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Principali problematiche in tema di sequestro
e confisca di prevenzione: il leasing immobiliare.
Rapporti con l’Amministratore Giudiziario.
di Franca Amadori
1. Brevissima premessa - L’odierno intervento non ha e non può avere, dato il tempo a
disposizione e la vastità della materia, pretese di completezza, avendo invece come obietti-
vo quello di esaminare, per punti, in modo schematico e non esaustivo, da un lato le pro-
blematiche più attuali in tema di sequestro e di confisca di prevenzione, e dall’altro le prin-
cipali criticità che possono presentarsi in concreto nel rapporto tra Giudice Delegato ed
Amministratore Giudiziario.
Trattandosi di un argomento basato sull’esperienza concreta, i punti esaminati avranno un
taglio necessariamente di tipo pragmatico, più che giurisprudenziale o dottrinale, nella
speranza di poter offrire un modesto strumento di confronto in un campo ancora tutto da
arare.
In merito invece alle principali problematiche che sono emerse in tema di sequestro e con-
fisca di prevenzione, a me pare che una frontiera inesplorata e sicuramente da approfondi-
re sia quella del leasing immobiliare, in merito al quale, ad oggi, sono davvero pochi gli
operatori del diritto che hanno acquisito la necessaria consapevolezza.
Mi auguro pertanto di poter offrire con il presente elaborato un piccolo contributo all’analisi
di tale modalità di schermatura dell’illecita provenienza del capitale utilizzato per l’acquisto
di beni immobili.
* * *
2. Il leasing immobiliare. Una nuova frontiera della malafede bancaria. –
Il leasing immobiliare può costituire un subdolo e, finora, non contrastato, metodo utilizzato
dai criminali con maggiori possibilità economiche per ottenere, con un unico contratto, due
risultati:
a) schermare i beni immobili di fatto a loro riconducibili, poiché la proprietà del bene re-
sta in capo all’istituto bancario fino a quando non venga corrisposto l’ultimo canone di
leasing;
b) giustificare la concreta disponibilità del bene immobile, qualora, all’esito di eventuali
indagini, dovesse emergere che il detto bene, pur risultando formalmente di proprietà
di un istituto bancario, è di fatto in uso al proposto.
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Ormai, com’è noto, l’accensione di un mutuo ipotecario ormai da tempo non costituisce
più un metodo “valido” di schermatura dell’illecita origine dei proventi con i quali il bene im-
mobile è stato acquistato, poiché il mero fatto di avere ricevuto la somma necessaria per
l’acquisto da un istituto bancario non è sufficiente, da solo, a riequilibrare la sproporzione
tra i ratei di mutuo che comunque devono essere versati alla banca mutuante e i redditi le-
citi di cui il proposto ed eventuali altri familiari conviventi possono disporre al momento
dell’acquisto del bene immobile stesso.
Per fare un esempio alquanto banale: se i redditi del nucleo familiare sono pari a (poniamo)
€. 10.000,00 annui e se l’acquisto comporta l’accensione di un mutuo pari ad €. 8.000,00
l’anno, può un gruppo di quattro persone sopravvivere con €. 2.000,00 l’anno?
E può poi, dopo – poniamo – solo tre anni, procedere ad un nuovo acquisto che ha un valo-
re pari al triplo di quello precedente?
La risposta è ovviamente negativa.
Segue che il proposto munito di capitali illecitamente accumulati, che abbia acceso un mu-
tuo per dare una parvenza di legittimità alla provenienza del capitale da lui impiegato per
l’acquisto immobiliare (che altrimenti resterebbe non giustificabile), non riuscirà nell’intento,
perché comunque non riuscirà a chiarire in che modo sia riuscito a fare fronte al pagamento
dei ratei mensili.
Dall’altro lato, l’istituto bancario, quale creditore nei confronti del proposto, non si vedrà ri-
conoscere il proprio credito da parte del Giudice Delegato in sede di verifica dei crediti, per-
ché il fatto stesso di avere concesso un cospicuo mutuo ad un soggetto con redditi leciti pa-
lesemente insufficienti a far fronte ai ratei mensili, è di per sé stesso indicativo (se non di
vera e propria malafede bancaria, almeno) di incauto affidamento.
La verità è che l’istituto bancario, nonostante gli scarsi redditi leciti del mutuatario, valutato
il suo complessivo tenore di vita, lo avrà ritenuto solvibile, mentre, per quanto riguarda la
giustificazione economica dell’operazione, potrà sempre addurre a propria difesa la garan-
zia ipotecaria.
In realtà, com’è noto, tale giustificazione è del tutto inidonea, perché la buona fede bancaria
non si misura sulla base del soggettivo interesse dell’istituto stesso (che rimane un sog-
getto privato) alla conclusione di un contratto con soggetti che, in quanto privi di capitali a-
deguati di lecita provenienza, sono (lato sensu) pericolosi per la collettività, bensì sulla ba-
se dell’oggettivo interesse della collettività a far sì che gli istituti bancari non vadano a fi-
nanziare tout court attività illecite, ovvero attività lecite, ma frutto di reimpiego.
Il che è sufficiente per addivenire alla confisca dell’immobile gravato da ipoteca, senza che
l’istituto bancario possa recuperare la somma mal concessa in prestito.
La formula indicata in dispositivo sarà:
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“(il Tribunale) ACCERTA il difetto di buona fede dell’istituto bancario “PAGOBENE” in rela-
zione al contratto di mutuo stipulato in favore di TIZIO in data …., avente ad oggetto
l’immobile ubicato in Roma, alla via ….., n. xy, distinto in catasto al foglio w, particelle z e j,
di cui con il presente decreto si dispone la confisca”.
Trattasi di conclusioni ormai pacificamente recepite in giurisprudenza, sin da pronunce risa-
lenti (fondamentale resta tutt’oggi Sezioni Unite n. 9 del 28 aprile 1999, BACHEROTTI).
Per contro, ancora inspiegabilmente inesplorata è rimasta la “frontiera” del leasing
immobiliare, che, di fatto, sortisce gli stessi identici effetti del mutuo, con la differen-
za che la proprietà del bene rimane in capo all’istituto bancario e per tale ragione,
pertanto, risulterà più difficile, in sede di indagini, ricondurre il cespite alla disponibi-
lità concreta del proposto.
L’ulteriore vantaggio è che il bene potrà circolare più agevolmente, rispetto all’immobile
gravato da ipoteca, essendo sufficiente la semplice cessione del contratto di leasing.
Tuttavia, nonostante tale evidenza, pochi riescono a comprendere le insidie che si nascon-
dono nel leasing immobiliare.
La domanda è la seguente:
perché in realtà i due istituti (mutuo ipotecario da un lato, e leasing immobiliare dall’altro
lato) sono in realtà assolutamente sovrapponibili, dal punto di vista della malafede banca-
ria?
Perché l’istituto bancario non acquista di sua spontanea iniziativa l’immobile che poi
cederà in leasing al proposto, ma lo acquista su specifica indicazione del proposto
stesso.
Trovo molto importante spiegare bene tale meccanismo, che non è chiarissimo per chi non
svolge l’attività di commercialista, ma è totalmente sovrapponibile, quanto ad effetti e risul-
tati, a quello del mutuo ipotecario.
Anzi, in realtà si tratta di un meccanismo molto più efficace ai fini della “schermatura” del
bene.
Poniamo che il proposto abbia deciso di investire il capitale a sua disposizione (illecitamen-
te accumulato) per l’acquisto di una lussuosa villa.
Egli sa perfettamente che il valore di tale immobile risulta sproporzionato ai redditi leciti di
cui può disporre e che, di conseguenza, non è in grado di giustificare l’acquisto di tale ce-
spite. Dunque, per prima cosa, cercherà di intestarlo a qualche interposto fittizio che, però,
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deve però trattarsi pur sempre di persona di sua fiducia, la quale, assai spesso, non è mu-
nita del denaro (lecito) necessario per l’acquisto.
Ecco allora la necessità di approntare un’apparenza di lecita provenienza del denaro utiliz-
zato per l’acquisto, rivolgendosi al sistema bancario.
Vediamo qual è la sequenza materiale dell’acquisto con mutuo ipotecario:
a) il soggetto munito di capitali illeciti individua un immobile di suo gradimento (nell’ipotesi
data, una villa lussuosa);
b) ha il capitale per l’acquisto, ma non può giustificarne il possesso, quindi chiede (non ne-
cessariamente in nome proprio) un mutuo ipotecario;
c) materialmente, il contratto di compravendita ed il contratto di mutuo verranno stipulati
durante la medesima seduta, davanti al medesimo notaio, presso il quale si saranno re-
cati tre soggetti: il venditore, l’acquirente (che può essere il proposto, oppure un suo
prestanome) ed il delegato dell’istituto bancario;
d) in tale seduta il venditore riceverà il corrispettivo pattuito e quindi uscirà di scena;
e) resterà quindi il rapporto di mutuo tra l’acquirente e l’istituto bancario;
f) concretamente, l’acquirente si troverà a versare mensilmente all’istituto bancario una
somma predefinita (poniamo, €. 1.000,00) quale rateo del mutuo contratto.
Vediamo ora cosa accade se il soggetto acquirente, invece di ricorrere al mutuo ipotecario
decide di ricorrere al leasing immobiliare.
a) il soggetto munito di capitali illeciti individua un immobile di suo gradimento (nell’ipotesi
data, una villa lussuosa);
b) ha il capitale per l’acquisto, ma non può giustificarne il possesso, quindi si reca in banca
e propone all’istituto bancario di acquistare in proprio l’immobile in discorso;
c) materialmente, il contratto di compravendita ed il contratto di leasing verranno stipulati
durante la medesima seduta, davanti al medesimo notaio, presso il quale si saranno re-
cati tre soggetti: il venditore, l’acquirente (che può essere il proposto, oppure un suo
prestanome) ed il delegato dell’istituto bancario;
d) in tale seduta il venditore riceverà il corrispettivo pattuito e quindi uscirà di scena;
e) resterà quindi il rapporto di leasing tra l’acquirente (divenuto in realtà conduttore) e
l’istituto bancario;
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f) concretamente, l’acquirente-conduttore si troverà a versare mensilmente all’istituto
bancario una somma predefinita (poniamo, €. 1.000,00) quale canone del leasing con-
tratto.
Tuttavia, nel caso del leasing l’istituto bancario avrà il vantaggio di mantenere un diritto ben
più forte di quello di ipoteca, perché resterà proprietario dell’immobile, così risparmiandosi,
in caso di insolvenza, i costi delle procedure di esecuzione forzata immobiliare, potendo
semplicemente azionare le clausole contrattuali del leasing, mentre, d’altro lato, il proposto
avrà il vantaggio di rimanere completamente schermato dall’intestazione bancaria.
In sede di indagini, infatti, i controlli presso le conservatorie immobiliari o presso gli uffici del
catasto non consentiranno di risalire al proposto e neanche a suoi eventuali prestanome, in
quanto l’immobile risulterà di proprietà dell’istituto bancario.
Infine, sotto un profilo puramente concreto, sarà del tutto indifferente per il proposto versare
mensilmente la medesima somma a titolo di rateo di mutuo, oppure di canone di leasing.
Si consideri poi che attualmente la legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del
2015) ha inteso espressamente incentivare il leasing abitativo, dotandolo di alcuni
vantaggi fiscali nel caso in cui si tratti di abitazione principale del conduttore, di tal-
ché sempre più frequente sarà il ricorso al leasing immobiliare a fini di mera scher-
matura (1)
(1) L’articolo 1, comma 76, della legge 208/2015, contiene la definizione del contratto di locazione
finanziaria in questione, nei termini che seguono: si tratta di un contratto con il quale il soggetto concedente (e cioè una banca o altro intermediario finanziario iscritto nell’albo) si obbliga verso il proprio cliente (il futuro utilizzatore, il quale, doven-do necessariamente destinare la casa ad abitazione principale, è una persona fisica che non agisce nell’esercizio di un’attività di impresa):
a) ad acquistare o a far costruire un edificio abitativo, secondo le istruzioni dell’utilizzatore;
b) a mettere l’edificio a disposizione dell’utilizzatore verso il pagamento di un canone correlato
al prezzo di acquisto (o al costo di costruzione) e alla durata del periodo di godimento del be-ne in parola da parte dell’utilizzatore;
c) l’edificio deve essere destinato dall’utilizzatore ad «abitazione principale» (definita dall’articolo 15, comma 1, lettera b, D.P.R. 917/1986, come «quella nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente»;
d) in mancanza di questo requisito il contratto di leasing è pur sempre valido, ma non si applica la disciplina civilistica contenuta nella legge 208/2015, bensì la normativa ordinariamente applicabile al “normale” contratto di leasing;
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Spiace constatare che, al momento, né la prassi, né la giurisprudenza abbiano colto tale
grave insidia insita nel leasing immobiliare.
Carenza tanto più inspiegabile ove si consideri che - per contro - è attualmente pacifica la
giurisprudenza concernente il leasing mobiliare, soprattutto con riferimento ad autoveicoli
di costo assai elevato (come, ad esempio, una FERRARI od una JAGUAR), concessi in
leasing a società in perdita, o a soggetti sconosciuti al fisco (si legga, ex multis, Cass. Pen.
Sez. V, camera di consiglio 15 gennaio 2013, dep. 14 marzo 2013, n. 11979, PENSABENE
ED ALTRI; Giudice estensore Dr. Carlo ZAZA, che ha ritenuto corretto il percorso argo-
mentativo della Corte d’Appello di Milano, che a sua volta ha confermato il decreto di confi-
sca di alcuni veicoli emesso dal Tribunale di Milano, previa dichiarazione di accertata mala-
fede della società di leasing).
Curiosamente, quando si tratti invece di leasing immobiliare, all’opposto, accade che lo
stesso Pubblico Ministero proponente escluda in radice la richiesta di sequestro
dell’immobile condotto in leasing dal proposto, in quanto trattasi di bene di proprietà
di soggetto terzo (l’istituto bancario) che non ha veste di interposto fittizio, ma, al
più, di creditore di malafede, senza considerare l’assoluta equivalenza tra tale situazione
e quella dell’immobile di proprietà del proposto (o di soggetto terzo interposto fittizio) grava-
to da ipoteca.
