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Sanitanova Srl Prendersi cura del paziente in sala operatoria: dall’accoglienza al corretto posizionamento 1 Prendersi cura del paziente in sala operatoria: dall’accoglienza al corretto posizionamento Autore e Responsabile scientifico: Dott. Prof. Antonio Giovane, Chirurgo, Ospedale Santa Maria Nuova, Firenze. Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento n. 12 del 10/06/2010) a fornire programmi di formazione continua per tutte le professioni. Sanitanova si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa attività ECM. Inizio evento: 12/04/2015; ID evento: 124643 Riassunto L’accoglienza del paziente in sala operatoria inizia con una corretta e adeguata informazione che serve a prepararlo psicologicamente, riducendone lo stress. Prendersi cura del paziente significa soprattutto garantirgli condizioni di sicurezza attraverso una migliore performance del team di lavoro e una approfondita conoscenza dei possibili eventi avversi che possono succedere in sala operatoria. Questi aspetti, oltre a costituire competenze di base per gli operatori sanitari, sono una premessa inevitabile per trattare un altro elemento fondamentale: il posizionamento del paziente sul letto operatorio. Conoscere le ripercussioni connesse alle principali posizioni che il paziente può assumere è infatti utile a tutte le figure professionali coinvolte nell’assistenza all’interno della sala operatoria, dal momento che ognuna di queste ha responsabilità precise e ben definite nella gestione della sicurezza del paziente stesso nonché nella prevenzione degli eventi avversi. Keywords Comparto operatorio, accoglienza, consenso informato, sicurezza, posizionamento, letto operatorio, ripercussioni, prevenzione

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Sanitanova Srl

Prendersi cura del paziente in sala operatoria: dall’accoglienza al corretto posizionamento 1

Prendersi cura del paziente in sala operatoria: dall’accoglienza al

corretto posizionamento

Autore e Responsabile scientifico: Dott. Prof. Antonio Giovane, Chirurgo, Ospedale Santa Maria Nuova,

Firenze.

Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento n. 12 del 10/06/2010) a

fornire programmi di formazione continua per tutte le professioni.

Sanitanova si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa attività

ECM.

Inizio evento: 12/04/2015; ID evento: 124643

Riassunto

L’accoglienza del paziente in sala operatoria inizia con una corretta e adeguata informazione che serve a

prepararlo psicologicamente, riducendone lo stress. Prendersi cura del paziente significa soprattutto

garantirgli condizioni di sicurezza attraverso una migliore performance del team di lavoro e una

approfondita conoscenza dei possibili eventi avversi che possono succedere in sala operatoria.

Questi aspetti, oltre a costituire competenze di base per gli operatori sanitari, sono una premessa

inevitabile per trattare un altro elemento fondamentale: il posizionamento del paziente sul letto

operatorio. Conoscere le ripercussioni connesse alle principali posizioni che il paziente può assumere è

infatti utile a tutte le figure professionali coinvolte nell’assistenza all’interno della sala operatoria, dal

momento che ognuna di queste ha responsabilità precise e ben definite nella gestione della sicurezza del

paziente stesso nonché nella prevenzione degli eventi avversi.

Keywords

Comparto operatorio, accoglienza, consenso informato, sicurezza, posizionamento, letto operatorio,

ripercussioni, prevenzione

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Modulo 1. L’accoglienza del paziente giusto in sala operatoria

Obiettivi formativi

Al termine del modulo didattico, il discente sarà in grado di:

• conoscere le tappe fondamentali dell’assistenza nel comparto operatorio;

• conoscere e valutare le procedure corrette per la presa in carico del paziente nel comparto

operatorio;

• analizzare gli eventi avversi che possono verificarsi in sala operatoria, essendo in grado di

riconoscerne le cause e di identificare le possibili correzioni.

Introduzione

Una buona accoglienza del paziente in sala operatoria inizia dall’U.O. di appartenenza, con una corretta e

adeguata informazione che serve a preparare psicologicamente il paziente riducendone lo stress.

L’obiettivo è uniformare il comportamento degli operatori nell’esecuzione di procedure assistenziali e nelle

manovre tecniche specifiche per garantire qualità assistenziale uniforme e ridurre la possibilità di errori

procedurali. Questi episodi sono eventi per fortuna poco frequenti, ma quando si verificano possono

provocare gravi conseguenze al paziente, compromettendo seriamente la fiducia dei cittadini nei confronti

dei professionisti e dell’intero sistema sanitario.

All’interno del blocco operatorio esistono ruoli diversificati per il personale in genere, specie per quello

infermieristico. Ciò è dovuto alla peculiarità delle attività stesse e all’organizzazione del lavoro. Le funzioni

che vengono svolte sono di carattere assistenziale, tecnico e relazionale. L’attività relazionale e

assistenziale ha assunto maggior valore in relazione soprattutto all’aumento diffuso di tecniche di anestesia

che mantengono inalterato lo stato di coscienza del paziente. Il personale operante nel blocco operatorio

viene comunemente distinto in personale sterile e personale non sterile, a seconda che entrino in contatto

con lo spazio sterile costituito dal campo operatorio e dai piani dei tavoli servitori per lo strumentario

chirurgico.

L’infermiere strumentista è a tutti gli effetti un elemento dell’equipe operatoria, dal momento che svolge

anche un’azione fondamentale di supporto tecnico e assistenziale. L’infermiere di sala è personale non

sterile e svolge la sua attività assistenziale nel blocco operatorio. Provvede all’accoglienza del paziente, alle

esigenze dell’équipe durante l’intervento, al controllo e al monitoraggio delle funzioni vitali del paziente

durante l’immediato post-operatorio fino al momento del trasferimento del paziente presso l’U.O. di

degenza o l’Unità di Terapia Intensiva.

Le attività assistenziali infermieristiche sono molteplici, oltre a quella diretta nei confronti del paziente, vi

sono azioni che secondariamente sono quelle che prevedono collaborazione tra infermiere e medico-

anestesista (nelle diverse fasi di induzione, mantenimento e risveglio), tra infermiere e medico-chirurgo, tra

infermiere di sala e strumentista. Questo senza contare tutte quelle attività indirette che vengono svolte

dall’infermiere e che sono atte a garantire un’adeguata assistenza al paziente operando a partire dalla

disinfezione, sterilizzazione, al controllo delle apparecchiature tecnologiche (monitor, elettrobisturi, ecc.)

fino al controllo e alla preparazione dei dispositivi necessari al paziente (farmaci, fleboclisi, ecc.).

All’interno del blocco operatorio sono necessarie l’elaborazione di linee guida e di piani assistenziali,

fondamentali per garantire criteri standard di qualità dell’assistenza infermieristica in grado di fornire livelli

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di supporto uniformi e di alta qualità. L’arrivo di un paziente in emergenza-urgenza rappresenta un evento

critico per la sala operatoria; la capacità di attivarsi nel più breve tempo possibile ed in condizioni di

sicurezza è sicuramente un elemento qualitativo importante.

Continuità assistenziale dei monitoraggi di sala e della

documentazione infermieristica

L’assistenza nel blocco operatorio può essere suddivisa in tappe interconnesse tra loro:

• assistenza infermieristica preoperatoria, che ha inizio dal momento in cui il paziente viene affidato

al personale del blocco operatorio e termina con l’inizio dell’intervento chirurgico;

• assistenza infermieristica perioperatoria, che consiste in tutta quell’attività svolta dal momento

dell’ingresso del paziente nella sala operatoria e comprende tutto l’intervento chirurgico fino al

termine dello stesso. In questo ambito, si considera anche il trasferimento a letto o in terapia

intensiva-sub-intensiva;

• assistenza infermieristica post-operatoria, che si compie in sala risveglio e inizia al termine

dell’intervento chirurgico per cessare con il trasporto del paziente alla sua destinazione (U.O. o

altro).

Questa suddivisione schematica ha lo scopo di promuovere dei miglioramenti specifici nell’area della

sicurezza del paziente. Gli obiettivi che si devono raggiungere mirano a evidenziare alcune problematiche

sanitarie descrivendo le possibili soluzioni basate sull’evidenza. Partendo da questo assunto, si deve attuare

una solida progettazione del sistema che deve mirare all’erogazione di servizi sicuri. Il nostro obiettivo resta

quindi quello di identificare correttamente il paziente attraverso un sistema organizzativo tale o attraverso

un metodo che miri a migliorare l’accuratezza del nostro scopo. Considerando che gli errori di

identificazione del paziente si possono verificare, di fatto, in tutte le fasi della diagnosi e del trattamento,

nel nostro caso il paziente può essere sedato, disorientato e non del tutto vigile; può cambiare letto, stanza

o unità all’interno dell’ospedale; può avere disabilità sensoriali, oppure può essere soggetto ad altre

situazioni suscettibili di errori di corretta identificazione. L’intento di uno standard è duplice: in primo luogo

identificare un individuo in maniera attendibile in quanto persona destinataria di una prestazione o di un

trattamento; in secondo luogo, verificare la corrispondenza tra il servizio o il trattamento, la

documentazione clinica e quella specifica persona. L’organizzazione del blocco operatorio deve elaborare

un metodo che migliori l’accuratezza dell’identificazione del paziente. Il requisito di questo nostro primo

obiettivo si applica nell’ambito di un miglioramento della qualità e della sicurezza dei pazienti e delle cure,

elaborando nuove indicazioni con l’obiettivo di:

a) facilitare il riconoscimento del paziente da parte dell’operatore sanitario con una significativa

riduzione degli errori;

b) coinvolgere il paziente nel percorso di identificazione, rendendolo consapevole dei possibili rischi e

migliorando in questo modo la comunicazione con gli operatori, in modo da evitare eventuali errori

legati all’identificazione durante il suo percorso di cure.

La corretta identificazione del paziente Tutto ciò con l’obiettivo di ridurre i casi di non corretta identificazione del paziente. All’interno delle

aziende sanitarie, questo scopo deve essere considerato come un punto importante al fine di soddisfare i

nostri utenti. Pertanto, è indispensabile attenersi a precise regole tutte le volte che vengono effettuate

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azioni che presuppongono la presenza solo ed esclusivamente di quel paziente.

Abbiamo diverse modalità per riconoscere il paziente: la verifica del cognome e nome del paziente, la sua

data di nascita, l’attribuzione di un numero di identificazione univoco, l’applicazione di un braccialetto con

codice a barre e di altri identificativi elettronici. Il numero di stanza, letto o U.O. non possono essere

utilizzati come identificazione del paziente.

All’interno delle singole entità, specie se si tratta di U.O., queste procedure dovrebbero essere elaborate

tramite un percorso collaborativo e condiviso a garanzia dell’inclusione di tutte le possibili situazioni nelle

quali è necessario provvedere a individuare il giusto paziente. Questo protocollo identificativo può essere

applicato a tutte le strutture ospedaliere che si possono trovare di fronte a dei pazienti nelle seguenti

circostanze:

a) accettazione del paziente;

b) somministrazione di farmaci;

c) somministrazione di sangue ed emocomponenti;

d) prelievi di sangue o altri campioni biologici per esami clinici;

e) esecuzione di esami diagnostici;

f) esecuzione di altre terapie o procedure chirurgiche.

Ciò vale, ovviamente, in diversi ambiti ospedalieri, dove vi siano sia ricoveri ordinari sia ricoveri in urgenza-

emergenza. Tutto il personale sanitario e di supporto che si trova coinvolto nel processo di erogazione di

prestazioni individuali al paziente deve fare in modo da poter effettuare una corretta identificazione.

