PRIMAPAGINA · sismo, capaci accetta-re tutte le variabili della quotidianità. Per arrivarci...

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La via del silenzio Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XIX n° 1 / 2015

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La via del silenzioTari

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trimestrale Anno XIX - Numero 1 - Marzo 2015REDAZIONElocalità Romena, 1 - 52015 Pratovecchio Stia (AR)tel. 0575/582060 - [email protected]

DIRETTORE RESPONSABILE:Massimo OrlandiREDAZIONE e GRAFICA:Raffaele Quadri, Massimo Schiavo

FOTO:Sonia Lunardelli, Raffaele Quadri, Piero Checcaglini, Marta TogniCOPERTINA: Rita Sgrevi

HANNO COLLABORATO:Luigi Verdi, Wolfgang Fasser,Maria Teresa Marra Abignente, Pierluigi Ricci.Filiale E.P.I. 52100 ArezzoAut. N. 14 del 8/10/1996

Il giornalino è anche online suwww.romena.it

SOMM

ARIO

Primapagina3

Ospitare il silenzio 4

Il meglio è fra le righe6

L’esercizio del silenzio10

Sulla soglia 8

L’arca che naviga verso Dio14

Il valore del non detto 12

Il miglior dono20

Una vastità da esplorare 18

Custodire il silenzio 22

L’abbraccio di Giuseppe24

Pregare 26

Veglie27

Incontri29

Calendario 28

Programma della Pasqua 30

Devo scrivere di silenzio. Ma ho in mente una musica. Non una a caso, la ‘mia’ musica. È un cd di Luca Mauceri, ‘Secrets’, che l’autore mi regalò quasi due anni fa non immaginando la portata del suo dono. Sin dal primo ascolto quella musica cominciò a darmi una sensa-zione unica: creava spazi interiori infiniti, mi faceva sentire presente a me stesso, ma allo stesso tempo nella percezione di un’armonia globale, di un’armonia cui potevo contribuire.Cominciavo, all’epoca, a scrivere una biografia piuttosto impegnativa. La musica di Luca divenne compagna irrinunciabile di quel libro: in questa dimensione di vastità in cui riusciva a calarmi, io non raccontavo più una storia, ma vi appartenevo.La musica di questo artista, pianoforte e archi, non è invadente, ha una semplicità calda.Mi fa sentire ‘unito’. Unito a me stesso, e al tutto. Chi parla del silenzio dice la stessa cosa.

C’è stato un grande musicista-filosofo, John Cage, il quale ha teorizzato che il silenzio non esiste. Un giorno si è fatto chiudere in una camera anecoica dell’università di Harvard. Lì, scientificamente, ci doveva essere assenza assoluta di suoni. Lui invece ne ha sentiti due: i battiti del suo cuore e la circolazione del sangue. Non se se Cage abbia ragione. Ma credo che l’esistenza del silenzio non dipenda dall’as-senza di suoni. Il silenzio non è espressione di un vuoto di decibel, il silenzio non è muto. Il silenzio parla, soprattutto fa parlare.

Spesso coltiviamo un’idea del silenzio banalmente repressiva: il silenzio è quello dell’indice davanti al naso. Oppure lo percepiamo come uno spazio insostenibile rispetto alle nostre frenesie comunicative.Ma se il silenzio ci chiede uno sforzo, non è per eliminare i suoni, ma per recuperarli.Il silenzio è necessario per liberarci dalle troppe parole inutili, indebolite, fiaccate, per depurarci da rumori che si sono abbarbicati come una pianta infestante dentro di noi. Serve per ripulirci. Serve per restituirci. Serve per ritrovarci.

Abbiamo intitolato questo giornalino “la via del silenzio” perché, se è difficile stare dentro il silenzio, è però importante che continuiamo a cercarlo. Il silenzio è la condizione del nostro stare dentro la vita, la vita nella sua totalità, è la con-dizione dell’intuirla, dell’accoglierla, del non averne paura.

La musica di Luca è stata un tratto della mia via verso il silenzio. Le sue melodie mi hanno aiutato perché hanno saputo liberare le mie emozioni spesso stressate dal peso della mente. In questa dimensione ho potuto intuire le potenzialità del silenzio, non essendo ancora pronto a viverlo.Dice padre Vannucci che nel silenzio ci si deve sentire soli davanti all’Eterno. Soli, quindi senza accompagnamenti, difese, protezioni. Ma è in quella solitudine, aggiunge, che si può sperimentare la meravigliosa sensazione di essere una nota unica, una tessera insostituibile del mosaico divino.Per questo la via del silenzio, per quanto difficile, è irrinunciabile. Perché è la via che rende percepibile ogni frammento di universo. Perché è la via di ogni orizzonte. Perché è la strada che conduce a Dio.

Massimo Orlandi

PRIMAPAGINA

In questo tempo di ritmi veloci e folli l’uni-ca possibilità che abbiamo per ritornare a vivere, invece di sopravvivere, è diven-tare “monaci” nelle città. Come loro possiamo cominciare a de-dicare ogni giorno un po’ di tempo alla mente, leggendo qualcosa, un po’ di tempo al corpo, camminando nella natu-ra e un po’ di tempo all’anima, ascoltan-do il silenzio. Una disciplina personale che dovremmo iniziare subito perché è sempre più urgente il nostro bisogno di una pausa, di un’amnistia. Il silenzio ci apre ad un tempo “vuoto”, che ci permette di acco-gliere tutta la nostra de-bolezza e di riallacciare rapporti con la nostra identità più profonda e più autentica.

Le parole a volte curano, ma spesso rischiano di diventare retoriche e lo-gore, di trasformarsi in un grande inganno perché ci annegano, ci soffocano nel persuaderci di rag-giungere la verità, distraendoci dalla fati-ca feconda del cercare. Il silenzio invece ci tiene in cammino e diventa più poten-te, perché fa rinascere ciò che dorme dentro di noi, segna il limite della nostra capacità di “capire” davanti alla vita, al dolore, alla morte, davanti a Dio e ci apre alla dimensione del mistero, dove l’intel-ligenza non basta più, ma ci conduce in un luogo in cui possiamo cominciare ad ascoltare. Dentro il silenzio c’è la fede di sapersi immersi in una realtà a cui ci si affida, di permettere che un evento si realizzi, che il messaggio ti arrivi nelle condizioni mi-

gliori, come il silenzio della primavera che arriva dopo la calma dell’inverno, dell’al-ba che arriva nel silenzio della notte.

Nell’incontro con l’altro il silenzio ti per-mette di accogliere senza soggiogare, perché tiene quella distanza che im-pedisce di ridurre chi ti sta innanzi alle stesse parole che ti rivolge. Si può vivere nella vita da indifferenti, oppure essere sensibili all’umanità, ma ciò che rara-mente incontriamo sono gli ascoltatori del silenzio. In loro vive la presenza si-multanea di dolcezza e forza, di sobrietà

e libertà. Questa dualità li rende semplici, senza pose pensate in anticipo, liberi da ogni maschera, da ogni residuo di narci-sismo, capaci accetta-re tutte le variabili della quotidianità. Per arrivarci bisogna aver affinato l’u-dito fino all’estremo, es-sersi allenati all’attenzio-ne profonda che riesce a sentire fino all’estremità, lì dove c’è un sospiro. Il

sospiro di ogni inizio.