In realtà, non vi sono ragioni né giuridiche, né dottrinali, che giustifichino l’attuale inerzia del
sistema giudiziario di fronte a tale palese ulteriore e più subdolo metodo per schermare
l’illecita provenienza del capitale impiegato, avvalendosi della compiacente collaborazione
di qualche istituto bancario.
Inerzia vieppiù ingiustificata in quanto attualmente il compito di individuare la sussistenza
della malafede bancaria è reso più facile dal fatto che gli istituti bancari sono tenuti ad ap-
plicare i criteri indicati nel provvedimento emesso dalla Banca d’Italia in data 3 aprile 2013
(allegato al presente elaborato) al fine di attuare il principio della “adeguata verifica della
clientela” (individuato dall’acronimo KYC, che sta per “know your customer”), imposto dal
Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 (cosiddetta “legge antiriciclaggio”) e suc-
cessive modifiche.
e) la stipula di questo contratto comporta che sull’utilizzatore gravano gli stessi rischi
che sul medesimo graverebbero se egli fosse il diretto acquirente del bene (uno per tutti, il rischio di perimento dell’edificio);
f) al termine del convenuto periodo di godimento da parte dell’utilizzatore, costui ha il diritto di acquistare la proprietà del bene utilizzato verso il pagamento di un prezzo stabilito nel contratto di leasing.
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Si tratta di criteri veramente molto interessanti, perché talora sono addirittura più severi di
quelli elaborati dalla giurisprudenza in materia e che in ogni caso offrono un parametro tec-
nico di valutazione in ordine alla condotta dell’istituto bancario che conceda mutui ipotecari
o leasing immobiliari a soggetti che (almeno in apparenza) non sono nelle condizioni di po-
ter onorare l’impegno finanziario assunto.
Per tale ragione ho ritenuto indispensabile allegare al presente elaborato tale corposo do-
cumento.
Del resto, l’opera giurisprudenziale intesa a vagliare la condotta del terzo creditore è ormai
risalente e sedimentata negli anni, di talché sono tutt’oggi validissime anche pronunce non
troppo recenti come la già menzionata sentenza n. 9 del 28 aprile 1999 (cosiddetta senten-
za BACHEROTTI) emessa dalle Sezioni Unite Penali in una vicenda di usura, con cui la
Corte di Cassazione ha stabilito che:
“l’applicazione della confisca non determina l’estinzione del preesistente diritto di pegno co-stituito a favore di terzi sulle cose che ne sono oggetto, quando costoro, avendo tratto og-gettivamente vantaggio dall’altrui attività criminosa, riescano a provare di trovarsi in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole”.
In sintesi, il fatto oggettivo che il terzo abbia tratto vantaggio dalla azione criminale altrui,
non è sufficiente, di per sé, a determinare la perdita del suo diritto di garanzia, essendo ne-
cessario altresì che egli non sia riuscito a dimostrare il fatto soggettivo di non aver avuto
alcun modo di accorgersi che con la sua azione (aver concesso un prestito a persona dedi-
ta al crimine) ha consentito al debitore-criminale di proseguire la propria attività illecita, od
anche di attuare un’attività lecita, costituente tuttavia frutto o reimpiego di quella illecita.
Analogamente, nel caso esaminato dalla sentenza n. 36990 del 2012 l’istituto bancario IN-
TESA SAN PAOLO non è stato in grado di fornire tale dimostrazione, in ragione del fatto
che aveva concesso mutui sempre più consistenti (600 milioni di lire, poi 250 milioni e quin-
di 400 milioni di lire) ad un soggetto che aveva dichiarato redditi annui inferiori ai 40 milioni
di lire, per non parlare del singolare accumulo di beni immobili intestati alla consorte di tale
soggetto nel 1988, pur non essendo intervenuto alcun fattore che giustificasse tale ricchez-
za.
Dunque la Corte di Cassazione in tale pronuncia ha così concluso:
“Non sfugge alla ragionata presunzione di un’operazione bancaria certamente vantaggio-
sa e garantita per l’istituto sotto il profilo economico (e resa in esito alle procedure per
questo previste), ma effettuata nella consapevolezza della personalità opaca del con-
traente e, in definitiva, dell’alto rischio di collisione del privato interesse della banca con il
prevalente interesse pubblico alla prevenzione criminale mafiosa”.
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Si tratta di una conclusione sicuramente tutt’altro che scontata in un contesto economico
come quello attuale, nel quale l’unico parametro che sembra guidare le scelte economiche
del sistema creditizio sembra quello del mero profitto dell’istituto bancario, il quale appa-
re del tutto indifferente alle conseguenze sull’intero sistema sociale del finanziamento di pe-
ricolose organizzazioni criminali, od anche, più subdolamente, di soggetti apparentemente
meno pericolosi (in quanto la loro azione criminale non viene attuata mediante intimidazio-
ne o violenza) ma altrettanto devastanti, come accade nel caso dei criminali economici (si
pensi ai bancarottieri abituali, che nell’arco di pochi anni costituiscono centinaia di società,
a catena, in modo che l’una diventi debitrice in nome e per conto dell’altra, finché, in sintesi,
il risultato finale sarà quello di permettere loro di acquistare beni di ingentissimo valore pra-
ticamente a spese altrui, assai spesso in danno di imprese sane).
Peraltro può rilevarsi che in una situazione di tale evidenza come quella sottoposta
all’esame della Suprema Corte, oggi sarebbe possibile adottare un percorso argomentativo
ancor più solido, semplicemente constatando la totale mancanza nell’azione bancaria dei
parametri di adeguata verifica della clientela, come elaborati dalla Banca d’Italia con il
provvedimento del 3 aprile 2013, allegato al presente elaborato.
Peraltro, e con questo concludo su questo tema, a mio parere, i parametri normativi di ade-
guata verifica della clientela, pensati per il sistema bancario, offrono principi più generali,
utilizzabili in realtà per la valutazione delle istanze di restituzione avanzate da qualsiasi al-
tro terzo, anche imprenditore individuale o semplice persona fisica non titolare di impresa,
atteso che, a ben vedere, molti dei parametri indicati dalla Banca d’Italia, altro non sono
che l’individuazione di regole di ordinaria diligenza (per non dire di semplice buon senso).
Solo per fare un banale esempio, al punto “3” del regolamento della Banca d’Italia si consi-
dera criterio di valutazione negativa del cliente (cito testualmente):
“la riluttanza del cliente o dell’eventuale esecutore nel fornire le informazioni richie-
ste, ovvero l’incompletezza o l’erroneità delle stesse (ad esempio, le informazioni
necessarie per la sua identificazione o per l’individuazione dell’eventuale titolare ef-
fettivo oppure relative a natura e scopo del rapporto dell’operazione)”.
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3. Il Giudice Delegato ed il Giudice penale. Una differente “filosofia” – Passando ora ad
analizzare - come richiesto - i rapporti tra Giudicante ed Amministratore Giudiziario, mi
sembra che emerga in modo palese la notevole differenza che si va delineando tra
l’approccio del Giudice Delegato alla prevenzione ed il Giudice della cognizione, sia esso
G.I.P. o Giudice del dibattimento.
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Invero, lo scorso anno ho ascoltato la relazione di un collega G.I.P., il quale analizzava in
modo dettagliato quale tipo di responsabilità civile dovesse essere contestata
all’Amministratore Giudiziario che avesse mal eseguito il proprio incarico.
Vedo che tale tema è stato ripreso anche nel presente corso, in quanto alla fine della ses-
sione mattutina, sarà trattato dall’Avv. Fabrizio MERLUZZI.
Ebbene, a me pare che difficilmente possa proporsi, in concreto, un problema di responsa-
bilità civile dell’Amministratore Giudiziario nell’ambito dell’amministrazione di prevenzione,
quando il Giudice Delegato abbia svolto il proprio compito con la dovuta diligenza.
Infatti, l’amministrazione dei beni nel corso dei procedimenti di prevenzione richiede un
contatto continuo tra Giudice Delegato ed Amministratore Giudiziario, vuoi con riferimento
all’impostazione complessiva che deve essere data alla gestione di quel particolare patri-
monio (in quanto ogni vicenda ha la propria specificità), vuoi in ordine agli obiettivi da per-
seguire con riferimento alla destinazione dei singoli beni.
Questo comporta un mutamento di mentalità da parte del Giudice Delegato, il quale
deve dedicare, volente o nolente, gran parte del suo tempo proprio all’ attività di ge-
stione, che, a sua volta, comporta lo studio e l’approfondimento di molte materie
che, a rigore, non fanno parte del bagaglio professionale del Giudice penale.
Questo, forse, può chiarire per quali ragioni, il G.I.P., o, più in generale, il Giudice della co-
gnizione, che è invece onerato altresì dalle complesse esigenze dell’istruttoria penale, può
non avere la stessa disponibilità a dedicarsi all’attività di gestione d’amministrazione dei
beni.
In questo caso, allora, certamente è necessario approfondire meglio tutti i profili della re-
sponsabilità nella quale può incorrere l’amministratore a cui venga data così ampia facoltà
decisionale.
Resta però il fatto incontrovertibile che, purtroppo, alcune scelte dell’Amministratore Giudi-
ziario possono essere irreparabili, per cui servirà a poco, a quel punto, stabilire quali colpe
vadano attribuite a lui, e quali al Giudicante, poiché di norma entrambi dovranno risponder-
ne in solido.
Segue che, anche se l’Amministratore Giudiziario sia un professionista bravo ed affidabile,
una supervisione continua da parte del Giudicante è sempre opportuna, per la tranquillità di
entrambi.
Posso fare molti esempi concreti, ma mi limiterò a tre soli, tratti dalla mia personale espe-
rienza.
Primo esempio. – Ci sono richieste che l’Amministratore Giudiziario formula sull’onda di
situazioni emergenziali e che per tale ragione, sono talvolta poco meditate. Compito del
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Giudice Delegato è quello di non lasciarsi, a sua volta, trascinare in decisioni talora irrepa-
rabili sulla scorta della “pressione” esercitata dall’Amministratore Giudiziario.
Posso portare l’esempio concreto di una procedura in cui si prospettava il pericolo di crollo
di un muro di contenimento in una zona abitata, in cui talune abitazioni (non sottoposte a
sequestro) rischiavano di finire travolte dal crollo.
Sulla scia della notevole preoccupazione che tale situazione suscitava, il collegio degli
Amministratori Giudiziari ha chiesto al Giudice Delegato (nel caso di specie, chi vi parla) di
voler autorizzare l’immediato intervento di una ditta edile - già contattata dagli Amministra-
tori stessi - affinché provvedesse alla messa in sicurezza di tale muro.
Fortunatamente, non ho concesso tale autorizzazione, perché avevo notato che il lavoro di
“manutenzione e recupero” consisteva nello sbancamento della parte della collina ubicata
all’altezza del muro, che – nelle intenzioni della ditta – avrebbe dovuto ridurre la pressione
del terrapieno su tale manufatto.
Dopo aver consultato per le vie brevi alcuni professionisti del settore, ho deciso di disporre
piuttosto un’apposita perizia geologica.
Ebbene, all’esito di tale accertamento è emerso che lo sbancamento avrebbe provocato il
verosimile crollo dell’intera collina, con gravissimo danno altresì del piccolo agglomerato di
abitazioni edificate sulla sommità.
Durante il tempo necessario per l’espletamento della perizia geologica, gli Amministratori
Giudiziari, presi dal panico, hanno presentato un’istanza scritta dal contenuto a dir poco
singolare, in quanto tesa ad ottenere un ordine di sgombero da parte mia, nei confronti di
ignare famiglie che avevano l’unico torto di abitare nella zona a rischio.
Orbene, se è ben vero che il Giudice Delegato può ordinare lo sgombero, anche forzato,
degli immobili in sequestro, qualora ne ricorrano le condizioni, è del tutto escluso che possa
sostituirsi al Sindaco di un comune, ordinando lo sgombero di abitazioni non in sequestro,
sia pure a tutela della pubblica incolumità, potendo, al più, prendere contatti con il detto
Sindaco per segnalare l’opportunità di adottare (ove ritenuto) eventuali iniziative a carattere
preventivo.
Discende che è assolutamente indispensabile che il Giudice Delegato, pur nella necessaria
dialettica, valuti i suggerimenti avanzati dall’Amministratore Giudiziario mantenendo sempre
ferma la propria autonomia critica, senza lasciarsi suggestionare.
* * *
Secondo esempio: il controllo va attuato anche quando la richiesta in sé è di ridotto impe-
gno economico e può apparire di ordinaria amministrazione.
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Si pensi ad esempio al caso dell’istanza (che è piuttosto frequente quando si gestiscono
beni immobili) tesa ad ottenere l’autorizzazione a far redigere l’APE (Attestato di Prestazio-
ne Energetica.) al costo di circa €. 300,00.
Non si tratta di una grande cifra, ma è sufficiente informarsi per scoprire che, normalmente,
il costo di tale prestazione va da €. 100,00 a €. 150,00.
Di conseguenza, il Giudice Delegato redigerà un provvedimento con il quale inviterà
l’Amministratore a non superare tale cifra.
Si tratta di una piccola somma, ma la responsabilità di gestione richiede che qualunque ci-
fra autorizzata, anche quella più modesta, sia rispondente alla tariffa media, non essendovi
ragione di utilizzare all’interno di una procedura giudiziaria tariffe diverse da quelle ordinaria
di mercato.
* * *
Terzo esempio: aziende di modesta entità.
Accade molto più spesso di quanto si vorrebbe di dover insistere per impedire la chiusura
delle piccole aziende, andando in contrario avviso rispetto all’Amministratore Giudiziario
che invece sostiene l’impossibilità di prosecuzione dell’attività aziendale.
Talvolta infatti occorre porsi un problema di “immagine” dell’azione giudiziaria.
Se l’attività in discorso (poniamo, una rivendita di frutta), era nota in zona come il “quartier
generale” del malvivente attinto dalla misura, far proseguire la stessa attività nelle mani di
un imprenditore onesto ha un valore importantissimo, più di tante sentenze o di tanti trattati
di diritto.
