche sulla base della distanza dal
mare, in modo da ottenere gli stes-
si riferimenti territoriali dall’inda-
gine INEA sul Mercato fondiario
e, quindi, poter sviluppare un più
appropriato esame comparato dei
risultati.
Le qualità colturali dei suoli, inve-
ce, sono state ottenute dall’aggre-
gazione delle qualità colturali pre-
viste da Gaia come mostrato dalla
tabella 1.
Per distinguere la macrocoltura dei
seminativi asciutti da quelli irrigui
è stata considerata la variabile di-
cotomica “superficie irrigabile” che
identifica la potenzialità irrigua.
Le possibili associazioni tra ma-
croarea e macrocoltura rappre-
sentano il criterio di post-stratifi-
cazione del campo di osservazio-
ne dell’analisi.
Selezione ed elaborazione
delle informazioni disponibili
In considerazione di alcune pecu-
liarità relative alla formazione del
campione RICA (sostituzione delle
aziende con tasso annuale del 20-
25% circa), per la selezione delle
informazioni è stata utilizzata la
tecnica del panel anziché quella
di eliminazione degli outlier. Inol-
tre, in considerazione dei limiti di
rappresentatività del campione
RICA per la variabile in esame, il
calcolo dei valori medi è stato ef-
fettuato a mezzo della media arit-
metica semplice anziché di quella
ponderata. Nei dettagli, i princi-
pali numeri dello studio sono i
seguenti. Per l’anno 2009 negli ar-
chivi di Gaia sono presenti 49.616
registrazioni relative a terreni
aziendali. Tuttavia, considerando
solo i terreni che rientrano nella
classificazione predisposta, cioè
che afferiscono alle macrocolture
selezionate, si ottiene un totale
di 35.011 osservazioni. Inoltre, si
è scelto di non utilizzare tutte le
osservazioni disponibili del cam-
pione, ma di utilizzare il panel del
campione relativo agli anni 2008
e 2009, ovvero un sottocampio-
ne che considera un numero di
osservazioni che sono presenti
in entrambi gli anni. Un dato che
viene confermato in due anni
per il territorio rurale
a cura di
La scelta dei riferimenti territoriali
e colturali
Un passaggio importante è stata la
definizione dei riferimenti territo-
riali e colturali entro i quali media-
re le informazioni disponibili. I cri-
teri ispiratori per l’individuazione
di questi riferimenti sono stati la
robustezza statistica delle informa-
zioni da produrre e, al tempo stes-
so, la loro fruibilità. Ciò ha portato
Valle D’Aosta Montagna interna 34.510 9 46.422 48 59.557 63 18.168 821 3.010 150
Piemonte Montagna interna 19.760 19 29.444 43 18.749 42 9.083 178 6.924 43
Collina interna 12.566 340 17.257 105 20.954 170 39.987 333 11.153 259 5.501 165
Pianura 21.637 161 28.163 541 32.735 86 73.989 20 24.637 173 14.692 23
Lombardia Montagna interna 69.910 11 29.042 17 34.832 19 23.459 73 23.949 21
Collina interna 45.400 39 57.880 57 57.074 9 68.503 41 37.843 30 13.060 24
Pianura 54.142 80 52.457 585 55.640 11 57.728 6 34.444 68 21.699 37
Trentino Montagna interna 56.464 28 87.676 30 190.427 425 189.166 244 39.800 190 15.268 59
Alto Adige Montagna interna 7.004 100 12.060 100 30.000 248 30.043 92 1.057 157
Veneto Montagna interna 14.636 11 22.643 47 9.086 7
Collina interna 45.085 32 55.691 61 65.145 29 72.245 137 53.435 13 41.322 68 23.264 40
Pianura 41.075 81 46.209 722 60.566 142 52.835 191 57.074 7 47.646 82 24.157 30
Friuli V. Giulia Montagna interna 12.283 45 9.486 10
Collina interna 24.539 182 26.535 50 31.733 100 15.438 83 7.002 87
Collina litoranea 23.437 8 17.159 9 9.292 8
Pianura 27.079 440 26.777 536 31.026 77 33.223 303 20.515 5 16.593 99 9.826 120
Liguria Montagna interna 26.617 14 55.402 62 37.548 12 32.781 35 8.987 28
Montagna litoranea 94.636 5 8.787 6
Collina interna 152.988 30 43.033 6 35.562 41
Collina litoranea 41.626 18 164.166 433 40.797 23 35.535 30 33.296 124 11.323 14
Emilia Romagna Montagna interna 9.568 59 12.070 15 30.400 9 4.018 56 6.399 97
Collina interna 21.100 98 36.920 51 37.341 46 45.621 103 23.275 17 16.660 73 6.003 117
Collina litoranea 37.571 14 59.333 6 37.714 7
Pianura 34.687 166 37.960 372 37.553 280 46.226 245 30.681 110 7.194 47
Toscana Montagna interna 26.020 71 97.048 19 10.232 16 10.123 9 6.867 8 3.135 51
Collina interna 16.188 440 43.949 123 14.020 10 36.596 297 15.089 292 3.473 93 3.660 242
Collina litoranea 15.728 91 22.210 50 16.542 8 17.754 45 12.938 63 3.581 41
Pianura 13.805 52 127.897 64 22.862 16 15.500 27 2.658 8
Marche Montagna interna 10.320 91 16.757 7 2.272 26 2.889 19
Collina interna 13.910 308 12.786 16 20.198 115 16.689 104 4.249 18 6.479 49
Collina litoranea 14.656 382 19.732 52 21.099 50 20.350 190 17.936 213 7.643 7 4.073 13
Umbria Montagna interna 9.140 69 14.222 7 10.712 7 8.568 8 3.777 46 2.614 25
Collina interna 12.448 381 17.296 114 14.637 12 13.411 212 11.421 261 3.764 76 2.911 208
Lazio Montagna interna 14.203 54 16.227 13 12.916 16 4.049 56 3.115 25
Collina interna 14.774 110 17.870 100 20.221 32 17.179 27 15.660 74 5.158 32 3.225 14
Collina litoranea 15.562 12 28.185 40 20.961 18 22.207 13 17.711 18
Pianura 18.590 35 27.505 127 18.398 21 17.805 16 17.277 16
Abruzzo Montagna interna 11.421 127 16.809 147 16.270 7 16.091 27 4.055 55
Collina interna 11.117 96 17.348 22 18.934 42 16.094 87
Collina litoranea 13.074 104 17.917 103 22.861 36 19.940 203 17.431 214 6.443 10
Molise Montagna interna 6.951 235 10.980 7 11.763 37 11.088 69 4.055 59 4.067 68
Collina interna 9.247 182 18.079 25 16.804 11 12.631 31 14.283 110 3.416 6 4.260 40
Collina litoranea 14.090 35 20.131 65 19.473 24 21.847 60 18.779 72 5.596 12
Campania Montagna interna 11.885 96 20.554 20 27.884 30 20.243 27 8.642 30 5.100 9
Collina interna 15.071 76 23.216 75 33.746 28 35.908 58 28.855 89 14.013 13 5.889 14
Collina litoranea 143.652 17 77.524 19 80.000 6 22.825 12
Pianura 159.547 7 108.237 143 49.989 79 41.501 6
Calabria Montagna interna 6.441 14 8.384 14 10.708 22
Montagna litoranea 20.067 15 16.143 14
Collina interna 6.866 35 6.504 16 13.400 5 10.196 70
Collina litoranea 7.710 30 8.777 10 19.585 36 11.400 5 12.913 86 2.023 5
Pianura 6.095 24 9.708 25 18.680 14 12.749 34
Puglia Montagna interna 11.589 48
Collina interna 14.935 144 21.151 13 17.809 52 19.835 24 14.029 90 4.774 28 7.873 23
Collina litoranea 9.394 40 12.938 8 13.495 11 12.350 54 6.585 16 7.100 5
Pianura 14.487 147 17.000 130 21.860 49 19.096 174 13.207 303
Basilicata Montagna interna 5.533 125 13.202 33 20.111 6 9.516 24 8.466 31 3.084 127 5.126 25
Collina interna 10.008 244 13.262 24 17.402 48 16.591 45 12.828 131 2.240 62 4.071 16
Pianura 12.354 20 14.479 63 18.868 140 19.296 23 16.236 61 3.676 9
Sicilia Montagna interna 8.294 74 13.691 22 3.617 56
Collina interna 7.187 137 14.076 47 13.896 28 11.026 85 3.159 45
Collina litoranea 9.151 41 22.841 56 17.243 32 15.560 11 11.295 41 3.315 45
Pianura 8.130 10 23.577 25 19.837 38 13.798 61 11.230 40
Sardegna Montagna interna 4.875 23 3.253 34
Collina interna 6.515 127 12.024 30 19.500 14 11.796 20 10.676 42 3.785 112
Collina litoranea 7.591 35 13.796 27 15.800 5 11.778 9 10.667 12 3.336 33
Pianura 8.849 70 13.173 110 20.482 23 13.757 15 11.400 19 3.955 27
Fonte: Banca dati Rica 2009
seminativo asciutto
seminativo irriguo
frutteto vigneto oliveto pascolo bosco
Regione Zona altimetrica Valore n Valore n Valore n Valore n Valore n Valore n Valore n
seminativo asciutto
seminativo irriguo
frutteto vigneto oliveto pascolo bosco
Regione Zona altimetrica Valore n Valore n Valore n Valore n Valore n Valore n Valore n
Progetti ed attività Territori n. 7/2012
consecutivi, infatti, dà maggiori
garanzie sulla sua correttezza. In
questo modo si ottiene un panel
composto da 29.205 osservazioni
comuni ad entrambi i campioni.
Infine, sono stati considerati solo
gli strati che contengono osserva-
zioni relative ad almeno 5 aziende
diverse, ottenendo un campione
finale di 27.468 osservazioni per
un totale di 9.994 aziende e 863
strati (incroci tra macroaree e ma-
crocolture).
Risultati dello studio
La stima dei valori medi dei suoli
per tipologia colturale (incluso il
bosco) e zona geografica utilizza i
dati dei valori dei terreni presenti
nell’archivio Gaia 2009. Siccome,
non è possibile adottare nessun
metodo di riporto all’universo dei
dati, l’unica indicazione di “atten-
dibilità” della stima è data dalla
numerosità delle osservazioni im-
piegate per la stima stessa. Infatti,
sebbene il campione RICA sia un
campione casuale basato su un di-
segno campionario che consente
il calcolo dei pesi da assegnare ad
ogni azienda per l’estensione delle
informazioni raccolte all’universo
delle aziende del campo di osser-
vazione, questi pesi non possono
essere qui utilizzati per due motivi:
l’unità statistica dell’indagine RI-
CA è l’azienda e non la tipologia di
suolo e la tipologia e il valore dei
suoli non costituiscono delle varia-
bili strategiche del disegno campio-
nario. Per questo motivo, affianco
alla colonna del valore è riportato
anche il numero di osservazioni
utilizzate per la stima. Questa in-
formazione consente di valutare la
affidabilità della stima, più alto è il
numero di osservazioni e maggiore
è la probabilità che il valore stimato
sia aderente a quello reale (è stato
deciso di non mostrare il valore del-
le medie quando queste sono cal-
colate a partire da meno di cinque
aziende).
Nella tabella 2 a sono riportati i
valori per regione e zona altime-
trica. Il valore dei suoli varia all’in-
terno di ogni regione a seconda
della zona altimetrica del comu-
ne in cui si trova il centro azien-
dale che dispone del terreno. Di
seguito si riportano i principali
risultati per circoscrizione.