Potessimo allora vivere il silenzio come un canto, una orazione del cuore, poter essere ospitati da lui e ospitarlo in noi. Potessimo varcare la superficie delle cose, dargli la capacità di diventare elo-quenti, di andare oltre la loro materialità. Potessimo lasciarci condurre dal silenzio verso la direzione da prendere, senza pensare che più stiamo dentro i proble-mi, più le cose funzionano. Potessimo rimanere vicino al silenzio, dove nasce la verità e la creatività, per elevarci sopra di noi ed aprirci alla pace.

Ospitare il silenziodi Luigi Verdi

Ogni atomo di silenzio

è la probabilità di un frutto maturo.

Paul Valéry

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Pregare: saldare il silenzio delle stelle con il frastuono dei giorni. Svincolarsi dalle catene del rumore e scoprire le nostre musiche sotterranee.

Ermes Ronchi

Appartengo ad una generazione a cui è stato insegnato il silenzio: quando la maestra entra-va in classe calava un silenzio rispettoso; biso-gnava aspettare in silenzio che l’altro finisse di parlare per poter intervenire; le scale da scen-dere per uscire dalla scuola andavano fatte in silenzio, tenendosi per mano. In casa la televi-sione non era perennemente accesa, perché le programmazioni iniziavano solo al pomerig-gio e i rumori della città rimbalzavano sui vetri delle finestre: i bambini ascoltavano il ticchet-tio delle macchine da scrivere nello studio del padre e il rimescolio della minestra in cucina. Non esistevano rombi di motori virtuali o urla di mostri uccisi attraverso un joystick: lo scher-mo era solo un qualcosa che si illuminava per il noiosissimo telegiornale serale e per l’in-canto di Carosello. Eravamo bambini educati al silenzio, che non spaventava, ma portava sempre la magia di una sorpresa.E quando risuonava una voce o un rumore o una musica sembrava sempre più forte di quel che in realtà fosse: sembrava rompere uno stato di quiete che assomigliava alla ge-stazione, al preludio di un parto.

Ma silenzio non è solo mancanza di rumore o assenza di voci. Silenziosa è la solitudine di un anziano che rientra nella sua casa vuota; silenzioso è il dolore di un malato nel suo letto di ospedale, o la delusione di un bambino, o le lacrime di un amante tradito. Silenzioso è il la-voro dei poeti e di tutti coloro che dalle parole scavano la musica e l’essenza.Silenzioso è Dio che tace, anche di fronte al grido stravolto dell’uomo ferito.Questo silenzio è come un paio di mani vuote, chiuse ad attendere; è come lo sguardo che si posa su una foglia che cade, proprio quell’at-timo di sospensione, quando la foglia può sol-

levarsi spinta dal vento o cadere silenziosa sul prato; è come lo sguardo lucido di una madre che per la prima volta vede il suo bambino.È un intervallo, una pausa, come quella po-sta tra le note per far risuonare l’armonia, uno stacco dove il vuoto riempie e l’assenza si insinua a rendere manifesto l’invisibile. È un temporale che tutto pulisce e che al posto del fragore dei tuoni assorda col suo niente.

Clarice Lispector, concludendo un suo libro scrive: “Tutto finisce ma quello che scrivo con-tinua. Il che è bello, molto bello. Il meglio non è ancora stato scritto. Il meglio è fra le righe”. Ci è chiesta l’intelligenza di saper leggere tra le righe, ci è chiesta la pazienza di riuscire ad intuire quel che non è detto, quel che non può venir detto. Perché le parole non bastano: sciuperebbero tutto. Ci viene chiesta la capacità e il coraggio di immergerci in questo silenzio, come ci si im-merge nel mare di notte. Notte e silenzio sono fratelli: possono entrambi far paura, ma an-che, dalle acque misteriose, farci giungere ad un approdo luminoso; come una piccola bar-ca che raggiunge la riva dopo una tempesta, come un bambino sudato dopo una corsa, con in mano il suo trofeo e gli occhi splendenti di gioia: così riemergeremo dal silenzio. Cosa avremo trovato? Forse solo un gancio per ag-grapparci all’invisibile, o quella zona quieta e nascosta in noi dove tutto è placato oppure, per dirla ancora con la Lispector, “quel cuore che batte nel mondo”. Il pulsare di questo cuore è tra le righe del no-stro vivere, tra i rumori e le preoccupazioni che affollano la nostra mente, è tra le parole che inciampano nelle nostre orecchie. È un niente di silenzio e vita, ma è il “meglio” di noi.

Di cosa è fatto il silenzio? Maria Teresa prova a mostrarcelo nelle sue mille facce, nelle sue tante espressioni. Ricordandoci, però, che nessuna parola può racchiuderlo, che nessuna immagine può definirlo.

“Il meglio è fra le righe”di Maria Teresa Abignente

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Lo spazio dello spirito,là dove esso può aprire le ali,è il silenzio.

A. de Saint-Exupéry

Foto di Raffaele Quadri

Vi confesso che, da un po’ di tempo a que-sta parte, mi nego – sarà una mia malattia – a convegni dove per giorni e giorni una relazione sta sul collo di un’altra. Sarà perché sono vecchio e quindi più lento, ma io sen-to il bisogno di lasciar depositare la parola nell’humus della terra: che stia, la parola, in uno spazio di invisibilità, uno spazio segre-to, che troppo affettatamente viene giudi-cato luogo dell’assenza o tempo dell’inutile. Tempo del “silenzio del seme” nella terra, il silenzio dei nove mesi, mentre oggi tutto è accelerato e a rischio di nascite mostruose.

Seguendo la scansione sapiente del libro del Qohelet potremmo dire che c’è un tempo per parlare, ma c’è anche un tempo per ta-cere, un tempo per il silenzio.

Dentro, lasciatemi dire, una stagione, la no-stra, di parole e di rumore. Non so se qual-che volta anche voi siate presi da questo de-

siderio, che a volte riconosco in me, di uscire nella notte e ascoltare il silenzio delle stelle. Veniamo, so che esagero, dal paese del di-sgusto. Dal rumore delle parole. Assordante, impenitente. Un inferno in terra. Anche la religione si è fatta moltitudine di parole, consumata in documenti di plastica, e nelle chiese qualcuno comincia a provare disagio per il rumore religioso, per le grandi adunate che sono esibizione di tutto, unico assente Dio. Assenza di vento leggero, quel-lo che odorò Elia dalla caverna sull’Oreb: Dio non era nel tuono, nel terremoto, nel guiz-zo del lampo, era in un fruscìo di silenzio, si chinò, passava Dio. Fermati, togliti i sandali, come Mosè, in vista del roveto che ardeva e non si consumava. Togliti le tue supponen-ti definizioni, la terra è sacra. “Il Padre” dirà Gesù “vuole adoratori in spirito e verità”.

A volte mi chiedo che cosa è silenzio. Forse è trattenere il fiato e respirare una presenza.

di Angelo Casati*

* Angelo Casati è un prete-poeta. Ha pubblicato con le nostre edizioni “I giorni della tenerezza”, “I giorni dello stupore” e “Le paure che ci abitano”. Questo testo è l’estratto di una conferenza di don Angelo tenuta a Lecco e pubblicata in sullasoglia.it

Sulla soglia

È questa la posizione del silenzio. Sulla soglia, cioè in attesa, in ascolto, in sosta. Il tempo del silenzio è uno spazio segreto, invisibile, rispettoso, nel quale le cose prendono misteriosamente compimento.