Posso citare l’esempio di un’attività di rivendita e riparazione di pneumatici, collocata in un
punto strategico del piccolo comune interessato, per la quale l’Amministratore Giudiziario
aveva chiesto più volte l’autorizzazione alla chiusura, da me sempre negata in ragione della
dimostrazione di aver contattato i punti vendita delle marche più note (come MICHELIN,
PIRELLI, DUNLOP, GOODYEAR e via elencando) e dell’omessa analisi della filiera di
commercializzazione tali prodotti (soprattutto per l’individuazione dei grossisti).
Alla fine l’Amministratore Giudiziario, così sollecitato, è riuscito a trovare un imprenditore
del settore, già titolare di una rivendita nella capitale, che ha acquistato l’azienda e l’ha pro-
seguita anche nel piccolo comune in discorso.
In tal caso, il prezzo di vendita terrà conto della necessità di rinnovo della merce, nonché
dell’eventuale obsolescenza delle attrezzature necessarie per la proficua gestione
dell’attività ed infine altresì delle possibili difficoltà create dallo stesso proposto (non sono
infrequenti, infatti, i casi di azioni di danneggiamento e di furto attuate dal proposto, o da
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suoi mandatari, esclusivamente a fini dimostrativi, per chiarire che egli non è stato “sconfit-
to” e che è ancora in grado di esercitare la propria “signoria” nella zona), per cui potrà an-
che essere concordato un prezzo non competitivo, ma che comunque costituirà pur sempre
una soluzione migliore e preferibile rispetto a quella della pura e semplice chiusura
dell’azienda.
/———/
Breve postilla - Quando il Giudice Delegato deve domandarsi quali sono i profili di re-
sponsabilità (civile e penale) dell’Amministratore Giudiziario, difficilmente egli potrà ritenersi
immune da conseguenze, poiché dovrà dimostrare di avere adottato le misure previste dal
Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (d’ora innanzi denominato, per brevità, “Codi-
ce Antimafia”), prima fra tutte, quella che consente di proporre al Collegio la revoca
dell’amministratore (art. 35, comma 7 del Codice Antimafia).
Posso citare un caso (che mi auguro resti isolato) in cui probabilmente avrei dovuto presen-
tare la proposta di revoca dell’Amministratore Giudiziario già dopo il primo mese di svolgi-
mento dell’incarico, senza attendere il deposito della prima relazione.
Nel caso di specie, l’Amministratore avrebbe dovuto occuparsi della gestione di un’unica
azienda, sulla cui sicura capacità di prosecuzione non v’erano dubbi, attesa la tipologia e la
posizione “strategica”. Di conseguenza, mi aspettavo che la relazione ex art. 41 comma 1
del Codice Antimafia fosse presentata dopo qualche settimana.
Invece, l’Amministratore non solo tardava a presentare tale relazione, ma, soprattutto, si
era reso “latitante”, nel senso che non proponeva istanze e non veniva a riferire, magari
anche solo informalmente, l’andamento della gestione, come invece di norma avviene.
Ai solleciti, rispondeva (non senza malcelata insofferenza) che la norma (n.d.r.: l’art. 41) gli
“dava diritto” di presentare la relazione dopo sei mesi.
Per dire la verità la norma dispone che la relazione può essere presentata “entro sei mesi”
(dalla nomina), dunque “fino a sei mesi”, per cui si tratta di un termine massimo, che deve
essere giustificato dall’importanza e dalla complessità del compendio, tale da impedire di
effettuare una valutazione in tempi brevi sulla possibilità di prosecuzione dell’attività azien-
dale, e non già di un termine da applicarsi indiscriminatamente per il solo fatto che nel
compendio e presenta un’azienda.
Quando finalmente, dopo sei mesi, tale Amministratore ha depositato la sua relazione, è
stato subito chiaro che occorreva proporne immediatamente la revoca.
Invero, aveva adottato molte iniziative in palese violazione di legge, in quanto non autoriz-
zate dal Giudice Delegato (lasciato totalmente all’oscuro).
Solo per citarne alcune:
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a) pagamento di un debito pregresso senza attendere l’udienza di verifica dei crediti;
b) stipula di un atto transattivo (dunque di un atto di straordinaria amministrazione), in pa-
lese violazione del comma 3 dell’art. 40 del Codice Antimafia;
c) nomina diretta di taluni professionisti, quali “periti”, nonché liquidazione del loro com-
penso e pagamento effettuato con prelievo diretto dalle casse societarie (come se tali
periti fossero stati incaricati direttamente dall’azienda per finalità di gestione azienda-
le, mentre in realtà erano stati incaricati dall’Amministratore Giudiziario e non già
dall’amministratore della società che gestiva l’azienda, per finalità utili
all’amministrazione giudiziaria, e non alla gestione aziendale, così operando
un’indebita commistione tra piani totalmente autonomi e diversi);
d) licenziamento di una lavoratrice, su richiesta dei figli del proposto (di quest’ultimo
fatto l’Amministratore non aveva fatto menzione, in verità, nemmeno nella sua relazio-
ne, per cui è emerso solo dopo che la detta lavoratrice ha impugnato tale licenziamen-
to davanti al Giudice del lavoro);
e) assunzione di due lavoratori su indicazione dei detti congiunti del proposto.
Ebbene con il senno di poi, ho maturato il convincimento che sia consigliabile mettere im-
mediatamente “in mora”, con atto scritto, l’Amministratore che si dimostri eccessivamente
assente, invitandolo a depositare entro e non oltre un ben preciso termine una dettagliata
relazione sullo stato aziendale, con specificazione degli accertamenti eventualmente anco-
ra da completare.
Decorso tale termine senza che tale adempimento sia stato attuato, è mia opinione (ma si
tratta soltanto un parere personale) che debba essere proposta subito la revoca dello stes-
so davanti al Collegio, in ragione del venir meno del rapporto di fiducia che necessa-
riamente deve esistere tra Giudice Delegato e Amministratore Giudiziario, affinché la
complessa attività gestionale possa essere realmente proficua.
La scelta “attendista” è altamente controproducente, in quanto più tempo trascorrerà e più
sarà difficile per l’Amministratore Giudiziario che sarà nominato in sostituzione, rimediare
alle “iniziative” assunte da quello precedente (dal licenziamento arbitrario del personale, al-
le assunzioni suggerite dai proposti o dai loro congiunti, a pagamenti non dovuti e
quant’altro), alcune delle quali, purtroppo, potrebbero essere non più rimediabili.
/———/
4. Breve prontuario pratico di gestione – Mi è stato chiesto di svolgere nel presente conve-
gno un intervento prevalentemente pragmatico, anche in ragione del fatto che la gestione
dei patrimoni nell’ambito delle procedure di prevenzione è ancora in una fase che si po-
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trebbe definire, per così dire, “pionieristica”, atteso che le norme elaborate sul punto sono
sicuramente scarse ed insufficienti e non offrono in realtà indicazioni dirimenti e definitive
sulle diverse questioni gestionali, che invece sono in un continuo divenire.
Spero quindi di non aver deluso, sin qui, le aspettative.
La gestione dei beni è un argomento di estrema ampiezza, per cui necessariamente, in
questa sede, dovrò limitare il presente “prontuario” ai casi più comuni, procedendo per
sommi capi e, soprattutto, facendo riferimento all’esperienza concreta maturata fin qui, che,
pertanto, risente necessariamente di una inevitabile soggettività.
* * *
4a - Il protocollo d’intesa per la gestione dei beni sequestrati – Il Tribunale di Roma è
stato il primo in Italia a redigere, nel 2014, un protocollo d’intesa per la gestione dei beni
sequestrati, sottoscritto non solo dall’allora Presidente dr. Mario BRESCIANO, ma altresì
dal Procuratore della Repubblica di Roma, dr. Giuseppe PIGNATONE, ed infine dal Presi-
dente Vicario della Corte d’Appello, nonché da una serie di altre figure istituzionali, come il
Sindaco di Roma, il Presidente della Regione Lazio, il Presidente della ConfCommercio, il
Direttore Generale dell’Associazione Bancaria Italiana (2) e via elencando.
In tale atto, si è sostanzialmente stabilito che il Giudice della prevenzione, durante il se-
questro, deve anticipare il più possibile la gestione dei beni così come disciplinata
dal Codice Antimafia con riferimento alla confisca definitiva.
Tale impostazione nasce dall’oggettiva e realistica constatazione che l’Agenzia Nazionale
per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla Criminalità
Organizzata (d’ora innanzi denominata, per brevità, solo “Agenzia”) - per cause che qui non
mette conto analizzare – non riesce di fatto ad occuparsi in modo soddisfacente
dell’ingentissimo numero di cespiti, di vario tipo, che pervengono alla sua gestione, all’esito
delle numerose confische (non solo di prevenzione, ma anche penali) attuate in tutto il terri-
torio nazionale.
Per contro è molto più semplice per il singolo Giudice Delegato, che, di volta in volta si oc-
cupa di un numero di beni che, per quanto possa essere ingente, è comunque limitato alla
singola procedura, riuscire a dare al patrimonio da gestire un’impostazione produttiva in
grado di autofinanziarsi stabilmente, senza necessità di interventi ulteriori.
In altri termini, il Giudice delegato avrà ben lavorato se l’Agenzia non dovrà fare altro che
subentrare e proseguire tutti i rapporti economici già impostati ed avviati durante la fase di
(2) Il coinvolgimento del sistema bancario è fondamentale per risolvere il problema del finanzia-mento delle aziende in sequestro. Molto utili si sono rivelati anche gli accordi adottati con la Uni-credit e con altri istituti bancari.
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sequestro, continuando a far fruttare i vari cespiti, già risanati dall’azione del Giudice Dele-
gato e dell’Amministratore Giudiziario.
Proprio per tale ragione, il Tribunale di Roma ha altresì adottato la prassi (oggi seguita da
diversi altri Tribunali italiani) di anticipare la destinazione a fini istituzionali o sociali dei
beni in discorso, attraverso l’assegnazione in comodato d’uso gratuito agli enti pub-
blici territoriali, nonché alle Forze dell’Ordine, oppure con l’assegnazione in locazio-
ne ad un canone puramente simbolico, ad enti non territoriali con finalità sociali, cer-
cando di anticipare, nei limiti del possibile, la regolamentazione contenuta nell’art. 48 del
Codice Antimafia, al punto che, qualora il Giudice Delegato rilevi una perdurante inerzia
dell’ente assegnatario, deve proporre al Collegio la revoca del provvedimento di assegna-
zione.
Tale approccio trova un addentellato normativo – almeno sotto il profilo della possibilità di
destinare in anticipo, già durante la fase di sequestro, alcuni beni a fini istituzionali – nella
previsione di cui al comma 5 bis dell’art. 40 del Codice Antimafia che consente, sia pure per
i soli beni mobili, di disporre l’affido in custodia giudiziale, con facoltà d’uso, agli organi di
polizia, nonché al Corpo dei Vigili del Fuoco, ed altresì alla stessa Agenzia Nazionale e ad
altri organi dello Stato, ad enti pubblici non economici e ad enti territoriali, purché siano im-
piegati per “finalità di giustizia, di soccorso pubblico, di protezione civile o di tutela
ambientale”.
Analogamente, il comma 5 ter della medesima norma consente di provvedere alla vendita
di tali beni, già in corso di sequestro, se “non possono essere amministrati senza pericolo
di deterioramento o di rilevanti diseconomie”.
Applicando estensivamente le medesime disposizioni anche ai beni immobili, sia pure per
le ragioni che già si sono dette (concreta impossibilità per l’Agenzia di provvedere fruttuo-
samente alla destinazione proficua dell’enorme quantità di beni che ad essa pervengono
continuamente da tutto il territorio nazionale), si è addivenuti ad una gestione sicuramente
più efficace dell’intero compendio, rispetto a quella prospettata dall’impianto complessivo
del Codice Antimafia, secondo il quale la destinazione finale degli immobili andrebbe invece
differita al momento della confisca definitiva.
Sempre sulla falsariga della disciplina prevista per l’ Agenzia Nazionale, che, ai sensi
dell’art. 38 comma 5 del Codice Antimafia, deve pubblicare sul proprio sito internet
l’elenco dei beni immobili oggetto del provvedimento di confisca, analogamente, nella
Sezione Specializzata delle Misure di Prevenzione del Tribunale di Roma, è stata realizzata
una banca-dati riservata, nella quale vengono inserite le fotografie dei beni immobili e dei
veicoli in sequestro, unitamente ai dati identificativi e ad ogni altra informazione utile ad e-
ventuali enti pubblici, ovvero a Corpi istituzionali, primi fra tutti alle Forze dell’Ordine, che,
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previa autorizzazione del Presidente della Sezione, dr. Guglielmo MUNTONI (a cui si de-
vono tali innovazioni, ivi compresa l’ iniziativa che poi ha condotto alla sottoscrizione dei va-
ri protocolli di intesa poco sopra menzionati) possono accedervi per verificare se vi siano
immobili d’interesse per fini istituzionali (come, ad esempio, appartamenti da destinare ad
alloggi di servizio per militari, oppure immobili che possono essere destinati a centri antivio-
lenza, o ancora a centri per disabili e via discorrendo).
Nulla esclude (e spesso anzi accade) che il Giudice Delegato assuma l’iniziativa di
chiedere, con atto scritto, al Comune o alla Regione, di far conoscere se abbiano in-
teresse ad ottenere in comodato d’uso gratuito l’immobile attinto da sequestro.
Di norma, l’ente chiederà di effettuare un sopralluogo, al fine di visionare l’immobile segna-
lato dal Giudice Delegato, il quale, a sua volta, autorizzerà il sopralluogo previa intesa con
l’Amministratore Giudiziario, che dovrà essere presente vuoi perché in possesso delle chia-
vi, vuoi perché egli in tal caso costituisce la longa manus del Giudice Delegato e potrà, a
sua volta, riferire a quest’ultimo tutta una serie di problematiche, eventualmente a lui rap-
presentate per le vie brevi dal delegato dell’ente territoriale nel corso del sopralluogo stes-
so.
