Premio Marina di Ravenna 2007 - Mostra delle opere

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Rassegna internazionale di Pittura Premio Marina di Ravenna 2007 52 a Edizione Edizioni Capit Ravenna Rassegna internazionale di Pittura / Premio Marina di Ravenna 2007 € 10,00

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Rassegna internazionale di Pittura Premio Marina di Ravenna 2007 57a Edizione Mostra delle opere Capit Ravenna

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Rassegna internazionale

di Pittura

Premio

Marina di Ravenna

200752a Edizione

Edizioni Capit Ravenna

Rassegna internazionale di Pittura / Prem

io Marina di R

avenna 2007

€ 10,00

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Rassegna internazionale di PitturaPremio

Marina di Ravenna2007

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Promossa da Capit Ravennain collaborazione con Pro Loco Marina di Ravenna

Patrocini Ministero per i Beni e le Attività CulturaliRegione Emilia RomagnaProvincia di RavennaComune di RavennaPresidenza Nazionale Capit

Comitato organizzatore Pericle Stoppa, presidente Gino BabiniFranco BertacciniMarino Moroni Beppe RossiMarta SaccomandiGiovanni Sarasini Serena Tondini Amalia Volanti

Commissione critica Nicola Micieli, presidenteToni BalislavSilvio Saura

Recapiti Premio di Pittura Marina di Ravennac/o Capit RavennaVia Gradenigo, 648100 RavennaTel. 0544 591715 - Fax 0544 598350e-mail: [email protected]

Esposizioni• Marina di Ravenna22 -26 agosto Park Hotel Ravenna• Parenzo, Croazia14 settembre -7 ottobreGalleria storica della Libera Università • Forlì23-26 novembreFiera d’Arte Contemporanea

Catalogo Grafica e cura editorialeNicola MicieliSchede artistico-biograficheAttilia TartagniVasja NagyFoto digitaliFoto Expert di Riccardo MontanariImpaginazione elettronicaRomina BartoliniMarco MacelloniStampaTipografia Bandecchi & Vivaldi, Pontedera

In copertinaHermann Nitsch, Schuettbild, 2007olio su tela cm 100x80

Si ringraziano Comune di ParenzoEmilio BeniniPatrizia BondiAristide CanosaniPier Bruno CaravitaRenato CauzoGiancarlo EmanuelliMassimo FeruzziGiovanni MaggiolaroKetrin Milicevic MijosekGiuseppe ParrelloAlberto RebucciClaudio Spadoni

Premio Marina di Ravenna 2007Rassegna Internazionale di Pittura

PARTNERS SoSTENiToRi

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Rassegna internazionale di Pittura

PremioMarina

di Ravenna2007

Edizioni Capit Ravenna

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ConCorso EstEmporanEo

1955 Corrado Corazza, Bologna1956 Giuliano Manoni, Ravenna

Franco Miele, Roma1957 Raffaele Costi, Roma

Francesco Verlicchi, Fusignano RA1958 Mario Massarin, Venezia

Manlio Serra, Roma1959 Tino Pelloni, Modena

Giovanni Perbellini, VeronaBerto Ravotti, Mondovì CNErmanno Vanni, Modena

1960 Nino Gagliardi, RomaRomano Reviglio, Cherasco CNGiulio Ruffini, RavennaRenzo Sommaruga, Verona

1961 Mariano Benedetti, Ascoli PicenoMario Carletti, Cossato VCShingu Susumo Giappone

1962 Tosco Andreini, Prato FI Gino Croari, Roma

Marcello Di Tomaso, UdineRiccardo Galluppo, Padova

1963 Giovanni Barbisan, TrevisoGiuseppe Cavallini, LivornoFrancesco Rossini, Ancona

1964 Stefano Cavallo, MilanoAndrea Gabbriellini, PisaGuido onofri, Ravenna

1965 Vittorio Basigli, RavennaMario Benedetti, CremonaGuido Botta, AlessandriaMauro Cozzi, Firenze

1966 Ulisse Bugni, ForlìAlessandro Filippini, RomaNevio Nalin, FerraraNerio Tebano, RomaFranco Toscano, Roma

1967 Piero Albizzati, MilanoNevio Bedeschi, Faenza RAAlberto Cavallari, ModenaAdolfo Grassi, BariGiorgio Spada, Forlì

1968 Nino Andreoli, S. Benedetto del Tronto APVanni Ratti, S. Terenzio SPFrancesco Rossini, AnconaCostantino Spada, Sassari

1969 Paolo Brambilla, Casalecchio BOAlberto Cavallari, Modena

1970 Aldo Mari, MilanoMichele Toscano, RavennaUmberto Zaccaria, Modena

Premio Marina di RavennaAlbo d’oro dei vincitori

1971 Natale Filannino, FirenzeFerriano Giardini, Ravenna

1972 Vito Montanari, Terra del Sole FOPietro Ribaldone, Busto Arsizio VA

1973 Enzo Cescon, TrevisoAldino Salbaroli, Ravenna

1974 Elvio Bernardi, Riccione FOGiosuè Biancini, Arona NO

1975 Franco Patuzzi, VeronaGiorgio Rinaldini, Rimini

1976 Dorian Bettancini, RavennaGiulio Picelli, Milano

1977 Adolfo Grassi, BariGiorgio Spada, Forlì

1978 Giorgio Rinaldini, RiminiGiacomo Vieri, Prato FI

1979 ivo Capozzi, MilanoRoberto La Carrubba, Roma

1980 Giorgio Rinaldini, Rimini1981 Giuseppe Simionato, Giulianova TE1982 Marcello Di Tomaso, Udine1983 Anteo Tarantelli, Teramo1984 Walter Coccetta, Terni1985 Nazareno Cugurra, Roma1986 Franco Sumberaz, Livorno1987 Elio Carnevali, Pegognaga MN1988 Franco Chiarani, Arco TN1989 Gaetano Tajariol, Cordenons PN1990 Claudio Gotti, Almenno S. Salvatore BG1991 Elvio Zorzenon, Udine1992 Giuseppe Siccardi, Padova1993 Vanni Saltarelli, Saronno VA1994 Temistocle Scola, Livorno1995 Romano Bertelli, Ostiglia MN1996 Renzo Codognotto, Codroipo UD1997 ido Erani, Vecchiazzano FO

Albino Reggiori, Laveno VA1998 Franco Ferrari, Modena

Gamal Gad Meleka, Vimodrone MI

1999 Nadia Cascini, ArezzoUgo Rassatti, Latisana UD

2000 Marino Collecchia, Montignoso MS

Gianni Gueggia, Castrezzato BS

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rassEgna di pittura

2003 Vela d’argento della criticaTommaso Cascella, Bomarzo VTBruno Ceccobelli, Todi PGMaurizio Di Feo, Gioia del Colle BAJean Gaudaire-Thor, FranciaGraziano Pompili, Montecchio Emilia RE

Vela d’argento del pubblicoMaurizio Delvecchio, Cesenatico FC

2004 Vele d’argento alla carrieraRenzo Morandi, RavennaConcetto Pozzati, Bologna

Vele d’argento della criticaUgo Nespolo, TorinoAurelio Caruso, PalermoLuigi Milani, RovigoHelmut Tollmann, Germania

Vela d’argento artista emergenteErzsebeth Palasti, Bomarzo VT

Vela d’argento del pubblico Giuseppe Siccardi, Vigodarzere PD

2005 Vela d’oro alla memoriaFranco Gentilini

Vele d’oro alla carrieraBiagio Pancino, Francia Germano Sartelli, Imola BO

Vele d’argento della criticaErio Carnevali, ModenaTommaso Cascella, Bomarzo VTEugenie Jan, FranciaFrank Moeglen, GermaniaFranco Sumberaz, LivornoAntonio Tamburro, Isernia

Vela d’argento artista emergenteDavide Feligioni Pantaleoni, Rimini

Vela d’argento del pubblicoElio Carnevali, Pegognaga MN

2006 Vela d’oro alla memoria Afro Basaldella

Vela d’oro alla carrieraGabriella Benedini, MilanoAntonio Possenti, Lucca Vela d’oro della criticaLorenzo D’Angiolo, LuccaGiuliano Ghelli, Firenze Claudie Laks, Francia

Giuseppe Simonetti, Palermo Vela d’oro artista emergente Mattia Battistini, Ravenna

2007 Vela d’oro alla carrieraEugenio Carmi, MilanoHermann Nitsch, Austria

Vela d’oro della criticaFranco Batacchi, VeneziaBernd Kaute, GermaniaTone Lapajne, SloveniaEnrico Manera, RomaFerran Selvaggio, Spagna Vela d’oro della stampaPaolo Collini, Milano

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PresentazionePericle StoPPa

Superato il mezzo secolo di vita, il Premio di pittura Marina di Ravenna, uno dei più longevi nel panorama artistico nazionale, ha allargato i propri orizzonti adottando per l’edizione 2007 – la 51a della sua storia – il dialogo tra popoli e culture diverse quale filo conduttore della manifestazione. Le origini del premio, sotto le insegne di concorso di pittura estemporanea, risalgono al 1955 quando il suo ideatore, lo scultore ravennate Walter Magnavacchi, intuì gli umori del momento riuscendo a trasformare l’appuntamento del Marina in un’occasione di incontro fra centinaia di pittori più o meno noti. La località ne trasse vanto e beneficio ospitando di volta in volta artisti importanti, critici d’arte e giornalisti, personalità dello spettacolo e della cultura.Il concorso divenne un fatto di costume reclamizzato dai film Luce e dalla stampa, non solo locale, con resoconti dedicati alla stessa Marina di Ravenna che ogni anno, sul finire di agosto, si popolava di pittori “en plein air”, intenti a trasferire sulla tela le bellezze paesaggistiche del luogo quali la spiaggia, l’ambiente della pesca, le zone vallive e le pinete, così come era richiesto dal bando di partecipazione.Per seguire i mutamenti profondi che hanno segnato l’evoluzione dell’arte negli ultimi decenni, il Marina dal 2003 si è trasformato in rassegna di pittura, riservando la partecipazione a circa 40 artisti espressamente invitati.È stato l’inizio di un percorso tuttora in atto, rivolto a far crescere la manifestazione sul piano dell’immagine e del rilievo artistico-culturale. Significativa in proposito la scelta, adottata con la presente edizione, di allargare il tema della rassegna all’Adriatico nella sua dimensione

sociale, storica e artistica, ovvero quale crocevia di culture e di incontro di popoli diversi, uniti dal mare e non divisi da frontiere.Con l’intento di dare contenuto e concretezza al nuovo tema della rassegna, sono stati coinvolti tra i diversi artisti stranieri invitati, 13 pittori provenienti da paesi dell’ex Jugoslavia che, con il loro bagaglio di esperienze, hanno apportato novità e arricchimento alla manifestazione. Sempre nell’ottica dello scambio culturale, le opere presentate alla rassegna 2007 sono state trasferite nella città di Parenzo, in Croazia, presso la sede settecentesca della Libera Università: un luogo prestigioso ed accogliente che ha valorizzato le peculiarità di ogni dipinto esposto.La mostra è stata inaugurata il 14 settembre alla presenza di alcune autorità locali, tra cui Nadia Stifanic Dobrilovic, vice sindaco di Parenzo, e Ketrin Milicevic Mijosek, responsabile delle attività culturali dell’Università, insieme ad una delegazione di amministratori ravennati.La felice esperienza della mostra a Parenzo, protrattasi fino al 7 ottobre, si è rivelata utile per dare continuità ai futuri progetti rivolti a consolidare ponti immaginari fra le coste dei nostri mari, nel segno dell’amicizia e del dialogo tra i popoli e attraverso le diverse forme espressive dell’arte.A conclusione di queste brevi note, sentiamo il dovere di ringraziare gli artisti che hanno accolto il nostro invito, i vecchi e nuovi sostenitori della manifestazione, le persone impegnate nella gestione dell’evento e i componenti della commissione giudicatrice.In proposito, ci preme ricordare l’amico Giancarlo Calcagni, direttore

della rivista specializzata Arte iN, da anni disponibile collaboratore della nostra rassegna. Proprio alla vigilia dell’evento, sul finire dell’agosto scorso, il riacutizzarsi del male che da tempo lo minava, non gli consentì di presenziare ai lavori della giuria, della quale era componente. Mentre i testi del presente catalogo venivano trasmessi alla stampa, è giunta la notizia della sua scomparsa. Non mancheremo di ricordarlo in occasione della prossima edizione del Marina che, ancora una volta, sarà nostra intenzione allestire all’insegna della creatività e dell’innovazione.