Questo strumento si deve trasferire e applicare in tutte le situazioni che riguardano la fase

dell’accettazione, quella – molto importante – del consenso informato, a cui dedicheremo successivamente

una particolare attenzione, quelle che attengono alla compilazione della cartella clinica, alla

somministrazione di sostanze medicamentose e così via.

La gestione dei dati anagrafici del paziente rappresenta il primo step operativo compiuto, qualunque sia la

procedura utilizzata, costituisce al tempo stesso la prima rilevazione dei dati e, come tale, deve garantire

che vi sia corrispondenza dei dati anagrafici forniti dal documento di identità esibito; inoltre deve poter

accertare l’iscrizione del paziente al SSN. L’identità del nostro paziente può individuarsi con certezza

soltanto attraverso i suoi dati anagrafici o attraverso l’identificazione della sua paternità o maternità (Testo

unico delle leggi di Pubblica Sicurezza 1931 come modificato e integrato dalla legge 224/63, dal D.P.R.

1656/65 e dalla legge 191/98 ossia la Bassanini Ter).

I cittadini italiani o stranieri in regola con l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale dovranno presentare il

documento di identità, il codice fiscale, la tessera sanitaria o altro documento comprovante tale iscrizione,

in corso di validità. Sono equipollenti alla carta di identità il passaporto, la patente di guida, la patente

nautica, il libretto di pensione, il patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, il porto

d’armi, le tessere di riconoscimento, purché munite di foto propria e di timbro o di altre segnature

equivalenti, rilasciate da una amministrazione dello Stato. (D.P.R. 445/2000 art. 35 comma 2 ). La tessera

sanitaria non rappresenta un documento di riconoscimento, costituisce invece valore come documento che

attesta l’iscrizione al SSN. Questi dati forniti all’accettazione faranno parte integrante dell’anagrafica del

paziente. Sia nell’U.O. che al momento di entrare in sala operatoria dovrebbero essere intrapresi

obbligatoriamente due passaggi.

1) La verifica verbale: l’operatore sanitario chiede espressamente con domanda aperta l’identità del

paziente (ad es.: Mi può cortesemente dire il suo nome, cognome e la sua data di nascita?). La

domanda dell’operatore non deve supporre la risposta (ad es.: Lei è il Sig. Mario Rossi nato a Roma

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il 12-12-1912?).

2) Il confronto e verifica tra i dati anagrafici forniti e la documentazione relativa alla prestazione in

essere. Questa identificazione deve essere eseguita dallo stesso operatore immediatamente prima

di svolgere la procedura e/o i trattamenti sopracitati. Tutti gli operatori che partecipano al processo

di cura e di assistenza sono responsabili dell’applicazione di questi comportamenti. L’elaborazione

di procedure per identificare in modo preciso il paziente avviene tramite un percorso collaborativo

che prevede il doppio identificativo. Questa procedura permette inoltre di evitare possibili errori di

omonimia o scambi di persona che possono accadere usando un unico identificativo (ad es.: n° di

letto o stanza).

La tappa fondamentale per la sicurezza del paziente In ambito chirurgico, l’identità nominale è un problema rilevante che si associa spesso ad altri rischi che si

possono verificare, quali sito chirurgico non corretto per quel tipo di paziente e, soprattutto, procedura non

corretta. Si possono identificare, nel percorso, alcuni momenti fondamentali per garantire sicurezza al

paziente.

a) L’identificazione del paziente attraverso due identificativi con doppio check (nome, associato a

documentazione clinica e lista operatoria);

b) il colloquio durante il consenso informato.

In sala operatoria, prima che il paziente riceva qualsiasi farmaco che possa influenzare le sue funzioni

cognitive, un componente dell’équipe (medico) deve:

• far dichiarare al paziente le proprie generalità, le ragioni dell’intervento e il sito chirurgico;

• segnare il sito da operare secondo una procedura organizzativa condivisa;

• realizzare il time-out controllo ultimo prima di iniziare la procedura chirurgica. Questo è coordinato

dal primo operatore e partecipato dall’intera équipe. Si verificano nuovamente i dati anagrafici, la

procedura da effettuare sul sito/lato da operare. Si controllano la documentazione clinica e le

immagini radiologiche.

Se il paziente, per la propria condizione clinica o per età, non è in grado di rispondere alle domande poste,

è necessario coinvolgere i familiari o altre persone che siano in grado di fornire i dati richiesti con certezza.

Vi devono essere degli indicatori di monitoraggio, i quali devono poter verificare il numero delle corrette

identificazioni del paziente prima di qualsiasi procedura, rispetto al totale dei pazienti accettati (ad es.

ricoveri presso una U.O.), ossia (Figura 1):

Figura 1. Indicatori di monitoraggio sui ricoveri in una U.O.

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Questo monitoraggio, a seconda della realtà in cui si opera, può essere trimestrale, quadrimestrale o

semestrale. Nell’ambito di questo programma, vi devono essere anche politiche e procedure che mirino a

prevenire un intervento chirurgico nel paziente sbagliato, con procedura sbagliata, in una parte del corpo

sbagliata. Le ricerche in tal senso sono limitate. La maggior parte degli studi sono retrospettivi, portati

avanti da varie organizzazioni professionali.

Gli eventi avversi in sala operatoria

I primi tentativi che affrontavano il problema sono da attribuire all’American Academy of Orthopedic

Surgeons e al North American Spine Society. Queste società portarono avanti una campagna di

sensibilizzazione per implementare la marcatura del sito chirurgico (luogo e lato della colonna vertebrale) e

creare una lista di controllo per il paziente insieme a una procedura di verifica preoperatoria. Dai dati

emerge che fino al 1999 non c’era una precisa conoscenza del fenomeno, in quanto non vi era un processo

per la rilevazione, la segnalazione e il monitoraggio di questi eventi. Molto spesso questi dati potevano

essere ricavati studiando quelli che venivano chiamati “eventi sentinella” o considerando le pratiche

risarcibili sotto le voci di malpractice. Si tratta di eventi che determinano un’esperienza alquanto negativa

per il paziente e hanno un impatto parimenti negativo sul team chirurgico. Sono eventi rari, anche se

emergono sempre più dati precisi sulla loro prevalenza. Secondo la letteratura, solo il 10% di questi sono

segnalati. Si va da un minimo di 1 su 27.686 a un massimo di 1 ogni 112.994 interventi chirurgici oppure 1

su 5 chirurghi della mano nel corso della loro carriera o 1 su 4 chirurghi ortopedici con 25 anni di

esperienza.

Indipendentemente dal loro numero, essi sono visti come un prevedibile errore medico. L’incidenza sembra

aumentare negli ultimi anni: si è passati da poco più di 15 del 1998-99 fino a 592 fino alla fine del 2007.

Questi errori si verificano più comunemente in Ortopedia o in procedure pediatriche, in Chirurgia Generale,

in Urologia e Neurochirurgia. Tali interventi rappresentano eventi particolarmente gravi che possono essere

determinati da diversi fattori, quali la carente pianificazione preoperatoria, la mancanza di meccanismi di

controllo, l’inadeguata comunicazione tra operatori sanitari e pazienti e/o tra operatori all’interno del team

chirurgico. Le strutture sanitarie dovrebbero raccogliere le raccomandazioni contenute in letteratura,

specie nel documento della JCI (Joint Commission International) che riporta pratiche cliniche basate

sull’evidenza che dovrebbero attivare dei progetti con l’obiettivo di tradurre nella pratica le procedure che

si intendono adottare. Infatti, l’errato sito chirurgico è anche causato da una mancanza di un sistema

formale che è tenuto a verificare l’esattezza del sito di un intervento, oppure da un guasto di questo

sistema organizzativo.

Le cause degli eventi avversi Valutando in senso analitico le cause che determinano questi eventi, emerge che al primo posto troviamo

un errore di comunicazione (nel 70% dei casi circa), seguito da una cattiva gestione della procedura (64%

dei casi), a cui fa seguito una mancanza di leadership chirurgica (46%). La Figura 2 riassume tutto in un

grafico.

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Figura 2. Le principali cause di eventi avversi in sala operatoria

Altri fattori di rischio entrano in gioco nel determinare l’errore di identificazione del sito. Essi possono

essere riassunti in:

• mancanza di controlli istituzionali da parte dei vertici aziendali;

• mancanza di una lista di controllo per assicurarsi che ogni verifica sia stata compiuta;

• esclusione di alcuni membri del team chirurgico;

• particolari esigenze in termini di tempo (ad es., emergenze impreviste o grandi volumi di

procedure);

• pressioni per ridurre i tempi di preparazione preoperatoria;

• procedure che richiedono tecnologia di uso non corrente;

• competenze e credenziali del team di sala operatoria;

• disponibilità alle informazioni;

• adeguata cultura organizzativa e orientamento alla formazione;

• carenza di personale;

• caratteristiche dei pazienti, come obesità e anatomia insolita, che richiedono modifiche nel

posizionamento abituale del paziente;

• revisione inadeguata della cartella clinica;

• procedure multiple su più parti di un paziente eseguite durante un singolo intervento.

Questi accorgimenti si dovrebbero realizzare su tutti gli interventi chirurgici e sulle procedure invasive

che vengono eseguite in sala operatoria o in altri setting ospedalieri, in tutte le U.O. e in radiologia

interventistica.

A questi errori contribuiscono atteggiamenti e fattori concomitanti che completano le precedenti,

quali:

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• una cultura refrattaria alla comunicazione tra tutto il personale

• il mancato coinvolgimento del paziente sulla procedura da attuare;

• l’inadeguatezza della verifica della documentazione clinica;

• problemi relativi all’illeggibilità della calligrafia e all’utilizzo delle abbreviazioni.

Per poter controllare meglio tutto ciò bisognerebbe prestare particolare attenzione a operazioni quali:

• marcare in maniera chiara il sito chirurgico (sede e lato);

• attuare un processo di verifica preoperatorio;

• time-out da eseguire immediatamente prima dell’inizio di una procedura chirurgica.

La marcatura del sito chirurgico deve coinvolgere attivamente il paziente e viene eseguita con un segno

univoco. Questo dovrebbe essere uniforme in tutta l’organizzazione e per tutta la struttura (utilizzare le

iniziali, o “sì”, o ancora una linea che rappresenta l’incisione proposta; la “X” può essere un segno ambiguo)

e dovrebbe essere fatto dalla persona che esegue l’intervento. Dovrebbe avvenire a paziente sveglio e

vigile, laddove possibile, ed essere visibile anche dopo la preparazione e il posizionamento sul letto

operatorio. Inoltre, dovrebbe essere fatto con un pennarello che rimanga visibile dopo il completamento

della disinfezione della cute. Marcatori adesivi non dovrebbero essere utilizzati. La verifica finale del sito

deve avvenire durante il time-out. Si deve porre attenzione in tutti i casi dove è possibile confondere il lato

(dx o sx), l’articolazione (dita delle mani o dei piedi), la lesione (in caso di lesioni multiple) o di livello (vedi

colonna vertebrale).

Il processo di verifica preoperatorio ha lo scopo di:

• verificare che si tratti del paziente giusto, della procedura corretta e del sito operatorio corretto;

• assicurarsi che sia disponibile, etichettata in modo appropriato e pronta per l’uso tutta la

documentazione clinica pertinente, comprese la radiografie e i reperti delle indagini.

