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Don Bosco Profondamente Profondamente uomo santo

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Don Bosco Profondamente

Profondamente

uomo santo

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educato A guardare al cielo

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In estate, le albe, i meriggi, i tramonti si succedono nello

splendore del cielo profondo, inquadrato dalle colline verdi e

dalle nuvole bianche.

Alla sera tardi, dopo la stanchezza del lavoro, delle lunghe corse

sui sentieri, e dopo la cena consumata a lume di candela, mamma

Margherita porta fuori i suoi piccoli. Si siedono a respirare l'aria

fresca, a guardare il cielo, quel «video» silenzioso e bellissimo che

Dio ha acceso da milioni di anni sopra le nostre teste.

E dice: Quante cose belle il Signore ha fatto per noi! Giovanni

guarda queste cose tranquille e bellissime.

E accanto alla mamma, ai fratelli, ai vicini impara a vedere

un'altra persona: Dio.

Una persona grande, invisibile.

Una persona in cui sua madre ha una confidenza illimitata,

indiscutibile. Una persona così vicina che può pensare:

«Dio sta qui».

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educato all’attenzione ai poveri

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Ma per Margherita, Dio non abita solo in cielo.

È presente nei poveri, nei malati, nelle persone che hanno bisogno di

aiuto. Nelle sere d'inverno, mentre la campagna era coperta di neve,

veniva a bussare alla porta della casetta qualche mendicante.

Margherita, non ce la faccio più a camminare.

Volevo arrivare fino a Morialdo,

ma i piedi sono come due pezzi di ghiaccio.

Lasciatemi stare qualche minuto accanto al fuoco, per amor di Dio.

Margherita lo faceva venire avanti, poi diceva a Giovanni:

Fai scaldare una scodella di brodo.

Guardava le scarpe del mendicante:

Sono proprio a pezzi, e io non so aggiustarle.

Vi avvolgerò i piedi in due stracci di lana.

Poi andrete a dormire nel fienile. Domani starete meglio.

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educato all’incontro con il Signore

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La prima confessione

Quand'ero ancora molto piccolo, mi insegnò le prime

preghiere. Appena fui capace di unirmi ai miei fratelli,

mi faceva inginocchiare con loro mattino e sera:

recitavamo insieme le preghiere

e la terza parte del Rosario.

Ricordo che fu lei a prepararmi

alla prima confessione.

Mi accompagnò in chiesa,

si confessò per prima,

mi raccomandò al confessore,

e dopo mi aiutò a fare il ringraziamento.

Continuò ad aiutarmi fin quando

mi credette capace di fare da solo

una degna confessione.

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La prima Comunione

Avevo undici anni quando fui ammesso alla prima Comunione […]

Durante la quaresima, mia mamma mi aveva condotto tre volte alla confessione. Mi ripeteva:

Giovanni, Dio ti fa un grande dono. Cerca di comportarti bene, di confessarti con sincerità.

Domanda perdono al Signore, e promettigli di diventare più buono […]

Alla vigilia mi aiutò a pregare, mi fece leggere un buon libro, mi diede quei consigli che una

madre veramente cristiana sa pensare per i suoi figli.

Nel giorno della prima Comunione, in mezzo a quella folla di ragazzi e di genitori, era quasi

impossibile conservare il raccoglimento.

Mia madre, al mattino, non mi lasciò parlare con nessuno. Mi accompagnò alla sacra mensa.

Fece con me la preparazione e il ringraziamento, seguendo le preghiere che il parroco, don

Sismondo, faceva ripetere a tutti a voce alta.

Quel giorno non volle che mi occupassi di lavori materiali. Occupai il tempo nel leggere e nel

pregare. Mi ripeté più volte queste parole:

Figlio mio, per te questo è stato un grande giorno. Sono sicura che Dio è diventato il padrone del

tuo cuore. Promettigli che ti impegnerai per conservarti buono tutta la vita. D'ora innanzi vai

sovente alla comunione, ma non andarci con dei peccati sulla coscienza. Confessati sempre con

sincerità. Cerca di essere sempre obbediente. Recati volentieri al catechismo e a sentire la parola

del Signore. Ma, per amor di Dio, stai lontano da coloro che fanno discorsi cattivi: considerali

come la peste.

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Giocoliere di Dio …perché il Dio della gioia incontri i ragazzi

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Nella bella stagione le cose cambiavano, diventavano più impegnative. Nei giorni di festa i ragazzi delle case

vicine e anche di borgate lontane venivano a cercarmi. Davo spettacolo eseguendo alcuni giochi che avevo

imparato.

Nei giorni di mercato e di fiera andavo a vedere i ciarlatani e i saltimbanchi. Osservavo attentamente i giochi

di prestigio, gli esercizi di destrezza. Tornato a casa, provavo e riprovavo finché riuscivo a realizzarli anch'io.