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Sulla soglia

Trattenere il fiato per fare spazio. In un certo senso svuotarsi o meglio fare posto. A volte mi succede di pensarlo, quando in certe ore del giorno trovo chiuso il grande portone della casa parrocchiale in via Mon-tenapoleone dove ora abito e mi si apre un portoncino, così basso - strano, in una via come quella! - così basso che per entrarci ti devi piegare, ti chiede di abbassarti. Quasi a dirmi che tu entri in una casa, in una si-tuazione o nel cammino dell’altro, a questa unica condizione: piegarti. Se no? Se no, ri-mani fuori, sei fuori. Da un vero ascolto. Se sei pieno di te, del rumore di te, non entri, in un vero ascolto, non sai, non puoi ascoltare.

Il tempo del silenzio è forse dunque il tem-po in cui come vi dicevo trattenere il fiato e stare sulla soglia. Di se stes-si. Dell’altro, delle cose, di Dio, nell’assenza di parole. E sfiorare il mistero che av-volge ogni cosa. Lontani da ogni ombra di invasione. Di prepotenza. Di dominio. In estasi, cioè uscendo. Nella più intensa delle comunica-zioni.

Noi abbiamo nel nostro mondo occidentale privile-giato, fino ad assolutizzarla, la comunicazio-ne verbale. Cancellando o negando impor-tanza a comunicazioni che vivono di silenzi e sono tra le più intense. Io penso che solo chi è rozzo di spirito non sa né percepire né apprezzare o giudicare vuoto il tempo vuoto, il lungo tempo in cui gli innamorati si perdono, senza dire una parola, l’uno negli occhi dell’altro. Il tempo del silenzio degli innamorati.

Ebbene penso che il silenzio stupito sia la condizione perché riaccada il miracolo della creazione, il miracolo che fece vibrare leg-gera l’aria del mattino del mondo quando le cose uscirono dal grembo del silenzio e pre-sero colore e forma, il colore e la forma della

vita. Senza il silenzio le cose ricadono nel nulla: vi passi accanto con il passo distratto, come se gli occhi fossero altrove, passi e non vedi o fai finta di vedere, respingi le cose an-cora nel nulla, non le fai esistere.

Diceva in una sua intervista anni fa Erman-no Olmi: “Non si può amare un bosco, se lo si vede solo come una fabbrica di ossigeno. L’amore nasce da un rapporto diretto e c’è un solo modo per conoscere la foresta: ingi-nocchiarsi e guardarla da vicino”.

Forse potremmo continuare all’infinito: c’è solo un modo per conoscere Dio, per cono-scere una donna, un ragazzo, una città, un prato…: “inginocchiarsi e guardarli da vici-no”. Guardare gli altri a millimetro di occhi,

di viso e di voce, e non da lontano, guardare da inna-morati in silenzio. Se vedessimo la terra, l’u-manità, la nostra casa, ogni creatura che incrociamo nella vita con occhi che ac-carezzano nel silenzio e non invece con aneliti predatori, quante cose cambierebbe-ro. Allora le parole nasce-rebbero lievi e non di pietra:

“Le parole che pronunciamo” scriveva anni fa un teologo psicoterapeuta, che amo, Eu-gen Drewerman “dovrebbero essere come il vento che soffia tra le foglie della vigna, leggero, fecondante, tenero. I nostri occhi dovrebbero essere caldi, luminosi come il sole nel cielo, come il sole che allontana ogni paura e scioglie il terreno per le pian-te che vogliono crescere alla luce e dà ai frutti, che stanno maturando, il coraggio di svilupparsi e dona loro la dolcezza quando giungono alla pienezza della maturazione. Le nostre mani e il nostro agire dovrebbero essere delicati come una pioggia mattutina e come la rugiada sulle foglie”.Il frutto dell’incantamento, il frutto del silen-zio.

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A volte già il non parlare, il non dire può es-sere costruttivo. È un primo livello di silenzio che contiene un’autodisciplina importante. In quest’epoca in cui saper dire quello che si pen-sa è diventato un vanto, e talvolta lo è davve-ro, saper tacere, vedere e non dire, aspettare a pronunciarsi può essere un gesto di attenzione e di rispetto notevoli.Un genitore, per esempio, in qualche situa-zione può accorgersi di una cosa e far finta di non aver visto, in una sorta di complicità o di intelligenza educativa, per lasciar spazio o dare tempo al cambiamento. La difficoltà in questi casi penso stia nel valutare se parlare o tacere, se intervenire o aspettare. E non c’è manuale che te lo insegni, se non l’uso del buon senso o dell’esperienza. Ma in ogni caso la capacità di frenare la lingua non è mai cosa tecnica, ma quell’autodisciplina che parte dalla saggezza e dal rispetto.

La realtà e gli altri spesso ci dicono da soli cosa hanno e di cosa sentono il bisogno, se solo ci dessimo il tempo di coglierne i segni tra le pieghe di ciò che ci sta davanti. Anche perché non si può mai essere sicuri di capire, sapere, conoscere fino in fondo. Poi, soprattutto nei rapporti o nelle situazioni educative la verità difficilmente è cosa oggettiva. A volte in nome dei principi o delle regole si possono dire e fare cose ingiuste, non adatte. Ma anche per la troppa velocità, per la fretta. La verità è ciò che fa bene all’altro. E il saper fare silenzio in certi momenti è la chiave per raggiungerla.Il silenzio è un’autodisciplina difficile e prezio-sa, che si acquisisce col tempo, con l’esercizio, ma soprattutto con la fiducia e la pazienza. Sa-per aspettare almeno qualche minuto prima di farsi la prima opinione è fonte di saggezza e di maturità, è l’inizio della contemplazione, quell’atteggiamento nobile e profondo che ci permette di guardare oltre, di scoprire le pro-fondità della vita e di scorgere, oltre le appa-renze, i primi barlumi della verità.

Saper fare silenzio non è solo questione di tenere la bocca chiusa: il silenzio è il rallenta-mento delle opinioni, dei giudizi, dei ragiona-menti. È come un cambiamento di voltaggio e di dimensione della mente, quel cambiamento interiore che ci permette piano piano di scen-dere e di iniziare ad ascoltare voci più profonde e più vere, quelle del cuore.Sono corde difficili da attivare, ma non lontane o impossibili. Credo che ognuno di noi in certi momenti della vita sia riuscito a cogliere que-sta dimensione più profonda, ritrovandosi così più vicino a se stesso.

In quest’ottica credo che il silenzio abbia un duplice valore: credo che sia la strada per rag-giungere il contatto con la parte più vera di noi e nello stesso tempo sia anche il sintomo del contatto raggiunto. Perché in certi momenti non hai proprio voglia di parlare, ti ascolti, ti basti.

Quando penso al silenzio lo abbino facilmente alla parola solitudine. C’è un aspetto di questa che credo sia assolutamente positivo e costrut-tivo. È quando una persona sa stare bene con sé stessa. Si basta, perché non ha bisogno di prendere l’energia degli altri per vivere. Ed ama stare anche da sola. Ed ama stare anche in si-lenzio.

Se non sei capace di silenzio e di solitudine cor-ri il rischio di vivere male anche il tuo rapporto con gli altri, confondendo la verità con le tue opinioni e l’affetto con il possesso. La vita è una ricerca e non c’è niente di scontato in essa. Si tratta ogni giorno di imparare. Di rimettersi in gioco. Forse iniziando da ciò che credi di saper fare e non fai. Se il silenzio è una disciplina importante non aspettare l’occasione giusta, ma crea uno spa-zio ogni giorno, un momento anche piccolo dentro al quale, da solo, puoi rallentare, ascol-tare, lasciare spazio. E ne sarai ripagato. Perché se tace il tuo io, qualcosa di altro farà sentire la sua voce in te.

