PREMIO GALDUS 2016 X EDIZIONE · preziosa collaborazione di docenti, istituzioni, numerosi nuovi...

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Milano 2016 PREMIO GALDUS 2016 X EDIZIONE “Che ne sarà del mio viaggio?...Un imprevisto è la sola speranza”. (E. Montale, Prima del viaggio, Satura)

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Milano 2016

PREMIO GALDUS 2016X EDIZIONE

“Che ne sarà del mio viaggio?...Un imprevisto è la sola speranza”. (E. Montale, Prima del viaggio, Satura)

UN’ INIZIATIVA REALIZZATA DA

CON IL PATROCINIO DI

IN COLLABORAZIONE CON

PREMIO GALDUS 2016X EDIZIONE

Milano 2016

RINGRAZIAMENTI

La giuria del Premio:Franco Loi, presidente della giuria, Paolo Senna e Massimiliano Mandorlo per la categoria Poesia, Paolo Soraci, Edoardo Brugnatelli, Benedetta Centovalli, Antonietta Inga, Annarita Briganti per la categoria Prosa, Maurizio Milani, Roberto Franchi, Paola Foppiani per la categoria Arte.

La direzione:Nicoletta Stefanelli

Gli operatori del Premio:Enza Pippia, Paola Pozzuolo, Marco Bestetti, Federica Lotti, Agostino Maffi, Tiziana Meschis

Relazioni esterne: Donata Casale

La comunicazione: Silvia Romani

Il progetto grafico: Francesco Zagami

Il supporto tecnico: III classe del corso di servizi d’impresa, III classe del corso B di informatica e III classe del corso di lavorazioni artistiche - oreficeria.

INTRODUZIONE pag. 7

PUBBLICAZIONE pag. 8

I VINCITORI pag. 9

BANDO pag. 10

I LAVORI PREMIATI

POESIA, scuole secondarie di II grado pag. 13

POESIA, scuole secondarie di I grado pag. 18

PROSA, scuole secondarie di II grado pag. 22

PROSA, scuole secondarie di I grado pag. 36

ARTE, scuole secondarie di II grado pag. 48

ARTE, scuole secondarie di I grado pag. 53

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siamo lieti di presentarvi la pubblicazione dei testi vincitori della X edizione del Premio Galdus, dal titolo “Strade, sentieri, rotte”.

Il 2016 è stato un anno speciale per il Premio, cresciuto ulteriormente grazie alla preziosa collaborazione di docenti, istituzioni, numerosi nuovi autori, importanti case editrici e a due nuovi partner, Associazione Figli della Shoah e Fondazione Memoriale della Shoah grazie a cui dall’undicesima edizione Liliana Segre sarà Presidente onorario della giuria.

Il Premio, nella sua decima edizione, ha ricevuto da scuole di tutto il territorio nazionale oltre 4.000 elaborati frutto dell’effetto contagioso generato da autori, scrittori, poeti, attori, giornalisti che anche quest’anno hanno popolato diversi luoghi della città incontrando i giovani e gli appassionati.

I lavori sono arrivati da Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Trentino, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Lazio, Abruzzo, Calabria, Puglia, Sicilia.

La Scuola professionale Galdus è onorata di questo coinvolgimento che valorizza l’avventura educativa del Premio iniziata dieci anni fa all’interno dei nostri corsi dove, per formare i nuovi professionisti, uniamo all’attenzione per la tecnica, la bellezza e il gusto del sapere.

Certi della necessità di riscoprire nel quotidiano ciò che è Buono, Bello, Giusto, siamo ugualmente convinti che solo a partire dai più piccoli possiamo crescere adulti capaci di passioni e responsabilità, che scoprano il piacere di imparare e di lavorare.

Siamo grati della collaborazione di tutti i nostri partner che negli anni ci hanno permesso di continuare questa avventura: Regione Lombardia, il Comune di Milano, l’Ufficio Scolastico Regione Lombardia, Bookcity per le Scuole, il Centro Culturale di Milano, Giunti editore, Expo 2015, La Feltrinelli, il Museo Interattivo del Cinema.

Un grazie particolare alla casa editrice La Feltrinelli e al Museo Interattivo del Cinema per la collaborazione nella premiazione dei lavori, a Bookcity per le Scuole, all’ Anteo spazio Cinema di Milano e al Salone della cultura per l’ospitalità, a Luni Editrice per l’entusiastico ingresso tra gli amici del Premio e a Mediagraf per la stampa della pubblicazione destinata ai vincitori.

E infine, una menzione speciale a voi, ragazze e ragazzi, a voi l’augurio di non stancarvi mai di far “viaggiare” il vostro Io.

Buona lettura!

Care lettrici, cari lettori,

Direzione Premio Galdus

Nicoletta Stefanelli

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CATEGORIA POESIAScuole secondarie di secondo grado: 1° Premio, Marco Tampone e Marco Sismondi: “Viaggio intorno all’ io”, I.I.S. Bodoni Paravia, Torino2° Premio, Greta Meroni: “Congedarsi”, Liceo Artistico Fausto Melotti, Cantù3° Premio, Francesco Guazzo: “Parabola”, Liceo Classico Brocchi, Bassano del GrappaMenzione speciale della Giuria, Alessandro Penna: “La via per Atlantide”, Scuola professionale Galdus, Milano

Scuole secondarie di primo grado: 1° Premio, Silvia Losi: “Il viottolo”, Scuola media Statale Ascoli, Milano2° Premio, Bianca Vecchi: “Il viaggio”, Scuola Media Statale Tiepolo, Milano3° Premio, Alessia Pellegrini: “La mia Otranto”, Scuola Media Statale Ciresola, Milano

CATEGORIA PROSAScuole secondarie di secondo grado: 1° Premio, Margherita Mayr: “La barriera umana”, International School of Milan, Baranzate2° Premio, Alessandro Renna: “Ritorno a casa”, I.T.S.O.S. Marie Curie, Cernusco sul Naviglio3° Premio, Cecilia Reggiani: “Ultimo mondo”, Liceo Scientifico Leonardo da Vinci, Milano

Scuole secondarie di primo grado: 1° Premio, Sara Russo: “Il soffio e il desiderio”, Scuola media Statale Rodari, Milano2° Premio, Chiara Dapei: “Un viaggio interminabile: dal banco alla...lavagna”, Istituto Comprensivo Morosini-Manara, Milano3° Premio, classe 3 C: “L’alfabeto del viaggio”, Scuola Media Statale Colombo, Milano

CATEGORIA ARTEScuole secondarie di secondo grado: 1° Premio, Lorenzo Bidin, Luca Morocutti, Matteo Panigutti: “Il viaggio”, I.S.I.S. B.Stringher, Udine2° Premio, classe 3 A grafica multimediale: “Un insieme di sguardi”, I.I.S. Caterina da Siena, Milano3° Premio, Linda Pellegrino,Ambra Sommi, Gaia Verettoni: “Il viaggio di Oscar”, Liceo Scientifico Mattei, Fiorenzuola D’Arda3° Premio pari merito, Matteo Milan: “Il viandante sul mare di nebbia”, Liceo Scientifico Casiraghi, Cinisello BalsamoMenzione speciale della Giuria, Simone Bugna e Alberto Cavenaghi: “Stelle cremisi” ”, I.T.S.O.S. Marie Curie, Cernusco sul Naviglio

Scuole secondarie di primo grado: 1° Premio, Filippo Boschi e Filippo Carpi: “Il viaggio”, Scuola Media Statale Mauri, Milano2° Premio, Alice Ceresa: “La valigia”, Istituto Comprensivo Morosini Manara, Milano3° Premio, classe 2 D: “Nuvole in volo”, Scuola Media Statale B. Marcello, Milano

MENZIONE SPECIALE PER LA PROGETTUALITÀ DIDATTICA E PRODUZIONE ORIGINALEScuola media Eugenio Colorni, Milano Istituto Scaruffi – Levi – Tricolore, Reggio Emilia

I vincitori dell’edizione 2016

Il Premio dell’edizione 2016 è dedicato al viaggio e al significato dell’imprevisto che inevitabilmente lo caratterizza come suggerisce la citazione d’apertura “Che ne sarà del mio viaggio?... Un imprevisto è la sola speranza”. (E. Montale, Prima del viaggio, Satura).

Tra le strade, i sentieri, le rotte della vita i giovani studenti italiani hanno guardato con occhi diversi la propria quotidianità, i suoi imprevisti, piacevoli o spiacevoli per riflettere sui contributi positivi che anche questi possono portare nel viaggio della vita scoprendosi viaggiatori anche senza alcuno spostamento, se non quello del proprio io.

Sfidati a interpretarlo con opere di poesia, prosa e arte le scuole medie hanno preferito esprimersi in versi poetici e con racconti, gli studenti delle scuole superiori con racconti video, con fotografie e con ricostruzioni storiche e cronache giornalistiche.

Novità di quest’anno sono stati due itinerari speciali per le scuole: in occasione della Mostra “Gioielli di gusto. Racconti fantastici tra ornamenti golosi” a Palazzo Morando gli studenti hanno viaggiato tra le forme e i linguaggi di design, arte e moda con Maurizio Milani, designer di fama internazionale e Mara Cappelletti, docente di storia del gioiello e curatrice della Mostra.

Grazie al Comune di Piacenza è stato possibile scoprire la collezione delle carrozze dei Musei civici di Palazzo Farnese e il laboratorio artistico di Paola Foppiani, viaggiando nel territorio e nella storia piacentina in un dialogo aperto con l’arte locale e i suoi protagonisti.

Tutti i vincitori dell’edizione 2016 si aggiudicano un buono da spendere nelle librerie Feltrinelli. Per la categoria Arte i lavori dei vincitori saranno proiettati durante il festival Piccolo Grande Cinema di Milano a cura della Fondazione cineteca italiana in collaborazione con il Museo Interattivo del Cinema. I vincitori della menzione speciale “Scuole” ottengono in premio un ingresso gratuito con la classe al Memoriale della Shoah di Milano (Binario 21) in collaborazione con l’associazione Figli della Shoah e la Fondazione Memoriale della Shoah.

Nelle pagine che seguono troverete pubblicati tutti i lavori premiati e menzionati dalla giuria e le motivazioni con cui sono stati scelti. Ancora una volta grazie dell’entusiasmo e dell’attenzione con cui aderite alle nostre proposte!

Ad maiora!

Premio Galdus 2016

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ISCRIZIONE AL PREMIO GALDUSInvia la SCHEDA D’ISCRIZIONE debitamente compilata e i componimenti/prodotti all’indirizzo e-mail [email protected] i lavori dovranno essere corredati da una nota d’apertura che indichi il nome e il cognome del candidato o dei candidati, l’istituto scolastico, la classe d’appartenenza e il docente di riferimento. I candidati potranno partecipare anche con lavori a più mani. SCADENZAI testi e le opere artistiche dovranno pervenire entro e non oltre il 29 febbraio 2016.

GIURIALa GIURIA è composta da giornalisti, scrittori, insegnanti e artisti. Il giudizio della giuria è insindacabile.

RASSEGNA CULTURALE Nel corso dell’anno scolastico verrà realizzata una RASSEGNA CULTURALE che prevede INCONTRI CON AUTORI, ARTISTI ED ESPERTI attinente al tema del concorso e rivolta a studenti e docenti.

PREMIAZIONE La cerimonia di PREMIAZIONE avverrà in occasione della Giornata mondiale del libro in collaborazione con il Comune di Milano e Bookcity per le Scuole. Sono previsti premi ed attestati per i vincitori di ogni sezione.

Aggiornamenti sugli eventi e sulla premiazione saranno disponibili sul sito web della Scuola Professionale Galdus: cfp.galdus.it

CANDIDATIIl Premio Galdus è aperto a tutti gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado.

TEMA: STRADE, SENTIERI, ROTTE “Che ne sarà del mio viaggio?... Un imprevisto è la sola speranza”. (E. Montale, Prima del viaggio, Satura)

I partecipanti sono invitati a raccontare l’esperienza del viaggio, compiuto o atteso, programmato o improvvisato, soli o in compagnia, alla scoperta di ciò che di imprevedibile li precede.

CATEGORIEIl Premio Galdus si articola in tre categorie:

» Categoria Prosa Composizione di un testo in prosa che tratti il tema proposto. I candidati potranno esprimersi liberamente, utilizzando i generi e gli stili più vari.