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Nicola Micieli

Una decisa apertura internazionale. È questo il dato di maggior evidenza dell’edizione 2007 del Premio di pittura Marina di Ravenna, la quinta dacché la tradizionale manifestazione di fine agosto è stata trasformata in rassegna a invito. Il cambio di impostazione si era reso necessario per il progressivo logoramento della formula originaria. Non corrispondeva più, difatti, al clima e alle motivazioni degli inizi né, del resto, alla pratica dei pittori, il già fortunato concorso “ex-tempore” che per almeno due decenni, aveva richiamato nella cittadina litoranea, da molte regioni italiane, una quantità di considerevoli artisti usi alla pittura dal vero o comunque disposti a misurarsi in presa diretta sul “motivo”, segnatamente il tema d’ambiente e di paesaggio. Con gli anni Ottanta e gli omai decisamente mutati orientamenti dei linguaggi pittorici correnti, i vincoli dell’ex tempore erano divenuti assai limitativi, anzi un vero e proprio anacronismo, restringendosi l’area di interesse e, di conseguenza, lo spessore dei partecipanti. Il cambiamento di rotta ha determinato un indubbio rilancio del premio, con un progressivo incremento qualitativo attestato quest’anno su un livello notevole, decisamente il più sostenuto nell’intera storia del premio, anche nelle presenze italiane, coprendo peraltro un buon ventaglio delle possibili e frequentate accezioni tecniche e linguistiche nello specifico, beninteso, della pittura variamente intesa quale applicazione e concertazione del segno, del colore, della materia. Le presenze straniere, in verità, hanno contrassegnato anche le precedenti quattro edizioni del premio nella nuova versione. Mai però così numerose e di tante nazionalità come in questa,

che vede rappresentati l’Austria e la Germania, gli Stati Uniti e l’Ungheria, l’Algeria e la Spagna. Una speciale e ben nutrita rappresentanza è poi quella dei diversi Paesi dell’ex Jugoslavia, giustificata dal fatto che il Premio di Pittura Marina di Ravenna si proponeva quest’anno di gettare le basi di un ponte ideale, che è da augurarsi troverà altre occasioni di crescita, tra le due sponde dell’Adriatico, puntando sul ruolo centrale della cultura quale terreno di incontro e collaborazione tra i popoli, nel rispetto delle identità nazionali e delle diversità individuali, delle quali l’arte è senza dubbio una delle più significative e feconde espressioni.Gli artisti dell’altra sponda adriatica, segnalati dal commissario Toni Balislav che ben li conosce, non hanno mancato di esemplificare, appunto, la varietà delle declinazioni individuali, soprattutto nell’ambito della pittura aniconica. Predominano le esperienze di ascendenza informale in accezione segnica nella scattante “Estate” di Kazimir Hraste, nell’evocativa composizione “Senza titolo” di Slavica Marin, nel suggestivo “Studio di statica per scultura bidimensionale” di Luca Stojnic. Di impianto minimalista sono le estese campiture di Andraz Salamun, cui vorrei giustapporre a controcanto lirico le “Terre di mare” del nostro Erio Carnevari. Un sostanziale riferimento informale, per quanto variamente mutuato ad altre valenze del linguaggio e non immemore di contesti e situazioni anche naturalistiche, si riscontra nelle materiche “Terre rosse” di Hari Ivancic, nel formicolante “Prato” di Miljenka Sepic e nella densa, crettata “Terra nel cielo” che Tone Lapajne, cui è andato una Vela d’oro della critica, ha realizzato utilizzando solo polveri naturali prelevate in diverse località della

Slovenia. Non pochi depositi informali filtrano anche negli artisti figurativi, come nella residuale immagine di sommossa tessitura espressionista dell’“Emmaus” di Licen Krmpotic, o, sotto specie di corposa maculazione, nel “citazionismo” sui generis di Gani Llalloshi. Un posto a sé, quale ricerca mirata al recupero poetico del segno-simbolo e della scrittura, occupano le “Annotazioni babilonesi” di Bruno Paladin, mentre si inscrivono in una figurazione contaminata ed evocativa lo “Specchio ovale” di Boris Zaplatil e “Salbunara” di Matko Mijic. Infine, il “paesaggio” mentale dominato da una torre di contemplazione metafisica, di Narcis Kantardzic, cui corrispondono i “Silenzi dell’infinito”, intenso interno/esterno di Paolo Collini, uno dei nostri maggiori rappresentanti della neo-metafisica, cui è andata la Vela d’oro della stampa.Equamente distribuiti tra figurazione e astrazione, segnatamente informale, gli altri stranieri, tra i quali cito per primo l’americano Frank Moeglen, già segnalato con la Vela d’oro della critica, e per assonanza sia dell’elegante cifra stilistica sia dell’oggettiva qualità e originalità di evoluzione grafo-pittorica del segno, il giovane catalano Ferran Selvaggio, in questa edizione segnalato con la Vela d’oro della critica.Tre modalità del racconto attraverso l’immagine pittorica si schiudono con la salda e archetipale figura muliebre in “Mio tulipano” dell’algerino (naturalizzato romano) Achir Brahim; con la palpabile sensualità della “Immersione mediterranea” del tedesco (ma residente in Toscana) Bernd Kaute, Vela d’oro della critica; con il grafismo simbolico con cui l’ungherese Erzsebeth Palasti propone memorie favolose nel suo “Omaggio al mare (profondo blu)”.

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Quanto ad Hermann Nitsch, padre dell’Azionismo viennese e fautore di una visione dell’arte come totale coinvolgimento, si dirà solo che gli è stata assegnata la Vela d’oro alla carriera e se ne segnalerà l’eccezionale presenza nella rassegna, alla quale imprime un’indubbia accelerazione.Analoga varietà di linguaggi e di registri espressivi si verifica nell’ampia rappresentanza dei pittori italiani. A cominciare dall’ingigantito taglio sul parziale, di forte impatto visivo, della “Bassa marea” di Cleonice Gioia, e da un’immagine altrettanto evidente, quale “The polaroid book” di Enrico Manera, un maestro della contaminazione dei codici visivi, a Ravenna riconosciuto con la Vela d’oro della critica. Su un versante segreto e minuziosamente indagato della figurazione, si pone “Jumara, ovvero perla d’argento” di Claudio Cargiolli, finissimo evocatore di pagine da atlante delle meraviglie naturali. Ha spessore esistenziale l’immersione di Ciro Palladino nel retroterra culturale mediterraneo, dove l’uomo contemporaneo riscopre le proprie radici. Alle quali pure alludono la misteriosa “Apparizione sull’Adriatico” di Franco Palazzo; il romantico veleggiare di navigli da leggenda, in “Adriatico. Poesia del mare” di Franco Sumberaz, già segnalato in altra edizione; la “Spiaggia” scomposta in dinamica compenetrazione dei piani da Antonio Tamburro, altra assidua presenza, e segnalata, al Premio.Ulteriori declinazioni dell’immagine, questa volta risolte con un gusto compositivo in cui il colore e il grafismo si intrecciano in godibili partiture, propongono Giampaolo Atzeni con il garbato “Un mare di incontri”; Gianni Mantovani il cui “Oltre l’orizzonte” è

un misuratissimo esercizio di semplicità e di eleganza; Raffaella Campolieti che indulge a un “bizantinismo” essenzializzato nel suo “Omaggio a Teodora”; Giuliano Ghelli pittore di ironico garbo narrativo, già segnalato lo scorso anno con la Vela d’oro della critica; Gennaro Sardella, pungente affabulatore satirico con il suo “Dicono sempre che tutto va bene”. Infine, Stefano Tonelli, pittore di scrittura rapida e corsiva nel suo “Tsunami”, in cui la gestualità trova una sua originale trasposizione e misura di immagine.Di astrazione per via di sintesi, peraltro in chiave simbolica, si colloca un altro gruppo di artisti che ognuno a suo modo, tentano, per così dire, un accesso ai radicali del significato. Si pone su una linea di confine, tra la geometria dello spazio edificato e l’irrompere della natura, Giuseppe Simonetti, segnalato lo scorso anno con la Vela d’oro della critica. Di Franco Bonetti si dirà come d’un distillatore dello spirito del mare in “Terre, mari e perle” dall’eco surreale. Trovo una analogia, pur nella inequivocabile distinzione dei singoli processi formatori, tra Lorenzo D’Angiolo, vincitore della Vela d’oro della critica nella scorsa edizione, e Franco Batacchi, Vela d’oro della critica quest’anno: in entrambi agisce un processo di riduzione visiva che permuta il referente naturalistico in simbolo figurale, quale archetipo muliebre nella “Nike etnica su onda adriatica” di Batacchi, di dialogo e complementarietà dell’archetipo femminile e del paesaggio nel “Grande orizzonte” di D’Angiolo.Ancora archetipi fortemente evocativi propongono Domenico Difilippo che in “L’oro, il blu e il mito dell’Adriatico” rende oggettuale e al contempo magica

l’apparizione del segno angelico lanceolato; lo scultore Graziano Pompili che permuta in impronta sedimentaria l’idea antropologica dell’archetipo della casa in “Palafitte sull’Adriatico”; di Tommaso Cascella il cui “Appuntamento con una voce” è una partitura di pure superfici campite, sulle quali una forma avvitata si pone come archetipo primario del segno pittorico; di Antonio Baccarin, straordinario sperimentatore di materiali tecnologici piegati in figure primarie dello spazio formato, approdando a una sintesi astratta di pittura e scultura.Concludo questa breve carrellata con due maestri la cui presenza onora la rassegna. Il primo, già festeggiato con la Vela d’oro alla carriera nelle scorse edizioni, è Germano Sartelli le cui “Luci dell’Adriatico” brillano anche quest’anno con bella intensità sulla ribalta ravennate. Il secondo è, assieme ad Hermann Nitsch, la Vela d’oro alla carriera del 2007. Si tratta di Eugenio Carmi, esemplare figura di artista che nella propria, ormai lunga vicenda creativa, ha instancabilmente operato perché le figure dell’immaginario artistico trovassero idonei canali comunicativi, concrete e certo non pedestri o meramente decorative applicazioni, quali strumenti di formazione e di crescita della sensibilità comune e, dunque, della civiltà artistica del nostro tempo. Le sue partiture di appartenenza astratto-geometrica hanno la rigorosa modulazione formale e, insieme, la finezza cromatica e la leggerezza trasfigurante d’un percorso mentale sostenuto dalla vibrazione dei sensi e dalla proiezione della fantasia. È questo un modo assai sottile di dire che l’uomo del nostro tempo non deve dimenticare di essere, in uno, e mente e sensi e dilatata immaginazione.

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Gli artistiLe manifestazioni

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1. Come anteprima alla tradizionale rassegna di pittura, la Capit di Ravenna ha promosso presso la sala espositiva del Park Hotel una mostra antologica dedicata a Hermann Nitsch, uno dei maggiori interpreti delle arti figurative in Europa. L’iniziativa, inaugurata il 6 luglio alla presenza dell’artista, si è protratta fino al 20 agosto. Nella foto Hermann Nitsch e Franco Bertaccini, curatore della mostra.

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2. Mercoledì 22 agosto, sala espositiva del Park Hotel. La 51a edizione del Premio Marina di Ravenna si è aperta con l’inaugurazione della mostra delle opere realizzate per l’occasione. Nella foto, da sinistra, il presidente della Provincia di Ravenna Francesco Giangrandi, il questore Giuseppe Gallucci, il sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci, Pericle Stoppa, Claudio Spadoni, direttore del Museo d’Arte della Città di Ravenna e il critico Nicola Micieli, presidente della giuria del premio. 3. Il sindaco Fabrizio Matteucci ammira le opere esposte.4. Il maestro Eugenio Carmi accolto dai critici Claudio Spadoni e Nicola Micieli.5. La visita alla mostra è sempre un’occasione di richiamo nella località di Marina di Ravenna.6. Pubblico in visita alla mostra.

Giampaolo Atzeni Nato nel 1954 a Cagliari, ha attinto dal padre, capitano di lungo corso, la passione per i viaggi e per il mare, una costante iconografica delle sue opere. Gli studi di architettura e in seguito l’attività di fotografo di spettacolo, moda e pubblicità hanno arricchito il suo immaginario di una moltitudine di stimoli visivi, che filtrano con incontenibile vivacità dentro ai suoi quadri. Che vengano denominate “Simbologie misteriose” o “Sogni in movimento”, le sue opere esprimono un’inarrestabile spinta all’avventura e al viaggio come scoperta di sé e di ciò che ci circonda, e una fantasia fervida, un interesse inesauribile per il mondo, le cose e la gente che non ha confini mentali o geografici. Ed è un viaggio a ruota libera nel tempo e nello spazio, all’insegna di una libertà che solo l’arte garantisce, quando mescola in un immaginario mixer i simboli più disparati per ricomporli in un ordine estetico non privo di interrogativi. Alcune immagini sono ricorrenti: le scarpe da donna, i vagoni dei treni, le valigie, gli scorci di mare, i nudi femminili svelati da maliziosi oblò, ma anche appunti di viaggi esotici, cammelli, zebre, animali tropicali, frammenti di esperienze di vita mescolati con scritte pubblicitarie e svariate annotazioni mutuate dalla cultura contemporanea. Lo stile può rimandare a certa pop-art americana, ma lo spirito è ironico, ludico e in definitiva ogni opera è un piccolo enigma stravagante, che l’osservatore può interpretare secondo la propria personale chiave di lettura.