Italia settentrionale
I valori più elevati si registrano
per il vigneto e il frutteto, con
valori medi ad ettaro davvero
consistenti per il Trentino, intor-
no ai 190 mila euro, che variano
da 50 a 70 mila euro per la Val-
le d’Aosta, il Piemonte, il Veneto,
l’Emilia-Romagna e la Lombardia
(in quest’ultima regione, però, i
seminativi hanno valori superiori
al vigneto e al frutteto) e un po’
meno, circa 30 mila euro, per l’Al-
to Adige e il Friuli-Venezia Giulia
(in quest’ultima regione i semina-
tivi hanno valori simili al vigneto
e al frutteto). In Liguria, invece, i
valori più elevati sono quelli del
seminativo irriguo, che vale intor-
no ai 150 mila euro ad ettaro nelle
zone di collina e tra i 50 e i 90 mila
euro nelle zone di montagna.
Italia centrale
I valori più elevati si registrano per
il seminativo irriguo che in Tosca-
na è stimato tra i 100 e i 120 mila
euro ad ettaro. Seguono il frutte-
to e il vigneto, con valori compresi
tra 20 e 40 mila euro ad ettaro per
la Toscana e il Lazio, e 15-20 mila
euro per le Marche e l’Umbria.
Italia meridionale e insulare
Anche in questo caso i valori più
elevati sono registrati per il se-
minativo irriguo, il frutteto e il
vigneto. I valori variano dai 15 ai
20 mila euro ad ettaro, fatta ec-
cezione per la Campania che pre-
senta valori di 100-150 mila euro
ad ettaro per i seminativi e tra i 50
e gli 80 mila euro per il vigneto e
il frutteto.
L’esame comparato
dei risultati dello studio
Come già accennato, l’esame com-
parato tra i risultati dello studio e i
valori dei terreni agricoli prodotti
dall’INEA con l’indagine sul mer-
cato fondiario è stato condotto
esattamente con le stesse moda-
lità già utilizzate nello studio re-
lativo al 2007. Più precisamente,
le fasi nelle quali l’analisi è stata
sviluppata sono le seguenti:
-
reni afferenti alle due serie di
dati;
coppia di dati;
in classi di variazioni assolute e
variazioni percentuali e esame
delle stesse.
Differenziandosi le due serie di
dati solo per i riferimenti colturali,
per realizzare l’abbinamento è sta-
to sufficiente appaiare ai seminativi
irrigui della RICA i seminativi tout
court dell’indagine sul Mercato
Fondiario. La tabella 3 rappresenta
sinteticamente le modalità di que-
sto abbinamento.
Da notare, per inciso, che l’impo-
stazione metodologica dello stu-
dio porta alla definizione di 2.072
combinazioni tra zone altimetriche
provinciali (n. 296) e macrocolture
(n.7). L’indagine INEA sul mercato
fondiario esercita su queste com-
binazioni una copertura pari al
67%4. La copertura esercitata dalle
informazioni RICA, invece, è gene-
ralmente più bassa e normalmente
pari al 41%5. Come visto nel prece-
dente studio, però, qualora venga-
no prese in considerazione solo le
combinazioni significative (quelle
nelle quali la SAU della coltura in-
cide almeno per il 10% sulla SAU
della macroarea), il grado di coper-
tura esercitato dalle informazioni
prodotte dalla RICA sale a oltre il
60% del totale.
Effettuato l’appaiamento dei valori
come sopra precisato, le differenze
scaturite da ciascuna coppia di que-
sti sono state classificate in quattro
classi di variazione in valore asso-
luto (< 5.000, tra 5.000 e 25.000,
tra 25.000 e 50.000, > 50.000) e in
quattro classi di variazione percen-
tuale (< 5, tra 5 e 25, tra 25 e 50, >
50). La tabella 4 mostra le frequen-
ze delle differenze in esame per
classe di variazione, comparandole
anche con quelle ottenute dallo
studio relativo al 2007.
Si può notare, prima di tutto, che
il numero complessivo di osserva-
zioni6 passa dalle 802 del 2007 alle
774 del 2009. Stante lo stesso cam-
pione RICA, la variazione in esame
è da ascrivere a una modificazione
metodologica tesa all’ottenimento
d’informazioni statisticamente più
“robuste” e consistente nel con-
siderare solo le informazioni pro-
venienti da un numero minimo di
informazioni pari a cinque aziende
e non a cinque terreni.
Quanto alla modificazione dei ri-
sultati dello studio ascrivibile alla
nuova metodologia, l’esame delle
variazioni percentuali deducibili
dalla tabella denota, seppure in
misura non eccezionale, uno spo-
stamento delle differenze verso le
classi di minore ampiezza. Rispet-
to al 2007, infatti, la seconda clas-
se verticale (variazioni comprese
tra il 5 e il 25%), passa dal 30 al
35% delle frequenze e la seconda
classe orizzontale (variazioni com-
prese tra 5.000 e 25.000 euro),
passa dal 38 al 43%, contenendo
in realtà anche un 2% delle fre-
quenze che gli arrivano dalla clas-
se sovrastante.
Ballin M. (cur.), 2004, Indagine sui Risultati
Economici delle Aziende Agricole RICA-
REA, Anni 2002-2003-2004, Istruzioni per
la rilevazione delle variabili REA, ISTAT,
Roma.
Bethel J., 1989, Sample allocation in multi-
variate survey, «Survey Methodology»,
15, 1.
Ciaian P., Kancs D., Swinnen J., 2008, Study
on the functioning of Land Markets in the
EU Member States under the influence
of measures applied under the Common
Agricultural Policy, Centre for European
Policy Studies (CEPS), Brussels.
per il territorio rurale
a cura di
Classi di
variazioni in
valori assoluti
(€)
Classi di variazioni percentuali Classi di variazioni percentuali
<5 <5
Numero di casi
<5000 71 198 110 37 416 61 210 87 27 385
5.000 - 24.999 1 42 122 142 307 60 148 126 334
25.000 - 49.999 1 9 44 54 11 24 35
> 50.000 25 25 1 3 16 20
Totale 72 241 241 248 802 61 271 249 193 774
Percentuali
<5000 9 25 14 5 52 8 27 11 3 50
5.000 - 24.999 5 15 18 38 8 19 16 43
25.000 - 49.999 1 5 7 1 3 5
> 50.000 3 3 2 3
Totale 9 30 30 31 100 8 35 32 25 100
Fonte. Nostra elaborazione su dati RICA e Indagine Mercato Fondiario
Riferimenti colturali Riferimenti territoriali
Indagine MF Indagine MF
Seminativo asciutto Seminativi Montagna litoranea Montagna litoranea
Seminativo irriguo Seminativi Montagna interna Montagna interna
Frutteto Frutteti Collina litoranea Collina litoranea
Vigneto Vigneti Collina interna Collina interna
Oliveto Oliveti Pianura Pianura
Pascolo Prati e pascoli
Bosco
Fonte. Nostra elaborazione
6 Da notare che, in questo contesto, con
il termine “osservazione” non si fa riferi-
mento ad una osservazione elementare
(valore di un terreno) bensì ad una inter-
sezione tra macroarea e macrocoltura.
4 La copertura esercitata dall’indagine INEA
sul Mercato fondiario è pari al 100% dei
propri riferimenti territoriali e colturali.
L’indagine in esame, cioè, produce sem-
pre tutte le informazioni da essa previste.
La mancata copertura della totalità delle
combinazioni prodotte dallo studio in esa-
me, pertanto, è da imputare unicamente
al fatto che l’indagine in esame prevede
un solo tipo di seminativi e non prevede la
qualità colturale “Bosco”.
5 Si ricorda che si prendono in considera-
zione solo i casi supportati da un numero
di osservazioni minimo pari a cinque.
Progetti ed attivitàCiaian P., Kancs D., Swinnen J., 2010, EU
land markets and the Common Agricul-
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Commissione Europea RI/CC 1526, 2009,
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Swinnen J., Vranken L., 2007, Patterns of
Land Market Developments in Transi-
tion, Discussion Paper 179/2007, LICOS
Centre for Institutions and Economic Per-
formance, Leuven.
Il lavoro è il risultato della
collaborazione di tutti gli autori,
ricercatori all’INEA (Istituto Nazionale di
Economia Agraria), tuttavia i paragrafi
1 e 2 sono attribuibili a Concetta
Cardillo, il paragrafo 3 a Giuliano
Gabrieli, il paragrafo 4 a Massimo
Gioia, il paragrafo 5 a Franco Mari.
L’elaborazione dei dati è stata effettuata
da Giuliano Gabrieli e Massimo Gioia.
per il territorio rurale
a cura di
Valutare, programmare
e gestire le risorse territoriali,
con il supporto formativo
della ricerca scientifica
e delle esperienze professionali
più qualificate
Rivista bimestrale (6 numeri l’anno)
con rubriche, casi di studio e dossier
dedicati alle professioni tecniche
ed ambientali
territori 3Anno II - Maggio 2011
DOSSIER
territori 4Anno II - Luglio 2
011
DOSSIER
VAS
territori 5
DOSSIER
promozionale di € 39,00 anziché € 52,00
(l’abbonamento decorre dal I numero raggiungibile)
Desidero ricevere un numero omaggio di Territori
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è prestato
Firma _________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Data ______________________________________________________________________________________
Inviare il coupon compilato
via fax al numero
Il coupon compilato può essere
inviato in PDF anche all’indirizzo
Direct Channel Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) ha presentato un
internazionale. Il documento vede l’Italia al secondo posto in Europa. L’a-
-
tale produzione alimentare ma anche erogazione di servizi all’ambiente e
alla comunità: conservazione della biodiversità e del paesaggio, sicurezza
-
cali), cultura e tradizioni. In collaborazione con Legambiente, UPI (Unione
Montani) a BioEnergy Italy 2012 è stato organizzato un convegno che si
occuperà di energia rinnovabile e territorio: un’analisi delle opportunità per
economy, non solo come integrazione al reddito, ma anche come sviluppo
del ruolo dell’agricoltura e dell’allevamento, per i secondi, occasioni di mi-
Chimica Verde, CremonaFiere, DLG.
Programma
,
Presiede: , Chimica Verde
La situazione in Europa Giulio Volpi, Direzione Generale Energia, Commis-
sione Europea
Colture dedicate e residui per la produzione di energia: valutazioni agronomi-
che e di sostenibilità , SSSUP Pisa
,
Università di Bologna
Luca Lazzeri, CRA
CIN Bologna ed. 2012
10,45 – 12,00
, ,
presidenza dell’ANCI,
12,00
Intervento di , Presidente Legambiente
Moderatore: , Legambiente e coordinatore del Comitato Premio
Bioenergy 2012
14,30 - 17.00
Lorenzo
, CRA CIN - , Università di Firenze
-
mica Verde
Progetti ed attivitàper il territorio rurale
a cura di
Il raggiungimento degli obiettivi del-la politica di sviluppo rurale, siano essi legati alla competitività setto-riale, allo sviluppo delle aree rurali o alla governance istituzionale dipen-de anche dall’individuazione di stru-menti efficaci di intervento. Questo assunto ha guidato l’impostazione, nell’ambito del Piano Strategico Nazionale (PSN), di una strategia di azione incentrata sull’integrazione delle tipologie d’intervento rispetto agli obiettivi della politica di svilup-po rurale. Lo strumento in questio-ne è la progettazione integrata che può essere aziendale, settoriale o territoriale. Esso dovrebbe garantire l’efficacia dell’intervento attraverso procedure di facile accesso il cui te-ma conduttore è l’integrazione di obiettivi e strumenti di azione. Il Piano Strategico Nazionale pre-vede più strumenti di approccio integrato in risposta ad un impianto strategico mirato ad “aggredire” le problematiche del settore agricolo e delle aree rurali attraverso poli-tiche mirate all’efficacia dell’inter-vento. Tali politiche devono essere in grado di coinvolgere gli utenti nell’individuazione dei fabbisogni e, contemporaneamente, di garantire trasparenza e semplificazioni di na-tura amministrativa per i potenziali beneficiari. Per favorire questa tipologia di azio-ne, l’Istituto Nazionale di Economia Agraria, nell’ambito delle attività della Rete Rurale Nazionale (RRN), ha attivato un gruppo di lavoro che, da un lato, accompagna le Regioni nell’individuazione e nell’utilizzazio-
ne degli strumenti di integrazione, dall’altro ha il compito di studiare gli impatti di tali strumenti sul set-tore agricolo e sulle aree rurali. Le azioni intraprese sono indirizzate a comprendere l’efficacia della pro-gettazione integrata e ad individua-re linee d’intervento tarate sugli effettivi fabbisogni delle imprese e dei territori su cui agisce la Politica di sviluppo rurale.