» Categoria Poesia Composizione di un testo poetico di schema metrico libero che abbia per oggetto la tematica proposta.

» Categoria Arte Realizzazione di un’opera artistica che rappresenti il tema in oggetto (disegno, fotografia, componimento musicale, scultura, video).

CRITERI GENERALII partecipanti alla “CATEGORIA PROSA” potranno concorrere con un solo testo (lunghezza massima di 15.000 battute). I partecipanti alla “CATEGORIA POESIA” potranno concorrere con un massimo di due componimenti inediti (lunghezza tra i 10 e i 30 versi). Per la “CATEGORIA ARTE” è necessario produrre, in accompagnamento alla forma d’arte prescelta (fotografia, tavola, video, etc…), una presentazione scritta, che motivi e descriva l’opera realizzata, in massimo 1.000 battute.

Regolamento Premio 2016

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1° PREMIO - MARCO TAMPONE - MARCO SIMONDI“Viaggio intorno all’ io”, I.I.S. Bodoni Paravia, Torino

Viaggio intorno all’io

Mi sono smarrito nel camminoper cercare me stesso,ma nulla ho trovatose non false sagome di me quasi come cartongesso e come vetro mi frammento in piccoli pezzi di pensieriaffogando nello ieri mi tormenta il domani troppo spessoframmento, sgomento, spavento:ecco il mio viaggio di ogni giorno.

Il viaggio non è solo esperienza di attraversamento di un luogo ma, come recita il titolo di questa poesia, un Viaggio intorno all’io. Così muoversi nello spazio è in realtà muoversi intorno a sé e verso sé, ma è un percorso il cui esito non è sempre noto. “Ma nulla ho trovato / se non false sagome di me”: un verso che testimonia la difficoltà di cercare sé stessi, di guardarsi dentro e di scoprire i propri “frammenti” interiori.La giuria

POESIA - SCUOLE SECONDARIE DI II GRADO

I PREMIATI POESIA » Secondaria di II grado » Secondaria di I grado

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3° PREMIO - FRANCESCO GUAZZO“Parabola”, Liceo Classico Brocchi, Bassano del Grappa

Parabola

Dopo due naufragiin terrafermacome un marinaioamante della vitaprendo il largoe indago tra le ondela caducità delle coseNel silenzio osservola mia felicità chein lontananzasi barcamenatra modestegeometrie amoroseVedoil trascorrere del tuttoil dileguarsi dell’assolutoTra pensierie mutevoli emozionivadoe andandotorno

La poesia descrive il viaggio nel tracciato di una parabola, nel quale la linea ideale del percorso giunge a un punto di vertice e poi ritorna, ma non più per la stessa strada. Così è del cammino di conoscenza dell’io che, dopo aver visto “il trascorrere del tutto” e “il dileguarsi dell’assoluto” può continuare il suo viaggio verso una destinazione nuova che al contempo è anche un ritorno ad assaporare le cose già esperite, ma con un punto di vista nuovo e diverso.La giuria

POESIA - SCUOLE SECONDARIE DI II GRADO

2° PREMIO - GRETA MERONI“Congedarsi”, Liceo Artistico Fausto Melotti, Cantù

Congedarsi

Svaniretra l’idillio del silenzio e l’aria gentile.

Svanire come lenta la nevesu un manto doratoe dolente il sole oltre il colle.

Svanirein una nera nuvola di polverecosì che i colori non feriscano l’anima.

Svanire tra i rintocchi del cuore che sordiscandiscono i passi.

Voltarsi verso terre remote accompagnata dall’incanto perdutoche vive nei sospiri

Congedarsi mentre il cielo volge lo sguardo oltre ciò che il cuore comprende.

Un testo delicato e ricco di immagini in cui la prima parola di ogni strofa (“svanire”) genera un richiamo sonoro che produce veri e propri “rintocchi del cuore”. Una tenue elegia che mostra un io lirico che si rivolge “verso terre remote” e che da esse si congeda; ma il paesaggio descritto è richiamo a un ignoto paesaggio interiore: “il cielo volge lo sguardo / oltre ciò che il cuore comprende”.La giuria

POESIA - SCUOLE SECONDARIE DI II GRADO

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La via per Atlantide

Ed è qui che inizia il viaggio:Mare calmo all’orizzonte,Ligheia in un miraggioDue navi al salpar pronte.Dolci note si spandono Nell’ aria e nella testa E molte se ne aggiungono:Oggi è giorno di festa!O cuore mio rapito Per questo viaggio infinito Alla scoperta del mondo Negli abissi mi confondo.La tua coda azzurrina Nel blu profondo sconfina Felice in questo gorgo Su Atlantide mi sporgo.Qui Poseidone è sovrano :Un labirinto intricato Di vie, svelano un arcanoRegno ormai abbandonato.Vagabondo per vie deserte Mille sirene incontro Della vita assai esperte Giocondo gli vado incontro.-Desidero di sapere Il mistero della vita:Ligheia non lo tacere,Dimmi che non è finita!-Tutte mi guardano mute Affamate mi circondano Oh, mie speranze perdute!Apro gli occhi:era solo il canto di un gabbiano.

Il testo narra di un viaggio fantastico, quasi una fiaba in versi, che colpisce per le immagini impiegate e la capacità di sintesi. Un viaggio condotto alla ricerca del “mistero della vita” che si conclude senza una risposta definitiva e nell’apparenza del sogno. Particolarmente interessante è l’impiego della forma metrica della canzonetta di quartine a rime baciate o alternate, ben riuscita e condotta in modo attento e non semplicistico.La giuria

MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA: ALESSANDRO PENNA “La via per Atlantide”, Scuola professionale Galdus, Milano

POESIA - SCUOLE SECONDARIE DI II GRADO

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2° PREMIO - BIANCA VECCHI“Il viaggio”, Scuola Media Statale Tiepolo, Milano

La voce del cuore

Il freddo mi avvolge,le labbra mi tremano; intravedo da una fessura la stazione allontanarsi,e la mia mano stringe quella della mamma.

Le lacrime le rigano gli occhied io continuo a non capire,vedendo il mio fratellino piangerenella carrozza che ci precede.

Che il vagone prenda fuoco,che il motore del treno esploda,che muoia ora,pur di non restare imprigionata nella paura.

La mia mente si svuotaed il respiro affanna;non so cosa mi aspettama chiudo gli occhi ed ascolto il mio cuore.

Il viaggio descritto con capacita’ di visione e analisi da questa lirica, tra treni e stazioni ferroviarie, viene ad assumere una dimensione intima ed interiore (il freddo, il tremore delle labbra, le lacrime, il respiro affannato); la paura e l’incertezza descritte nelle strofe finali non rappresentano pero’ l’ultima parola ma lasciano spazio ad una voce interiore a cui prestare ascolto e fedelta’, quella del cuore: “non so cosa mi aspetta/ma chiudo gli occhi ed ascolto il mio cuore”.La giuria

POESIA - SCUOLE SECONDARIE DI I GRADO

1° PREMIO - SILVIA LOSI “Il viottolo”, Scuola media statale Ascoli, Milano

Il viottolo

E come le rondini che perdonola rotta verso l’estatein un giorno senza fine,mi ritrovai dinanzi a una via desertadove la nebbia aveva trovato casa.

Sola io ero,in quel sentiero.

Sentivo soltanto il rumore casalingoche proveniva dalle case circostanti.Il suono del campanello di una biciclettafu l’ultima cosa che sentii,prima di riaprire gli occhinel bel mezzo della notte.

Era un sognodi casee sentieri...

L’immagine del viaggio e’ espressa con grande efficacia ed originalita’ dalla similitudine iniziale di questa poesia, sospesa tra realta’ e mondo onirico: “e come le rondini che perdono/la rotta verso l’ estate/in un giorno senza fine”. Il testo riesce ad unire leggerezza ed equilibrio metrico e sintattico, trasformando la “via deserta” della strofa iniziale in un “sogno di case e sentieri”.La giuria

POESIA - SCUOLE SECONDARIE DI I GRADO

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I PREMIATI PROSA » Secondaria di II grado » Secondaria di I grado

3° PREMIO - ALESSIA PELLEGRINI“La mia Otranto”, Scuola Media Statale Ciresola

La mia Otranto

Ascolto il vibrare del trenosulle rotaie,mi culla dolcemente,poi luce,ombra,chiaro,scuro,silenzio,rumoreed improvvisa una distesa azzurra….nella quale voglioritrovare i miei pensieri.Così mi ascoltoimmagino,ricordo.Ritorno nel tempoa tante estati che profumano di mare,a focacce appena sfornatenei budelli della cittadina.Il pensiero arriva ad un senso di paceritornano le passeggiate,i canotti,il profumo di gomma improvvisamente piacevolecome improvvisoè lo sferragliare del treno,un fischio,l’arrivo,la quiete

Un luogo amato e di appartenenza, la citta’ di Otranto, diventa il punto privilegiato di osservazione di questo testo in cui i ricordi si condensano con efficacia inseguendo il ritmo del viaggio: le “estati che profumano di mare”, le “focacce appena sfornate”, il “profumo di gomma”, la “donnina sull’uscio” come vive immagini della memoria osservate quasi attraverso il finestrino di un treno in corsa.La giuria

Aspetto, riprendo il pensiero.Il mare può attendereil mio viaggio non vuole finire.Gli occhi vedono altroscorgono una stradafiorita, profumatala percorrocuriosa ed incerta…Arrivo nei luoghi dei miei giochicon le amichenei giorni d’estateriesco ad intravedere la donnina sull’uscioe sento la sua vocina calda e accoglientesaluta...saluta ancoraBello camminarmi dentrotra i ricordiinciampando nei sassolinio correndo senza ostacoli.Libera!Il viaggio…Anche dentro di me!

POESIA - SCUOLE SECONDARIE DI I GRADO

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PROSA - SCUOLE SECONDARIE DI II GRADO

il barlume di speranza, all’inizio del viaggio un fuoco vigoroso, si fa sempre più tenue. Dopo innumerevoli giornate di marcia e fame e sete, siamo arrivati in un’area recintata e circondata da persone con gli occhi di pietra. Sono disposti in una lunga fila che fa da barriera, come se si dovessero difendere da qualche invasione. Cullano le loro armi e appena ci intravedono iniziano a scambiarsi degli sguardi nervosi. Dalla nostra parte della barriera ci sono altre persone nelle nostre stesse condizioni che aggrappate disperatamente al filo spinato implorano i soldati. “ ‘Ami dove siamo? Questi signori in uniforme mi fanno paura. ‘Ami uno di loro si sta avvicinando, ho paura!” Mahdi si aggrappa al burqa e cerca di avvolgercisi dentro. E’ talmente scheletrico che riesce quasi a nascondersi del tutto.L’uomo imponente dagli occhi inespressivi si avvicina a mio figlio e dopo averlo squadrato da capo a piedi fa un passo verso di me. E’ così vicino che riesco a leggere il disprezzo sul suo viso e sentire il suo alito ripugnante. Con un movimento improvviso afferra il mio braccio e preme così forte da farmi digrignare i denti per non urlare dal dolore. “You cannot cross this border so go back to where you have come from” mi dice sputando ogni parola. Siamo in Ungheria. Mio cugino Amir mi aveva avvisata che al nostro arrivo in questa terra non avrebbero parlato la nostra lingua. Tiro fuori dallo zaino un foglio di carta stropicciato e lo consegno al soldato che mi guarda insospettito. Prima di partire ero passata dal medico Alyasa perché girava voce che lui avesse ricevuto un’educazione vera e propria e che sapesse parlare più di tre lingue. Su questo foglietto, ormai l’unico mezzo alla nostra salvezza, aveva scritto nella lingua straniera: “Siamo venuti in pace e cerchiamo un rifugio dalla guerra.”Ora il soldato getta il foglio per terra ed esplode in una risata di scherno. La sua presa sul mio braccio si fa più decisa e poi mi lascia, spingendomi indietro con disprezzo. Si gira e ritorna dagli altri soldati che si mettono a ridere al suo stesso modo. Io non mi arrenderò. Prendo Mahdi per mano ed inizio a correre nella direzione del soldato, inciampando sul lungo velo mischiatosi al fango. In lontananza avvisto degli spari ed il bum bum che non avrei mai più voluto risentire. La mia visione si offusca ed inizio a lacrimare a causa di qualche sostanza nell’aria. Mi inginocchio davanti a Mahdi che trema dal terrore, “Ricorda mio piccolo mamul quello che dice il Corano: “La parola di Dio è Pace.”*6