Antonio Baccarin

Nato nel 1954 a Cavarzere (VE), chioggiotto di adozione, abbandonati gli studi di giurisprudenza per la pittura, ha esordito con percorsi sospesi fra metafisica e surrealismo per approdare infine all’astratto, dimensione artistica a lui più congeniale: un astratto simbolico, caratterizzato da un grande lavoro di ricerca sui materiali di supporto e sul colore per combinare, in un’alchimia artistica originale, strutture metalliche, tubi, emulsioni ad olio e mescolanze acriliche. È il periodo in cui prendono vita le “arterie” che sembrano alludere a strutture organiche umane, a sistemi circolatori o a sinapsi di cellule nervose, ma che in realtà, in una lettura più ampia, vanno ben al di là dell’aspetto antropico; sono “apparati linfatici” d’energia universale, cosmo che si “arrotola” a formare canali di comunicazione e di compenetrazioni emotive in continuo divenire. Negli anni Novanta Baccarin intensifica la ricerca sul colore e sui materiali di supporto approdando alla fibra di carbonio. Il supporto «diventa elemento fondamentale per le peculiarità fisiche e per una serie di significati che vanno al di là degli aspetti tecnici», essendo l’elemento carbonio «una componente vitale di tutti i sistemi viventi, quindi alla base della vita sulla terra». Questi gli sviluppi che hanno spinto l’artista alla creazione di un nuovo spazio, da lui stesso definito «canale energetico tridimensionale», dove la concezione spaziale si dilata oltre i propri limiti. Opere perfettamente bilanciate tra la pulizia grafica dell’arrotolamento in fibra di carbonio, all’interno del quale l’energia fluisce collegando mondi esterni al quadro stesso, e la forza pulsante sprigionata nella creazione che si perde nell’infinito della tela.

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Franco Batacchi

Nato nel 1944 a Treviso, ha compiuto gli studi artistici a Venezia, dove vive e lavora e dove ha ottenuto grandi riconoscimenti per la sua carriera artistica e per l’impegno intellettuale profuso come autore di libri di storia dell’arte e di cataloghi monografici, nonché come docente di storia dell’arte contemporanea e collaboratore di importanti riviste d’arte. Ha lavorato come designer per il Laboratorio artistico Benetton, collaborando a una trentina di progetti vincitori di concorsi per opere pubbliche in numerose città italiane e straniere. Ha partecipato per due volte alla Biennale di Venezia (1976 e 1993) ed è noto al grande pubblico per l’identikit del vero volto di Cristoforo Colombo eseguito per le celebrazioni a Genova nel 1992-1993. I titoli delle sue opere: Baccante, Il giudizio di Paride, Tramonto delle Esperidi, fanno emergere l’archetipo pre-storico rappresentato dalla forma femminile stilizzata, priva di testa e di braccia, racchiusa nella griglia geometrica di un solido pensiero razionale. La Venere italica, idolo femminile prescelto con il suo sottinteso omaggio al maestro Canova, diviene l’approdo di un artista partito dall’astrazione e giunto attraverso i sentieri impervi delle sperimentazione a una figurazione essenziale, priva di orpelli e di sovrastrutture culturali pedisseque. Le “Veneri” di Batacchi, entrate di diritto nel mondo delle forme, sia che imperino solitarie nel campo o che si moltiplichino in sequenze musicali, vivono nel punto di incontro fra la storia e il mito e si alimentano delle tracce culturali e artistiche lasciate dallo scorrere del tempo, vibrando nella forza evocativa del colore che nelle mani dell’artista si rivela elemento poliedrico, ricco di sfumature allegoriche e sorprendentemente efficace per disegnare atmosfere e contesti psicologici.

Franco Bonetti

Nato nel 1958 a Firenze, compie gli studi artistici a Reggio Emilia e nel 1979 entra nel Teatro municipale, collaborando con famosi registi, scenografi e designer e manifestando un crescente interesse per la scenografia e i costumi. Non a caso una delle sue prime mostre all’Opera di Genova si intitola Magia del teatro, seguita dalla creazione di un ciclo pittorico grafico sull’opera di Torquato Tasso. Si può affermare che la sua attività artistica vive all’insegna della cultura teatrale e letteraria, senza tuttavia appesantirsi di citazioni pedisseque. Le sue opere sono viaggi dentro gli sterminati percorsi del colore, dove le assonanze, le divagazioni, i contrappunti cromatici si dipanano con straordinaria euritmia. Lo scenario è quello dell’astrazione, i timbri sono decisamente musicali, l’atmosfera è lirica e il gesto corrisponde al vortice emotivo che lo ispira. E come sulla scena teatrale si compie la performance nella combinazione armonica degli elementi sinergici, così nella scena pittorica, assimilabile a un astrattismo gestuale lirico, si compie e si cristallizza l’azione creativa nei timbri ridondanti di un colore acceso, vivido, istintivo e colto al tempo stesso. L’artista ha ottenuto importanti riconoscimenti e commissioni pubbliche, dipingendo, fra l’altro, due pale d’altare nella Chiesa di San Giuseppe a Reggio Emilia. A Torino, Milano e Firenze ha esposto opere dedicate alla produzione letteraria della casa editrice Einaudi dal titolo L’indice dello struzzo, rendendo omaggio al mondo letterario che tanta parte ha avuto nel suo percorso, poiché i libri rappresentano per Bonetti veri e propri orizzonti oltre ai quali ha saputo lanciare la propria originale creazione artistica.

Achir Brahim

Nato nel gennaio 1956 in Algeria, compie gli studi presso l’Accademia Navale di Livorno e si trasferisce in Olanda per dedicarsi alla pittura. Nel 1979 rientra a Roma, dove inizia un’intensa carriera artistica, ricca di esposizioni. Affascinato dalla figura umana e dal ritratto in particolare, trasforma i suoi soggetti, alteri nelle pose statiche di stampo classico, in personaggi ieratici, trattati con una sobrietà stilistica che richiama il Quattrocento italiano. I soggetti che campeggiano nei suoi quadri, figure umane, alberi o autoritratti, si stagliano contro architetture prive di connotazione temporale o geografica, che rimandano sia alle periferie urbane di sironiana memoria, sia a ruderi archeologici e a costruzioni visionarie o avveniristiche. Gli sguardi dei soggetti sono enigmatici e volgono ad un “altrove” che lo stesso artista sembra non conoscere, ma dal quale è inesorabilmente attratto. Nei paesaggi metafisici illuminati da una luce spirituale, come nei ritratti, predominano i colori caldi, il giallo, il rosso, l’arancio e la gamma dei marroni rossastri, esaltati da qualche contrasto di blu, per niente casuale. Si ha l’impressione che l’artista, dopo avere assimilato la lezione della grande pittura classica italiana, l’abbia personalizzata sul filo di un patrimonio culturale che resiste ad ogni integrazione, caricando i suoi temi di significati simbolici e approdando ad una cifra stilistica originale che, al di là dei rimandi geografici, cronologici e metafisici, mette sempre al centro dell’opera l’uomo e il suo esistere.

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7. Giovedì 23 agosto, Bagno La Piazzetta. Laboratorio didattico-creativo Impara l’Arte realizzato in collaborazione con il Museo d’Arte della Città di Ravenna. All’originale iniziativa sulla spiaggia, condotta dagli artisti e da educatori del museo, hanno partecipato

oltre sessanta bambini.8. Il pittore Giampaolo Atzeni osserva le fasi del lavoro di un gruppo di piccole artiste.9. Un altro gruppo di bambine impegnate ad eseguire un dipinto sotto la guida dell’artista Gianni Mantovani.

10. Giovani promesse al lavoro. Alle loro spalle si intravede il maestro Erio Carnevali.

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Raffaella Campolieti

Napoletana di nascita e veneziana di adozione, Raffaella Campolieti ha individuato la propria cifra stilistica nei ritratti, principalmente femminili, in cui riversa entrambe le sue anime territoriali mettendo al centro della scena volti dipinti con un tratto scabro, essenziale che non indugia nel particolare ma mira alla sintesi. Sono volti stilizzati rubati al mondo circostante oppure mutuati dalla letteratura, dalla storia, dall’immaginario collettivo. Ritratti dell’anima, psicologie femminili tradotte in segno e colore che diventano improvvisate icone della contemporaneità o simulacri della storia. E inutile è chiedersi perché l’artista abbia scelto il volto per dare forma a una femminilità simbolica che trascende il reale e che esalta, di volta in volta, la bellezza, la nobiltà, il talento e tutte le virtù che le donne hanno con fatica espresso per emanciparsi attraverso i secoli. Nella geografia del corpo umano la fisionomia del volto racchiude l’essenza più intima della persona e si carica, ogni giorno che passa, dei segni del tempo e degli accadimenti. Il volto è la fotografia del vissuto umano; non a caso oggi sul viso si accanisce con particolare veemenza la chirurgia estetica, cancellando insieme ai segni del tempo e ai presunti difetti fisici, la storia unica e irripetibile del soggetto. Campolieti restituisce al volto la sua estemporaneità, suggellata dallo sguardo, notoriamente specchio dell’anima, fisso sull’osservatore oppure fugacemente rivolto verso un “altrove” imponderabile e sconosciuto, come a ciascuno piace immaginare.

Claudio Cargiolli

Nato nel 1952 a Ponzanello, ha effettuato gli studi artistici a Carrara, dove vive e lavora.La sua poetica di stampo surreale e fantastico, coniugata a una tecnica pittorica eccelsa, ci trasporta in un mondo di cui conosciamo gli elementi, ma non lo strano collante che li tiene insieme. Sono reali gli animali, le conchiglie, le case, gli uccelli e perfino le colombe, rubate ai mosaici ravennati solo per essere trasfigurate, quasi per dare verità a ciò che è nato dalla mimesi e per rendere mimetico ciò che invece è reale. Lo “spaesamento” nella percezione, tipico della pittura surreale, come pure la sorpresa, il gioco, le concatenazioni fantastiche e subliminali, sono presenti nelle sue opere, dove tutto diviene possibile. Tre ballerine picassiane avanzano su un fondo anaprospettico; un ritratto di Piero della Francesca si confronta con uno spicchio di luna appeso a un filo; nella casa di biscotto, insieme ad alcune non-finestre, ci sono finestre-quadro aperte su paesaggi e nature morte; i gracili pini si reggono senza radici e altri alberi hanno chiome di riccioli, uova e conchiglie. Cargiolli ci sorprende, colloquia con le cose reali e con le citazioni con spirito idillico e giocoso, ma tradisce una sorta di inquietudine, una sottile ansia per cui pare avere voglia di salire in alto, su troppo fragili scale, o di volare con tenere ali di colomba, oltre i confini troppo angusti del reale.

Eugenio Carmi

Nato nel 1920 a Genova, laureato in ingegneria chimica, si è formato artisticamente a Torino sotto la guida di Casorati. Artista senza etichette, ha sfiorato alcune tendenze del Novecento rimanendo sempre coerente al proprio stile. È passato dal figurativismo degli anni Quaranta, ancora memore di Casorati, all’informale, per approdare a un astrattismo geometrico di tipo emozionale, basato non sul calcolo ma sulla percezione concreta del mondo. Negli anni Cinquanta, maturate esperienze nel campo della grafica, è stato art-director dell’Italsider, orientando la sua ricerca verso l’utilizzo di smalti a fuoco su acciaio e la creazione di opere in acciaio saldato. Nel 1963 ha fondato il Gruppo Cooperativo di Boccadasse, da cui è nata la Galleria del Deposito, fucina artistica multidisciplinare di cui hanno fatto parte artisti come Victor Vasarely, Max Bill e Lucio Fontana, fotografi e architetti come Konrad Wachsmann. Docente di arte visiva in varie università americane e insegnante nelle Accademie di Belle Arti di Macerata e di Ravenna, nel 1966 ha partecipato alla Biennale di Venezia con la sua prima opera elettronica, a cui hanno fatto seguito altre opere dello stesso genere esposte in Italia e all’estero. Questa produzione si è interrotta, come afferma lui stesso ironicamente, quando tutti gli artisti hanno iniziato ad utilizzare le tecnologie nella pratica artistica. La sua carriera è costellata di mostre in prestigiose sedi italiane ed estere e di riconoscimenti di alto livello per un’attività che lo ha portato a spaziare dalla docenza alla letteratura per l’infanzia (famose le illustrazioni per le favole di Umberto Eco edite da Bompiani) fino ad approdare alla televisione. Pur restando sostanzialmente un solitario estraneo alle lusinghe delle mode e delle tendenze, ha instaurato proficue relazioni con ambienti, istituzioni, soggetti e soprattutto con le giovani generazioni e a ribadire il ruolo essenziale dell’arte come comunicazione. La poetica di Carmi si esprime in termini geometrici: i quadrati, le linee, gli archi, i cerchi, sono le note del suo pentagramma. Il “fabbricante di immagini” (la definizione è sua), attraverso questi strumenti originari fa vivere l’universo astratto, il solo degno di essere espresso dalla pittura.

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Erio Carnevali

Nato nel 1949 a Modena, ha iniziato la carriera di pittore nei primi anni Settanta, lavorando contestualmente nella comunicazione aziendale, come scenografo teatrale e televisivo e nell’ambito dell’editoria per i ragazzi. Artista curioso e colto, tentato da sperimentazioni e fermenti artistici di varia tendenza, con qualche debito verso l’astrazione kandinskijana e l’espressionismo astratto americano, è arrivato ad esprimersi attraverso grandi campiture lineari orizzontali (più raramente verticali) che si contrappongono e trovano congiunzione in una sorta di orizzonte indicato da una striscia di colore più accentuato oppure più luminoso. Rifiutati la mimesi e qualsiasi sia pur minimo riferimento aneddotico, a rispecchiare l’interiorità dell’artista resta solo il colore che traduce una risonanza psichica e rappresenta la sola vera essenza della pittura. E, come precisa l’autore, se appaiono sulle tele dei segni «quelle tracce scavate…sono segnali di memorie eroiche senza tempo»; e ancora: «…ogni riflessione cromatica traghetta ad un mondo lunare, in cui tutto il vissuto è già stato e quindi non visibile» e l’immagine, di conseguenza, diventa immaginazione. Carnevali svolge la sua attività a Milano, Modena, Cagnes-sur-Mer (Francia), Berlino e Santa Monica (California). Ha realizzato importanti opere commissionate da enti pubblici e imprese private, utilizzando in chiave moderna e innovativa il mosaico, la ceramica, l’affresco e ultimamente il vetro di Murano. A Murano si è trattenuto per alcuni mesi per realizzare un enorme grappolo d’uva con 241 acini in vetro soffiato di vari colori. La scultura, alta 12 metri, è collocata in una rotatoria all’uscita dell’autostrada a Modena Sud.