È appena il caso di soggiungere che in caso di revoca del sequestro, il proposto (o il terzo
titolare del bene) potrà contrattare con l’ente comodatario un canone di mercato, oppure, se
non ritenga di addivenire a tale stipula, potrà esercitare il diritto di recesso ad libitum tipico
del contratto di comodato, di talché il suo diritto di proprietà non resterà in alcun modo pre-
giudicato.
/———/
POSTILLA - Non può invece essere condivisa la disposizione di cui all’ultima parte del
comma 5-ter dell’art. 40 del Codice Antimafia, secondo cui:
“Se i beni mobili sottoposti a sequestro sono privi di valore, improduttivi, oggettivamente inutilizzabili e non alienabili, il tribunale può procedere alla loro distruzione o demoli-zione.”
Infatti, tale disposizione risente della malintesa assimilazione della procedura di prevenzio-
ne alla procedura fallimentare, che deve provvedere alla gestione di tutto il patrimonio del
fallito, ivi comprese le poste improduttive o passive.
Come già detto, contrasta con la ratio stessa della procedura di prevenzione costituita dal
ripristino di un ordine economico alterato e non già dalla necessità di soddisfare i creditori,
di talché resta privo di senso il sequestro di beni improduttivi, che, addirittura, comportano
costi inutili per la procedura.
Poiché, come si è già detto, la procedura di prevenzione patrimoniale assume, in sintesi,
valenza di actio in rem, in quanto va ad attingere quei beni che sono da ritenersi pericolosi
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in sé, vuoi perché costituenti un grave elemento di distorsione dell’economia lecita, vuoi
perché possono, a loro volta, finanziare ulteriori illecite attività (dall’impresa mafiosa, al
commercio di beni la cui circolazione sia illegale, come le sostanze stupefacenti, alle merci
con marchio contraffatto, e via discorrendo), segue come logica conseguenza che il bene
improduttivo ed inutile manca del carattere della pericolosità e quindi è estraneo al seque-
stro di prevenzione.
Discende che, poiché il comma 5-ter dell’art. 40 è disposizione minus quam perfecta, in re-
altà i beni improduttivi, inutilizzabili ed inalienabili dovranno semplicemente essere restituiti
al proposto, non essendo idonei, in sé, ad alterare l’equilibrio economico legale.
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4b - Il protocollo d’intesa sottoscritto con la Lega Nazionale delle Cooperative e Mu-
tue (Legacoop) – A completamento del protocollo d’intesa già sottoscritto nel 2014, il Tri-
bunale di Roma, in data 17 dicembre 2015, ha sottoscritto altresì un protocollo d’intesa con
Legacoop, finalizzato a sviluppare un’azione condivisa per pervenire alla gestione dei pa-
trimoni aziendali sequestrati o confiscati, vuoi quando questi siano costituiti per lo più da
cooperative, vuoi quando il personale di un’azienda sottoposta a sequestro decida di
rilevarla in proprio, mediante costituzione di una cooperativa.
In entrambi i casi, infatti, potrà essere fornita alla neo-cooperativa, ovvero alle cooperative
da risanare, un’assistenza tecnica specifica (tutoraggio) sia per la formazione del persona-
le, sia per la valutazione dei progetti d’impresa, sia per la eventuale istruttoria o preistrutto-
ria.
* * *
4c - Il sequestro – L’esecuzione del sequestro è un momento molto importante, sotto di-
versi profili.
In primo luogo, perché, come tutti sappiamo, l’immissione in possesso da parte
dell’Amministratore Giudiziario costituisce dies a quo per il calcolo del termine massimo di
durata del primo grado di giudizio della procedura (cfr. articolo 24, comma 2, del Codice
Antimafia).
Inoltre, perché durante l’esecuzione del sequestro, come meglio si dirà tra poco, è possibile
acquisire una serie di informazioni che saranno molto utili anche ai fini della “cognizione”,
vale a dire di quella parte della procedura di prevenzione che è tesa a verificare se
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l’apparenza (documentale e giuridica) approntata dal proposto sia corrispondente alla si-
tuazione di fatto.
Invero, va detto che, per quanto riguarda i sequestri di prevenzione, è altamente
consigliabile disporre il sequestro inaudita altera parte, al fine di evitare che il tempo
necessario per la fissazione e poi la celebrazione dell’udienza (che non può essere
mai troppo veloce, posto che il numero di udienze a disposizione è limitato e spesso
si tratta di udienze già cariche) finisca per consentire la dispersione del patrimonio
(svuotamento completo dei conti correnti, nonché delle cassette di sicurezza, ap-
prontamento di documenti falsi, occultamento di documenti veri e quant’altro).
Chiaramente, il decreto di sequestro verrà emesso soltanto dopo un attento esame dei do-
cumenti prodotti dalla parte proponente, di talché, quando il decreto sarà pronto per la firma
di norma già conterrà la nomina dell’Amministratore Giudiziario, in quanto ogni elemento
sarà già stato attentamente valutato.
È dunque opportuno contattarlo prima dell’esecuzione del decreto di sequestro per
mettere a fuoco, anche solo in grandi linee, il tipo di patrimonio che si va a sequestrare e
per impartire prime direttive relative all’esecuzione del sequestro.
Solo per fare qualche esempio, se nel compendio che si va a sequestrare sono presenti vil-
le ed alloggi di lusso, potendosi presumere di trovare beni di rilevanza artistica od archeo-
logica, oppure gioielli, lingotti d’oro ed altri beni di valore, è opportuno effettuare un video
e l’Amministratore Giudiziario si dovrà attrezzare in tal senso (se del caso, contattando in
anticipo il Corpo di Polizia Giudiziaria che dovrà coadiuvarlo nell’immissione in possesso).
Tale accortezza, che ha lo scopo principale di documentare in modo completo, ma al con-
tempo rapido, tutti i reperti da sottoporre successivamente – ove ritenuto – alla valutazione
di un perito estimatore, permette altresì di mettersi al riparo da eventuali contestazioni da
parte del soggetto occupante l’immobile, che potrebbe lamentare il danneggiamento o la
sparizione di beni od oggetti che, magari, non sono mai stati presenti in quell’immobile o
che erano già danneggiati al momento del sequestro.
Analogamente, è altamente opportuno disporre l’assunzione immediata a S.I.T. dei
soggetti terzi indifferenti presenti nell’abitazione (che si assume) riconducibile al
proposto.
Ad esempio, se ci sono domestici, gli stessi devono essere ascoltati perché indichino il
soggetto da cui vengono retribuiti, il tipo di retribuzione percepita (stipendio in contanti op-
pure regolare busta paga), le modalità con cui sono stati ingaggiati e via elencando.
Si tratta di informazioni spesso molto utili al fine di valutare la fondatezza della tesi
d’accusa secondo cui (in ipotesi) il bene è intestato a terzo fittiziamente interposto.
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Va detto che approfittare del momento di esecuzione del sequestro, significa altresì fruire
dell’”effetto-sorpresa”, utile perché i sommari informatori rendano dichiarazioni totalmente
genuine, non preparate e non “imbeccate” da parte del proposto, o dei suoi legali.
Va infatti rilevato che il procedimento di prevenzione, non diversamente dal procedimento
penale, ha come fine ultimo l’accertamento della verità (sia pure di una verità diversa da
quella che si accerta in sede penale, che è segmentata su un singolo episodio, ritagliato nel
tempo e nello spazio, mentre l’accertamento della prevenzione si estende all’intero mosaico
della vita del proposto, così da valutare se effettivamente il patrimonio da lui accumulato sia
giustificato da proventi illeciti, oppure se debba essere ricondotto ad una condotta di vita
deviante, anche se - talora - ben dissimulata dal punto di vista puramente documentale).
Per quanto riguarda le aziende, vi sono realtà territoriali (soprattutto nell’Italia meridionale)
in cui la forza di intimidazione sul territorio da parte delle organizzazioni criminali è tale che
il sequestro deve coincidere con l’immediata rilevazione dell’attività aziendale da
parte dell’Amministratore Giudiziario, perché anche solo una settimana di ritardo per-
metterebbe al proposto ed ai suoi accoliti di vanificare qualunque tentativo di prosecuzione
aziendale.
In tal caso, si rende necessaria un’attenta pianificazione preventiva delle modalità di ese-
cuzione del decreto di sequestro e di immissione nel possesso dell’azienda.
Fortunatamente, si tratta di casi non troppo frequenti, di talché normalmente si potrà valuta-
re l’azione da attuare, di volta in volta, per la singola azienda, secondo i criteri che saranno
indicati più avanti.
* * *
Beni che si trovano all’estero – Se il bene da sequestrare si trova all’estero, si rende ne-
cessario procedere per rogatoria, sempre che sia stata sottoscritta una qualche convenzio-
ne con lo Stato estero in cui il bene è situato.
Va detto che la rogatoria può essere disposta anche direttamente dal Tribunale, senza ne-
cessariamente onerare di tale incombenza il soggetto proponente (che non è sempre ne-
cessariamente il Pubblico Ministero – cfr. art. 17 del Codice Antimafia).
Nella presente sede va solo rapidamente ricordato che:
a) per quanto riguarda l’Unione Europea, si impone la decisione-quadro 2003 / 577 / GAI
del Consiglio, del 22 luglio 2003, che prevede l’esecuzione negli Stati dell’Unione dei
provvedimenti di blocco dei beni finalizzati alla confisca finale, vale a dire i provvedimenti
di sequestro (3) senza ricorrere alla procedura di rogatoria.
(3) tale decisione riguarda anche i sequestri con finalità probatorie, ma nel presente intervento non
se ne farà menzione in quanto tali sequestri vengono effettuati all'interno di procedimenti penali e non di prevenzione.
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In tal modo, ogni Stato dovrà dare immediata esecuzione al provvedimento di sequestro
emesso dagli altri Stati dell’Unione, senza alcun bisogno di ricorrere alla mediazione
dell’Autorità Centrale, con il conseguente definitivo accantonamento della procedura di
rogatoria.
Poiché per ogni decisione-quadro si impone una legge di recepimento da parte del singo-
lo Stato, ritengo utile segnalare che l’elenco delle nazioni europee che hanno già emesso
tale legge, può essere estratto dal sito web European Judicial Network (EJN).
Tuttavia, poiché l’Italia, è in ritardo di 13 anni sull’attuazione di tale decisione-quadro, è
accaduto che, medio tempore, la stessa è stata superata dalla direttiva sull’Ordine di In-
dagine Europeo (OIE), che dovrà essere attuata entro l’anno 2017 e che, pertanto, per-
metterà, quando sarà varata, di eseguire immediatamente nel territorio italiano i provve-
dimenti di sequestro emessi dagli Stati dell’Unione.
Per quanto concerne invece i decreti di confisca, la Legge 9 luglio 2015, n. 114, recante
“Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri
atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2014. (15G00127)”, all’art.
18, che è rubricato “Delega al Governo per l'attuazione delle decisioni-quadro”, dispone
che il Governo è delegato ad adottare, entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della
detta legge e secondo le procedure di cui all’art. 31, commi 2, 3,5 e 9, della legge 24 di-
cembre 2012, n. 234, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per l’attuazione di di-
verse decisioni-quadro.
In attuazione di tale legge, è stato emanato il Decreto Legislativo 7 agosto 2015, n. 137,
che però è limitato al reciproco riconoscimento dei provvedimenti di confisca definitiva,
ivi compresa la confisca di prevenzione (infatti, alla lettera “d” del comma 3 dell’art. 1, si
legge testualmente la seguente definizione:
d) decisione di confisca: un provvedimento emesso da un'autorita' giudiziaria nell'ambito di un procedimento penale, che consiste nel privare definitivamente di un bene un soggetto, inclusi i provvedimenti di confisca disposti ai sensi dell'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e quelli disposti ai sensi degli articoli 24 e 34 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislati-vo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni”.
b) Per quanto riguarda gli Stati non appartenenti all’Unione Europea, occorre ricordare
che il Ministero della Giustizia, con circolare prot. n. 24412 del 10 agosto 2015, ha invitato
tutti gli Uffici giudiziari a contattare (ove possibile) direttamente l’Autorità Giudiziaria stra-
niera, evitando di coinvolgere il Ministero, spiegando che, attualmente, “un crescente
numero di richieste di assistenza dirette alle Autorità Giudiziarie dei predetti Stati
viene trasmesso per il tramite di questo Ministero” e tale numero di richieste “costrin-
ge gli uffici di questo Ministero a sottrarre energie alla trattazione delle rogatorie in
cui il passaggio per la via politica e diplomatica è invece imposto dalle convenzioni o
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dalla disciplina del codice”, di talché queste ultime rogatorie avranno comunque la pre-
cedenza su quelle eventualmente inviate al Ministero, nonostante la possibilità di tratta-
zione diretta e comunque l’attesa non sarà inferiore a 60 giorni.
/———/
4d - L’analisi del patrimonio e la strategia di gestione: una valutazione che va concordata
tra Giudice Delegato ed Amministratore Giudiziario.
In genere, il patrimonio si compone di cespiti di varia natura (conti correnti bancari, cassette
di sicurezza contenenti preziosi, orologi di grande valore, lingotti e quant’altro), ma nella
presente sede ritengo sufficiente soffermarsi sui cespiti che richiedono maggiore impegno e
cioè gli immobili, le aziende e le società.
* * *
1) Immobili.
Quando siano stati sottoposti a sequestro diversi beni immobili, il primo passo è quello di
chiedere all’Amministratore Giudiziario di voler depositare una relazione che illustri la valu-
tazione e stima del valore degli stessi.
Non è necessario nominare un architetto per tale incombente, essendo sufficiente la rileva-
zione dei valori OMI (n.d.r.: acronimo di Osservatorio del Mercato Immobiliare, banca dati in
uso all’Agenzia delle Entrate).
Va infatti osservato che, nonostante il fatto che alcuni avanzino perplessità sulla corrispon-
denza di tali valori al reale andamento del mercato immobiliare, si tratta pur sempre di una
piattaforma oggettiva, verificabile da chiunque (4) e comunque, ai fini di un’impostazione
gestionale, tali valori orientativi sono più che sufficienti.