In un pezzo dal sapore cronachistico, la giovane autrice ci porta sui sentieri dolorosi dell’attualità, vicino alle nostre frontiere, dove due mondi si sfiorano. Una donna li percorre con il figlioletto alla ricerca di un futuro migliore. Punta il nostro sguardo su roseti di abiti, mentre ci fa sentire suoni, odori, sentimenti. Nell’orrore della fuga e della disumanità, l’imprevisto è la voce di una madre, capace, nonostante tutto, fino alla fine, di proclamare: “Il nome di Dio è Pace”.La giuria

*’Ami è il termine arabo per “mamma”*1 I mamul sono dei dolcetti preparati con i datteri e la frutta fresca, tipici della cucina siriana*2 La dabka è una danza folklorista diffuse nei paesi Medio Orientali, in particolare in Siria*3 L’oud è uno strumento a corde della tradizione siriana*4 La djellaba è una tunica tipicamente azzurra, abito tradizionale degli uomini arabi*5 Ab è il termine arabo per “papà”*6 Citazione dal Corano, 36a58

1° PREMIO - MARGHERITA MAYR: “La barriera umana”, International School of Milan, Baranzate

LA BARRIERA UMANA

Raccolgo il roseto di abiti che giacciono abbandonati lungo il sentiero. Nonostante la polvere e le lacrime di chi è passato prima di noi, sono rimasti intatti. Mahdi appoggia il viso dai lineamenti ambrati sul giaciglio. “ ‘Ami ”* mi dice mio figlio socchiudendo gli occhi da cerbiatto, “domani saremo più vicini al luogo della salvezza, la Gerpania?” “Si dice Germania, mio piccolo mamul,*1 e ora riposa, domani è un altro giorno.” Poso le mie labbra, aride come la terra su cui siamo distesi, sulla sua morbida fronte e prego Allah perché gli doni almeno qualche ora di pace.Dopo la consueta battaglia, le angosce hanno la meglio sul sonno. I frammenti di vetro, gli avanzi di cibo ed i vestiti di un popolo dilaniato sono l’ultima speranza che ci è rimasta. E’ da tre settimane che la nostra vita si è trasformata in un caccia al tesoro, anche se il tesoro è ancora sconosciuto. Non avrei mai pensato che durante la nostra fuga dalla guerra in Siria, saremmo rimasti soli, lontani dai nostri cari. Le spoglie del viaggio di chi ci ha preceduto mi infondono inquietudine, ma allo stesso tempo richiamano ricordi di un tempo in cui si danzava la dabka*2 e si suonava l’oud*3. Mi domando se questi vestiti appartengono a qualche mio conoscente. Vedo una djellaba*4 azzurra, mi sembra l’abito prediletto del medico Alyasa, il cui matrimonio con Tahira era stato uno dei più sontuosi di tutta Damasco. Alyasa è stato l’unico a rifiutare di pagare ai trafficanti la somma richiesta per il tragitto dalla Siria all’Ungheria: un milione di Sterline Siriane.All’improvviso il verso di un animale sconosciuto mi fa sobbalzare. Assomiglia a quellodell’antilope siriana, ma non sono in grado di indentificarlo. Ricordo di essere in Serbia, unpaese che prima di adesso avevo solo sentito nominare nelle discussioni degli uomini. L’animale potrebbe aver fiutato l’odore del pollo essiccato, una delle poche provviste rimaste. A quest’ora dovremmo già essere in Germania, nuovamente integrati in una comunità protetta. Invece eccoci qui, ancora a metà strada, senza sapere come ci accoglieranno al confine con l’Ungheria.Il verso minaccioso della creatura si fa più vicino. “Mahdi svegliati, è ora di riprendere ilcammino” gli dico mentre scuoto il suo braccino ormai magrissimo. Con una voce sottile eassonnata mi dice: “Ho fatto un sogno. Eravamo a casa seduti intorno al tavolo. ‘Ab*5 era ancora lì con noi. Non è scomparso come quel giorno in cui è uscito di casa e abbiamo sentito bum bum.”

Non riesco a trattenermi e una lacrima scende lungo la guancia. “Ti invidio mio piccolo mamul, perché tu riesci ancora a sognare. Ricordati però che i sogni possono essere pericolosi e provocare tanto dolore. Sii saggio, come lo era ‘ab. Ora prendi il tuo zainetto e stringimi forte la mano. Abbiamo un lungo cammino davanti a noi.”

Il sole cuoce la mia pelle sotto il velo di lino. Nel panico scatenato dall’esodo ho dimenticato di prendere un burqa di ricambio e solo ora, indossando l’indumento color cenere, mi rendo conto di quanto sarebbe stato utile aver portato con me anche quello bianco. Con il passare del tempo,

PROSA - SCUOLE SECONDARIE DI II GRADO

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“Sì, avete ragione.” Ammise Taka.

“Tuttavia ha già dimostrato molte volte di essere degno di fiducia, inoltre è molto abile a raccogliere informazioni. Proporrei di dargli ancora un po’ di tempo.”

La maschera sul volto non riuscì a coprire lo stupore dell’Uomo: “Taka, mi sorprende detto da te. Il fatto stesso che tu ti stia sbilanciando in un elogio nei suoi confronti significa che la sua attitudine al compito che gli ho affidato va oltre le mie stesse aspettative.” Taka e Noboyuki si conoscevano già da molto prima della missione, avevano combattuto prima uno contro l’altro e poi fianco a fianco.

“Dopotutto, voi siete il miglior soldato dell’impero, sia per intelligenza che per forza. Immagino sia naturale che scegliate gli uomini adatti alla situazione”, affermò Taka.

“Miglior soldato per intelligenza e forza dici? Non ti pare di star esagerando un po’?”, chiese l’Uomo. Taka parve soddisfatto della reazione, “A mio avviso invece, voi siete davvero molto forte Senpai.”

“Non chiamarmi Senpai! Ti ho già detto di smetterla! Non sono il Senpai di nessuno, tanto meno in questo posto”, replicò l’Uomo. Taka stava per rispondere quando Kazuki, che si era allontanato da qualche minuto, li chiamò.

“Che succede Kazuki?”, chiese Taka. “Il campo”, rispose il ragazzo. “ “Il campo cosa? Dannato Kazuki, spiegati!”, chiese con non poco disprezzo Rokuro. “Sta zitto e ascolta, mezza tacca!”, ringhiò stizzito Kazuki.

“Come mi hai chiamato, idiota?!”, ma Kazuki quasi non ci fece caso.

“Avevate notato che il campo si era fatto silenzioso? Mi sono incuriosito e mi sono appostato su quell’altura. All’improvviso il silenzio è stato rotto da qualche rumore, ho sentito del fermento, mi sono sembrati tutti eccitati...”

“E quindi?”, chiese Rokuro spazientito.

“ E quindi credo che si stiano preparando per qualcosa di grosso. Hanno cominciato ad indossare le corazze, dannazione! Di questo passo, anche Kobe verrà occupata!”, disse Kazuki quasi disperato. L’Uomo gli pose una mano sulla spalla, aveva letto i rapporti su Kyoto. “Un’armata di Mongoli armati fino ai denti. Hanno preso la città in mezza giornata”, recitò nella mente. Sapeva che Kazuki era presente in quella carneficina, era nato e viveva lì da sempre.

Proprio in quel momento arrivò uno stremato Nobuyuki. “Finalmente!”, affermò Rokuro, ma non con l’enfasi che lo caratterizzava di solito, quasi come se volesse solo rompere il silenzio che si era

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2° PREMIO - ALESSANDRO RENNA “Ritorno a casa”, I.T.S.O.S. Marie Curie, Cernusco sul Naviglio

RITORNO A CASA

In un fantomatico 1346 d.C. i Mongoli, guidati dal generale Gansukh, attaccano il Giappone. Dopo quattro anni l’avanzata dei soldati mongoli non si è ancora fermata, così i vari stati dell’arcipelago formano un’alleanza per respingere il nemico. Nonostante ciò, molte città meridionali vengono occupate, tra cui anche la potente Kyoto. Una settimana dopo viene attaccata anche Kobe. L’alleanza, ormai in situazione critica, compone un gruppo di cinque fra i migliori soldati dell’èlite con il compito di infiltrarsi nel campo mongolo e sabotarlo, nel tentativo di porre fine alla guerra.

Nell’aria risuonò il sibilo di un’ascia, seguì un flebile grido e subito dopo, in lontananza, una testa rotolava a qualche metro dal corpo dello schiavo mongolo, ucciso brutalmente dal generale Gansukh, famoso per la sua spietatezza.

“Aveva solo sbagliato camicia, capisco essere severi, ma così è esagerato”, affermò Kazuki, il figlio di un importante famiglia guerriera. Era stato scelto per la sua abilità come arciere in quella missione quasi suicida.

“Già. Al massimo io gli avrei dato una decina di frustate”, disse il ragazzo al suo fianco.

“Non sei divertente, Rokuro!”, ribatté Kazuki.

Anche Rokuro era un eccellente arciere, ma, a differenza di Kazuki, veniva da una famiglia modesta. Tuttavia era anche uno dei più giovani soldati dell’esercito e faceva parte dell’èlite.

“Piantatela di battibeccare!”, Taka invece era impassibile, come sempre; dopotutto la morte per lui non era una vista così rara. Era nato dal cadavere di una donna uccisa in un massacro. E di massacri, molto spesso, lui stesso ne ne era stato l’artefice. Era stato scelto per la sua intelligenza e la sua forza ed anche per questo divenne quasi subito il secondo in comando dopo Lui, l’Uomo con la maschera .

Taka si rivolse proprio a Lui: “Signore? Avete un’aria pensierosa, qualcosa vi preoccupa?”

L’Uomo si destò dallo stato semi-vegetativo in cui spesso sprofondava: “Come al solito, sei perspicace, Taka. Stavo pensando a Nobuyuki. Non ti pare che manchi da un po’ troppo?”

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quantità immesse nei cannoni o in armi più piccole come gli archibugi questo non è un problema, ma in un magazzino, come minimo l’esplosione farà andare a fuoco almeno un quarto del campo.” Finì l’Uomo. Ed infatti...

Qualche minuto dopo il campo era in fiamme: l’esplosione fu vista sin da Kobe.

Tuttavia dovevano ancora uscire dal campo mongolo. Ritornarono all’entrata del passaggio sotterraneo che avevano usato per entrare. Lo imboccarono e dopo mezz’ora di cammino erano sicuri di essere quasi a casa. “Non vedo l’ora di rivedere i miei fratelli!”, esclamò Taka. “Già, i miei cinque fratelloni invece... arderanno d’invidia nel sapere che sono nell’èlite dell’esercito,” aggiunse con entusiasmo Rokuro. “Ma tu non riesci a pensare a qualcosa di diverso della gloria personale?”, chiese Kazuki. “E tu invece, Kazuki? Chi ti aspetta a casa? I miei genitori sono morti quando ero bambino e non li ricordo molto, però ho i miei amici”, disse allora Nobuyuki. “Io ho i miei nonni”, ammise infine Kazuki. Solo l’Uomo pareva distratto ed indifferente. “E voi Senpai?”, Taka lo richiamò alla realtà. “O scusa Taka, non stavo ascoltando”, disse Lui. “Chi vi sta aspettando a casa?”, domandò curioso Nobuyuki. “Nessuno”, rispose, facendo capire in modo cortese ma chiaro di non voler parlare di quell’argomento. Tutti afferrarono il concetto, tranne Rokuro che insistente chiese “Proprio nessuno? Che ne so, magari i genitori, la fidanzata, figli...A proposito, voi avete figli?” “Rokuro!”, lo rimproverò Taka. L’Uomo emise un sospiro e, sapendo di non potersi più sottrarre alla questione, si decise a parlare: “Una, ho una figlia. Ma non credo mi stia aspettando, e sinceramente, non so neanche dove si trovi”, dichiarò con tutta la calma che riuscì a raccogliere in quell’istante. “Ah... capisco”, disse Rokuro, che questa volta sembrava aver afferrato la delicatezza del momento.

Ruppe il silenzio Nobuyuki: “Ehi, sento uno spiffero. Vuol dire che siamo quasi all’uscita!” Tutti iniziarono a correre in direzione dell’uscita, euforici per la riuscita della missione, senza nessuna perdita, e per il ritorno a casa.