Tommaso Cascella

È nato nel 1951 a Roma, dove vive e lavora come pittore e scultore “all’ombra delle architetture care al pittore Mafai”. Artista concettuale, cresciuto nella bottega del padre Pietro, famoso pittore e scultore, utilizza materiali nobili e altri nobilitati dall’azione artistica. Nel 1985 ha tenuto le sua prima mostra, a cui hanno fatto seguito innumerevoli personali e partecipazioni a importanti rassegne artistiche in Italia e all’estero.Scriveva Osvaldo Licini nel 1937: «la pittura è l’arte dei colori e dei segni: i segni esprimono la forza, la volontà, i colori la magia», un principio che Cascella ha fatto proprio. La sua pittura, infatti, è magia del colore ed esaltazione delle sue capacità evocative ed emozionali, espresse fino all’estremo limite e spesso con un solo colore (blu, rosso, arancio), le cui tonalità fungono da timbri e da contrappunti, determinando forme e spessori, luce e profondità. Il colore è il protagonista, l’energia vitale che anima l’opera, strumento di conoscenza e di percezione. Non c’è una logica costruttivista nelle composizioni di Cascella, perché il colore si prende tutte le libertà e il segno, nero, accentuato fino a lasciare profonde tracce, riconduce all’alfabeto di un linguaggio semplice, a un’iconografia elementare, con linee che si arrampicano e si abbandonano, graffi che incidono la superficie della tela, segni che cercano un senso, un’interpretazione, mentre il colore ha già raccontato tutta la propria storia.

Paolo Collini

Nato nel 1950 a Milano, dopo il liceo ha frequentato la Scuola degli Artefici e i Corsi liberi di Nudo dell’Accademia di Brera. Nei primi anni Ottanta ha iniziato l’attività professionale in breve impondosi in Italia e in Europa come neo-metafisico con «una visione oniricamente naturalista, alimentata da suggestioni romantiche dove emergono nature archetipe e simboli di bellezza immortale…». Misteriose architetture invadono gli interni, a testimoniare il decorso storico, mentre la quotidianità è rappresentata dagli interni, dagli arredi significanti (il letto disfatto, le finestre aperte su orizzonti pacificanti). Elementi della natura sfondano le pareti, inutili baluardi contro il defluire del desiderio e dell’immaginazione: alberi, mare, paesaggio entrano negli interni come presenze reali e, tradotte in immagini, come mimesi del reale. Lo spaesamento, il mistero, lo stravolgimento della prospettiva, l’enigma proposto da ogni visione rimandano al surrealismo, a certa metafisica, al romanticismo simbolista, poetiche che spesso hanno privilegiato l’immagine-racconto rispetto alla qualità pittorica. Collini si avvale di tecniche raffinate per proporre i suoi viaggi nel mistero, dove la persona è sempre allusa come presenza-assenza richiamata da un ricordo, un desiderio, una sensazione, nella casa-tempio dove il tempo è sospeso nell’attesa. Scrive Baudelaire: «Sempre il mare, uomo libero, amerai! Perché il mare è il tuo specchio: tu contempli nell’infinito svolgersi dell’onda l’anima tua, e un abisso è il tuo spirito non meno amaro…». Il mare è un tema ricorrente, travolge le architetture come uno tsunami che non conosce argini, specchio delle molte maschere dell’inconscio. Nell’ultimo periodo, teatro della ricerca di Collini sono la città e la periferia, occasioni per osservare, attraverso frammenti di immagine, l’individuo e ciò che lo circonda. Collini ha partecipato alla Biennale di Venezia del 1986. Gli sono state dedicate le monografie Magie antelucane di Collini (Riccardo Barletta, Ghirlandina, Modena 1984), L’enigma della nostalgia (Mario De Micheli, Mondadori, Milano 1991) e Dimore dell’invisibile (Luciano Caprile, Vinciana, Milano 2000).

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Lorenzo D’Angiolo

Nato nel 1939 a Seravezza, ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Carrara, dove ha insegnato dal 1965 al 1975, per poi trasferirsi al Liceo Artistico di Lucca. La carriera di pittore ha inizio nei primi anni Sessanta, con la partecipazione a concorsi di pittura e l’aggiudicazione di numerosi e importanti premi. Dal 1971 inizia l’attività espositiva; negli anni Ottanta ha i primi approcci alla fotografia, che si rivela subito strumento linguistico congeniale e idoneo a sintetizzare le sensazioni generate dai viaggi nelle Americhe, in Cina, in India, in Nepal, in Tibet, nello Jemen e in Africa. Oggi nelle due anime di pittore e di fotografo, che convivono in forma dialettica, converge la sensibilità particolare per le linee essenziali, per le forme scabre, per i rapporti di pieno-vuoto e di luce-ombra. Come pittore, proietta le forme nella luce di una prospettiva aerea o spaziale, lasciando intravedere, nelle scansioni, nelle fenditure, una sorta di archetipo del corpo femminile dalle caratteristiche generatrici di vita, nell’atmosfera evanescente e stemperata dell’estrema sintesi astratta in cui la figurazione scompare e resta solo l’interazione corpo-spazio-luce. Se come fotografo fissa un frammento di tempo e di spazio, puntando l’obiettivo sui contrasti offerti dallo scenario-mondo, come pittore è andato oltre per navigare liberamente in un mondo quasi totalmente astratto, ricostruito attraverso la luce, l’essenzialità delle forme e la dialettica dei colori.

Domenico Difilippo

Nato nel 1946 a Finale Emilia, dopo avere iniziato gli studi artistici a Modena si diploma all’Istituto d’Arte di Castelmassa (Rovigo) e frequenta l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nella seconda metà degli anni Sessanta è a Milano, dove sperimenta il Post-nucleare, l’Arte povera e l’Informale, entrando in contatto con gli artisti Dova, Rossello, Crippa e Baj, con i quali realizza alcune opere a quattro mani. Il clima dei moti studenteschi del ’68 gli ispira opere come L’intellettuale, il poeta, L’angoscia e Grido, mentre L’occhio abnorme, che allude alla capacità divinatoria dell’artista, dipinto sui ciottoli di fiume e conservato in contenitori di vetro, è un passaggio creativo degli anni Settanta. Negli anni Ottanta, dopo un soggiorno a Parigi, la sua produzione subisce una metamorfosi, che nel 1991 lo porta a redigere il manifesto dell’Astrattismo Magico a Brema, in Germania, e a presentare le sue opere al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Dal 1997, anno in cui per meriti artistici ottiene la cattedra di Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Sassari, realizza una serie di opere scultoree dedicate alla Sardegna e nel 2003 le espone totalmente allo Joung Musem a Palazzo Ducale di Revere, Mantova. Attualmente insegna all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dopo essere stato docente in quelle di Firenze, Venezia, Carrara e Brera. Ha ricoperto importanti ruoli di direttore artistico per importanti istituzioni, realizzando anche una cospicua Pinacoteca d’Arte Moderna per il Comune di San Felice sul Panaro in Provincia di Modena. Negli ultimi anni si è dedicato prevalentemente alle installazioni, che realizza con materiali poveri e preziosi come la foglia d’oro (colori naturali: terre, carta, legno, vetro, ecc…), collocati in ambienti segnati dalla storia, dando luogo a paesaggi simbolici che rimandano ad archetipi e a metafore, creando forti suggestioni visive.

Giuliano Ghelli

Nato a Firenze nel 1944, vive a San Casciano Val di Pesa, nel Chianti Fiorentino. La sua carriera artistica, iniziata nell’adolescenza, è costellata di esposizioni nazionali e internazionali e di incarichi prestigiosi, affidatigli da enti pubblici e da soggetti privati. Recentemente è stata suggellata dalla pubblicazione della monografia Le vie del tempo, curata da Maurizio Vanni.Nella poetica visionaria dell’artista si mescolano gli elementi del mondo sensibile con quelli generati dalla fantasia, il vissuto con ciò che è frutto dell’immaginazione, in un caleidoscopio di segni e di colori che generano una sorta di microcosmo alternativo, la formulazione di una realtà nuova in chiave fantastica e originale: una meta-realtà intessuta di un cromatismo abbacinante e di una straordinaria variegata morfologia. Le sorprendenti creature di Ghelli, germinate da un bagaglio culturale ricco e multidisciplinare, rimandano al mondo degli animali-cose-persone, senza rappresentare nulla di riconoscibile, e si combinano per libera associazione negli infiniti palcoscenici predisposti da una fantasia inarrestabile. Una volta uscite dal suo pennello, come tante “parole colorate” lasciate agire sulla superficie della tela, vivono di vita propria con una determinazione, un dinamismo e una musicalità dell’insieme, davvero stupefacenti.

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Cleonice Gioia

Diplomatasi al Liceo Artistico di Frosinone, ha proseguito gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, città in cui vive e lavora.I suoi percorsi artistici a tema si avvalgono delle immagini fotografiche aventi per protagonista lei stessa, i suoi amici e familiari. Le immagini vengono contaminate, duplicate, rielaborate in una logica artistica che assegna un ruolo di completo privilegio al colore. Sono tecniche già utilizzate dalla pop-art, che con un’inventiva di nuova creatività la porta ad estremizzare drammaticamente la figura. Inoltre le ambientazioni americane richiamano con insistenza alla memoria, in maniera ironica, anche un certo tipo di pittura “en plein air”. Le immagini sono quelle ordinarie che ci propongono il cinema e la pubblicità, ma il colore intenso, primitivo e sofferto attribuisce loro valenze e carichi emotivi che non sono propri delle immagini fotografiche. Immagini crudeli della contemporaneità, come quella del bambino che invece di dedicarsi al gioco si inietta la droga, ci danno un’emozione negativa, subito assorbita da altre immagini più banali e prive di rimandi drammatici. Recentemente l’artista ha lavorato a Bucolica, dilatazione e cristallizzazione di un viaggio americano che raccoglie le esperienze di due anni di vita vissuta.

Kažimir Hraste

Nato nel 1954 a Supetar sull’isola di Brač (Brazza), è professore ordinario presso l’Accademia d’Arte dell’Università di Split (Spalato). L’Artista si può definire un costruttivista “marino”, con diversi riferimenti che spaziano dal costruttivismo storico alle tendenze postmoderne. I ritratti con cui ha iniziato la sua produzione artistica esprimono già compiutamente il particolare linguaggio evocativo fra astrazione e figuratività che lo caratterizza. Nelle sue creazioni mostra un prevalente interesse alla vitalità formale e alla “labile” ricerca degli equilibri dinamici delle diverse componenti utilizzate. Al centro del suo interesse anche nella sua attività di scultore è, infatti, la creazione di relazioni dinamiche tra gli elementi costitutivi e lo spazio esterno, tra vuoto e pieno, al fine di concretizzare l’unione del pensiero spaziale nella tensione della struttura compositiva dell’opera.

Hari Ivančić

Nato a Pisino nel 1967, si è diplomato nel 1994 all’Accademia di Arti Figurative di Zagabria, allievo del prof. Vasilij Jordan. Ha esposto le proprie opere in più di settanta mostre personali ed ha partecipato a sedici mostre collettive. È vincitore di numerosi premi. L’artista è fortemente legato al territorio istriano dal quale proviene, nel quale opera e dal quale incessantemente trae motivi, colori, corporeità e forza spirituale. Nelle sue opere riproduce fedelmente avvenimenti e sensazioni autentiche del paesaggio in cui è immerso. Esprime le peculiarità di questo territorio con colori e luce, nelle opere di qualche anno fa, anche con strutture architettoniche; in quelle più recenti, invece, con la disposizione di strati di colore, che evocano il ricordo della terra istriana. Hari Ivančić costruisce i suoi quadri con colori densi e saturi, che plasma in modo da portare il motivo al limite del riconoscibile. A volte li colma di un’atmosfera surreale e altre volte pone in primo piano l’immediatezza della materialità del quadro, che in questo senso ha l’effetto di un’interpretazione poetica e spirituale della terra, materia rozza ma calda.

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Narcis Kantardžić

Nato a Derventa (Bosnia Erzegovina) nel 1958, si è diplomato all’Accademia di Arti Figurative di Sarajevo nel 1982. In seguito agli eventi bellici, nel 1992 si è trasferito in Slovenia, dove tuttora vive e opera. Nelle sue opere raffigura principalmente paesaggi. Tranquilli paesaggi rinascimentali, un’atmosfera calda e una fredda sensazione di razionalità si intrecciano con lo svuotamento del guscio corporeo, ricordo della pittura metafisica. Le lunghe vedute dell’orizzonte lontano sono trafitte da ritti e agili cipressi e monumentali torri, architetture di origine culturale indefinibile. Simboli di potenza si ergono sopra il paesaggio acquoso e sono spesso essi stessi sorgenti dell’acqua che insieme al silenzio li circonda. Sono attorniati da un illimitato spazio vuoto dove può stabilirsi qualsiasi spirito, poiché i quadri sono fantasmi di un contatto mentale. Il viaggio spirituale attraverso questi quadri rappresenta l’incontro con un mondo concepito intimamente e una mitologia strutturata allegoricamente.