Una volta noto il valore di mercato di ciascun immobile, occorre mettere a fuoco la situazio-
ne di ogni cespite, secondo i seguenti criteri:
a. immobili già condotti in locazione da terzi estranei al procedimento, con contratti
ritualmente registrati ad un canone congruo in relazione alla tipologia d’abitazione
dalla zona. Tali contratti vanno lasciati in essere anche durante il periodo di sequestro,
di talché se verranno a scadenza naturale, il Giudice Delegato ne autorizzerà la rinnova-
zione, ma farà inserire all’Amministratore Giudiziario una clausola risolutiva espressa
così concepita:
Il conduttore dichiara di conoscere ed accettare la presente clausola.
(4) A volte, quando si deve calcolare la sproporzione tra il valore del bene all’epoca dell’acquisto ed i
redditi fruibili dal proposto a quella stessa epoca, è necessario risalire molto indietro nel tempo: in tal caso il sito Internet dell’Agenzia delle Entrate non offre ausilio ed allora, se il Giudice Delegato lo ritenga assolutamente indispensabile, può effettivamente essere opportuna la nomina di un ar-chitetto.
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L’immobile concesso in locazione è sottoposto a sequestro di prevenzione nel
corso del procedimento n. xy/2015 R.G. M.P. del Tribunale di Roma, Sez. Misure
di Prevenzione e, pertanto, ai sensi dell’art. 45 del D.Lgs. 159/2011, in caso di
confisca definitiva, l’immobile viene acquisito per legge al patrimonio dello Stato
libero e sgombro da persone e/o cose.
In quanto finalizzato al soddisfacimento di pubbliche esigenze processuali di Am-
ministrazione Giudiziaria (per loro natura e per disposizioni di legge temporanee)
la durata del presente contratto rimane strettamente correlata alla vicenda della
procedura di prevenzione sopra indicata, nel senso che segue:
a) se l’immobile dovesse essere attinto da confisca definitiva, il presente con-
tratto si intenderà automaticamente risolto solo se l’ANBSC (Agenzia Naziona-
le dei Beni Sequestrati e Confiscati) avanzerà richiesta scritta di risoluzione;
b) la ricezione della menzionata richiesta scritta determinerà immediatamente
ed automaticamente la risoluzione del presente contratto, con conseguente
obbligo di restituzione del bene locato nel termine di 60 giorni dalla data di
ricevimento.
Si noti che tale clausola è stata pensata da chi vi parla per consentire
all’immobile di rimanere produttivo di frutti anche dopo la confisca definitiva.
Tale cautela si rende necessaria perché spesso l’Agenzia ha difficoltà a mantenere
fruttuosi i cespiti confiscati, invece, in tal modo (almeno questo è il mio parere) deve
semplicemente subentrare, mediante novazione soggettiva del contratto, da rite-
nersi sussistente per il semplice silenzio serbato dall’Agenzia stessa, nella loca-
zione già in corso, che, pertanto, verrà ad essere risolta soltanto a seguito di una pre-
cisa e deliberata richiesta dell’Agenzia.
Ciò perché si presume che tale richiesta sia finalizzata alla vendita del bene oppure al-
la destinazione dello stesso ad usi istituzionali o sociali.
In sintesi, se è ben vero che l’art. 45 del Codice Antimafia stabilisce che a seguito della
confisca definitiva di prevenzione i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da
oneri e pesi, è anche altrettanto vero che il contratto può, dopo la confisca, subire una
novazione soggettiva, nel senso che lo Stato, a sua volta, può divenire, per il tramite
dell’Agenzia, contraente iure privatorum con il semplice subentro, anche in via di fatto.
In tal modo il bene, già condotto in locazione in corso di sequestro, continuerà a pro-
durre frutti senza soluzione di continuità.
* * *
b. Immobili occupati senza titolo o con titolo “infedele”.
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Accade piuttosto spesso che il contratto preveda un canone di locazione che in realtà è
di gran lunga inferiore a quello realmente pattuito, oppure non congruente con i valori di
mercato.
In questo caso, occorre distinguere tra occupanti terzi non proposti ed il proposto ed i
suoi familiari.
Nel caso in cui l’immobile sia occupato senza titolo (o con titolo “infedele”) da persone
che in realtà versano un canone “in nero”, sarà necessario riportare la situazione a lega-
lità, stipulando con gli occupanti un contratto recante la clausola risolutiva espressa po-
co sopra indicata, concordando un canone che tenga conto dei valori medi di locazione
attuati nella zona e della tip ologia di immobile (se del caso, riducendolo leggermente, in
ragione del fatto che, trattandosi di immobile sottoposto a sequestro, la sua destinazione
resta precaria).
Se il terzo non addiviene ad alcuna stipula, deve sgomberare l’immobile immediatamen-
te (di norma entro una settimana), anche con ausilio di forza pubblica, se necessario, ai
sensi dell’art. 21 comma 2 del Codice Antimafia, che così dispone:
“2. Il tribunale, ove gli occupanti non vi provvedano spontaneamente, ordina lo sgombero degli immobili occupati senza titolo ovvero sulla scorta di titolo privo di data certa an-teriore al sequestro mediante l'ausilio della forza pubblica”.
* * * c. Immobile occupato dal proposto e dai suoi familiari.
In questo caso, trattandosi di bene che è nella concreta disponibilità del proposto, si ri-
cade nella previsione della norma appena trascritta (comma 2 dell’art. 21), di talché, di-
versamente da quanto opinato da una pronuncia della Suprema Corte rimasta isolata
(sentenza SCAGLIARINI - n. 9908 del 2011), egli dovrà immediatamente sgomberare
l’immobile.
Tale conclusione subirà un’eccezione solo nel caso in cui il proposto abbia subìto il se-
questro dell’intero patrimonio a lui riconducibile, ivi compresi gli immobili intestati ad
interposti fittizi, perché in tal caso, non avendo più alcuna alternativa abitativa, verrebbe
violato il suo diritto all’abitazione, che in ogni caso va inteso come uno dei diritti inviolabi-
li dell’individuo, tutelato dall’art. 2 della Costituzione.
Solo in tal caso, pertanto, il Giudice Delegato consentirà al proposto ed ai suoi familiari
di proseguire ad occupare l’immobile destinato ad abitazione familiare, senza esigere il
pagamento di un’indennità di occupazione.
Tuttavia, qualora invece il proposto sia rimasto in possesso di una parte del suo patri-
monio, si procederà allo sgombero forzato, salvo che egli versi un congruo canone
d’occupazione, possibilmente garantito da una fideiussione.
Va infatti rilevato che, diversamente dalle procedure fallimentari, il sequestro di pre-
venzione attinge solamente quella parte del patrimonio del proposto che non è
giustificata dai redditi da lui lecitamente prodotti, e quindi, anche sotto tale profilo,
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appare del tutto impropria l’assimilazione, da parte del legislatore, della procedura di
prevenzione patrimoniale a quella fallimentare.
Invero, l’art. 40 comma 2 del Codice Antimafia così recita:
"Il giudice delegato può adottare, nei confronti della persona sottoposta alla proce-
dura e della sua famiglia, i provvedimenti indicati nel R.D. 16 marzo 1942, n. 267
(5), art. 47, e successive modificazioni, quando ricorrano le condizioni ivi previste.
Nel caso previsto dal secondo comma del citato art. 47, il beneficiario provvede a
sue cure alle spese e agli onere inerenti l'unità immobiliare ed è esclusa ogni azio-
ne di regresso...".
Orbene, il secondo comma dell’art. 47 della Legge Fallimentare così dispone:
"La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all'abitazione di lui e
della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle
attività".
In realtà, l’assimilazione tra proposto e fallito è incongruente, atteso che spesso il propo-
sto subisce, come già s’è detto, il sequestro solo di una parte del suo patrimonio, di tal-
ché vengono a mancare nei confronti del proposto le ragioni sottese alla previsione
normativa concernente il fallito.
Molto lucidamente, su tale punto la sentenza BORDONARO (n. 51458 del 2013) ha
rilevato che persino nell’ambito della stessa procedura fallimentare (a cui comunque
il Giudice Delegato alla prevenzione deve fare riferimento, in ragione dell’espresso
richiamo all’art. 47 della Legge Fallimentare operato dall’art.40 del Codice Antimafia), la
dottrina e la prassi ormai ritengono senz’altro legittimi quei provvedimenti del Giudice
Delegato al fallimento tesi a contenere negli stretti limiti delle reali necessità abitative del
fallito e dei suoi familiari il vincolo sull’immobile destinato ad abitazione, tanto che
l’ufficio fallimentare può alienare la parte dell’immobile che sia palesemente ecce-
dente tali necessità, oppure può concederla in locazione, ovvero può liquidare tale
immobile anche prima che la procedura sia terminata, purché vi sia un interesse
preciso della procedura in tal senso e il fallito possa comunque godere di altro
immobile della massa fallimentare.
Discende, che, a maggior ragione, il proposto che, pur avendo altri immobili non sotto-
posti a sequestro, intenda continuare a vivere nell’immobile attinto da sequestro, dovrà
versare un’adeguata indennità d’occupazione, garantita con apposita fideiussione,
così da consentire l’adeguata redditività del cespite, come da espressa disposizione
dell’art. 35 comma 5 del Codice Antimafia (che riproduce il previgente comma 8 dell’art.
2 sexies della Legge 575 del 1965).
(5) Legge Fallimentare.
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Non si ritiene opportuno, per contro, stipulare un contratto di locazione, poiché al mo-
mento della confisca definitiva il proposto dovrà essere immediatamente allontanato da
qualsiasi cespite appartenente al compendio confiscato, così da chiarire definitivamente,
una volta per tutte, che il legame tra lui ed i beni illecitamente accumulati è stato definiti-
vamente spezzato.
Resta fermo, in ogni caso, l’obbligo dell’occupante di provvedere alle spese e agli oneri
inerenti l'unità immobiliare, con esclusione di ogni azione di regresso (art. 47 della Legge
Fallimentare come richiamato dall’art. 40del Codice Antimafia).
* * *
d. Immobili liberi da persone e cose.
In questo caso, molte sono le situazioni concrete che si possono porre nella pratica quo-
tidiana.
Nella presente sede, si possono fare solo dei brevissimi cenni alle ipotesi più frequenti.
1) Prima ipotesi: sono già stati stipulati dei contratti preliminari di vendita a prez-
zi congrui, con terzi di buona fede.
In questo caso, il Giudice Delegato autorizzerà l’Amministratore Giudiziario a
portare a compimento la vendita, in modo da incamerarne il prezzo, che andrà a
confluire nel conto di gestione.
Dal conto di gestione l’Amministratore Giudiziario potrà trarre le risorse per ogni esi-
genza che si porrà nell’ambito dell’attività di amministrazione (manutenzione di im-
mobili, eventuale espletamento di perizie e quant’altro), ai sensi dell’art. 42, comma
1, del Codice Antimafia, che prevede la possibilità di attingere, per le spese di ge-
stione, a qualsiasi somma che sia nella disponibilità del procedimento, a qualunque
titolo, ivi comprese, pertanto, quelle somme ricavate dalla vendita dei beni in seque-
stro.
Si badi che, all’opposto, l’art. 48 del Codice Antimafia, prevede che le somme incas-
sate dalla vendita dei beni definitivamente confiscati devono confluire al FUG (acro-
nimo che sta per Fondo Unico di Giustizia), tuttavia quando i beni sono ancora in se-
questro, è necessario che tali somme restino nella disponibilità della procedura pro-
prio per le finalità indicate dal menzionato comma 1 dell’art. 42.
2) Seconda ipotesi: non sono stati stipulati contratti preliminari.
Se l’immobile è in buone condizioni ed è ubicato in una posizione particolarmente in-
teressante per la destinazione ad usi istituzionali o di utilità sociale, allora, il Giudice
Delegato ne segnalerà la disponibilità all’ente territoriale competente perché
esprima il proprio eventuale interesse per tale immobile (s’è già detto che, di
norma, l’ente chiederà di poter effettuare un sopralluogo), salvo che l’ente in discor-
so non ne abbia avuto già notizia (per esempio attraverso la banca dati della Sezio-
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ne delle Misure di Prevenzione, di cui s’è detto ante), nel qual caso presenterà ri-
chiesta di sua iniziativa.
Se manifesterà, per iscritto, il proprio interesse ad ottenere l’assegnazione
dell’immobile in comodato d’uso gratuito, attraverso l’organo competente (se si tratta
di un Comune, occorrerà una delibera della Giunta Comunale, se si tratta della Re-
gione, la delibera sarà emessa dalla Giunta Regionale e via discorrendo), il Collegio,
su segnalazione del Giudice Delegato, emetterà il decreto di assegnazione.
Va detto che, quando l’immobile viene assegnato in comodato d’uso gratuito,
per fini istituzionali, spetta al Giudice Delegato, unitamente all’Amministratore
Giudiziario, continuare a vigilare perché il bene venga realmente destinato
all’uso concordato, così come previsto dall’art. 48, lettera “c”, ultima parte, del
Codice Antimafia di cui si anticipa l’applicazione alla fase del sequestro per le
ragioni ampiamente chiarite nelle premesse del presente intervento.
Se l’Amministratore Giudiziario dovesse segnalare l’inerzia dell’ente assegnatario, il
Giudice Delegato assegnerà un termine all’ente perché dia inizio all’effettiva u-
tilizzazione del bene, scaduto il quale segnalerà al Collegio la necessità di di-
sporre la revoca dell’assegnazione.
A questo punto, una volta revocata l’assegnazione, si porranno due alternative: la
prima, sarà quella di offrire il bene in uso ad altro ente territoriale, oppure ad uno dei
vari Corpi appartenenti alle Forze dell’Ordine, ovvero ad un ente senza scopo di lu-
cro, seguendo, se possibile, ma non necessariamente, l’ordine di priorità indicato
nell’art. 48 (norma che ha un contenuto più ampio di quello specifico della preven-
zione, perché si riferisce anche ai beni pervenuti all’Agenzia dalle confische penali,
come si desume, ad esempio, dal vincolo alla destinazione ad associazioni, comuni-
tà o enti per il recupero di tossicodipendenti operanti nel territorio ove é sito l'immobi-
le, qualora la confisca sia riferita al delitto di cui all’art. 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309, ovviamente non applicabile nel caso di confisca di prevenzione, poiché
quest’ultimo tipo di confisca non è mai riferito ad un particolare tipo di reato, in quan-
to il procedimento di prevenzione è finalizzato ad analizzare una condizione e non
già un fatto illecito 6).