È un’autodisciplina difficile, ma necessaria per imparare ad ascoltare senza pregiudizi, e per riuscire a connettersi con la voce più profonda. Quella che arriva dal cuore.

L’esercizio del silenziodi Pierluigi Ricci

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La campana del tempio tacema il suono continua a uscire dai fiori

Poeta Zen

È una disciplina interioreL’abate Arsenio diceva d’essersi pentito spesso d’aver parlato, e mai d’aver taciuto. Intendeva che il silenzio è una disciplina interiore alla quale va prestata attenzione. Dice santa Teresa: «È grave colpa quando una so-rella abitualmente non osserva il silenzio». I mezzi di comunicazione di massa ci sotto-pongono a quella che potremmo chiamare un’«alluvione di parole». Esiste un consumismo di parole: parole dolci, seduttive, oggettive, col-leriche… di ogni tipo. Parole che cercano di en-trarci rumorosamente nel cuore e non apportano niente alla verità. La Parola ha creato l’universo, la Parola di Dio, che ha detto e tutto fu fatto. La parola che usiamo è stata depotenziata della sua potenza creativa.

È espressione della solitudine Ecco il cuore del problema: se non c’è solitudine non c’è silenzio, e senza entrambi non c’è verità. Il silenzio è l’espressione più alta della solitudi-ne del cuore. Il silenzio trasforma la solitudine in realtà. E quando non cediamo al prurito di ascol-tare noi stessi, cioè alla vanità dell’anti- silenzio, sfuggiamo alla solitudine di quelle innumerevoli maniere formali, provocatorie, intimistiche, mas-sificanti… Tutte parole che non danno vita, che non nascono da un cuore passato attraverso il crogiolo della solitudine, nella costanza e nell’af-fetto. Non nascono – in sostanza – da un cuore fecondo.

È forgia di parole vereLe parole vere si forgiano nel silenzio. Più ancora: il nucleo stesso della parola dev’essere silenzio-so. Se la parola è vera, nel suo cuore si annida il silenzio. E la parola, una volta pronunciata, torna al silenzio abissale e fecondo da cui proveniva. La parola muore per fare posto all’amore, alla bellez-

za, alla verità, che proprio essa ha portato.La nostra parola, il nostro parlare, che nasce dal silenzio, dev’essere contenta di morire tornando al silenzio da cui era uscita. Il silenzio c’insegna a parlare, dà forza alla parola, la quale – per questo silenzio che racchiude – non è mero rumore (cfr. 1Cor 13,1). Il silenzio c’insegna a parlare perché mantiene nel nostro intimo il fervore religioso, l’attenzione allo Spirito Santo. Il silenzio alleva la vita dello Spirito Santo in noi.

È espressione della dignitàInfine, il silenzio è l’espressione più alta e più quotidiana della dignità. Tanto più nei momenti di prova e di crocifissione, quando la carne vor-rebbe giustificarsi e sottrarsi alla croce. Nel mo-mento supremo dell’ingiustizia, «Gesù taceva» (Mt 26,63; cfr. anche Is 53,7; At 8,32). Non è stato al gioco del rispondere a quanti gli dicevano di scendere dalla croce. Tutta la pazienza di Dio, la pazienza di secoli, e anche il suo affetto, emer-gono qui, in questo silenzio del Cristo umiliato. Nella storia degli uomini fanno irruzione il si-lenzio eterno della Parola, la «contemplatività» amorosa del Padre, del Figlio e dello Spirito San-to, tutta la comunione trinitaria dal silenzio dei secoli. È Parola, ma Parola che – nell’ora dell’an-nientamento provocato dall’ingiustizia – si fa si-lenzio. Iesus autem tacebat. Contempliamo tutto il «viaggio» della Parola di Dio (cfr. Gv 1,1; 14,2-3; 14,10; 16,28); come si fa tenerezza nel seno di una Madre. Questa Madre «custodiva tutte queste cose, me-ditandole nel suo cuore» (Lc 2,19.51). Nel cuore silenzioso di Maria ha sede la memoria della Chie-sa. Il silenzio «incarnato» del Verbo si esprime in quel momento d’ingiustizia, di umiliazione, di annientamento, nell’ora del potere delle tenebre. Quella è la dignità di Gesù, ed è anche la nostra.

In una meditazione del 1987 del padre gesuita Josè Bergoglio, oggi Papa Francesco, abbiamo trovato almeno cinque modi diversi di rappresentare la forza e il significato del silenzio.

Il valore del non dettodi Jorge Mario Bergoglio*

*I brevi passaggi che pubblichiamo fanno parte di un libro di Jorge Mario Bergoglio-Papa Francesco intitolato «La forza del presepe» (Emi edizioni, 2014). Il volume raccoglie alcune riflessioni del 1987, inedite in Italia, dell’allora padre gesuita, dedicate alla festa del Natale.

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Foto di Marta Togni

Il silenzio è la dignità della parola.

Michele Federico Sciacca

L’arca che naviga verso Diodi Massimo Orlandi

Chi sono? Che ci faccio al mondo? Queste domande si affacciano quando meno ce lo aspettiamo e sbattono violentemente contro le ansie, i ritardi, le preoccupazioni del quoti-diano. Non sappiamo liberarci di questi interrogativi, e nemmeno assumerli. Perché per tutto que-sto serve fare silenzio. E a noi non riesce. “Il silenzio è quello spazio in cui il divino non è più invocato ma pre-sente”: questo ci dice padre Gio-vanni, mostrandoci con semplici-tà l’irripetibile forza dell’arca che ci invita a costruire dentro di noi.

Un cammino verso se stessiMa cosa vuol dire fare silenzio? «Cercare il silenzio – ci dice - significa creare in noi uno spazio entro cui possiamo vedere la realtà non deformata da schemi, e dove possiamo essere, svilupparci, crescere. Il silenzio non si raggiun-ge imponendoci delle discipline, ma con l’essere totalmente attenti alle cose del presente, dell’i-stante vissuto»..Il silenzio non consiste nell’assenza di suoni

e di voci, ma nel valorizzare la capacità di ascoltarli, di riconoscerli. Il primo effetto è su di sé, la prima tappa nella navigazione di quest’arca è rivolta alla sorgente, alla nostra

identità. «Nel silenzio – scrive pa-dre Giovanni – noi riconosciamo perfettamente chi siamo, vediamo le nostre luci e le nostre ombre, i nostri pregi e le nostre cattive qua-lità, con la stessa spietatezza che ci viene dalla sincerità che nasce in noi quando ci troviamo a contatto immediato con Dio».

Il silenzio ci fa nudi. Nudi ed esposti, senza protezione. Ma in questa nudità assoluta, in questo affidamento totale alle energie dell’u-niverso, scopriamo il nostro vero ‘nome’, il nome che Dio ha pronunciato, il nome che collega la nostra finitezza all’infinito, il germe divino in cui la nostra precarietà trova un sen-so. «Tra noi e Cristo – dice padre Giovanni - c’è questo spazio di silenzio, e lo dobbiamo per-correre per poterlo incontrare in tutta la sua vivezza, in tutta la sua luminosità, per esserne trasformati e guariti».