Bernd Kaute

Nato a Breslau nel 1944, vive e lavora a Porciano, nelle colline del Valdarno. Della Toscana si innamorò quando, come studente meritevole, vinse una borsa di studio dell’Accademia di Colonia che prevedeva un soggiorno a Vinci. Dal 1982 opera immerso nel verde della campagna toscana e dal mondo contadino circostante ha mutuato elementi fondamentali della sua poetica, ispirandosi spesso agli oggetti tipici della campagna. Vasi di terracotta, contenitori di olio, navi ricorrono spesso nelle sue opere di grandi dimensioni, in cui fluttuano in un vorticismo vitalistico figure allusive e simboli che rimandano alla forza primaria della natura, fonte di ogni forma di vita umana, richiami all’erotismo, ma anche segni dei percorsi tracciati dall’uomo nei secoli.Il colore, soprattutto il verde che ricava a volte dal solfato di rame usato in agricoltura, è spesso distribuito con rami di palma o di ulivo, in una sorta di assimilazione fra i gesti rituali dei contadini e il fare artistico. L’identità fra lo spazio dipinto e quello reale è ulteriormente sottolineata dall’introduzione di terrecotte nelle sue tele. Nei primi anni Novanta Kaute si orienta verso la pittura pura, dedicandosi a un tema prediletto: il fuoco che divampa nell’oscurità della notte. In seguito introduce altri soggetti ricorrenti: reperti archeologici etruschi, reperti esposti ai Musei di Colonia e di Siegburg e, con effetto sorpresa, l’icona di Topolino, personaggio rappresentativo dei giorni nostri. Tecnicamente usa spesso il dripping, che rende bene il senso del flusso dei liquidi dalle giare, altro soggetto ricorrente non soltanto nei dipinti, ma anche nelle sculture in bronzo. Kaute, infatti, oltre che pittore, è scultore, disegnatore e incisore e attraverso questi diversi linguaggi, porta avanti la sua ricerca artistica, ispirata dal rapporto dialettico fra naturalità e civilizzazione.

Tone Lapajne

È nato nel 1933 a Lubiana dove ha studiato scultura all’Accademia delle Arti Figurative dal 1956 al 1961, allievo dei professori Karel Putrih e Boris Kalin. Nel 1964, concluso il corso specialistico di scultura, ha seguito corsi di perfezionamento in Francia e successivamente in Belgio, Germania, Italia e Gran Bretagna. Nell’ambito sloveno è conosciuto sia come scultore sia come pittore. La sua pittura è caratterizzata da una tecnica speciale, per la quale non usa pigmenti, ma utilizza la terra della palude (barje) che prepara da solo, avendone scoperto la ricchezza del colore. La ricerca e la sperimentazione dei colori naturali ottenuti con l’essiccazione e la polverizzazione della terra, lo hanno indotto a sviluppare una tecnologia specifica, che gli ha permesso di utilizzare strati di pittura densi e spessi che, dopo l’essiccamento, si screpolano dando al quadro una speciale e immediata sensazione “di terra”. Ha utilizzato la terra come mezzo espressivo del colore, dapprima sui rilievi lignei, contenenti ancora alcuni elementi delle sue opere scultoree lignee, in seguito è passato alla raffigurazione di paesaggi e di interni. Ultimamente si dedica soprattutto a quella che si potrebbe definire l’apoteosi della madre terra.

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Mira Ličen Krmpotić

Nata a Pola nel 1950, vive e opera a Pirano. Nel 1973 si è diplomata all’Accademia di Arti Figurative di Lubiana con il prof. M. Sedeje; in seguito si è specializzata in restauro. Vincitrice di numerosi premi, dal 1973 ha esposto le proprie opere in più di 50 mostre personali ed ha partecipato a numerose mostre collettive. Realizza le proprie opere utilizzando tecniche diverse, dalla pittura al mosaico, dalla pittura su vetro alla realizzazione di oggetti in vetro. Le opere di Mira Ličen Krmpotić sono caratterizzate da linee decise, espressive e da colori vivaci. A volte le linee possono sembrare impulsive e casuali, ma le figure frutto della sua immaginazione sono anche meditate. Mira Ličen Krmpotić crea con la sua sensibilità un ambiente mediterraneo in cui si intrecciano l’esperienza di luci e forme con la conoscenza di diverse tecniche e tradizioni pittoriche. Un segmento molto importante della sua creazione è rappresentato da opere di ispirazione cristiana. Le sue opere però, sono altrettanto profondamente animate spiritualmente quando affronta altri temi e vicende. La religiosità, del resto, non è legata a una singola vicenda bensì alla vita. Ed è la vita che l’artista segue in ogni sua opera.

Gani Llalloshi

Nato a Priština (Kosovo) nel 1965, vive e opera a Lubiana. Si è diplomato nel 1989 all’Accademia delle Arti Figurative di Priština, dove è stato allievo del prof. N. Salihamenxhiqi. In seguito ha concluso i corsi specialistici di pittura e di arte grafica sotto la guida rispettivamente dei professori A. Jemec e L. Logar. Negli anni 1997 e 1998 è stato allievo del prof. K. Marvan alla Hochschule der Kunst di Berlino. Pittore e grafico, da più di un decennio contribuisce alla creazione della realtà pittorica contemporanea: in tutte le sue opere, caratterizzate da numerose trasformazioni, si scorge l’incessante ricerca della massima espressione pittorica e comunicativa, la sperimentazione con diverse tecnologie, sia tradizionali che moderne, e la curiosità per l’interpretazione figurativa e per quella astratta. Nonostante i diversi e concreti segmenti tematici, Gani Llalloshi, con la sua connotazione particolarmente comunicativa, si colloca fra gli artisti le cui esperienze di micro e macro situazioni politico-sociali quotidiane, determinano e predispongono la loro creatività.

Enrico Manera

Nato nel 1948 ad Asmara, in Eritrea, si forma alla cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo, a fianco di artisti come Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa. È ritenuto dalla critica più trasgressiva uno dei massimi esponenti del ritorno in Italia della nuova figurazione, una pop-art di ispirazione americana ma con solida matrice nazionale, che lo ha portato a mietere successi sulla scena italiana ed europea, nonché a New York e a San Francisco. Animato da una fervida fantasia e da un inesauribile interesse per il mondo reale e per la cultura prodotta dalla contemporaneità, che lo porta ad assorbire gli elementi più disparati e a riproporli nelle sue opere con intelligenza e sarcasmo, ha elaborato una poetica basata sul “riciclaggio intelligente delle immagini”. Manera agisce come una carta assorbente e tutto entra a far parte del suo immaginario, per essere poi rielaborato, trasformato e riproposto con la sola preoccupazione che sulla tela abbiano pari dignità elementi appartenenti a sfere completamente diverse della realtà, del pensiero e della cultura. Come nei fotogrammi televisivi e cinematografici costruiti con i ritagli, attinge dai classici, dalla pubblicità, dal cinema, contaminando i generi e mettendo al centro della sua attenzione personaggi dei cartoni animati, simboli del mondo economico e finanziario oppure parole in caduta libera. Non è dato sapere quanta parte abbia avuto in questa sua versatilità una formazione artistica polivalente, che si è mossa con uguale disinvoltura nel mondo del teatro, del cinema, della pittura, dell’insegnamento. Fra gli anni Settanta e Ottanta la sua ricerca si indirizza verso l’utilizzo di nuove tecnologie, come il monocromo rosso di led elettronici del 1977. Nel 2000 vince il concorso indetto dal Ministero delle Comunicazioni e viene incaricato dalla Zecca di Stato di realizzare il primo francobollo del nuovo millennio che, prodotto in quattro milioni di pezzi, si esaurisce nel giro di una settimana. Manera, che non disdegna di avventurarsi in percorsi nuovi dell’espressione e della comunicazione, ha realizzato anche alcuni video d’arte e continua a sorprendere per l’intraprendenza della sua ricerca artistica.

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11. Nel pomeriggio di giovedì 23 agosto, nella sala conferenze del Park Hotel, un pubblico attento ha assistito alla presentazione del libro Sofonisba. Una vita per la pittura e la libertà di Millo Borghini.12. Alessandra Guerra, presidente del Club del Secondo Rinascimento, ha introdotto l’incontro. La foto la ritrae insieme a Millo Borghini, l’autore del volume, durante la conferenza.13. Ancora un suggestivo appuntamento nella stessa serata di giovedì 23 agosto alla sala congressi del Park Hotel. Il Quartetto Corelli (Matteo Salerno flauto, Stefano Martini violino, Aldo Zangheri viola, Fabio Gaddoni violoncello) ha compiuto una sorta di viaggio musicale attraverso brani da Mozart a Piazzolla.14. Venerdì 24 agosto un folto gruppo di artisti ha partecipato alla visita guidata ai principali monumenti di Ravenna.

15. Dopo la Basilica di San Vitale, il Mausoleo di Galla Placidia e i luoghi danteschi, la mattinata si è conclusa con la visita di S. Apollinare Nuovo e dei suoi splendidi mosaici.16. Nel pomeriggio di venerdì 24 agosto, nella sala conferenze del Park Hotel, il critico Claudio Spadoni, direttore del Museo d’Arte della Città di Ravenna, ha condotto una conversazione sul tema Il dialogo tra i popoli attraverso l’arte. Nella foto l’artista Franco Batacchi, il critico Nicola Micieli e Claudio Spadoni.17. Nella serata di venerdì 24 agosto nella sala congressi, il tradizionale incontro Un poeta da ricordare, dedicato quest’anno a Vittorio Sereni. Da sinistra: l’attore Raoul Grasselli, che ha letto le poesie, Walter Della Monica e Gaetano Chiappino, che hanno commentato le poesie da loro scelte, Luigi Martellini dell’Università della

Tuscia, studioso del poeta, che ha curato l’introduzione della serata.18. Il pubblico ha seguito con interesse le relazioni e la lettura delle poesie di Sereni, un protagonista della letteratura italiana del Novecento.19. Nella mattinata di sabato 25 agosto gli artisti sono stati accompagnati in visita al porto di Ravenna sulla motonave Windtour, partita dal bacino pescherecci di Marina di Ravenna. All’ora del pranzo, è stato servito ottimo pesce dell’Adriatico. 20. A bordo della Windtour il maestro Carmi conversa con il giornalista Vita Carlo Fedeli, che nel pomeriggio della stessa giornata ha presentato nella sala conferenze del Park Hotel il volume di Martina Corgnati Eugenio Carmi: tre miliardi di zeri, introdotto dalla proiezione del film Le mani! La testa! Gli occhi! Eugenio Carmi, un artista in fabbrica.

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Gianni Mantovani

Vive e lavora a Concordia (MO), città in cui è nato, ed ha compiuto gli studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna dove è docente di pittura. Nel 1968, appena diciassettenne, vince il concorso per studenti delle Accademie di Belle Arti italiane tenuto presso il Palazzo dei Musei di Modena, successivamente viene selezionato per esporre le proprie incisioni alla Farnesina, a Roma, insieme ad altri studenti italiani. Orienta subito la sua ricerca pittorica verso l’astrazione, seguito dal critico Giorgio Cortenova che teorizza “l’Astrazione Arcaica” e lo presenta nel 1985 in una personale alla Pinacoteca di Macerata.Gli anni ’90 segnano la svolta verso l’attenzione all’arte tribale, in particolare africana, di cui subisce il fascino approfondendone la conoscenza attraverso alcuni viaggi. Riflette sulla comunicazione immediata, spontanea, sui valori semplici e immutabili dell’uomo contenuti anche nella figurazione espressa dai bambini. Ritorna poi alla pittura d’immagine, attraverso la semplificazione del segno e la schematizzazione delle forme primarie, dando così luogo a paesaggi dell’anima e della mente, spesso eseguiti su più pannelli intercomunicanti che si scompongono e si integrano nello spazio circostante. Nelle sue opere più recenti, dentro al consueto campo visivo anaprospettico, sono entrati con prepotenza i fiori e in particolare gli iris dalla elegante forma allungata e dai petali del colore del cielo. Le loro sagome stilizzate, reiterate come in un gioco di fotocopie, si stagliano contro specchi d’acqua monocromi e il loro contorno è tratteggiato con l’energia propria delle incisioni sul legno. Il nuovo soggetto-fiore non è che un pretesto per approfondire la ricerca sul segno, in un assunto generale di estrema sintesi che conferma la ricerca di un linguaggio espressivo primario perseguita dall’artista.

Slavica Marin

Nata a Banja Luka, ha studiato storia dell’arte a Lubiana (Slovenia). Dal 1986 vive e lavora a Umago, dove gestisce la galleria Marin e si occupa di design di moda. L’autrice realizza i propri lavori come collages di materiali naturali grezzi. Rivela la propria poetica attraverso composizioni di foglie, spighe, zollette di terra e steli che col passare del tempo cambiano colore, forma e struttura. Nei confronti dei materiali usati instaura un rapporto come fossero dei ready-made, che intreccia con una delicata sensibilità in un’opera unica. Nell’osservare le sue opere si potrebbe avere l’impressione di un connubio con l’arte povera, che in questa forma però, appare decisamente estetizzata, ordinata, inquadrata. Gli oggetti non vengono usati per creare un’illusione, ingannare l’occhio, ma rappresentano decisamente se stessi. Consente loro la propria identità, anche perché, pur considerando la fugacità del tempo, non li conserva. I materiali, in questo processo, cambiano, arrivano persino a disintegrarsi, mentre l’autrice, fotografando, registra saltuariamente le singole fasi. Ne prende nota per conservare la memoria dei singoli momenti nel corso di un processo, come in un album di famiglia, dove si raccolgono le biografie di ogni singola opera.