Solo se tali tentativi daranno esiti infruttuosi, allora l’immobile sarà offerto in vendita
sul libero mercato (così, del resto, dispone il comma 5 dell’art. 48, sia pure con rife-
rimento alla gestione da parte dell’Agenzia).
(6) Così Cass. Pen. Sez. VI, camera di consiglio 16 luglio 2014, dep. 23 luglio 2014, n. 32715, MUIÀ
ED ALTRO (Giudice estensore Dr. Angelo CAPOZZI)
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In tale ultima ipotesi il Giudice Delegato non dovrà mai autorizzare vendite a
prezzi stracciati o comunque inferiori a quelli di mercato, poiché, in caso di re-
voca del sequestro, il proposto ha diritto di ottenere una somma equivalente al valore
reale, che gli permetta, se del caso, di acquistare un nuovo immobile dello stesso va-
lore di quello che sia stato venduto nel corso del sequestro.
Del resto, ancora una volta, occorre richiamare il comma 5 dell’art. 48, che testual-
mente dispone:
“La vendita é effettuata per un corrispettivo non inferiore a quello determina-
to dalla stima formulata ai sensi dell'articolo 47”, vale a dire secondo la stima
fatta dall’Amministratore Giudiziario nella relazione ex art. 36 del Codice Antimafia
(preferibilmente riferita ai valori OMI).
___________________
2) Le aziende e le società –
La norma più importante dedicata alla regolamentazione della gestione delle aziende se-
questrate è l’art. 41 del Codice Antimafia.
Il comma 1 dell’art. 41 chiarisce, nella prima parte, che nel caso in cui il sequestro abbia ad
oggetto aziende – per la cui nozione rinvia agli artt. 2555 e seguenti cod.civ., dunque, ri-
chiamando l’art. 2555 cod.civ., per azienda deve intendersi “un complesso di beni organiz-
zati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” – in tal caso l’Amministratore Giudiziario
deve essere scelto nella sezione di esperti in gestione aziendale dell’albo nazionale degli
amministratori giudiziari (7).
Poiché la valutazione sulla redditività di tale tipologia di cespite in sequestro non è agevole
come quella di altri tipi di beni, come, ad esempio, gli immobili o i beni mobili registrati, l’art.
41 consente una dilatazione del termine entro il quale l’Amministratore deve presentare la
relazione particolareggiata di cui all’art. 36 del Codice Antimafia, fino al periodo massimo di
sei mesi dalla nomina.
In tale relazione, l’amministratore dovrebbe chiarire quali sono le concrete prospettive di
prosecuzione dell’impresa e, in caso di risposta positiva, il Giudice Delegato “impartisce le
direttive per la gestione dell’impresa” (così, testualmente, il comma 1 dell’art. 41).
(
7) Com’è noto, il Decreto del ministero della giustizia 19 settembre 2013, n. 160, recante il regola-
mento di attuazione in materia di iscrizione all'albo degli amministratori giudiziari è entrato in vigo-re l'8 febbraio 2014, ma a tutt'oggi l'albo non è stato istituito, di talché, al momento, nella gran parte delle procedure in corso gli amministratori sono stati scelti più che altro in base all'esperien-za concreta che hanno dimostrato di possedere, per lo più tra i dottori commercialisti, pur poten-do essere scelti anche tra gli avvocati.
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Orbene, tale inciso chiarisce che la tesi sostenuta da qualche l’Amministratore Giudiziario,
secondo il quale il Giudice Delegato, una volta affidata l’amministrazione al professionista
nominato, dovrebbe limitarsi a poche direttive di massima e, per il resto, lasciargli “carta
bianca”, appare non solo pericolosa (poiché in realtà, nel caso in cui l’Amministratore Giu-
diziario incorresse in gravi violazioni, ne risponderebbe insieme a lui anche il Giudice Dele-
gato, quantomeno sotto il profilo della culpa in vigilando), ma addirittura contra legem, per-
ché in realtà le direttive per la gestione dell’impresa impartite dal Giudice Delegato non
possono esaurirsi in una sorta di generica “indicazione programmatica”, impartita una volta
per tutte, ma devono essere impartite di volta in volta, a seconda delle diverse evenienze
che si creano nel corso della gestione.
D’altro canto, anche per il Giudice Delegato dare direttive in merito alla prosecuzione a-
ziendale può rappresentare un problema, potendo giustamente chiedersi:
“Ma io sono un magistrato, non un imprenditore! Quali direttive posso impartire in un’attività
che non conosco?”
Ecco, penso di rispettare gli obiettivi che i formatori si sono proposti con l’organizzazione
del presente convegno, dando qualche consiglio concreto (che, sia chiaro, può benissimo
non convincere, trattandosi di semplici constatazioni dovute all’esperienza sul campo, che
non è sempre necessariamente omogenea e comunque risente di un’inevitabile soggettivi-
tà).
a- Sostituire gli amministratori o gestori preesistenti. – È preferibile, ove possibile, che
l’Amministratore Giudiziario assuma l’amministrazione diretta dell’azienda, al fine di ac-
quisire “il polso” della reale situazione aziendale.
Tuttavia, non tutti gli Amministratori Giudiziari sono propensi ad adottare tale soluzione.
Invero, si è purtroppo diffusa nell’opinione comune la convinzione secondo cui, non appe-
na subentra l’Amministrazione Giudiziaria, le aziende chiudono, i dipendenti restano privi
del proprio posto di lavoro ed il territorio perde una risorsa, impoverendosi.
Ciò è tanto vero che talora, soprattutto nei territori più critici dell’Italia meridionale ed insu-
lare, non sono rari gli episodi di Amministratori Giudiziari accolti a sassate da parte dei la-
voratori.
Ovviamente l’idea di licenziare un numero talora anche elevato di persone (ci sono azien-
de che, nel loro complesso, impiegano centinaia di lavoratori) va considerata come
un’extrema ratio, ma, d’altra parte, è necessario altresì analizzare le ragioni per le quali
l’impresa si presentava competitiva prima del sequestro.
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Sul punto, direi che la norma di cui all’ultima parte della lettera “e” del comma 1 dell’art. 36
è molto ben scritta, perché racchiude i principali elementi di valutazione della competitività
dell’impresa ante sequestro:
“tenuto conto del grado di caratterizzazione della stessa con il proposto ed i suoi
familiari, della natura dell’attività esercitata, delle modalità e dell’ambiente in cui è
svolta, della forza lavoro occupata, della capacità produttiva e del mercato di rife-
rimento”.
Se ad esempio le ragioni della competitività dell’impresa vanno individuate nella fitta rete
di rapporti corruttivi che il proposto aveva intrecciato nel corso degli anni al fine di ottenere
pubblici appalti, è evidente che l’Amministrazione Giudiziaria ben difficilmente potrà pro-
seguire tale “competizione” sul mercato.
Al contempo, tuttavia, non può nemmeno essere accettata una sorta di “ricatto sociale” da
parte del proposto (soprattutto se riconducibile alla tipologia del cosiddetto “pericoloso
qualificato” e cioè appartenente alle associazioni di cui all’articolo 416 bis c.p.) tale per
cui, egli, col proprio malaffare, “garantisce” la sopravvivenza di un congruo numero di la-
voratori e delle loro famiglie e dunque l’Amministrazione Giudiziaria, paradossalmente,
viene percepita come l’elemento che provoca una nuova e diversa distruzione del tessuto
sociale.
Il problema è stato già esaminato dai colleghi che maggiormente si sono dedicati alla ma-
teria della prevenzione, primo tra tutti il bravissimo collega Francesco MENDITTO, at-
tualmente Procuratore di Lanciano, che aveva proposto, a suo tempo, la possibilità di ri-
correre ad una sorta di “cassa integrazione in deroga” nel caso in cui dovesse appunto
concludersi per la mancanza di competitività dell’azienda sottoposta a sequestro con la
dolorosa conseguenza del licenziamento in massa di un numero elevato di persone.
In tal modo, si guadagnerebbe tempo al fine di provvedere al reimpiego di tale forza lavo-
ro in altre attività produttive, attenuando gli effetti traumatici del ritorno alla legalità.
In pratica, se l’unico fattore di crescita dell’azienda era costituito dalla violazione di ogni
norma di legge, è ovvio che il “costo della legalità” comporterà la chiusura dell’azienda,
salvo che, grazie ai protocolli di intesa stipulati con i diversi organismi che concorrono alla
attività produttiva (tra cui anche quelli bancari), non sia proprio l’Amministrazione Giudizia-
ria ad individuare altri elementi di forza, ignorati dal proposto in quanto il ricorso
all’illegalità gli forniva già le ”risorse” necessarie per mantenere competitiva l’azienda.
Ecco perché appare preferibile che l’azienda sia sottoposta all’amministrazione diretta
dell’Amministratore Giudiziario, in quanto ogni valutazione sui punti di forza dell’attività
produttiva risulta a rischio se il “fiduciario” del proposto non venga rimosso immediata-
mente.
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Per tale ragione, si ribadisce, appare alquanto auspicabile la rimozione immediata dei
preesistenti amministratori o gestori, già al momento dell’immissione in possesso da parte
della procedura.
Qualora le aziende siano numerose, sarà necessario nominare dei preposti ed a tal fine i
protocolli di intesa sottoscritti dal Tribunale di Roma consentiranno di individuare soggetti
già esperti di ciascun settore produttivo, disposti a prestare la propria opera per il periodo
di tempo necessario a consentire il rinnovamento della gestione da parte della procedura.
/———/
b- De iure condendo è necessario introdurre una norma che escluda la possibilità di
dichiarare fallito in proprio il preposto o l’Amministratore Giudiziario. – Infatti, un o-
stacolo alla sostituzione degli amministratori o gestori preesistenti è costituito dal fatto
che, soprattutto per le società di persone, vi sono stati, purtroppo, casi di Amministratori
Giudiziari (od anche di preposti) sottoposti in proprio alla procedura fallimentare, benché
nominati dall’Autorità Giudiziaria.
Tali vicende di norma si concludono “bene”, poiché ovviamente l’Amministratore Giudizia-
rio (o il preposto) faranno valere davanti al Giudice Fallimentare tale circostanza, tuttavia il
mero fatto di doversi comunque difendere in sede civile costituisce indubbiamente una
grave remora per gli Amministratori Giudiziari, tanto più irrazionale, in quanto non vale
nemmeno al perseguimento dei fini della legge fallimentare, la cui ratio concerne la libera
impresa, non certamente l’impresa sottoposta al controllo di un’Autorità Giudiziaria.
Ciò è tanto vero, che nel caso in cui un creditore dovesse adire il Giudice civile per ottene-
re il rilascio di un decreto ingiuntivo contro l’impresa sottoposta a sequestro di prevenzio-
ne, tale magistrato si dichiarerà incompetente, posto che la valutazione della buona fede
di tale creditore spetta esclusivamente al Giudice Delegato nel corso dell’udienza di verifi-
ca dei crediti (8).
* * *
c- Controllare l’operato dei dipendenti. – È assolutamente indispensabile affrontare il
tema del lavoro dipendente con animo libero da preconcetti e da pregiudizi ideologici.
(8) Il Tribunale Civile di Trapani, con sentenza n. 553 del 2012, ha disposto la revoca di un decreto
ingiuntivo emesso contro una società in sequestro, proprio perché prevalente deve ritenersi la verifica della buona fede del creditore, rimessa al Giudice Delegato alla misura di prevenzione nel corso dell’udienza di verifica dei crediti, come disciplinata dagli artt. 57, 58 e 59 del Codice Antimafia.
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Di norma (non a torto) si tende a pensare al lavoratore dipendente come ad un soggetto
debole, che finisce per essere vittima incolpevole dell’illecita provenienza del patrimonio
del proprio datore di lavoro.
Tuttavia, si può restare sorpresi dalla constatazione che accade molto più spesso di quan-
to ci si possa aspettare (soprattutto nel caso di attività commerciali al dettaglio, come
quelle di somministrazione di cibi e bevande, oppure di vendita di beni di consumo) di
constatare una diffusa tendenza alla depredazione da parte del personale dipenden-
te.
Tale tendenza si manifesta vuoi con l’intascare direttamente il corrispettivo dalle mani del
cliente, senza battere lo scontrino, vuoi con l’andare alla cassa e prelevare qualche som-
ma di nascosto, vuoi con l’appropriarsi di forniture destinate all’attività aziendale (dai sac-
chetti di farina a quelli di zucchero, dalle forniture per la pulizia a quelle per l’igiene e
quant’altro).
Ho fatto solo pochi esempi, ma le modalità di depredazione dell’azienda da parte del per-
sonale sono svariate.
Nel caso di una parrucchieria, per esempio è accaduto che una dipendente approfittasse
della “crisi aziendale” seguita al sequestro, per portare le clienti a casa propria, facendo
così concorrenza sleale all’azienda, di cui, tuttavia, continuava ad essere dipendente.
In genere, il pericolo di concorrenza sleale è maggiore nelle attività in cui prevale l’intuitu
personae, cioè la fiducia del cliente in quel particolare artigiano (quel particolare par-
rucchiere che sa valorizzare il volto della cliente, quel particolare meccanico che sa rime-
diare a guasti anche particolarmente complessi e così via), perché in tal caso la clientela
tenderà a seguire il lavoratore che già in passato si è rivelato attendibile ed in grado di of-
frire prestazioni apprezzate e valide, con il vantaggio di pagare un prezzo ridotto, fissato
di volta in volta dall’artigiano stesso, che, non sopportando i costi delle forniture ed attrez-
zature aziendali, da lui indebitamente utilizzate, potrà praticare prezzi altamente competi-
tivi.
Il meccanismo che scatena tali condotte lato sensu predatorie, va ravvisato nella convin-
zione che con il sequestro l’azienda sia, per così dire, ormai “persa”, di talché, atteso che
la nave sta affondando, tanto vale approfittarne.