Sono immaginabili le cadute, i ruzzoloni, i capitomboli che dovetti rischiare. Eppure, anche se è difficile

credermi, a undici anni io facevo i giochi di prestigio, il salto mortale, camminavo sulle mani, saltavo e

danzavo sulla corda come un saltimbanco professionista.

Ogni pomeriggio festivo, spettacolo.

Ai Becchi c'è un prato in cui crescevano diverse piante. Una di esse era un pero autunnale molto robusto. A

quell'albero legavo una fune, che tiravo fino ad annodarla a un'altra pianta. Accanto collocavo un tavolino

con la borsa del prestigiatore. In terra stendevo un tappeto per gli esercizi a corpo libero.

Quando tutto era pronto e molti spettatori attendevano ansiosi l'inizio, invitavo tutti a recitare il Rosario e a

cantare un canto sacro. Poi salivo sopra una sedia e facevo la predica. Ripetevo, cioè, l'omelia ascoltata al

mattino durante la Messa, o raccontavo qualche fatto interessante che avevo ascoltato o letto in un libro.

Finita la predica, ancora una breve preghiera e poi davo inizio allo spettacolo. Il predicatore si trasformava in

saltimbanco professionista.

Eseguivo salti mortali, camminavo sulle mani, facevo evoluzioni ardite. Poi attaccavo i giochi di prestigio.

Mangiavo monete e andavo a ripescarle sulla punta del naso degli spettatori. Moltiplicavo le pallottole

colorate, le uova, cambiavo l'acqua in vino, uccidevo e facevo a pezzi un galletto per farlo subito dopo

risuscitare e cantare con allegria.

Finalmente balzavo sulla corda e vi camminavo sicuro come sopra un sentiero: saltavo, danzavo, mi

appoggiavo con le mani gettando i piedi in aria, o volavo a testa in giù tenendomi appeso per i piedi.

Dopo alcune ore ero stanchissimo. Chiudevo lo spettacolo, recitavamo una breve preghiera e ognuno se ne

tornava a casa. Dai miei spettacoli escludevo quelli che avevano bestemmiato, fatto cattivi discorsi, e chi si

rifiutava di pregare con noi.

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…messo alla prova per imparare a vivere

Cascina Moglia come Garzone

A Chieri fra un sottoscala e diversi lavori

Non tutti gli amici sono buoni

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…lontano da casa per costruire amicizia

Quelli che avevano cercato di farmi partecipare alle loro squallide imprese, a scuola erano un disastro.

Così cominciarono a rivolgersi a me in maniera diversa: mi chiedevano la carità di prestare loro il tema

svolto, la traduzione fatta.

Il professore, venuto a conoscere la faccenda, mi rimproverò severamente. “La tua è una carità falsa – mi

disse – perché incoraggi la loro pigrizia. Te lo proibisco assolutamente”.

Cercai una maniera più corretta per aiutarli. Spiegavo ciò che non avevano capito, li mettevo in grado di

superare le difficoltà più grosse. Mi procurai in questa maniera la riconoscenza e l’affetto dei miei compagni.

Cominciarono a venire a cercarmi durante il tempo libero per il compito, poi per ascoltare i miei racconti, e

poi anche senza alcun motivo, come i ragazzi di Morialdo e di Castelnuovo.

Formammo una specie di gruppo, e lo battezzammo Società dell’Allegria.

Il nome fu indovinato, perché ognuno aveva l’impegno di organizzare giochi, tenere conversazioni, leggere

libri che contribuissero allegria di tutti. Era vietato tutto ciò che produceva malinconia, specialmente la

disobbedienza alla legge del Signore. Chi bestemmiava, pronunciava il nome Dio senza rispetto, faceva

discorsi cattivi, doveva andarsene dalla Società.

Mi trovai così alla testa di un gran numero di giovani. Di comune accordo fissammo un regolamento

semplicissimo:

1. Nessuna azione, nessun discorso che non sia degno di un cristiano.

2. Esattezza nei doveri scolastici e religiosi.

Questo avvenimento mi diede una certa celebrità. Nel 1832 ero stimato e obbedito come il capitano di un

piccolo esercito. Mi cercavano da ogni parte per organizzare trattenimenti, aiutare alunni nelle case private,

dare ripetizioni.

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…con una domanda …sulla volontà di Dio

Mi avviavo al termine dell'anno di umanità. Anche per me era giunto il tempo

di pensare seriamente a cosa avrei fatto nella vita.

Il sogno che avevo fatto ai Becchi mi era sempre fisso in mente. Devo anzi

dire che quel sogno si era rinnovato più volte, in maniera sempre più chiara.