Matko Mijić

Nasce nel 1955 a Split (Spalato) dove dal 2004 lavora come professore presso l’Accademia d’Arte. Mijić è un personaggio del tutto eccezionale nell’ambiente artistico croato. La sua opera è caratterizzata dalla grande abilità tecnica e da una rara maestria nel curare il dettaglio. Questa predilezione trova modo di manifestarsi nella ricchezza dei particolari e nelle dimensioni minime delle sue realizzazioni. Un’altra caratteristica rilevante di questo artista è il frequente richiamo ai motivi marittimi, navi in particolare, quali temi ricorrenti delle sue opere. Le “miniature” di Mijić sono di notevole impatto e l’artista raggiunge il maggior effetto nella composizione allegorica di più figure. Le sue “navi fiabesche”, che rappresentano una parte importante del suo “output” artistico – realizzate con notevole creatività ed abilità nel silenzio del suo atelier semplice e discreto – sono il frutto di una fantasia particolarmente ricca e della capacità straordinaria di interpretare in maniera metaforica il mondo che lo circonda.

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Frank Moeglen

L’artista, europeo naturalizzato americano (è nato in Francia nel 1969 e vive e lavora a Washington), percepisce la realtà contemporanea come ambigua, contraddittoria e frammentaria. Ricercatore di linguaggi originali, con un ricco curriculum di importanti mostre in Europa e in America, nel serbatoio sovrabbondante e inesauribile degli oggetti prodotti e usati nella società urbana ha recuperato ardesie, lastre di zinco, sacchi postali, riciclati e assemblati in ardite composizioni. Per studiare la luce e i suoi effetti sul colore, ha sperimentato l’inserimento di dispositivi luminosi all’interno delle opere. La sua pittura si muove verso una sorta di astrattismo materico e cromatico, caratterizzato da segni e simboli che riconducono all’ambiente metropolitano, al rapporto uomo-mondo contemporaneo urbanizzato e artificiale che vede il singolo aggredito, minacciato, destinato ad essere annientato da un colpo di rivoltella. “Take care”, il colpo sparato alla tela che costituisce il suo rotondo segno distintivo, è l’angoscia dell’uomo ferito a morte, è l’urlo di rabbia contro una realtà che degenera, si stratifica, modifica la percezione umana, compromettendo anche la memoria degli affetti e della storia condivisa. Nelle opere della più recente produzione l’artista si muove ancora nell’ambito dell’astrazione, utilizzando pochi segni fondamentali e colori primari dalla forte valenza simbolica: il rosso, che è il colore del sangue e della passione, il blu che genera assonanze nel campo visivo e, sul fondo, i percorsi del grigio e del nero, segni che si allargano, si contorcono, si allontanano per poi ricongiungersi in una casualità che costituisce l’essenza di queste opere, in cui il pessimismo si stempera grazie alla valenza estetica del colore.

Hermann Nitsch

L’artista, nato nel 1938 a Vienna, protagonista dell’Azionismo viennese volto a superare l’uso della tela, è l’inventore del “Teatro delle Orge e dei Misteri” in cui l’interconnessione di elementi fra loro diversi ma sinergici, quali pittura, rappresentazione, musica e architettura, danno luogo alla performance, coinvolgendo i cinque sensi. Il rito si compie lasciando il posto alla catarsi e i tempi della rappresentazione coincidono con quelli della vita, protraendosi per giorni interi. Nella molteplicità degli elementi che confluiscono a determinare l’azione, protagonista principale è il colore, lasciato agire nel suo dinamismo per esaltarne la valenza espressiva. Spiccato è il predominio del rosso, colore fortemente simbolico, che richiamando alla memoria il bue squartato di Rembrandt e la macellazione della carne, rappresenta la violenza, la passione, la morte, ma contiene anche in sé i germi della vita. La comparsa del sangue mestruale segna la trasformazione della fanciulla in donna procreatrice, il neonato si affaccia alla vita sporco di muco e sangue, grondano sangue le viscere dei corpi squartati, ma lo stesso sangue irrora come linfa vitale il corpo umano. Ancora al sangue fonte di vita allude il rito eucaristico. Così il rosso colore del sangue emerge prepotentemente dai “relitti” che testimoniano l’avvenuta performance, contaminando i corpi e i drappi bianchi che li contengono, come Sindoni pagane, e l’arte e la vita si mescolano senza distinzioni nel rito condotto dallo sciamano Nitsch, che è stato anche perseguito dalla legge per queste coinvolgenti e sconvolgenti rappresentazioni. Ed è ancora il rosso, congiuntamente ad altri colori puri, a scivolare sulle grandi tele distese per terra, in un gesto, la sgocciolatura, che identifica il fare artistico con la vita, esaltando le capacità dinamiche ed espressive intrinseche ai mezzi della pittura.

Bruno Paladin

Nato a Fiume nel 1951, dal 1976 lavora come grafico, illustratore e scenografo. È membro della Società Croata di Arti Figurative (HDLU) di Fiume e Zagabria. Ha esposto in una cinquantina di mostre personali e ha preso parte a più di 350 esposizioni collettive. È vincitore di numerosi premi e riconoscimenti. Le sue opere fanno parte di numerose collezioni di musei e gallerie d’arte contemporanea in Croazia e all’estero. Motivo principale dei quadri di Paladin sono le lettere dell’alfabeto. Glagolitiche, latine o greche, ognuna di esse mantiene un significato simbolico. Non dobbiamo dimenticare che nell’ambiente da cui l’artista proviene sono presenti tutte queste scritture, e che quindi si tratta di un’espressione specifica, molto originale, dello spirito di questi luoghi (genius loci). Le combinazioni di lettere nelle sue opere possono sembrare casuali, in realtà dietro a queste, e a volte anche dietro la loro casualità, si cela uno spazio spirituale con una struttura concettuale aperta. Un suo dipinto, un dittico o un trittico, è sempre un’opera enigmatica che va decifrata. Come si trattasse di una scoperta archeologica. Al contempo, ci troviamo però di fronte a un lavoro artisticamente completo, che apre un varco verso lo spazio metafisico che dietro ad esso si nasconde.

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Erzsebeth Palasti

Nata a Salgotarjan, in Ungheria, nel marzo 1972, ha studiato Belle Arti a Budapest, diplomandosi come ceramista. Trasferitasi a Roma, si è diplomata come scenografa all’Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie. Questa esperienza ha arricchito il suo bagaglio culturale ampliando l’ambito delle sue ricerche artistiche, anche grazie al contatto con rilevanti personalità del mondo della cultura e dell’arte in particolare. È stata assistente di Gino De Dominicis, figura di spicco nel panorama artistico degli anni Settanta-Ottanta, artista eclettico non omologabile in alcuna tendenza artistica contemporanea, dal quale ha certamente tratto ulteriore linfa vitale per la sua libera creatività. Dal 2000 ad oggi ha partecipato a numerose mostre personali e collettive, in Italia e in Europa, qualificandosi come una delle più promettenti giovani artiste emergenti sulla scena nazionale e straniera. Dentro i confini della tela Erzsebeth Palasti si muove come un viaggiatore che non raggiungerà mai la meta, perché ogni percorso, generando nuove curiosità, determina rotte alternative che portano a nuove forme espressive. Gli strumenti sono quelli classici del pittore: le linee, le forme, ma soprattutto il colore che nelle sue composizioni è predominante. Nell’opera presentata in questa Rassegna si agitano forme buffe, embrioni, meduse, creature marine, pseudo-umani e alieni venuti da chi sa quali spazi siderali, strane figurazioni che inutilmente tentiamo di interpretare. Nella profondità del mare che è “blu dipinta di blu” e ha dunque il colore dell’infinito, le figurazioni sono forme rigorosamente chiuse e ben definite grazie a un cromatismo contrastante. Anche se alludono a forme riconoscibili, rimangano sostanzialmente delle astrazioni e il loro significato è sfuggente, enigmatico, espressioni fantastiche di un’artista caratterizzata da una spiccata sensibilità segnica e coloristica.

Franco Palazzo

Nato nel 1938 a Crispiano, dopo gli studi superiori ha frequentato i corsi di tecnica dell’incisione presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna, città in cui vive e lavora. Esponente dell’Europart Group di Ravenna, ha soggiornato ed esposto in varie nazioni quali Francia, Spagna, Repubblica Ceca, Austria, Stati Uniti. Alla prima mostra avvenuta nel 1973, hanno fatto seguito oltre 100 mostre in Italia e all’estero. Nel 2003 è stato invitato alla Sharjah International Art Biennial negli Emirati Arabi e alla Kunstmesse Salzburg. Dal 1990 la sua ricerca si è orientata verso la costruzione di corpi e di spazi sospesi fra il surreale e il metafisico, elaborati con rigore compositivo e formale, per tradurre in chiave artistica mondi fantastici che dall’espressività del colore traggono la propria consistenza. Basta un ricordo, un brano musicale, una reminiscenza storica per avviare il processo creativo di Palazzo e dare vita a uno scorcio dello sterminato paesaggio psichico espresso dalle sue opere attraverso forme fantastiche e colori assemblati in armoniche assonanze, a volte tormentati da un gesto vorticoso, a volte leggeri e acquerellati, sempre estremamente espressivi. Spesso insieme al colore entrano nell’opera materiali estranei alla pittura, utilizzati nella loro specificità oppure manipolati per dare corpo all’idea. Le opere dedicate a Venezia sono vedute immaginarie, trionfi di fantasia e se c’è un’allusione alla realtà, è come il filo di Arianna, dipanato per non perdere totalmente la strada del ritorno. Le “Torri-Navi” dell’artista, che hanno viaggiato nel tempo e nello spazio, portano “tout-court” in quell’altrove di cui Palazzo sembra conoscere i più segreti meandri: una dimensione irreale, ironica, misteriosa, un’esplosione di energia cromatica che riesce sempre a sorprendere per l’equilibrio formale dell’insieme e per la foga espressiva del colore.

Ciro Palladino

Vive a Torre del Greco, città in cui è nato e dove ha frequentato l’Istituto d’Arte, seguendo successivamente i corsi di scenografia del Prof. Stefanucci presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Dopo avere esordito nell’ambito dell’Anacronismo, nella maturità approda a un’originale cifra stilistica che si muove nel territorio del mistero e dell’enigma. Lavora altresì con grande successo nel design. Certe sue opere, come quella presente in questa rassegna, sono composte da due elementi di matrice diversa, destinati a congiungersi e a compenetrarsi in un’opera unica. In un campo visivo c’è un uomo nudo perso in un grande fondo grigio, che rimanda a una dimensione aliena, senza tempo e senza storia. Potrebbe trattarsi di un uomo degli albori dell’umanità come di un nostro contemporaneo, spogliato di tutti gli averi e delle sovrastrutture della civilizzazione. Nell’altro campo visivo, contro un fondo chiaro e luminoso che racchiude la speranza di un progresso generale, si affastellano i simboli di civiltà diverse. Le due opere singolarmente hanno un proprio impatto percettivo e significante. Componendosi in un “unicum”, inducono a una lettura nuova dei misteriosi simboli effigiati, che probabilmente prefigurano un incontro di civiltà che riproduce una formula già esistita in un lontanissimo passato, e provocano una percezione estetica di stampo diverso, in cui è comunque sempre confermata l’alta qualità della pittura.

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Graziano Pompili

Nato a Fiume nel 1943, frequenta a Faenza l’Istituto d’Arte dove apprende l’uso della terracotta e della ceramica e, attraverso il maestro Biancini, si accosta alla scultura, che perfeziona all’Accademia di Belle Arti di Bologna unitamente all’incisione. Dal 1970 trascorre lunghi periodi a Carrara, apprendendo la lavorazione del marmo, nonché l’uso della cera e la fusione in bronzo nelle fonderie di Pietrasanta. Ha insegnato ceramica e plastica all’Istituto d’Arte di Reggio Emilia, poi è stato docente di scultura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, effettuando numerose mostre in Italia e all’estero. Sue opere sono collocate in spazi pubblici e privati (si citano, fra le recenti, una fontana a Francoforte e una scultura in prossimità dell’Autostrada di Reggio Emilia). Attualmente vive e lavora a Montecchio Emilia e ha uno studio a Carrara.Artista poliedrico, attratto da esperienze multidisciplinari e dall’uso di diversi materiali (marmo, terracotta, pietra, metalli, legno), usa un linguaggio strettamente legato alla materia. La sua ricerca trae spunto dalla dicotomia naturale-artificiale dati non come concetti contrapposti, ma complementari, in cui l’artificiale rappresenta in realtà “il naturale della nostra specie”, tutto ciò che l’uomo crea dal nulla per migliorare la propria sopravvivenza nel mondo. Da ciò è ispirato il tema della casa, della palafitta, delle nuove archeologie e scaturisce la valenza culturale universale di cui si caricano i “luoghi antropici” di Pompili, sospesi nella distanza, nella perdita di certezze, in un concetto di tempo che si riverbera nella riflessione e nell’interiorità dell’artista.