Il Piano Strategico Nazionale (PSN) introduce la progettazione integrata fra le modalità di accesso agli inve-stimenti previsti dalla politica di svi-luppo rurale 2007/13 con l’obiettivo di garantire maggiore efficacia alla programmazione, gestione e attua-zione degli interventi. I Progetti In-tegrati possono avere una dimen-sione settoriale o territoriale e, in entrambi i casi, declinano il main-
streaming della politica di sviluppo rurale con l’obiettivo di rispondere in maniera sistematica a specifiche esigenze espresse dagli operatori delle filiere agroalimentari o dagli attori economici e sociali che ope-rano nei territori rurali. La progettazione integrata non è una novità, da tempo, in Italia le po-litiche di sviluppo locale (e rurale) possono contare su strumenti com-plessi d’intervento basati sull’in-tegrazione di soggetti e misure a sostegno di una strategia unitaria di sviluppo. A cominciare dagli anni ’80 è un susseguirsi di strumenti e procedure (Patti per l’occupazione,
Patti territoriali, Leader, Progetti integrati territoriali, Contratti di filiera, solo per citarne alcuni) che prevedono interventi organicamen-te legati e finalizzati ad un piano di sviluppo settoriale o territoriale. Gli stessi sono finalizzati a concentrare le risorse finanziare su ambiti omo-genei di intervento, coinvolgere gli attori socioeconomici nei processi di sviluppo, favorire la condivisione e la comunicazione con le istituzio-ni locali, favorire il decentramento amministrativo per meglio orienta-re gli interventi rispetto alle singo-le esigenze locali. La progettazione integrata stimola la partecipazione degli attori economici e sociali ai processi di sviluppo, la nascita di relazioni sistemiche tra soggetti di natura diversa e propone soluzioni più complesse e articolate per af-frontare le problematiche settoriali o territoriali.Nello stesso tempo la politica di sviluppo rurale ha sempre fatto un ricorso marginale a strumenti com-plessi d’intervento, se non nel caso dell’approccio Leader1, privilegian-do azioni direttamente rivolte alla singola impresa. L’esigenza di af-frontare in maniera organica le pro-blematiche dell’agricoltura e delle aree rurali ha indotto il legislatore, nell’individuazione delle linee stra-tegiche di intervento per lo sviluppo rurale, ad utilizzare strumenti effica-ci di intervento basati su una stra-tegia di azione incentrata sull’inte-grazione delle tipologie d’intervento rispetto agli obiettivi della politica di sviluppo rurale.
Il Piano Strategico Nazionale pre-vede più strumenti di approccio in-tegrato in risposta ad un impianto strategico mirato ad “aggredire” le problematiche del settore agri-colo e delle aree rurali attraverso politiche mirate all’efficacia dell’in-tervento che siano, comunque, in grado di coinvolgere gli utenti nell’individuazione dei fabbisogni e, contemporaneamente, di garan-tire trasparenza e semplificazioni di natura amministrativa per i poten-ziali beneficiari. La progettazione integrata ha l’o-biettivo di offrire uno strumento strategico per contribuire al rag-giungimento degli obiettivi setto-riali e territoriali della politica di sviluppo rurale e, allo stesso tem-po, sviluppare una politica inclusi-va dei differenti attori economici e sociali che operano nel territorio rurale.In termini operativi gli strumenti di progettazione integrata previsti dai Programmi di sviluppo rurale (PSR) sono i seguenti: Progetti integrati territoriali (PIT), tesi a favorire, in ambiti spaziali omogenei, una maggiore con-
1 L’iniziativa comunitaria Leader, nata a metà
anni ’90, per tre cicli di programmazione ha
finanziato programmi di intervento per le
aree rurali basati su un approccio integrato
capace di coinvolgere, dal basso, le popola-
zioni di tali territori. Oggi il Leader da inizia-
tiva comunitaria con valore sperimentale è
diventato un approccio orizzontale d’inter-
vento da utilizzare nell’ambito dell’attuazio-
ne dei Programmi di sviluppo rurale.
Territori n. 5/2011
centrazione ed integrazione degli interventi;Progetti integrati di filiera (PIF), il cui obiettivo è la creazione o il po-tenziamento delle principali filie-re agroalimentari e di quella fore-stale a livello regionale attraverso progetti complessi ed integrati di intervento che possano sistema-tizzare l’intervento pubblico ta-randolo sulle specifiche esigenze di comparto.
Inoltre, la strategia nazionale pre-vede l’attivazione del Pacchetto aziendale (PA), uno strumento di integrazione rivolto alle esigenze di sviluppo delle singole imprese. Nel pacchetto il beneficiario presen-ta un piano di sviluppo aziendale basato sull’integrazione di diverse misure presenti nel Programma di Sviluppo Rurale (PSR). L’integrazio-ne, in questo caso, non coinvolge un sistema ma il singolo beneficiario che accede a un ventaglio di azioni funzionali alle necessità aziendali.
Il Progetto integrato di filiera che, secondo la definizione proposta dal PSN, ha l’obiettivo di creare o poten-ziare le principali filiere agroalimen-tari e quella forestale, deve presen-tarsi come un progetto complesso ed integrato di azioni tese a sistematiz-zare l’intervento pubblico tarandolo sulle specifiche esigenze di compar-to. Il PIF è un progetto settoriale, pre-sentato da una partnership rappre-sentativa degli interessi e degli obiet-tivi di una pluralità di soggetti che, al fine di contribuire alla piena riuscita dell’obiettivo iniziale, prende una se-rie di accordi e si candida a realizzare investimenti attraverso l’utilizzo del-le misure presenti nel PSR. Dal punto di vista funzionale un PIF si concretiz-za nel caso in cui risponda ai seguenti presupposti: 1) presentazione di un progetto di sviluppo collettivo cui far fronte con due o più misure presenti nel PSR; 2) attivazione prevalente di
misure del PSR finalizzate alla com-petitività settoriale; 3) costituzione di un soggetto giuridico cui fanno capo i soggetti che aderiscono all’iniziativa; 4) attribuzione di funzioni più o me-no ampie al soggetto giuridico che rappresenta il partenariato.La progettazione integrata territoria-le è, invece, definita dal PSN come uno strumento finalizzato ad attiva-re partenariati pubblico-privati con l’obiettivo di sviluppare programmi di intervento finalizzati allo sviluppo di aree territoriali provinciali o sub-provinciali.Nell’ambito della programmazione per lo sviluppo rurale 2007-2013, lo strumento naturalmente chiamato a soddisfare tale obiettivo è l’ap-proccio Leader promosso dall’as-se 4 del regolamento comunitario n.1698/05, il cui scopo è appunto quello di promuovere lo sviluppo locale attraverso un processo di con-certazione partecipato e mosso dal basso in corrispondenza alle esigen-
ze di sviluppo delle comunità locali. Lo stesso regolamento all’art.59, promuove, però, la costituzione di partenariati pubblico-privati, diver-si da quelli promossi dall’approccio Leader, al fine di attuare strategie di sviluppo locale che possano raf-forzare la coerenza territoriale e stimolare sinergie tra misure rivolte all’economia e alle popolazioni ru-rali. L’approccio integrato previsto dall’impianto regolamentare tende a promuovere azioni sinergiche, ba-sate su specifiche strategie di svilup-po locale condivise e partecipate dal basso, per l’attivazione delle misure concernenti l’economia e la società rurale. La progettazione integrata territoria-le è lo strumento che il PSN propone per stimolare la creazione di parte-nariati socioeconomici finalizzati a stimolare i processi di sviluppo delle aree rurali. In ogni caso, la descrizio-ne piuttosto vaga della progettazio-ne integrata territoriale nel PSN e
Progetti ed attivitàper il territorio rurale
a cura di
rali. Con specifiche ricerche, analisi e attività di assistenza tecnica l’Istituto ha accumulato una grossa esperien-za in materia di strumenti che favo-riscono i processi di interazione tra soggetti di natura differente accomu-nati da obiettivi condivisi di azione. Tali attività si inseriscono nell’ampio filone di ricerca in materia di “Gover-nance delle aree rurali” il cui scopo è quello di analizzare le dinamiche con cui si costruiscono i processi di svi-luppo locale e favorire la diffusione di pratiche di programmazione e ge-stione delle politiche che possano: a)favorire il coinvolgimento di tutti gli attori economici e sociali presenti sul territorio in cui agisce la politica; b) aumentare l’efficacia degli interventi di politica pubblica.In quest’ultimo campo di analisi si inseriscono le attività del gruppo di lavoro “Progettazione integrata” che nasce nell’ambito del programma Rete Rurale Nazionale del Ministero delle politiche agricole, agroalimen-tari e forestali con l’obiettivo di faci-litare l’attivazione degli strumenti di progettazione integrata.Il gruppo di lavoro ha il duplice obiet-tivo di accompagnare le Regioni nell’individuazione e nell’utilizzazio-ne degli strumenti di integrazione e, nel contempo, studiare gli impatti di tali strumenti sul settore agricolo e sulle aree rurali. Le azioni intraprese sono indirizzate a comprendere l’ef-ficacia della progettazione integrata e ad individuare linee d’intervento tarate sugli effettivi fabbisogni delle imprese e dei territori su cui agisce la Politica di sviluppo rurale.
di misure presenti nell’asse 1 e 2 dei PSR, coniugando gli interventi tipica-mente strutturali a quelli di riconver-sione dei metodi di produzione tipici delle misure agroambientali.È, inoltre, inserito un pacchetto “salute e sicurezza” il cui fine è l’au-mento degli standard di sicurezza sul lavoro attraverso il rinnovo di mac-chine e attrezzature e azioni imma-teriali tese all’introduzione di prassi operative e gestionali che possano garantire il miglioramento delle con-dizioni di lavoro. La programmazione regionale ha ul-teriormente allungato la lista delle tematiche di attuazione dei Pacchetti a seconda di esigenze specifiche del territorio, i PSR prevedono Pacchetti per aziende situate in zone di mon-tagna, per favorire la diversificazione delle imprese in chiave agro-energe-tica, per la competitività dell’impresa. L’approccio integrato interessa una grossa fetta dell’attuazione della Politica di sviluppo rurale. L’8% del-le risorse pubbliche destinate ai PSR è, infatti, gestito secondo i criteri dell’integrazione e afferisce a pro-getti integrati di filiera o territoriali.La gran parte dei programmi regiona-li (18 su 21) ha previsto l’attivazione di forme di progettazione integrata. Ad oggi essa risulta attivata in 13 Re-gioni, tutte hanno messe a bando le risorse dei PIF (Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Ve-nezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombar-dia, Marche, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto), mentre solo otto attivano anche forme di progettazione inte-grata territoriale (Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Lazio, Campania e Calabria). Mentre, per quello che riguarda i Pacchetti aziendali, è stato attivato esclusiva-mente il pacchetto giovani.
L’INEA da oltre un decennio segue con interesse le dinamiche proget-tuali che contribuiscono alla crescita del sistema agricolo e delle aree ru-
– PIT come strumento di governan-ce delle aree rurali. Il PIT, in questo caso è uno strumento molto simi-le al Leader. Prevede una strategia globale di intervento di sviluppo locale che coinvolga soggetti pub-blici e privati.