Se volevo credere a quel sogno, dovevo pensare a diventare sacerdote. Avevo

anche una certa inclinazione a diventarlo.

Ma non volevo credere ai sogni. E poi la mia maniera di vivere, certe abitudini

che avevo preso, la mancanza totale delle virtù che sono necessarie ai

sacerdoti, mi rendevano molto incerto. La mia era una scelta molto difficile.

Quante volte avrei voluto avere una guida spirituale che mi aiutasse in quei

momenti. Per me sarebbe stato un vero tesoro, ma questo tesoro mi mancava.

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Profondamente santo

educatore

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Profondamente santo toglimi tutto il resto

Dammi le anime

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…nel quotidiano

santo Profondamente

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…nella gioia

santo Profondamente

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…nella gioia

santo Profondamente

Noi facciamo consistere la santità nello

stare molto allegri

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…con l’Eucaristia

santo Profondamente

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Un giorno accadde che Domenico mancò alla colazione, alla scuola e al pranzo.

Nessuno sapeva dove fosse. Nello Studio non c’era, a letto nemmeno. Quando il

Direttore (è don Bosco che scrive pur non nominandosi) fu informato, sospettò quello

che poi risultò vero: che fosse in chiesa. Era accaduto già altre volte. Il direttore entrò in

chiesa, andò dietro l’altare e lo vide fermo come un sasso. Teneva un piede sull’altro,

una mano appoggiata su un grosso leggio e l’altra sul petto, la faccia fissa e rivolta

verso il tabernacolo. Non muoveva palpebra. Don bosco lo chiamò. Non rispose. Lo

scosse, e allora Domenico lo guardò e disse: “Oh, è già finita la Messa?” .

“Vedi – dice il direttore mostrandogli l’orologio -,sono le due del pomeriggio”

Domenico domandò perdono del ritardo, ma il direttore lo mandò a pranzo,

dicendogli “se qualcuno ti chiede dove sei stato, rispondi che sei andato a fare una

commissione che ti avevo affidato”.

Un altro giorno, terminate le preghiere di ringraziamento dopo la Messa, sto per

uscire dalla sacrestia quando sento dietro l’altare una voce. Sembra uno che discuta.

Vado a vedere e trovo Domenico che parla, poi si arresta come per ascoltare la risposta.

Fra le altre cose sentii chiaramente queste parole: “Sì, mio Dio, ve l’ho già detto e ve lo

dico di nuovo: io vi amo e vi voglio amare per tutta la vita. Se voi vedete che sto per

offendervi, prendetevi la mia vita. Sì, preferisco morire piuttosto che offendervi”.

Qualche volta gli domandai che cosa facesse quando ritardava a uscire di Chiesa.

Con semplicità mi rispondeva:

“povero me, mi prende una distrazione,

perdo il filo delle preghiere

ùe mi pare di vedere cose tanto belle

che le ore volano via in un momento”.

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…del perdono

Profondamente santo

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…guidato da Maria

santo Profondamente

“Io ti darò la maestra

Sotto la sua guida si diventa sapienti

Ma senza di lei anche chi è sapiente

diventa un povero ignorante”

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O Maria vergine potente

Tu grande e illustre presidio della Chiesa

O Maria aiuto dei cristiani

Tu terribile esercito schierato a battaglia

Tu doni il sole che vince ogni tenebra

Tu nelle angosce e lotte della vita

Tu nei pericoli difendici dal nemico

Tu nell’ora della morte accogli l’anima in paradiso

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…in un dono totale

santo Profondamente

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…in un dono totale

santo Profondamente

“vi ringrazio delle preghiere fatte per la mia

guarigione. Io sono persuaso che Dio mi

concesse la vita per voi, perciò vi prometto che

tutta la mia vita la dedicherò tutta a voi, sino

all’ultimo respiro”

“io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo,

per voi sarei disposto a dare la vita”

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…in un dono totale

santo Profondamente

Nel 1987 Combal, professore all’università di Montpellier e

vera celebrità medita, fu chiamato al letto dell’infermo don

Bosco, quando questi era in viaggio a Marsiglia. Il dottore

esaminò con attenzione don Bosco. Per più di un’ora, lo

interrogò, stette alquanto a pensare e non diceva nulla.

“Ebbene?” Interrogò don Bosco. “Lei, - rispose il

medico, - ha consumato la vita con troppo lavoro. È

un’abito logoro, perché sempre indossato i giorni festivi, e i

giorni feriali. Per conservare tuttavia quest’abito ancora un

po di tempo, l’unico mezzo sarebbe di riporlo in

guardaroba. Voglio dire che per lei la medicina principale

sarebbe l’assoluto riposo.” “Ed è l’unico rimedio, al quale

non posso assogettarmi” rispose sorridendo il servo di Dio

(MB XVII, 57)

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