Andraž Šalamun

È nato nel 1947 a Lubiana, dove nel 1975 si è laureato alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Il suo percorso artistico inizia nell’ambito del gruppo concettualista OHO (1968-1971), mentre in seguito si dedica esclusivamente alla pittura. Šalamun ha esposto le proprie opere in una cinquantina di mostre personali, ha partecipato a numerose mostre collettive ed ha ricevuto importanti premi e riconoscimenti. Oltre ad essere tra i promotori della body-art in Slovenia, negli anni Ottanta diventa uno dei rappresentanti più in vista della “nuova immagine”. Numerosi cicli di tele monumentali raffiguranti poderosi bisonti o paesaggi poetici e cosmici, che si susseguono dagli anni Novanta in poi, testimoniano la sua straordinaria forza creativa. La sua espressione pittorica è legata all’espressività del colore, che con la sua energia richiama stati di coscienza sublimi, spirituali, a volte romanticamente aperti verso l’infinito, verso l’al di là dell’orizzonte, altre volte tesi nel frangente che precede l’esplosione. Negli ultimi anni l’artista si dedica soprattutto alla percezione delle nuvole nelle loro svariate forme. I suoi quadri sono essenzialmente corpi in cui si mischiano varie sensazioni della realtà emozionale.

Gennaro Sardella

È nato a Napoli nel 1950 (ma sostiene ironicamente di non ricordare) e vive e lavora a Sorrento. Nella prima giovinezza si sposta a Roma, Venezia, Firenze, offrendo al pubblico vedute acquerellate e opere estemporanee, fino al rientro a Napoli, dove instaura un rapporto proficuo con Roberto Carignani, celebre pittore di paesaggi e nature morte. La sua poetica converge verso una figurazione fantastica, surreale e nello stesso tempo solidamente ancorata alla realtà e alla tradizione napoletana. Il mare del golfo di Napoli, i pini, i pesci sanciscono i limiti territoriali dell’azione, contestualizzando un racconto per immagini frutto di una fantasia fervida che crea metamorfosi, sottraendo gli elementi più disparati al mondo naturale o artificiale e assemblandoli con foga ed ironia in un fantastico puzzle, dove il conosciuto si tinge di nuove valenze e di sorprendenti euritmie. Come interpretare quei pinocchi composti di misteriori pezzi assemblati, sospesi sopra il mare attraverso lacciuoli più da burattinaio che da carceriere, mentre buffi pesci, avvolti nelle stesse catene, li osservano con stupore? Qualche critico ha creduto di riconoscere nella frenetica fantasia figurativa di Sardella il segno di Bosch. Noi ci arrendiamo all’incanto delle immagini a volte spiritose, a volte liriche o tragiche, come può esserlo solo la vita e il caleidoscopio delle farse e dei drammi che ci propone.

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21. Sabato 25 agosto, serata finale della rassegna e cerimonia di consegna delle Vele d’oro presso il centro congressi del Park Hotel. Nella foto, da sinistra, Pericle Stoppa, presidente del comitato organizzatore, Toni Balislav e Silvio Saura, due componenti della giuria presieduta dal critico Nicola Micieli. Al centro la giornalista Claudia Graziani, conduttrice della serata seguita con il consueto interesse dal folto pubblico presente. 22. Il responsabile del comprensorio ravennate dell’Associazione Industriali, Beppe Rossi, consegna la Vela d’oro della stampa al pittore Paolo Collini di Milano. L’ambito premio è stato assegnato da una commissione composta da giornalisti delle testate locali.

23. Il pittore Franco Batacchi ha appena ricevuto la Vela d’oro della critica consegnatagli da Roberto Gualandi, consigliere della Provincia di Ravenna.24. L’assessora alle Pari Opportunità, del Comune di Ravenna, Giovanna Piaia, consegna la Vela d’oro della critica all’artista tedesco Bernd Kaute. 25. L’artista sloveno Tone Lapajne riceve la Vela d’oro della critica da Pericle Stoppa. 26. Il presidente della Camera di Commercio di Ravenna, Gianfranco Bessi, consegna la Vela d’oro della critica all’artista Enrico Manera di Roma.27. Il giovane artista spagnolo Ferran Selvaggio riceve la Vela d’oro della critica da Sergio Sangiorgi, presidente della Pro Loco di Marina di Ravenna.28. Il maestro Eugenio Carmi premiato con la Vela d’oro alla carriera da Valter Fabbri, presidente del Consiglio comunale di Ravenna.29. Sollecitato a commentare il premio alla carriera appena ricevuto, il maestro Carmi ha brillantemente risposto, strappando un corale applauso. A conclusione della serata il presidente della giuria, Nicola Micieli, ha fatto un breve bilancio della manifestazione.

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Germano Sartelli

Nato a Imola nel 1925, frequenta il laboratorio dell’intagliatore ligneo Gioacchino Melluzzi dedicandosi al restauro di sculture marmoree. Fra il 1948 e il 1958 realizza sculture in legno e ferro, per avviare nella metà degli anni Cinquanta una ricerca sui materiali naturali e artificiali poveri di estrazione diversa, che introduce a pieno titolo a costituire l’opera d’arte. Stracci, fili metallici, mozziconi di sigaretta, ragnatele, residui d’ogni genere della società dei consumi acquisiscono in tal modo una qualità estetica non contemplata dalla loro funzione primaria, ma che egli sa riconoscere in origine. Nel determinare il suo percorso artistico, certamente influente è stato il contesto appenninico in cui l’artista vive e lavora, tanto che qualcuno lo ha definito “contadino poeta” per la sua manualità e il suo rapporto semplice e diretto con la realtà delle cose. Attento ai nuovi linguaggi artistici, vi si è accostato senza peraltro aderirvi completamente. Così nella sua poetica è possibile scorgere echi di arte povera, di tendenze neo-figurative, tracce di una certa sensibilità neo-dada, ma mantenendo intatta la propria identità, coerente e continua pur nella diversità delle esperienze, non può perciò venire etichettato in alcuna tendenza artistica particolare. Il suo linguaggio colto e naturale insieme, si esprime attraverso materiali poveri, usati, riciclati, capaci di acquisire valore artistico mediante l’operazione a cui egli li sottopone. Il critico Claudio Spadoni definisce “sentimento poetico del reale” la forza che lo guida nella scelta e nel processo della creazione. La genesi artistica si materializza attraverso prelievi, manipolazioni, tracce di colore tenui come ricami mentali, segni caotici, nervosi, ossessivamente ripetuti; oppure piccoli strappi sulla carta da cui trapela ciò che è nascosto sotto la superficie, creando un movimento ritmico dei segni e una policromia esaltata dal campo nero di contenimento. Sartelli nella sua lunga carriera di artista costellata di mostre e di riconoscimenti, ha anche insegnato per diversi anni nell’ospedale psichiatrico Lolli di Imola, applicando l’arteterapia ed esponendo le sue opere accanto a quelle dei pazienti.

Ferran Selvaggio

Artista catalano di origine siciliana nato nel 1963 a Barcellona, dopo gli studi d’arte applicata e il master universitario di arte e conservazione libraria, ha esordito con pitture di paesaggi urbani per proseguire, durante gli anni Novanta, con opere in materiale riciclato ispirate da viaggi liberi nei meandri della mente, con la tecnica dell’automatismo psichico. L’artista utilizza prevalentemente come supporto il legno, su cui addensa campiture di stampo geometrico nei colori che predilige, il nero, il bianco e il rosso, usati puri. Intorno a queste forme statiche racchiuse in rigidi confini, si agitano linee bianche dinamiche in una sorta di fibrillazione continua, quasi a sottolineare il contrasto fra la razionalità e l’istinto. Avendo rifiutato come obsoleta ogni raffigurazione convenzionale, l’artista si avvale di un linguaggio estetico spontaneo, automatico, libero da sovrastrutture culturali, fondato sull’uso di colori primari e di materiali già tipici della pittura come legno, gesso e smalto. L’arte non imita più la vita, ma è la vita stessa, creazione originaria che riporta alle origini del mondo, attraverso l’esaltazione della componente simbolica dei colori. La passionalità, il tormento, l’inferno sono evocati dal rosso a cui fa da contraltare la purezza e la quiete paradisiaca espresse dal bianco, mentre il nero rappresenta l’infinito. L’opera prodotta per questa rassegna è stata ispirata da una mappa geografica rovesciata, in cui i consueti colori bianco, rosso e nero si affiancano ai colori azzurro, giallo e verde che, uniti fra loro, formano le bandiere nazionali dei paesi affacciati sull’Adriatico crocevia di culture. È spontaneo chiedersi se il gioco dello specchio sfalsa l’immagine per ironizzare sul presente o per proiettarsi in maniera avveniristica su un futuro già preconizzato dall’artista.

Miljenka Šepic

Nata ad Abbazia nel 1955, si è diplomata nel 1985 all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove è stata allieva del prof. Carmelo Zotti. Dal 1987 al 1988 è stata ospite della Staatliche Akademie der Bildender Künste di Stoccarda. La sua pittura le è valsa parecchi premi internazionali. Dal 1985 ha esposto in 38 mostre personali e in più di 300 mostre collettive. Il suo è un omaggio d’autore alla tradizione dell’Impressionismo monettiano; un fondato contributo all’astrazione lirica, all’espressione coloristica, alla metodologia “tachista”, all’energia liberatoria e alla spontaneità della pittura d’azione. Con la sua pittura evoca un rapporto sensualistico con la realtà e un approccio sostanzialmente romantico al motivo. Capta attraverso le foglie e i fiori tutto lo sfarzo della luce solare pomeridiana e il conseguente vibrante disfarsi dei contorni, la dinamicità derivante dallo scintillante attivismo del colore. La sua morfologia essenzialmente espressionistica, ha sprigionato un vigoroso sentimento interiore, stimolato dall’esperienza assolutamente classica,“en plein air”, nella natura.

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Giuseppe Simonetti

Nato nel 1953 a Palermo, dove vive e lavora e dove ha effettuato gli studi artistici, dal 1976 affianca l’attività di insegnante di discipline artistiche presso l’Istituto Statale d’Arte di Palermo a quella di pittore. Il suo curriculum è ricco di esposizioni personali e partecipazioni a importanti collettive in Italia e all’estero: Berlino, Bruxelles, Monzòn, New York, Parenzo, Parigi. La recente mostra “Silenzi”, promossa e organizzata nel 2006 dall’Istituto Italiano di Cultura a Bruxelles, nella quale ha presentato dipinti in gran parte prodotti espressamente, ha sancito la sua consacrazione come artista europeo, facendo convergendo su di lui l’attenzione di importanti critici che vedono nelle sue opere la compiuta coniugazione fra l’astrattismo di stampo geometrico e una sorta di figurativismo ispirato ad elementi naturali di valenza simbolica. Sempre nel 2006 gli è stata assegnata la Vela d’oro della critica nell’ambito della Rassegna di pittura Marina di Ravenna. Artista sensibile e attento alle nuove tendenze, ha abbandonato le figure espressioniste e dolenti degli anni Ottanta per una ricerca originale nell’ambito della comunicazione e del linguaggio visivo, improntata sul rapporto dialettico fra il rigore strutturale delle forme e l’espansione emozionale del colore. Oltre la griglia delle strutture geometriche, simili ad architetture fantastiche o a quinte teatrali, si aprono squarci di blu dai timbri e dai toni diversi. Questi “frammenti di infinito” richiamano il mare e il cielo della Sicilia, ma anche, in senso lato, elementi naturali ed emotivi che sono parte integrante del panorama interiore di ogni uomo. Nell’impianto compositivo dell’opera si evidenzia il contrasto fra le forme monocrome (la vasta gamma dei blu così cari all’artista da dare il titolo a una sua recente mostra, brandelli di rosso fiammeggiante, verde intenso di foresta, grigio-piombo) e forme dal colore tormentato, controverso, così agitato dai segni e dai gesti da apparire simile a una materia primordiale, lavica, a un magma originario, nell’eterno contraddittorio fra la razionalità che alza confini e l’emotività che spinge a cercare, oltre a essi, tracce di infinito. Sue opere sono presenti in collezioni private e in importanti musei italiani.

Luka Stojnić

Prendere possesso di uno spazio espositivo temporaneo, sistemarvi degli oggetti, è la reiterazione dell’atto primitivo dell’occupare un territorio sconosciuto e consacrarlo. Stabilirsi in un territorio per le tribù nomadi primitive era una decisione vitale: scegliere un luogo particolare, organizzarlo, abitarlo significava, in definitiva, supporre e ri-creare un nuovo universo, considerato una replica dell’universo pragmatico creato e abitato dagli dei; di conseguenza il territorio condivideva la santità del lavoro originale. Organizzare uno spazio deve quindi essere inteso come l’atto di rendere cosmico un territorio attraverso la sua consacrazione, la creazione di uno spazio mentale ordinato, l’unico spazio reale opposto al caos e al non essere che ritualmente lo possiede, crearlo di nuovo secondo esempi prestabiliti di cosmogonia. In questa luce, l’installazione di Luka Stojnić deve essere considerata come il tentativo di stabilire una mappa per la percezione dell’altro, un territorio organizzato all’interno del quale gli oggetti sono venerati non come un tributo a Dio ma come possibilità di stabilirne un significato effettivo, attraverso la loro qualità di essere oggetti. Fuori dal nostro presente, siamo invitati a guardare questi oggetti, a manifestare la nostra intenzione di possederne il passato e il futuro, di abitarli, di fare esperienza delle loro qualità oggettive, che non sono completamente determinate né sviluppate.Se tentiamo una sintesi degli orizzonti innati di questi oggetti incontreremo, in modo sorprendente, la loro infinita incompletezza, come un’apertura attraverso la quale la loro sostanzialità scivola via, nel momento in cui noi passiamo dall’esperienza oggettiva all’idea.L’esercizio del linguaggio rende possibile l’esistenza dell’essenza in un apparente stato di separazione; nel silenzio della nostra coscienza primaria si può trasmettere ciò che significano non solo le parole, ma anche le cose: il nucleo del significato primario attorno al quale le azioni del nominare e l’espressione prendono forma. Duecento frammenti industriali di un’antica Sfinge ci guardano, moltiplicando l’enigma originale sulle differenze fra oggetto e soggetto per duecento volte.