Per quanto riguarda i Pacchetti aziendali, il PSN indica alcune tipo-logie-modello di pacchetto legate ai principali obiettivi strategici della politica di sviluppo rurale: a) il pac-chetto giovani, finalizzato a facilitare il primo insediamento in agricoltura di giovani sotto i quarant’anni di età; b) il pacchetto donne, teso alla crea-zione o al miglioramento di imprese condotte da donne; c) il pacchetto qualità per sostenere aziende votate alla produzione di qualità certificata secondo normativa comunitaria o nazionale.Con la revisione del PSN a seguito dell’Health Check della PAC2, sono state introdotte altre tipologie di pacchetto che intendono essere strumento per l’attuazione delle nuove azioni previste e sostegno efficace per il raggiungimento degli ulteriori obiettivi che vengono asse-gnati alla Politica di Sviluppo Rurale. In questa direzione vanno il pacchet-to ambiente e quello energie rinno-vabili. Si tratta di strumenti rivolti ad aziende il cui obiettivo è lo sviluppo in chiave ambientale. Entrambi ten-dono a promuovere l’integrazione
l’interpretazione che ad essa hanno dato i PSR, ne hanno fatto uno stru-mento con obiettivi e modalità di funzionamento spesso differente da quello immaginato in sede co-munitaria o comunque più flessibile e adattabile alle singole strategie di sviluppo regionale.Per questo motivo il PIT trova diverse forme di funzionamento: – PIT a gestione pubblica per la re-alizzazione di interventi infrastrut-turali. Il PIT è uno strumento desti-nato agli Enti locali o pubblici per l’attivazione di interventi di natura infrastrutturale. – PIT a finalità ambientale. I progetti integrati territoriali sono utilizza-ti come strumento di attuazione di strategie di azione territoriale a carattere ambientale. In parti-colare, essi si configurano come strumenti tesi a favorire accordi agro-ambientali territoriali il cui scopo è l’assunzione di responsa-bilità collettive da parte degli ope-ratori economici del territorio che sottoscrivono un impegno con la comunità locale di appartenenza a fronte di vantaggi economici e fa-cilitazioni nella fornitura di servizi da parte degli Enti locali. Il sogget-to promotore è l’Ente locale, i be-neficiari delle misure gli operatori locali o gli Enti pubblici nel caso siano referenti del bene oggetto d’intervento.
2 Nel 2009, con l’approvazione dei regola-
menti di modifica della PAC, si è concluso
il processo di revisione, denominato Health
Check, previsto dalla riforma Fischeler del
2003 per valutare lo stato di applicazione
della Politica agricola comunitaria e l’even-
tuale necessità di revisione. Tale processo
ha assegnato “nuove sfide” alla Politica di
Sviluppo Rurale, in particolare rivolte all’at-
tuazione di politiche a favore della lotta ai
cambiamenti climatici e per le energie rin-
novabili, la gestione sostenibile delle risorse
idriche e per la biodiversità.
Territori n. 5/2011
to a strategic system aimed at “attacking”
the problems of the agricultural sector and
rural areas through policies aimed at the
interventions effectiveness. These policies
need to be able both to involve users during
the needs identification process and, simul-
taneously, to ensure, to potential beneficiar-
ies, the transparency and simplification on
administrative procedures.
To support these actions, the National Insti-
tute of Agricultural Economics, as part of the
National Rural Network (NRN), has set up a
working group with responsibility for guid-
ing regions through identification and using
integration tools and studying the impacts of
these instruments on the agricultural sector
and rural areas. The purpose of the working
group is to understand the effectiveness of
the integrated planning and to identify the
guidelines developed on the actual needs
of companies and territories affected by the
Rural Development Policy.
Serena Tarangioli è ricercatrice
dell’Istituto Nazionale di Economia
Agraria e vice coordinatrice del gruppo
di lavoro della RRN “Progetti integrati”
di governance utilizzati nel nostro Pa-ese. Le attività del gruppo di lavoro andranno sempre più nella direzione di offrire analisi obiettive del proces-so di integrazione promosso nei PSR e, nello stesso tempo, tenteranno di ricostruire i processi che scaturiscono da un’azione di integrazione.
The achievement of the aims of Rural De-
velopment Policy, both related to sectorial
competitiveness, rural development and in-
stitutional governance also depends on the
identification of effective tools of interven-
tion. As a result, it was adopted, as part of
the National Strategic Plan (NSP), an action
strategy based on integration between the
types of intervention and the objectives of
rural development policy, the integrated
planning. It should ensure the effectiveness
of intervention through easy access proce-
dures whose main theme is the integration
of objectives and means of action. The inte-
grated planning can be applied at company,
sectorial or territorial level.
The National Strategic Plan supplies a series
of tools of integrated approach as response
tazione capace di cogliere e valutare gli effetti di tali strumenti.Alle attività rivolte alle amministra-zioni regionali si affiancano quelle di-rette ai soggetti beneficiari delle va-rie forme di progettazione integrata. In questo caso si prevedono: – incontri del gruppo di lavoro con i vari partenariati che, a livello re-gionale, hanno proposto PIF o PIT per discutere delle problematiche che affrontano nella gestione del-lo strumento e costruire insieme i percorsi di accompagnamento più idonei;
– la costruzione di una rete di par-tenariati della progettazione inte-grata che favorisca lo scambio di esperienze;
– la promozione di scambi di esperienze tra partenariati della progettazione integrata e parte-nariati nati da altre esperienze simili (per esempio dai contratti di filiera, patti territoriali, Leader, Distretti ecc.).
La seconda linea di attività prevista dal progetto prevede analisi e dif-fusione dei risultati dell’approccio integrato nell’ambito delle politiche di sviluppo rurale. In questo senso il gruppo di lavoro è coinvolto in atti-vità di formazione, informazione, valutazione o diffusione dei risultati. L’attività è rivolta all’organizzazione di eventi di varia natura e all’indi-viduazione di buone prassi di im-plementazione della progettazione integrata. Più di recente, l’attività si è andata concentrando sugli elementi del di-battito sulla PAC post 2013 che, al-meno dalle prime comunicazioni uf-ficiali, sembra prevedere un approc-cio di intervento sempre più volto ad utilizzare strumenti di integrazione capaci di migliorare la cooperazione tra soggetti di natura diversa e favo-rire azioni tese alla condivisione delle strategie d’intervento.L’Italia, quindi, si pone come leader, in quanto ha potuto sperimentare processi di integrazione, non a caso vanno aumentando le attività di ricer-ca estere sui processi e gli strumenti
Il gruppo di lavoro nasce con la logica di attivare una task force, di cui oltre all’INEA fanno parte l’ISMEA, SIN e il Mipaaf, capace di accompagnare il processo di programmazione e ge-stione di interventi tutto sommato nuovi agli attori della Politica di svi-luppo rurale. Inoltre, il progetto pre-vede attività di analisi degli effetti di tali strumenti volta a verificare il va-lore aggiunto di interventi che nella pratica risultano molto più comples-si di quelli normalmente proposti e utilizzati dalle politiche pubbliche di sviluppo rurale.
Come si diceva poc’anzi, l’obiettivo specifico del gruppo di lavoro “Pro-gettazione integrata” è il supporto alle Amministrazioni regionali e ai soggetti beneficiari degli strumenti di approccio integrato previsti dalla Politica di sviluppo rurale 2007-2013. Tale supporto segue due principali filoni di azione:1. Il supporto diretto ai soggetti
coinvolti a vario titolo nell’imple-mentazione dell’approccio inte-grato;
2. Attività di approfondimento, ana-lisi e studio delle tematiche rela-tive all’approccio integrato nella politica di sviluppo rurale.
L’attività di supporto diretto è rivolta da una parte a sostenere l’Ammini-strazione centrale e quelle regionali nell’attivazione di progetti integrati a livello di misura, filiera e territorio e, dall’altra, ad accompagnare con azioni di varia natura gli attori locali che attiveranno tali progetti. All’as-sistenza tecnica diretta si affiancano alcune azioni indirette, soprattutto a carattere formativo e informativo, che tendono a supportare il perso-nale delle Amministrazioni coinvolte nella progettazione integrata. In tal senso vanno le attività rivolte alla definizione di linee guida per la pro-grammazione e gestione dei proget-ti, quelle per la creazione e gestione di sistema nazionale di monitoraggio della progettazione integrata, quelle per la creazione di un sistema di valu-
Progetti ed attivitàper il territorio rurale
a cura di
Le proposte della Commissione
Europea sulla riforma della PAC
per il periodo 2014-2020 conten-
gono molti elementi di novità sia
in relazione al primo pilastro che
alle politiche di sviluppo rurale. Le
proposte, se confermate nella lo-
ro veste attuale, potrebbero ave-
re impatti rilevanti sull’agricoltura
italiana e sui sistemi produttivi
regionali.
Per questo motivo, nell’ambito
dell’Osservatorio INEA sulle politi-
che agricole dell’Unione Europea
è stato creato un tavolo di lavoro
e di coordinamento per analizzare
l’applicazione della nuova PAC a
livello regionale a partire da ela-
borazioni basate sui dati RICA. Il
lavoro si è concentrato sull’ipotesi
di regionalizzazione dei pagamenti
diretti. Tale opzione, obbligatoria
per gli Stati membri secondo la
proposta di riforma, prevede un
livellamento degli aiuti attraverso
l’individuazione di regioni omoge-
nee, che nel caso dell’Italia mol-
to probabilmente coincideranno
con le regioni amministrative. Ciò
comporta una serie di scelte da
compiere a livello nazionale che
non saranno neutrali in termini di
redistribuzione delle risorse e di
impatti sui sistemi produttivi delle
diverse regioni.
Per permettere una rapida diffu-
sione dei risultati e stimolare un
confronto su questo tema, l’INEA
ha creato una pagina web che rac-
coglie i risultati dell’analisi della
regionalizzazione in Italia ma che
in futuro potrà estendersi ad altre
simulazioni ed analisi che verran-
no via via prodotte sul tema degli
impatti regionali delle proposte di
riforma della PAC.
Va sottolineato che il lavoro si
basa su proposte di riforma della
PAC ancora in discussione e ipo-
tizza scenari di regionalizzazione
che rappresentano solo alcune
delle possibili applicazioni della
riforma in Italia. Da questo punto
di vista, infatti, va verificata sia
l’effettiva chiusura della riforma
a fine anno, sia le modalità con
cui questa sarà declinata nel no-
stro Paese.
Il sito attualmente si compone
prevalentemente di tre “aree”.
Una prima area riguarda gli aspet-
ti metodologici e analitici utilizzati
per la simulazione degli impatti re-
gionali della riforma della PAC. In
essa sono descritti le proposte del-
la Commissione su cui sono basate
le simulazioni, gli scenari costruiti,
i dati utilizzati e gli impatti a livel-
lo regionale. Il sito propone anche
un’area informativa che rimanda
alla documentazione originale co-
munitaria relativa alle proposte
Territori n. 9/2012
in campo, ad altri studi di valuta-
zione di impatto, al materiale di
seminari sul tema della riforma e,
infine, ad una bibliografia aggior-
nata. La terza area del sito è quella
delle simulazioni proposte regione
per regione e per l’Italia nel suo in-
sieme. Qui, oltre alle tabelle, che
riassumono gli impatti della rifor-
ma per ciascuno degli scenari pro-
posti, è presente un breve testo di
commento in cui si evidenziano i
principali effetti della riforma sul
sistema produttivo regionale.
Con questo sito l’INEA si prefigge
l’obiettivo di offrire un valido e
flessibile strumento di valutazio-
ne delle politiche a sostegno del
settore agricolo, che tiene insie-
me il consueto rigore scientifico
dell’Istituto con la duttilità di una
pagina web ed una facilità di pre-
sentazione e di utilizzazione dei
risultati.
Nelle prossime pagine si sintetiz-
zano le proposte della Commissio-
ne, i principali problemi della re-
gionalizzazione in Italia e la costru-
zione degli scenari presi in consi-
derazione. Per maggiori dettagli e
per un quadro completo dell’ana-
lisi regionale si rimanda quindi alla
pagina web: http://www.rica.inea.
it/PAC_2014_2020/index.php
La proposta richiama la necessità
di giungere ad una distribuzione
più equa dei pagamenti diretti del
primo pilastro della PAC tra Paesi,
mediante un meccanismo di con-
vergenza in base al quale i Paesi
con un aiuto ad ettaro superiore
alla media UE devono finanziare i
Paesi che stanno sotto il 90% di ta-
le media, aiutandoli a colmare un
terzo della differenza (tra il loro li-
vello attuale ed il 90% della media
UE). Tra i Paesi che contribuiran-
no alla convergenza si trova anche
l’Italia, che, secondo questa pro-
posta, subirà una riduzione delle
risorse finanziarie di circa il 7% (da
4.128 milioni di euro del 2013 a
3.841 milioni di euro nel 2019).