“Siamo già usciti? Non ci avevamo messo così poco all’andata! Devo essermi distratto ed ho perso la cognizione del tempo... A meno che...” Un dubbio terrificante bloccò il respiro all’Uomo, che iniziò a correre più veloce che poteva, ma non quanto sarebbe servito per fermare i compagni di viaggio. Il primo ad “uscire” fu Nobuyuki. “Evv...”, iniziò, ma si bloccò subito. Sentì la bocca asciutta, le gambe iniziarono a tremargli e respirava a fatica: “...iva!?”, concluse. Dall’altra parte dell’apertura, creatasi dal crollo di una parte del soffitto (l’origine della corrente d’aria) intravide una poderosa figura alta più di due metri - ma Nobuyuki avrebbe giurato che fossero almeno dieci. Gansukh si ergeva imponente davanti a lui. Aveva carnagione ed occhi scuri, capelli lunghi castani e petto nudo, mentre il resto del corpo era pesantemente corazzato. La sua voce ruppe il silenzio, come il rombo del primo tuono prima di un temporale: “Ehilà!”

Il resto della squadra fece per sguainare le armi, ma l’Uomo li fermò con un gesto. Nobuyuki era rimasto impietrito, quasi non riusciva a respirare per il terrore. “Andate da qualche parte?”, domandò con tono di sfida Gansukh. “Andate”?! Ma come ha fatto ad accorgersi anche di noi?”,

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venuto a creare. “Quali nuove?” Chiese l’Uomo. “Pessime signore, i Mongoli vogliono marciare su Kobe. Ho sentito che il modus operandi sarà quello usato a Kyoto.” “Ovvero?”, domandò con un tono diverso dal solito Taka. “Purtroppo per non insospettirli ho dovuto fingere di saperlo”, ammise desolato Nobuyuki. “Diavolo! Tu dovresti saperlo, Kazuki!”, esclamò Taka.

“Non guardate me, ero in infermeria quando hanno preso Kyoto. So solo che nessun Mongolo è entrato in città”, rispose Kazuki. “Aspetta! Ma non è possibile! Se non sono entrati in città, come hanno fatto a prendere Kyoto?”, si chiese Taka.

“No, forse è possibile. Ma non dovrebbero avere quel tipo di armamenti”, pensò a voce alta l’Uomo.

“Che intendete signore?”, chiesero tutti all’unisono.

“Forse hanno fatto così velocemente perché...” non fece in tempo a finire la frase che il rombo di un tuono risuonò nell’aria. E poi un altro ed un altro ancora.... E subito dopo una pioggia di fuoco passò sopra di loro e si diresse verso la città. Le mura, per quanto possenti ed alte, non riuscirono a fermare quella stregoneria e vennero sorvolate con facilità. Colonne di fumo iniziarono ad innalzarsi dal centro abitato. “Ma cosa diavolo è quella roba...?”, esclamò Taka.

“Si chiamano cannoni”, rivelò l’Uomo. “Canno cosa?”, chiese Rokuro.

“Sono dei marchingegni che funzionano con una polvere speciale, la “polvere da sparo”. Ne ho già visti alcuni nei miei viaggi in Europa. Ma i Mongoli non dovrebbero averne, soprattutto non così tanta...”, spiegò l’Uomo. “Dovrebbe essercene un riserva”, pensò ad alta voce.

“Non so se è polvere da sparo, ma ho visto un mucchio di sacchi pieni di una sostanza grigia da quella parte”, disse Nobuyuki indicando con la mano una zona ai margini del campo. Subito iniziarono a correre all’impazzata in quella direzione. Appena furono al magazzino notarono quattro guardie pesantemente corazzate. Taka iniziò a pensare ad un modo per liquidarle, ma l’Uomo era già entrato in azione: era velocissimo, la prima guardia cadde a terra prima ancora di rendersene conto. Le tre rimaste sguainarono velocemente le loro armi, ma in un attimo anche la seconda guardia spirò. A quel punto, le ultime due cercarono di attaccare l’Uomo contemporaneamente, ma quest’ultimo saltò, schivando entrambe le lance. A quel punto sguainò la sua katana e tagliò la gola ad uno dei due superstiti. L’ultima guardia, in una situazione così disperata, tentò un attacco dall’alto che l’Uomo prontamente parò. La guardia barcollò all’indietro per il contraccolpo e un secondo più tardi era a terra in un bagno di sangue. “Ma come...?”, balbettò sorpreso Rokuro. “Non c’è tempo da perdere. Muoviamoci!”, tagliò corto l’Uomo. “Esattamente, cos’è che dobbiamo fare?”, chiese a quel punto Nabuyuki. “La polvere da sparo fa funzionare i cannoni ed è altamente infiammabile”, spiegò Lui. “Va bene ma...”, fece Rokuro.

“Dovete sapere che, quando la polvere da sparo entra in contatto con il fuoco, esplode. Nelle

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sorprese l’Uomo. “La morte, qualsiasi essa sia, è un’idiozia. Ma quale alternativa...”, l’Uomo lasciò le ultime parole in balia del vento, senza pronunciarle. “Riposiamo, domani partiremo all’alba.”, ordinò infine. “Sì, Senpai.”,disse Taka.

All’alba il gruppo, demoralizzato per la perdita del compagno, era già pronto a partire, quando si udirono dei passi dietro alcuni massi. Kazuki e Rokuro tesero l’arco, Taka era pronto a lanciarsi all’attacco, ma l’Uomo tentò un approccio più diplomatico. “Vieni fuori!”, esclamò. Avanzò una figura anziana in armatura mongola con le mani in alto. “Vengo in pace” disse. “Parli la nostra lingua?”, chiese con calma l’Uomo. “Io imparato, da uno di vostro gruppo.” disse. “Signore, al vostro ordine gli conficco una freccia in mezzo agli occhi,” disse minaccioso Kazuki. “Calma, non saltiamo a conclusioni affrettate”, disse piano l’Uomo. “Come ti chiami?”, chiese. “Tseren”, disse il Mongolo. Rokuro chiese con impazienza: “Cosa vuoi?” “Aiutarvi, io immischiato in questa guerra con forza, io volere bene mio paese, ma no morte innocenti”, disse. “Va bene, dobbiamo tornare al nostro campo, puoi dirci come fare?”, chiese gentilmente l’Uomo. Tseren rispose: “Chiaro chiaro, unico modo è attraverso campo, ma a piedi è auto-uccidersi...” “Suicidarsi”, lo corresse Kazuki scocciato. “Dagli un po’ di tregua”, disse l’Uomo. “Potete usare cavalli! C’è stalla qui vicino, salvata da fuoco!”, finì Tseren. L’Uomo fece un segno d’assenso con la testa. Arrivarono alla stalla liquidando due guardie e montarono subito in sella. “Ehi voi! Che state facendo?”, urlò in Mongolo un ufficiale nemico. Si voltò e riconobbe Tseren: “Al traditore, uccidetelo, uccideteli!”. “Partiamo, forza!”, gridò l’Uomo. Tseren scese dalla sella e sguainò la lancia: “Andate, io trattengo loro!”. Partirono al galoppo e quando ormai erano lontani si voltarono: la testa dell’anziano Tseren spiccava impalata sulla sommità di un bastone. “Peccato, era una brav’uomo”, ammise Rokuro. “Senpai, in che direzione?”, chiese dopo un lungo periodo di silenzio Taka. “Dritti, è la via più rapida”, gli rispose Lui.

Cavalcarono per un paio d’ore ma, dopo la recente tragedia, nessuno osò gioire pensando di essere quasi arrivato a casa: i Mongoli non potevano più sparare, ma erano ancora una minaccia. E infatti! All’improvviso una freccia sibilò sfiorando l’orecchio di Taka. Tutti si fermarono guardandosi intorno. L’Uomo intravide nella penombra una figura alta e massiccia che sembrava tenere in mano un arco. Fece saggiamente sparpagliare gli altri e, quando furono abbastanza lontani, partì alla carica. Aveva intenzione di bloccare il nemico prima che potesse tirare un’altra freccia, ma un’esplosione lo scagliò in aria insieme al cavallo. Ricadde e sentì la terra umida sulla guancia: era ancora vivo! Quando il fumo si dissipò, si accorse che era stato colpito da un piccolo “cannone” che aveva in mano Gansukh, il quale evidentemente aveva una riserva personale di polvere da sparo. In quel momento l’Uomo si rese conto che la sua maschera era volata via, rivelando un viso giovane e in buone condizioni. “Oh ma guarda, non sei solo forte e intelligente, ma hai anche un bel faccino!”, esclamò allegro Gansukh. “Senpai!”, esclamò Taka. “State fermi!”, ordinò Lui, poi si rivolse a Gansukh: “Ormai il tuo esercito è allo sbando, la guerra è finita! Non causiamo altre morti inutili!” “Hai ragione, ma non ho niente da perdere, potrei anche decidere di continuare. Dopotutto, io sono il capo”, dichiarò Gansukh. “Ho due condizioni per la resa. La prima: voglio conoscere il tuo nome” e attese la risposta. “Kou, il mio nome è Kou”, disse l’Uomo.“La seconda condizione?”, chiese. “Combatti contro di me, uno contro uno, lealmente e uccidimi, se ci riesci!” lo

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domandò incredulo Rokuro. Si erano nascosti dietro la parete, per cui era impossibile che li avesse visti, eppure... Ancora una volta l’Uomo fermò i compagni, “Vediamo cos’ha da dire.”, sussurrò. Gansukh riprese a parlare: “Siete stati voi a far saltare in aria il mio bel campicello?”. Nessuno fiatò. “Beh, complimenti, non mi divertivo così da tanto tempo. Avete fatto proprio un bel lavoro!”, continuò come se avesse perso una partita a carte. Si rivolse quindi a Nobuyuki: “Ma guarda come tremi! Sei tu vero? Quello che si è infiltrato nel campo. Non sai che fatica è stata stare al tuo gioco!” e scoppiò in una folle risata. “Impossibile! Avevo pianificato tutto nei minimi dettagli, come ha fatto a scoprirlo. Diamine! Devo averlo sottovalutato”, pensò impietrito l’Uomo.

Gansukh riprese a parlare: “Come premio per il vostro impegno vi lascerei proseguire, peccato che a causa dell’esplosione più avanti il passaggio sia crollato. Facciamo così: vi lascio tornare indietro fino all’inizio del passaggio...”. Nobuyuki tirò un sospiro di sollievo. Fece per andarsene, ma una fitta alla schiena gli fece girare la testa: un’ascia era conficcata proprio in mezzo alle scapole. “Ho forse detto che vi avrei lasciato andare tutti?”, ridacchiò Gansukh. Il generale mongolo estrasse l’ascia e dalla ferita fuoriuscì un fiume di sangue. “Nobuyuki!!”, gridò Taka. L’Uomo tirò indietro Taka appena prima che l’ascia colpisse anche lui, si frappose ed intercettò l’arma con un movimento istantaneo. “Tu devi essere il capo vero?”, osservò il generale nemico. L’Uomo allontanò via l’ascia e colpì Gansukh con un fendente. Quest’ultimo però parò la katana con la mano sinistra. Aveva tuttavia sottovalutato la forza fisica del suo avversario, che mise tale potenza in quel fendente da mozzargli la parte superiore della mano.

Gansukh rideva, l’arto insanguinato non sembrava procurargli alcun dolore: “Non mi era mai successa una cosa del genere!”, disse guardandosi incuriosito la mano. Fece poi un fischio ed alcuni arcieri appostati sopra l’apertura scoccarono delle frecce. L’Uomo fece in tempo a schivarle, ma non poté impedire che alcune raggiungessero Nobuyki, che morì sotto la pioggia avvelenata. “Correte!”, ordinò l’Uomo. “E Nobuyuki? Lo lasciamo lì?”, chiese Taka. “Non possiamo fare più niente per Lui!”, urlò l’Uomo. “Ma...”, iniziò Taka. Ma non andò avanti, fece solo un segno d’assenso col capo. Corsero fino all’entrata, uscirono e tutti insieme posero un grosso masso davanti all’apertura, nella speranza che Gansukh non riuscisse a spostarlo.