Verificare l’effettiva presenza di eventuali apparecchiature, dispositivi e/o impianti speciali. Quando

necessario assicurarsi della presenza di sangue ed emocomponenti nel luogo appropriato,

precedentemente richiesti. Nel verificare tutto ciò, alcuni studi hanno dimostrato che qualora si

verificassero delle discrepanze, un’accurata revisione dei dati del paziente porterebbe a eliminare qualsiasi

tipo di incongruenza.

Gli strumenti per migliorare le performance Indagini retrospettive confermano che più della metà degli operatori sanitari hanno cambiato le loro

pratiche una volta venuti a conoscenza di informazioni riguardanti il corretto svolgimento delle loro

pratiche, specie nella fase delicata della gestione del preoperatorio. Il time-out permette di risolvere

eventuali situazioni di confusione o domande senza risposte. Questo passaggio viene svolto in sala

operatoria (ossia nel luogo in cui verrà eseguita la procedura) prima di iniziare qualsiasi tipo di manovra e

vede il coinvolgimento dell’intero team. Si documenta la modalità di questo processo sintetico attraverso la

compilazione di una check-list che dovrà essere conservata agli atti o, meglio ancora, in cartella clinica.

Questo è un breve momento di “pausa chirurgica” che si svolge dopo l’induzione dell’anestesia e prima

dell’incisione cutanea, richiede il coinvolgimento di tutti i componenti dell’équipe e comprende i seguenti

controlli.

a) Presentazione dell’équipe. Il coordinatore infermieristico chiede a ogni singolo componente di

presentarsi enunciando il proprio nome e il proprio ruolo. Il chirurgo, l’anestesista e il coordinatore

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confermano l’identità del paziente, il sito da operare, la procedura da attuare e il corretto

posizionamento del paziente sul tavolo operatorio.

b) Anticipazione di eventuali criticità. Successivamente, ogni componente a turno revisiona gli

elementi critici del proprio programma operatorio utilizzando come guida una check-list nella quale

si richiama la caratteristica dell’intervento (ad es., intervento di routine-durata complessiva). Infine

si valutano eventuali momenti di criticità che possono interessare la condotta chirurgica e quella

anestesiologica. L’infermiere strumentista conferma la sterilità del campo operatorio e dello

strumentario.

c) Profilassi antibiotica. Si verifica se la profilassi antibiotica sia stata somministrata entro 30-60

minuti. Il responsabile della somministrazione della profilassi deve fornire conferma verbale. Nel

caso in cui l’antibiotico sia stato somministrato oltre i 60 minuti dovrà essere somministrata una

dose aggiuntiva. Il coordinatore si accerta che questa indicazione sia stata eseguita.

d) Visualizzazione immagini. La visualizzazione delle immagini è importante per garantire l’adeguata

pianificazione ed esecuzione degli interventi chirurgici. Bisogna accertarsi che la visualizzazione

delle immagini sia necessaria per l’intervento. In caso affermativo bisognerà che queste siano in

sala e pronte per essere visionate durante l’intervento.

Anche per questo tempo vi sono degli studi che dimostrano come un briefing standardizzato pre-intervento

abbia portato a un netto miglioramento specifico nella comunicazione che ha permesso una precisa

valutazione globale delle pratiche da eseguire.

Gli elementi misurabili che sintetizzano questo processo sono:

a) un percorso collaborativo che è alla base di qualsiasi elaborazione di procedure che definiscono un

percorso uniforme a garanzia di un atto medico corretto;

b) una struttura organizzativa che utilizza degli strumenti univoci, condivisi per meglio operare nei

confronti del paziente e che anzi prevedono la collaborazione attiva di quest’ultimo (come avviene

per l’individuazione corretta del sito chirurgico).

La struttura organizzativa del blocco operatorio utilizza un percorso tecnico per verificare la presenza, la

correttezza delle documentazioni e la funzionalità di tutte le apparecchiature e i dispositivi necessari allo

svolgimento del proprio lavoro. Si utilizza una check-list prima di iniziare qualsiasi tipo di procedura.

La partecipazione del paziente: il consenso informato

Anche il consenso informato mira a espletare un’azione nell’individuare

e accogliere il giusto paziente in sala operatoria. Questo aspetto deve

essere portato a termine prima di eventuali trattamenti o procedure.

Una persona cosciente e capace, che necessita di cure mediche, non

può essere sottoposta ad alcun trattamento sanitario o procedura

diagnostica, anche se necessario e indifferibile, se non con un valido

consenso della persona interessata, dopo aver ricevuto idonea

informazione e sufficienti elementi di valutazione in ordine al

trattamento cui sarà sottoposto e ai rischi che da tale trattamento

possono derivare, nonché delle eventuali alternative terapeutiche.

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Consenso significa partecipazione, consapevolezza, informazione, libertà di scelta e di decisione della

persona con problemi di salute. La validità del consenso è inscindibilmente connessa a una preventiva e

completa informazione e incombe sull’operatore sanitario l’obbligo di offrire gli elementi indispensabili

perché la persona che dovrà sottoporsi a un trattamento sanitario sia sufficientemente edotta in ordine al

tipo di trattamento, alle alternative terapeutiche, alle finalità, alle possibilità di successo, ai rischi e agli

effetti collaterali. Il consenso informato – nonché l’informazione che lo precede, di cui è parte integrante –

non va inteso come un adempimento burocratico o come un momento di conflitto nella relazione medico-

paziente, e non si deve ridurre a una mera operazione di “stile” (cui magari si ricorre solo per garantirsi da

eventuali sequele giudiziarie), ma deve essere inteso come un momento di quella alleanza comunicativa

con il paziente che ha lo scopo di aiutare quest’ultimo ad affrontare nel modo più corretto la malattia.

L’informazione deve essere preventiva, attuale, ma sufficientemente precoce da consentire al paziente il

tempo di effettuare una scelta consapevole. Il consenso è valido quando presenta alcuni requisiti: tra

questi, la persona che dà il consenso deve essere titolare del diritto e deve essere informata sulle

caratteristiche della prestazione, specie quando si tratta di interventi chirurgici.

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Modulo 2. Il corretto posizionamento del paziente sul letto

operatorio

Obiettivi formativi

Al termine del modulo didattico, il discente sarà in grado di:

• operare una riflessione sulle modalità più corrette di assistenza ai pazienti in sala operatoria;

• conoscere le principali e più frequenti ripercussioni fisiche che il paziente deve affrontare come

conseguenza a un intervento chirurgico;

• conoscere le azioni e gli accorgimenti più efficaci da adottare per prevenire o ridurre le

ripercussioni fisiche al paziente.

Introduzione

Nel corso degli ultimi anni, le moderne organizzazioni sanitarie hanno mostrato una rinnovata attenzione

alle modalità di assistenza ai pazienti, sotto l’aspetto non solo dell’efficacia clinico-assistenziale, ma anche

della qualità del rapporto con gli stessi e, più in generale, dell’efficienza e della sicurezza dell’attività

sanitaria, introducendo il concetto di governo clinico. La strategia di governo clinico si caratterizza per la

forte integrazione fra i programmi che possono essere attuati nell’ambito del sistema di gestione della

qualità di una azienda e i vari programmi di accreditamento. Un percorso che si può avviare nell’ottica di

sistematizzazione propria del governo clinico e si sviluppa puntando essenzialmente a garantire percorsi di

cura efficaci ed efficienti, la sicurezza del paziente e una formazione orientata all’utilizzo di strumenti in

grado di garantire qualità clinica e organizzativa.

In particolare, si possono avviare programmi per:

• l’adozione di procedure per la sicurezza del paziente da sottoporre a intervento chirurgico, avendo

individuato, anche in ragione di analisi effettuate presso le strutture aziendali e alla luce della

letteratura nazionale e internazionale, tale percorso come uno dei più critici nell’erogazione delle

prestazioni sanitarie;

• l’elaborazione di percorsi diagnostico-terapeutici individuati sulla scorta di un’analisi delle criticità

condotta con criteri basati sulla rilevanza epidemiologica, sul livello di rischio, sull’alta variabilità

nella gestione clinica e sulla multidisciplinarietà;

• la gestione della documentazione sanitaria quale atto non meramente burocratico ma di garanzia

del paziente e degli operatori, al fine di ridurre la variabilità soggettiva spesso origine di quei

problemi di comunicazione che costituiscono causa di errore nella pratica clinica.

Lo sviluppo di questi progetti, nel più generale contesto del programma di governo clinico, potrà consentire

di documentare la qualità delle prestazioni e dei servizi erogati, di valutare l’impatto clinico, organizzativo

ed economico degli interventi svolti, nonché di formulare programmi clinico-organizzativi sempre più

orientati al “patient safety”, all’appropriatezza delle cure e al soddisfacimento dei bisogni dell’utenza.

Tutto ciò vuole essere una sintesi per introdurre un lavoro con delle indicazioni e delle guide per la corretta

attività degli operatori, al fine di favorire la diffusione e l’applicazione di suggerimenti per la formazione e

l’informazione degli operatori sanitari. Parallelamente, non dobbiamo dimenticare che una sentenza della

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Prendersi cura del paziente in sala operatoria: dall’accoglienza al corretto posizionamento 12

sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che il posizionamento del paziente sul letto

operatorio costituisce un’attività che deve essere svolta sotto il controllo medico o, meglio, di tutti gli

operatori sanitari, che devono all’unisono vigilare sul regolare posizionamento del paziente nel momento

stesso in cui questo avviene.

Il corretto posizionamento del paziente costituisce uno dei momenti più importanti del processo di

assistenza del paziente in sala operatoria, poiché un errore in tale ambito può comportare gravi danni al

paziente, spesso con lesioni – specie nervose – permanenti e di notevole entità. D’altronde, l’importanza

del corretto posizionamento appare ancor più evidente sia alla luce delle nuove tecniche chirurgiche, che

spesso necessitano di posizioni obbligate per la loro corretta esecuzione, sia per interventi di chirurgia

maggiore, che talora si prolungano per un notevole numero di ore.

Anche a seguito di tali considerazioni, e al fine di ridurre i rischi di lesione per i pazienti e di contenere il

rischio di contenziosi, si cercano di individuare azioni atte a gestire al meglio il rischio collegato al

posizionamento del paziente sul letto operatorio.

Scopo della presente trattazione è dunque definire le responsabilità e le modalità operative di gestione del

processo di posizionamento del paziente sul letto operatorio, con l’obiettivo di assicurare la migliore

esposizione chirurgica possibile e condizioni ottimali di omeostasi respiratoria e cardiovascolare, evitando

danni fisici da compressione e/o stiramento su strutture nervose, articolazioni e/o tessuti.

Numerosi dibattiti apertisi fra cinesiologi, fisiologi ed educatori fisici hanno riconosciuto come corretta

quella postura che “presenta caratteristiche di equilibrio, stabilità, economicità e naturalezza”. Tuttavia,

questa definizione non può, e non deve, far corrispondere la definizione di postura a principi e situazioni

biomeccaniche rigide e prefissate, perché ogni soggetto le adatta a condizioni fisico-strutturali, emotive e

psicosociali, personali e individuali. Questo concetto potrebbe far pensare che il posizionamento del

paziente richiesto sul letto operatorio, essendo quasi obbligato ai fini dell’espletamento delle procedure

chirurgiche, appartenga proprio a quelle situazioni biomeccaniche rigide e prefissate sopracitate,

comportando rischi alla sicurezza dello stesso.