Oltre alla questione della “equa”
distribuzione delle risorse tra Pa-
esi, nella proposta di regolamento
viene sollevata anche quella del li-
vellamento degli aiuti tra le azien-
de all’interno dello stesso Stato: la
cosiddetta regionalizzazione.
La regionalizzazione non è una no-
vità assoluta nell’ambito della PAC,
ma lo è certamente per l’Italia e
per gli altri Paesi che attualmente
applicano il regime di pagamento
unico secondo il modello storico.
Secondo tale schema, ciascuna
azienda riceve un importo pari al
valore degli aiuti mediamente per-
cepiti in un periodo di riferimento
e i diritti unitari all’aiuto hanno va-
lori differenziati tra aziende. Con la
regionalizzazione a tutte le aziende
viene riconosciuto un aiuto forfeta-
rio ad ettaro di uguale valore unita-
rio nell’ambito dello Stato membro
o di una regione, con conseguente
redistribuzione degli aiuti tra azien-
de e territori, i cui effetti saranno
più o meno rilevanti a seconda del
criterio di regionalizzazione che
verrà applicato.
La scelte relative all’attuazione
della regionalizzazione dovranno
essere prese dallo Stato membro
entro il 1° agosto 2013. Entro il
2019, invece, tutti i diritti all’aiuto
all’interno di una regione dovran-
no avere il medesimo valore unita-
rio ad ettaro.
La più importante novità della pro-
posta di riforma relativamente al
primo pilastro sta nella scomposi-
zione del pagamento unico in più
componenti, alcune obbligatorie
ed altre facoltative.
Il pagamento di base (obbliga-
torio) raccoglie l’eredità del pa-
gamento unico, che sostituirà a
partire dal 1° gennaio 2014. A tale
pagamento, che rappresenta una
vera e propria forma di sostegno
al reddito agricolo, sarà assegna-
ta una quota del massimale tra il
48% e il 68% del totale, vale a dire
la frazione residuale del massima-
le nazionale risultante dopo aver
dedotto le percentuali necessarie
a finanziare gli altri aiuti, sia quelli
obbligatori che quelli facoltativi.
Avranno accesso ai diritti all’aiuto
gli agricoltori che nel 2011 ave-
vano attivato almeno un diritto
all’aiuto e coloro che non avevano
attivato diritti, ma avevano colti-
vato esclusivamente ortofrutticoli
o vite.
Gli agricoltori che hanno diritto al
pagamento di base sono obbligati
ad effettuare alcune ben definite
pratiche agricole ritenute benefi-
che per l’ambiente e per il clima.
In questo modo accedono al pa-
gamento verde (obbligatorio). La
mancata realizzazione delle prati-
che “verdi”, tuttavia, incide anche
sul pieno godimento del pagamen-
to di base. Al pagamento verde è
dedicato un importo pari al 30%
del massimale nazionale. Le pra-
tiche legate al pagamento verde
sono: la diversificazione colturale,
il prato permanente e le aree di
interesse ecologico. La diversifica-
zione delle colture riguarda le su-
perfici a seminativo che occupano
più di tre ettari1 prescrivendo che
1
interamente utilizzate per la produzione
di erba o lasciate a riposo o investite a
colture sommerse (riso) per buona parte
dell’anno.
Progetti ed attivitàper il territorio rurale
a cura di
su tali superficie debbano coesiste-
re almeno tre colture diverse delle
quali nessuna può coprire meno
del 5% o più del 70% della super-
ficie a seminativo. La norma sul
prato permanente prevede il suo
mantenimento e l’obbligo a non
convertirlo a favore di altre utiliz-
zazioni se non nel limite del 5%.
Infine, le norme sulle aree di in-
teresse ecologico riguardano tutti
gli agricoltori e prevedono che al-
meno il 7% degli ettari ammissibili
di ciascuna azienda, ad esclusione
delle superfici a prato permanen-
te, sia costituito, appunto, da aree
ad alto valore ecologico2.
Gli agricoltori che praticano l’agri-
coltura biologica beneficiano dei
pagamenti verdi senza obbligo di
ulteriori impegni, ma limitatamen-
te alle unità aziendali dedite alla
produzione biologica.
Gli Stati membri devono utilizzare fi-
no al 2% del massimale nazionale per
concedere un pagamento ai giovani
agricoltori (obbligatorio) che hanno
diritto al pagamento di base e che
attivano annualmente i diritti all’aiu-
to. Il pagamento è concesso per un
periodo massimo di 5 anni.
Gli Stati membri possono utilizzare
fino al 5% del massimale naziona-
le per concedere un pagamento
agli agricoltori che hanno diritto
al pagamento di base le cui azien-
de sono situate in zone soggette
a vincoli naturali designate dagli
Stati membri nell’ambito del re-
golamento sullo sviluppo rurale
(facoltativo).
La proposta di regolamento, al pa-
ri di quanto previsto precedente-
mente (articolo 69 del regolamen-
to (CE) n. 1782/2003 e articolo 68
del regolamento (CE) n. 73/2009),
offre la possibilità di concedere
un sostegno accoppiato in settori
o regioni in cui determinati tipi di
agricoltura o determinati settori
agricoli sono in difficoltà. In Italia
a tale aiuto può essere destinato
fino al 10% del massimale nazio-
nale (facoltativo).
Infine, la proposta di regolamento
introduce un regime per i piccoli
agricoltori, mirante a ridurre i co-
sti amministrativi connessi alla ge-
stione e al controllo dei pagamenti
diretti erogati a tali soggetti. Co-
loro che partecipano al regime ri-
cevono un aiuto forfetario annuo
di importo ridotto (non inferiore a
500 euro e non superiore a 1.000
euro) in cambio di un esonero dal-
le pratiche relative ai pagamenti
verdi e dal rispetto della condi-
zionalità. Tale regime deve essere
obbligatoriamente adottato dagli
Stati membri, ma la partecipazio-
ne degli agricoltori è volontaria.
Nelle simulazioni effettuate e pre-
sentate sul sito si è ipotizzato che
in Italia la regionalizzazione avven-
ga sulla base dei confini ammini-
strativi.
Anche il criterio individuato per
distribuire il massimale naziona-
le tra le regioni individuate ha un
importante effetto redistributivo.
Nelle simulazioni si è tenuto conto
di due diversi criteri distributivi:
il criterio SAU, legato al peso
che ciascuna regione ammini-
strativa riveste nella distribu-
zione della SAU nazionale, co-
me registrato dal 6° Censimen-
to generale dell’agricoltura;
il criterio PD, che tiene conto
del peso che attualmente rive-
stono le regioni nella distribu-
zione degli aiuti.
Gli scenari riportano la situazione
a regime, cioè al 2019, senza te-
nere conto delle tappe intermedie
di avvicinamento. Nelle simulazio-
ni si è supposto che alcuni aiuti (il
pagamento per i giovani agricol-
tori, quello per le aree soggette
a vincoli naturali e il pagamento
accoppiato) restino di competen-
za dell’autorità nazionale; di con-
seguenza, non si è proceduto a
distribuire tra le Regioni il relativo
massimale. La regionalizzazione
delle simulazioni presenti sul sito,
dunque, riguarda solo il pagamen-
to di base e il pagamento verde.
2 -
menti caratteristici del paesaggio, fasce
tampone o superficie oggetto di imboschi-
mento per impegni presi nell’ambito delle
politiche di sviluppo rurale.
Territori n. 9/2012
aziende presenti nella banca dati
RICA nel triennio 2007/2009. Le
aziende sono state stratificate per
Regione amministrativa (Provincia
nel caso del Trentino-Alto Adige)
e, all’interno di queste ultime, sia
per polo produttivo che per al-
timetria. In alcune Regioni i dati
per polo sono stati ulteriormente
stratificati per esaminare gli ordi-
namenti produttivi ritenuti impor-
tanti in quelle realtà territoriali.
Gli effetti della riforma sulla redditivi-
tà aziendale, sugli aiuti e sull’inciden-
za di questi sul reddito netto posso-
no essere letti a livello regionale, di
zona altimetrica o di polo produttivo.
Facendo riferimento allo scenario 1,
la Lombardia è la regione nella qua-
le si registrerebbe la maggiore con-
proprio territorio (peso PD). Tale cri-
terio, sebbene non abbia il potere di
ribaltare il segno dei saldi, ha il pote-
re di ridurre l’effetto redistributivo
del pagamento ad ettaro, riducendo
le perdite per le regioni penalizzate
(e di conseguenza), i guadagni per
quelle avvantaggiate.
Vista la natura del pagamento
“verde” legata alla gestione del
territorio, si è ipotizzato che an-
che in questo caso il plafond sia
distribuito tra Regioni sulla base
del criterio legato alla SAU.
Nello scenario 2, l’aiuto teorico varia
tra Regioni (tabella 3). L’aiuto unita-
rio più elevato si avrebbe in Lombar-
dia e Calabria (334 euro/ha), mentre
quello più basso si registrerebbe in
Valle D’Aosta (114 euro/ha).
Gli effetti a livello aziendale delle
due simulazioni sono stati valutati
rispetto ai valori medi di reddito
netto e di aiuto di un campione di
pagamento verde. L’aiuto non
cambierebbe tra regioni nel caso
in cui ci fosse perfetta aderenza
tra la superficie per le quali è as-
segnato l’aiuto (la SAU conteggia-
ta nel Censimento) e la superficie
per la quale gli agricoltori chiedo-
no di fissare gli aiuti. In pratica,
però, è molto improbabile che
tutta la superficie teorica venga
coperta da titoli. La differenza tra
le due entità determinerà lo sco-
stamento rispetto all’aiuto teori-
co in ciascuna regione.
Scenario 2
Lo scenario 2, più conservativo, si
differenzia dallo scenario 1 per la
diversa distribuzione del massima-
le nazionale relativo al pagamento
di base (tabella 2). In questo caso,
infatti, si ipotizza che tale massima-
le venga distribuito tra le Regioni in
misura proporzionale all’ammonta-
re complessivo di aiuti diretti attual-
mente ricevuto dalle aziende del
Di conseguenza, nella valutazione
degli effetti complessivi della re-
gionalizzazione occorre tenere pre-
sente che alcune aziende possono
aumentare l’aiuto regionale ricevu-
to (oltre a quello di base e a quello
verde) in quanto ricadenti in aree
con vincoli naturali e/o condotte
da giovani, ed inoltre potrebbero
ricevere l’aiuto accoppiato.
Scenario 1
Nello scenario 1 (tabella 1) si sup-
pone che il massimale nazionale
per il pagamento di base3 e quel-
lo per il pagamento verde4 siano
distribuiti tra regioni (e province
autonome) sulla base del peso che
ciascuna di esse riveste sulla SAU
nazionale (peso SAU).