Respirarono a fatica per qualche minuto. Poi Rokuro parlò: “E ora? Cosa facciamo?”, chiese disperato. “Anche se il passaggio non fosse bloccato ci sarebbero Gansukh e i suoi”, ammise Kazuki sconsolato. Poco distante sedeva Taka, guardava il cielo e non parlava. Quella notte, la volta assunse il colore del fumo levatosi dal campo mongolo e dalla città in fiamme.

“A cosa pensi?”, domandò l’Uomo a Taka. “Pensavo al giorno in cui conobbi Nobuyuki. Eravamo i finalisti di un torneo. Finimmo a terra entrambi e non si proclamò nessun vincitore. Ci ritrovammo anni dopo ad Osaka, in missione. E dopo quella volta lavorammo spesso insieme. Divenimmo amici. Poi ci assegnarono questa missione, agli ordini dell’”uomo misterioso” che doveva infiltrarsi nel campo mongolo e scoprire ciò che tramavano. Non avrei mai immaginato che sarebbe finita così”, disse Taka desolato per la perdita. “Ha fatto il suo dovere come soldato, è morto per il suo paese” disse consolatorio l’Uomo. “E la morte per il proprio paese è una...”, iniziò Taka. “Un’idiozia!”, lo

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3° PREMIO - CECILIA REGGIANI“Ultimo mondo”, Liceo Scientifico Leonardo da Vinci, Milano

ULTIMO MONDO

Riley era sparita. Se n’era andata nel cuore della notte, senza dire a nessuno dove stava andando.Aveva lasciato una nota però: “Mi dispiace”, diceva.Noah già da tempo sapeva che c’era qualcosa che non andava, ma cercava sempre di scacciare le brutte sensazioni perché sapeva che presto sarebbe tornato tutto a posto. Evidentemente, si sbagliava di grosso.Era rimasto solo in un campo con quattrocento abitanti e sapeva che il suo unico scopo era ritrovarla. Non aveva mai conosciuto una vita senza di lei e non aveva intenzione di farlo. Il giorno stesso, aveva messo cibo, acqua, una mappa e un coltello nel suo zaino e aveva lasciato il campo, l’unica zona sicura nel raggio di quattromila chilometri. Sicura da cosa? Dal virus più letale che l’umanità avesse mai visto. Un bastardissimo virus di ventiquattro ore, trasmissibile per via aerea, che aveva fatto più vittime in un mese che la seconda guerra mondiale in sei anni.Noah sapeva che lasciare il campo equivaleva a firmare la sua condanna a morte, ma cosa doveva fare? Lasciarla sola, in un mondo che non fa sconti a nessuno? No, non poteva farlo, non dopo tutto quello che Riley aveva fatto per lui.Cominciò a camminare verso nord. Verso casa. Noah conosceva Riley come le sue tasche, e sapeva meglio di chiunque altro che casa era l’unico posto dove Riley volesse andare. Immagino che sia il sesto senso di cui gli innamorati parlano sempre.Il mondo era ormai un campo minato, ma non era quello a spaventarlo. Ciò che lo spaventava era il pensiero di non riuscire a trovare Riley, o, ancora peggio, trovarla quando era ormai troppo tardi.Con il viso coperto, si fece strada nella torrida valle in cui era nascosto il campo, incontrando cadaveri mezzi sepolti nella sabbia. Erano bianchi quanto la morte stessa, quasi completamente ricoperti da bubboni rossi e verdi. Alcuni avevano la bocca ancora aperta dai lamenti di dolore che avevano pianto mentre morivano.Dopo aver camminato per un giorno intero, facendo poche brevi pause per bere e riposarsi, Noah trovò una grotta che sembrava abbastanza sicura per una notte. Mise lo zaino per terra per usarlo come cuscino e si addormentò nel giro di pochi minuti, tanto era stanco. Il costante pensiero di Riley lo portava allo strenuo. Stava bene? Si era pentita di averlo lasciato così? Lui le mancava?Noah fu svegliato qualche ora dopo da delle grida. Saltò in piedi, non ancora completamente sveglio, e si guardò intorno. Non vedeva niente, ma sentiva urla e gemiti di dolore. Quando i suoi occhi si furono abituati alla luce fioca, vide qualcuno che si contorceva sul pavimento all’apertura della grotta. Un infetto.La prima cosa che gli passò in testa fu che era fottuto, finito, morto, ma poi, per quanto possa suonare sdolcinato, pensò a Riley e si ricordò perché aveva deciso di affrontare questo viaggio.“Aiuto” pianse l’infetto, allungando una mano alla ricerca di qualcosa che potesse porre fine al suo dolore.

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Un racconto dal sapore storico ci conduce con maestria sulle strade del Medioevo di un estremo Oriente spietato e mitico, dove il ritorno a casa di un padre segna il cammino di un’eredità difficile da portare, nel ricordo dell’impresa di un manipolo di eroi al tempo in cui i Mongoli attaccarono il Giappone e ne vennero eroicamente respinti, fino a riportare la pace, silenziosamente consegnata a un figlio.La giuria

GLOSSARIOPersonaggi e sginificato dei nomi:*1-Gansukh: ascia d’acciaio.*2-Kazuki: speranza melodiosa/ il primo che splende.*3-Rokuro: sesto figlio.*4-Taka: falco.*5-Nobuyuki: uomo degno di fiducia.*6-Tseren: lunga vita.*7-Kou: felicità/ luce/ pace.*8-Senpai: indica un compagno più anziano o di grado più alto alla quale si deve rispetto, non è direttamente traducibile in italiano.

sfidò Gansukh. “Molto bene”, disse Kou ed estrasse la katana, quindi caricò. Inizialmente si limitò a parare, ma poi iniziò anche ad attaccare velocemente. Gansukh era in evidente difficoltà: menò un fendente, ma Kou si scansò e con tutta la sua forza colpi il generale. Un attimo dopo la testa di Gansukh era a terra, poco distante dal resto del corpo. Come promesso, i Mongoli si arresero ed abbandonarono il campo, esattamente come fece il gruppo di Kou. Quel giorno si festeggiò molto in tutte le città dato che finalmente la guerra era finita. Il gruppo si disgregò subito dopo, ma i rapporti tra i componenti rimasero buoni, anche se radi.

Sono passati sei anni da allora, ho deciso di riportare qui le avventure del gruppo di mio padre Kou. Ho dovuto farmi raccontare la storia dai suoi vecchi compagni, dato che lui non l’ha voluto fare. Proprio in questi giorni lui, Taka, Rokuro e Kazuki si ritroveranno a Kobe per festeggiare il sesto anniversario dalla fine della guerra e anch’io ci andrò, perciò chiudo qui.

Grazie per aver avuto la pazienza di leggere queste pagine.

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“Se vuoi”. Sorrise ancora.Noah si ritrovò a parlare di tutto e niente con una ragazzina. Non vedeva un bambino da un secolo e mezzo. Non c’erano bambini al campo, perché per loro era ancora più facile ammalarsi che per un adulto.“Perché Riley se n’è andata?” chiese Ottavia quando Noah aveva finito di spiegarle dove stavano andando. Erano seduti in una macchina abbandonata che avevano trovato lungo la strada. Era a secco, purtroppo, ma era il posto perfetto per passare una notte.“Vorrei saperlo anche io” rispose con un’alzata di spalle, ma poi ci ripensò. Sotto sotto, lo sapeva, e sapeva anche che parzialmente era colpa sua. “Qualche settimana fa eravamo alla ricerca di cibo. Riley ha sentito un rumore e ha sparato alla cieca. Immagino pensasse che fosse un infetto. In realtà, era un bambino perfettamente sano. I sensi di colpa la stavano divorando”.“Dici di essere innamorato di lei e io ti credo, però perché non hai fatto niente? Perché non l’hai convinta a restare?” Ottavia spinse. Si stava arrabbiando con lui, e Noah capiva perché: aveva otto anni, credeva ancora a quelle assurde favole sul vero amore e com’è capace di battere qualunque cosa. Be’, non era capace di battere questo, e Noah cominciava ad essere infastidito dall’insistenza di Ottavia.“Cosa posso dire, sono un ragazzo di merda” sbottò. “Dormi” disse e chiuse gli occhi.La mattina dopo Ottavia si scusò mille e una volta. Non sapeva neanche cosa aveva fatto di sbagliato, e Noah la trovò così tenera da concedersi un abbraccio.Camminarono in silenzio per la maggior parte della giornata, aprendo bocca solo per lamentarsi del caldo e della fame. Ciò che illuminò la loro giornata – più che altro, quella di Noah – fu la gigantesca insegna che leggeva “Benvenuti a Somerville, NJ”. Casa.Ci era voluto molto meno del previsto ad arrivare dal campo al posto in cui era nato e cresciuto, il posto in cui aveva conosciuto Riley quando non aveva ancora sei anni, ma non si lamentava certo.In dieci minuti arrivarono al centro della piccola città. I piedi di Noah lo guidarono inconsciamente dentro ogni casa, ogni parco, ogni dannato edificio, ma non c’era traccia di Riley. Noah tirò un calcio ad un bidone abbandonato, che rotolò su un cadavere. In quel momento, Noah realizzò quanto si fosse abituato ai cadaveri e alla morte in generale, e di come si fosse dimenticato che poteva ammalarsi ad ogni secondo. Non sapeva se sentirsi fortunato o maledetto. Certo, aveva fatto un lungo e pericoloso viaggio. La maggior parte delle persone avrebbero contratto il virus, ma lui no. Ma valeva la pena di vivere senza Riley? Non aveva nessuno, non aveva niente senza di lei.Noah lasciò che le sue gambe lo guidassero per la città. Chiuse gli occhi e camminò distrattamente come faceva prima che scoppiasse l’epidemia. Ottavia lo seguiva, tenendo uno spazio di cinque metri tra di loro. Aveva capito di dover stare zitta, perché, anche se era piccola e conosceva Noah da poco più di un giorno, sapeva che non c’era nulla che potesse dire per rendere tutto ciò meno doloroso. Paura e dolore hanno il potere di far crescere un bambino dieci volte più veloce di quello che dovrebbe, e Ottavia ne era la prova vivente.Noah camminò e camminò, prendendo a calci il marciapiede e le foglie morte.“Come ho fatto a non pensarci prima?” gridò dal nulla ad un certo punto, spaventando Ottavia. Si tirò una pacca sulla fronte. “Dio, Noah, sei proprio un coglione” si disse e prese la mano di Ottavia. Iniziò a correre, trascinandosi dietro la ragazzina.

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“Mi dispiace” sussurrò Noah, più a se stesso che all’infetto. Si calò il cappuccio della felpa sulla testa, tirando i lacci in modo che ogni centimetro della sua faccia, ad eccezione degli occhi, fosse coperto; dopo essersi tirato le maniche ben oltre le mani, scivolò lungo il muro della grotta, cercando di uscirne senza avvicinarsi troppo all’uomo morente.Una volta fuori, cominciò a correre il più veloce possibile da morte sicura. Camminò tutta la notte.Sapeva che non era sicuro muoversi di notte, perché al buio era molto più difficile notare un potenziale pericolo, ma era troppo agitato perfino per sedersi, figuriamoci per dormire.Il suo umore fu risollevato quando, alle prime luci dell’alba, trovò una strada battuta.“Non avrei mai pensato di apprezzare così tanto l’asfalto” disse tra sé e sé in un sospiro.Nel primo pomeriggio, era così stanco da non riuscire a tenere gli occhi aperti, ma non si fermò.Non poteva sprecare ore preziose del giorno. Prima che potesse accorgersene, tutto era diventato nero.Quando aprì gli occhi, una bambina intorno agli otto anni gli stava versando acqua in bocca da una bottiglia così sporca da non riuscire a vedere ciò che c’era dentro.“Chi cazzo sei?” urlò, con voce roca a causa della sua gola secca.“Ottavia. Come la sorella di Augusto” rispose lei alzando le spalle. Rimise il tappo alla bottiglia e iniziò a dondolarsi sui talloni, con le braccia strette intorno alle ginocchia. Lo guardava nello stesso modo in cui lui guardava un pezzo di carne fresca, e Noah non sapeva cosa pensare al riguardo.“Dov’è la mia roba?”. Ottavia indicò il suo zaino a qualche metro da loro. Guardandosi intorno, Noah notò che era nel mezzo della stessa strada lungo cui aveva camminato tutta la mattina. Il sole stava tramontando e Ottavia era l’unica anima nelle vicinanze.“Sei da sola?” chiese Noah con tono più morbido. Ottavia alzò di nuovo le spalle. “Non ancora” rispose, “ma presto”. Noah notò la nuvola di inconsolabile tristezza che le aveva riempito gli occhi e decise di non indagare più a fondo. D’altra parte, non era difficile immaginare cosa era successo. Tutti avevano la stessa storia alle spalle.Il suo cuore si riempì di compassione e Noah iniziò a dubitare di poterla lasciare lì, da sola, per andare a cercare una ragazza che non sapeva se avrebbe mai trovato. Noah non sapeva se Riley fosse ancora viva, ma questa bambina lo era. Almeno per adesso.“L’hai preso?”.“No”. Ottavia scosse la testa furiosamente. “Papà mi ha cacciata di casa appena si è ammalato. Io non ce l’ho, ho controllato”. Il tono innocente che Ottavia aveva usato per dire una cosa così dolorosa fu come una coltellata allo stomaco per Noah. “Perché non hai mangiato?” chiese, cambiando argomento.“Per risparmiare cibo. Sto cercando di arrivare in un posto”.“Be’, non ci arriverai se muori di fame”.“Vero” concordò, alzandosi.“Ciao” disse Ottavia agitando la mano, ancora seduta sui talloni, e si girò dall’altra parte per guardare il sole che spariva all’orizzonte.“Non vieni con me?” chiese Noah e sorrise quando lei si girò, mostrando il barlume di felicità che le aveva illuminato il viso sporco.“Posso?”