Considerando la possibilità di tali rischi, bisogna specificare l’importanza di alcuni comportamenti, tra cui:

• l’importanza di adottare una procedura per il corretto posizionamento dei pazienti e per le tecniche

da utilizzare nelle diverse tipologie di interventi, con particolare riferimento alle manovre da

evitare;

• occorre prevedere un addestramento specifico degli operatori e che tutti i componenti dell’équipe

condividano la responsabilità per il corretto posizionamento del paziente, evitando di procurare

danni fisici a tessuti di ogni tipo;

• far sì che tutti i componenti (specie l’anestesista) collaborino all’identificazione ed esecuzione della

posizione corretta;

• assicurarsi che l’infermiere di sala posizioni il paziente secondo le indicazioni ricevute;

• essere certi che l’infermiere di sala assicuri la protezione dei punti di compressione.

La definizione di posizione

È un adattamento personalizzato all’ambiente fisico, psichico ed emozionale che prevede un corretto

allineamento e una corretta gestione motoria dello stesso in rapporto alla forza di gravità. Si definisce

corretta quando le varie parti del corpo si dispongono in maniera fisiologica, ossia quando si ottiene l’ideale

allineamento dei baricentri corporei. Più precisamente, quando il baricentro generale del corpo, che

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Prendersi cura del paziente in sala operatoria: dall’accoglienza al corretto posizionamento 13

rappresenta il centro di gravità (cioè il punto in cui si applica la risultante delle forze di gravità che agiscono

nei diversi punti del corpo umano) risulta allineato con il baricentro della parte superiore del corpo

(anteriore alle prime vertebre dorsali) ed è anteriore alla terza vertebra lombare.

La posizione rappresenta un adattamento all’ambiente e una situazione attiva per contrastare la forza di

gravità. Infatti, per mantenerla si attiva il cosiddetto tono posturale, vale a dire quel grado di tensione a

carico della muscolatura antigravitaria. La posizione presume una serie di piccoli aggiustamenti, ossia veri e

propri interventi muscolari automatici per meglio sopravvivere ai cambiamenti ambientali. Durante

l’intervento chirurgico, sia esso in anestesia generale, locale o periferica, il paziente deve esporre il sito da

operare e mantenerlo per tutta la durata dell’intervento. Gli vengono chieste posizioni che favoriscono una

migliore esposizione chirurgica. Questo, però, lo induce a perdere parzialmente o totalmente la sua

capacità di rispondere alle modificazioni ambientali attraverso la postura, rischiando di compromettere la

sua sicurezza. Ciò comporta, spesso, la manifestazione di quei segni e sintomi di un posizionamento non

fisiologico che si possono osservare solo nel post-operatorio e che vengono riconosciuti come complicanze

da mal posizionamento. Il posizionamento verrà pertanto definito corretto solo quando nella sua

applicazione si considerano quanto e come incide la forza di gravità su un corpo e i fattori che lo rendono

più fisiologico possibile. Più precisamente, nello scenario operatorio i più importanti fattori che rendono

fisiologico il posizionamento del paziente sono i seguenti.

1) La tipologia di anestesia adottata, se locale o generale. Nel primo caso il paziente può collaborare e

informarci dei suoi eventuali disagi posturali; nel secondo caso il paziente non collabora perché

incosciente e quindi la sua postura è affidata completamente all’équipe, che dovrà garantire

sicurezza, confort e assenza di danni intra e post-operatori; il lettino, con relativi supporti

predisposti, dovranno essere scelti in base alla tipologia dell’intervento e del tipo di soggetto (se

grasso, magro, con deficit posturali, ecc.), dotato di caratteristiche il più possibile ergonomiche e

confortevoli.

2) Le tecniche posturali adeguate al tipo di intervento – che sia addominale, ortopedico, ginecologico,

dorsale ecc. –, alla tipologia fisica del paziente (se brevilineo o longilineo), alle patologie

osteomuscolari di cui può essere portatore, a eventuali lesioni da traumi o precedenti interventi (ad

es., operazioni alle anche o alla colonna vertebrale).

Questi fattori dovranno essere tenuti in considerazione dagli operatori sanitari nel posizionare l’operando,

proprio perché durante l’intervento il paziente potrà trovarsi limitato e, quindi, non poter individuare e

segnalare gli stimoli dolorosi. In definitiva, viene considerato corretto quel posizionamento che interferisce

il meno possibile con le funzioni vitali e non provoca traumatismi legati a una posizione inadeguata del

paziente stesso.

Una negligenza in questa fase operatoria può avere conseguenze funzionali e, a volte, vitali. La funzione

respiratoria è costantemente alterata a causa della sindrome restrittiva provocata dall’anestesia generale.

Tuttavia, le conseguenze cliniche si riscontrano solo nel soggetto predisposto, e in alcune posizioni che

limitano l’espansione polmonare, come il Trendelenbug (Figura 1) e la posizione litotomica.

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Figura 1. Rappresentazione della posizione di Trendelenburg

Fonte: Wikipedia

Le manifestazioni emodinamiche posturali sono provocate dal peso e dal movimento rapido della massa

sanguigna al momento del posizionamento del paziente. L’anestesia generale ne accentua gli effetti

attraverso la diminuzione dei meccanismi riflessi compensatori. L’ipotensione arteriosa intraoperatoria è

riscontrata come cofattore nella comparsa di lesioni periferiche: ischemia nervosa centrale e periferica,

ischemia tissutale, rabdomiolisi.

L’origine posturale delle neuropatie periferiche è formale solo nel 10% dei casi. Qualunque sia la posizione,

i meccanismi lesionali sono la compressione e lo stiramento dei nervi. A livello dell’arto superiore, più

frequentemente colpiti sono il nervo ulnare per compressione e il plesso brachiale per stiramento. Nell’arto

inferiore il nervo peroneale superficiale, a livello del collo del perone, è il più esposto.

Queste lesioni si riscontrano nei punti di appoggio in tutte le posizioni. La loro prevenzione specifica è

essenziale e si basa sull’uso di supporti adeguati e sulla limitazione della durata del mantenimento della

posizione. Le complicanze osteoarticolari della posizione sono dolori articolari post-operatori. Le vere

lesioni articolari sono per fortuna rare.

Ogni posizione ha la sua parte di responsabilità quando le angolazioni articolari di riposo non sono

rispettate, sia negli arti che nel rachide. I soggetti anziani e gli artrosici sono quelli più frequentemente

coinvolti. Così, la genesi delle lesioni posturali è spesso multifattoriale e la modalità di prevenzione di

queste complicanze fa ricorso a una genesi globale del paziente. Una conoscenza dei meccanismi

fisiopatologici di tali complicanze è indispensabile al fine di applicare misure preventive efficaci.

Di seguito affronteremo, per ogni postura, i meccanismi fisiopatologici, le complicanze e le misure

preventive delle diverse posizioni operatorie.

Ripercussioni respiratorie

La posizione del paziente modifica i volumi polmonari, la distribuzione intrapolmonare dei gas inspirati e il

flusso ematico polmonare. La perdita della ventilazione spontanea, sostituita dalla ventilazione meccanica

nel corso dell’anestesia, inverte i regimi pressori intrapolmonari. La pressione intrapleurica e la pressione

inspiratoria si positivizzano all’inspirazione. Questi meccanismi, associati alla posizione operatoria,

provocano un effetto restrittivo sui volumi polmonari con la diminuzione della capacità funzionale residua

(CFR). Questa diminuzione della capacità funzionale residua può essere spiegata con la costituzione di

atelettasie precoci fin dall’induzione dell’anestesia, che prevalgono nelle zone polmonari declivi. Esse

corrispondono a un meccanismo di compressione nelle zone iuxtadiaframmatiche. Parallelamente, il flusso

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ematico polmonare di shunt aumenta rispetto al flusso ematico polmonare totale. Questo meccanismo è

responsabile di ipossiemia. La chiusura delle piccole vie aeree a partire da un certo volume polmonare

rafforza questa restrizione. Si tratta del volume di chiusura al di sotto del quale i bronchioli, e quindi

l’alveolo, collabiscono, cioè collassano.

Figura 2. Ripercussioni associate alle diverse posizioni operatorie

Questo fenomeno, a causa di una riduzione delle forze del ritorno elastico e dell’effetto del peso, inizia

dalle parti declivi del polmone. L’importanza delle atelettasie precoci per compressione non sembra

influenzata da sesso, età e tabacco. Al contrario, la superficie di queste atelettasie è dipendente dalla

frazione di ossigeno (FiO2, letteralmente frazione inspirata di ossigeno) utilizzata.

Alterazioni del rapporto ventilazione/perfusione polmonare sono provocate anche dall’associazione di

anestesia, ventilazione a pressione positiva e posizionamento sul letto operatorio. A riposo esiste una

diversa ripartizione del flusso polmonare tra la porzione superiore, media e inferiore del polmone. In quella

superiore, la ventilazione ha un effetto spazio morto. In quella media l’ossigenazione è ottimale. In quella

inferiore si ha l’effetto shunt.

Decubito dorsale o supino Quando il corpo è in appoggio al piano con tutta la sua parte posteriore o dorsale, un cuscino è poggiato

sotto la testa con le braccia lungo i fianchi o addotte su supporti imbottiti: in questo decubito vi è una

riduzione della CFR rispetto a quella eretta. La posizione litotomica o ginecologica (Figura 3) si definisce

quando il busto è supino, con le cosce flesse a 90° sul tronco, con gambe parallele al piano del pavimento,

appoggiate su appositi reggigambe ed eventualmente anche leggermente abdotte.

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Figura 3. Posizione litotomica, o ginecologica, in sala operatoria.

Fonte: www.evidencebasednursing.it

La posizione reclive o di Trendelenburg (vedi Figura 1) è quella che si fa assumere al malato posto supino

sul letto operatorio inclinando il letto stesso obliquamente in modo che la testa si trovi più in basso del

bacino fino a un massimo di 45°. Queste due posizioni aggravano la CFR. Occorre, in questi casi, indurre

l’anestesia con FIO2>80%. In decubito dorsale la distribuzione del gas avviene verso la parte alta del

polmone, mentre la parte inferiore è meglio perfusa. Tuttavia, il decubito dorsale migliora la gettata

cardiaca e permette una migliore ripartizione del flusso polmonare. La posizione litotomica e il

Trendelerbug, insieme all’obesità, riducono l’escursione del diaframma e la compliance polmonare,

provocando un effetto restrittivo sui volumi polmonari che si aggiunge a una riduzione del CFR legata

semplicemente al decubito dorsale stretto.

La posizione proclive o anti-Trendelenburg, ossia quella in cui il paziente è posto supino sul letto operatorio

inclinando la testa più alta dei piedi, e quella seduta sono più favorevoli alla meccanica respiratoria,

permettendo una migliore cinetica diaframmatica e una migliore ventilazione delle basi. In posizione

seduta, i volumi polmonari sono più elevati rispetto al decubito dorsale nel soggetto sano anestetizzato.

La posizione laterale (Figura 4) è quella in cui il corpo è appoggiato sul tavolo operatorio con una delle parti

laterali o fianco con l’anca e il ginocchio di appoggio flessi a 90°. L’arto inferiore controlaterale è

semiesteso. Non vi sono importanti compromissioni respiratorie rispetto a quella dorsale. Sono state

descritte atelettasie in decubito laterale a livello del polmone declive in pazienti che hanno disturbi

ventilatori preoperatori.

Figura 4. La posizione laterale in sala operatoria.

Fonte: www.evidencebasednursing.it.

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Decubito prono Si definisce tale quando il corpo è in appoggio al piano con tutta la sua parte ventrale, con appositi supporti

imbottiti sotto il torace e le ali iliache. Con ciò si evita la compressione addominale al fine di permettere

l’espansione massimale del torace. In questa posizione non vi è un aggravamento della funzione

respiratoria. La prevenzione delle complicanze respiratorie si basa principalmente sull’individuazione

preoperatoria dei soggetti a rischio per diagnosticare precocemente una scarsa tolleranza respiratoria

intraoperatoria.