A fine anni Sessanta Padre Giovanni Vannucci fondò l’eremo delle Stinche, nel Chianti fiorentino, con l’obbiettivo di “costruire un’arca di silenzio per affrontare il diluvio delle parole”. Oggi che quel bisogno di silenzio è ancora più pressante, le sue parole suonano ancora più profetiche.

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Uno spazio di incontro con DioBisogna profumarci di silenzio, immergerci nel silenzio. Perché le parole definiscono, le parole sono specchio dei nostri pensieri uma-ni e non possono tener dentro l’infinito. Ma perché tutto questo avvenga, è necessa-rio appartarsi. La luce divina ci illumina quan-do non ci confondono altre luci. «Consideria-mo – dice padre Giovanni – il mistero della nascita di Cristo: non nasce nella città distratta e piena di luci, ma nella grotta silenziosa e nel buio della notte. Tale è il mistero della nascita di Dio in noi: non può nascere in noi finché sia-mo travolti e storditi dal rumore, finché in noi ci sono delle forze che ci trascinano all’esterno». Prendiamo la nostra vita di ogni giorno. Quali sono le luci che ci distraggono? Tutte quelle che impediscono al mio cammino di uomo di esprimersi. La società tende a uniformarci, a ‘massificarci’, senza tener conto del valore unico di ogni persona. Dentro ciascuno di noi suona una nota ‘unica’ nell’armonia del mondo: ma per riconoscerla dobbiamo far tacere tutti gli altri suoni.Non servono per forza scelte radicali. Padre Giovanni invita a un esercizio quotidiano: «Scegliete nella vostra giornata una pausa di raccoglimento, possibilmente al mattino – è l’ora migliore – oppure al vespro, quando la na-tura si placa. Un tempo di silenzio totale c’è an-che nella natura, nel passaggio dalla luce alle tenebre e viceversa. Cercate, in questi attimi, di essere soli, totalmente soli, liberi dalle onde che vengono dal nostro essere sia mentale, sia emo-tivo, sia fisico; di sentirvi delle realtà oranti, in comunione con lo Spirito santo. Fate che queste pause siano così intense da stabilire il silenzio intorno e dentro di voi».Non è facile spegnere l’interruttore sul mon-do. Ma è necessario se vogliamo che si ac-cenda la luce infinita che è in noi. In quella solitudine immensa l’uomo incontra Dio, di-venta Dio. Ora possiamo scendere dalla nostra arca e ri-entrare nel mondo con animo pacificato, con energie nuove, con la capacità di vedere le cose terrene con uno sguardo diverso. Perché le osserviamo dal punto di vista dell’e-ternità.

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Foto di Sonia Lunardelli

o tanta fede in Te.Mi sembra che saprei aspettare la tua voce in silenzio, per secoli di oscurità.

Antonia Pozzi

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Come si incontra il silenzio?

Bisogna volerlo. E per volerlo bisogna volersi bene. Oggi siamo tutti ingabbiati nel rumore, ovunque ci muoviamo siamo bombardati da rumori, la musica stessa è spesso un riempi-tivo, un sottofondo. Per fronteggiare questa congestione di suoni bisogna imparare a fer-marsi, bisogna regalarsi del tempo. Il silenzio è un dono che facciamo a noi stessi, ci aiuta innanzitutto a liberarci da questa smania di ri-empire tutto, ci permette di stabilire una pau-sa, ci aiuta a recuperare e sottolineare ciò che davvero conta. L’importante è saper superare

lo smarrimento iniziale. Il tutto inizia con un po’ di timore, ma presto questo non rumore ti sorprende e ti si apre un mondo… Senti che il silenzio ti parla e che tu vedi le cose con un’altra chiarezza, le stesse pa-role che ti senti dire sono più pregne, portano con sé una consistenza diversa.

Che cosa ti evoca la parola ‘silenzio’?

L’idea di una vastità da esplorare. Il silenzio è un contenitore in potenza, dentro c’è l’eco di ciò che è stato, ma anche, in potenza, il movi-mento verso ciò che sarà.

Una vastità da esplorare Conversazione con Luca Mauceri*

*Luca Mauceri, artista poliedrico, è anche un grande amico di Romena (nella pieve ha registrato il suo ultimo cd live ‘Romena’) ed è uno dei più importanti collaboratori della comunità di San Pancrazio dove propone i suoi corsi “Alla sorgente delle emozioni”e “La voce del silenzio”.

“Ogni mia idea creativa nasce dal silenzio”. Così Luca Mauceri, attore e musicista. Abbiamo rivolto a lui le domande più semplici sul silenzio, immaginando che ce ne potesse parlare, come si parla di un suono, di uno strumento, di una musica. E forse è proprio così.

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Di cosa è fatto il silenzio?

Di qualcosa di primigenio, che esiste ora ed è esistito sempre. Il silenzio risuona di un’ar-monia universale, è una vibrazione dell’ar-monia cosmica.Dentro il silenzio sento che ci sono io nella maniera più profonda, più bella, più biologi-camente connessa con l’universo. Sento me come essere umano, come parte del tutto. Nel silenzio c’è una forte dimensione di spi-ritualità, il senso di una connessione con la nostra parte divina.

Nella tua musica che ruolo ha il silenzio?

Una pausa di silenzio aiuta a creare un in-tervallo meditativo nell’ascoltatore, e aiuta a far risaltare una linea melodica, un suo-no. Ma nella musica che scrivo il silenzio è soprattutto quel compagno che mi aiuta a sottrarre, a svuotare, a distillare, nella mia musica mai troppe note, temi, mai troppa lunghezza affinché la mia musica possa arri-vare nella maniera più diretta possibile a chi la ascolta. E magari toccare le corde dell’e-mozione.

Qual è il rapporto tra il silenzio e la tua ispirazione?

La dimensione creativa ha modalità impre-vedibili, ma di sicuro al suo avvio c’è uno spazio di silenzio. Un silenzio che non è un appartarsi da tutto, magari vivendo in un eremo. È piuttosto uno stare immerso nel movimento della vita, ma con un grande si-lenzio interiore.All’origine c’è una solitudine bella, che mi riempie, da un silenzio profondo dentro me che entra in contatto con i rumori del mondo e da questo contatto nascono idee, spunti che in una seconda fase metterò per scritto. Nasce tutto da questa bolla di silen-zio interiore che riesce a restare aperta e permeabile alla bellezza, alle speranze, alla vita ai suoni che mi circondano. Silenzio in-terno, suono esterno: è questo, all’essenza, il luogo d’avvio della mia creatività.

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Del silenzio non mi contento mai. Lo sento come un’entità sacra, una presenza bene-detta. È il miglior dono che possiamo farci scambievolmente, a chi viene, al tutto, per-ché il silenzio tiene in comunicazione con il tutto.Il silenzio non è il tacere, ma il riordinamen-to di se stessi in modo da poter dominare qualsiasi espressione del proprio essere. La sua radice è la pacificazione dell’emotività e della mente.

Vi è un silenzio che dobbiamo a ogni co-sto creare in noi; silenzio d’ogni pensiero d’amarezza verso gli altri e verso di noi. L’amarezza è un veleno. Poco alla volta ci intossica, ci toglie la vita, ci raggomitola, ci immiserisce.

Ve ne supplico: sappiate vincere la vostra amarezza interiore, sia quella che viene da un sentimento verso un altro, sia quella che viene dallo scoramento di noi stesse. Se sapremo giungere a dire: “Eccola nella pace tutta la mia amarezza” (cantico di Ezechia) dal silenzio interiore giungeremo a quel sacramento che è il silenzio esterio-re. Silenzio d’ogni parola inutile, contrad-dicente, senza sale, senza rispetto, senza amabilità, senza limpidezza assoluta.