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Pochi minuti dopo, erano immersi nel verde in un piccolo bosco appena fuori città. Noah smise di correre, perché doveva controllare se c’era qualche infetto nascosto negli alberi. Cautamente, guidò Ottavia verso un piccolo stagno.Come previsto, Riley era lì. Era girata dalla parte opposta, inginocchiata nello stagno in modo che l’acqua le arrivasse al collo. Noah la fissò meravigliato, senza dire niente. Per qualche secondo voleva godersi questo momento: Riley era lì, viva, e non c’era nient’altro al mondo per lui.Ma poi Riley si alzò in piedi. L’acqua le arrivava a malapena in vita, e il cuore di Noah perse un colpo quando vide un gigantesco bubbone rosso sulla spalla della sua amata.

Non bisognerebbe mai separarsi da quelli che amiamo. Di Riley è rimasto solo un biglietto: “Mi dispiace”. Noah, in uno scenario apocalittico, che sarebbe piaciuto a Cormac McCarthy, ma anche ad Ammaniti, decide d’intraprendere un viaggio per andare a cercare la sua ragazza. Incontrerà una bambina e scoprirà che l’amore, a volte, non si può opporre al destino o, in questo caso, a un’epidemia. Un testo scritto bene, con il colpo di scena finale, che non ha paura di non garantire il lieto fine. La malinconia è un sentimento sottovalutato. Brava.La giuria

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verso l’alto, su sempre più su, finché Leonardo mi sembra piccolo come un passerotto. Lo sento urlare: - Ciao piccolo amico! Ci rincontreremo, prima o poi!-Eccomi, di nuovo solo a vagare nel cielo, mentre mi allontano sempre di più dalla città grigia.A pensarci bene non sono mai stato solo nella mia vita, ho sempre vissuto con i miei fratelli, effettivamente è strano. Mentre i miei pensieri si soffermano su questa strana filosofia della solitudine, le palpebre si fanno più pesanti e ben presto mi addormento.-Seme di soffione svegliati!- Di soprassalto apro gli occhi e mi accorgo di essere incastrato nella corteccia di un grande albero, in mezzo a una verdeggiante radura.Non vedo molto bene perché ormai è notte.-Ciao, mi chiamo Angelina e sono una quercia secolare.-Mi presento e racconto ad Angelina la mia storia. Lei gentilmente mi invita a dormire lì per il resto della notte, tra i suoi rami, al sicuro e scaldato dalle morbide foglie.Mi sveglio stiracchiandomi al canto del gallo. In un primo momento non ricordo dove mi trovo, penso ancora di essere su quel comodo gambo con i miei fratelli, però il canto del pennuto mi riporta alla realtà. Angelina, la quercia, mi dice: -Soffy, svegliati che devi ripartire, altrimenti il desiderio della bambina di cui mi hai parlato non si avvererà mai!- Scorgo un velo di tristezza tra le sue parole.Lei mi guarda con occhi pieni di lacrime: -Oh, tu puoi volare libero, assaporare l’odore del mare e conoscere nuova gente. Mentre io, sono qui da sola e incontro solo a volte degli uccellini in primavera. E pensare che una volta intorno a me sorgeva un bellissimo villaggio.-Ma come? Non posso credere che questi siano i sentimenti della mia amica. Allora mi affretto a consolarla: -Ma non è vero! Tu sei fantastica. Anche se non hai mai viaggiato hai visto passare sotto i tuoi rami animali e persone con le loro storie interessanti per tanti anni, forse secoli.-Angelina non dice niente, mi guarda sorridendo e trattenendo a stento le lacrime. Si scuote fino a quando non mi libera dalla sua corteccia. La saluto mentre il vento mi trasporta nuovamente in alto.Bene, sono nuovamente in viaggio, ora su ora giù.Certo che questo vento è veramente insopportabile, non riesce a farmi mantenere un’andatura costante? -Vento?!? Dai, perché mi vuoi far venire il mal d’aria? Lo sai che io ne soffro molto e...-provo a gridare inutilmente.-Non dirlo a me!-Mi si gela la clorofilla. Chi avrà parlato, mi domando girandomi di scatto.É solo un palloncino fortunatamente, allora esclamo: -Ciao chi sei? Io mi chiamo Soffy-Il palloncino ha un’aria afflitta e mi risponde, come se fosse la cosa più difficile del mondo: -Mi chiamo Spillo-. Probabilmente avevo un’espressione esterrefatta, perché un palloncino che si chiama Spillo è il colmo. Perciò mi spiega che i suoi genitori avevano trovato divertente un nome così bizzarro, evidentemente non tenendo conto dei sentimenti del figlio, e aggiunge: -Ormai il mio nome ha poca importanza, tra poco morirò.--Per quale motivo dovresti morire?-Con un’aria da “ma-come-sei-ignorante”, mi spiega che i palloncini d’elio arrivati a un certo punto dell’atmosfera esplodono. Effettivamente non capisco per quale motivo dovrebbe esplodere, anche se pazientemente me lo ha spiegato, lascio perdere e per cambiare discorso domando: -Ma

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1° PREMIO - SARA RUSSO“Il soffio e il desiderio”, Scuola media Statale Rodari, Milano

IL SOFFIO E IL DESIDERIO

Avverto le vibrazioni del terreno. Il rumore dei tonfi riecheggia sempre più forte. Passi.-Ragazzi non è quello che penso, vero?-Non faccio in tempo a terminare la frase, che vedo una manina piccola e paffuta strappare il gambo portante.-AIUTOOO!-Esclamiamo in coro, terrorizzati, io e i miei fratelli, appena sollevati. So benissimo che questo è il destino ineluttabile dei semi di soffione, ma ho sempre sperato che si avverasse il più tardi possibile. Ecco ci siamo: una bimba dai capelli neri sta per esprimere il suo desiderio che io e i mei fratelli dovremo esaudire. La bambina dai capelli neri sussurra: -Ciao fiorellino, la mia mamma ha detto che se io soffio via tutti i tuoi fastidiosi pelucchi bianchi tu poi realizzi il mio desiderio!” Cosa?! Assurdo. Questa è una pazza. Come può dire che io e i miei fratelli siamo dei pelucchi fastidiosi? La bambina prosegue: -Ora io penso forte forte il mio desiderio, non lo dico a nessuno, chiudo gli occhi e soffio!-Meno tre, due, uno, decollo.Volo libera nell’aria. Ho un po’ di nausea. Il colmo, direi, per un seme di soffione. Ma un seme di soffione può vomitare? Ho i miei dubbi, comunque la sensazione è quella.Ora sto fluttuando senza peso, laggiù vedo la città, le persone, le automobili che viaggiano sulle strade asfaltate.Il sole è ancora alto nel cielo e ne approfitto per abbronzarmi un po’. Dopo circa un quarto d’ora qualcosa dice: -Ehi tu! Cosetto bianco! Ehi!?-Non è possibile che oggi tutti mi chiamino con nomi così strani. Non si vede che sono un seme di soffione? Comunque io gli rispondo: -Ciao io sono un seme di soffione mi chiamo Soffy.”La voce alle mie spalle risponde cordiale: -Piacere io sono un piccione viaggiatore, mi chiamo Leonardo.-Trattengo le risate a stento. Comunque mi giro verso il mio compagno di viaggio: è in forma, ha un becco smagliante, gli occhi luminosi, sembra molto cordiale. Allora per socializzare un po’, gli chiedo: -Da dove vieni? Perché sei qui? Dove stai andando?-Leonardo tutto contento mi risponde: -Vengo dalla città, precisamente dalla casa del sindaco!- Prosegue orgogliosamente: -Sono qui perché devo consegnare una lettera.- Non avevo notato che, attaccata alla zampa di Leonardo, ci fosse una busta chiusa con una ceralacca rosso brillante. -Cosa c’è scritto?- Domando incuriosito.-Top secret- risponde il mio piumato compagno di viaggio, con aria misteriosa.-Bene, tra poco io devo cambiare direzione. Tu dove vai?--Dove mi porta il vento!- Non appena pronunciate queste parole una corrente d’aria mi sposta

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2° PREMIO - CHIARA DAPEI“Un viaggio interminabile: dal banco alla ... lavagna”, Istituto Comprensivo Morosini – Manara, Milano

UN VIAGGIO INTERMINABILE: DAL BANCO ALLA….LAVAGNA

C’è un mio vicino di casa, il signor Willy, che tutti considerano pazzo. Sono travolta dalla preoccupazione e il cuore mi batte a mille. L’insegnante, con i suoi capelli lisci che le scivolano sulle spalle, ci punta addosso il suo solito sguardo inespressivo che scorre su di noi, dal primo ragazzo fino all’ultimo, e ripete quel giro svariate volte.Dovrà scegliere chi interrogare e spero che non tocchi proprio a me: stavolta ho studiato davvero poco e male.Mi annoto velocemente sul banco le date di storia che mi ricordo di meno, ma le mani mi tremano talmente tanto che, quando rileggo ciò che ho scritto, vedo solo un pasticcio. Cerco freneticamente la gomma per cancellare quella scritta illeggibile e senza accorgermene la rubo al mio compagno di banco, che mi guarda storto.La mia testa ha elaborato varie scuse per non essere interrogata, ma sono tutte molto confuse perché soffocate dall’ansia.Prometto a me stessa che la prossima volta studierò tanto, anzi tantissimo! E senza sapere a chi rivolgo le parole seguenti, nella mente dico ripetutamente: “Non mi deve interrogare, non mi deve interrogare, non mi deve….”C’è un silenzio di tomba, ma non è affatto strano. Nessuno ha il coraggio di fiatare in presenza della professoressa Krios, la più severa del nostro collegio.Le parole della prof. rompono il silenzio e riecheggiano nell’aula:- Claire Carmel! - Ma no, sono proprio io. Ovviamente, non avevo dubbi!- Vieni qui - dice la professoressa con un tono che mi sembra più gelido del solito, mentre si abbassa gli occhiali sul naso a punta e mi guarda con aria sospettosa. Mi vengono i brividi, mi devo alzare, ma sto tremando troppo e le gambe non mi rispondono. Senza fare rumore sposto la sedia e infine sono in piedi. Comincio a fare i primi passi, quasi camminassi verso una piscina colma di cubetti di ghiaccio in pieno inverno.Sono circondata da grandi sorrisi e dai volti di colpo distesi dei compagni scampati alla terribile chiamata. Venti occhioni mi fissano, mentre proseguo a camminare, ma non è una sfilata di moda, direi che è più l’incedere di un condannato a morte che attraversa la folla dei curiosi. Ora si sta alzando un lieve bisbiglio di cui riesco a capire solo alcune parole qua e là: “buona fortuna”, “hai studiato?” e “non ha chiamato me fortunatamente”.Quei pochi attimi sembrano non passare mai; mi assale pure il dubbio che il tempo si sia fermato, ma le mie gambe intanto avanzano meccanicamente.Dal mio banco alla lavagna ci sono pochi passi, ma neppure quando sono volata in Danimarca con la mia famiglia il viaggio mi era sembrato così lungo.Poi mi accorgo che la prof. mi sta guardando impaziente e le mie mani cominciano a sudare.

