Prefazione a I Malavoglia · PDF fileVerga è davvero uno sguardo progettuale ad ampio...
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Prefazione a I Malavoglia
(testo completo al sito:ww.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_9/t350.pdf)
La nota Prefazione al romanzo del 1881, prima di calare il lettore nel tempo
senza storia dei Malavoglia, si sofferma su alcuni punti fondamentali per comprendere al meglio l’operazione verista, in cui si uniscono due dei principali
interessi di ricerca di Verga, attivi sin dagli anni di composizione delle novelle: l'interesse per la "questione meridionale" e la presenza di un concreto mercato
di pubblico cui rivolgersi. L’autore chiarisce che quello che presenta è “lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi
nelle più umili condizioni le prime irrequietudini pel benessere”, cui s’associa quella “vaga bramosìa dell’ignoto” che ben conosce il personaggio di ‘Ntoni nel
romanzo. L'indagine sociologica si fonde così con l'invenzione romanzesca: la vicenda dei Malavoglia illustra come l'affermazione del benessere moderno non
sia esente da una serie di tragedie silenziose che colpiscono i più deboli, soprattutto quand'essi s'arrischiano fuori dal loro mondo chiuso e ristretto 1
(come prova a fare la famiglia con l'affare dei lupini, o 'Ntoni con il suo esilio volontario in cerca di fortune e ricchezze). La famiglia siciliana di cui stiamo
per conoscere le drammatiche sorti è allora un perfetto exemplum di come
operi la “fiumana del progresso”, sin dagli scalini più bassi della scala sociale; al tempo stesso, l’evocazione dei Malavoglia permette al romanziere di
annunciare al proprio pubblico quali saranno le altre sue fatiche letterarie:
Soddisfatti questi [e cioè i “bisogni materiali” dei pescatori siciliani], la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro
don Gesualdo, incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci, e il disegno
più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa di Leyra, e ambizione dell’Onorevole Scipioni, per arrivare all’Uomo di lusso, il quale
riunisce tutte coteste bramosie [...] e ne è consunto.
Se in questa ascesa “il congegno della passione va complicandosi”, quello di Verga è davvero uno sguardo progettuale ad ampio raggio prospettico, che
illustri come l'"avidità di ricchezze" sia un forte propellente per ogni ordine e
ceto sociale; l’idea di questo ciclo romanzesco, ispirato dai Rougon-Macquart (1871-1893) di Émile Zola e simbolicamente dedicato ai "vinti" dalla macchina
sociale, mette infatti in luce tutta la finezza letteraria e sociologica di Giovanni Verga. Si noti infatti che, rispetto alla posizione tardo-romantica delle opere
giovanili (si pensi alla Prefazione di Eva), Verga non nega l'effetto mirabile delle grandi rivoluzioni economiche e sociali che stanno cambiando il mondo di
fine Ottocento (egli afferma: "Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l'umanità per raggiungere la conquista del progresso, è
grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da lontano"); piuttosto, egli sottolinea come il risultato complessivo di questa "fiumana" (termine che evoca
di per sé l'impetuosità e l'inarrestabilità del mutamento storico) possa nascondere le vicende individuali di chi è stato sopravanzato e sconfitto. Verga
vuole insomma denunciare le contraddizioni (e talora la mistificazione) sottese alla società a lui contemporanea:
Il risultato umanitario copre quanto c'è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessario a stimolare l'attività
dell'individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto
lavorio universale, è legittimato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove
vada questa immensa corrente dell'attività umana, non si domanda al certo come ci va.
La posizione dell’osservatore non coinvolto nella “fiumana” ha anche dei precisi
risvolti conoscitivi, in quanto se il progresso e la ricerca del bene materiale ha i suoi risvolti negativi e talora tragici, “l’osservatore [...] ha il diritto di
interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate”. A
questo proposito si affianca la ricerca stilistica dello scrittore verista, che deve trovare per ogni romanzo le scelte letterarie migliori per la sua indagine. Al
salire della scala sociale infatti, “i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l’educazione, ed
anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà”; e la missione
artistica dello scrittore verista è qui delineata con la massima precisione:
Perché la riproduzione artistica di codesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la
verità, giacché la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell’argomento generale.
La questione della forma, come I Malavoglia dimostrano in maniera esemplare,
è allora inscindibile dal tema trattato, e dell’atteggiamento “impersonale” assunto dal narratore, che rifiuta l’onniscienza delle narrazioni più tradizionali.
Il “ciclo dei vinti” ha allora qui la sua formulazione teorica e letteraria: la “lotta per l’esistenza”, ad ogni livello socio-economico, sarà il vero obiettivo della
creazione romanzesca. Eppure, a chi contempla e racconta tale “spettacolo” non è concesso il giudizio ma solo l’arduo compito di descrivere uomini e cose
nella maniera più “vera” ed autentica possibile:
Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se
riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la
rappresentazione della realtà come è stata, o come avrebbe dovuto essere.
1 Si tratta cioè dell'"ideale dell'ostrica", come lo spiegava il narratore-
protagonista di Fantasticheria ad una bella dama milanese che aveva trascorso un breve soggiorno ad Aci Trezza.