Per esempio, i pazienti obesi senza un’alterazione respiratoria sottostante, per le loro caratteristiche

antropometriche, hanno complicanze sincopali più frequenti e più gravi, qualunque sia la posizione

operatoria. È a volte necessario il ricorso a tecniche di anestesia locoregionale. In tutti i casi il rapporto

beneficio-rischio deve essere valutato. Nel soggetto sano la vigilanza deve essere costante poiché possono

comparire complicanze respiratorie in seguito a un cattivo posizionamento degli ausili che comprimono il

torace in decubito ventrale o laterale.

Ripercussioni cardiovascolari

Le complicanze emodinamiche legate al posizionamento del paziente sono dovute agli effetti del peso e alle

variazioni più o meno improvvise della ripartizione della massa sanguigna nel settore venoso di capacitanza.

Il fattore essenziale che interviene nelle modificazioni dinamiche posturali è la pressione idrostatica.

Questa è simile in ogni punto della circolazione nel soggetto in decubito dorsale, ma varia di circa 2 mmHg

ogni 2,5 cm in ortostatismo. L’adattamento a questi effetti del peso chiamerà in causa due compartimenti

circolatori ematici.

Il sistema arterioso è un sistema ad alta pressione, scarsa compliance e capacitanza limitata. Esso è dotato

di una importante reattività, legata all’attività del sistema neurovegetativo e dunque resistente alle

variazioni posturali nel soggetto sveglio. Il sistema venoso è un sistema a bassa pressione e ad alta

capacitanza. Contiene il 75% della massa sanguigna ed è molto sensibile alle variazioni posturali; il

passaggio alla stazione eretta determina un aumento di 400-800 ml di sangue negli arti inferiori. Nel

sistema capillare l’aumento della pressione idrostatica provoca uno stravaso plasmatico che riduce il

volume ematico e provoca un aumento della pressione interstiziale responsabile degli edemi. Nel soggetto

sveglio, ogni riduzione del ritorno venoso si accompagna a una stimolazione immediata del sistema

baroriflesso, con una riduzione del tono parasimpatico, un aumento dell’attività simpatica e una risposta

umorale adrenergica.

Ne derivano un aumento della frequenza cardiaca, un aumento delle resistenze arteriose sistemiche,

nonché una venocostrizione con un miglioramento del ritorno venoso. La maggior parte degli agenti

anestetici ha un effetto inotropo negativo e simpaticoplegico. La ventilazione meccanica associata aumenta

la ripercussione emodinamica degli agenti anestetici attraverso l’inversione del regime di pressione

intratoracica provocando un ostacolo al ritorno venoso.

La parte di responsabilità specifica della posizione è impossibile da determinare, in quanto le alterazioni

emodinamiche osservate derivano da meccanismi multipli e interattivi. Nella posizione dorsale la stabilità

emodinamica è raramente compromessa. Questo decubito si accompagna a un miglioramento nel ritorno

venoso. La pressione idrostatica che si esercita sugli assi vascolari è approssimativamente la stessa nei

differenti punti dell’organismo. Nella chirurgia digestiva l’utilizzo di un sostegno può provocare uno

stiramento della cava con conseguente riduzione del ritorno venoso e un’importante caduta della gittata

cardiaca. La destrorotazione dell’utero gravidico può anche, al momento del posizionamento in posizione

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Prendersi cura del paziente in sala operatoria: dall’accoglienza al corretto posizionamento

dorsale, provocare una caduta della gittata cardiaca materno

posizione litotomica e di Trendelen

aumentato. Questo miglioramento del ritorno venoso avviene a spese del sistema splancnico e degli arti

inferiori. Oltre i 20° di inclinazione il ritorno venoso provoca un sovraccarico volemico toracico e il peso dei

visceri compromette la gittata cardiaca p

Il territorio della vena cava superiore è sottoposto a un regime pressorio che ostacola il ritorno venoso

cerebrale e che può compromettere la pressione di perfusione cerebrale. La posizione di Trendele

quindi controindicata in soggetti affetti da ipertensione endocranica. In posizione litotomica l

delle gambe può provocare una caduta della pre

ischemia acuta degli arti inferiori. Il rischio è maggiore in caso di utilizzo di fasce di contenzione venose e

nel soggetto affetto da arteriopatia periferica. Il riposizionamento degli arti inferiori può

un vero collasso per sequestro ematico. Questo fenomeno si riscontra anche in occasione delle anestesie

rachidee.

Decubito prono In questo decubito la pressione addominale e la compressione della vena cava sono responsabili di una

instabilità emodinamica. Il buon posizionamento mediante l

trasversalmente sotto il torace e le creste iliache permette di ridurre la compressione addominale. Lo

stesso risultato può essere ottenuto ponendo i sos

decubito prono si verifica una riduzione dell

corretta posizione sul tavolo operatorio.

Si ha un aumento delle resistenze vascolari sistemi

pressione arteriosa media e atriale

posteriore del torace; se la pressione esercitata dai visceri addominali è elevata (cattiv

ha una riduzione della compliance

richiede maggiori pressioni di insufflazioni in corso di ventilazione meccanica.

Una variabile della posizione prona è quella

posizione più declive. Per questo motivo vi può essere nel soggetto anestetizzato un sequestro ematico

importante di circa 600 ml di sangue. La correzione con un riempimento eccessivo,

particolare al momento del ritorno nel decubito dorsale. Si può scatenare

acuto anche nel post-operatorio immediato. Questo rischio è aumentato nel soggetto cardiopatico.

Figura 5. Rappresentazione della posizione

ente in sala operatoria: dall’accoglienza al corretto posizionamento

dorsale, provocare una caduta della gittata cardiaca materno-fetale per compressione aorto

nburg il ritorno venoso è favorito e il volume ematico intratoracico è

aumentato. Questo miglioramento del ritorno venoso avviene a spese del sistema splancnico e degli arti

il ritorno venoso provoca un sovraccarico volemico toracico e il peso dei

visceri compromette la gittata cardiaca per iperpressione intratoracica.

Il territorio della vena cava superiore è sottoposto a un regime pressorio che ostacola il ritorno venoso

rebrale e che può compromettere la pressione di perfusione cerebrale. La posizione di Trendele

affetti da ipertensione endocranica. In posizione litotomica l

delle gambe può provocare una caduta della pressione di perfusione ed essere responsabile di una

ischemia acuta degli arti inferiori. Il rischio è maggiore in caso di utilizzo di fasce di contenzione venose e

nel soggetto affetto da arteriopatia periferica. Il riposizionamento degli arti inferiori può

un vero collasso per sequestro ematico. Questo fenomeno si riscontra anche in occasione delle anestesie

In questo decubito la pressione addominale e la compressione della vena cava sono responsabili di una

instabilità emodinamica. Il buon posizionamento mediante l’applicazione di un sostegno imbottito posto

trasversalmente sotto il torace e le creste iliache permette di ridurre la compressione addominale. Lo

stesso risultato può essere ottenuto ponendo i sostegni longitudinalmente tra clavicola e ala iliaca. Nel

decubito prono si verifica una riduzione dell’indice cardiaco, le cui conseguenze sono silenti se vi è una

osizione sul tavolo operatorio.

Si ha un aumento delle resistenze vascolari sistemiche e polmonari, mentre rimangono invariati i valori di

pressione arteriosa media e atriale sinistra. In questo decubito, il peso del corpo riduce il diametro antero

posteriore del torace; se la pressione esercitata dai visceri addominali è elevata (cattiv

compliance polmonare, con conseguente aumento del lavoro respiratorio che

richiede maggiori pressioni di insufflazioni in corso di ventilazione meccanica.

Una variabile della posizione prona è quella genupetturale (Figura 5) in cui gli arti inferiori assumono una

posizione più declive. Per questo motivo vi può essere nel soggetto anestetizzato un sequestro ematico

circa 600 ml di sangue. La correzione con un riempimento eccessivo,

particolare al momento del ritorno nel decubito dorsale. Si può scatenare inoltre

operatorio immediato. Questo rischio è aumentato nel soggetto cardiopatico.

. Rappresentazione della posizione genupetturale.

Fonte: www.drugs.com

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fetale per compressione aorto-cavale. Nella

burg il ritorno venoso è favorito e il volume ematico intratoracico è

aumentato. Questo miglioramento del ritorno venoso avviene a spese del sistema splancnico e degli arti

il ritorno venoso provoca un sovraccarico volemico toracico e il peso dei

Il territorio della vena cava superiore è sottoposto a un regime pressorio che ostacola il ritorno venoso

rebrale e che può compromettere la pressione di perfusione cerebrale. La posizione di Trendelenburg è

affetti da ipertensione endocranica. In posizione litotomica l’elevazione

ssione di perfusione ed essere responsabile di una

ischemia acuta degli arti inferiori. Il rischio è maggiore in caso di utilizzo di fasce di contenzione venose e

nel soggetto affetto da arteriopatia periferica. Il riposizionamento degli arti inferiori può accompagnarsi ad

un vero collasso per sequestro ematico. Questo fenomeno si riscontra anche in occasione delle anestesie

In questo decubito la pressione addominale e la compressione della vena cava sono responsabili di una

sostegno imbottito posto

trasversalmente sotto il torace e le creste iliache permette di ridurre la compressione addominale. Lo

tegni longitudinalmente tra clavicola e ala iliaca. Nel

indice cardiaco, le cui conseguenze sono silenti se vi è una

che e polmonari, mentre rimangono invariati i valori di

. In questo decubito, il peso del corpo riduce il diametro antero-

posteriore del torace; se la pressione esercitata dai visceri addominali è elevata (cattivo posizionamento) si

con conseguente aumento del lavoro respiratorio che

in cui gli arti inferiori assumono una

posizione più declive. Per questo motivo vi può essere nel soggetto anestetizzato un sequestro ematico

circa 600 ml di sangue. La correzione con un riempimento eccessivo, ventricolare acuta, in

inoltre un edema polmonare

operatorio immediato. Questo rischio è aumentato nel soggetto cardiopatico.

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Prendersi cura del paziente in sala operatoria: dall’accoglienza al corretto posizionamento 19

Decubito laterale In questa posizione i parametri emodinamici sono poco modificati. Solo nella posizione laterale spezzata

(ad es., nefrectomia) una cattiva posizione del sostegno posto sotto la parte inferiore del torace,

comprimendo la cava, riduce il ritorno venoso. Questo sostegno deve essere posto sotto l’ala iliaca.

In decubito laterale destro l’ostacolo al ritorno venoso è aggravato dalla compressione delle vene epatiche.

Posizione anti-Trendelenburg e seduta La posizione proclive e, a maggior ragione, la posizione seduta provocano un accumulo di sangue nelle parti

declivi con una riduzione del volume sanguigno intratoracico, una riduzione della gittata cardiaca, un

aumento delle resistenze vascolari periferiche. Le conseguenze di queste posizioni dipendono dal grado di

inclinazione, dalle tecniche di anestesia e dal riempimento vascolare eseguito prima del cambiamento della

posizione.