In tale scenario gli aiuti forfeta-
ri non cambiano tra regioni. In
pratica si ha un aiuto forfetario
nazionale, pari a 232,6 euro per
ettaro, di cui 143,1 come compo-
nente di base e 89,4 euro come
Piemonte 8,1 150,0 8,1 93,8 243,8
Valle d’Aosta 0,4 7,9 0,4 5,0 12,9
Lombardia 7,6 140,9 7,6 88,1 229,0
P.A. Bolzano 1,9 34,8 1,9 21,8 56,6
P.A. Trento 1,1 19,6 1,1 12,3 31,9
Veneto 6,3 115,4 6,3 72,1 187,5
Friuli Venezia Giulia 1,7 31,5 1,7 19,7 51,1
Liguria 0,3 6,2 0,3 3,8 10,0
Emilia-Romagna 8,3 152,7 8,3 95,4 248,1
Toscana 5,9 108,1 5,9 67,6 175,6
Umbria 2,5 46,9 2,5 29,3 76,2
Marche 3,7 67,7 3,7 42,3 110,0
Lazio 5,0 92,8 5,0 58,0 150,8
Abruzzo 3,5 64,4 3,5 40,2 104,6
Molise 1,5 28,1 1,5 17,6 45,7
Campania 4,2 78,3 4,2 49,0 127,3
Puglia 9,9 183,3 9,9 114,6 297,9
Basilicata 4,0 73,3 4,0 45,8 119,1
Calabria 4,3 78,9 4,3 49,3 128,2
Sicilia 10,7 198,1 10,7 123,8 321,9
Sardegna 8,9 165,0 8,9 103,1 268,1
Italia 100,0 1.844,0 100,0 1.152,5 2.996,5
* Massimale da redistribuire per altre componenti del pagamento: 845,2 milioni di euro.
Fonte: elaborazioni INEA su dati Commissione europea, EUROSTAT, AGEA, ISTAT
3
del massimale nazionale.4
del massimale nazionale.
Progetti ed attivitàper il territorio rurale
a cura di
trazione dell’aiuto medio ad ettaro:
-56% rispetto alla media 2007/2009.
All’estremo opposto, la Valle d’Ao-
sta farebbe registrare un aumento
di oltre 6 volte l’aiuto ad ettaro del
triennio di riferimento. In comples-
so 11, tra regioni e provincie au-
tonome, sperimenterebbero una
diminuzione dell’aiuto rispetto al
2007/2009, e di queste solo 4 fareb-
bero segnare diminuzioni inferiori al
10%; le restanti 10 regioni/provincie
autonome sperimenterebbero un
aumento dell’aiuto di dimensione
rilevanti (tranne il Lazio) (fig. 1).
In termini di redito netto, invece, la
variazione è molto più contenuta e
compresa tra -19,4% dell’Umbria e
+34,5% della Valle d’Aosta (fig. 2).
Di conseguenza, diminuisce l’inci-
denza degli aiuti sul reddito netto
nelle aziende penalizzate dalla ri-
forma e aumenta nelle altre5.
Piemonte 152,4 89,4 241,8
Valle d’Aosta 24,8 89,4 114,2
Lombardia 245,0 89,4 334,5
P.A. Bolzano 26,5 89,4 115,9
P.A. Trento 28,8 89,4 118,3
Veneto 228,1 89,4 317,5
Friuli Venezia Giulia 150,2 89,4 239,6
Liguria 81,7 89,4 171,1
Emilia-Romagna 148,4 89,4 237,9
Toscana 100,1 89,4 189,5
Umbria 133,9 89,4 223,3
Marche 141,4 89,4 230,8
Lazio 124,6 89,4 214,0
Abruzzo 66,6 89,4 156,0
Molise 120,7 89,4 210,2
Campania 151,0 89,4 240,5
Puglia 192,8 89,4 282,3
Basilicata 100,7 89,4 190,1
Calabria 244,9 89,4 334,4
Sicilia 103,6 89,4 193,1
Sardegna 62,2 89,4 151,7
Italia 143,1 89,4 232,6
Fonte: elaborazioni INEA su dati Commissione europea, EUROSTAT, AGEA, ISTAT
5
regione e su quelli per polo produttivo e
altimetria si rimanda al sito.
Piemonte 8,7 159,8 8,1 93,8 253,5
Valle d’Aosta 0,1 1,4 0,4 5,0 6,3
Lombardia 13,1 241,3 7,6 88,1 329,4
P.A. Bolzano 0,3 6,4 1,9 21,8 28,2
P.A. Trento 0,2 3,9 1,1 12,3 16,2
Veneto 10,0 183,9 6,3 72,1 256,0
Friuli Venezia Giulia 1,8 33,0 1,7 19,7 52,7
Liguria 0,2 3,5 0,3 3,8 7,4
Emilia-Romagna 8,6 158,3 8,3 95,4 253,8
Toscana 4,1 75,6 5,9 67,6 143,2
Umbria 2,4 43,9 2,5 29,3 73,2
Marche 3,6 66,9 3,7 42,3 109,2
Lazio 4,4 80,8 5,0 58,0 138,8
Abruzzo 1,6 30,0 3,5 40,2 70,2
Molise 1,3 23,7 1,5 17,6 41,3
Campania 4,5 82,7 4,2 49,0 131,6
Puglia 13,4 247,0 9,9 114,6 361,5
Basilicata 2,8 51,6 4,0 45,8 97,4
Calabria 7,3 135,0 4,3 49,3 184,4
Sicilia 7,8 143,4 10,7 123,8 267,2
Sardegna 3,9 71,8 8,9 103,1 174,9
Italia 100,0 1.844,0 100,0 1.152,5 2.996,5
* Massimale da redistribuire per altre componenti del pagamento: 845,2 milioni di euro.
Fonte: elaborazioni INEA su dati Commissione europea, EUROSTAT, AGEA, ISTAT
Territori n. 9/2012
sto ambito si collocano le prime valu-
tazioni sviluppate dall’INEA su alcune
ipotesi di regionalizzazione.
L’impegno dell’Istituto è di continuare
a lavorare su questi temi, pensando a
possibili scenari alternativi di regiona-
lizzazione, ma soprattutto allargando
l’orizzonte ad altre questioni altret-
tanto importanti delle proposte di
riforma relative al primo pilastro della
PAC, quali quelle riguardanti lo spac-
chettamento degli aiuti, il greening, il
tetto agli aiuti, l’agricoltore attivo, con
l’obiettivo di fornire ai policy-makers
tutte le informazioni utili a compiere
scelte consapevoli mirate al rafforza-
mento della competitività e sostenibi-
lità del sistema agricolo italiano.
Roberto Henke è responsabile
del progetto INEA Osservatorio
sulle politiche agricole dell’UE
([email protected]); Carmela de Vivo
è direttore dell’Osservatorio
di Economia Agraria della Basilicata;
Maria Rosaria Pupo D’Andrea
è primo ricercatore INEA.
Il dibattito sulla riforma della PAC se-
gue un duplice binario: quello inter-
no alle istituzioni UE, volto a definire
l’assetto futuro di questa politica co-
munitaria, e quello interno al nostro
Paese, volto a definire le strategie
negoziali nazionali e a valutare gli ef-
fetti della riforma proposta. In que-
Lom Ven Umb Cal Pie Pug FVG ITA E.R. Mar Mol Cam Laz Bas Abr Tos Sar Sic Lig Tre Bol VdA
Scenario 1 -56 -48 -47 -42 -40 -31 -21 -11 -6 -5 -5 -4 2 17 26 27 38 39 85 141 245 559
Scenario 2 -36 -29 -49 -17 -38 -16 -19 -18 -4 -6 -14 -1 -6 -4 -15 3 -10 15 36 23 72 223
-100
0
100
200
300
400
500
600
Umb Ven Pie Cal Pug Lom FVG ITA Mar E.R. Mol Cam Laz Lig Tos Sic Bol Abr Bas Tre Sar VdA
Scenario 1 -19 -14 -11 -11 -10 -10 -4 -2 -2 -1 -1 0 0 1 4 4 4 4 5 6 9 35
Scenario 2 -20 -5 -10 -4 -5 -6 -3 -3 -2 -1 -3 0 -1 0 0 1 1 -2 -1 1 -2 14
-30
-20
-10
0
10
20
30
40
Progetti ed attivitàper il territorio rurale
a cura di
no risposto dando luogo ad assetti
molto differenziati tra loro sotto il
profilo istituzionale e sul piano nor-
mativo.
In tale scenario, i sistemi e le pro-
cedure contabili e di controllo
assumono rilievo primario ai fini
dell’individuazione sia dei Livelli Es-
senziali delle Prestazioni (Lep), dei
“non essenziali” (non Lep) e degli
interventi speciali – così come defi-
niti dalla legge delega – sia dei fab-
bisogni e dei costi standard, fulcro
del nuovo sistema di finanziamento
degli enti decentrati.
Ai Lep, che dovranno essere garan-
titi integralmente dallo Stato e dal-
le Regioni, corrispondono le funzio-
ni fondamentali degli Enti locali –
enumerate dalla legge 42/2009 – e
definiti nei dettagli dalla Carta delle
Autonomie, quest’ultima in corso
di approvazione in Senato. I Lep
saranno coperti dalla garanzia del
tributo statale Iva, mentre le spe-
se non essenziali saranno coperte
prevalentemente dall’addizionale
Irpef: ciò produrrà un quadro mol-
to differenziato tra le varie realtà
regionali. Nel passaggio dalla logi-
ca dei trasferimenti erariali a quella
delle risorse proprie, la perequazio-
ne giocherà un ruolo fondamentale
avendo il compito di riequilibrare
le differenze che esistono tra le
Regioni italiane in termini di spesa,
risorse finanziarie e contribuzione
fiscale.
La suddetta legge richiede, dun-
que, un complesso meccanismo
applicativo che comporta un co-
stante raccordo tra i diversi livelli
di governo affinché si possano con-
seguire congiuntamente obiettivi
di riordino della finanza pubblica e
di garanzia dei servizi essenziali ai
cittadini.
La volontà del legislatore di “re-
sponsabilizzare” gli enti pubblici,
anche attraverso nuove modalità
contabili, si percepisce chiara-
mente nelle riforme succedutesi
dagli anni Novanta ad oggi. In tali
riforme si coglie l’esigenza di re-
cuperare la connessione tra risor-
se finanziarie, gestione e risultati
delle attività amministrative sia
in fase di indirizzo (relativamente
alla determinazione dei poteri di
spesa) sia nell’ambito del sistema
delle responsabilità e dei controlli.
Del resto le riforme dell’ammini-
strazione e del sistema finanziario
pubblico coinvolgono sempre più
il bilancio, che nel sistema tradi-
zionale si presentava sostanzial-
mente come atto di organizzazio-
ne e di indirizzo.
Con le attività relative al moni-
toraggio della spesa pubblica in
agricoltura, l’Inea ha approfondito
il tema dell’intervento pubblico in
agricoltura, analizzato la dinamica
della spesa e l’impatto delle relati-
ve politiche rurali sul territorio. Da
oltre un ventennio, infatti, tale at-
tività ha consentito di quantificare
e qualificare le voci che, in maniera
diretta o indiretta, compongono il
sostegno pubblico al settore. At-
traverso il consolidamento di una
metodologia di analisi in termini di
risorse finanziarie, di modalità di
erogazione, di soggetti erogatori e
beneficiari si è cercato di trasferire
le conoscenze acquisite secondo
specifiche esigenze regionali e se-
guendo l’evoluzione della normati-
va di riferimento.
Più in particolare, tale attività ha
permesso di:
L’approvazione della legge 42/2009
Delega al Governo in materia di
federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione
e dei decreti attuativi da essa previ-
sti, costituisce una ulteriore tappa
di quel processo di profonda inno-
vazione del sistema istituzionale e
amministrativo avviato negli anni
Novanta con la Riforma Bassanini
approdato poi alla riforma costitu-
zionale del 20011.
Negli ultimi decenni, infatti, l’evo-
luzione della politica agricola co-
munitaria e di quella nazionale e,
in particolare il cosiddetto proces-
so di “devoluzione”, hanno contri-
buito a delineare un quadro di pro-
fondo mutamento dell’intervento
pubblico in agricoltura.
A tali cambiamenti le Regioni han-
1 Per ulteriori approfondimenti si veda
C. Ievoli, L. Briamonte, Spesa agricola re-
gionale e federalismo fiscale. Problemi di
determinazione dei fabbisogni finanziari,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2010.
Territori n. 6/2011
seguire le trasformazioni del
settore, in conseguenza delle
riforme comunitarie che si sono
succedute nell’ultimo ventennio;
quantificare e qualificare le voci
che, in maniera diretta o indiret-
ta, compongono il sostegno pub-
blico al comparto;
di definire e quantificare le tre
macrocategorie previste dalla l.