Gli amministratori preesistenti, “fiduciari” del proposto possono avere interesse ad alimen-
tare tale clima di sfiducia che già da solo può riuscire ad impedire o comunque ad ostaco-
lare grandemente la ripresa aziendale.
Per tale ragione, pertanto, si ribadisce ancora una volta, appare altamente preferibile la
soluzione tesa a sostituire il più presto possibile gli amministratori o gestori preesistenti
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(nelle zone di maggiore densità mafiosa, si può arrivare a decidere di inserire il nuovo ge-
store addirittura il giorno stesso del sequestro, poiché anche pochi giorni di ritardo potreb-
bero essere sufficienti per depredare l’intera azienda).
Tuttavia questo è solo il primo passo da compiere.
* * *
Il secondo passo da compiere è quello di “scremare” il personale, in modo che i di-
pendenti che hanno voglia di abbandonare l’azienda (vuoi perché non hanno fiducia nella
sua ripresa, vuoi perché legati da rapporti di malintesa “riconoscenza” con il proposto),
non siano costretti a rimanere contro la loro volontà, ma siano lasciati andare, previo ac-
cordo transattivo che non costituisca ulteriore aggravio di spese per l’azienda stessa (la
prospettiva di un lungo e defatigante procedimento civile, che comporta anche notevoli
spese legali, spesso è un buon incentivo per arrivare a definire ogni pendenza in via tran-
sattiva, anche per i lavoratori più ostili).
La loro presenza in azienda, infatti, potrebbe comportare il boicottaggio
dell’amministrazione, anche mediante intimidazioni rivolte agli altri dipendenti, con conse-
guente frustrazione dello scopo della gestione di prevenzione.
* * *
Il terzo passo è poi quello di coinvolgere il personale dipendente non ostile
nell’opera di amministrazione giudiziaria.
Una volta inserito il preposto (o, meglio ancora, l’Amministratore Giudiziario come gestore
diretto) e “scremato” il personale, occorre valutare un ventaglio di soluzioni possibili, con-
divise con i dipendenti.
Una soluzione percorribile può essere quella di far rilevare l’azienda ai lavoratori stessi:
se si tratta di persone che hanno già sufficiente esperienza in quel particolare settore, la
prospettiva di creare una cooperativa (od altra forma societaria) avente ad oggetto
l’azienda in cui per tanti anni hanno lavorato come dipendenti, spesso entusiasma gli a-
nimi e porta il personale a spendersi perché l’azienda possa tornare produttiva, talvolta
anche con un po’ di sacrificio (si badi che tale prospettiva è espressamente prevista dalla
lettera “a” del comma 8 dell’articolo 48 del Codice Antimafia, sia pure per le aziende già
confiscate in via definitiva, con la precisazione, contenuta nella medesima disposizione,
che l’affitto d’azienda non è consentito se taluno dei soci della cooperativa dei lavoratori
“é parente, coniuge, affine o convivente con il destinatario della confisca” 9).
(9) Tale disposizione, a mio parere, fornisce un criterio decisionale anche con riferimento alle azien-
de in sequestro nelle quali siano in servizio parenti o familiari del proposto.
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Si è già ricordato in precedenza che il Tribunale di Roma il 17 dicembre 2015 ha sot-
toscritto, proprio a tal fine, un apposito protocollo d’intesa con LEGACOOP, appun-
to per avere un aiuto di carattere tecnico inteso a garantire il “tutoraggio” (anche) di inizia-
tive di tal genere, in quanto non è sempre agevole valutare la fattibilità di un progetto, o
comunque avviare una cooperativa senza conoscere bene il percorso gestionale.
/———/
Quando tale soluzione non sia percorribile o semplicemente non interessi al personale,
l’Amministrazione dovrà, in ogni caso, inviare il chiaro messaggio che l’azienda deve es-
sere produttiva e deve assolutamente rimanere sul mercato, anche per dare, a sua volta,
impulso alla repressione dell’illegalità di tutte le altre aziende della zona.
Accade infatti che una volta riportata a legalità un’impresa, quelle viciniori, temen-
do controlli e verifiche, finiscano per mettersi in regola anch’esse e – paradossal-
mente - per denunciare quelle che continuano a fare loro concorrenza sleale, inne-
scando un virtuoso effetto-domino.
Discende che il Giudice Delegato deve saper valutare e ritagliare il proprio compito, senza
lasciarsi caricare, da un lato, di istanze sociali che non sono di competenza della magi-
stratura, ma al contempo, senza dimenticare il non facile obiettivo finale della procedura di
prevenzione, che non è quello di provocare una nuova e diversa distruzione del tessuto
sociale, ma quello, si ribadisce, di riequilibrare un ordine economico alterato, possibilmen-
te col minor danno possibile per i terzi incolpevoli.
/———/
POSTILLA – Il comma 3, ultima parte, dell’art. 35 del Codice Antimafia, esclude in modo
espresso che “il proposto, il coniuge del proposto, i parenti, gli affini e le persone
Ritengo infatti che gli stessi debbano essere allontanati (si tratta di conclusione non condivisa
da tutti, ma è del tutto evidente che se la loro presenza impedisce la possibilità di concedere in affitto l'azienda alla cooperativa formata dai dipendenti, a maggior ragione la loro presenza non deve essere consentita nel corso della gestione giudiziaria, in quanto gli stessi sono potenzial-mente controinteressati alla buona riuscita di tale gestione). Naturalmente non si esclude che la peculiarità delle singole fattispecie concrete possa condurre ad una conclusione diversa, che però dovrà essere di volta in volta adeguatamente motivata dal Giudice Delegato.
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con essi conviventi possano svolgere le funzioni di ausiliario o di collaboratore
dell’amministratore giudiziario”, di talché, implicitamente, tale norma chiarisce come si
tratti di soggetti tutti potenzialmente controinteressati (almeno in linea di principio) alla
buona riuscita dell’Amministrazione Giudiziaria e quindi, di conseguenza, inclini al boicot-
taggio delle iniziative tese al recupero (o al mantenimento) della produttività.
Parrebbe, tuttavia, anche in difetto di tale disposizione normativa, che il semplice buon
senso, prima ancora che l’esperienza concreta, suggeriscano di evitare nel modo più
assoluto di assumere il proposto quale dipendente di una delle aziende in seque-
stro.
È chiaro infatti che - anche se, in ipotesi, il proposto non dovesse tentare vere e proprie
azioni di ostruzionismo di fronte alla gestione giudiziaria – la sua presenza di per sé costi-
tuisce di fatto un ostacolo alla buona ripresa dei rapporti con i fornitori, con i clienti e, più
in generale, con tutti gli altri soggetti che devono relazionarsi abitualmente con l’impresa.
Senza contare, inoltre, il possibile sviluppo di situazioni assolutamente paradossali.
La vicenda di Fasano (comune in provincia di Brindisi) è, in tal senso, particolarmente i-
struttiva e per tale ragione assurta ad attenzione mediatica (10).
/———/
d- Azienda depredata dal proposto ed azienda con contabilità inattendibile – Se
l’azienda (come non di rado accade) è stata depredata dal proposto stesso, che ha utiliz-
zato i ricavi non già per ripianare i debiti, pagare i fornitori, effettuare la dovuta manuten-
zione e quant’altro, ma per aumentare il proprio tenore di vita, oppure per finanziare attivi-
tà illecite (ad esempio, è accaduto di scoprire che parte dei ricavi di un salone di bellezza
avviato dal proposto con i ricavi dell’attività di narcotraffico, veniva da lui utilizzata per
l’acquisto di veicoli di provenienza furtiva, che poi venivano rivenduti all’estero), può ac-
cadere che il risanamento si presenti problematico.
Nel caso di aziende depredate dall’imprenditore stesso (in quanto da lui costituite non già
per finalità precipuamente produttive, ma per approntare un’apparenza di lecita prove-
nienza dei guadagni illeciti), la contabilità è di norma inattendibile.
(10
) Il 20 dicembre 2015 la nota trasmissione televisiva "REPORT”, condotta dalla giornalista Milena GABANELLI, ha analizzato (non sempre in modo completo) le ragioni per cui un criminale, che aveva subito il sequestro di prevenzione del panificio a lui riconducibile (azienda che infine è sta-ta confiscata e venduta all'asta), in corso di sequestro era stato assunto (con il parere favorevole della Procura) quale dipendente dello stesso panificio. L'uomo, successivamente, si è licenziato, mal tollerando di aver perso la propria posizione "diret-tiva", ed ha presentato richiesta di corresponsione del trattamento di fine rapporto. Paradossalmente, ha fatto causa allo Stato per la mancata corresponsione di tale somma, ed ha ottenuto il pignoramento dei macchinari e dei beni strumentali di tale panificio, di talché, alla fine della fiera, è tornato in possesso esattamente degli stessi beni che gli erano stati confiscati, così vanificando la ratio dell'intera procedura, costituita dalla necessità di restituire il bene al circuito legale.
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A questo punto, prima di poter fare una qualunque previsione in merito all’effettiva possi-
bilità di prosecuzione, occorre necessariamente un periodo di concreta “sperimentazione”,
che avverrà mediante l’ausilio di un preposto (sempre che l’Amministratore Giudiziario
non decida di provvedere personalmente alla gestione dell’azienda).
Grazie ai numerosi Protocolli d’ intesa cui si è già più volte fatto cenno, il Tribunale di Ro-
ma può contare sulla possibilità di reperire presso le varie associazioni firmatarie (dalla
ConfCommercio all’Unindustria) preposti con competenze specifiche nel particolare setto-
re produttivo riferito all’azienda sottoposta a “sperimentazione”.
Tale possibilità non è di poco conto, perché consente di poter fare affidamento su
imprenditori competenti nello specifico ramo d’azienda sottoposto a sequestro.
A questo punto, al termine del periodo di “sperimentazione”, può accadere (e molto spes-
so accade) che l’azienda sia stata risanata (posso portare l’esempio di una pasticceria,
ubicata in un’ottima posizione commerciale, che, dopo l’intervento dell’Amministrazione
Giudiziaria, è ritornata a produrre buoni profitti, avendo ripianato tutti i debiti lasciati dal
proposto).
In questo caso, il passo successivo è di cedere in affitto tale azienda, secondo i criteri di
cui al comma 8 dell’articolo 48 del Codice Antimafia, cosicché, in caso di confisca,
l’Agenzia Nazionale non debba far altro che subentrare all’Amministrazione Giudiziaria e,
se del caso, valutare la maggior utilità – ai fini del pubblico interesse – della vendita del
bene, ai sensi della medesima disposizione.
Può invece accadere che, al termine della “sperimentazione”, si debba prendere atto del
fatto che l’attività aziendale non è produttiva, perché, anche volendo ripianare i debiti, il
costo della legalità rimarrebbe comunque troppo alto rispetto alle effettive prospettive di
guadagno.
In questo caso, occorre dare dapprima avvio alla procedura fallimentare (ex art. 63 del
Codice Antimafia), posto che, in tal modo, l’azienda non continuerà ad operare in passivo,
con danno dei terzi, ma subito dopo occorrerà disporre la revoca del sequestro, in
quanto, come si è già più volte ricordato, la procedura di prevenzione - diversamen-
te dalla procedura fallimentare - è intesa ad acquisire esclusivamente cespiti attivi,
vale a dire quei cespiti che concorrono al calcolo della sproporzione tra patrimonio
accumulato e redditi lecitamente percepiti.
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e- Società inattiva – Accade abbastanza di frequente che il proposto costituisca una società
avente apparentemente ad oggetto un’attività aziendale (ad esempio quella di autotra-
sporti) al mero scopo di approntare un’apparenza lecita finalizzata a permettergli di pro-
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seguire indisturbato attività illecite (ad esempio ad apparire legittimamente presente in ae-
roporto nell’area di carico e scarico merci, dove in realtà, unitamente ad altri complici, si
trova per provvedere ad una o più operazioni di importazione di cocaina nel territorio ita-
liano).
In questo caso, non essendovi alcuna attività aziendale, il cespite si rivela assolutamente
negativo.
Poiché le procedure di prevenzione non hanno ad oggetto i cespiti negativi, o i debiti del
proposto, ma solamente le poste attive nei limiti della sproporzione, è del tutto irragio-
nevole mantenere la società inattiva (11) in sequestro, al puro scopo di metterla in
liquidazione, come invece dispone il comma 5 dell’art. 41 del Codice Antimafia.
Ancora una volta, a mio parere, si evidenzia l’errore di prospettiva in cui è incorso il legi-
slatore quando si è ispirato, nella stesura di alcune norme del Codice Antimafia, prevalen-
temente alle procedure fallimentari.
Invero, scopo della procedura di prevenzione è quella di restituire alla collettività quella
parte dell’accumulazione patrimoniale del proposto che sia frutto delle sue attività illecite
(quale reimpiego, ovvero, talora, anche quale frutto diretto di tali attività).
Diversamente dal fallito, che risponde con tutti i suoi beni, il proposto può mantenere
tranquillamente la proprietà di parte della sua ricchezza, vale a dire quella di prove-
nienza lecita (se, ad esempio, ha ereditato dai genitori un’abitazione, quest’ultima non sa-
rà attinta dal sequestro di prevenzione).
Dunque, conclusivamente, poiché ciò che si sequestra è, lato sensu, ciò che costituisce
l’arricchimento indebito, appare contrario alla ratio di tale normativa accollare alla pro-
cedura i costi della messa in liquidazione di società totalmente inattive.
In tal caso, pertanto, appare molto più conforme alla ratio legis la revoca del seque-
stro delle quote della società che costituisca una mera “scatola vuota”, accollando i
costi a colui che ha prodotto la causa di spesa, vale a dire il proposto.
* * *
Eccezioni – Tale conclusione muta, tuttavia, nei seguenti due casi:
a) nel caso in cui in cui la società inattiva possieda beni con un valore economico di
un qualche interesse, poiché allora tali beni potranno essere messi a frutto (ad e-
sempio, ove si tratti di beni immobili possono essere ceduti in locazione, oppure offerti
in vendita).
(11
) rectius, le sue quote.