Franco Sumberaz

Nato nel 1939 a Fiume, si è diplomato all’Istituto d’Arte di Lucca e ha svolto l’attività di insegnante di disegno e di storia dell’arte. Vive e lavora a Livorno. In passato ha effettuato restauri di affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo e di Paolo Veronese a Venezia ed ha elaborato scenografie teatrali per il Ravenna Festival in collaborazione con il regista Micha Van Hoecke. “Visionario della realtà” lo ha definito il critico Mario De Micheli, e davvero Sumberaz è un pittore che riesce a trasfigurare la realtà senza staccarsene completamente, ritenendo egli che la natura sia il campo di applicazione della ragione umana. La maestria pittorica dell’artista, che ha raccolto l’eredità dei grandi maestri del passato rendendola sensibile alla propria poetica, è straordinaria e si sposa con una percezione del reale suggestionata da presentimenti, evocazioni, elaborazioni culturali e con una sensibilità capace di trasfigurare in creazione artistica anche i grandi accadimenti che si riverberano sul sociale. Importante è il ciclo “Vaso di Pandora”. Dalle figure femminili, dai paesaggi, dagli elementi naturali l’artista arriva così ad elaborare quei microcosmi iconografici e pittorici che si sprigionano da ogni quadro, come se i confini della tela non potessero contenerli e di fronte ai quali non si può che rimanere sorpresi e suggestionati per l’incredibile energia contenuta nella pittura, per la complessità e l’equilibrio della composizione e per la straordinaria visionarietà che vi sovrintende. Fra le sue numerose esposizioni, la presenza nelle cattedrali di Livorno e di Verona di “Respiro Divino”, un’opera di notevoli dimensioni e di grande rilievo dedicata a Papa Giovanni Paolo II, che continuerà il suo percorso in altre città italiane e straniere.

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Antonio Tamburro

Nato nel 1948 a Isernia dove vive e lavora, ha frequentato la Scuola d’Arte e successivamente l’Accademia di Belle Arti di Napoli. I critici lo collocano in un ambito tendenzialmente neo-figurativo. Ispirato da un ricordo, da una visione fugace, da una sensazione legata al vivere quotidiano, traspone sulla tela figure femminili, interni, paesaggi in cui la figura umana funge da baricentro. Malinconia, inquietudine, atmosfere “noir” abitano le sue opere in cui persone e cose aleggiano in ambienti desolati, avvolte in uno spazio metafisico in cui il tempo è come sospeso nell’attesa di un evento che forse non accadrà. Donne solitarie, estraniate, condannate al silenzio in “luoghi anonimi” come locali pubblici, carrozze di treni, taxi, stanze d’albergo, teatri dove si recita la commedia umana dell’alienazione e dell’incomunicabilità. Tamburro è estremamente attento alle problematiche esistenziali provocate dal dinamismo frenetico della contemporaneità. Come uomo calato nel suo tempo e come artista, ne avverte il fragore eccessivo, la scarsa riflessione, l’assenza di comunicazione vera. Nella sua produzione più recente questi temi si traducono nell’uso di colori puri, accesi, lanciati sulla tela con una gestualità nervosa ed espressiva in un dinamismo vorticoso che rimanderebbe a un certo espressionismo astratto, se non fosse che qualche tratto di figura umana emerge sempre dall’insieme, amplificando il senso di isolamento della persona in un mondo ottuso, carico di sovrastrutture ridondanti e superflue, che ha privato l’uomo del posto centrale che gli compete e lo subordina a tutto il resto.

Stefano Tonelli

Stefano Tonelli è nato a Montescudaio (PI) nel 1957. Dal 1973 ha reso pubbliche le sue ricerche artistiche con esposizioni personali e collettive, performances e videofilm in Italia e all’estero. Dalla metà degli anni ’80 sceglie una strada “contraria” ai flussi d’arte e della moda diventando spesso “segno di contraddizione” e qualche volta di scandalo. Non partecipa che raramente a esposizioni collettive preferendo intervenire in eventi personali per meglio esprimere i suoi concetti e la sua ricerca artistica e spirituale. I suoi temi sono sempre un poco oltre la cosiddetta “linea di confine” che le sue pitture e le sue installazioni tentano invisibilmente di attraversare. Usa tecniche e stili che appaiono differenti ma lo fa con straordinaria libertà per affermare che il ’900 è stato il secolo della grande sperimentazione e della libertà artistica, l’unico secolo che ha “attraversato il confine della ragione” consegnando all’artista la bacchetta magica della vera creatività finalmente liberato da ogni vincolo di mercato e di stile. Negli ultimi quindici anni espone in sedi prestigiose a Roma, Madrid, Parigi, New York, Berlino, Londra, Lisbona. Attualmente collabora con musicisti, poeti e registi nel tentativo di contaminare le varie discipline artistiche pensando che l’arte futura sarà nella fusione di tutte le arti presenti oggi. Vive e lavora in Toscana e a Roma.

Boris Zaplatil

È nato nel 1957 a Lubiana, dove vive e lavora e dove ha studiato all’Accademia delle Arti Figurative. Si è diplomato nel 1982 con il prof. G. Gnamuš ed ha continuato gli studi frequentando il suo corso specialistico d’arte grafica. Dal 1983 ha al suo attivo importanti mostre collettive e numerose, molto rinomate esposizioni personali. È vincitore di diversi premi e riconoscimenti. Il linguaggio di Zaplatil è raffinato e ricercato, nulla viene lasciato al caso. Nel complesso si tratta di un gioco di riflessioni, di ricerca, di soluzioni e motivazioni. Il quadro è frazionato, ma gli eterogenei spazi colorati danno una impressione di simbiosi e armonia. In essi vi è una visione personale della figura umana e degli oggetti o solo di frammenti. Gli interventi nel campo della pittura sono ricercati e il disegno con cui l’autore traccia il suo mondo immaginario, è rifinito fino ad arrivare a un effetto filigrana. Con lo scenario di colori crea un dialogo interessante, che a momenti è dominante, dopodiché affonda nella sua ebbrezza. Il quadro evoca un carattere ornamentale o addirittura aspetti di decorativismo sempre latente, e proprio in ciò risiedono il significato, la simbologia e la comunicatività delle opere pittoriche di Zaplatil.

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30. Venerdì 14 settembre un gruppo di 50 persone (organizzatori e amici della rassegna, artisti e loro accompagnatori, rappresentanti di istituzioni pubbliche ravennati), con il catamarano dell’Emilia Romagna Lines ha attraversato l’Adriatico per partecipare all’inaugurazione della mostra del Premio Marina allestita nella città croata di Parenzo. La comitiva, al suo arrivo a Rovigno, ha trovato un’accoglienza festosa.31. Nella serata di venerdì 14 settembre, presso la Galleria storica della Libera Università di Parenzo, è stata inaugurata la mostra del Premio Marina. Al termine della cerimonia è stato offerto un ricco buffet con prodotti tipici della Romagna.32. Al vernissage i rappresentanti delle istituzioni di Parenzo e di Ravenna hanno sottolineato come l’arte e la cultura possano favorire l’amicizia e la cooperazione tra i popoli. Nella foto, da sinistra, Vesna Kordić e Nadia Štifanić Dobrilović, rispettivamente assessore alle attività culturali e vice sindaco della città di Parenzo, Ketrin Milićević Mijošek, responsabile delle attività culturali della Libera Università di Parenzo, Pericle Stoppa, Valter Fabbri, presidente del Consiglio comunale di Ravenna e Nadia Simoni, assessore della Provincia di Ravenna.33. Numerosi visitatori si sono recati ad ammirare i dipinti del Premio Marina esposti per tre settimane a Parenzo.34. Sabato 15 settembre il gruppo proveniente dall’Italia ha colto l’occasione per visitare la mostra personale del pittore Hari Ivancic (a destra nella foto), allestita presso il Museo comunale della città di Buzet. L’assessore alla cultura Davor Grabar (al centro), portando i saluti della comunità di Buzet, ha calorosamente accolto gli ospiti, offrendo una degustazione di tartufo, prodotto tipico del luogo.35. Domenica 16 settembre, preparandosi al rientro a Ravenna, l’allegra comitiva si è ritrovata per il pranzo conclusivo della trasferta in Croazia, nella terrazza d’un ristorante sul mare di Rovigno.

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Le opere

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Giampaolo

Atzeni Un mare di incontriacrilico su tela cm 80x80

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Antonio

BaccarinSenza nome 2007tela pressata, arrotolamento in fibra di carbonio, colori acrilici cm 90x60,5

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Franco

BatacchiVela d’oro della critica

Nike etnica su onda adriaticacollage e tecnica mista su tavola cm 86x74

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Franco

Bonetti Terre, mari e perletecnica mista su tela cm 100x150

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Achir

Brahim Mio tulipanoolio su tela cm 70x50

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Raffaella

Campolieti Omaggio a Teodoraacrilico su cartone cm 70x50

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Claudio

Cargiolli Jumana, ovvero perla d’argentotecnica mista su tavola cm 53x63

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Eugenio

CarmiVela d’oro alla carriera

L’orizzonte magico del mare Adriaticoolio su tela cm 40x40

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Erio

Carnevali Terre di mareacrilico e olio su tela cm 80x60

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Tommaso

Cascella Appuntamento con una voceacrilico e collage su carta cm 50x35

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Paolo

ColliniVela d’oro della stampa

I silenzi dell’infinitoolio su tela cm 80x80

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Lorenzo

D’Angiolo Il grande orizzontetempera vinilica su carta intelata cm 51x30

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Domenico

DifilippoL’oro, il blu e il mito dell’AdriaticoCartacemento armato, blu lapislazzulie foglia d’oro cm 59x43x5 ca.

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Giuliano

Ghelli Migrazioneacrilico e pomice su tela cm 50x50

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Cleonice

Gioia Bassa mareaolio su tela cm 90x90

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Kažimir

Hraste L’estateacrilico su carta cm 70x50

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Hari

Ivančić Terre rosseolio su tela cm 60x100

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Narcis

Kantardžić Il solitarioolio su tela cm 90x120

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Bernd

KauteVela d’oro della critica

Immersione mediterraneatecnica mista su tela cm 100x100

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Tone

LapajneVela d’oro della critica

La terra nel cielo terre plastificate su tela cm 107x130

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Mira

Ličen Krmpotić Emmausacrilico su lino cm 100x80

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Gani

Llalloshi Replay & Stopacrilico su tela cm 60x90

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Enrico

ManeraVela d’oro della critica

Pool the polaroid booktecnica mista su tela cm 90x110

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Gianni

Mantovani Oltre l’orizzontesmalti e olio su tela cm 80x80

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Slavica

Marin Senza titolotecnica mista cm 50x100 (dittico)

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Matko

Mijić Salbunaraolio su tavola cm 33x46,5

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Frank

Moeglen Senza titolotecnica mista su carta cm 60x90

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Hermann

NitschVela d’oro alla carriera

Schuettbild 2007olio su tela cm 100x80

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Bruno

Paladin Annotazioni babilonesi XXIItecnica mista su tela cm 80x80

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Erzsebeth

Palasti Omaggio al mare. Profondo bluolio su tavola cm 90x80

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Franco

Palazzo Apparizione sull’Adriaticoolio su lino cm 70x100

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Ciro

PalladinoIl mercante di reliquie unirà i popoli. Esodo dell’anima (trittico n. 2), tecnica mista su tela cm 100x180

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Graziano

Pompili Palafitte sull’Adriaticotecnica mista su carta cm 36x54

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Senza titoloacrilico su juta cm 146x198 (trittico)

Andraž

Salamun

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Gennaro

Sardella Dicono sempre che tutto va beneacrilico su tela cm 80x 80

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Luci dell’Adriaticotecnica mista su carta cm 50x70

Germano

Sartelli

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Ferran

SelvaggioVela d’oro della critica

Adriatico-crocevia di culturestruttura in legno dipinto cm 72x78

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Il pratoacrilico su tela cm 90x90

Miljenka

Šepić

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Giuseppe

Simonetti A landscape for travelacrilico su tela cm 60x60

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Studio di statica per scultura bidimensionaletecnica mista su carta cm 44x60

Luka

Stojnić

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Franco

Sumberaz Adriatico. Poesia del mare olio su tela cm 70x80

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Spiaggiaolio su tela cm 100x100

Antonio

Tamburro

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Stefano

Tonelli Tsunami acrilico su tela cm 48x37

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Specchio ovaleolio su tela cm 80x80

Boris

Zaplatil

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RiCoNoSCENZA

Autotrasporti DoMENiCo GADDoNi

Bagnacavallo

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NoVEMBRE 2007