La virtù del silenzio ci insegna a tacere e ci insegna a parlare. Accresce i pensieri me-ditativi. Aiuta a risparmiare tempo. Gesù ha detto: “Sia il vostro parlare sì si, no no”, San Benedetto ha scomunicato due donne religiose che non volevano tenere a freno

Il miglior donodi Sorella Maria di Campello

In un piccolo eremo nascosto tra i boschi dell’Umbria, non lontano da Assisi, Sorella Maria viveva in comunicazione con tutti: con gli uomini (ebbe anche corrispondenze con Gandhi e Albert Schweitzer), con gli animali, con i fili d’erba. E questo grazie anche al dono del silenzio di cui parla in queste frasi rivolte alle sue sorelle. E, indirettamente, a noi.

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la lingua.Bisogna, figliole mie, giungere ad essere quelle che dobbiamo essere. Ogni disat-tenzione o negligenza, o sciocchezza, o disordine diminuiscono il nostro vigore spirituale e ci impediscono di creare in noi e attorno a noi quello spirito religioso che è lo scopo per cui stiamo insieme. Occorre che in tutte entri il concetto che il silenzio è uno dei doveri che abbiamo ac-cettato: impegno assolutamente grave da cui dipende la nostra giornata, la nostra vita religiosa, la formazione del nostro carattere, il fuoco sacro che dobbiamo cu-stodire.

Mi ricordo sempre della vita del beato Pie-tro Pettignani, come lo chiama Dante, un terziario francescano che vendeva pettini.Questi aveva voluto correggere se stesso dall’abitudine, così comune in tutti, del troppo parlare, dell’adoperare troppe pa-role per dire qualche cosa di necessario, di utile; e dice egli stesso di avere impegnato

quattordici anni in questo sforzo dell’a-bituarsi a tacere e a parlare conveniente-mente.Ora, se un uomo amabile, pio, ha impiega-to quattordici anni per cercare di vincere in se stesso il difetto di parola, quanti più ne dovremo mettere noi, e quanta maggior forza! Ma non dobbiamo scoraggiarci. È giusto che ci affatichiamo per giungere a possedere un tale bene, una tal virtù. Ad ogni virtù, ad ogni forza, è congiunto un bene proprio di questa stessa virtù. Per esempio, se consideriamo la virtù del silen-zio, comprendiamo che è congiunta a que-sta virtù una specie di bene, forse uno dei maggiori beni che siano al mondo, perché è il bene che ci dà maggior dominio su noi stessi.

Chiedo perciò a tutte voi il rispetto al si-lenzio come a nostro fratello: deve essere il nostro fratello, il tema musicale offerto a chi viene.

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Custodire il silenziodi Wolfgang Fasser

l silenzio è una dimensione che accompagna in diversa misura tutte le attività dell’Eremo di Quorle. Proponiamo ritiri settimanali di silenzio o dedichiamo alcuni momenti di silenzio durante i campi di lavoro o le esperienze di vita condivisa.L’uomo ha bisogno di silenzio ed esistono ormai diverse realtà che propongono svariate esperienze di questo tipo. A differenza di una merce, il silenzio non è qualcosa da acquisire una volta per tutte, ma è qualcosa di effimero, che ci sfugge, come l’ac-qua che scorre via tra le dita delle mani. Il silenzio si lascia cercare e si lascia trovare. Il nostro intento è proprio quello di esercitarsi a frequentare quella zona di noi stessi che ci permette di creare spazio dentro e intorno a noi, è un invito quotidiano ad aprirci al silenzio in modo da poterlo ritrovare nel-la nostra vita di tutti i giorni.

Perché coltivare il silenzio?Ognuno cerca il silenzio per ragioni diverse: desi-derio di pace, di calma, bisogno di rallentare, di dilatare il tempo, di prendere distanza da una si-tuazione, di concedersi riposo mentale o fisico, di centrarsi su una questione importante. C’è anche chi viene in una fase di gestazione rispetto a

decisioni non ancora chiare oppure ancora per concedersi un momento per la contemplazione, la preghiera, per essere con Dio. Come dice Martin Buber: “Quando l’uomo riposa in sé come nel nulla, non è limitato da altro ed è sconfi-nato, e Dio versa in lui la sua gloria“.Chi ha fatto esperienza di silenzio riconosce nel vuoto la straordinaria possibilità di allargare la propria coscienza, di aprirsi a una nuova cono-scenza.

Come trovare il silenzio?La ricerca del silenzio è un cammino che passa attraverso momenti impegnativi e di sfida. Siamo talmente abituati all’assenza di silenzio che quan-do ce ne avviciniamo ci rendiamo conto della di-stanza che abbiamo preso da questa dimensione.La nostra settimana di silenzio è caratterizzata da tre elementi fondamentali:1- Ritornare a se stessi sullo sfondo della comunità.Coltiviamo una benevola solitudine, un momen-to di raccoglimento per se stessi in un luogo in cui siamo circondati da altre persone che condi-vidono lo stesso cammino. È proprio l’alternarsi tra momenti personali e momenti comunitari che

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rende quest’esperienza ricca. Possiamo esistere e relazionarci anche stando in silenzio in mezzo agli altri o possiamo ritirarci pur rimanendo parte del gruppo. Ci permettiamo così di vivere in una dimensione più pacifica e rispettosa di noi stessi nella nostra vita circondata da amici e familiari.2- Unire la vita interiore e la vita pragmaticaCi sono momenti personali in cui seguo istintiva-mente ciò che mi permette di entrare in contatto con il mio mondo interiore, ma ci sono anche mo-menti in cui sono chiamato dalle necessità della vita pragmatica. Durante l’eremo cuciniamo insie-me, facciamo le pulizie insieme. L’intento è quello di coltivare con la stessa attenzione e presenza i momenti di raccoglimento interiore così come quelli dedicati allo svolgimento di attività prati-che. In tal modo cuciamo insieme due aspetti della vita che spesso tendiamo a separare: l’introspezio-ne e l’azione. Tullio Castellani esprime in maniera così appropriata che “l’interiorità senza azione è sterile e l’azione senza interiorità è cieca“.3- Lasciare il vecchio per trovare il nuovoEntrare nella vita dell’eremo è un’occasione per la-sciare andare le abitudini di casa, le consuetudini che ci rassicurano, ma che talvolta ci condizionano

e finiscono per diventare pesanti e rinchiuderci. Ci permettiamo di sporgerci verso la novità, di spe-rimentare un nuovo ritmo nella nostra giornata, di guardare da un altro punto di vista , pronti a ritrovare la nostra vita con occhi nuovi. É proprio questo che la fraternità di Romena si propone: offrire un esperienza che diventi feconda per le nostre vite.

Come si pratica il silenzio?Ci sono varie pratiche che aiutano a cercare, a tro-vare e a dimorare nel silenzio. La “camminata dello stupore“ all’alba, il ritiro se-rale rinunciando a relazionarsi con gli altri, la pre-parazione collettiva di un pasto, il silenzio indivi-duale, la rilettura di un testo, il tempo condiviso in coppia senza l’aiuto di parole, la contemplazione della natura.Durante la settimana di silenzio, incontro ogni partecipante in momenti individuali. L’ascolto benevolo permette di mettere in luce le questioni per noi importanti, di lasciare ciò che è superfluo per far emergere ciò che ci sta a cuore. Di tornare al silenzio per nutrire il cammino di vita e di fede.