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A questo punto, il costo della messa in liquidazione della società verrà sostenuto at-
traverso il ricavato di tali vendite o comunque con il ricavato della messa a frutto dei
beni.
b) nel caso in cui gli illeciti che hanno condotto all’arricchimento del proposto siano
stati attuati attraverso meccanismi che richiedono la costituzione di società i-
nattive.
È, ad esempio, il caso del “bancarottiere professionista”, che costituisce alcune socie-
tà al mero scopo di riempirle di debiti e farle fallire, così da permettere ad altre società
(rectius, a se medesimo, celato dietro a tali società-schermo) di acquistare a spese al-
trui beni e servizi.
Chiaramente, le società “predatrici” dovranno avere vita breve, perché diversamente il
meccanismo criminale non potrebbe durare.
In tal caso, restituire la società inattiva al proposto, equivarrebbe, in buona sostanza, a
restituire i grimaldelli ad uno scassinatore professionista, posto che si tratta di società
costituite esclusivamente per perseguire finalità illecite.
Discende che tali società dovranno essere eliminate dal mondo giuridico ed economi-
co a cura della procedura, nonostante il fatto che si tratti di operazione economica-
mente negativa, in quanto produttiva di soli costi.
* * *
Postilla – Un caso che si presenta piuttosto di frequente è quello della società inattiva alla
quale il proposto intesta autoveicoli od altri beni mobili che in realtà sono in uso a lui e
ai suoi familiari.
Taluno ritiene che in tal caso si debba comunque procedere al sequestro e quindi alla
confisca delle quote, ma in realtà si tratta di una conclusione - a mio parere - non condivi-
sibile.
Infatti, in tal caso la società agisce, né più né meno, come un qualsiasi altro interpo-
sto fittizio, poiché i veicoli (o i beni) in discorso non sono mai stati realmente destinati al-
lo svolgimento dell’(inesistente) attività aziendale, ma sono stati acquistati con proventi
(non già societari, bensì) del proposto, al fine di restare in uso allo stesso ed ai suoi fami-
liari.
È ovvio infatti che la società inattiva non ha redditi e quindi non può procedere all’acquisto
di beni.
Discende che, non essendovi motivi giuridicamente validi per pervenire a conclusioni op-
poste davanti a situazioni identiche (interposizione fittizia) i veicoli potranno essere con-
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fiscati, in quanto riconducibili al proposto, anche se, ancor prima di pervenire
all’udienza di discussione, sia stata già disposta la revoca del sequestro delle quo-
te della società inattiva (che altro non è che una mera società – schermo).
Analogamente, potrà essere disposta la restituzione delle quote societarie con il medesi-
mo provvedimento di confisca dei veicoli.
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f- Affitto d’azienda. – Se l’azienda è già ampiamente produttiva, oppure torna ad esserlo
dopo il risanamento operato dall’Amministrazione Giudiziaria, una buona soluzione si è ri-
velata quella di cederla in locazione a terzi di buona fede (soluzione che trova peraltro il
suo fondamento nella già citata previsione di cui alla lettera “a” del comma 8 dell’articolo
48 del Codice Antimafia).
Per accertare l’effettiva terzietà e buona fede dell’aspirante conduttore, si rende indispen-
sabile provvedere a due distinti tipi di accertamento:
1) procedere ad un controllo dei precedenti penali e dei carichi pendenti dell’imprenditore
(se ditta individuale), ovvero dell’amministratore ed altresì dei soci (se società). Poiché
ad oggi non è stata istituita, purtroppo, una banca-dati centralizzata per i carichi pen-
denti, accade che di norma ci si limiti ad acquisire i certificati dei carichi pendenti pres-
so la Procura del Tribunale nel cui circondario si trova il luogo di dimora dell’aspirante
conduttore.
Tuttavia, per avere notizie più aggiornate sulle vicende giudiziarie che lo vedono anco-
ra coinvolto, è bene disporre altresì l’acquisizione delle iscrizioni S.D.I. (n.d.r.: acroni-
mo di Sistema d’Indagine Investigativo, banca dati in uso alle Forze dell’Ordine), a cu-
ra della Polizia Giudiziaria che ha curato le indagini che hanno preceduto la proposta;
2) qualora tali accertamenti diano esito negativo e di conseguenza risulti che l’aspirante
conduttore è incensurato e privo di carichi pendenti, occorre disporre un ulteriore ac-
certamento presso la Polizia Giudiziaria che ha curato le indagini, affinché verifichi
che il soggetto non sia legato al proposto da legami di parentela o da altro tipo
di cointeressenza (posso fare l’esempio di una lavanderia per la quale aveva avan-
zato richiesta di conduzione in affitto una giovane ragazza incensurata, che però è poi
risultata essere la fidanzata di uno dei figli del proposto, di talché è di tutta evidenza
che la sua richiesta mirava a riportare in via di fatto tale attività nelle mani del proposto
stesso).
Tenuto conto della precarietà del vincolo di sequestro, il canone locativo sarà cer-
tamente un po’ più basso rispetto a quelli ordinari di mercato, tanto più che -
come si è già ricordato ante .- non può escludersi (ed anzi purtroppo spesso accade)
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che il proposto attui azioni di carattere violento e minaccioso nei confronti del condut-
tore stesso, vuoi al fine di convincerlo a recedere dal contratto, vuoi al fine di “dare
l’esempio”, vale a dire al fine di dissuadere altri imprenditori eventualmente interessati
ad altre aziende in sequestro a lui riconducibili.
In ogni caso, trattandosi di attività condotta in locazione, in caso di revoca del seque-
stro il proposto potrà tornare in ogni caso nella titolarità del bene ed, eventualmente,
ricontrattare l’importo del canone.
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g- Opere-simbolo. – Ricordo ancora una volta che l’Amministrazione Giudiziaria si deve
distinguere quale elemento che riporta alla legalità l’intera azione economica riconducibile
al proposto.
Sto pensando, ad esempio, ad un’azienda che aveva ad oggetto la realizzazione di un i-
stituto scolastico, per il quale erano stati stanziati alcuni contributi europei all’istruzione.
L’azienda in sequestro aveva ottenuto l’appalto con modalità poco cristalline, vale a dire
con il ben noto stratagemma di presentare un progetto a prezzi stracciati, praticamente
fuori mercato, al fine di ottenere l’appalto, con la chiara intenzione di non ottemperare agli
impegni presi, come poi si è appurato anche in corso di sequestro, in cui è stata constata-
ta la volontà di:
1) risparmiare sui materiali;
2) non attuare quanto progettato;
3) presentare varianti in corso d’opera al fine di raddoppiare il costo dell’opera stessa;
4) utilizzare personale precario, reclutato mediante caporalato.
Ebbene, l’arrivo dell’Amministrazione Giudiziaria ha fatto in modo che l’opera fosse com-
pletata secondo buona tecnica e a regola d’arte.
Tale risultato è stato possibile anche grazie all’adesione di tutte le maestranze e di tutti i
professionisti impegnati nell’opera stessa, perlopiù residenti nella zona e desiderosi di
realizzare un’opera da offrire ai propri figli, nonché alle generazioni successive, destinata
a durare nel tempo e ad offrire un ambiente confortevole in cui trascorrere le giornate sco-
lastiche.
Tutti hanno mostrato massimo desiderio di collaborare con l’Amministratore Giudiziario,
talvolta lavorando persino oltre il dovuto, in modo assolutamente volontaristico, ed hanno
altresì suggerito, in corso d’opera, soluzioni tecniche innovative (dal pavimento riscaldato,
alle temperature interne regolate attraverso macchinari all’avanguardia e quant’altro), di
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talché, attualmente, tale opera costituisce un punto di riferimento per la popolazione loca-
le.
L’opera infine è stata collaudata e poi consegnata alla collettività (vale a dire
all’Amministrazione comunale).
Qualunque potrà essere l’esito del giudizio nei gradi successivi, resta il fatto che tale co-
struzione, nella zona, è considerata una sorta di vessillo dei buoni risultati dovuti alla lega-
lità e, pertanto, avrà assunto, già solo per tale ragione, un valore educativo e simbolico.
* * *
Piccola postilla – È sempre altamente sconsigliabile conferire incarichi di qualunque tipo
per “chiamata diretta”, senza fare una piccola “gara” tra preventivi (gli esempi sono nume-
rosi: dalla ditta edile a cui affidare la manutenzione straordinaria di un edificio, alla ditta
giardiniera a cui affidare la potatura degli alberi o delle piante, dal perito estimatore per la
valutazione del valore di gioielli ed orologi, al legale chiamato ad agire in giudizio in nome e
per conto di una società in sequestro, e così via).
Tale modo di procedere, infatti, può potenzialmente prestarsi ad abusi, salvo che l’importo
richiesto dal professionista sia talmente modesto, in ragione della assoluta semplicità
dell’incarico, da rendere ingiustificata ed onerosa la ricerca di preventivi da mettere a con-
fronto.
Segue che, quando l’Amministratore Giudiziario chiede di essere autorizzato a nominare un
professionista da lui indicato come affidabile e capace, appare preferibile subordinare tale
decisione all’acquisizione di non meno di tre preventivi.
Tale accorgimento offre spesso gradite ed inattese sorprese, in relazione al rapporto quali-
tà-prezzo della prestazione ottenuta.
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5. Il pagamento dei fornitori. – Tra i terzi incolpevoli, spesso figurano aziende sicuramen-
te sane, non inquinate, che hanno avuto il solo torto di stipulare, in tempi non sospetti, con-
tratti di fornitura con le aziende sottoposte a sequestro.
Si è già ripetuto più volte, nel corso del presente intervento, come il legislatore sia incorso
in un errore di prospettiva quando si è ispirato, nella stesura delle norme del Codice Anti-
mafia, prevalentemente alle procedure fallimentari.
Tali procedure, giustamente, nella preoccupazione di garantire la par condicio creditorum,
non consentono la liquidazione di alcun credito (ad esclusione dei crediti prededucibili), se
non all’esito della procedura.
Tuttavia la normativa della prevenzione ha un’ispirazione opposta a quella fallimentare.
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Si mantengono in sequestro le aziende che hanno concrete possibilità di prosecuzione
dell’attività, mentre per le altre è consigliabile disporre la revoca del sequestro, piuttosto
che la messa in liquidazione a spese della procedura.
Discende dunque che se, all’esito della valutazione di cui al più volte menzionato articolo
41 del Codice Antimafia, viene approvato un programma di gestione, in quanto si ritiene
che siano sussistenti concrete prospettive di prosecuzione dell’impresa, il pagamento delle
forniture rientra senz’altro nel compito che il Codice Antimafia assegna all’amministratore
giudiziario a mente del comma 5 dell’articolo 35, che così recita:
5. L'amministratore giudiziario riveste la qualifica di pubblico ufficiale e deve adem-piere con diligenza ai compiti del proprio ufficio. Egli ha il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni sequestrati nel corso dell'intero procedimento, anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi.
È di tutta evidenza infatti che è sommamente iniquo danneggiare un’azienda sana (quella
del fornitore) senza alcuna razionale motivazione, che non sia quella di un astratto formali-
smo teso a porre tutti i creditori indifferentemente sul medesimo piano, senza distinguere
tra quelli che offrono servizi o prestazioni vitali per la prosecuzione dell’azienda e tutti gli
altri, mentre, dall’altro lato, l’eventuale cessazione delle forniture è sicuramente un elemen-
to che non consente di incrementare la redditività del bene-azienda sottoposto a sequestro
di prevenzione, così frustrando proprio quella finalità indicata nel menzionato comma 5
dell’art. 35.
Segue, che, dovendosi ritenere prevalente l’obiettivo di incremento del valore aziendale su
quello di una formale parificazione tra i tutti i crediti contratti dal proposto prima del seque-
stro (rectius, tra i creditori del proposto), il Giudice Delegato dovrà autorizzare, di volta in
volta, molto prima ed indipendentemente dall’udienza di verifica dei crediti, il pagamento
delle pretese creditorie che riterrà indispensabili per la prosecuzione dell’attività aziendale.
Una futura espressa previsione normativa in tal senso sarebbe quindi auspicabile.
___________________
5. Conclusioni – I brevi cenni fin qui offerti riguardano solo una piccola parte delle ben più
ampie problematiche che si presentano nel corso della gestione dei patrimoni accumulati
con capitali di provenienza illecita.
Tuttavia, chiariscono che quella parte delle disposizioni contenute nel Decreto Legislativo 6
settembre 2011, n. 159, tesa a regolamentare l’amministrazione dei beni sottoposti a se-
questro e (successivamente) a confisca, allo stato costituisce una normativa più che altro
“sperimentale”, inevitabilmente destinata a modificarsi e ad arricchirsi, traendo spunto dalle
soluzioni che la prassi e l’esperienza avranno dimostrato più proficue e valide.
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Invero, mai come in questo campo, il dettato normativo sarà tanto più efficace quanto più
riuscirà ad affrancarsi da tesi precostituite (come ad esempio quella dell’incongrua parifica-
zione tra procedure di prevenzione e procedure fallimentari) e da pregiudizi ideologici.
Analogamente, anche l’azione del Giudice Delegato sarà tanto più efficace quanto si sot-
trarrà a comodi formalismi, che, lungi dal consentire di analizzare in modo obiettivo i dati a
sua disposizione, concorreranno, se del caso, a distorcerne, e talora ad occultarne, il reale
significato e la concreta portata.
In realtà, l’azione del Giudice Delegato deve confrontarsi con le regole dell’economia e
dell’impresa, per cui se la figura del Giudice-burocrate è sempre deprecabile, in qualunque
settore del diritto, in ambito prevenzionale è addirittura esiziale, in quanto porta al mancato
raggiungimento degli obiettivi della procedura stessa.
Concludo pertanto formulando l’auspicio che il presente intervento possa aver contribuito,
anche in minima parte, a sottolineare come siano sempre preferibili soluzioni che puntino
all’efficienza effettiva dell’azione di amministrazione, in luogo di quelle ispirate ad un dan-
noso formalismo, inconciliabile con il dinamismo insito nell’azione economica, anche quan-
do sia affidata ad una gestione giudiziaria.
D.ssa Franca AMADORI
Giudice della Sezione Specializzata
delle Misure di Prevenzione
del Tribunale di Roma