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tu, come vorresti chiamarti?-Il mio compagno di viaggio mi guarda insospettito e con un sussurro risponde: -Mi piacerebbe il nome Giuffredi Ernestino.-Se fossi in lui rivaluterei il nome “Spillo”. Il viso di Spillo/Giuffredi si vela di rosso mentre una nuova corrente d’aria calda lo spinge verso l’alto.-Addiooo Giuffredi Ernesto!- Finalmente vedo su quel tondo viso aprirsi un sorriso soddisfatto e sento una vocina stridula che mi saluta.Non faccio a tempo a compiacermi un attimo di me stesso, che sento di nuovo una voce alle mie spalle e un forte ronzio: -Bella Bro! Sai per caso dove si trova il più vicino alveare d’api, che abbiamo fatto festa fino all’alba e non abbiamo idea di dove ci troviamo?-.Dallo sciame arriva un urlo di consenso un po’ biascicato.Perfetto, mi mancavano solo le api sbronze! E il bello è che non è l’alba, bensì pomeriggio. Dove mai avranno vagato dall’alba fino ad ora? Meglio non approfondire.Mi metto a spiegare che non ho idea di dove si trovi un alveare qui vicino, stando attento a scandire bene le parole. Non resisto alla tentazione di conoscere il motivo di quella sbronza. Perciò, interpretando spero senza errori il suo slang, l’ape mi spiega:- Beh sai...tutte fanno così e quindi, beh, noi seguiamo lo sciame...sai, no? -Certo, capisco in un certo senso quello che intende dire, visto che fino al giorno precedente avevo sempre vissuto insieme alle mie centinaia di fratelli ed ora la solitudine mi pesa tantissimo. Quindi mi affretto a dire: -Ragazzi, vi posso capire molto bene. Vi consiglio di farvi una vostra identità. Non c’è alcun bisogno di copiare tutto ciò che fa il gruppo solo perché è cool. Perché se ubriacarsi è cool, allora non so proprio dove andremo a finire!-Passano interminabili minuti di silenzio, poi l’ape aggiunge: -Sai, credo che tu abbia proprio ragione? Andiamo, sorelle api, verso l’alveare a farci una nuova identità.- E così, anche loro, se ne vanno.Questo è stato di sicuro il più strano tra gli incontri del mio viaggio. Mentre mi gongolo per l’ottimo consiglio che ho appena dato, avverto una irresistibile sonnolenza, perciò mi lascio cullare dal vento che stranamente è diventato così dolce e leggero.Una corrente calda mi conduce verso una nicchia di terreno appena smosso. Sembra comoda. Il cielo si tinge di un tenue rosa e di un arancione pastello.Sbadiglio quando mi appoggio sul terreno, guardo il cielo dipinto di sole e sento un fremito: vedo il sorriso della bambina dai capelli neri, il palloncino che mi saluta, Leonardo che se ne va fiero con la sua missiva, Angelina che chiacchiera con una coppia di uccellini e le api che, tutte insieme, arrivano all’alveare.Lancio un’ultima occhiata fugace alla palla infuocata che si nasconde dietro ai monti e chiudo gli occhi. Ho compiuto la mia missione.

Fantasia che vola, colori che si mescolano come in un bellissimo quadro, immagini vivide che le parole imprimono nella mente, stile molto personale, quasi cinematografico: questi gli “ingredienti” che ci hanno permesso di esprimere il massimo della valutazione e del riconoscimento per questo tenero racconto.La giuria

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3° PREMIO - CLASSE 3 C“L’alfabeto del viaggio”, Scuola Media Statale Colombo, Milano

ALBANIAAncora ricordo il mio primo viaggio in Albania...in auto. Andammo in auto perché non abbiamo potuto prendere l’aereo. Fu un viaggio che attesi con tanta emozione per un mese intero perché per tante volte avevo utilizzato l’aereo, che oramai mi aveva stancato, e non vedevo l’ora di provare una nuova esperienza. Finalmente arrivò l’atteso giorno. Percorremmo tutto l’Appennino della penisola italiana, in autostrada. Il viaggio mi affascinò, perché vidi un paesaggio che non avrei mai immaginato e molto vario. Arrivatiad Ancona, dove lasciammo l’auto a mio zio, ci imbarcammo sulla nave che ci portò a Valona, sulla costa albanese. Qui prendemmo l’autobus di linea ,che ci condusse sino a casa nostra. Impiegammo quasi due giorni di viaggio per arrivarci e ne rimasi sorpreso perché non avrei mai immaginato che sarebbe durato così a lungo e sbalordito per la varietà di immagini che erano rimaste nella mia mente. Posso proprio dire che è stata una bellissima esperienza, poiché ho avuto la possibilità di vedere tante bellezze naturali scorrere, centimetro dopo centimetro, metro dopo metro, chilometro dopo chilometro davanti ai miei occhi. Questo viaggio, mi ha fatto provare tante emozioni e per questo non lo dimenticherò mai!

BELLEZZAChi in un viaggio non trova la bellezza?Credo proprio nessuno. Io la bellezza, in viaggio, la trovo nei magnifici paesaggi che la natura mi presenta. Io, ancora adesso, molto spesso urlo a mio papà di fermarsi per farmi scendere dall’auto per fotografare i bellissimi paesaggi che mi illuminano gli occhi.

CASTELLETTOMi ricordo ancora quella passeggiata a Castelletto: divertente, tranquilla e misteriosa. Eravamo partiti dalla nostra piccola villa che dista 20 km dalla collina e dopo 10/15 minuti di viaggio eravamo arrivati.Davanti a noi, le case che si trovavano ai lati della strada lasciavano intravedere un piccolo sentiero che non sapevo dove ci avrebbe portato. Percorsa questa via, mi ritrovai in un parco in cui le persone presenti sembravano felici e allegre. Mentre esploravo questo luogo tranquillo e dalla natura incontaminata mi sembrava che nell’aria ci fosse qualcosa di misterioso anche perché, in quell’ angolo di parco, non c’era nessuno. Sinceramente, questa cosa non mi aveva assolutamentepreoccupato e ho continuato ad assaporare quei momenti di grande gioia.

DONATELLADonatella è una signora che ho conosciuto allo spazio compiti. E’ diventata la mia maestra e da quel momento siamo andate d’accordo. Durante le vacanze estive siamo andate insieme al mare. Quel giorno, insieme, ci siamo divertite. Era la prima volta che vedevo il mare e lei mi ha

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Di colpo, per la paura, mi viene il mal di pancia, come al solito, e sono in preda all’ansia come non mai.Come farò a dire ai miei genitori il voto insufficiente che prenderò sicuramente?La professoressa sarà davvero scontenta di me: con tutto il lavoro che ha fatto il risultato sarà un bel 5. Forse di meno.Come farò a recuperare il voto?Immersa nei pensieri arrivo alla cattedra con il volto pallidissimo.- Sai perché ti ho chiamata, vero? -Certo che penso di saperlo: per interrogarmi, per cos’altro, mi dico, e sto decidendo se tirar fuori tutte le più assurde scuse che mi sono immaginata quando è di nuovo lei a parlare.- Sai che abbiamo un’antica tradizione, in questa scuola -Quella di bocciare chi non ha studiato, penso tra me e me.- Essendo oggi il tuo compleanno, non capisco perché tu sia in classe. Quindi adesso raccogli le tue cose e sparisci. Ci vediamo domani, mentre adesso... -E il suo sguardo penetrante si rivolge di nuovo verso i poveri compagni - Interrogo! -Il mio compleanno. Come ho fatto a dimenticarmi? Non ho il cuore di restare a vedere chi verrà chiamato. In un attimo sono già fuori in giardino, a godermi la bella giornata di sole. Mi stendo sull’erba che prima guardavo dalla finestra e mi rilasso.

Un groviglio di emozioni quasi palpabili, sapientemente descritte, brividi che scorrono anche in noi … soffriamo con Chiara che ha saputo con garbo ma in modo molto incisivo riportarci ad esperienze che tutti abbiamo vissuto in quegli attimi di tempo in cui tutto è sospeso…La giuria

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consigliato di ingoiare la saliva e mi ha offerto una cicca da masticare.Durante il viaggio, con gentili sorrisi, mi ha offerto da bere e mi haaccompagnato nella cabina di pilotaggio dove è stato molto bello parlarecon i piloti e vedere in funzione gli strumenti che ci consentono diviaggiare sicuri. Comunque, ho fatto veramente un viaggio moltoemozionante e sono sicuro che, se avessi avuto qualche serio problema lahostess mi avrebbe certamente aiutato.

IMPREVISTIOrmai scontati, nella mia famiglia, quando viaggiamo in auto, gliimprevisti sono il quinto passeggero. Siamo così abituati che a volte ciridiamo un po’ su. È bello aspettare quattro lunghe ore il carro attrezzi chepreleverá la nostra auto in panne quando manca poco alla destinazione. Avolte non ci faccio caso, anzi sfrutto l’ imprevisto per concedermi unapausa dal lungo momento di riflessione che sempre intraprendo prima diogni viaggio… Un imprevisto è la cosa migliore per iniziare una vacanza!

JEANSIl jeans, secondo me, è il tessuto del viaggio perché è una stoffa che sipuò indossare in ogni stagione ed è molto versatile.Inoltre, i pantaloni di jeans sono quelli che indosso durante tutti i mieiviaggi perché sono molto comodi, avvolgenti, ma non troppo, esicuramente si sporcano meno di altri.

LONDRALondra è il mio sogno! Ogni anno, in occasione delle vacanze estive,chiedo di poter fare un viaggio in Inghilterra. Conosco molte cose diquesta città, mi manca solo di poterle vedere dal vivo. Il mio idolo è laregina Elisabetta, con la sua eleganza e tenacia è un esempio per tutte ledonne. Amo Londra anche solo perché si parla l’ inglese (lingua che ioamo!) e anche perché è piena di fantastici monumenti che uniscono levarie e diverse etnie che la città ospita.

MAREAvevo sei anni, era l’aprile del 2009 ed ero con la mia famiglia a Sharm ElSheikh per festeggiare l’anniversario di nozze dei miei genitori. Durantequella settimana abbiamo fatto una gita in barca per vedere più da vicinola barriera corallina. Essendo molto piccola e non avendo le forze per faresnorkeling sono rimasta molto poco sott’acqua, ma quelle poche immaginimi sono rimaste ben impresse nella mente. Mi ricordo il mare pieno dipesci colorati, soprattutto un particolare pesciolino giallo e blu moltocarino. C’erano anche le murene, le tartarughe, tantissimi coralli e molte

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aiutata ad entrare in acqua perché avevo paura. Ha impiegato un’ ora aconvincermi perché ero molto spaventata dalle onde che si infrangevano con molto rumore sulla riva, ma poi è stato bellissimo saltare i “cavalloni” e ricevere gli spruzzi di acqua salata sul viso.

EMOZIONEL’emozione per l’attesa è quello che provo quando penso che tra qualchemese andrò in Ecuador e visiterò quel paese tanto bello. Mi emoziona ilpensiero di stare su un aereo per quattordici ore, ma soprattutto miemoziona il pensiero di scoprire nuove cose, nuovi paesaggi e di conoscerenuove persone e la loro cultura. Non vedo l’ora di partire e di compraretanti ricordini per mia sorella, perché starò lontano da lei per tre mesi.Questo pensiero rende la mia attesa un po’ meno gioiosa.

FOTOGRAFIELe fotografie sono una parte importante del viaggio, perché siimmortalano tanti momenti belli ed interessanti. Qualche anno fa stavotornando dal mare, ed ero molto triste perché avevo lasciato gli amici.Allora ho pensato di prendere il mio telefono e di rivedere tutte le foto cheavevamo fatto insieme.Quel viaggio di ritorno passò velocemente e in allegria perché eroimpegnato a guardare le foto e a rivivere i momenti più gioiosi.Da allora, quando inizio il viaggio di ritorno, dopo una bella vacanza,faccio sempre così e la tristezza si allontana.