Come riuscire concretamente a percorrere la via del silenzio? L’eremo della Fraternità di Romena a Quorle ci aiuta a riscoprire questa dimensione. E Wolfgang Fasser, maestro di ciò che è invisibile agli occhi, si rende guida e custode anche di quel bene impalpabile, ma prezioso, che è il silenzio...Custodire il silenzio

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Lo scorso 13 febbraio ci ha lasciato un grande amico di Romena, Giuseppe Baracchi. Giuseppe è stato una delle più grandi figure imprenditoriali del Casentino dal dopoguerra a oggi. Ma Giuseppe era anche un grande sostenitore della Fraternità, sin dai suoi inizi. Ed è grazie a lui che è stato possibile coltivare e realizzare il sogno dei nuovi spazi della fattoria.Il giorno in cui Giuseppe è morto lo abbiamo salutato così, sul blog di Romena…

L’abbraccio di Giuseppe

hissà se sarà stato così, oggi, Giuseppe, il tuo abbrac-cio con l’Amore infinito. Così lo avevi immaginato, così lo avevi visto nel quotidiano di Romena, così lo avevi riprodotto nella scultura che, senza firmarla, ci avevi consegnato, accanto alla quale oggi, idealmente, scrivo queste righe.

Giuseppe Baracchi è un nome che racconta un pezzo di storia del Casentino. Ma è an-che un nome che, silenziosamente, accom-

pagna molta parte del cammino della Fraternità.Oggi, soprattutto, quel nome è un sussurro di saluto: Giusep-pe ci ha lasciato stamani, dopo aver riempito di vita i suoi 95 anni.

Giuseppe era un figlio di questa terra, il Casentino. Su questa terra si era chinato, nel dopo-

guerra, piangendo le sue rovine e giuran-do a se stesso di far qualcosa per risanarle. Insieme ai suoi fratelli aveva cominciato a

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L’abbraccio di Giuseppe costruire, passo passo, quella che sarebbe diventata, che è, una delle aziende leader in Italia nel settore della prefabbricazione.Ma soprattutto Giuseppe aveva dato la carica a una valle piegata sulle sue mace-rie: la sua azienda, crescendo, avrebbe ac-compagnato la crescita di altre realtà; era lavoro, era dignità, era vita per centinaia di famiglie.

Giuseppe aveva la testa per aria, a scova-re intuizioni e sogni, e i piedi sporchi di ce-mento, perché il suo posto in fabbrica non era mai lontano dagli operai.Non dimenticherò mai la festa dei cinquant’anni della Baraclit, l’occasio-ne in cui lo conobbi: non avrei mai immaginato, tra le tante cose belle, la gioia dei dipendenti di mostrare alle loro fami-glie da dove veniva il loro pane. Era un pane fatico-so, ma pieno di dignità e di rispetto. E quel signore non stava dall’altra parte, ma nella stessa, in quella fabbrica che provava a costruire un po’ di futuro per tutti.

Giuseppe si innamorava di tutto ciò che sprigionava energie nuove, di tutto ciò che profumava di futuro. Quando conobbe Ro-mena, attraverso me e don Luigi, sentì che c’era qualcosa di speciale in quel cammino ancora acerbo, in quel sogno di fraternità che provavamo a delineare.Lentamente insieme alla moglie Adele e con la presenza di tutta la sua grande fami-glia, a partire dalle figlie Sandra e Silvana, si costruì con noi una sintonia speciale, una complicità di cuore.Direttamente, o attraverso la Fondazione che aveva costituito, Giuseppe decise di ac-compagnarci, di sostenerci, di camminare

con noi.Giuseppe era un genio d’impresa. Aveva visioni larghe, ma sapeva anche renderle concrete. Una sera, al termine di una cena, chiese a me e a Gigi se avrebbe potuto aiu-tarci a dare uno spazio diverso alla nostra fraternità,.La fattoria cominciò a divenire parte di Ro-mena, idealmente, da quella sera.

Sarebbero passati anni, in realtà, per l’ac-quisizione, i passaggi, i lavori di ristruttu-razione. Questi ultimi spettavano a noi,

ma Giuseppe li avrebbe seguiti sempre, con il suo sguardo vivo, con i suoi occhi curiosi, con la gioia di vedere che qualcosa di bello, di nuovo, stava na-scendo.Gigi è andato a trovarlo l’ultima volta la settima-na scorsa: gli ha mostrato le foto più recenti dei nuo-vi spazi di Romena, gli ha chiesto consigli. Non è stato un incontro, è stata una consegna: “Coraggio, andate avanti!”.

Giuseppe, Beppino, caro meraviglioso commen-dator Baracchi. Con te la

Fraternità oggi ha perso un fratello mag-giore. Un uomo sapiente, un uomo creati-vo, un uomo innamorato della vita. Indi-menticabile.

Quando guarderete quella scultura, l’ab-braccio, pensate che l’ha realizzata un uomo con occhi bambini.Un uomo che ha voluto camminare accanto alle nostre speranze per sostenerle, senza contropartite.Un uomo che a 90 anni e passa, sapeva an-cora sognare. Anche per questo, forse, ci voleva bene. E noi, a lui.

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DioPregare

LIBRO

NOVITÀ

Quattro meditazioni inedite di padre Giovanni Vannucci ci introducono nel cuore del momento decisivo nella vita di ogni credente: il momento in cui cerca un contatto con l’infinito.

“Pregare” ci aiuta ad entrare nell’essenza di questo momento che non serve, dice padre Giovanni, a domandare, ma di uno spazio nel quale “il divino non è più invocato ma presente”.

Padre Vannucci è una delle figure più avanzate e profetiche della nostra chie-sa. E lo si potrà comprendere anche av-vicinandosi, con lui, al mistero della pre-ghiera, dentro il quale padre Giovanni entra con apertura, intensità, aiutandoci a rispondere ad alcune grandi domande: cos’è la preghiera? Come si prega? A cosa serve pregare?

“Pregare” invoglia ad avvicinarsi a questo momento di intimità con Dio, a questo mo-mento di trasformazione di noi stessi nel-la dimensione infinita. “Perché – sostiene Vannucci – la preghiera non è una doman-da, ma uno ‘stato’ dell’uomo: lo stato nel quale l’uomo orienta tutto sé stesso verso la Verità e la Luce”.

Giovanni Vannucci

non è mendicare, ma rendere più intensa la nostra vita.

“Pregare”di Giovanni Vannucci

collana GermogliEdizioni Romena 2015

978-88-89669-60-0€ 6,00

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Dioe un bacioROMA 27 aprile 2015Parrocchia San Frumenzio - via Cavriglia, 8 ore 21.00GROSSETO 28 aprile 2015Parr. San Giuseppe - P.zza Sauro, 7 ore 21.00LIVORNO 29 aprile 2015Parrocchia Sant’ Agostino - via Aldo Moro, 2 ore 21.00AULLA (MS) 30 aprile 2015Parr. San Caprasio - Piazza Abbazia ore 21.00BRINDISI 11 maggio 2015Chiesa San Vito Martire, via Sicilia, 10 ore 20.00GALATONE (LE) 12 maggio 2015Chiesa di San Francesco d’Assisi - via Metello ore 21.00NOCI (BA) 13 maggio 2015Parr.Maria SS. Della Natività - Chiesa Madre ore 20.30BARI 14 maggio 2015Chiesa di San Marcello - L.go D. F. Ricci, 1 ore 20.30ALTAMURA 15 maggio 2015Chiesa San Sabino - Loc. Fornello ore 20.30ANDRIA 16 maggio 2015Chiesa S. Agostino - P.zza S. Agostino ore 20.30PERUGIA 19 maggio 2015Chiesa di Santo Spirito - via Parione,17 ore 21.00

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Da Pasqua 2015 a Pasqua 2016: un anno di incontri, di corsi, di gruppi, di momenti da vivere insieme a Romena. Il libretto che trovate allegato a questo numero del giornalino contiene tutte le proposte della Fraternità e ancor di più la sua voglia di creare occasioni di incontro, di riflessione, di relazione.