42/2009 consentendo non solo
un’elaborazione teorica ma an-
che un approccio empirico, pri-
mo passo per quantificare i Lep
a costi standard per il settore
agricolo.
Il supporto tecnico alle amministra-
zioni, da parte dell’Inea, si è sostan-
ziato in numerosi contributi che
hanno consentito un’analisi sulla
politica di settore, letta attraverso
la spesa pubblica e le norme ad es-
sa collegate, ovvero attraverso:
il supporto tecnico-scientifico al
Ministero delle Politiche agrico-
le, alimentari e forestali e alle Re-
gioni, secondo le loro specifiche
esigenze;
gli approfondimenti tematici at-
traverso seminari e pubblicazioni;
una banca dati sulla spesa pub-
blica in agricoltura.
La disponibilità di basi informative
che permettano l’effettivo governo
del territorio è diventata essenziale
sia per il funzionamento delle am-
ministrazioni pubbliche sia per il
successo delle politiche pubbliche.
Il federalismo fiscale, così come
la Riforma della pubblica ammini-
strazione e la nuova governance
europea, segna quindi il passag-
gio ad un sistema di policy nel
quale misurazione e valutazione
sono essenziali. Questo rafforza
la necessità di ulteriori fabbisogni
informativi a livello territoriale
visto che informazioni di tipo fi-
nanziario, economico e tributario
dovranno orientare le decisioni
al fine di assicurare uniformità di
prestazioni su tutto il territorio
nazionale.
La banca dati Inea è alimentata da
un flusso di informazioni che deri-
vano dalle fonti ufficiali (preventivi
e consuntivi) degli enti, delle agen-
zie di erogazione e delle istituzio-
ni nazionali e regionali coinvolte
nell’applicazione delle politiche di
settore (come Inps, Agenzia delle
Entrate, Agea, Ministeri competen-
ti, Regioni).
Essa ha come unità di classificazio-
ne di base il capitolo di bilancio e
contiene:
i dati finanziari tratti dai bilanci
regionali – preventivi e consunti-
vi – stanziamenti, impegni, paga-
menti, residui;
le norme che generano i relativi
flussi finanziari;
le informazioni di tipo qualitativo
(grazie alla metodologia di classi-
ficazione Inea).
L’informazione ufficiale è, inoltre,
sottoposta a un dettagliato esame
analitico da parte di esperti e ricer-
catori Inea e, a valle del processo
di raccolta, validata attraverso il
coinvolgimento delle amministra-
zioni competenti. Ciò è possibile
grazie a una rete di monitoraggio
fortemente decentrata per la rac-
colta sistematica dei dati, che con-
sentono:
confronti intertemporali sulla
spesa agricola: disponibilità di
informazioni che si estendono al
periodo 2000-2009;
confronti interregionali: fornisco-
no un’informazione standardiz-
zata sulla spesa per l’agricoltura
che consente una lettura omoge-
nea dei dati tra le Regioni.
confronti di carattere normativo:
contiene i collegamenti ai dispo-
sitivi legislativi che hanno gene-
rato i flussi di spesa.
L’attività dell’INEA presenta dun-
que un valore aggiunto, poiché
consente di confrontare tra loro
i dati sulla spesa agricola delle
Regioni, con un “linguaggio co-
mune”, sulla base di un sistema
di classificazione omogeneo e di
superare il deficit informativo do-
vuto alla mancanza di armonizza-
zione dei sistemi contabili e degli
schemi di bilancio di Regioni, Enti
locali, ecc.
In tale ottica, l’Istituto continua a
proporsi come punto di raccordo
tra soggetti di diversa natura isti-
tuzionale e organizzativa al fine
di favorire l’utilizzo e la valorizza-
zione dei risultati dell’attività di
ricerca, supportare i processi di
cambiamento nel settore e valuta-
re l’impatto delle politiche di set-
tore. Il quadro nel quale si realizza
il federalismo fiscale, infatti, è ab-
bastanza complesso e la stessa let-
tura della spesa agricola regionale
non può non tenere conto di tali
mutamenti. In tale ottica, l’Istitu-
to continuerà il suo lavoro sui temi
della spesa pubblica, della fiscalità
e del nuovo ruolo che l’evoluzio-
ne normativa e socio-economica
comporta per la governance regio-
nale del sistema agroalimentare e
rurale cercando di sensibilizzare i
decisori politici a livello nazionale
e regionale sull’importanza per
il settore di tali tematiche al fine
di valutare le ricadute dell’appli-
cazione in agricoltura della legge
42/2009.
In the latest decades, public intervention
in the agricultural sector was subjected to
major changes promoted by both EU and
national policies, with particular reference
to the so called “devolution” process, i.e.
the assignment of functions and resources
from the State to Regional and Local bod-
ies; to this extent, law no. 42/2009 has
recently enforced art. 119 of the Italian
Constitution (fiscal federalism) by the
introduction of Performances’ essential
levels (LEP).
In this panorama, Inea has been focusing
on several activities encompassing semi-
nars, publications and an ad hoc database
which assist both national and regional in-
stitutions in their policy formulation.
C. Ievoli, L. Briamonte, Spesa agricola re-
gionale e federalismo fiscale. Problemi
di determinazione dei fabbisogni finan-
ziari, Edizioni Scientifiche Italiane, Na-
poli 2010.
L. Briamonte, M.A. D’Oronzio, Analisi e
monitoraggio della spesa agricola: la
Basilicata, Inea, [s.l.] 2004.
Corte dei Conti - Sezione di Controllo per
gli Affari Comunitari e Internazionali,
Gli organismi pagatori in Italia, stato di
attuazione e costo del decentramento,
Relazione speciale, febbraio 2009.
Parlamento Italiano, Legge n. 42 del 5
maggio 2009, «GU» n. 103 del 6 mag-
gio 2009.
Rapporto Isae, Finanza pubblica e Istitu-
zioni, giugno 2009.
Senato della Repubblica, Delega al Gover-
no in materia di federalismo fiscale, in
attuazione dell’art. 119 Cost. Disegno
di legge n. 1117-B, Atti Parlamentari,
26 marzo 2009.
Lucia Briamonte è ricercatrice
dell’Istituto Nazionale di Economia
Agraria e responsabile del progetto
“Spesa pubblica in agricoltura”;
Progetti ed attivitàper il territorio ruralea cura di
Ra aella Zucaro
Prodotti itosanitari e ambiente coltivato: cosa cambia in Italia con le nuove regole europee di Antonella Pontrandol i e Giuliana i a
Principi e obiettivi della direttiva comunitariaNell’attività istituzionale della Comunità Europea, le politiche ambientali hanno sempre posto attenzione alla riduzione dell’inqui-namento prodotto da fonti agrico-le e alla sicurezza della salute del consumatore. In tale prospettiva, le normative europee di settore si so-no evolute per favorire azioni atte
a ridurre l’utilizzo degli input chimici in agricoltura, e in particolare i pro-dotti fitosanitari (di seguito PF) sono stati oggetto di stretti vincoli sulla produzione, sull’immissione nel mercato e la commercializzazione, in quanto considerati dannosi per l’ambiente e per la salute umana. L’ultimo passaggio di tale evoluzio-ne normativa riguarda l’utilizzo dei prodotti fitosanitari nelle aziende
agricole e negli usi extra agricoli (so-stanzialmente per il verde pubblico e le aree di pertinenza di strade e le ferrovie): dopo un lungo proces-so di confronto istituzionale, nel 2009 è stata promulgata la direttiva 128/2009/CE che delinea il quadro per l’utilizzo sostenibile dei pesticidi. Il tema è indicato come strategico nel VI Programma d’azione in ma-teria di ambiente che indica obiet-
tivi di protezione del consumatore e degli operatori agricoli, così come degli utilizzatori non professionali e delle popolazioni esposte, di tutela dell’ambiente acquatico e delle ac-que potabili e degli ecosistemi. La direttiva esplicita obiettivi di riduzio-ne del rischio sanitario, ambientale e per gli operatori e distingue tra utilizzatori professionali (come le aziende agricole) e non. Nel settore
Territori n. 10/2012 12 13agricolo, sono individuate come azio-ni principali la diffusione della difesa integrata, l’applicazione di vincoli di utilizzo in aree a protezione speciale, la sensibilizzazione della popolazione sugli effetti derivanti dall’impiego dei prodotti fitosanitari.La procedura legislativa di recepi-mento della direttiva, attualmente in corso, prevede l’approvazione di un decreto legislativo nazionale che indicherà principi, obiettivi e com-petenze in materia, vincoli e pre-scrizioni. Lo strumento di attuazione del decreto sarà il Piano di azione nazionale sull’uso sostenibile dei pe-sticidi che indicherà, secondo quanto indicato dalla stessa direttiva, azioni volte fondamentalmente a:
la creazione di un sistema di for-mazione per consulenti, distri-butori e utilizzatori di prodotti fitosanitari;
la sensibilizzazione della popola-zione;
l’ispezione periodica delle at-trezzature utilizzate per la distri-buzione dei prodotti fitosanitari;
la tutela dell’ambiente acquati-co, dell’acqua potabile e di altre aree di specifico interesse am-bientale;
la gestione e lo stoccaggio dei prodotti fitosanitari, dei loro im-ballaggi e dei residui dei prodotti inutilizzati;
la gestione integrata di specie nocive (difesa fitosanitaria inte-grata);
la definizione di adeguati pro-grammi di ricerca e sperimenta-zione.
osa cambieràAnalizzando contestualmente i principali campi di azione della di-rettiva e l’attuale sistema vigente in Italia, emerge innanzitutto che su alcuni aspetti della direttiva esiste già un preciso assetto normativo e un sistema operativo, gestito dalle Regioni sotto il coordinamento del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf). Si può, quindi parlare di modifiche
necessarie all’assetto attuale per adeguare e/o rafforzare il sistema esistente. Novità importanti, inve-ce, si rilevano in materia di difesa integrata obbligatoria e relativo sistema dei controlli: in quest’am-bito, le implicazioni nella consueta gestione aziendale da parte degli imprenditori agricoli e delle Ammi-nistrazioni centrali e regionali sono più significative. Uno dei punti ritenuti più impor-tanti nella direttiva è la creazione di un sistema di formazione adeguato per gli utilizzatori professionale. In Italia, la legislazione prevede già da tempo che siano adeguatamente formati e precisamente – ai sensi del DPR 290/2001 – chiunque vo-glia acquistare e impiegare PF ad alto grado di pericolosità (PF clas-sificati come “molto tossici”, “tos-sici” e “nocivi”) deve possedere un’apposita certificazione (paten-tino fitosanitario), rilasciato a se-guito di un corso di formazione ob-bligatoria. Questo con l’eccezione di alcune categorie che si suppone siano adeguatamente formate sul-la pericolosità della loro manipola-zione e del loro utilizzo (ad esem-pio, i laureati in scienze agrarie e forestali, i periti agrari, ecc.). L’attuazione della direttiva preve-de modifiche del sistema attuale, in quanto si riducono al minimo le categorie esenti dalla formazione (sia per la frequenza alla formazio-ne di base sia per il conseguimento dell’idoneità) e si pone come obbli-gatoria la partecipazione a corsi di aggiornamento per tutte le catego-rie di utilizzatori. Inoltre, ad oggi si riscontrano significative differenze dei sistemi di formazione da Regio-ne a Regione e soprattutto tra le differenti tipologie di utilizzatori: le grandi aziende, per quantitativi e tipologie di prodotti che usano, di fatto già operano con patentino, mentre le piccole aziende dovran-no in gran parte adeguarsi. In tal senso, non vi sarà più differenza a livello regionale o tra le aziende sulle procedure autorizzative. Con-
siderato il sistema vigente, quindi, i punti critici dell’attuazione della direttiva appaiono:
la definizione da parte del Mi-nistero della Salute dei prodotti ad uso professionale utilizzabili solo se in possesso di patentino;
l’adeguamento dei sistemi di formazione da parte delle am-ministrazioni competenti in termini di contenuti e di dimen-sione (ampliamento della base di operatori cui sono rivolti i requisiti), ovviamente con costi aggiuntivi;
l’aggravio per le aziende che non siano fornite di personale for-mato per la partecipazione alla formazione, con investimenti in termini di tempo, adempimenti burocratici, o con assunzione di personale formato e certificato o consulenti.