Una ipercorrezione dell’ipovolemia relativa provocata da un sequestro ematico declive può provocare una

ipervolemia con edema polmonare al momento del ritorno al decubito dorsale. Nei pazienti con

insufficienza cardiaca questa posizione può causare uno shock o provocare problemi circolatori cerebrali in

pazienti con stenosi carotidee. La posizione seduta in neurochirurgia si accompagna a un aumento del

rischio di embolia gassosa. Questi emboli gassosi sono generalmente ben tollerati sul piano emodinamico e

respiratorio. In caso di forame interatriale pervio, emboli paradossi sono responsabili di lesioni vascolari

ischemiche cerebrali o coronariche.

Più in generale, queste complicanze si incontrano in tutte le posture, dove il sito operatorio e più elevato

dell’atrio.

Prevenzione Le complicanze emodinamiche del posizionamento interessano soprattutto i soggetti con insufficienza

cardiaca di vario grado. Tuttavia, i soggetti sani non sono al riparo dalla possibilità di una ipotensione

importante, specie quando vi è una severa ipovolemia, cioè una diminuzione del volume di sangue

circolante. In linea generale, la prevenzione passa attraverso la preparazione e l’ottimizzazione delle

condizioni preoperatorie dei pazienti a rischio (cardiopatici).

La scelta della posizione è talvolta limitata, ma un posizionamento lento e progressivo può prevenire

queste complicanze emodinamiche posturali. Il rispetto dell’equilibrio emodinamico nella donna gravida

passa attraverso un posizionamento in decubito laterale sinistro del bacino con l’aiuto di un sostegno

morbido. Un’inclinazione del 30% sarebbe sufficiente per eliminare la compressione della cava. Quando gli

arti inferiori sono sopraelevati, l’utilizzo di una contenzione venosa elastica semplice alla fine

dell’intervento limitando i rischi di ipotensione importante, quando si abbassano le gambe.

Per limitare queste variazioni volemiche, l’abbassamento delle gambe si esegue progressivamente, una

gamba dopo l’altra. In posizione proclive, una contenzione elastica o un sistema di compressione plantare

intermittente aiutano il ritorno venoso e limitano il sequestro ematico. Il corretto posizionamento dei

sostegni riveste un’importanza fondamentale. Sostegni mal posizionati possono provocare ipotensione

arteriosa per compressione o stiramento vascolare.

Ripercussioni oculari

I danni oculari nel corso dell’anestesia generale possono essere la conseguenza diretta di una compressione

diretta del bulbo oculare o di meccanismi indiretti che mettono in gioco diversi fattori, la posizione

operatoria, l’anemia l’ipo o ipervolemia. Anche delle lesioni congiuntivali o corneali possono insorgere in

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Prendersi cura del paziente in sala operatoria: dall’accoglienza al corretto posizionamento 20

occasione di un meccanismo lesivo diretto. Le lesioni vanno dalla semplice abrasione corneale a delle vere e

proprie cecità.

In letteratura, la frequenza di questa complicanza varia a seconda degli studi e dal tipo di chirurgia. È

compresa comunque tra lo 0,05% e l’1%. L’incidenza reale, comunque, è difficile da determinare, poiché

alcune lesioni sono asintomatiche. Quando sono diagnosticate, le lesioni corneali rappresentano la maggior

parte delle lesioni oftalmologiche post-operatorie. Nel corso di un’anestesia generale la perdita dei riflessi

corneali di protezione e la riduzione delle secrezioni lacrimali e dell’ammiccamento regolare rendono la

cornea più fragile per carenza di idratazione e la espongono a lesioni traumatiche. Uno spostamento

intraoperatorio della testa, più che una cattiva posizione iniziale, è spesso all’origine di questa complicanza.

Altre lesioni oftalmologiche di compressione oculare sono responsabili di una occlusione dell’arteria

centrale della retina. La genesi di questa lesione è direttamente legata a un aumento della pressione

intraoculare. La pressione di perfusione dell’arteria centrale della retina è uguale alla pressione arteriosa

sistemica meno la pressione intraoculare. Una compressione troppo intensa del globo oculare è quindi in

grado di produrre un’occlusione della arteria e un’ipotensione prolungata può esserne una concausa. La

responsabilità della posizione si associa a delle stigmate cutanee di compressione oculare diretta sul lato

oculare interessato.

Alcune lesioni invece interessano il nervo ottico con la neuropatia ottica ischemica. Si tratta di un infarto

del nervo ottico. Questo interessamento può comparire nel segmento anteriore del nervo ottico stesso. In

questo caso una percentuale di responsabilità è attribuita a un aumento della pressione intraoculare. La

neuropatia ottica ischemica posteriore non ha alcun rapporto con le variazioni di pressione intraoculare. In

entrambi i casi numerosi fattori sistemici concorrono alla comparsa di questa neuropatia. La responsabilità

propria di ogni fattore non è chiara. L’incidenza di queste alterazioni non è trascurabile nella chirurgia

cardiaca e nella chirurgia vertebrale.

Le ipotesi sono durata degli interventi superiore alle 6 ore e cospicue perdite ematiche. Spesso anche il

riempimento eccessivo con cristalloidi può determinare un simile danno. Il decubito prono e la posizione di

Trendelenburg determinano un aumento della pressione tissutale e venosa oculare che, associate spesso

ad altre cause (aterosclerosi, diabete e obesità), concorrono a determinare queste lesioni oculari.

Decubito dorsale e posizione litotomica Il rischio oculare riguarda soprattutto le lesioni traumatiche dirette della cornea. Questo rischio si riscontra

soprattutto nella chirurgia del capo, dove la cornea può essere lesa direttamente dall’operatore,

soprattutto se le condizioni del campo operatorio rendono impossibile la sorveglianza. Nel decubito

laterale, l’occhio situato in basso è esposto a lesioni corneali da compressione. In decubito prono lo scopo è

quello di evitare le compressioni estrinseche che compromettono la vascolarizzazione intraoculare. In

questo decubito si verifica un aumento della pressione oculare, resa più significativa dall’associazione della

posizione di Trendelemburg. L’ostacolo al ritorno venoso induce una congestione del nervo ottico con

conseguente ischemia, che può essere responsabile di alterazioni visive.

La genesi di queste alterazioni si collega anche a fattori antropologici, quali età, sesso e l’indice di massa

corporea. Qualunque sia la posizione operatoria è indispensabile la prevenzione meccanica delle lesioni

corneali e congiuntivali. Essa si basa sulla chiusura manuale delle palpebre subito dopo la perdita di

conoscenza, seguita dall’occlusione palpebrale con l’aiuto di bande adesive. La prevenzione con

sostituzione lacrimale impedisce la disidratazione corneale. Gli unguenti grassi non sono impiegati. I gel

viscosi trovano invece un loro utilizzo. Per ciò che riguarda la neuropatia ottica ischemica, la prevenzione di

questo tipo di lesione si basa essenzialmente su ipotesi di responsabilità. Il rispetto dei valori fisiologici dei

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parametri emodinamici e di trasporto di ossigeno appare un atteggiamento preventivo logico, senza

peraltro che ciò ponga il medico al riparo dalla possibilità di incidenti oftalmologici intraoperatori.

Ripercussioni nervose

Le neuropatie periferiche post-operatorie rappresentano la seconda causa di denunce recensite. In

letteratura non vi sono chiari dati per ciò che riguarda le neuropatie centrali (cerebrali e midollari), che

predominano nel territorio vertebro-basilare perché le arterie vertebrali decorrono in un canale osseo

formato dalle apofisi trasverse vertebrali.

Esse possono essere stirate o compresse in occasione di movimenti della testa quali iperestensione. Spesso

esistono patologie concomitanti, quali alterazioni ateromasiche o displastiche, così come la presenza di una

artrosi cervicale. Questi aspetti non sono di secondaria importanza, perché se da un lato il posizionamento

corretto agevola l’intervento, dall’altro espone, se applicato in maniera scorretta, all’insorgenza di varie

problematiche. Per queste necessità si suggerisce di posizionare sul tavolo operatorio il paziente cosciente

in modo che possa riferire eventuali discomfort relativi alla sua posizione, prima di andare incontro ad

anestesia generale. Il sempre più frequente ricorso all’utilizzo di tecniche di anestesia loco-regionale per

interventi di chirurgia generale, ginecologici, urologici e ortopedici, se da un lato favorisce la verifica di un

corretto posizionamento, dall’altro espone al rischio che tale sintomatologia non possa essere avvertita nei

distretti anestetizzati.

Il meccanismo patogenetico finale con il quale si verifica il danno ai nervi periferici è legato all’ischemia del

nervo stesso, che, se sufficientemente duratur,a può trasformarsi in lesione nervosa, da funzionale a

permanente.

Le modalità con cui si verifica il danno sono:

• stiramento, con il quale si verifica una rottura dei vasi epinevrali con formazione di zone di

ischemia ed ematoma a carico del nervo stesso. La gravità della lesione è direttamente

proporzionale all’entità dello stiramento stesso; in alcuni casi può essere tale da provocare anche la

rottura del perinervio con erniazione delle fibre nervose e formazione di un vero e proprio

pseudoneuroma. Lo stiramento coinvolge soprattutto le strutture plessiche.

• Compressione/ischemia: di solito è provocata da agenti esterni quali piani di appoggio, dispositivi

pneumatici, accessori del tavolo operatorio o di strutture anatomiche vicine come le ossa. Anche in

questo caso, l’entità della lesione è direttamente proporzionale al grado di durata dell’insulto. È

importante tener presente che nel periodo intraoperatorio l’ischemia del nervo periferico può

essere favorita da cofattori che, nel corso dell’anestesia, possono essere necessari, quali l’ipotermia

e la ipotensione controllata, che riducono l’apporto di sangue e di ossigeno rendendo più

vulnerabile il nervo all’insulto ischemico. Da un punto di vista neurologico si distinguono in base

alla gravità del danno 3 gradi di compromissione (dal più lieve a quello più grave).

• Neuroprassia: si tratta di una disfunzione temporanea del nervo conseguente alla diminuzione di

breve durata del flusso ematico ai vasa nervorum. I nervi più sensibili a questo tipo di lesione sono

quelli con una grossa guaina mielinica, come i nervi motori e sensitivi profondi. Dal punto di vista

anatomo-patologico è rappresentata da una degenerazione mielinica di entità variabile.

• Assonotmesi: si verifica ogni volta che l’insulto ischemico è sufficientemente prolungato da

instaurare un danno mielinico e assonale esteso, senza coinvolgimento della matrice di sostegno,

della guaina endoneurale e delle cellule di Schwann. In questo caso il processo di rigenerazione, che

parte dal moncone prossimale, inizia circa dopo 3 settimane, e procede con una velocità di circa 1

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mm al giorno. Durante la fase riparativa possono comparire disestesie – disturbi della sensibilità

che provocano reazioni diverse dal normale agli stimoli – o anomalie motorie da alterata

conduzione nervosa. Il recupero è di solito completo.

• Neurotmesi: è provocata, oltre che da lesioni da taglio, da stiramento e da ischemia prolungata e

consiste nell’interruzione anatomo-funzionale completa degli assoni, delle strutture mieliniche e

connettivali di sostegno e della guaina di Schwann, senza nessuna possibilità di rigenerazione.

Tipica è la formazione del neuroma traumatico e da amputazione che si manifesta clinicamente con

disestesia e dolore da deafferentazione, cioè la soppressione, temporanea o stabile, del decorso

degli impulsi nervosi alle fibre afferenti.