Ci sono i corsi del percorso ‘classico’ di Romena (primo, secondo e terzo), quelli di approfondimento, i gruppi (Nain e il gruppo famiglie), i tempi di fraternità, quelli nei quali Romena diventa luogo di accoglienza aperta per chiunque voglia dare un ritmo diverso alle sue giornate e incontrare se stesso stando con gli altri.

Oltre ai collaboratori ‘storici’ guideranno i corsi due grandi amiche di Romena come Lidia Maggi e Antonietta Potente. Farà invece il suo ‘esordio’ il vescovo francese Jacques Gaillot, una delle voci più aperte e liberanti della chiesa.

Accanto alle proposte di Romena il libro racconta anche il nuovo anno dell’eremo della Fraternità, quello di Quorle, guidato da Wolfgang Fasser, e di alcune comunità sorelle come San Pancrazio. In evidenza anche le proposte di amici e collaboratori di Romena come Gianni Marmorini, Gianni Novello e Luca Buccheri.

omenaRCalendario

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Calendario2015da Pasqua

2016a Pasqua

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Tornano anche nel 2015 gli incontri di Romena. Due grandi momenti di incontro e di riflessione che si sviluppano per un intero fine settimana con una intensità e un calore speciali.A luglio con “Dio è un bacio” l’obiettivo è proiettare lo sguardo dall’uomo verso Dio, individuando cammini, esperienze, culture diverse che cerchino di aiutare ciascuno di noi a individuare il proprio orizzonte spirituale. A settembre la prospettiva si ribalterà: in “Uomo dove sei?” viene riproposta la domanda che Dio fa a Caino: Dove sei? Dov’è tuo fratello? L’interrogativo del convegno è dunque orientato su ciascun uomo, sulla direzione e il valore che dà alla sua vita.

Info: 339.7055339 [email protected]

Dio è un bacio 17-19 Luglio

Uomo dove sei? 18-20 Settembre

Incontri

Il programma completo sarà disponibile dal 15 maggio. Ma intanto sono già noti già alcuni dei partecipanti ai convegni. Ci saranno teologi di grande apertura da Josè Castillo a Antonietta Potente, da Paolo Ricca a Lidia Maggi. Preti fortemente impegnati nel sociale come don Mazzi.Scrittori come Fabio Genovesi, poeti come Livia Candiani. Incontrerà Romena la presidente di Emergency Cecilia Strada, tornerà da noi il Cardinale Kasper.

Gli incontri avranno anche il respiro dell’arte cion la partecipazione del compositore e attore Luca Mauceri, dell’attrice Elisabetta Salvatori, dello

scintillante Quartetto Euphoria.

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Pasqua a Romena

Programma Giovedì 2 ore 21 lavanda dei piediVenerdì 3 ore 21 Veglia al ‘crocifisso’Sabato 4 ore 22.30 messa di Pasqua

Domenica 5 ore 17 Messaore 21 Concerto-incontro con Davide Antonio Pio e la compagnia corale Fatum fatum (ingresso libero)

Lunedì 6 Festa della fraternitàore 10 camminata lungo la via resurrectionisore 11.30 Messa col Vescovo di Fiesole Mario Meiniore 13 pranzoore 15 spettacolo-animazione per bambini a cura della Compagnia delle arti di Romenaore 16 Compagni di viaggio: canzoni, letture, interventi dei collaboratori di Romena. Con la partecipazione della cantautrice Letizia Fuochi e del musicista Alessandro Brunoore 17.30 intervento di Luigi Verdi

Vivere insieme i giorni di Pasqua: anche quest’anno vi proponiamo un percorso di incontri, di preghiera, di riflessioni e di festa, dal giovedì santo al giorno della Pasquetta, festa della Fraternità. Un programma nel solco della tradizione con alcuni momenti nuovi e speciali: domenica sera il concerto del compositore e cantante Davide Antonio Pio insieme alla corale Fatum Fatum e lunedì, oltre allo spettacolo per bambini della Compagnia delle arti, l’incontro “Compagni di viaggio” con interventi di alcuni collaboratori della Fraternità e l’accompagnamento della voce di Letizia Fuochi e del polistrumentista Alessandro Bruno. Inoltre il cammino di Pasqua, in par-ticolare quello del venerdì santo, sarà vissuto anche con la presenza dei quadri dell’artista Antonio Teruzzi. Vi aspettiamo!

Per informazioni tel. 0575-582060

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Un aiuto per Romena

Per articoli, pubblicazioni delle Edizioni Romena, foto, audio degli incontri e altro ancora seguici su:

www.romena.itIscriviti alla nostra newsletter per essere aggiornato

su tutti gli eventi organizzati dalla Fraternità.

UN CONTRIBUTO: il giornalino è una pubblicazione gratuita e viene inviato a tutte le persone che hanno partecipato ai corsi di Romena o ne abbiano fatto richie-sta. Aiutateci a sostenere le spese di rea-lizzazione e spedizione inviando il vostro contributo col bollettino allegato, oppure effettua un’offerta ai seguenti conti correnti intestati a Fraternità di Romena ONLUS, Pratovecchio (Arezzo):

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SEGRETERIA: per iscriversi ai corsi è necessario telefonare al nostro numero 0575.582060. Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso.

5X1000Come si finanzia Romena? In che modo riesce ad andare avanti, alimen-tare le sue attività, e anche realizzare spazi nuovi, come quelli della fattoria? Molto spesso ci sentiamo rivolgere questa domanda. E tante volte la fac-ciamo anche noi a noi stessi con un briciolo di preoccupazione perché l’at-tività cresce, gli oneri aumentano, le spese lievitano.

Non abbiamo sovvenzioni o aiuti speciali, sin qui ci hanno aiutato tantis-simo i piccoli grandi gesti di generosi-tà di chi ci ha conosciuto. Tante gocce hanno realizzato il piccolo, ma signifi-cativo porto di terra. Sappiate perciò che un pezzetto di Romena vive anche con i vostri contributi, con il sostegno alla rivista, con l’acquisto dei nostri li-bri. E con una semplice firma apposta sul modulo del 5 per mille della dichia-razione dei redditi.

Ci permettiamo di segnalarvi in questo momento quest’ultima possibilità, per nulla onerosa per voi, straordinaria-mente preziosa per noi. La destinazio-ne del 5 per mille alla Fraternità ci ha aiutato tantissimo in passato a realiz-zare i nostri progetti, e ci auguriamo sia così per il futuro.

Pasqua a Romena

Vi ricordiamo il codice

92 04 02 00 518Questo è un modo semplice, imme-diato, sicuro, non impegnativo per aiutarci, per alimentare il nostro cam-mino. Per contribuire concretamente alla vita e ai sogni della Fraternità

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A volte il silenzio dice quello che il tuo cuore non avrebbe mai il coraggio di dire

Alda Merini