Strettamente correlato alla forma-zione è l’obiettivo di maggiore e adeguata informazione che le am-ministrazioni competenti devono garantire agli utilizzatori di PF, af-finché si diffondano buone pratiche nella difesa delle colture su tutte le superfici agricole. Il raggiungimen-to di tale obiettivo è perseguibile tramite l’accesso garantito alle in-formazioni necessarie per operare le scelte su produzioni e pratiche
agricole, il che implica la presenza e l’accessibilità di farm advisory sy-stem sulle condizioni meteorologi-che, fitosanitarie, sistemi di allerta e banche dati sulle caratteristiche del proprio territorio. Le ammini-strazioni devono, quindi, assicurare che tali sistemi di supporto esista-no e siano accessibili, con una vera e propria struttura di consulenza pubblica. In Italia, la gran parte delle Regioni ha organizzato, negli anni, servizi di consulenza e supporto agli agricol-tori attraverso gli Enti di sviluppo agricolo, i Servizi fitosanitari regio-nali o Enti regionali strumentali. Lo sviluppo e l’efficienza varia da Re-gione a Regione, così come gli stru-menti realizzati e utilizzati, da bol-lettini tecnici a sistemi informativi e telematici, ma sostanzialmente la struttura dei servizi previsti dalla direttiva è esistente e va adeguata e/o implementata a seconda delle situazioni. Se la realizzazione dei si-stemi di supporto può avere varie e diverse fonti originarie di finanzia-mento (fondi regionali, comunitari, fondi per ricerca e sviluppo, ecc.), i costi di gestione (tecnologie, perso-nale, ecc.) sono a carico dei bilanci regionali. Questo punto rappresen-ta una delle maggiori criticità che si intravedono per l’attuazione della
Progetti ed attivitàper il territorio ruralea cura di
Ra aella Zucaro
trollo periodico della funzionalità delle irroratrici. La certificazione ENAMA può essere richiesta vo-lontariamente dal costruttore e conferisce alla macchina un valore aggiunto supplementare. La nor-mativa di riferimento EN 13790-1 ed EN 13790-2, riguardante l’ade-guamento dei Protocolli di prova nazionali e/o regionali dei 22 Paesi europei aderenti fornisce, ormai, una base regolamentare condivisa, che consente di redigere i “rapporti di prova” e “attestati di controllo” con modalità condivise a livello na-zionale ed europeo. I controlli fun-zionali e le tarature sono peraltro già inseriti nei PSR regionali e sono ad esempio obbligatori in Emilia-Romagna. Premesso, quindi, che la situazione di partenza a livello na-zionale è positiva rispetto ai requi-siti della direttiva, il maggior impat-to sarà legato allo stato delle mac-chine: a seconda delle situazioni di partenza, infatti, oltre al controllo e collaudo delle macchine si potreb-be dover procedere all’acquisto ex novo per rispettare la normativa,
il che rappresenta ovviamente un costo aziendale aggiuntivo. Laddo-ve, invece, le macchine siano suffi-cientemente recenti da permettere l’applicazione di ugelli non inqui-nanti, è previsto un aumento della frequenza dei controlli nel tempo. Decisamente più complessa appa-re l’attuazione della direttiva per la tutela dell’ambiente acquatico, aree protette e speciali, in partico-lare perché la normativa vigente (d.lgs. 152/06, il cosiddetto Codice ambientale) prevede già una se-rie di restrizioni d’uso sui prodotti fitosanitari in alcune aree. Con ri-ferimento ai corpi idrici, è vietato l’utilizzo dei prodotti fitosanitari nelle fasce di rispetto dei corsi idri-ci e degli specchi d’acqua e ancor più in prossimità dei punti di capta-zione delle acque non è permesso altresì lo stoccaggio di materiali e sostanze pericolose in prossimità di punti critici quali acque super-ficiali e punti sensibili per l’inqui-namento delle falde. Il dlgs 152/06 regolamenta anche il rispetto delle zone vulnerabili ai prodotti fitosa-
nitari. Riguardo le aree protette, Natura 2000, SIC e ZPS – in gran parte aree agricole – i piani di ge-stione dovrebbero già prevedere prescrizioni d’uso dei prodotti fi-tosanitari, con anche incentivi alle produzioni integrate e biologiche, oltre agli standard imposti dalla eco-condizionalità per le aziende che accedono ai premi PAC. In tale contesto, quindi, è difficile imma-ginare ulteriori azioni restrittive nell’attuazione della direttiva, se non richiami e ulteriori incentivi. Un’azione che potrebbe essere in-trodotta riguarda le fasce tampone lungo i corsi d’acqua, da associare all’attuale misura di condizionalità per la riduzione dell’inquinamento da nitrati. In realtà, l’aspetto che si considera più critico è la coerenza tra le norme, poiché c’è il rischio, se non bene integrate, che siano richiesti agli agricoltori requisiti ri-dondanti o contraddittori.
Di esa integrata obbligatoriaUn capitolo speciale merita la difesa integrata obbligatoria, che costitui-sce probabilmente l’elemento più innovatore della direttiva e anche il più critico, in quanto a seconda del-le modalità di applicazione l’impat-to economico sul settore agricolo italiano può variare notevolmente. Nel nostro Paese, date le particola-ri caratteristiche del territorio con grande variabilità ecologica e clima-tica, lo sviluppo e l’applicazione di tecniche e strumenti di difesa delle colture avanzati hanno avuto mol-to impulso. Il percorso della difesa integrata in Italia è cominciato già dalla prima metà degli anni Settan-ta, mentre nella seconda metà degli anni Ottanta è stato avviato il primo Progetto nazionale di lotta guidata, realizzato dalle Regioni e finanziato dal Ministero dell’Agricoltura. Un altro importante impulso è venuto dall’attuazione dei programmi di sviluppo rurale che hanno progres-sivamente favorito la diffusione del-la difesa integrata (tra le azioni dei pagamenti agroambientali).
direttiva, in quanto in diverse Re-gioni, a causa della crisi economi-ca, si stanno operando dei tagli sui bilanci regionali proprio a carico di queste voci, in alcuni casi metten-do anche in discussione la stessa esistenza degli Enti di sviluppo o dei vari Enti strumentali di suppor-to. In pratica, si andrebbe verso un depotenziamento delle strutture proprio quando, al contrario, se ne richiederebbe il rafforzamento per l’attuazione della direttiva.Passando al settore delle macchine irroratrici, una delle esigenze pri-marie per l’utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari è l’utilizzo di macchine che, seppur non nuove, assicurino di portare distributori (ugelli e accessori adeguati) di nuo-va generazione, cioè che riducano al massimo le perdite e i fenomeni di deriva (con maggior rilascio di PF nell’ambiente). Nel 2005 è sta-to attivato dall’Ente nazionale per la meccanizzazione agricola (ENA-MA), su incarico del MIPAAF, un apposito progetto per uniformare a livello nazionale l’attività di con-
Territori n. 10/2012 14 15Inoltre, in Italia è attivo il Comitato nazionale di difesa integrata che ha predisposto le Linee guida naziona-li di difesa integrata, relativo a 117 delle principali colture più diffuse in Italia. Sulla base di questa impo-stazione, la difesa integrata ha tro-vato diffusione sia nell’ambito delle misure agroambientali sia nei piani operativi dell’OCM ortofrutta (Reg. CE 1234 del 2007). In base alle ul-time stime del MiPAAF, nel 2011 la superficie a produzione integrata si è attestata sul milione di ettari, distribuiti equamente tra protocolli commerciali della grande distribu-zione organizzata, incentivi PSR e piani operativi delle organizzazioni di produttori ortofrutticoli. Nono-stante la sempre più diffusa appli-cazione, dopo importanti esperien-ze regionali e di coordinamento nazionale, la produzione integrata non ha trovato un riconoscimento formale sul mercato sino al 2011: con la legge 3 febbraio 2011 n. 4 recante “Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei pro-dotti alimentari”, viene disciplinato (art.2) il Sistema di qualità naziona-le di produzione integrata (SQNPI) con relativo sistema di armonizza-zione delle norme e disciplinari re-gionali, di certificazione e marchio da utilizzare in fase di commercia-lizzazione. La produzione integrata entra così a far parte del circuito della qualità certificata del made in Italy agroalimentare, accanto ai sistemi dei marchi DOP e IGP, DOC, marchi del vino e della produzione biologica. Rispetto al quadro positivo descritto, la direttiva pone però una questione fondamentale rispetto alla prevista obbligatorietà della difesa integrata a partire dal 2014 (criteri descritti in allegato III della direttiva). In sostan-za, è previsto che:
entro luglio 2013, le amministra-zioni di settore abbiano appron-tato tutti i supporti necessari all’applicazione obbligatoria della difesa integrata;
le amministrazioni di settore de-
finiscano i requisiti di difesa inte-grata obbligatoria;
entro il 2014 la difesa integrata diventi obbligatoria per tutti gli utilizzatori professionali.
Quindi, se la produzione integrata potrà continuare a viaggiare co-me livello avanzato (attuale livello richiesto nei PSR) e certificato dal nuovo marchio nazionale, ben al-tra cosa sarà definire e applicare un “livello base di difesa integrata” in tutte la aziende agricole. A se-conda della definizione e dei criteri che saranno stabiliti per la difesa integrata obbligatoria, l’impatto sulle aziende agricole potrà essere da significativo a molto elevato, in particolare per l’agricoltura inten-siva specializzata e la monocoltura. In generale, si ipotizza che si pos-sa trattare di una commistione di pratiche tecniche e conoscitive con regole di buon senso e buone pratiche agricole. Tra l’altro, una delle questioni fondamentali da sciogliere in fase di individuazione e predisposizione delle linee guida della difesa integrata base è capi-
re quanto sia in realtà già diffusa l’applicazione di tali pratiche in Italia e, quindi, valutare l’impatto sull’agricoltura italiana delle diver-se possibili soluzioni tecniche. Altri punti deboli del sistema rispetto a quanto previsto dall’Allegato III della direttiva appaiono il neces-sario monitoraggio degli organismi nocivi e i sistemi di allerta rapida, e soprattutto la estrema eterogenei-tà del territorio e delle produzioni italiane, che rende difficile trovare soluzioni comuni.
onsidera ioni conclusiveDal quadro generale descritto non emergono ad oggi situazioni parti-colarmente critiche per l’attuazio-ne della direttiva a livello italiano, in quanto in effetti già da tempo le politiche ambientali dell’Unione e la stessa PAC hanno mirato alla riduzione del rischio sanitario e ambientale derivante dai prodot-ti fitosanitari e diverse normative vigenti in Italia prevedono prescri-zioni d’uso sul tipo di prodotto e/o sulle aree di applicazione.
Il problema maggiore che si intra-vede per l’Italia è l’applicazione della difesa integrata obbligatoria, il cui livello base potrebbe essere di difficile definizione data l’ete-rogeneità del territorio e quindi delle situazioni produttive e che va accompagnato dallo sviluppo degli strumenti di supporto alle decisioni, fondamentali (e di fatto obbligatori) per assicurare la difesa integrata. Questo rappresenta un costo ag-giuntivo stimabile a carico sia delle aziende agricole sia delle Ammini-strazioni competenti, così come lo è l’implementazione del sistema di formazione e aggiornamento degli utilizzatori, che andranno oppor-tunamente supportati attraverso un’adeguata programmazione ad esempio (e in primis) delle misure dei programmi di sviluppo rurale del prossimo ciclo.
AutoriAntonella Pontrandolfi e Giuliana Nizza sono ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria, Roma.
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