Come si è visto, l’origine di queste complicanze è multifattoriale e le ripercussioni si possono avere non solo

a livello cutaneo e nervoso, ma anche a livello respiratorio, cardiovascolare, oculare e osteoarticolare. Il

corretto posizionamento del paziente, quindi, presuppone la conoscenza delle posizioni a seconda del tipo

di intervento e di accesso, nonché fattori quali:

• abitudini tecniche del chirurgo;

• ottima conoscenza dell’anatomia neuromuscolare e articolare;

• sensibilità/attenzione nell’analisi preoperatoria del paziente (fattori di rischio);

• conoscenza del tavolo operatorio e dell’accessoristica (verifica funzionale e integrità degli stessi);

• disponibilità di protocolli specifici per ogni tipo di intervento.

Qualunque sia la posizione assunta dal paziente sul tavolo operatorio, il rischio di lesione nervosa è sempre

presente. Prendiamo in considerazione le posture più frequenti utilizzate negli interventi e analizziamo le

lesioni correlate.

Decubito dorsale I punti di compressione di questa posizione sono la zona sacrale, i talloni, la zona scapolare. La protezione

dei punti di compressione consiste nell’applicare un rotolino imbottito sotto le caviglie per evitare il

decubito dei talloni. Applicare un cuscino sotto le cosce per evitare lo stiramento della zona poplitea e

l’iperlordosi lombare. Applicare sopra il lettino operatorio dei cuscinetti in gel per evitare il decubito sacrale

e scapolare. Applicare tra il tavolo operatorio e la zona lombare un cuscino per prevenire la sofferenza del

plesso lombare, specie in interventi di lunga durata.

Le altre complicanze sono legate allo stiramento del plesso brachiale, che si verifica quando l’estensione

dorsale e la flessione laterale della testa provocano un aumento della distanza tra i processi trasversi delle

vertebre e il cavo ascellare, con conseguente stiramento del plesso tra le fasce prevertebrale e ascellare.

Questo è anche particolarmente esposto alle lesioni compressive da parte delle strutture ossee vicine, che

sono la clavicola, la prima costa, l’apofisi coracoide e la testa omerale (sindrome dello sbocco costo-

clavicolare). Questo meccanismo lesionale è favorito dal rilassamento muscolare indotto dall’anestesia.

A livello del plesso brachiale, le lesioni predominano alle radici di C5-C6 e il nervo più frequentemente

colpito è il muscolocutaneo (Paralisi di Erb-Duchenne, che si presenta con spalla abbassata, braccio

intrarotato, addotto, pronato e pendente, per paralisi dei muscoli abduttori e flessori; a questo si associa

deficit della supinazione nella rotazione esterna del braccio). Se la lesione interessa la porzione bassa del

plesso C8-T1, il deficit compare a livello del nervo ulnare e del mediano (Paralisi di Klumpke-Dejerine, in cui

si osserva alterazione sensitiva estesa a tutta la regione ulnare dell’avambraccio e della mano).

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Quando si devono posizionare le braccia, queste devono essere sistemate a seconda delle specifiche

necessità, preferendo negli interventi di lato, ove non controindicato, che l’arto esteso sia opposto a quello

del sito chirurgico. Le braccia possono essere posizionate lungo il corpo con straps morbide e non strette,

oppure flesse sul paziente o estese su reggibraccia. Nel caso siano abdotte rispetto al tronco per evitare

lesioni del plesso, occorre che l’avambraccio sia pronato, il capo del paziente sia ruotato di 15° verso lo

stesso lato, l’angolo di abduzione del braccio rispetto al corpo sia sempre inferiore ai 90°.

Compressione del nervo radiale. Solitamente conseguente alla compressione a livello del terzo medio

dell’omero, nella doccia semispirale, da parte del bordo del tavolo quando l’arto è abdotto. Gli effetti

dannosi sono di tipo motorio, con deficit relativi ai movimenti di flesso-supinazione dell’avambraccio,

estensione di mano e dita, abduzione del pollice e lateralità del polso (ad es., mano cadente). Quelli

sensitivi comprendono l’ipoanestesia della cute della faccia posteriore dell’avambraccio e della metà

interna del dorso della mano.

Lesione del nervo mediano. Questo nervo può essere leso da una iperestensione del polso (ad es.,

incannulamento dell’arteria radiale in anestesia).

Neuropatia ulnare. È la lesione nervosa più frequente. Determina effetti motori come la riduzione o

abolizione dei movimenti della mano (mano ad artiglio). Causa deficit sensitivi come ipoestesia del lato

ulnare dell’avambraccio e della mano. Produce alterazioni trofiche come atrofia dei muscoli della mano; di

conseguenza il pollice si appiana come le altre dita (“mano da scimmia”). La sua vulnerabilità è massima a

livello del gomito a causa dei suoi rapporti anatomici con la doccia epitrocleare. Quando l’avambraccio è in

pronazione, le sollecitazioni meccaniche sono massime sul nervo, poiché questo è in contatto diretto con la

superficie ossea. Al contrario, se l’avambraccio è in supinazione, il contatto con il poggiabraccia avviene a

livello dell’olecrano e non si esercita alcuna pressione sulla doccia o sul nervo.

Esiste una predominanza maschile di questa patologia che può essere spiegata da una ipertrofia relativa del

processo coronoide e da una protezione interna meno rilevante del nervo ulnare da parte del tessuto

cellulo-adiposo. Si raccomanda pertanto una posizione neutra in questo decubito in virtù delle scarse

sollecitazioni meccaniche sul nervo ulnare.

L’abduzione degli arti superiori deve essere limitata a 90°. La posizione dell’avambraccio in supinazione può

essere giustificata, anche se è impossibile prevenire completamente la comparsa di questa neuropatia

ulnare. Una protezione morbida a livello del braccio e dell’avambraccio potrebbe ridurre questo rischio.

Nell’arto inferiore sono più frequentemente colpiti il nervo sciatico e il suo ramo terminale, il nervo

peroneale comune. Questo interessa la cavità poplitea e il tratto laterale del ginocchio, con effetti di

carattere esclusivamente sensitivo che possono estendersi sulla faccia mediale della coscia e della gamba

fino alla caviglia.

Nel decubito dorsale, specie nella posizione litotomica o ginecologica, si verificano la maggior parte delle

lesioni di questo nervo. Tale struttura è particolarmente esposta a una compressione diretta da parte dei

supporti delle gambe, impropriamente imbottite, in corrispondenza del collo del perone, contro il quale è

mantenuto da una aponevrosi inestensibile. Con una protezione ottimale dei punti di pressione, in questa

posizione si possono minimizzare i rischi di questo nervo. Inoltre, in questa posizione si può avere lo

stiramento del plesso lombare e sacrale, in particolare a carico del nervo sciatico e del nervo femorale, che

si presentano come strutture poco mobili e che possono essere danneggiate ogni qual volta si ha una

iperabduzione estrema del femore con rotazione esterna dell’anca.

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Si ha un interessamento del nervo femorale quando vi è una flessione e abduzione prolungata delle cosce

sull’addome. Lo sciatico può subire danni da compressione nel punto in cui il nervo esce dalla pelvi sotto il

muscolo piriforme, nel paziente sul tavolo operatorio in cui il gluteo controlaterale rispetto alla sede

dell’intervento poggia sul letto operatorio, mentre l’altro viene mantenuto sollevato con qualche supporto.

Può essere infine danneggiato quando vi è una flessione delle anche importante, senza che ci sia una

flessione delle ginocchia. Il nervo cutaneo laterale della coscia può essere compresso direttamente dal

montante delle staffe di contenzione. Il suo interessamento provoca una sintomatologia dolorosa e

parestetica sulla superficie esterna della coscia conosciuta come “meralgia parestetica”.

Nel decubito dorsale di Trendelenburg bisogna fare particolare attenzione al plesso brachiale, che può

essere leso quando con il braccio abdotto i reggispalla sono posizionati nel centro del muscolo trapezio

anziché a livello dell’articolazione acromio-claveare. In questo caso, i reggispalla possono comprimere il

plesso fra la prima costa e la clavicola. Anche l’abduzione del braccio posto su un piano inferiore rispetto al

tronco può provocare uno stiramento del plesso.

Decubito prono In questo caso il paziente viene posizionato con le braccia in supinazione lungo il corpo o su sostegni laterali

con abduzione del braccio <90°. Questa posizione causa statisticamente meno lesioni. Alcune protezioni

morbide devono essere poste sotto i gomiti per il rischio di compressione del nervo ulnare. Anche con

questa posizione si possono avere lesioni plessiche.

La lesione del nervo femorocutaneo laterale si verifica soprattutto nella posizione prona spezzata quando il

nervo viene compresso fra il legamento inguinale e la spina iliaca anteriore superiore da una parte e il

tavolo dall’altra, in assenza di un’adeguata protezione. La compressione del nervo ottico si verifica qualora

non si utilizzi la tastiera a tre punte per sorreggere la testa. Si può infine verificare una compressione

esterna del bulbo oculare che determina una sofferenza ischemica della retina.

Decubito laterale In questa posizione la compressione del plesso brachiale avviene tra la clavicola e la prima costa, quando

l’arto superiore venga lasciato libero di appoggiarsi sulla parete anteriore del torace. Lo stiramento dei

tronchi superiori del plesso si può verificare anche quando l’arto superiore viene sospeso a un archetto,

soprattutto per abduzioni maggiori di 90°. Per il nervo radiale la lesione si verifica a livello del terzo medio

dell’omero, nella doccia semispirale, per compressione tra l’arto che deve essere posizionato e il letto

operatorio, quando sotto l’arto si ha un’imbottitura impropria. Il nervo peroneo comune tra i nervi dell’arto

inferiore è quello più colpito in questa posizione. Viene compresso dalla testa del perone nell’arto che

viene più a contatto con il tavolo operatorio, nel suo passaggio lateralmente alla testa della fibula.

Ripercussioni cutaneomucose

La genesi delle lesioni cutaneomucose è multifattoriale. Tutte le posizioni operatorie possono provocare

lesioni cutanee. In effetti, qualunque sia la posizione operatoria, il corpo del paziente si appoggia su un

piano duro a livello di diverse salienze ossee. Questa ripartizione del peso corporeo associato al

rilassamento muscolare comporta una compressione diretta dei tegumenti e dei tessuti sottocutanei dove

scorrono i vasi.

La pressione capillare media è di 35 mmHg; una compressione superiore a questo valore determina una

lesione ischemica. Una lesione tissutale può anche essere osservata per meccanismo da taglio, quando

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sono applicate delle forze parallele ma di direzione opposta. Questo meccanismo lesivo si incontra

principalmente per le posizioni proclivi e declivi che creano forze di frizione che si oppongono allo

scivolamento del corpo sul lettino operatorio. La lesione ischemica locale libera dei mediatori

dell’infiammazione che possono essere responsabili di effetti sistemici sul rene o sul muscolo.

Alle forze di compressione si aggiungono alcuni fattori legati al paziente, come l’età, l’indice di massa

corporea, lo stato nutrizionale, il trofismo cutaneo, nonché alcuni fattori legati all’intervento chirurgico

come ipotermia e ipotensione arteriosa. Anche il rivestimento inadeguato del lettino operatorio può

favorire la comparsa di queste lesioni.

Decubito dorsale In questo decubito, i territori a rischio elevato sono l’occipite, le scapole, gli olecrani, il sacro e i talloni.

Nella posizione litotomica o ginecologica vi possono essere un aumento della pressione interstiziale

sottocutanea e una riduzione della pressione di perfusione tissutale che genera ischemia. Anche la

grandezza e il rivestimento dei supporti utilizzati contribuiscono alla genesi di zone con ischemia, in

particolare sulla faccia posteriore della coscia, nel cavo popliteo e nel polpaccio. L’obesità incrementa il

rischio di ipoperfusione delle zone compresse.