GIOCOAnche in viaggio il gioco non manca mai.Soprattutto quando facciamo un lungo viaggio in macchina, mia sorellapensa a nuovi, assurdi, giochi da fare con tutta la famiglia. In particolare anoi piace giocare al “gioco dei cartelli” che consiste nel guardare i cartellistradali che si incontrano durante il tragitto e urlare il loro nome. In baseall’originalità del cartello si guadagnano dei punti e, chi arriva a mille,vince. Per una volta Elisa ha inventato qualcosa di divertente.

HOSTESSUno dei viaggi più belli che ricordo è quello fatto con l’aereo per andare inSicilia. Ero molto agitato, quel giorno, perché era la prima volta cheprendevo l’aereo … e da solo!Ovviamente sono stato affidato ad una hostess che mi ha controllato pertutto il viaggio. Mi ricordo che ero seduto vicino ad un mio coetaneoanche lui solo come me e durante il viaggio abbiamo fatto conoscenza.Quando l’aereo decollò mi si erano tappate le orecchie e l’hostess mi ha

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fermammo in un autogrill per uno spuntino e lì vidi un secchiello diTopolino, mi sarebbe tanto piaciuto averlo!!! Sinceramente non pensavoche me lo avrebbero comprato, ma quella volta lo fecero. Da quel giornotutte le volte che andavamo al mare, ci fermavamo sempre all’autogrill eogni volta mi compravano qualcosa. Sembrava che l’aria marina e il caldodel sole, cambiasse l’umore delle persone.

STRADAIn viaggio si fa sempre molta strada, sia dal punto di vista metaforicoperché si prendono decisioni che segnano il futuro, si fanno progetti enuovi incontri, sia dal punto di vista figurato perché ci si sposta da unalocalità all’altra per poi magari starci solo per qualche ora.

TALENTONella discoteca della struttura di “Scuola Natura”, ad Andora, l’ultima seradel viaggio scolastico abbiamo partecipato ad una gara di talenti: qualcunoha preso parte alla gara di tabellone, altri a quella di ballo e altri ancora sisono esibiti in “spettacolini” preparati con gli educatori durante tutta lasettimana; abbiamo anche preso parte ad un laboratorio di gessi in cuiognuno di noi ha potuto esprimere il proprio talento creativo.

UVAPartire per la Puglia vuol dire andare per i vigneti. Adoro quel profumod’uva sui tralci che mi fa sentire tranquillo e pieno di pace. Il vigneto è unbel posto per schiacciare un pisolino e stare lontano da tutto e da tutti.Quando pesto l’uva è come se “pestassi” tutti i miei problemi e le miepaure diventando, così, più forte e sicuro di me.

VACCIAGOL’anno scorso andai con la classe a Scuola Natura, nella località diVacciago. A Scuola Natura ero già stato altre volte, ma credo che questasia stata la migliore, indimenticabile! Eravamo tutti eccitati per questaesperienza. Durante il viaggio abbiamo parlato, cantato, giocato, scattatofotografie, insomma, ci siamo divertiti molto, finché non abbiamoraggiunto la tanto attesa meta dove ci hanno accolto e fatti sistemarenella nostra grande camera. Nel corso della settimana abbiamo compiutovisite in paese e nelle zone circostanti, abbiamo fatto giochi, ballato eassistito ad uno spettacolo horror. Nel corso di questa settimana noicompagni abbiamo rinforzato il nostro rapporto, provato curiosità, felicità,rabbia, paura, noia... é stata una esperienza che non scorderò mai, voglio,anzi... vogliamo, ripeterla!!

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altre specie meravigliose... un nuovo mondo da scoprire.

NUVOLELe nuvole sono, forse, una delle cose più belle del viaggio. E’ come se tiseguissero per proteggerti: sembrano pensieri liberi e leggeri, propriocome vorrei fossero i miei, senza problemi. Durante il viaggio possono farpassare il tempo in fretta, perché basta stare ad osservarle nella loro buffametamorfosi per alimentare la nostra fantasia con strane forme di oggettio animali.

ONDALANDLa prima volta che sono andato ad Ondaland è stato qualche anno fa e cisono andato con i miei genitori. Ero già stato in molti altri acquapark, maero ugualmente molto emozionato al pensiero di andare lì, perché me neavevano parlato molto bene... e anche perché a casa si “friggeva” a causadel gran caldo e non vedevo l’ora di tuffarmi in acqua e andare sui variscivoli. Non stavo nella pelle, sono stato agitato per tutto il viaggio. Quelgiorno mi sono divertito moltissimo anche perché ho incontrato un amicoche non vedevo da tempo e ci siamo raccontati le avventure e gli aneddotidegli ultimi anni.

PREOCCUPAZIONEIl fatto che la mia famiglia, quando viaggiamo, si preoccupi sempre èperché abbiamo una sfortuna colossale. Molto spesso piccoleproblematiche ritardano il viaggio di ore e ore. Spero proprio che questonon si tramandi di generazione in generazione perché altrimenti sonofinito…

(ALTA) QUOTANel 2010 all’età di otto anni dovevo andare a Londra con i miei zii ancheperché mia zia è inglese. Per andarci dovevo prendere l’aereo ma quandosono salito ho provato una sensazione strana, come di paura! Dopo unaquindicina di minuti l’aereo è decollato e in quel momento ho cominciato atremare e a sudare freddo. Quando l’aereo è arrivato ad alta quota mitenevo stresso ai braccioli del sedile perché avevo tanta paura edimprovvisamente sono diventato di ghiaccio e così sono rimasto sinoall’atterraggio. Da quel giorno ho capito che l’alta quota non fa per me.

RICORDII ricordi sono quelli che ho in mente quando penso a questo viaggio. Ungiorno con la mia famiglia andai al mare e ricordo che avevo fame. Ci

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I PREMIATI ARTE » Secondaria di II grado » Secondaria di I grado

Dodici diverse esperienze che suscitano mille emozioni diverse. Tutte si fondono in un’unica intensa sensazione che permette al lettore di essere parte di un unico viaggio fatto di scoperte, di volti di persone, di luoghi della realtà e del cuore. Il tutto con parole semplici e profonde, espresse nello stile di chi sa guardare “oltre”…La giuria

ZAINOIl mio zaino preferito è rosso e nero con delle tasche di rete grigia. Hatanti spazi ben divisi per poter separare gli oggetti, ha un disegnofantasioso sul davanti ed è molto leggero, ma anche molto spazioso. L’ housato la prima volta per andare a Scuola Natura, lo utilizzo per le gite eper i viaggi. Lo utilizzo per metterci i panini, la frutta, l’acqua, dellesalviettine umide, un piccolo quaderno, una penna e, perché no, qualchecaramella.E’ il mio zaino preferito, il compagno inseparabile di molte avventure.È veramente un grande amico, che mi ha accompagnato in Egitto, almare, a Roma e alle gite scolastiche e se potesse parlare racconterebbedei paesaggi incontrati, della natura a volte incontaminata, dei fiumi, dellepiramidi, e poi, dei miei segreti e delle mie storie. È proprio un grandeamico, ed in futuro, quando non lo potrò più usare, lo ricorderò guardandole foto che mi hanno scattato quando l’ avevo sulle spalle.

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ARTE - SCUOLE SECONDARIE DI II GRADO

2° PREMIO - CLASSE 3 A GRAFICA MULTIMEDIALE “Un insieme di sguardi”, I.I.S. Caterina da Siena, Milano

UN INSIEME DI SGUARDI

Levy Strauss affermava che solo il mercato, il mercato di strada, gli dava la possibilità di intuire l’anima di un popolo. E le molte anime di questa nostra complessa e eterogenea società sono “viaggiate” con ironia e affetto nel video che premiamo”La giuria

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1° PREMIO - LORENZO BIDIN, LUCA MOROCUTTI, MATTEO PANIGUTTI “Il viaggio”, I.S.I.S. B.Stringher, Udine

IL VIAGGIO

… e camminando camminando… scopro chi sono e con chi sono. Bella metafora della inquietudine nomade che da sempre l’uomo porta dentro di sé, il video racconta un percorso eccentrico, in cui la sensibilità della ri-scoperta gioca un ruolo determinante, sorprendente.La giuria

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3° PREMIO - PARI MERITO, MATTEO MILAN “Il viandante sul mare di nebbia”, Liceo Scientifico Casiraghi, Cinisello Balsamo

IL VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA

Arthur Rimbaud si definiva “l’uomo con le suole di vento”. Bene, capita che queste stesse suole siano capaci di portarci ad affacciarci dalle nuvole. Chissà se questo dandy viaggiatore sorride guardando i grattacieli? Forse ha dune e onde negli occhi… La giuria

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3° PREMIO - LINDA PELLEGRINO,AMBRA SOMMI, GAIA VERETTONI “Il viaggio di Oscar”, Liceo Scientifico Mattei, Fiorenzuola D’Arda

IL VIAGGIO DI OSCAR

Una storia che ricorda il neorealismo di Pietro Germi, prima maniera ma con quel tocco di ingenuità che ne conferisce il vero elemento sorpresa. Complimenti alle attrici.La giuria

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1° PREMIO, FILIPPO BOSCHI E FILIPPO CARPI“Il viaggio”, Scuola Media Statale Mauri, Milano

IL VIAGGIO

Ma ci meritiamo città tanto ostili e incomunicabili? NO. Questa la risposta dei ragazzi del Mauri, armati di spray e con colori e forme come bussole e sestanti di intrepidi naviganti urbani, capaci di scoprire un’alba dentro al cemento.La giuria

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MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA, SIMONE BUGNA E ALBERTO CAVENAGHI“Stelle cremisi” ”, I.T.S.O.S. Marie Curie, Cernusco sul Naviglio

STELLE CREMISI

Per la centratura del testo sul tema dell’anno e la contemporaneità del linguaggio espressivo.La giuria

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3° PREMIO - CLASSE 2 D“Nuvole in volo”, Scuola Media B. Marcello, Milano

NUVOLE IN VOLO

Il tema del volo, da Icaro in poi, è sempre stato un elemento di grande rottura tra realtà e sogno. Questo video è creativo, allegro ed ottimista. Particolarmente apprezzabili le sovrapposizioni di voci e il coinvolgimento del gruppo come elemento di comunicazione. La giuria

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2° PREMIO - ALICE CERESA “La valigia”, Istituto Comprensivo Morosini Manara, Milano

LA VALIGIA

Questo artefatto coinvolge attivamente. Aldilà della gradevolezza delle scelte degli oggetti che richiamano alla memoria il viaggio della vita e dell’imprevisto questo lavoro coinvolge lo spettatore in più tempi: l’analisi dell’involucro, la scoperta nell’aprirlo, l’emotività trasfusa dagli elementi interni.La giuria

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Menzione speciale della giuriaNOVITA’ DELL’EDIZIONE 2016SCUOLA MEDIA STATALE EUGENIO COLORNI, MILANO

Per la straordinaria attività di gruppo che ha coinvolto docenti e allievi e che ha prodotto una serie di lavori in cui parole e immagini si sono fuse con grande inventiva e originalità.La giuria

MENZIONE SPECIALE PER LA PROGETTUALITÀ DIDATTICA E PRODUZIONE ORIGINALE

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Menzione speciale della giuriaNOVITA’ DELL’EDIZIONE 2016“MICROCOSMO”, ISTITUTO SCARUFFI LEVI TRICOLORE, REGGIO EMILIA

Per la straordinaria attività di gruppo che ha coinvolto docenti e allievi e che ha prodotto una serie di lavori in cui parole e immagini si sono fuse con grande inventiva e originalità.La giuria

LA SCUOLA PROFESSIONALE GALDUS È UNA SCUOLA SUPERIORE A CUI SI ACCEDE DOPO LA TERZA MEDIADa oltre 20 anni la Scuola professionale Galdus a Milano prepara, dopo la III media, alle professioni dell’informatica gestionale, del turismo, della ristorazione, dell’oreficeria, dell’innovazione elettrica, elettronica e della progettazione edile.

La didattica si articola in percorsi triennali e di quarto anno per ottenere competenze e titoli richiesti per l’inserimento nel mondo del lavoro.

I percorsi prevedono un cospicuo numero di ore laboratoriali con maestri del mestiere, stage di 300 ore all’anno in azienda, testimonianze di imprenditori, uscite didattiche ed esperienze sul campo, partecipazione ad eventi di settore oltre ad un’attenta preparazione culturale come testimoniato dalla presente iniziativa.

Via Pompeo Leoni, 2 - MilanoTel 02/49516000http://cfp.galdus.it