Decubito laterale e decubito prono Nel decubito laterale, le zone declivi sono ovviamente più esposte e si possono osservare sindromi

compartimentali a livello degli arti inferiori e dei glutei. Sono descritte lesioni a livello dell’avambraccio

quando viene fissato in adduzione forzata. Dal punto di vista della prevenzione, si ribadisce la necessità in

posizione litotomica di utilizzare apparecchi a compressione venosa intermittente degli arti inferiori per

evitare la stasi venosa e l’aumento della pressione interstiziale: questo provvedimento si potrebbe

utilizzare in tutte le posizioni che generano stasi venosa.

In decubito prono le creste iliache, le ginocchia e le punte dei piedi sono territori più esposti. In posizione

genupettorale è possibile una compressione muscolare diretta per flessione eccessiva della coscia sul

polpaccio o per la presenza di un appoggio posto a questo livello per evitare che il paziente scivoli indietro.

Anche la porzione anteriore della gamba è particolarmente esposta alla compressione. In tale posizione, il

peso del corpo deve essere ripartito su una superficie massima; per questo si applicano dei cuscini sotto le

caviglie e degli appoggi longitudinali o trasversali sotto il torace e il cingolo pelvico. Nella donna, la

posizione degli appoggi deve tenere conto delle ghiandole mammarie mentre nell’uomo si deve verificare

la posizione dell’apparato genitale.

In decubito laterale sono necessari dei cuscini tra i due arti inferiori e una protezione del gran trocantere

che appoggia sul lettino operatorio, specie nei soggetti magri.

Pertanto, diversi strumenti concorrono alla prevenzione delle lesioni muscolari o cutanee. L’impiego di gel

silicone permette una riduzione delle pressioni locali, un ampliamento delle superfici di appoggio e il

mantenimento di una adeguata pressione di perfusione tissutale Si raccomanda un riposizionamento

intraoperatorio delle zone anatomiche a rischio, quando è possibile, per gli interventi di lunga durata.

Ripercussioni osteoarticolari

Non esiste una posizione articolare ideale che si applica in tutte le condizioni operatorie: ogni articolazione

ha la sua posizione di riposo dove la capsula articolare e più lassa. In queste condizioni di riposo, le

costrizioni sull’articolazione sono minime. La ricerca della posizione di riposo si applica soprattutto agli arti

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inferiori; per gli arti superiori, le posizioni di riposo delle differenti articolazioni sono a volte incompatibili

con i vincoli chirurgici. Per l’anca, la posizione di riposo è costituita da una flessione e da una abduzione a

30°, associata a una breve rotazione esterna. Per il ginocchio, si ricerca una flessione di 30° e per la caviglia

una flessione plantare di 10°. Le malattie degenerative ossee e l’artrosi favoriscono la comparsa di fratture

e lussazioni articolari – rare – e di dolori osteoarticolari, più frequenti.

Decubito dorsale Nel decubito dorsale, pertanto, i problemi funzionali più frequenti riguardano l’asse rachideo a livello

dorsolombare e cervicale. Il rilassamento muscolare generato dall’anestesia provoca una perdita della

lordosi fisiologica, responsabile di lombalgia postoperatoria. Queste lombalgie sono favorite dalla posizione

e dall’ipertrofia glutea, che provoca un’iperestensione delle ginocchia e una mobilizzazione del bacino con

stiramento dei legamenti intervertebrali.

Tali lombalgie possono essere favorite dal posizionamento di protezioni sotto i talloni che accentuano

l’iperestensione delle ginocchia. L’iperestensione del collo in decubito dorsale è spesso responsabile di

cervicalgia postoperatoria, per tensione dei muscoli paravertebrali e del legamento intervertebrale

anteriore. Questa iperestensione si ritrova frequentemente quando, sotto le spalle, è stato posizionato un

cuscino. In posizione litotomica (vedi Figura 2), l’innalzamento non simultaneo delle gambe provoca una

messa in tensione dei legamenti interlombari e lombosacrali, fonte di lombalgie al risveglio.

Decubito laterale e decubito prono In decubito laterale, la posizione deve conservare l’asse testa-collo-torace durante la mobilizzazione e il

raggiungimento della postura definitiva. Il rilassamento indotto dai curari favorisce le lussazioni articolari in

occasione del posizionamento del paziente.

In decubito prono il rachide cervicale deve essere posizionato con precauzione. La colonna cervicale deve

rimanere rettilinea e la testa deve riposare su un supporto adatto. L’utilizzo di un collare cervicale prima

della mobilizzazione rappresenta una misura semplice ed efficace per prevenire le cervicalgie e i dolori in

regione scapolare nel post-operatorio in decubito laterale. Bisogna assicurarsi che nella fase intraoperatoria

la testa sia su un sostegno che ne permetta l’allineamento con il collo e con il tronco. Quando possibile, il

posizionamento da svegli assicura un controllo della tollerabilità e del benessere della posizione prima

dell’anestesia, rappresentando un mezzo semplice per trovare la posizione ottimale di un paziente.

Responsabilità delle figure professionali coinvolte

Il 1° operatore ha la responsabilità di identificare la posizione che garantisce la migliore esposizione

chirurgica in relazione al tipo di intervento e alla tecnica chirurgica, compatibilmente con la necessità di

assicurare le migliori condizioni di omeostasi respiratoria e cardiovascolare, e di indicarla nel programma

operatorio.

L’anestesista ha la responsabilità di collaborare con il primo operatore nell’identificare la posizione che

garantisce la migliore esposizione chirurgica nonché di vigilare su ciò che accade nel momento stesso in cui

avviene; deve inoltre gestire il capo del paziente durante il posizionamento, assicurando il mantenimento

delle vie aeree e occuparsi anche della protezione degli occhi.

L’infermiere di sala operatoria svolge attività ausiliaria di supporto e ha la responsabilità di posizionare il

paziente secondo le indicazioni del chirurgo e dell’anestesista. Deve anche assicurare la protezione dei

punti di compressione.

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Tutti gli operatori verificano l’eventuale presenza di aree ad alto rischio, preesistenti limitazioni funzionali

articolari del collo e degli arti, assenza di corpi estranei nei capelli. Come detto più volte in precedenza, se

possibile, il posizionamento sul letto operatorio può essere provato a paziente vigile e cooperante.

Conclusioni

L’eliminazione definitiva delle conseguenze riguardanti il mal posizionamento del paziente sul letto

operatorio è un obiettivo non arduo, e pertanto non difficile da raggiungere. Molti sono i fattori che

interagiscono fra loro, tra cui le caratteristiche proprie del paziente e dell’intervento (fattori intrinseci). Pur

tuttavia, le conoscenze, le competenze, la capacità di applicarle e soprattutto la collaborazione tra i vari

membri dell’equipe può ridurre l’incidenza di quei fattori di rischio estrinseci, ossia dipendenti dall’esterno

e dal nostro modo di affrontarli.

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Questionario ECM

1 Quale tipologia di funzione è svolta all’interno del blocco operatorio?

a) assistenziale

b) tecnica

c) relazionale

d) tutte le risposte indicate

2 L’infermiere di sala:

a) provvede all’accoglienza del paziente

b) provvede alle esigenze dell’équipe durante l’intervento

c) è responsabile del controllo e del monitoraggio delle funzioni vitali del paziente durante

l’immediato post-operatorio

d) tutte le risposte indicate

3 Quando ha inizio l’assistenza infermieristica preoperatoria?

a) dal momento in cui il paziente viene affidato al personale del blocco operatorio

b) dall’inizio dell’intervento chirurgico

c) dall’ingresso del paziente in sala risveglio

d) dall’arrivo del paziente in terapia intensiva-sub-intensiva

4 Quale delle seguenti NON può essere considerata una modalità di identificazione del paziente?

a) la verifica del nome e del cognome

b) l’attribuzione di un numero di identificazione univoco

c) l’applicazione di un braccialetto con codice a barre

d) il numero di stanza

5 Far dichiarare al paziente le proprie generalità, le ragioni dell’intervento e il sito chirurgico è

una procedura da attuare:

a) prima che il paziente entri in sala operatoria

b) al termine dell’intervento

c) in sala operatoria, prima che il paziente riceva qualsiasi farmaco che possa influenzare le sue

funzioni cognitive

d) nessuna delle risposte indicate

6 Quale delle seguenti è una possibile definizione di "eventi sentinella"?

a) eventi che determinano un’esperienza alquanto negativa per il paziente e hanno un impatto

parimenti negativo sul team chirurgico

b) eventi che consentono al personale di sala operatoria di effettuare le corrette procedure di

sanificazione

c) eventi che inducono il personale di sala operatoria a rimandare l’intervento a dopo che i

problemi evidenziati siano stati risolti

d) nessuna delle risposte indicate

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Prendersi cura del paziente in sala operatoria: dall’accoglienza al corretto posizionamento 29

7 Qual è la principale causa di eventi avversi?

a) errori di comunicazione

b) cattiva gestione della procedura

c) mancanza di leadership chirurgica

d) inadeguatezza delle strutture sanitarie

8 Quale dei seguenti controlli dovrebbe sempre essere effettuato durante la “pausa chirurgica”

che si svolge dopo l’induzione dell’anestesia e prima dell’incisione cutanea?

a) profilassi antibiotica

b) anticipazione di eventuali criticità

c) presentazione dell’équipe

d) tutte le risposte indicate

9 Quali caratteristiche deve avere una postura per essere definita corretta?

a) equilibrio

b) stabilità

c) naturalezza

d) tutte le risposte indicate

10 Chi ha la responsabilità del corretto posizionamento del paziente sul letto operatorio?

a) il chirurgo

b) l’infermiere di sala

c) l’anestesista

d) tutti i componenti dell’équipe

11 "Un adattamento personalizzato all’ambiente fisico, psichico ed emozionale che prevede un

corretto allineamento e una corretta gestione motoria dello stesso in rapporto alla forza di

gravità". È una definizione di:

a) posizione corretta

b) posizione

c) procedura di posizionamento

d) nessuna delle risposte indicate

12 Quale delle seguenti non è una possibile tipologia di ripercussioni associate alla posizione

assunta sul letto operatorio?

a) ripercussioni respiratorie

b) ripercussioni cardiovascolari

c) ripercussioni nervose

d) ripercussioni all’apparato digerente

13 La posizione di Trendelenburg:

a) si fa assumere al malato posto supino sul letto operatorio inclinando il letto stesso

obliquamente in modo che la testa si trovi più in basso del bacino fino a un massimo di 45°

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Prendersi cura del paziente in sala operatoria: dall’accoglienza al corretto posizionamento 30

b) è quella in cui il paziente è posto supino sul letto operatorio inclinando la testa più alta dei

piedi

c) è quella in cui il corpo è appoggiato sul tavolo operatorio con una delle parti laterali o fianco

con l’anca e il ginocchio di appoggio flessi a 90°

d) nessuna delle risposte indicate

14 Le possibili ripercussioni cardiovascolare conseguenti al posizionamento sul letto operatorio

riguardano:

a) tutti i soggetti indistintamente

b) solo i soggetti cardiopatici

c) tutti i soggetti, ma in particolare quelli con insufficienza cardiaca

d) esclusivamente i soggetti con ipovolemia, ossia una diminuzione del volume di sangue

circolante

15 A quale figura in particolare sono affidati la gestione del capo, il mantenimento delle vie aeree

e la protezione degli occhi del paziente durante il posizionamento?

a) all’infermiere di sala

b) al chirurgo

c) al primo operatore

d) all’anestesista